Revus Journal for Constitutional Theory and Philosophy of Law / Revija za ustavno teorijo in filozofijo prava 16 | 2011 Pravo, morala in vladavina zakona Diritto e morale: la discussione odierna Law and Morality Today Mauro Barberis Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/revus/2108 DOI: 10.4000/revus.2108 ISSN: 1855-7112 Editore Klub Revus Edizione cartacea Data di pubblicazione: 10 dicembre 2011 Paginazione: 55-93 ISSN: 1581-7652 Notizia bibliografica digitale Mauro Barberis, « Diritto e morale: la discussione odierna », Revus [Online], 16 | 2011, Online since 10 December 2013, connection on 19 April 2019. URL : http://journals.openedition.org/revus/2108 ; DOI : 10.4000/revus.2108 All rights reserved 55 european constitutionality review (2011) 16 www.revus.eu revus (2011) 16, 55–93 Mauro Barberis Diritto e morale: la discussione odierna Una volta Oliver Wendell Holmes, mentre andava in carrozza alla Corte Suprema [...], dette un passaggio al giovane Learned Hand. Questi scese alla propria destinazi- one e, salutando la carrozza che ripartiva, urlò allegramente: «Fa’ giustizia, giudice!». Holmes fermò la vettura, fece invertire la marcia al conducente e tornò indietro verso il sorpreso Hand. Si sporse dal inestrino e disse: «Non è quello il mio lavoro!». Ronald Dworkin, Justice in Robes (Harvard UP, 2006) 1 PREMESSA Quando è nata come materia universitaria, alla ine del Settecento, la iloso- ia del diritto si occupava del diritto (lat. quid ius): mentre la dottrina giuridica (privatistica, pubblicistica, penalistica...) si occupava del diritto tedesco, o fran- cese, o italiano (lat. quid iuris). Dire cosa sia il diritto, fornire una deinizione del diritto, è ancora uno dei compiti della ilosoia del diritto1; ma nei due secoli trascorsi da ine Settecento ci si è resi conto dell’esistenza di due modi molto di- versi di afrontare il problema. Un modo di afrontare il problema del diritto in genere consiste nell’accertare cosa sia il diritto vigente o positivo, che signiicato abbia la parola ‘diritto’: compito di una teoria del diritto (solo conoscitiva). Un modo molto diverso di afrontare il problema, invece, consiste nel proporre il diritto moralmente giusto, ossia nel suggerire come debba essere il diritto posi- tivo per essere conforme alla morale: compito, invece, di una ilosoia del diritto (anche normativa). 1 Cfr. ad esempio Mario Jori e Anna Pintore, Manuale di teoria generale del diritto, Torino, Giappichelli, 1998, 35. 56 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu Si tratta di questioni tanto diverse da generare due dottrine molto dife- renti: il positivismo giuridico, teoria prevalentemente conoscitiva, mirante so- prattutto a descrivere cosa il diritto sia, e il giusnaturalismo, ilosoia prevalen- temente normativa, che vuole soprattutto prescrivere cosa il diritto debba esse- re. Si tratta di attività tanto diverse – almeno per chi aderisca alla Grande divisi- one fra linguaggio conoscitivo e normativo2 – che prima di procedere occorrerà scegliere fra giusnaturalismo e giuspositivismo: scelta cui è dedicato questo capitolo preliminare. Anzitutto (§ 2), si farà il punto sullo stato della questione diritto-morale negli ultimi cinquant’anni; poi (§§ 3-6), si confronteranno quat- tro ilosoie o teorie del diritto (anzitutto giusnaturalismo e giuspositivismo, ma anche loro varianti odierne come realismo giuridico e neocostituzionalismo); inine (§ 7), si opterà per una versione aggiornata della teoria giuspositivista. 2 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DOPO AUSCHWITZ La ilosoia del diritto è nata millenni o almeno secoli fa, ma è cambiata ra- dicalmente dopo Auschwitz. Sino ad allora, tutti concordavano che al diritto si dovesse obbedire: dopo, anche su questo si è cominciato a discutere. I giusna- turalisti hanno accusato il giuspositivismo di complicità con il nazismo: non foss’altro perché considerano il diritto nazista alla stregua di autentico diritto (§ 2.1). I giuspositivisti si sono difesi ribadendo che il diritto nazista era diritto: questo, però, non implica afatto che si dovesse obbedirlo (§ 2.2). I giusrealisti, ancora più ostili al giunaturalismo, hanno attaccato a loro volta il giuspositivi- smo come ideologia dell’obbedienza al diritto statale (§ 2.3). Inine, gli odierni neocostituzionalisti sembrano considerare superata l’intera disputa: al diritto dello Stato costituzionale contemporaneo, per loro, si potrebbe ormai tranquil- lamente obbedire (§ 2.4). Qui di seguito si illustreranno, schematicamente, que- ste quattro posizioni. 2.1 La sida giusnaturalista Dopo Auschwitz, è rinato il giusnaturalismo: ilosoia del diritto data tante vlte per morta, eppure sempre risorta. Nato già nell’antichità classica, in Grecia e a Roma, proseguito in forme diverse nel pensiero cristiano soprattutto me- dievale (giusnaturalismo antico), inine riiorito in versione laica in epoca mo- derna (giusrazionalismo moderno), il giusnaturalismo ha incontrato una lunga eclissi dopo la codiicazione3. La redazione del diritto continentale, detto civil law perché erede del ius civile romano, in documenti legislativi chiamati codi- 2 Cfr. Mauro Barberis, Manuale di ilosoia del diritto, Torino, Giappichelli, 2011, § 2.2. 3 Cfr. Mauro Barberis, Giuristi e ilosoi. Una storia della ilosoia del diritto, Bologna, Il Mulino, 2011, cap. 1. 57 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu ci, aveva infatti escluso il diritto naturale – insieme con la dottrina (lo studio universitario del diritto) e la giurisprudenza (le decisioni dei giudici) – dalla lista delle fonti del diritto: l’insieme delle norme applicabili nei tribunali, che si era appunto ridotto ai codici, alle leggi speciali (ossia non comprese negli stessi codici), ai regolamenti, alle consuetudini e più in generale al diritto positivo, di produzione umana. In questo modo, il diritto naturale era rimasto materia d’interesse quasi esclusivamente ilosoico; nelle facoltà di giurisprudenza il suo insegnamento era stato aiancato o sostituito dall’insegnamento della teoria ge- nerale del diritto giuspositivista. Dopo la scoperta dei campi di sterminio nazisti (ted. Lager), a cui seguirà la scoperta dei campi di concentramento staliniani (russo gulag), il giusnatu- ralismo conosce la più vivace delle sue resurrezioni: resurrezioni che, per gli ultimi due secoli, possono indicarsi con il nome di neogiusnaturalismo. La responsabilità dell’olocausto venne attribuito all’atteggiamento di deferenza ver- so il diritto positivo tipico dei giuristi tedeschi anche prima di Hitler: atteggi- amento compendiato nel motto tedesco Gesetz ist Gesetz (lat. dura lex sed lex, il diritto è diritto e va comunque obbedito) e attribuito frettolosamente al giu- spositivismo. Questa attribuzione di responsabilità storica è frettolosa per una ragione ben precisa; vero, il giuspositivismo ottocentesco e primo-novecentesco ha condiviso l’idea che al diritto si debba comunque obbedire: ma questa idea è antica quanto la rilessione occidentale sul diritto, risalente almeno al giusna- turalista Platone4. Ciò che impressionò particolarmente il pubblico colto dell’epoca, d’altra parte, fu la circostanza che il neogiusnaturalismo postbellico è quasi esclusi- vamente un’invenzione di autori giuspositivisti “convertiti” al giusnaturalismo dopo Auschwitz. In Germania, in particolare, si deve ai ripensamenti di Gustav Radbruch, giurista giuspositivista, già ministro della giustizia socialdemocratico della Repubblica di Weimar e oppositore del nazismo: uno dei pochi oppositori, detto per inciso, fra i ilosoi del diritto tedeschi5. Il Radbruch dell’immediato dopoguerra, in efetti, corregge la propria posizione, rimasta sempre complessi- vamente giuspositivista, su un solo punto, ma essenziale: il diritto positivo resta diritto, e va obbedito come tale, solo sinché non sia intollerabilmente ingiusto (cosiddetta formula di Radbruch)6. Radbruch è troppo buon ilosofo per non rendersi conto di quanto sia vaga questa formula; giustizia e ingiustizia sono qualità largamente soggetti- 4 Cfr. Platone, Critone, in Id., Opere complete, Bari, Laterza, 1971, vol. I. 5 Cfr. Ernesto Garzón Valdez, Introducción a Id. (comp.), Derecho y Filosofía, México, Fontama- ra, 1988, 5–41. 6 Cfr. Gustav Radbruch, Gesetzliche Unrecht und übergesetzliches Recht (1946), trad. it. Ingiu- stizia legale e diritto sovralegale, in Amadeo Giovanni Conte et alii (a cura di), Filosoia del diritto, Milano, Cortina, 2002, 152–163. 58 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu ve: e l’intollerabilità dell’ingiustizia non vale a rendererla molto più oggettiva. Tuttavia, questa stessa formula – che ammette pur sempre, si noti, un genera- le obbligo di obbedire al diritto anche ingiusto, beninteso purché non sia in- tollerabilmente ingiusto – è precisa almeno su questo punto: il diritto nazista non era diritto, e dunque non andava obbedito. La formula di Radbruch, qua- li che fossero i suoi limiti, toglieva comunque ai gerarchi nazisti, processati a Norimberga (1945-46) per lo sterminio di ebrei, zingari, omosessuali e oppo- sitori – ma anche alle guardie di frontiera della Germania orientale, processate dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) per aver sparato sui dissidenti in fuga – il loro principale, se non unico, argomento difensivo: l’argomento di es- sersi limitati a obbedire al diritto7. La stessa formula, del resto, viene presupposta dalla Legge fondamentale della Repubblica federale tedesca (1949), e dalla giurisprudenza della Corte co- stituzionale da essa istituita; queste distinguono entrambe il diritto dalla legge: alludendo a una sorta di diritto sovra-positivo e sovra-costituzionale – il diritto naturale? – che nessuna legislazione potrebbe violare senza smettere di essere diritto. Tutto ciò, com’è chiaro, costituiva una sida per il positivismo giuridico: non tanto per il giuspositivismo tecnico dominante fra i giuristi, e consistente nel servirsi solo del diritto positivo, quanto per il giuspositivismo teorico, ossia per l’insieme delle teorie sostenute da giuristi e teorici giuspositivisti fra Otto e Novecento. La sida venne raccolta, fra ine degli anni Cinquanta e inizio degli anni Sessanta, dai principali teorici del diritto giuspositivisti e giusrealisti: come vediamo brevemente qui di seguito. 2.2 La risposta dei giuspositivisti Dopo Auschwitz, come s’è visto, entra in crisi il positivismo giuridico do- minante dopo la codiicazione. Per rispondere alle obiezioni giusnaturaliste, peraltro, i principali autori giuspositivisti cominciano a distinguere più rigo- rosamente: intanto, fra giusnaturalismo e giuspositivismo; poi, fra diversi tipi di giuspositivismo. A distinguere più precisamente di quanto si fosse mai fatto prima fra giusnaturalismo e giuspositivismo – tradizioni di pensiero nate l’una millenni prima, l’altra solo due secoli fa – è Herbert Hart: docente di jurispru- dence (sorta di teoria generale) a Oxford. I giusnaturalisti di ogni età, secondo Hart, avrebbero sostenuto tutti almeno una tesi comune: la Tesi della connessi- one necessaria fra diritto e morale, secondo cui il diritto positivo non è diritto se non è moralmente giusto. I giuspositivisti di ogni epoca, invece, sarebbero accomunati dalla Tesi della separabilità: diritto positivo e morale sono distinti, il diritto ingiusto è pur sempre diritto8. 7 Cfr. Giuliano Vassalli, Formula di Radbruch e diritto penale, Milano, Giufrè, 2001. 8 Cfr. Herbert L. A. Hart, Positivism and Separation of Law and Morals (1958), trad. it. Il posi- tivismo e la separazione fra diritto e morale, in Aldo Schiavello e Vito Velluzzi (a cura di), Il 59 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu Dal punto di vista storico, la distinzione di Hart è inaccurata; essa tratta giu- snaturalismo e giuspositivismo come dottrine distinte solo dalla diversa rispo- sta a una stessa questione: il diritto è connesso o separato rispetto alla morale? Dal punto di vista teorico, invece, la distinzione è quanto mai opportuna; giu- snaturalismo e giuspositivismo, occupandosi rispettivamente del diritto giusto e del diritto posto, si erano sino ad allora quasi ignorati; Hart, attribuendo loro risposte diverse a una stessa domanda, li obbligava a discutere. Di fatto, lo stes- so Hart criticherà Radbruch, e s’impegnerà in polemiche con i maggiori iloso- i giusnaturalisti dell’epoca; ma, soprattutto, difenderà la Tesi della separabilità interpretandola sempre più come la scelta di un giuspositivismo meramente metodologico: una teoria del diritto, cioè, che applica un metodo puramente conoscitivo, astenendosi dalle valutazioni tipiche della ilosoia del diritto giu- snaturalista9. A distinguere fra diversi tipi di giuspositivismo, e anzi a difendere per primo una forma di giuspositivismo metodologico, è soprattutto Norberto Bobbio: i- losofo del diritto italiano che oppone – come vedremo meglio più avanti (cfr. § 4) – giuspositivismo metodologico, teorico, e ideologico10. Il giuspositivismo metodologico, chiamato così da Bobbio trent’anni prima di Hart, è la scelta per lo studio tanto dottrinale quanto teorico del diritto di un metodo rispettoso del principio di avalutatività (ted. Wertfreiheit), che impone tanto allo scienziato quanto al teorico di astenersi da valutazioni. Il giuspositivismo teorico, invece, è il semplice insieme delle tesi sostenute dai giuspositivisti otto-novecenteschi: tesi spesso criticate e anzi ampiamente superate dagli stessi giuspositivisti su- ccessivi. Ma soprattutto il giuspositivismo ideologico è la tesi normativa che al diritto si debba comunque obbedire: tesi riiutata da Bobbio, come vedremo (cfr. § 4.3). Grazie alla duplice distinzione di Hart e di Bobbio, comunque, il giuspositi- vismo esce dal vicolo chiuso in cui l’avevano spinto le critiche neogiusnaturali- ste. Il diritto è concettualmente distinto dalla morale: dunque, che qualcosa sia diritto non vuol ancora dire che esso debba essere obbedito. Il giuspositivismo metodologico è tenuto solo a conoscere avalutativamente il diritto positivo; non è afatto tenuto a valutarlo: e meno che mai a valutarlo positivamente, come fa- cevano tanto il giuspositivismo ideologico quanto, almeno sino ad Auschwitz, la stessa tradizione giusnaturalista. Imboccando questa strada conoscitiva, pe- raltro, i giuspositivisti inivano per prestare il ianco a una duplice serie di obi- ezioni. Prima, prestavano il ianco alle critiche di una forma di giuspositivismo metodologico molto più radicale: il realismo giuridico. Ma poi, e soprattutto, positivismo giuridico contemporaneo. Una antologia, Torino, Giappichelli, 2005, 48–89. 9 Cfr. da ultimo Herbert L. A. Hart, Postscript (1994) a he Concept of Law (1961), trad. it. Po- scritto a Il concetto di diritto, Torino, Einaudi, 2002, specie 309–314. 10 Cfr. già Norberto Bobbio, Il positivismo giuridico (1961), Torino, Giappichelli, 1996, 233–250. 60 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu il loro abbandono di ogni questione normativa prestava il ianco alle critiche da parte di un insieme di ilosoi e teorici odierni, che si possono riunire sotto l’etichetta di neocostituzionalismo. 2.3 La critica realista Dopo Auschwitz, il giuspositivismo viene criticato anche dal realismo giu- ridico: forma di giuspositivismo metodologico radicale che rimprovera al giu- spositivismo di essere solo una specie di giusnaturalismo favorevole allo Stato e al diritto positivo. Vi sono due principali scuole giusrealiste: il giusrealismo statunitense, che fra anni Venti e Trenta del Novecento si occupa di problemi strettamente giuridici, riguardanti soprattutto l’applicazione giudiziale (ingl. adjudication) del diritto nordamericano; il giusrealismo scandinavo, che invece critica appunto i residui di giusnaturalismo nel giuspositivismo. L’accusa mossa da Alf Ross, il principale teorico giusrealista, a Hans Kelsen – forse il maggiore teorico del diritto del Novecento – è proprio questa: di aver sostenuto ciò che Ross chiama quasi-positivismo, ossia una sorta di giusnaturalismo caratterizza- ta dalla tesi normativa che al diritto si debba comunque obbedire11. L’accusa era doppiamente ingenerosa. Era ingenerosa sul piano personale: Kelsen era stato uno dei pochi teorici di lingua tedesca a opporsi al nazismo; a diferenza di Radbruch, anzi, era stato costretto all’esilio negli Stati Uniti. Ma l’accusa era ingenerosa anche sul piano teorico: si rivolgeva soprattutto a una tesi kelseniana – la teoria della validità di norme – che ammetteva an- che interpretazioni più caritatevoli. Kelsen ha sempre sostenuto, in efetti, che l’espressione ‘norma valida’ abbia il triplice signiicato di norma appartenente al sistema giuridico, norma esistente, e anche norma obbligatoria: ossia vincolan- te per giudici e cittadini12. Proprio questo terzo signiicato di ‘validità’ fa dire a Ross che Kelsen prescriverebbe, neppure troppo nascostamente, di obbedire al diritto: interpretazione poco caritatevole, perchè Kelsen sembra piuttosto li- mitarsi a descrivere, avalutativamente, che il diritto stesso prescrive di essere obbedito. Quale che fosse la fondatezza di questa critica, peraltro, il giusrealismo, in particolare scandinavo, inì per accreditarsi come una teoria del diritto desti- nata a soppiantare il giuspositivismo: lo stesso Kelsen, in quegli anni, qualiicò la propria Teoria pura del diritto (ted. Reine Rechtslehre) come «una teoria es- senzialmente realistica»13. Mentre il giusrealismo è incompatibile con il giusna- 11 Cfr. Alf Ross, Validity and the Conlict between Legal Positivism and Natural Law (1961), trad. it. Il concetto di validità e il conlitto fra positivismo giuridico e giusnaturalismo in Id., Critica del diritto e analisi del linguaggio, Bologna, Il Mulino, 1982, 137–158. 12 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 4.4. 13 Cfr. Hans Kelsen, Reine Rechtslehre (1960), trad. it. Dottrina pura del diritto, Torino, Einaudi, 1966, 128. 61 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu turalismo, peraltro, è diicile distinguerlo dal giuspositivismo: di cui spesso si limita a radicalizzare le tesi. Inoltre, l’astinenza valutativa costituisce sia la ra- gione di forza sia il principale elemento di debolezza del giusrealismo. Intanto, a partire dal 1968, si è imposta l’esigenza di elaborare ilosoie anche normative della giustizia e del diritto. Ma soprattutto, nei sistemi giuridici di paesi come Stati Uniti, Germania e Italia, sono andati acquistando una tale importanza i principi costituzionali da basare su di essi una quarta ilosoia del diritto: il ne- ocostituzionalismo. 2.4 Neocostituzionalismo Sempre dopo Auschwitz, benché vent’anni dopo, si è sviluppato il neocosti- tuzionalismo: famiglia di teoria e ilosoie del diritto, sostenute in America e sul continente europeo sotto etichette diverse (teoria del diritto come interpre- tazione, non positivismo, costituzionalismo senz’altra qualiicazione) ma acco- munate da un oggetto d’indagine e da un atteggiamento normativo. L’oggetto d’indagine è il diritto del cosiddetto Stato costituzionale (ted. Verfassungstaat): forma di Stato che, dopo la sconitta dei totalitarismi di destra e di sinistra ini- sce per imporsi anche sul continente europeo. Lo Stato costituzionale è carat- terizzato da tre elementi: costituzioni rigide (modiicabili dalla legge ordinaria solo con maggioranze raforzate); Corti supreme o costituzionali che disappli- cano o annullano le leggi contrastanti con la costituzione; processi di irradiazi- one o costituzionalizzazione del diritto, per cui quest’ultimo inisce per essere pervaso dai principi costituzionali14. L’atteggiamento normativo, invece, consiste nella difesa intransigente dei va- lori etici (morali, politici, giuridici) formulati come principi costituzionalii nelle costituzioni rigide, in particolare nelle dichiarazioni dei diritti. Si tratta, per più versi, dell’onda lunga di Auschwitz: in Europa e Latinoamerica i regimi autori- tari o totalitari sono progressivamente sostituiti da Stati costituzionali. Certo, nessuno s’illude che dichiarazioni dei diritti e Corti costituzionali possano pre- venire deinitivamente regimi autoritari: ma rendono molto più diicile istitu- irli per via legale, com’era avvenuto nell’Italia fascista e nella Germania nazista. Comunque sia, tanto nei paesi di più antica democrazia, come gli Stati Uniti, quanto nelle nuove democrazie postbelliche, si difondono ilosoie del diritto che sostengono la connessione del diritto e della morale tramite i principi co- stituzionali. È questo il caso della ilosoia del diritto di Ronald Dworkin: autore statu- nitense, ma successore di Hart sulla cattedra di jurisprudence di Oxford, che già negli anni Sessanta sferra il primo sistematico attacco al «modello delle re- gole» giuspositivista: attacco formulato nei termini di una distinzione regole/ 14 Cfr. Riccardo Guastini, La “costituzionalizzazione” dell’ordinamento giuridico italiano, Ragi- on pratica (1998) 11, 185–206. 62 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu principi poi da lui abbandonata15, ma largamente ripresa dai neocostituzio- nalisti successivi. È questo il caso della teoria del diritto di Robert Alexy: co- stituzionalista tedesco il quale considera l’argomentazione giuridica un caso speciale dell’argomentazione morale16, e corentemente difende la Formula di Radbruch17. Ed è questo, inine, il caso della teoria del diritto di Carlos Nino: giurista argentino che prima tenta di conciliare giusnaturalismo e giuspositivi- smo, poi sostiene una triplice connessione necessaria (deinitoria, giustiicativa e interpretativa) fra diritto e morale18. Si tratta, evidentemente, di autori molto diversi, operanti in paesi di cultura giuridica diferente: ai quali peraltro la comune etichetta ‘neocostituzionalismo’ si applica senza forzature, proprio perché l’oggetto d’indagine e l’atteggiamento normativo sono comuni. Di fatto, la discussione odierna sui rapporti diritto- -morale potrebbe ridursi al dibattito fra neocostituzionalismo e forme sempre più soisticate di giuspositivismo. Specie nel dibattito angloamericano e per ri- spondere alla sida di Dworkin, come vedremo nella conclusione del capitolo (cfr. § 7), i giuspositivisti si sono divisi in tre correnti principali: il giuspositi- vismo inclusivo, che ammette una connessione contingente, ossia non neces- saria, fra diritto e morale; il giuspositivismo esclusivo, che ne nega persino la possibilità logica; il giuspositivismo normativo, che ne ammette la possibilità di fatto, ma ne contesta altrettanto radicalmente la bontà. Dopo Auschwitz, in conclusione, i rapporti fra diritto e morale sono tor- nati al centro del dibattito ilosoico-giuridico: ammesso che se ne siamo mai allontanati. Da quanto si è già detto, peraltro, appare chiara almeno una cosa. Ognuna delle quattro ilosoie del diritto che partecipano alla discussione su di- ritto e morale ha una storia che comincia molto prima Auschwitz – a suo modo, ce l’ha anche il neocostituzionalismo, che pure è una ilosoia nata vent’anni dopo – e un ampio ventaglio di tesi peculiari: tanto peculiari, per la verità, da rendere problematico anche solo confrontarle. Proseguendo nel tentativo di Hart di rendere comparabili dottrine in sé largamente eterogenee, qui di se- guito, per ognuna di esse, si presenteranno tre tesi caratteristiche – sui rappor- ti diritto-morale, sui giudizi di valore e sull’interpretazione – nonché l’oggetto d’indagine teorico, la metodologia e l’ideologia rispettive. Non solo il giusposi- tivismo, in efetti, può dividersi in teorico, metodologico e ideologico; per certi 15 Cfr. Ronald Dworkin, Taking Rights Seriously (1977), trad. it. I diritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino, 2010, 37–79 16 Cfr. Robert Alexy, heorie der juristischen Argumentation (1978), trad. it. Teoria dell’argomentazione giuridica, Milano, Giufrè, 1998. 17 Cfr. Robert Alexy, A Defence of Radbruch’s Formula, in David Dyzenhaus (ed.) Recrating the Rule of Law: the Limits of Legal Order, Oxford, Hart Publishing, 1999, 15–39. 18 Carlos S. Nino, Derecho, moral y política (1994), trad. it. Diritto come morale applicata, Mila- no, Giufrè, 1999. 63 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu versi si può farlo anche per le altre posizioni, esplicitando quanto in esse resta largamente implicito: a cominciare proprio dal giusnaturalismo. 3 GIUSNATURALISMO Per il giusnaturalismo in questa sezione, come per giuspositivismo, giusrea- lismo e neocostituzionalismo nelle successive, si procederà sempre nello stesso modo: si indicheranno tre tesi tipiche o caratteristiche, benché non necessaria- mente condivise da tutti i loro sostenitori, e l’oggetto d’indagine teorico, la me- todologia e l’ideologia rispettive. In tutti e quattro i casi le tre tesi riguarderanno sempre i rapporti fra diritto e morale, l’oggettività o soggettività delle valuta- zioni etiche (morali, politiche, giuridiche), e il problema dell’interpretazione; l’oggetto d’indagine i problemi rispettivi, la metodologia il metodo conosciti- vo, l’ideologia l’atteggiamento normativo. Questa tecnica di presentazione ha il pregio espositivo di mostrare somiglianze e diferenze fra le quattro ilosoie del diritto; ha però il difetto storico di indurre a pensare che tutti i ilosoi del diritto, sempre e ovunque, si siano occupati degli stessi problemi eterni: il che naturalmente non è vero, neppure per il problema dei rapporti diritto-morale. Giusnaturalismo: (1) Tesi della connessione necessaria fra diritto e morale: solo il diritto mo- ralmente giusto è diritto, il diritto (intollerabilmente) ingiusto non è diritto. (2) Oggettivismo etico: i giudizi di valore sono veri o falsi, o almeno oggetti- vamente giusti o ingiusti. (3) Formalismo interpretativo: a ben vedere, ogni caso giudiziale ha una sola soluzione, ogni disposizione giuridica un solo signiicato. Sulla tesi (1), la connessione necessaria fra diritto e morale, va anzitutto ri- cordato che ha due varianti: una forte (il diritto ingiusto non sarebbe diritto) e una debole (il diritto intollerabilmente ingiusto non sarebbe diritto). Peraltro, solo la seconda, incorporata nella Formula di Radbruch, è davvero sostenibile; per la prima, qualsiasi norma giuridica sospetta d’ingiustizia vedrebbe messa in dubbio la propria giuridicità. Occorre poi precisare che ai giusnaturalisti inte- ressano meno le connessioni conoscitive – la connessione deinitoria (il diritto ingiusto non può neppure dirsi diritto) e la connessione identiicativa (il diritto applicabile non può neppure individuarsi senza chiedersi se sia giusto) – e più le connessioni normative: la connessione giustiicativa (al diritto ingiusto non si deve comunque obbedire) e la connessione interpretativa (l’unica norma appli- cabile a un caso, o attribuibile come signiicato a una disposizione, dev’essere la più giusta). 64 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu Bisogna insistere, inine, che nonostante le critiche rivolte al giuspositivi- smo dopo Auschwitz, nella sua millenaria tradizione il giusnaturalismo è, delle quattro posizioni, la più favorevole all’obbedienza al diritto positivo. Il più auto- revole esponente odierno di questa tradizione, il ilosofo cattolico John Finnis, allievo di Hart, sostiene espressamente una presunzione di obbligatorietà del diritto positivo: bisogna pensarci due volte prima di disobbedire al diritto, per- ché rischiamo di incrinare un’abitudine all’obbedienza in sé salutare19. La stessa formula di Radbruch, del resto, presuppone un obbligo generale di obbedire al diritto positivo: obbligo generale che viene meno solo quando il diritto supera una certa soglia d’ingiustizia. Di regola, insomma, si deve obbedire anche al diritto ingiusto: l’unico diritto che va disobbedito è il diritto intollerabilmente ingiusto. Sulla tesi (2), l’oggettivismo etico – i giudizi di valore sono veri o falsi, o almeno oggettivamente giusti o ingiusti – occorre appena accennare che, nel- la sua storia millenaria, il giusnaturalismo l’ha sostenuta in almeno tre diverse varianti. Il giusnaturalismo antico (anche medievale), per il quale la giustizia dipende dalla natura delle cose, tendeva a ignorare la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore, o più generalmente fra proposizioni e norme: a non di- stinguere, cioè, fra il giudizio di fatto che la terra è piatta, e il giudizio di valore che l’aborto è cattivo. In entrambi i casi, i giudizi – afermazioni della forma ‘X è ...’ – descriverebbero, come una sorta di proposizione empirica, vera-o-falsa (apofantica) qualità delle cose stesse, date nella natura stessa delle cose20. I gi- udizi di valore sarebbero veri-o-falsi, e comunque oggettivi, come i giudizi di fatto della scienza moderna: allora, peraltro, non ancora nata, e ancora confusa con la ilosoia. Il giusnaturalismo moderno, o giusrazionalismo, sviluppatosi nell’epoca mo- derna, che inizia con la scoperta dell’America, sostiene che la giustizia dipende dalla ragione umana: non più dalla natura delle cose. Le scoperte geograiche, la ine dell’unità politica e religiosa del mondo e soprattutto la nascita della scien- za moderna, che distingue giudizi di fatto, veri o falsi, e giudizi di valore, giusti e ingiusti, rendono inconcepibile l’idea che bontà, giustizia o legalità siano qualità delle cose stesse: in realtà, si tratta di idee della ragione umana. Quest’ultima è ancora ritenuta comune a tutti gli uomini, e dunque produttiva di verità ogget- tive; chiunque sia dotato di ragione, cioè, dovrebbe ritenere autoevidenti verità etiche o principi giuridici come i diritti dell’uomo. Il giusrazionalismo è anco- ra una forma di oggettivismo etico: ma apre la strada al soggettivismo, ove si 19 Cfr. John Finnis, Natural Law and Natural Rights (1980; 1992), trad. it. Legge naturale e diritti naturali, Torino, Giappichelli, 1996, 397–401. 20 Cfr. Michel Villey, Le droit dans les choses, in P. Amselek, C. Grzegorgczyk (sous la direction de), Controverses autour de l’ontologie du droit, Paris, PUF, 1989, 127–135. 65 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu ammetta che la ragione è soggettiva, e le opinioni tante quante le teste (lat. tot capita, tot sententiae). Nel Settecento càpitano due eventi suscettibili di revocare in dubbio l’oggettivismo etico: David Hume21 distingue fra giudizi di fatto e giudizi di va- lore, fra proposizioni e norme; il diritto viene codiicato, e lo stesso diritto na- turale positivizzato, insomma scritto in costituzioni e codici. Il giusnaturalismo e l’oggettivismo etico entrano progressivamente in crisi; nella prima metà del Novecento i ilosoi dell’etica smetteranno persino di avanzare i consueti giudi- zi di valore (etica normativa): dedicandosi piuttosto a discutere se i giudizi di valore siano oggettivi oppure meramente soggettivi, ossia varino da soggetto a soggetto (metaetica)22. Solo con Una teoria della giustizia (1971), di John Rawls, rinasce un’etica normativa oggettiva, o piuttosto intersoggettiva: nella quale i valori non sono dati nella natura o nella ragione, ma costruiti dagli uomini ri- spettando certe procedure di scelta23. Quanto alla tesi (3), il formalismo interpretativo – ogni caso giudiziale ha una sola soluzione, ogni disposizione giuridica un solo signiicato – dobbiamo distinguere tre teorie dell’interpretazione: lo stesso formalismo interpretativo; la teoria mista (vi sono casi facili e casi e diicili, nei primi le disposizioni espri- mono una sola norma, nei secondi più d’una); lo scetticismo interpretativo (tut- ti i casi possono diventare diicili, ogni disposizione può sempre esprimere più norme). Per la verità, il giusnaturalismo antico e moderno non si è mai occupa- to di teoria dell’interpretazione: che nasce solo nel Novecento. Peraltro, sembra esservi un legame fra l’oggettivismo etico e il formalismo interpretativo: sicché i neogiusnaturalisti odierni che si occupano di interpretazione sono di solito formalisti24. L’unico formalista interpretativo degno di nota, oggi, è il neogiu- snaturalista e neocostituzionalista Dworkin: che peraltro sostiene una forma tutta normativa di formalismo interpretativo, per la quale (non vi è, bensì) vi deve essere un’unica soluzione corretta25. Delle tre tesi appena considerate, comunque, l’unica che permetta davve- ro di distinguere fra giusnaturalismo o giuspositivismo è la (1); sulla (3) i gi- usnaturalisti non hanno di solito alcuna tesi, mentre sulla (2), anche se tutti i giusnaturalisti sono oggettivisti, non tutti gli oggettivisti sono giusnaturalisti: sono oggettivisti anche autori utilitaristi come Jeremy Bentham e John Austin, i quali peraltro sono ritenuti giuspositivisti perché accettano espressamente la 21 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 2.3. 22 Cfr. Richard M. Hare, Sorting Out Ethics (1997), trad. it Scegliere un’etica, Mulino, Bologna, 2006. 23 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 3.6. 24 Cfr. Michael Moore, A Natural Law heory of Interpretation, Southern California Law Review (1985) 58, 277–298. 25 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.3.1. 66 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu Tesi della separabilità (cfr. § 4). Un autore potrà dunque classiicarsi come giu- snaturalista anche solo se sostiene la tesi della connessione necessaria fra diritto e morale, in una o più delle sue varianti (deinitoria, identiicativa, giustiicati- va o interpretativa). Per intendere meglio la posizione giusnaturalista, d’altra parte, occorre ancora considerarne gli aspetti teorici, metodologici e ideologici: benché questi siano raramente distinti dagli stessi autori giusnaturalisti. 3.1 Giusnaturalismo teorico Dal punto di vista teorico, o meglio dell’insieme delle teorie (solo conosciti- ve) o delle ilosoie (anche normative) efettivamente sostenute dai giusnaturali- sti, esse ruotano appunto intorno al problema dei rapporti fra diritto e morale, e sono spesso mere ilosoie della giustizia. A questo proposito, bisogna ricordare che la tradizione giusnaturalista si sviluppa nei secoli soprattutto in epoche e in culture che non distinguono il diritto dalla morale, e i giudizi di fatto dai giudizi di valore. Quanto all’indistinzione fra diritto e morale, tipica delle culture anti- che ed extraoccidentali, basti dire che essi sono indicati, nella ilosoia greca, da un unico termine, il greco antico dikaion (letteralmente il giusto, la giustizia): ciò che rende molto più diicile distinguere morale e diritto. A rigore, peraltro, non lo rende impossibile; i soisti prima e Aristotele poi, ad esempio, li distin- guono speciicando il giusto come naturale (gr. ant. dikaion fusei) o artiiciale (gr. ant. dikaion thesei). Quanto all’indistinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore, e più in gene- rale fra proposizioni e norme, essa è quasi sconosciuta al pensiero antico; ancora modernamente, del resto, il ilosofo e logico giusnaturalista Gottfried Leibniz, contemporaneo di Hume, tratta le norme come proposizioni; Leibniz le assi- mila appunto in quanto in entrambi i casi si tratterebbe di giudizi, predicazioni di qualità rispetto a un ente: ignorando la distinzione fra qualità isiche (come leggero o pesante) e qualità etiche (come giusto o ingiusto). In epoche e culture che non distinguono fra giudizi di fatto e giudizi di valore, evidentemente, è più facile ritenere tanto che i secondi siano oggettivi come i primi, quanto che da giudizi di fatto possano dedursi giudizi di valore: come solo Hume comincerà a negare26. Ancor oggi, del resto, l’oggettività dei giudizi di valore è ammessa dalla maggioranza dei ilosoi morali: almeno per qualità etiche spesse (ingl. thick) come coraggioso o degradante, se non per qualità etiche sottili (ingl. thin), come buono o giusto27. Il giusnaturalismo è soprattutto una ilosoia della giustizia: della giustizia legale o commutativa (dare l’uguale per l’uguale, come nei contratti o nella com- minazione di pene per i reati) e della giustizia politica o distributiva (relativa alla 26 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 2.3. 27 Cfr. Bernard Williams, Ethics and the Limits of Philosophy (1985), trad. it. L’etica e i limiti della ilosoia, Roma-Bari, Laterza, 1987, cap. 8. 67 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu distribuzione uguale o equa dei beni). Entrambe le nozioni sembrano presu- pporre l’idea di eguaglianza (formale): tratta ugualmente casi uguali e diversa- mente casi diversi. Questo può dirsi il concetto di giustizia: il nucleo comune a tutte le concezioni della giustizia28. L’uguaglianza, peraltro, è concetto generico e formale, che ammette diverse concezioni sostanziali, ognuna della quale spe- ciica in modo diverso cosa vada inteso per uguale: concezioni esempliicate da altrettante formule di giustizia, quali ‘a ognuno secondo il merito’, ‘a ognuno secondo il bisogno’, ‘a ognuno secondo il rango’, ‘a ognuno secondo la sorte’, e simili29. Inutile aggiungere che i disaccordi non vertono sul concetto, ma sulle concezioni della giustizia. 3.2 Giusnaturalismo metodologico Dal punto di vista metodologico, riguardante il metodo adottato per elabora- re le proprie teorie o ilosoie del diritto, questo varia straordinariamente nella storia del giusnaturalismo: anche se, pure qui, vi è una parte comune e una parte distinta. La parte comune consiste nel fatto che tutti i giusnaturalisti ela- borano ilosoie normative della giustizia; quest’ultima, peraltro, è considerata una qualità oggettiva di comportamenti, situazioni o norme: sicché queste stes- se ilosoie normative pretendono di essere anche, o addirittura solo, teorie co- noscitive della giustizia. Se c’è una metodologia, sia pure implicita, nel giusnatu- ralismo, essa consiste nel considerare poco importante la Grande divisione fra conoscenza e valutazione, fra proposizioni e norme: in entrambi i casi, infatti, si tratta di giudizi (predicazioni di qualità rispetto a un ente) comunque oggettivi; sicché diventa una questione secondaria ritenere questi giudizi veri-o-falsi, ove si tratti di proposizioni, oppure giusti-o-ingiusti, ove si tratti di norme. La parte distinta riguarda i diversi metodi impiegati dal giusnaturalismo antico (e medievale) e dal giusrazionalismo moderno (e contemporaneo). Tipicamente – ossia, nonostante molte eccezioni – la diferenza principale è la seguente30. I giusnaturalisti antichi, come ilosoi greci, giuristi romani, teolo- gi cristiani, tendono a formulare giudizi di giustizia in termini di natura delle cose. Ogni cosa, cioè, avrebbe la propria natura e il proprio valore; il mondo viene concepito come cosmo, insieme ordinato e inito di tutte le cose, al con- tempo isio ed etico. La giustizia, qui, consiste nel dare a ognuno il suo (lat. suum cuique tribuere): usando una sorta di ragionamento induttivo, partendo dal caso concreto per risalire al caso astratto. In particolare, si tratta di dare beni diversi a uomini irriducibilmente diversi a seconda che si tratti di liberi o schia- vi, maschi o femmine, patrizi o plebei: e così avanti. 28 Cfr. Hart 2002 (n. 9), 187–188. 29 Cfr. già Alf Ross, On Law and Justice (1958), trad. it. Diritto e giustizia, Torino, Einaudi, 1965, 254–266. 30 Cfr. Michel Villey, La formation de la pensée juridique moderne (1968), Paris, PUF, 2003. 68 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu I giusrazionalisti moderni, e tipicamente i ilosoi-giuristi razionalisti o ad- dirittura volontaristi fra Sei e Settecento, formulano i giudizi di giustizia in ter- mini di ragione umana: la natura propriamente umana, ciò che già per gli an- tichi distingueva gli uomini dagli animali. Nel mondo non più concepito come cosmo inito, ma come universo ininito31, si distingue ormai fra fatti (le cause eicienti) e valori (le cause inali di Aristotele): il mondo isico consta solo di fatti, i valori sono proiettati sul mondo dalla ragione umana32. Si tratta, peraltro, di valori ancora oggettivi, com’è oggettiva la stessa ragione umana: verità autoe- videnti per chiunque sia dotato di ragione. La giustizia, qui, consiste ancora nel dare a ognuno il suo; ora, però tutti gli uomini sono considerati uguali, nel sen- so di avere lo stesso valore. Anche i giudizi di giustizia si servono di un ragio- namento deduttivo, dall’astratto al concreto: le soluzioni concrete sono dedotte da principi astratti. 3.3 Giusnaturalismo ideologico Inine, dal punto di vista ideologico – riguardante le diverse ideologie o pi- uttosto assiologie (ilosoie dei valori) efettivamente sostenute dal giusnatura- lismo – è stato detto che i giusnaturalisti hanno sostenuto tutto e il contrario di tutto; il giusnaturalismo, da questo punto di vista, non è una morale, ma una concezione della morale: una concezione oggettivista della morale. Di fatto, nel corso dei secoli i giusnaturalisti hanno sostenuto, considerandole ugualmente oggettive, le più diverse assiologie morali e le più contrastanti ilosoie politiche: religiose o laiche, liberali o totalitarie, ma soprattutto più o meno favorevoli a un generale obbligo di obbedienza al diritto. Mentre l’originario giusnatu- ralismo cristiano, rappresentato ancora da Agostino, era più disposto ad am- mettere la disobbedienza al diritto ingiusto, già il giusnaturalismo medievale, rappresentato da Tommaso d’Aquino, e oggi il neogiusnaturalismo tomista di Finnis, l’ammettono solo in casi eccezionali: normalmente, essi ammettono una generale presunzione di giustizia e anche di obbligatorietà morale del diritto. Dopo il neogiusnaturalismo postbellico di Radbruch, negli ultimi decenni vi è stata la tendenza a prendere le distanze da tutti i giusnaturalismi: e anzi a non impiegare neppure più l’espressione ‘diritto naturale’. Di fatto, anche i ilosoi del diritto odierni che più chiaramente recuperano tesi giusnaturaliste, di solito ri- nunciano a parlare di diritto naturale; si pensi in particolare ai neocostituziona- listi, che tendono a considerare la disputa fra giusnaturalismo e giuspositivismo superata nell’odierno Stato costituzionale: e che, se proprio devono etichettarsi, si limitano a dichiararsi non positivisti33. Peraltro, come mostra lo stesso neo- 31 Cfr. Alexandre Koyré, From the Closed World to the Ininite Universe, Baltimore, John Hopkins Press, 1957. 32 Cfr. ancor oggi Paul Grice, he Conception of Value (1983), Oxford, Clarendon Press, 1991. 33 Cfr. Robert Alexy, Begrif und Geltung des Rechts (1992), trad. it. Concetto e validità del diritto, 69 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu costituzionalismo, che di solito sostiene varianti della Tesi della connessione fra diritto e morale, e la ilosoia della giustizia di Rawls, che difende forme aggior- nate di oggettivismo etico, il giusnaturalismo è più vivo che mai: e continua la sua secolare discussione con il giuspositivismo. 4 POSITIVISMO GIURIDICO L’espressione ‘positivismo giuridico’ (ted. Rechtspositivismus), coniata alla ine dell’Ottocento come calco di ‘positivismo (ilosoico)’ (ted. Positivismus)34, ha molti signiicati. In particolare, come vedremo in maggiore dettaglio in que- sta sezione, può indicare: un insieme di teorie (giuspositivismo teorico); una scelta di metodo per la conoscenza avalutativa del diritto (giuspositivismo me- todologico); la tesi normativa che il diritto positivo dev’essere obbedito in quan- to tale (giuspositivismo ideologico). Prima di esaminare questa distinzione, peraltro, occorre considerare le tre tesi tipiche o caratteristiche del giuspositivi- smo: ricordando che si tratta di tesi solo tipiche o caratteristiche del giuspositi- vismo, non necessariamente sostenute da tutti gli autori giuspositivisti. Si tratta sempre di tesi riguardanti: la prima, i rapporti fra diritto e morale; la seconda, il carattere oggettivo oppure soggettivo dei giudizi di valore; la terza, la teoria dell’interpretazione. Positivismo giuridico: (1) Tesi della separabilità: il diritto moralmente ingiusto è pur sempre diritto, fra diritto e morale ci sono solo connessioni contingenti, non necessarie. (2) Soggettivismo etico: i giudizi di valore sono solo soggettivamente giusti; non sono veri o falsi, né oggettivamente giusti o ingiusti. (3) Teoria mista: vi sono casi facili e casi e diicili; nei primi, le disposizioni esprimono una sola norma, nei secondi più d’una. La tesi (1) – la Tesi della separabilità, formulata così da Hart alla ine degli anni Cinquanta del Novecento, ma riprendendo afermazioni ottocentesche di John Austin1735 – è stata oggetto, negli ultimi anni, di diverse reinterpretazioni (cfr. § 7). Questa pluralità di interpretazioni è stata addotta come argomento per negare che la tesi sia comune a tutti gli autori giuspositivisti, e per proporre che essa vada sostituita, come tesi distintiva della tradizione giuspositivista, dal- la Tesi delle fonti sociali di Joseph Raz. Ora, a parte il fatto che la Tesi delle fonti Torino, Einaudi, 1997, 3–4. 34 Ma cfr. Joseph Raz, he Authority of Law. Essays on Law and Morality, Oxford, Clarendon Press, 1979, 37. 35 Cfr. John Austin, he Province of Jurisprudence Determined (1832), trad. it. Delimitazione del campo della giurisprudenza, Bologna, Il Mulino, 1995, 228. 70 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu sociali dà adito a interpretazioni anche più divergenti, proprio la discussione in corso fra i giuspositivisti sul senso da attribuire alla Tesi della separabilità, per non parlare delle critiche che essa riceve da neogiusnaturalisti e neocostituzio- nalisti, mostra che essa resta il cuore del giuspositivismo36. Sin dalla sua formulazione da parte di Hart la Tesi della separabilità si pre- senta come una negazione della Tesi giusnaturalista della connessione neces- saria, in tutte le versioni di questa. La tesi della separabilità, anzitutto, nega la connessione necessaria deinitoria; diritto e morale non sono afatto connessi per deinizione, il diritto moralmente ingiusto si chiama pur sempre diritto: anzi, non c’è altro termine per indicarlo37. La Tesi della separabilità, poi, nega la connessione necessaria identiicativa: almeno dopo la codiicazione, il dirit- to applicabile è identiicato in base alle fonti, non certo in base alla giustizia. La Tesi della separabilità, ancora, nega la connessione necessaria giustiicativa: leggi e decisioni giudiziali si giustiicano in base allo stesso diritto, non certo in base alla morale. La Tesi della separabilità, inine, nega la connessione ne- cessaria interpretativa: il diritto viene interpretato secondo quanto esso stesso dispone, non secondo la morale. Si badi: lo stesso Hart, e ancor oggi i giuspositivisti inclusivi e normativi38, negano solo connessioni necessarie fra diritto e morale, non qualsiasi connes- sione. Al contrario: Hart e la maggioranza dei giuspositivisti ammettono ini- nite connessioni contingenti (non necessarie) fra diritto e morale. Il diritto, per loro, ha rapporti contingenti sia con la morale positiva, efettivamente seguita entro una comunità, sia con la morale critica, elaborata dai ilosoi per criticare la precedente39. Ma soprattutto diritto e morale si inluenzano a vicenda: com’è sempre avvenuto in forme molto diverse, oggi ad esempio per il tramite dei principi costituzionali. Solo i giuspositivisti esclusivi40 negano persino connes- sioni contingenti fra diritto e morale: tesi peraltro insostenibile senza ulteriori precisazioni. L’unica connessione che tutti i giuspositivisti negano, comunque, è appunto la connessione necessaria. La tesi (2) – i giudizi di valore non sono oggettivi ma soggettivi, ossia relativi ai soggetti che valutano – costituisce anch’essa la negazione di una tesi giusna- turalista: in questo caso, l’oggettivismo etico. Il soggettivismo etico discende in qualche modo dall’oggettivismo giusrazionalista: è questo a minare la credenza giusnaturalista che i valori stiano nella natura, ammettendo che i valori sono 36 Cfr. da ultimo Eugenio Bulygin, El positivismo jurídico (2006), trad. it. Il positivismo giuridico, Milano, Giufrè, 2007, 69–81. 37 Cfr. Norbert Hoerster, Die rechtsphilosophische Lehre vom Rechtsbegrif, Juristische Schu- lung 1987, 27. 38 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.7. 39 Cfr. Herbert L. A. Hart, Law, Liberty and Morality, Stanford (Cal.), Stanford UP, 1963, 17–24. 40 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.7 71 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu incardinati nella ragione; quando poi si ammetterà che non esiste la ragione universale, ma solo le tante ragioni individuali, il soggettivismo diverrà inevita- bile. Ma ancora i padri del giuspositivismo erano oggettivisti; Jeremy Bentham e il già citato Austin – entrambi giuspositivisti perché sostengono la Tesi della separabilità – ritenevano oggettivi i giudizi di valore formulati in termini di utilità: valore da loro ritenuto addirittura quantitativamente misurabile. Il soggettivismo etico si aferma soprattutto nella prima metà del Novecento; allora, peraltro, ‘soggettivismo etico’ indicava qualsiasi forma di scetticismo eti- co: dal soggettivismo propriamente detto (i giudizi di valore sono soggettivi), al pluralismo etico (i valori sono oggettivi ma plurimi, generici e conliggenti)41. Oggi, in particolare fra i neocostituzionalisti, ma anche fra gli stessi giuspositi- visti tendono a prevalere posizioni intermedie a oggettivismo e soggettivismo etico. In particolare, è largamente accettato il costruttivismo etico della ilosoia della giustizia di Rawls: i valori sarebbero oggettivi, ma non dati nella natura o nella ragione umana, bensì appunto costruiti intersoggettivamente attraver- so la discussione razionale. I giudizi di valore concreti, relativi a casi speciici, restano irriducibilmente soggettivi: infatti, derivano da speciicazioni e ponde- razioni fra valori oggettivi ma generici, plurimi e sempre potenzialmente con- liggenti. Ma sui valori etici (morali, politici e giuridici) è possibile un consenso intersoggettivo: consenso che aumenta più si risale dai giudizi di valore concreti ai giudizi di valore astratti, i principi42. Quanto alla tesi (3) – la teoria interpretativa mista, sostenuta per la prima volta da Hart, e secondo cui vi sono casi facili, nei quali le disposizioni espri- mono una sola norma, e casi diicili, nei quali esse ne esprimono più d’una – ad essa aderisce, oggi, la maggioranza dei giuspositivisti. Ma nell’Ottocento, in particolare subito dopo la codiicazione, i giuspositivisti erano formalisti: ri- tenevano che le disposizioni avessero uno e un solo signiicato. Nel corso del Novecento, ancora, molti giuspositivisti hanno difeso forme di scetticismo in- terpretativo moderato; il teorico giuspositivista per antonomasia, Kelsen ha sostenuto che ogni disposizione consiste solo di una cornice (ted. Rahmen) di signiicati, entro la quale l’interprete sceglie la norma da applicare: con una discrezionalità più ampia nel caso del legislatore che applica la costituzione, più ristretta nel caso del giudice che applica la legge43. Evidentemente, le diferenze fra i vari giuspositivismi sono state non mi- nori delle diferenze fra i diversi giusnaturalismi: come vedremo meglio qui di seguito distinguendo ancora, sulle orme di Bobbio, fra giuspositivismo teori- 41 Cfr. Mauro Barberis, Etica per giuristi, Roma-Bari, Laterza, 2006, specie 157–182. 42 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.6. 43 Cfr. già Hans Kelsen, Reine Rechtslehre (1934), trad. it. Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, Einaudi, 1952, 117–130. 72 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu co, metodologico e ideologico44. Occorre però segnalare una diferenza e una somiglianza rispetto alla tripartizione di Bobbio. La diferenza: giustamente Bobbio faceva precedere il giuspositivismo teorico dal giuspositivismo meto- dologico, perché l’elaborazione di una teoria presuppone logicamente l’adozione di un metodo; qui, invece, il giuspositivismo teorico precede il giuspositivismo metodologico, poiché l’elaborazione di metodologie segue storicamente la for- mulazione di teorie. La somiglianza: già per Bobbio, teoria, metodologia e ide- ologia sono solo aspetti o punti di vista dai quali può essere guardata qualsiasi dottrina: anche la dottrina giuspositivista. 4.1 Giuspositivismo teorico Dal punto di vista teorico, il giuspositivismo, detto dai suoi critici formali- smo giuridico, difende una lunga serie di teorie (solo conoscitive), ma anche di ilosoie (pure normative), sostenute a partire dall’Ottocento da scuole di autori soprattutto tedeschi, francesi e inglesi: quali la Scuola dell’esegesi francese, la Scuola storica tedesca, e l’utilitarismo inglese. Il giuspositivismo teorico, in par- ticolare, consta di teorie sostenute sotto l’etichetta, in Inghilterra, della general jurisprudence, il cui principale esponente novecentesco sarà Hart, in Germania della teoria generale del diritto (ted. allgemeine Rechtslehre), il cui maggiore ere- de novecentesco sarà Kelsen. Tutte queste tesi sono sorprendentemente simili, benché vengano rispettivamente dal common law e dal civil law, e soprattutto riguardano solo il diritto positivo: non la giustizia e neppure, sino a Hart, i ra- pporti fra diritto e morale. L’unico modo di deinire il giuspositivismo teorico consiste nell’elencarne le tesi: tesi della positività (‘diritto’ indicherebbe il solo diritto positivo); tesi della normatività, (‘diritto’ indicherebbe norme, signiicati di disposizioni suscettibili di guidare la condotta); tesi della coattività (le norme giuridiche si distingue- rebbero dalle norme morali perché sanzionate e comunque coattive, ossia tali da imporsi ai destinatari anche contro la loro volontà); tesi della statualità (le norme giuridiche sarebbero prodotte solo dallo Stato); tesi della sistematicità (le norme giuridiche formerebbero insiemi ordinati); tesi della coerenza (i sistemi giuridici non presenterebbero antinomie)45; tesi della completezza (i sistemi gi- uridici non presenterebbero lacune)46; tesi del formalismo interpretativo, per cui le disposizioni giuridiche hanno un solo signiicato e permettono di risolvere tutti i casi; tesi della scientiicità (la dottrina giuridica sarebbe una scienza)47. 44 Cfr. Norberto Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, Comunità, 1972, 101– 126. 45 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 4.6. 46 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 4.7. 47 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 2.5. 73 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu Queste tesi pretendono validità generale – per qualsiasi diritto, in ogni epo- ca e presso qualsivoglia cultura – ma a ben vedere riguardano soprattutto il diritto dello Stato legislativo (ted. Gesetzstaat) europeo fra Otto e Novecento48: diritto la cui fonte principale è la legge (ordinaria). Dopo la codiicazione, il diritto si positivizza, riducendosi ai codici e alle leggi speciali: dunque, a un insieme di norme esplicite, espresse da altrettante disposizioni. Le norme sono ritenute obbligatorie (per i cittadini) e applicabili (per i giudici) solo se sanzi- onate; e l’unico soggetto che le produce e le sostiene con la forza può essere lo Stato. L’insieme delle norme di legge, applicate più o meno meccanicamente dai giudici, è concepito dalla dottrina che lo studia come sistematico, ossia ordina- to; il sistema è ritenuto coerente (privo di antinomie) e completo (privo di lacu- ne): anche perché la stessa dottrina che lo costruisce è considerata una scienza. 4.2 Giuspositivismo metodologico Dal punto di vista metodologico, il giuspositivismo si caratterizza per la tesi che il diritto vada studiato scientiicamente e avalutativamente: formulando solo teorie (conoscitive) e non anche ilosoie (normative). Il giuspositivismo metodologico è oggi l’interpretazione più comune della Tesi della separabilità: che discende dalla Grande divisione fra conoscitivo e normativo tracciata già da Hume49, e che è stata sostenuta da Bentham e da Austin prima di essere for- mulata da Hart. Bentham ha distinto jurisprudence espositiva (ingl. expository), descrittiva del diritto com’è, e jurisprudence critica (ingl. censory), prescrittiva del diritto come deve essere (o morale)50. Austin, a sua volta, ha afermato che «l’esistenza del diritto è una cosa, i suoi meriti o demeriti un’altra»51: afermazi- one espressamente ripresa da Hart quando, oltre un secolo dopo, ha formulato la Tesi della separabilità. Il giuspositivismo metodologico fa propria la Tesi della avalutatività della scienza, formulata da Max Weber, nel primo Novecento: lo scienziato, per re- stare tale, deve astenersi dai giudizi di valore52. Questo precetto metodologico, peraltro, in campo giuridico si rivolge a due tipi di attività conoscitive mol- to diverse: la dottrina (particolare) e la teoria (generale). La dottrina giuridica (particolare, perché verte sul diritto italiano, o tedesco, o inglese), non soddisfa pienamente il requisito dell’avalutatività, benché i giuristi la chiamino scienza giuridica; infatti, per studiare il quid iuris, ossia per accertare cosa prescrivano 48 Cfr. Carl Schmitt, Legalität und Legitimität (1932), trad. it. Legalità e legittimità in Id., Le cate- gorie del “politico”, Bologna, Il Mulino, 1972, 211–212. 49 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 2.2.2. 50 Cfr. Jeremy Bentham, A Fragment on Government (1776), trad. it. Un frammento sul governo, Milano, Giufrè, 1990, 42–43. 51 Cfr. Austin 1832 (n. 35), 228. 52 Cfr. Max Weber, Gesammelte aufsätze zur Wissenschatslehre (1922), trad. it. Il metodo delle scienze storico-sociali, Milano, Mondadori, 1980, 309–375. 74 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu il diritto italiano, o tedesco, o inglese, i giuristi devono interpretare le disposi- zioni che lo formulano: e l’interpretazione è un’attività debolmente normati- va53. Il requisito metodologico dell’avalutatività è invece soddisfatto con minori diicoltà dalla teoria giuridica (generale): che studia solo il quid ius54, cosa sia il diritto in genere55. 4.3 Giuspositivismo ideologico Dal punto di vista ideologico, inine, il giuspositivismo è spesso associato, dopo Auschwitz, con la tesi normativa che il diritto positivo sia obbligatorio, abbia forza vincolante, e insomma debba essere obbedito dai cittadini e appli- cato dai giudici. Questa tesi è stata efettivamente sostenuta già da Hobbes, nel Seicento, nella forma del legalismo etico: non essendovi parametro di giustizia più oggettivo della legge statale, il diritto, e più speciicamente la legislazione, sarebbe sempre giusto in quanto tale, e dovrebbe (quasi) sempre essere obbedi- to. Si consideri, peraltro, che Hobbes è ancora uno scrittore di diritto naturale, e che a rigore il legalismo etico è una forma di giusnaturalismo, perché istituisce una connessione necessaria fra diritto e morale: e sia pure in senso contrario rispetto al giusnaturalismo, in quanto quest’ultimo postula l’adeguamento del diritto alla morale, il legalismo etico l’adeguamento della morale al diritto. Il legalismo etico, fra Otto e Novecento, viene ripreso quasi esclusivamente dai ilosoi del diritto statalisti à la Hegel e dai loro epigoni novecenteschi, spes- so ilo-totalitari. Ma nel giuspositivismo teorico, anche tedesco, esso diviene di solito mero legalismo, ossia l’idea che l’obbedienza del diritto da parte dei citta- dini, e la sua applicazione da parte dei giudici, realizzi alcuni valori generica- mente etici e speciicamente giuridici: legalità, certezza del diritto, pace sociale e internazionale56. Questi valori etici e giuridici – ai quali ci si riferisce, nei pa- esi di civil law con espressioni quali ‘Stato di diritto’ (ted. Rechtsstaat), nei paesi di common law con formule quali ‘rule of law’ (governo della legge, o piuttosto del diritto) – restano difendibili anche dopo Auschwitz: benché non nella forma di una teoria del diritto (solo conoscitiva), ma solo nella forma di una ilosoia del diritto (anche normativa). Ciò peraltro solleva il problema dei rapporti fra giuspositivismo metodo- logico e giuspositivismo ideologico: considerati incompatibili fra loro dai giu- srealisti. Senonché, come vedremo ancora fra un attimo ritornando sull’accusa di giuspositivismo ideologico mossa a Kelsen da Ross (cfr. § 5.3), vi sono due interpretazioni possibili del principio di avalutatività. Per la prima interpretazi- 53 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 2.5. 54 Cfr. qui, § 1. 55 Cfr. già Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten (1798), trad. it. La metaisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari, 1983, 33–34. 56 Cfr. Bobbio 1972 (n. 44), 125. 75 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu one, più forte, i giudizi di valore sono vietati a uno studioso serio, anche perché sono radicalmente soggettivi: sicché giuspositivismo metodologico e ideologico sono davvero incompatibili. Per la seconda interpretazione, più debole, i giudizi di valore sono ammessi, ma alla condizione di distinguerli rigorosamente dai giudizi di fatto; nulla vieta allo studioso di avanzare giudizi di valore, purché li presenti come tali: giuspositivismo metodologico (nella teoria conoscitiva) e positivismo ideologico (nella ilosoia normativa) sono perfettamente compa- tibili. Mentre il giuspositivismo teorico si risolve in una lunga lista di teorie, spes- so ormai superate dagli stessi giuspositivisti, e il giuspositivismo ideologico in una ilosoia normativa, difesa oggi, specie dai giuspositivisti detti appunto nor- mativi (cfr. § 7.3), nella forma di mero legalismo, è proprio il giuspositivismo metodologico l’aspetto più caratteristico e difendibile del giuspositivismo. Esso resta un ideale metodologico valido anche per la dottrina, che pure è un’attività interpretativa, e dunque debolmente normativa; ma soprattutto resta la prin- cipale, se non l’unica ragion d’essere della teoria del diritto. Se questa serve a qualcosa, in efetti, serve proprio a conoscere il diritto: attività preliminare alla stessa valutazione, perché si può valutare solo ciò che si conosce. Intorno al giuspositivismo metodologico, in efetti, infuria oggi il confuso dibattito sulla metodologia giuridica57. Questa sembra combattuta fra due tentazioni, som- mariamente esaminate qui di seguito: la tentazione di radicalizzare il principio di avalutatività, tipica del giusrealismo (cfr. § 5); la tentazione di abbandonarlo, tipica del neocostituzionalismo (cfr. § 6). 5 REALISMO GIURIDICO La tradizionale bipartizione fra giusnaturalismo e giuspositivismo ha la- sciatoil posto, nel corso del Novecento, alla tripartizione fra giusnaturalismo, giuspositivismo e giusrealismo. Da almeno un secolo, cioè, al giuspositivismo teorico, o formalismo giuridico58, si sono opposti anche vari movimenti detti antiformalisti: i più noti dei quali sono appunto i giusrealismi statunitense e scandinavo (cfr. § 5.1 e § 5.2). Che il giusrealismo sia ostilissimo al giusnaturali- smo non v’è dubbio; non è afatto ovvio, però, che costituisca una posizione di- stinta dal giuspositivismo. Da un lato, infatti, il giusrealista Ross si proclama più giuspositivista di Kelsen, criticandolo come quasi-giuspositivista; d’altro lato, lo stesso Kelsen, come s’è detto59, presenta la propria teoria come «radicalmente 57 Cfr. Brian Leiter, Beyond the Hart/Dworkin Debate: the Methodology Problem in Jurisprudence (2003), ora in Id., Naturalizing Jurisprudence, Oxford, Oxford UP, 2007, 153–181. 58 Cfr. qui, § 3.1. 59 Cfr. qui, § 2.3. 76 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu realistica». I dubbi aumentano, poi, se anche il giusrealismo viene deinito ri- correndo al solito schema a tre tesi, già usato per giusnaturalismo e giuspositi- vismo. Realismo giuridico: (1) Tesi della separazione tra diritto e morale: il diritto moralmente ingiusto è pur sempre diritto, fra diritto e morale ci sono solo connessioni contingenti, non necessarie. (2) Soggettivismo etico: i giudizi di valore non sono né veri-o-falsi, né ogget- tivamente giusti o ingiusti, ma sono solo soggettivamente, anzi emotiva- mente giusti (emotivismo etico). (3) Scetticismo interpretativo: a ben vedere, ogni caso giudiziale ha più solu- zioni, ogni disposizione giuridica più signiicati60. La tesi (1) del giusrealismo – la Tesi della separabilità – sembrerebbe coin- cidere con la tesi (1) del giuspositivismo, se non per la sua maggiore radicalità: per i giusrealisti diritto e morale sono separati, non solo separabili: ‘diritto’ indica fatti oggettivi, ‘morale’ valori soggettivi. In efetti, i giusrealisti, come i giuspositivisti sino a Hart, non si sono mai occupati dei rapporti fra diritto e morale, se non per escluderli: come fa anche Ross, che pure dedica metà del suo libro più importante, Diritto e giustizia61, a un’analisi del concetto di giustizia. La dottrina e la teoria del diritto devono occuparsi di fatti, non di valori; soprat- tutto, non devono valutare il diritto: valutazione che sarebbe solo l’espressione delle emozioni individuali di chi valuta. Uno studio dei rapporti fra diritto e morale, per i giusrealisti, potrebbe essere solo, o un’indagine sociologica, sulle reciproche inluenze fra diritto e morale, o un’analisi linguistica, sui sensi dei termini ‘diritto’ e ‘morale’. Anche la tesi (2), il soggettivismo etico, è sostanzialmente comune a giusre- alismo e giuspositivismo; come nel caso precedente, l’unica diferenza sembra di grado: mentre per i giuspositivisti i giudizi di valore sono solo soggettivi, per i giusrealisti, in particolare scandinavi, sono addirittura emotivi, servono solo a esprimere le emozioni del soggetto. Di fatto, vi è un’aria di famiglia fra la tesi di Kelsen che la giustizia (assoluta) è «un ideale irrazionale»62, e la tesi di Ross che parlare di giustizia è come picchiare il pugno sul tavolo63. Considerando lo sviluppo della discussione sulla metaetica (l’analisi dell’oggettività o soggettività dei giudizi di valore), peraltro, giusrealismo e giuspositivismo si stanno dei- 60 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.3.3. 61 Ross 1958 (n. 29). 62 Hans Kelsen, Das Problem der Gerechtigkeit (1960), trad. it. Il problema della giustizia, Torino, Einaudi, 1975, 66. 63 Cfr. Ross 1958 (n. 29), 259. 77 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu nitivamente allontanando. In particolare, mentre sarebbe inimmaginabile un giusrealismo normativo, esiste oggi un giuspositivismo normativo (cfr. ancora § 7.3); ma anche giuspositivisti di altre scuole sono tornati all’oggettivismo me- taetico. La tesi (3), relativa alla teoria dell’interpretazione – lo scetticismo interpre- tativo: a ben vedere, ogni caso giudiziale ha più soluzioni, ogni disposizione giuridica più signiicati – è l’unica sulla quale il giusrealismo si distingua dal giuspositivismo. Anche qui, per la verità, la distinzione non è assoluta, ma re- lativa. Dal lato del giuspositivismo, come s’è detto, vi sono stati giuspositivisti formalisti (tutto il giuspositivismo teorico ottocentesco) e anche giuspositivisti scettici moderati (Kelsen); solo oggi la maggioranza dei giuspositivisti aderisce alla teoria mista di Hart. È solo dal lato dei giusrealisti che la distinzione è netta; tutti i giusrealisti, infatti, aderiscono allo scetticismo interpretativo. Più precisa- mente, alcuni giusrealisti, statunitensi e continentali, sostengono uno scettici- smo radicale: l’interpretazione sarebbe creazione del diritto da parte dei giudici. Molti altri giusrealisti, sia statunitensi sia scandinavi, sostengono invece uno scetticismo moderato; i giusrealisti italiani, ad esempio, adottano oggi la teoria della cornice di Kelsen: il giudice non crea il diritto ma partecipa con il legisla- tore alla sua produzione, scegliendo le norme entro la cornice di signiicati delle disposizioni64. Il giusrealismo, come si vede, si distingue facilmente da giusnaturalismo e neocostituzionalismo: che sono ilosoie del diritto (anche normative) e non te- orie del diritto (solo conoscitive). Il giusrealismo continua a distinguersi pure dal giuspositivismo normativo: che è, come il giusnaturalismo, una ilosoia del diritto (anche normativa). Il giusrealismo si distingue a malapena, invece, dal giuspositivismo metodologico, che è una teoria del diritto (solo conoscitiva): in particolare, se ne distingue solo per la teoria scettica dell’interpretazione65. Se il giusrealismo è una teoria a se stante, insomma, lo è solo per la teoria dell’interpretazione: su tutti gli altri problemi, come s’è visto, è solo una vari- ante più radicale del giuspositivismo. Tutto sarà più chiaro, forse, considerando anche il giusrealismo dai soliti tre punti di vista: teorico, metodologico e ideo- logico. 5.1 Realismo guiridico teorico Dal punto di vista teorico, il realismo giuridico è una famiglia di scuole e di correnti dottrinali che, in modi diversi, privilegiano un approccio “scien- tiico” alla conoscenza del diritto e assegnano un ruolo centrale al problema 64 Cfr. Riccardo Guastini, Realismo e antirealismo nella teoria dell’interpretazione, Ragion pra- tica (2001) 17, 43–52. 65 Cfr. Brian Leiter, Legal Realism and Legal Positivism Reconsidered (2001), ora in Leiter 2007 (n. 57), 59–80. 78 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu dell’interpretazione. Questi due aspetti accomunano fra loro almeno tre scuole. Anzitutto, il giusrealismo scandinavo: così chiamato dalla Tesi della realtà – la conoscenza del mondo sarebbe accessibile alla mente umana senza la mediazi- one dei concetti – sostenuta dal ilosofo morale Axel Hägerström nella prima metà del Novecento. Poi, il giusrealismo statunitense: operante negli Stati Uniti negli anni Trenta e Quaranta, e chiamato così, invece, per la critica di inzioni giuridiche come quella che i giudici non producano diritto66. Inine, alcune cor- renti continentali odierne: come la Scuola di Genova, il cui fondatore, Giovanni Tarello, ha sostenuto una forma di scetticismo interpretativo radicale67. Queste teorie non riguardano solo paesi di common law nei quali, sin da Bentham, è un luogo comune che i giudici creino diritto; i giusrealisti statu- nitensi, in efetti, sono ricordati per una tesi ben più provocatoria: anche il diritto legislativo (ingl. statute law) sarebbe prodotto dai giudici per via d’interpretazione68. Queste teorie riguardano anche paesi continentali come quelli scandinavi, il cui diritto è intermedio a common law e civil law: per non parlare del nostro paese, che ha visto decenni di conlitti fra politica e magistra- tura. Ma soprattutto, queste teorie studiano – con strumenti non solo giuridici ma anche sociologici, politologici, economici – un fenomeno che da due se- coli interessa tutto l’Occidente: un aumento della richiesta di regolazione tale da non poter essere soddisfatto dai soli Parlamenti nazionali, senza ricorrere ad agenzie sovrastatali come l’Unione europea, o infrastatali come Regioni, Pubblica Amministrazione e, appunto, giudici69. Di fatto, già la codiicazione fu determinata dall’esigenza di un tipo di di- ritto più mutevole rispetto a consuetudini, giurisprudenza e dottrina: la legge. I movimenti antiformalisti di cui il giusrealismo è la prosecuzione apparvero invece a ine Ottocento, quando i codici cominciarono a invecchiare, e criti- carono il giuspositivismo teorico: in particolare il dogma della completezza70. Il Novecento, con l’irruzione delle masse sulla scena politica, i grandi totali- tarismi, l’intervento dello Stato nell’economia e inine lo stesso sviluppo dello Stato costituzionale, ha visto crescere, da un lato, il numero delle leggi, dall’altro l’importanza della giurisprudenza. Non a caso, lo stesso giuspositivismo nove- centesco ammette paciicamente la produzione giudiziale di diritto; per respin- 66 Cfr. Karl N. Llewellyn, Some Realism about Realism (1930), ora in Id., Jurisprudence. Realism in heory and Practice, Chicago, University of Chicago Press, 1962, 42–76. 67 Cfr. Letizia Gianformaggio, Realismi giuridici italiani, in Paolo Comanducci e Riccardo Gua- stini (a cura di), Analisi e diritto 1991, Torino, Giappichelli, 1991, 159–176. Cfr. anche Barbe- ris 2011 (n. 2), § 5.3.3. 68 Cfr. John C. Gray, he Nature and Sources of Law (1909; 1921), Dartmouth, Aldershot, 1997, 78–79. 69 Cfr. Niklas Luhmann, Rechtssoziologie (1972), trad. it. parz. Sociologia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1977, specie 155. 70 Cfr. qui, § 4.7. 79 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu gere la tesi neocostituzionalista che i principi limitino moralmente il diritto, ad esempio, i giuspositivisti odierni sostengono che i principi aumentano solo la discrezionalità dei giudici71. 5.2 Realismo giuridico metodologico Dal punto di vista metodologico, il giusrealismo radicalizza il principio gi- uspositivista-metodologico dell’avalutatività della conoscenza: trovando resi- dui ideologici anche negli autori giuspositivisti più avalutativi, e criticandone le compromissioni con il giusnaturalismo. È questa, come si ricorderà, la cri- tica rivolta da Ross alla teoria della validità del suo antico maestro viennese, Kelsen:72 che pure è l’inventore di una Teoria detta pura anche perché si vorre- bbe immune da valutazioni. Quando Ross accusa Kelsen di quasi-positivismo perché avrebbe nascostamente prescritto ai cittadini di obbedire alla legge e ai giudici di applicarla, inisce per identiicare il positivismo giuridico con il posi- tivismo ilosoico: la metodologia ottocentesca per cui tutta la conoscenza sare- bbe empirica, nascerebbe dall’osservazione e dall’esperimento, ma soprattutto conoscerebbe solo fatti, e non valori, per quanto positivi od oggettivi, come le norme valide. Oltre a essere poco generose, ispirate più alla caccia alle ideologie del marxi- smo che al principio di carità interpretativa della ilosoia analitica, queste criti- che sollevano un dubbio sullo stesso principio di avalutatività. Come s’è visto73, questo può intendersi in un senso meno ascetico di quanto l’intendano i giusre- alisti: non, cioè, nel senso che i giudizi di valori siano vietati, ma nel senso che debbano essere distinti rigorosamente dai giudizi di fatto. In particolare, nulla vieta allo stesso studioso di astenersi dai giudizi di valore quando fa teoria del diritto, attività solo conoscitiva, e di esprimerli quando fa ilosoia del diritto, attività anche normativa. Ovviamente, non c’è nulla di male nel difendere i va- lori in cui si crede; l’unica cosa importante, in base al principio di avalutatività così intepretato, è che giudizi di fatto e giudizi di valore restino rigorosamente distinti: che cioè nessuno contrabbandi i propri giudizi di valore per giudizi di fatto. 5.3 Realismo giuridico ideologico Dal punto di vista ideologico, inine, il giusrealismo non sembra poter es- sere sospettato di ideologicità: nemmeno a titolo di pena per il sospetto di ideologicità da esso avanzato contro il giuspositivismo kelseniano. In verità, il sospetto che il giusrealismo sia un’ideologia favorevole alla discrezionalità dei 71 Così Raz 1979 (n. 34), 75. 72 Cfr. qui, § 2.3. 73 Cfr. qui, § 4.3. 80 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu giudici è stato spesso avanzato; ad esempio Genaro Carrió, sostenitore della teoria interpretativa detta mista, ha sostenuto che l’ormai vecchia disputa sul problema se i giudici creino diritto occulterebbe un disaccordo valutativo sulla opportunità di tale creazione74: come se i formalisti fossero ideologicamente contrari, e gli scettici ideologicamente favorevoli. Anche se gli antiformalisti primo-novecenteschi erano favorevoli alla creazione giudiziale di diritto, questo non è più vero dei giusrealisti odierni: che non solo sono spesso ostili alla pro- duzione giudiziaria di diritto75, ma che di solito forniscono teorie puramente conoscitive dell’interpretazione. Il giusrealismo, dal punto di vista ideologico, presenta semmai il difetto con- trario; adottando il punto di vista emotivista della metaetica primo novecente- sca, esso tende a screditare qualsiasi discorso normativo come espressione di emozioni personali: anche i discorsi più soisticati dell’etica normativa odierna, cui Ross ha pure fornito il nucleo della distinzione concetto/concezioni. Per ra- gioni molto simili, il giusrealismo applicato alle tematiche neocostituzionaliste dell’argomentazione costituzionale e del bilanciamento dei principi76 tende a trattare questi ragionamenti come li trattano i critici dell’ideologia77: ossia come semplici mascherature della brama di potere dei giudici, piuttosto che come conseguenze inevitabili del pluralismo dei valori. Criticando il giuspositivismo teorico, e in particolare il formalismo interpre- tativo, il giusrealismo sembra aver prodotto solo un approfondimento della teo- ria del diritto giuspositivista, piuttosto che una teoria alternativa; basti pensare alle teorie dell’interpretazione dei maggiori autori giuspositivisti, Kelsen e Hart: i quali sostengono rispettivamente uno scetticismo moderato e la teoria mista, ossia posizioni che alla ine dell’Ottocento sarebbero parse antiformaliste. Può così accadere che molti teorici del diritto odierni, i quali si occupano dei temi cari al giusrealismo – in particolare, l’interpretazione e l’argomentazione – riten- gano ormai superate le vecchie divisioni: fra giusrealismo e giuspositivismo, ma anche fra giusnaturalismo e giuspositivismo. Sembra questa, almeno, l’opinione di molti teorici del ragionamento giuridico78; ma soprattutto pare questa la po- sizione degli autori raggruppati sotto l’etichetta del neocostituzionalismo. 74 Cfr. Genaro Carrió, ¿Los jueces crean derecho?, trad. it. “I giudici creano diritto?”, in Uberto Scarpelli (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, Milano, Comunità, 1976. 75 Cfr. Giovanni Tarello, Tecniche interpretative e referendum popolare (1978), in Id., Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna, Il Mulino, 1978, 329–347. 76 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), §§ 5.5 e 5.6. 77 Cfr. Jürgen Habermas, Faktizität und Geltung (1992), trad. it. Fatti e norme, Milano, Guerini, 1996, 199. 78 Cfr. Aulis Aarnio, Robert Alexy, Alexander Peczenik, he Foundations of Legal Reasoning, Rechtstheorie 1981, specie 133–34. Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.4. 81 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu 6 NEOCOSTITUZIONALISMO Esiste oggi una famiglia di teorie del diritto (solo conoscitive) e di ilosoie del diritto (anche normative), chiamata talora non positivismo79, talaltra co- stituzionalismo80 o, meglio ancora, neocostituzionalismo81. Il neocostituzionali- smo si presenta come la teoria che meglio spiega, e come la ilosoia che meglio giustiica, il diritto dello Stato costituzionale (ted. Verfassungsstaat)82 odierno: che i neocostituzionalisti ritengono ben diverso dal diritto dello Stato legislativo ottocentesco e primo-novecentesco. Mentre lo Stato legislativo ha una costituzi- one lessibile, sempre modiicabile dalla legislazione ordinaria, lo Stato costitu- zionale ha una costituzione rigida, garantita dal controllo di legittimità costitu- zionale delle leggi, e formata soprattutto da principi, come quelli che afollano le dichiarazioni dei diritti, i quali ispirano tutta la legislazione. Gli autori etichet- tabili come neocostituzionalisti, in efetti, sostengono almeno tre tesi: come al solito riguardanti i rapporti diritto-morale, la metaetica e l’interpretazione. Neocostituzionalismo: (1) Tesi della connessione fra diritto e morale: il dirittoè connesso alla morale, in particolare nello Stato costituzionale. (2) Oggettivismo etico: i giudizi di valore sono oggettivamente giusti o ingi- usti. (3) Formalismo interpretativo: a ben vedere, ogni caso giuridico ha una sola soluzione corretta o giusta83. Quanto alla tesi (1), non sfuggirà che qui essa è formulata in termini di mera connessione: né necessaria né contingente. Dinanzi all’alternativa fra connessione necessaria del giusnaturalismo e connessione contingente del giuspositivismo, i neocostituzionalisti tendono a scegliere la prima, ricadendo così nel giusnaturali- smo; questa, almeno, è la posizione dei tre principali autori neocostituzionalisti84: Dworkin, Alexy e Nino. Almeno Alexy e Nino, in particolare, sostengono la Tesi della connessione necessaria deinitoria: il diritto non può che essere deinito in termini morali, come insieme di norme giuste o non intollerabilmente ingiuste. Tutti e tre sostengono poi – distinguendole o meno – la Tesi della connessione necessaria: sia identiicativa (il diritto non può che identiicarsi in base alla mo- rale), sia giustiicativa (il diritto non può che giustiicarsi in base alla morale), sia interpretativa (il diritto non può che interpretarsi in base alla morale). 79 Cfr. Alexy 1992 (n. 33), 3–4. 80 Cfr. Luis Prieto, Constitucionalismo y positivismo (1996), México, Fontamara, 1999. 81 Cfr. Mauro Barberis, Esiste il neocostituzionalismo?, Analisi e diritto 2011. 82 Cfr. Gustavo Zagrebelsky, Intorno alla legge, Torino, Einaudi, 2009, 117–146. 83 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.3.1. 84 Cfr. qui, § 2.4. 82 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu Il neocostituzionalismo, sin qui, sembra solo una forma di (neo)giusnatura- lismo: strana forma, peraltro. I neocostituzionalisti, intanto, sembrano conside- rare la connessione necessaria tipica degli Stati costituzionali85: dove efettiva- mente le leggi che violano i principi costituzionali possono essere annullate dal- le corti (controllo di legittimità difuso) o dalla Corte costituzionale (controllo di legittimità accentrato). Ma una connessione limitata allo Stato costituzionale non sarebbe necessaria, dunque valida sempre e ovunque, ma contingente: pro- prio come le connessioni ammesse dal giuspositivismo. I neocostituzionalisti più recenti, così, cercano di sfuggire all’alternativa fra necessità giusnaturalista e contingenza giuspositivista parlando, genericamente, di connessione «essen- ziale», «profonda», o tipica del solo diritto moderno86: come se il diritto premo- derno non fosse caratterizzato proprio dall’indistinzione fra diritto e morale, e come se tutto ciò non costituisse un’ammissione implicita della tesi giuspositi- vista della connessione contingente. L’unico modo per non far ricadere il neocostituzionalismo nel giusnatura- lismo o nel giuspositivismo, comunque, è proprio formulare la Tesi della con- nessione astraendo dalle qualiiche ‘necessaria’ e ‘contingente’. Questo potrebbe far sospettare l’inesistenza stessa del neocostituzionalismo: sempre a rischio di ricadere nel giusnaturalismo se sostiene una connessione necessaria, nel giu- spositivismo se ne sostiene una contingente87. Questo sospetto, peraltro, sareb- be forse poco caritatevole; l’interpretazione migliore del neocostituzionalismo, espressa nella tesi 1), è che esso sia proprio una teoria della (mera) connessio- ne fra diritto e morale: (mera) connessione ritenuta dai suoi sostenitori tanto importante da meritare una teoria che la studi espressamente, a diferenza di quanto ha sempre fatto il giuspositivismo. Quanto alla tesi (2), invece, i neocostituzionalisti sostengono tutti forme di oggettivismo etico: benché diverse dal tradizionale oggettivismo giusnaturali- sta. I giusnaturalisti sostengono che i valori sono dati nella natura o nella ragi- one umana; i neocostituzionalisti, invece, sostengono che sono costruiti tramite la discussione razionale: adottando le procedure proposte dall’odierna ilosoia della giustizia di John Rawls o dall’etica del discorso di Jürgen Habermas88. Di fatto, tutti potrebbero concordare su valori generici quali sacralità della vita, dignità umana, giustizia89: consenso al quale ci si può riferire come modesta 85 Cfr. Ronald Dworkin, Law’s Empire (1986), trad. it. L’impero del diritto, Milano, Il Saggiatore, 1989, 89. 86 Cfr. già Nino 1994 (n. 18), 67. 87 Così, implicitamente, Riccardo Guastini, A proposito di neo-costituzionalismo, Teoria politi- ca (2011), 1. 88 Cfr. Carlos Nino, El constructivismo etico, Madrid, Centro de estudios constitucionales, 1989. 89 Ronald Dworkin, Justice in Robes (2006), trad. it. La giustizia in toga, Roma-Bari, Laterza, 2010, 13. 83 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu oggettività dei valori. L’alternativa fra oggettivismo e soggettivismo etico, pe- raltro, non riguarda i valori, bensì i giudizi di valore: è di questi ultimi che i neocostituzionalisti sostengono l’oggettivita90: essi sarebbero oggettivamente giustiicati dai valori costruiti per mezzo della discussione. L’oggettivismo etico sembra spiegare il consenso che si realizza di fatto sui giudizi di valore più astratti, come quello formulato tramite il principio «la vita è sacra»; non spiega, invece, il dissenso che si apre sui giudizi di valore meno astratti, che dovrebbero derivare dai precedenti: come «l’aborto è illecito», «l’eutanasia è inammissibile», «la pena di morte è inumana» e così avanti. Una spiegazione di questa discrepanza è fornita dal pluralismo dei valori (ingl. value pluralism): la cui discussione con il monismo dei valori (ingl. value pluralism) sta sostituendo la vecchia disputa fra oggettivismo e soggettivismo91. Mentre su valori, principi e giudizi di valore più astratti si concorda, non così sui giudizi di valore meno astratti; i valori, infatti, sono generici, conliggenti, e soprattutto plurimi, sicché occorre speciicarli e risolvere i loro conlitti: attività, queste, inevitabilmente discrezionali e soggettive. Quanto alla tesi (3), il formalismo interpretativo, anch’esso si distin- gue sensibilmente dal formalismo attribuito a suo tempo al giusnaturalismo e al giuspositivismo teorico. Se il diritto è connesso alla morale, allora anche l’interpretazione giuridica rischia sempre di trasformarsi in giustiicazione mo- rale: giustiicazione per di più oggettiva, dunque corrispondente a una specie di formalismo interpretativo normativo. In efetti, tutti i neocostituzionalisti am- mettono una connessione interpretativa fra diritto e morale, e sostengono vari- anti della tesi di Dworkin dell’unica soluzione corretta (ingl. one right answer)92. Questa non si risolve tanto nella tesi conoscitiva che vi sia una soluzione moral- mente più giusta delle altre, quanto nella tesi normativa che l’interprete debba scegliere proprio tale soluzione93. Tutto ciò, come al solito, va considerato da un triplice punto di vista: teorico, metodologico, ideologico94. 6.1 Neocostituzionalismo teorico Dal punto di vista teorico, come s’è accennato, il neocostituzionalismo è una teoria dello Stato costituzionale: una teoria che afronta i problemi sollevati dai processi di costituzionalizzazione del diritto. A partire dalle costituzioni del se- condo dopoguerra, rigide, garantite e afollate di principi, il diritto positivo è andato sempre più costituzionalizzandosi, nel senso di ispirarsi sempre più ai 90 Cfr. Ronald Dworkin, A Matter of Principle (1985), trad. it. Questioni di principio, Milano, Il Saggiatore, 1990, 211–215. 91 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), §§ 2.2.4 e 5.6. 92 Cfr. Dworkin 1985 (n. 90), 147–178. 93 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 5.3.1. 94 Cfr. Paolo Comanducci, Constitución y teoría del derecho, México, Fontamara, 2007, 74–81. 84 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu principi costituzionali: i quali, secondo i neocostituzionalisti, ma anche secon- do i giuspositivisti inclusivi e normativi, sarebbero la formulazione giuridica di valori morali. Non è stata solo prodotta legislazione nuova ispirata ai principi costituzionali; anche la legislazione precedente alla costituzione viene reinter- pretata adeguandola alla costituzione: anche perché altrimenti rischierebbe di essere annullata per incostituzionalità dalla Corte costituzionale . Il neocostituzionalismo è appunto la teoria del diritto dello Stato costituzi- onale: tutte le sue tesi teoriche più caratteristiche sono relative a quest’ultimo95. Si consideri, anzitutto, la stessa tesi della connessione fra diritto e morale, esa- minata in tutto questo articolo; benché la connessione non possa certo limi- tarsi allo Stato costituzionale, in esso è assicurata dalla costituzione: che for- mula come principi giuridici valori morali quali dignità umana, eguaglianza, solidarietà sociale e simili. Si considerino, poi, gli stessi principi e la loro dis- tinzione dalle regole: il giuspositivismo teorico non contemplava né gli uni né l’altra. Si consideri, inine, la tecnica di applicazione caratteristica dei principi, il bilanciamento: ragionamento usato esplicitamente solo dalle Corti costituzio- nali novecentesche, e teorizzato dai neocostituzionalisti. Se fosse solo per tutte queste teorie, d’altronde, fra giuspositivismo teori- co e neocostituzionalismo teorico non vi sarebbe diferenza se non di oggetto: il primo sarebbe una teoria (solo) del diritto dello Stato legislativo, il secondo (anche) del diritto dello Stato costituzionale. Se poi, come sempre più spesso si ammette96, Stato legislativo e Stato costituzionale sono solo due specie del genere Stato di diritto, e dunque il secondo è solo la prosecuzione del primo, allora anche il neocostituzionalismo teorico potrebbe considerarsi nient’altro che la prosecuzione e l’aggiornamento del giuspositivismo teorico97. È però dubbio che esso possa considerarsi solo un giuspositivismo teorico aggiorna- to; oltre alla teoria neocostituzionalista, infatti vi sono anche la metodologia e l’ideologia neocostituzionalista: che sono diverse da quelle del giuspositivismo metodologico e ideologico. 6.2 Neocostituzionalismo metodologico Dal punto di vista metodologico, i neocostituzionalisti tendono ad allonta- narsi dai dettami del giuspositivismo metodologico: in particolare, dal principio di avalutatività. Dworkin, anzitutto, ha sostenuto, prima, la connessione tra di- ritto e morale per mezzo dei principi, poi una ilosoia del diritto come integrità o come interpretazione: intendendo per ‘interpretazione’ una forma di giustii- 95 Cfr. Luigi Ferrajoli, Constitucionalismo principialista y constitucionallismo garantista, Doxa (2011) 34. 96 Cfr. almeno Francisco Laporta, El imperio de la ley. Una visión actual, Madrid, Trotta, 2007. 97 Così Paolo Comanducci, Formas de neoconstitucionalismo: un análisis metateórico, Isono- mía (2002) 16, 102 85 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu cazione morale. Alexy, a sua volta, ha sostenuto che l’argomentazione giuridica è solo un caso speciale dell’argomentazione morale (ted. Sonderfallthese): i gi- uristi, userebbero le regole generali dell’argomentazione morale, e in più le re- gole particolari dell’argomentazione giuridica98. Nino, inine, ha sostenuto che qualsiasi decisione giuridica dev’essere giustiicata in ultima istanza in base a premesse morali: altrimenti resterebbe (moralmente) ingiustiicata99. Queste tesi, benché di solito riiutate dai giuspositivisti, hanno esercitato una straordinaria attrazione su quell’ampia area di teorici che oscilla fra neoco- stituzionalismo e giuspositivismo inclusivo (cfr. § 7.1). Entro quest’area, viene sempre più spesso sostenuto quanto segue: i valori morali che nello Stato legi- slativo erano esterni al sistema giuridico – essendo formulati, al massimo, come principi costituzionali di costituzioni lessibili, le quali potevano essere disap- plicate, non attuate e violate dalle leggi ordinarie – sarebbero diventati interni al sistema giuridico grazie alle costituzioni rigide dello Stato costituzionale: le quali formulerebbero valori morali come principi giuridici. Per studiare il dirit- to costituzionalizzato, dunque, la dottrina non potrebbe che fare propri i giudizi di valore costituzionali: passando così dalla mera conoscenza del diritto alla sua valutazione in base ai principi costituzionali100. Per questa via, come sostiene Dworkin, la giurisprudenza, la dottrina e la stessa teoria del diritto non farebbero che proseguire l’attività normativa del le- gislatore e dei giudici di common law: trasformando in particolare la conoscen- za del diritto in un’attività chiamata ancora interpretazione, ma che costituisce in realtà una forma di etica normativa. Vedremo fra un attimo come tutto ciò sfoci in una forma di neocostituzionalismo ideologico; qui occorre ricordare, dal punto di vista metodologico, che il principio di avalutatività a rigore non richiede la totale astensione dalle valutazioni, bensì la loro distinzione dai giu- dizi di fatto. Questa stessa distinzione, peraltro, diviene ardua quando si parla di interpretazione morale della costituzione, come fanno i neocostituzionalisti101; l’interpretazione adeguatrice, ossia conforme ai principi costituzionali, sembra violare il principio di avalutatività anche nella sua formulazione più debole. 6.3 Neocostituzionalismo ideologico Dal punto di vista ideologico, inine, il neocostituzionalismo tende a sfociare in un’esaltazione dello Stato costituzionale e dell’obbligo di obbedirne e appli- carne il diritto: esaltazione che costituisce anch’essa la prosecuzione di quella 98 Cfr. Alexy 1978 (n. 16) 169–175. 99 Cfr. Nino 1994 (n. 18). 100 Cfr. Luigi Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Roma-Bari, 1989, 914–918. 101 Cfr. Ronald Dworkin, he Moral Reading and the Majoritarian Premise, in Id., Freedom’s Law. he Moral Reading of the Constitution, Oxford, Oxford UP, 1996, 1–38. 86 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu compiuta dal giuspositivismo ideologico ottocentesco nei confronti dello Stato legislativo. Di fatto, neocostituzionalisti come Alexy sostengono la Tesi della pretesa di correttezza del diritto dello Stato costituzionale: questo non potrebbe non avanzare una pretesa di correttezza giuridica e morale (ted. Anspruch auf Richtigkeit), non molto più debole di una vera e propria pretesa di giustizia102. Vedremo nel paragrafo conclusivo, peraltro, come questa implicita pretesa di giustizia non potrebbe mai essere esplicitata da una costituzione senza porta- re il diritto a collassare nella morale (cfr. § 7.2); qui bisogna ancora segnalare come, su questo punto, il neocostituzionalismo presenti due somiglianze e una diferenza rispetto al giuspositivismo normativo (cfr. § 7.3). La prima somiglianza consiste nel fatto che tanto il neocostituzionalismo quanto il giuspositivismo normativo sono ilosoie del diritto, anche normative; entrambe, cioè, danno una risposta al problema normativo di cui il giuspositi- vismo metodologico riiuta di occuparsi: se, cioè, si debba obbedire al diritto. La seconda somiglianza consiste nel fatto che né il neocostituzionalismo né il giuspositivismo normativo adottano il legalismo etico: ma solo il mero lega- lismo, accettato anche da Bobbio. La diferenza, invece, consiste nell’oggetto dell’obbligo di obbedienza e del legalismo: che nel caso del giuspositivismo nor- mativo è la legislazione democratica, di cui si rivendica la dignità etica103; nel caso del neocostituzionalismo, invece, si tratta del diritto costituzionalizzato, ossia profondamente pervaso dei principi costituzionali. L’importanza della sida portata dal neocostituzionalismo al giuspositivismo è documentata dal fatto che, per rispondere in particolare a Dworkin, i giuspo- sitivisti angloamericani si sono divisi in tre correnti, ognuna delle quali inter- preta diversamente la stessa Tesi della separabilità: giuspositivismo inclusivo, esclusivo e normativo. Consideriamo nella prossima sezione queste tre correnti; qui, peraltro, possiamo osservare che anche il giuspositivismo continentale, da oltre un decennio, non fa altro che discutere tesi proposte dal necostituzionali- smo. Non si tratta solo dei rapporti fra diritto e morale ma, come s’è anticipato, di almeno altri due temi teorici strettamente connessi al precedente e fra loro, che qui saranno lasciati da parte: le distinzioni fra regole e principi, e fra le loro rispettive applicazioni, ossia sussunzione e bilanciamento104. 102 Cfr. Alexy 1978 (n. 16), 171–173. 103 Cfr. Jeremy Waldron, he Dignity of Legislation (1999), trad. it. Principio di maggioranza e dignità della legislazione, Torino, Giappichelli, 2001. 104 Cfr. sulle due questioni Barberis 2011 (n. 2), §§ 3.2, 3.7 e 5.6. 87 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu 7 TRE INTERPRETAZIONI DELLA TESI DELLA SEPARABILITÀ Nel dibattito angloamericano, i giuspositivisti hanno risposto alla sida di Dworkin reinterpretando la Tesi della separabilità in tre modi diversi. Tutt’e tre i modi, per la verità, la reinterpretano come una tesi relativa – non alla de- inizione del diritto (al quid ius), ma – alla identiicazione del diritto (al quid iuris): ossia all’individuazione del diritto applicabile da parte di giudici e giuri- sti. Rispetto alla deinizione del diritto, invece, i giuspositivisti angloamericani tendono oggi a sottoscrivere l’opinione di Raz secondo cui vi sarebbero molte, forse ininite connessioni necessarie fra diritto e morale105: o addirittura a con- siderare la Tesi della separabilità deinitoria troppo assurda per essere mai stata sostenuta da qualcuno106, e comunque a sostituirla con la Tesi delle fonti sociali dello stesso Raz (cfr. 1.7.2). Comunque sia, la Tesi della separabilità identiica- tiva riceve oggi tre reinterpretazioni: tipiche, rispettivamente, del giuspositivi- smo inclusivo, esclusivo e normativo107. 7.1 Giuspositivismo inclusivo La prima interpretazione della Tesi della separabilità, tipica del giuspositi- vismo inclusivo o debole (ingl. sot), la intende come: ‘Il diritto contingentemen- te può essere identiicato in base alla morale’. Secondo questa interpretazione, sostenuta dallo stesso Hart del Poscritto108, il diritto può incorporare valori morali quali sacralità della vita, dignità umana, giustizia: come fanno tipica- mente le costituzioni contemporanee. Ma questa inclusione è solo contingente, non necessaria: può ma non deve necessariamente darsi, in quanto il diritto può ben essere moralmente ingiusto109. Questa interpretazione della Tesi del- la separabilità ha il pregio di restare fedele alla posizione originaria di Hart: che intendeva solo negare la Tesi giusnaturalista della connessione necessaria. Secondo lui – che originariamente non distingueva, come faranno i suoi allievi, connessione deinitoria e identiicativa – fra diritto e morale si danno molte connessioni, ma tutte contingenti; l’unica connessione non ammessa è proprio la connessione deinitoria tipica del giusnaturalismo: quella per cui ‘diritto’ po- trebbe solo deinirsi in termini morali, come insieme di norme giuste. 105 Cfr. Joseph Raz, he Argument from Justice, or How not to Reply to Legal Positivism, in G. Pavlakos (ed.), he Legal Philosophy of Robert Alexy, Oxford, Hart Publishing, 2007, 17–35. 106 Così John Gardner, Legal Positivism: 5 and ½ Myth, American Journal of Jurisprudence (2001) 46, 223. 107 Cfr. José Juan Moreso, Positivismo giuridico e applicazione del diritto, Materiali per una storia della cultura giuridica 2005, 225–244. 108 Cfr. Hart 1994 (n. 9), 321–326. 109 Cfr. Wilfrid J. Waluchow, Inclusive Legal Positivism, Oxford, Clarendon Press, 1994. 88 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu Il difetto dell’interpretazione inclusivista della Tesi della separabilità, peral- tro, è che essa è troppo conciliante: riiuta solo la Tesi della connessione ne- cessaria, ammettendo per il resto qualsiasi connessione contingente fra diritto e morale. Nelle sue versioni inclusiviste più recenti, la Tesi della separabilità signiica solo che il diritto è quasi sempre connesso alla morale; un diritto non rispettoso della morale, per i giuspositivisti inclusivi, diviene solo un caso estre- mo110: quasi non vi fossero ancor oggi, in tutto il modo, centinaia di sistemi giuridici che violano quotidianamente la morale. La diferenza fra giuspositivi- smo inclusivo e neocostituzionalismo diviene così tanto sottile – specie rispetto al diritto degli Stati costituzionali, tendenzialmente rispettosi della democrazia e dei diritti – da far sbrigativamente concludere al solito Dworkin che in realtà si tratterebbe della stessa dottrina111. Ma la diicoltà più insormontabile per il giuspositivismo inclusivo, che lo accomuna al neocostituzionalismo, è che entrambi ammettono una connessi- one fra diritto e morale indeinita, senza restrizioni: una connessione che può portare il diritto a collassare nella morale. Si pensi a una costituzione che adot- tasse, enunciandola in una propria disposizione, la pretesa di correttezza di Alexy: «la legislazione ordinaria deve essere giusta»112. Come denunciato oltre settant’anni fa dall’inventore del controllo di costituzionalità accentrato, Kelsen, una disposizione del genere svuoterebbe di ogni funzione la legislazione, e lo stesso Parlamento che la produce113. La Corte costituzionale, infatti, potrebbe usarla per annullare qualsiasi legge contrastante con il senso di giustizia dei propri componenti; peggio ancora, ogni giudice ordinario potrebbe interpre- tare la legge ordinaria “secondo giustizia”, ricavandone qualsiasi norma da lui ritenuta giusta. Giuspositivismo inclusivo e neocostituzionalismo presentano davvero lo stesso difetto; entrambi, infatti, ammettono una connessione indeinita e sen- za restrizioni fra diritto e morale: aprendo così la strada al collasso del diritto nella morale, e anzi in una morale abbastanza ripugnante. Non si tratterebbe, infatti, di una morale critica, per quanto indeterminata; si tratterebbe di una morale positiva creata arbitrariamente dai giudici. È proprio questo, in efetti, il pericolo insito nella tesi neocostituzionalista dell’applicazione diretta dei prin- cipi costituzionali da parte dei giudici ordinari (ted. Drittwirkung); se non vi è qualche limite o restrizione all’applicazione della morale in forme giuridiche – tipicamente: riserve di legge che attribuiscono l’applicazione della costituzione al Parlamento – il diritto rischia di collassare nella morale. è proprio questa, a 110 Cfr. Jules Coleman, he Practice of Principle, Oxford, Oxford UP, 2001, specie 185–209. 111 Cfr. Dworkin 2006 (n. 89), 205. 112 Cfr. qui, § 6.3. 113 Cfr. Hans Kelsen, La garantie jurisdictionnelle de la constitution (1928), trad. it. La garanzia giurisdizionale della costituzione, in Id., La giustizia costituzionale, Giufrè, Milano, 1981, spe- cie 189. 89 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu ben vedere, l’obiezione principale mossa al giuspositivismo inclusivo dal giu- spositivismo esclusivo. 7.2 Giuspositivismo esclusivo La seconda interpretazione della Tesi della separabilità, tipica del giuspositi- vismo esclusivo, o forte (ingl. hard), la intende come ‘Il diritto necessariamente non può essere identiicato in base alla morale’. È questa l’interpretazione difesa dal maggiore allievo di Hart: Joseph Raz. Questi, per la verità, non ha mai usato l’espressione ‘giuspositivismo esclusivo’, ma solo perché ritiene che esso sia il giuspositivismo, l’unico degno di questo nome: mentre tutti gli altri inirebbero per collassare nel giusnaturalismo. Il giuspositivismo esclusivo interpreta la Tesi della separabilità come una sorta di connessione necessaria negativa: il diritto necessariamente non può essere connesso alla morale. Questa tesi, però, suona altrettanto apodittica e pretenziosa della Tesi della connessione giusnaturalista: cosa signiica che il diritto «necessariamente non può» essere connesso alla mo- rale, se poi di fatto lo è sempre stato, sia pure in modi storicamente diversi? Prima della codiicazione, e dell’introduzione di una dottrina formale delle fonti che escludeva il diritto naturale, in efetti, il diritto non era afatto separato dalla morale; nello stesso Stato legislativo, dove invece la separazione c’era, il diritto era pur sempre connesso alla morale attraverso clausole generali come «ordine pubblico», «buon costume», «diligenza del buon padre di famiglia» e simili114; nello Stato costituzionale, inine, esso è connesso alla morale trami- te i principi costituzionali. In forme diverse, dunque, il diritto è sempre stato contingentemente connesso alla morale; tanto da rendere ingiustiicata l’enfasi dei neocostituzionalisti sulla rivoluzione realizzata dallo Stato costituzionale: questo sembra solo una specie del genere Stato di diritto, ed è per più versi solo una prosecuzione e un perfezionamento, per quanto fatalmente imperfetto, del- lo Stato legislativo115. La negazione della possibilità logica di ogni connessione identiicativa fornita dal giuspositivismo esclusivo appare dunque incompren- sibile. Se si vuole conferire un senso all’enigmatica tesi di Raz, peraltro, credo si debba speciicarla e limitarla come già detto116: il diritto non può essere inde- initamente connesso alla morale. Un diritto connesso alla morale senza restri- zioni inirebbe per risolversi in una morale positiva applicata caso per caso dai giudici: nel modo particolaristico, caso-per-caso, tipico del common law, ma con l’ulteriore discrezionalità attibuita ai giudici dal potere di applicare valo- ri morali quali libertà, eguaglianza, solidarietà sociale, nelle loro genericissime formulazioni costituzionali. Il diritto“per principi” richiesto esplicitamente dai 114 Cfr. Vito Velluzzi, Le clausole generali: Semantica e politica del diritto, Giufrè, Milano, 2010. 115 Cfr. Laporta 2007 (n. 96). 116 Cfr. qui, § 6.1. 90 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu neocostituzionalisti117, e ammesso anche dai giuspositivisti inclusivi, non sa- rebbe più il diritto distinto dalla morale della tradizione occidentale: sarebbe solo una morale applicata giudizialmente, quella che Max Weber, pensando ai giudici turchi, chiamava giustizia del cadì118. Qui, peraltro, termina il nucleo di buon senso del giuspositivismo esclusivo: che ha ragione di escludere solo l’indeinita apertura del diritto alla morale, non qualsiasi connessione contingente fra diritto e morale. Lo stesso Raz, in efetti, ammette che i rapporti fra diritto e morale sono modulati dai principi costitu- zionali119; questi convertono valori morali in principi giuridici, permettendone la speciicazione da parte del legislatore in regole astratte, poi applicate dai gi- udici ordinari ai casi concreti. La conformità di tali regole astratte ai principi costituzionali sarà poi controllata dalla Corte costituzionale: la quale annullerà le regole che violano i principi costituzionali, e inviterà il legislatore ad attuare i principi costituzionali non ancora attuati. In efetti, anche in una democrazia costituzionale – la democrazia in cui il Parlamento non è sovrano, ma applica la costituzione – il diritto consiste soprattutto di leggi generali e astratte120. Il problema, a questo punto, diviene come delimitare il ricorso alla morale da parte del diritto: ciò che può avvenire in almeno tre soluzioni. La prima so- luzione, suggerita già da Santi Romano121, è il rinvio (recettizio): valori morali divengono (non validi, ma solo) applicabili nel diritto solo ove siano espres- samente recepiti nei principi costituzionali122. La seconda soluzione è analoga al rapporto fra regole e principio di utilità stabilito dal cosiddetto utilitarismo della regola123 (ingl. rule utilitarianism): alla condotta si applicano solo regole positive, alla produzione di queste – non l’unico principio di utilità, bensì – i molteplici e conliggenti principi costituzionali. La terza soluzione, chiamata da Frederick Schauer giuspositivismo presuntivo (ingl. presumptive), intermedio a giuspositivismo inclusivo ed esclusivo, presume che si applichino sempre le regole giuridiche, non i principi morali: presunzione peraltro vincibile in casi eccezionali come quelli invocati da Dworkin124. 117 Cfr. Zagrebelsky 2009 (n. 82). 118 Cfr. Max Weber, Wirtschat und Gesellschaf (1922); trad. it. Economia e società, Milano, Edizi- oni di Comunitá, 1961. 119 Cfr. Joseph Raz, Incorporation by Law (2003), ora in Id., Between Authority and Interpretation, Oxford, Oxford UP, 2009, 182-202. Cfr. anche Barberis 2011 (n. 2), § 3.7. 120 Cfr. Mauro Barberis, Tre rimedi per la crisi della democrazia, Teoria politica (2011) 1. 121 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 4.2.4. 122 Così José Juan Moreso, In Defense of Inclusive Positivism, in Pierluigi Chiassoni (ed.), he Legal Ought, Torino, Giappichelli, 2001, specie 41–43. 123 Cfr. già Austin 1832 (n. 35), 114. 124 Così Friderick Schauer, Playing by the Rules (1991), trad. it. Le regole del gioco, Bologna, Il Mulino, 2000, 301–315. 91 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu 7.3 Giuspositivismo normativo La terza interpretazione della Tesi della separabilità, tipica del giuspositivi- smo normativo125, o etico126, la intende come: ‘Il diritto non deve essere identi- icato in base alla morale’. Si tratta, in quest’ultima interpretazione, di una tesi tutta normativa; per i giuspositivisti normativi, in altri termini, diritto e morale possono, di fatto, essere connessi: proprio come sostiene il giuspositivismo in- clusivo. Ma diritto e morale non devono esserlo dal punto di vista normativo: realizzando così la separazione identiicativa postulata dai giuspositivisti esclu- sivi. Nei termini della distinzione fra proposizioni empiriche, proposizioni ana- litiche e norme127: la Tesi della separabilità è interpretata dai giuspositivisti in- clusivi come una proposizione empirica (di fatto, il diritto può essere connesso alla morale); dai giuspositivisti esclusivi come una proposizione analitica (ne- cessariamente, il diritto non può essere connesso alla morale); dai giuspositivisti normativi come una norma (il diritto non deve essere connesso alla morale). Il giuspositivismo normativo è evidentemente l’erede odierno del giuspositi- vismo ideologico: non nella versione forte chiamata a suo tempo legalismo etico, ma nella versione debole denominata legalismo sen’altra qualiicazione128. Il gi- uspositivismo normativo, dunque, non è una teoria del diritto (solo conosciti- va), come lo sono il giuspositivismo inclusivo e il giuspositivismo esclusivo, ma è una ilosoia del diritto, anche normativa; essa si occupa, cioè, della stessa que- stione normativa del giusnaturalismo, limitandosi a rispondere in modo oppo- sto: proprio come faceva già Hobbes nel Seicento. Peraltro, non ci si può sba- razzare del giuspositivismo normativo come di una sorta di quasi-positivismo, à la Ross, come inviterebbe a fare quella forma di giuspositivismo metodologico radicale che è il giusrealismo: quasi si trattasse di una sorta di giusnaturalismo. Come s’è detto, infatti, il principio di avalutatività prescrive solo di distinguere giudizi di fatto e giudizi di valore: e i giusnaturalisti normativi rispettano tale distinzione. Benché una teoria (solo conoscitiva) del diritto debba astenersi dall’intervenire su questioni normative, la ilosoia del diritto chiamata giu- spositivismo normativo sostiene alcune tesi normative troppo importanti per restare senza risposta: senza risposta normativa, ovviamente. Queste tesi sono almeno due: la stessa interpretazione normativa della Tesi della separabilità, e la tesi contraria al controllo di legittimità costituzionale delle leggi che costituisce 125 Cfr., sin dal titolo, Jeremy Waldron, Normative (or Ethical) Positivism, in J. Coleman. (ed.), Hart's Postscript: Essays on the Postscript to the Concept of Law, Oxford, Oxford UP, 2001, 411–433. 126 Cfr., sin dal titolo, Tom Campbell, he Legal heory of Ethical Positivism, Darthmouth, Alder- shot, 1996. 127 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), § 2.2. 128 Cfr. qui, § 5.3. 92 european constitutionality review KEY PAPERS (2011) 16 www.revus.eu il più noto corollario di tale interpretazione. Quanto alla prima tesi, «il diritto non deve essere connesso alla morale», essa appare più corretta della tesi esclu- sivista, presentandosi esplicitamente come una norma, ma suona poco meno che irragionevole: non solo di fatto il diritto è sempre stato connesso alla mo- rale, ma è bene che lo sia. Questo, almeno, è il nucleo normativo della Tesi della complementarità fra diritto e morale, sostenuta da Habermas129: Il diritto positivo porta sempre dentro di sé un incancellabile riferimento alla mo- rale. Ma questo riferimento alla morale non deve indurci a subordinare il diritto alla morale nel senso di una gerarchia tra norme [...] Piuttosto, la morale autonoma da un lato, e il diritto positivo [...] dall’altro stanno in un rapporto di complementarità. Quanto alla seconda tesi, contraria al controllo di legittimità costituzionale delle leggi, essa appare più ragionevole; che giudici non eletti dal popolo pos- sano annullare una legge fatta dal Parlamento democraticamente eletto non si giustiica facilmente, dal punto di vista della democrazia130: anche rideinendo ‘democrazia’ come democrazia costituzionale. Eppure, la critica del controllo di costituzionalità si giustiica solo se si accetta il principio hobbesiano della sovranità; secondo tale principio, in ogni Stato dovrebbe sempre esservi un po- tere supremo che ha l’ultima parola: potere che, in uno Stato democratico, può spettare solo al Parlamento. Se non si accetta questo principio, però, e si am- mette che nessun potere ha mai l’ultima parola – al massimo, la penultima131 – allora il Parlamento, come legislatore positivo, e la Corte costituzionale, come legislatore negativo, possono ben concorrere all’applicazione della costituzione: in un rapporto che non è necessariamente conlittuale, ma può anche diventare dialogico132. Insomma, il diritto può e forse deve essere connesso alla morale: ma non può esserlo indeinitamente, senza restrizioni. I valori morali, anzitutto, devono convertirsi in principi giuridici; poi, questi133 devono essere ponderati e speci- icati in regole astratte, in positivo dal Parlamento, in negativo dalla Corte co- stituzionale; inine, queste regole astratte devono ancora essere applicate ai casi concreti dai giudici ordinari. Tutte queste condizioni non sono facili da rispet- tare; per menzionare solo la maggior diicoltà, sia i principi sia le regole sono formulati in disposizioni, e queste tollerano sempre più interpretazioni: sicché 129 Così Habermas 1992 (n. 77), 130 (trad. it. mod.); corsivo nel testo. 130 Cfr. Jeremy Waldron, he Core of the Case Against Judicial Review, Yale Law Journal (2006) 115, 1346–1406. 131 Cfr. Barberis 2006 (n. 41), 78–80. 132 Cfr. Giorgio Pino, La “lotta per i diritti fondamentali in Europa”, in Fracesco Viola e Isabel Trujillo (a cura di), Identità, diritti, ragione publica in Europa, Bologna, Il Mulino, 2007, 109– 142. 133 Cfr. Barberis 2011 (n. 2), §§ 3.6 e 5.6. 93 european constitutionality review Diritto e morale: la discussione odierna (2011) 16 www.revus.eu sarà inevitabile un qualche slittamento della decisione dal costituente al legi- slatore ordinario, e da questo ai giudici, sia costituzionali sia ordinari. Eppure, rispettando tali condizioni, il diritto può restare diritto, senza collassare nella morale. Ci si chiedeva, all’inizio di questo articolo, se fosse più opportuno dedicarsi a una teoria del diritto (solo conoscitiva), oppure a una ilosoia del diritto (anche normativa). L’analisi del giuspositivismo normativo ha mostrato che è davvero diicile evitare le questioni normative; ma se si ammette che bisogna prima sapere cosa sia il diritto, per potersi poi chiedere cosa debba essere, allora si può forse concludere che ci si deve dedicare prima alla conoscenza del diritto, poi alla sua valutazione. Di fatto, occorre prima una deinizione del diritto com’è134. Nota sull'autore Mauro Barberis è professore ordinario di Filosoia del diritto all'Università di Trieste. Co-dirige le riviste Ragion pratica e Materiali per una storia della cultu- ra giuridica. Ha scritto, tra l'altro: Benjamin Constant. Rivoluzione, costituzi- one, progresso (Bologna 1988), Diritto come discorso e come comportamento (Torino 1999), Libertà (Bologna 1999), Filosoia del dirrito. Un’ introduzione te- orica (Torino 2003, 2005 e 2008), Breve storia della ilosoia del dirrito (Bologna 2004), Etica per giuristi (Roma-Bari 2006, Madrid 2008), La heterogeneidad del bien. Tres ensayos sobre el pluralismo ético (Mexico 2006), Europa del diritto (Bologna 2008), Giuristi e ilosoi (Bologna 2011), Manuale di ilosoia del dirit- to (Torino 2011) e Stato costituzionale (Modena 2012).. 134 Il mio ultimo libro Manuale di ilosoia del diritto (Torino, Giappichelli, 2011) è in efetti eser- cizio di teoria (solo conoscitiva), piuttosto che di ilosoia (anche normativa).