ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 ricevuto: 2004-04-01 UDC 343.337(497.5 Vukovar) LA PRATICA DELL' URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR Leonardo BARATTIN Nuoveidee di Ideesistemi, IT-35124 Padova, Via Cremonino 17 bis e-mail: nuoveidee.pd@virgilio.it SINTESI Il termine "urbicidio" è stato coniato nella prima metà degli anni Novanta per indicare il fenomeno di distruzione materiale, culturale e identitaria delle città ex-jugoslave maggiormente colpite dal conflitto bellico dell'epoca. Se l'attenzione del-l'opinione pubblica che ha assistito agli eventi si è spesso principalmente con-centrata sulla devastazione del patrimonio storico, artistico e culturale dei diversi centri urbani, nonché sulla perdita di vite umane e sulla fuga forzata di molti abi-tanti, vi sono perd altri aspetti del concetto di "urbicidio" che possono essere utilmente esplorati. Il caso della devastazione della città di Vukovar - centro industriale multietnico situato nella Slavonia orientale - aiuta a comprendere la complessità di tale concetto e indirizza i riflettori sul destino della comunità dei residenti. Parole chiave: città, comunità urbana, crimini, ex-Jugoslavia, guerra 1991-1995, patrimonio culturale, Slavonia THE PRACTICE OF URBICIDIO AND THE CASE OF THE CITY OF VUKOVAR ABSTRACT The term "urbicidio" was coined during mid '90s to indicate the phenomenon of material, cultural and identity destruction of the cities of former Yugoslavia more afflicted by the conflict of the time. The attention of the public opinion, which has assisted those events, has often concentrated mainly on the devastation of the historical, artistic and cultural patrimony of the different urban centers, as well as on the loss of human lives and on the forced escape of many inhabitants. There are however other aspects of the concept of "urbicidio" which can be usefully explored, as is the case of the devastation of the city of Vukovar, a multiethnic industrial centre 331 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q located in East Slavonia, whose situation helps understanding the complexity of such concept and focuses on the destiny of the communities residing there. Key words: city, urban community, crimes, former Yugoslavia, war 1991-1995, cultural patrimony, Slavonia Il saggio che segue trae la sua origine dal particolare rapporto di "dialogo", "com-prensione" e "confidenza" instauratosi tra l'autore e la città di Vukovar. Un rapporto che ha avuto inizio in una giornata fredda, plumbea e ventosa dell'autunno del 1999 e che è stato costantemente rinnovato attraverso ripetute visite e soggiorni compiuti nel corso degli anni successivi. Grazie agli intervalli intercorsi tra l'una e l'altra permanenza, all'autore è stato possibile registrare in modo più netto i mutamenti materiali e immateriali intervenuti nella città e nel territorio circostante, secondo un metodo che potrebbe definirsi "fotografico", poiché a ogni soggiorno è stata impressa una nuova immagine della realtà locale in via di ricostruzione e di cambiamento. Questo alternarsi di "apnee e riemersioni" ha dunque prodotto un distacco importante per poter apprezzare taluni aspetti cruciali dell'organizzazione e della riorganiz-zazione di Vukovar, quali ad esempio i mutamenti e le permanenze nel contesto sociale, culturale ed economico. Esso si è inoltre rivelato d'importanza fondamentale per procedere a un'accurata distillazione, razionalizzazione e valorizzazione dell'am-pio numero e intreccio d'informazioni acquisite; e ha consentito di sganciarsi dalla presa soffocante di un intrico di posizioni, stati d'animo e opinioni emotive di una comunità devastata dal conflitto che l'ha investita. I dati raccolti, infatti, oltre a richiedere un paziente lavoro di ricerca, analisi e cucitura per via della loro frequente parzialità e lacunosità, presentano la complicazione di essere inquinati (e talora av-velenati) da interpretazioni della realtà fortemente ideologiche o passionali. Fatto, questo, che appare certamente comprensibile alla luce della cronaca cittadina degli anni Novanta, ma che richiede allo studioso determinate accortezze metodologiche. Il soggiorno dell'agosto 2QQ3 ha reso possibile una serie di approfondimenti e ha stimolato ulteriori riflessioni che hanno integrato, arricchito e "rinnovato" le imma-gini e le informazioni collezionate in precedenza. È proprio da esso che trae il suo slancio il presente saggio, che ha l'obiettivo di individuare alcuni temi di indagine e di discussione intorno ai destini della città di Vukovar e, più in generale, intorno al ricco e complesso tema dell'urbicidio. È bene chiarire che tale scritto costituisce un primo indispensabile tassello di una ricerca e di un progetto (denominato "people, places and spaces") caratterizzati da una struttura e da un'articolazione notevolmente più ampie, nonché da contenuti più approfonditi. Per raggiungere tale traguardo si stanno ora battendo due percorsi paralleli e complementari: quello dell'indagine sul 332 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q passato e sulla cronaca recente e attuale di Vukovar e quello della promozione di collaborazioni e sinergie di varia natura che guardino al cammino presente e al futuro della città. Un inquadramento del fenomeno Il termine urbicidio è stato coniato nel corso della prima metà degli anni Novanta dall'eminente architetto-urbanista Bogdan Bogdanovic - già sindaco della città di Belgrado dal 1982 al 1986 - che ne ha poi esplicitato e analizzato il significato nell'opera Grad i Smrt (La città e la morte), edita nel 1994. Pur considerando il fenomeno su un'ampia scala storica e geografica, con tale neologismo - che ha il suo equivalente nell'espressione "assassinio della città" -Bogdanovic ha voluto definire la sorte che stavano subendo numerose città della Croazia e della Bosnia-Erzegovina nel corso del conflitto armato che, tra il 1991 e il 1995, ha accompagnato il processo di dissoluzione dello Stato jugoslavo. In particolare, il termine urbicidio è stato utilizzato con riferimento alla vicenda della devastazione materiale e spirituale subita dalle città di Vukovar, Mostar e Sarajevo, che sono divenute simbolo di un fenomeno di dimensioni ben più ampie1. In questi tre centri e in numerosi altri il ferimento, l'agonia e l'annientamento del capitale "in pietra", dello spirito del luogo, del capitale umano e del patrimonio spiri-tuale e identitario della comunità hanno preso due forme: quella dell'assedio pesante e continuato - portato dall'esterno del perimetro urbano - e quella dell'estenuante battaglia urbana, condotta in almeno tre diversi modi: 1) con combattimenti "strada per strada" e "casa per casa"; 2) attraverso l'azione dei cecchini appostati all'interno degli edifici; 3) o, ancora, lungo vere e proprie linee di fronte che spaccavano internamente la città e la comunità dei residenti. La parola urbicidio ha finito con l'indicare l'azione e il risultato del danneg-giamento e della distruzione del patrimonio storico, artistico e architettonico urbano - spesso colpito intenzionalmente, con lo scopo di mutilare e cancellare l'identità cittadina e comunitaria e per fiaccare la resistenza psicologica dei difensori e dei residenti assediati. Tale termine ricomprende pero tra i suoi significati anche l'opera di distruzione rivolta contro uno stile di vita, contro una specifica cultura urbana, contro una rete di relazioni e di attività, nonché contro una comunità fisica che, nel 1 Pur senza soffermarsi sulle modalità operative e sugli obiettivi del conflitto, pare comunque corretto ricordare come i centri urbani devastati sia sotto l'aspetto fisico sia sotto il profilo immateriale siano stati numerosissimi e di ogni dimensione. Alcuni di essi sono stati travolti e sconvolti per motivi tecnico-militari, ma la natura dell'assedio e della distruzione provocata ad altri pone in rilievo anche significati simbolici dell'azione offensiva. Assieme alla guerra di armi si è infatti combattuta anche una guerra di simboli e di valori, di cui erano diversamente portatori gli assedianti e gli assediati. 333 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q caso jugoslavo, era molto spesso multietnica e mista - come dimostra il caso della città di Sarajevo.2 I significati e i contesti di applicazione del termine urbicidio sono pero ben più vasti di quelli indicati sin qui e numerosi sono i casi su cui si potrebbe ragionare. L'urbicidio prodotto nel corso di un conflitto armato costituisce probabilmente il caso più eclatante, ma di certo non l'unico e forse nemmeno il più ricorrente.3 II termine coniato per definire questo fenomeno possiede alcuni tratti peculiari, propri della forma e del suono che lo sostanziano; tratti che la ricerca in corso di svolgimento si incaricherà di approfondire.4 Per il momento sarà sufficiente osser-vare che proprio forma e suono non sono infatti casuali e privi di valore. Al contrario, per essi sembra di poter parlare di funzione evocativa, poiché portano alla mente situazioni che nella psiche dell'individuo e nella cultura della comunità provocano emozioni e reazioni (generalmente) rilevanti. Attraverso l'una e l'altro tale sostantivo 1) richiama crimini che il singolo e la società avvertono come ripugnanti (omicidio, fratricidio, genocidio, ...), stimolando analoghe condanne morali. 2) (... su questa base) "preme" per aggiungere la pratica dell'urbicidio nella lista degli atti puniti. Ambisce cioè ad acquistare un valore giuridico e sollecita la sanzione del fenomeno da parte dell'ordinamento.5 3) (. sulla medesima base) antropomorfizza la città e, nello specifico, le sue strutture materiali: le umanizza e le fonde con la comunità dei residenti, defi-nendo l'insieme e l'intreccio di pietre, carne e spirito come un solo corpo, un solo 2 Il termine coniato da Bogdanovic è stato recepito e utilizzato con questi significati da giornalisti e da analisti di varia natura che hanno testimoniato o commentato il corso delle vicende belliche nella ex-Jugoslavia. Esso poi ha conosciuto una diffusione più ampia rispetto al caso jugoslavo, trovando applicazione in altri contesti e per altre epoche, come mostra il numero speciale della rivista Diario intitolato "Metropolis. Storie di città ferite" (supplemento al n.46 del 16 novembre 2QQ1). 3 Si tratta, questa, di una riflessione che necessita di particolare approfondimento e che richiede una sottile disamina e un'attenta articolazione del concetto di urbicidio. Non è questa la sede opportuna per procedere a una tale operazione, ma puO essere utile evidenziare che essa chiama in causa materie che afferiscono alla Pianificazione urbanistica, tra cui, in particolare, la Storia della città e le Politiche urbane. 4 Il riferimento è al già menzionato progetto di ricerca, variamente articolato nei suoi temi e nelle sue modalità di indagine, denominato "people, places and spaces" e condotto dall'autore del presente saggio. 5 Va proprio in questo senso l'iniziativa targata AIDA ("Associazione Internazionale del Diritto e dell'Arte") e promossa nel 1995 da Jeanne Belhumeur e Angelo Miatello di proporre agli Stati una bozza di trattato per il divieto e la condanna della pratica di distruzione del patrimonio urbano. Tale slancio si è concretizzato nel testo che porta il titolo di "Urbicidio, genocidio culturale. Una proposta dell'AIDA - Proposta AIDA per una Convenzione che bandisca il crimine d'urbicidio, l'assassinio culturale e il genocidio urbanistico e culturale". L'articolato è rinvenibile in www.associazioneaida.net Sul tema della punibilità dell'urbicidio sarà utile inaugurare una riflessione che coinvolga etica, psicologia, ideologia, sociologia giuridica e pratica bellica. 334 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-3SQ organismo vivente. L'assassinio della città equivale dunque all'assassinio della persona. Urbicidio e vicenda umana - individuale e collettiva - sono legati struttural-mente. Questo perché il capitale "in pietra" e gli spazi urbani in cui confluiscono e operano quotidianamente uomini e donne costituiscono parte imprescindibile dell'identità, della cultura, della storia e della memoria della comunità urbana e dei suoi singoli componenti, nonché espressione del loro dinamismo e della loro evoluzione. A mero titolo di esempio si pensi a un'area tradizionalmente dedicata alle attività commerciali;6 o a una zona da sempre riservata al passeggio, all'incrocio di sguardi e al commento "sottovoce", alla formazione di capannelli in cui si raccontano storie e si innescano discussioni, alla chiacchiera e alla confidenza di fronte a un caffè; o ancora a un parco, a una piazza, a spazi cui si associano manifestazioni collettive civili o religiose. Qui l'intreccio tra l'uomo e la città è assolutamente evidente e si colloca all'interno del più vasto tema della "psicologia e sociologia urbana". In questa mappa di spazi di sociabilità - un circuito, un'intelaiatura all'inter-no della quale si agitano innumerevoli generazioni di uomini e donne - aleggiano, si incidono e si sedimentano idee, emozioni, vissuti, che impregnano di sé luoghi e pietre. E se l'attacco, l'assedio, l'intrusione e la battaglia armata nella città compor-tano un profondo sconvolgimento di tali spazi di socialità e, quindi, dello stile di vita della comunità,7 tutto ciö ferisce particolarmente il morale, la sensibilità e l'im-maginario collettivi quando tra le vittime si conta anche la "pietra nobile", ossia le costruzioni e i monumenti (palazzi del potere civile, chiese, cinte murarie, edifici storici, biblioteche, teatri, sculture commemorative, ...) che testimoniano l'esperienza storica e scandiscono l'esperienza di vita della comunità.8 Premesso questo, si comprende agevolmente come l'assassinio delle forme, del sig-nificato e del valore d'uso delle costruzioni e degli spazi porti con sé altre vittime. Vittime che possono essere sempre e in qualche modo definite umane, come ad esempio: 6 Mercati e mercatini di frutta e verdura, dei più diversi generi alimentari, di abiti e calzature, di utensili e arredi per la casa, di chincaglierie, ... . Rimanendo all'interno dello spazio ex-jugoslavo, un'idea puö essere fornita dal Dolac a Zagabria o dall'area riservata a mercato accanto al Tromostovje, nel cuore di Ljubljana. 7 All'indomani della cessazione del conflitto i tradizionali spazi urbani di vita comunitaria tornano tendenzialmente a svolgere di nuovo la loro consueta funzione di riferimento. Di ciö costituisce una testimonianza il centro storico di Sarajevo. Si tratta di un fenomeno che non è perö generalizzabile, come mostra l'esperienza post-bellica della comunità urbana di Vukovar. A mero titolo di esempio si puö citare il caso del Radnicki Dom (Casa del Lavoratore) situato nel quartiere satellite di Borovo, nelle immediate vicinanze del kombinat: un tempo affollatissimo, secondo le testimonianze degli abitanti del posto, ha oggi (comprensibilmente) perduto la capacità di attrazione che aveva anteriormente al '91. S Il concetto di "pietra nobile" è qui utilizzato in senso stretto - ossia con valenza storico-artistica -poiché esso puö essere utilizzato anche per indicare tutte quelle costruzioni cui viene attribuito un particolare valore dalla comunità. 33S ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q 1) il vario e fitto intreccio delle relazioni interpersonali e intra-comunitarie, che viene variamente lacerato e fatto a brandelli; 2) il cosiddetto "spirito del luogo", prodotto sia dall'azione continuata di generazioni di cittadini (un'azione spesso ripetitiva e monotona, che ha informato di sé la mentalità, l'organizzazione della vita e degli spazi), sia da eventi - grandi e piccoli - interni ed esterni alla comunità, vissuti insieme da uomini e donne nei loro risvolti materiali e immateriali; 3) il comune panorama psicologico e identitario, fatto di punti di riferimento visivi e culturali; di memorie, di significati, di emozioni e di vissuti individuali e collettivi. Da quanto osservato sin qui emerge come la spinta originaria,9 la pianificazione, gli obiettivi e la pratica concreta dell'urbicidio siano fortemente contrassegnati da componenti simboliche e, quindi, da particolari aspetti culturali, mentalità e stati psicologici che riguardano tanto gli assedianti quanto gli assediati. La pratica del ferimento e dell'assassinio della città nel corso di assedi e battaglie urbane svoltisi presso centri croati e bosniaco-erzegovesi ha visto spesso risaltare una componente di guerra ai simboli (sia materiali sia immateriali). In numerosi episodi essa ha affiancato - e finanche travalicato - l'azione strategica militare (classica) finalizzata all'acquisto di posizioni, di centri logistici e di capisaldi ritenuti fonda-mentali per nuove avanzate e azioni di contenimento oppure all'eliminazione delle strutture e infrastrutture di offesa, difesa e resistenza dell'avversario. Colpire e annientare simboli materiali (luoghi fisici pubblici e privati, edifici, monumenti, .) della cultura, della sensibilità e dell'identità storica e contemporanea della comunità urbana; ferire, lacerare e dissolvere esperienze di convivenza interetnica o stili di vita e abitudini "cittadini"; devastare panorami urbani modellati e animati da culture cittadine o da comunità etniche definite avversarie, . : lo slancio, l'assalto contro beni comunitari fisici e immateriali - ambedue connotati da un rile-vante valore intrinseco per il gruppo cittadino - pare aver assunto un'importanza considerevole nella concezione e nella pratica del conflitto, soprattutto nella misura e nelle fasi in cui quest'ultimo si è mostrato come lotta di culture, di civiltà, di mentalità; come piano di sottrazione di momenti, di spazi e di pratiche di vita alla comunità nemica; come guerra di distruzione identitaria, di delegittimazione e di cancellazione della presenza dell'altro. Dai resoconti e dalle testimonianze di vario genere sui fatti, sulle ragioni e sui sentimenti di questa guerra balcanica della prima metà degli anni Novanta, sembra di poter presumere che la versione fin qui esposta dell'urbicidio (in particolare quella realizzata mediante l'assedio esterno condotto con un fuoco massiccio alternato a uno stillicidio di colpi mirati e distanziati nel tempo)10 abbia spesso galvanizzato l'assedi- 9 Forse, in questo caso, si potrebbe azzardare il ricorso a un termine meno neutro quale pulsione. 10 Ma non deve essere assolutamente trascurata e minimizzata la forza urbicida dell'azione dello snajper (cecchino). 336 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q ante11 e abbia rappresentato uno strumento (efficace) per realizzarne il programma culturale. Sul versante opposto, la tattica e la strategia urbicida hanno messo sotto una pressione fin li sconosciuta (e per molti inconcepibile e insostenibile)12 la comunità degli assediati, la sua vitalità, il suo raziocinio, la sua normalità, deformandone e sconvolgendone ogni equilibrio e meccanismo di funzionamento fisiologico; gettandola nella confusione, nel disorientamento, nel panico e nello sconforto anche grazie alla cancellazione dei suoi punti di riferimento identitari e di vita quotidiana.13 Di tutto ció si è in vario modo e in varia sede scritto e discusso negli anni Novanta e oltre ancora,14 focalizzando l'attenzione e il ragionamento soprattutto sui casi "più eclatanti"; ossia su quelli maggiormente in grado di trovare spazi sui mezzi di informazione e nelle sedi di dibattito, nonché di toccare più profondamente l'as-petto emotivo del mondo culturale, del mondo politico e dell'opinione pubblica nella sua generalità. Spicca su tutti la vicenda dell'assedio di Sarajevo e, al suo interno, l'incendio e la distruzione della "Biblioteca Nazionale" - con la conseguente perdita del suo vasto patrimonio di Storia, memoria e identità della composita e complessa comunità di genti della Bosnia. Ma molto si è detto anche in merito all'annientamento dell'antico ponte di Mostar - che congiungeva le due sponde della Neretva ed era simbolo dell'incontro e del dialogo tra le comunità di fede musulmana e di fede cristiana - abbattuto dalle milizie croate il 9 novembre del 1993.15 11 Si tratta per l'appunto di un'affermazione non generalizzabile, poiché è altrettanto plausibile pensare che tale pratica abbia avuto un effetto deprimente (o, per altri ancora, anestetizzante, con la creazione di un vuoto mentale e di un gelo interiore) su alcuni dei protagonisti attivi della distruzione. Un aspet-to, questo, che pare meritevole di specificazioni e approfondimenti che potranno essere forniti in altra sede. 12 Varie e del tutto similari sono le testimonianze e le immagini fornite da diversi abitanti delle città della ex-Jugoslavia coinvolte (frontalmente) nel conflitto in merito al clima che si respirava al loro interno nelle primissime fasi dello scontro. Costoro hanno confessato la loro incapacità di credere che la guerra potesse toccare la propria città e il proprio stile di vita e che le tensioni interne e gli eventi in corso potessero giungere a sconvolgere e dissolvere la comunità conosciuta. Un'incapacità, questa, che si esprimeva all'epoca nel ripetuto "No! Qui da noi non puö accadere!", pronunciato ai tavolini dei bar dei centri storici. Testimonianze in questo senso (convinzione della conservazione del proprio modello e ambiente di vita e rifiuto interiore del precipitare degli eventi) sono state raccolte dall'autore del presente saggio sia a Vukovar sia nella vicina Osijek. 13 Ancora una volta ci si trova innanzi a un argomento articolato e complesso, di cui si possono rinvenire alcune tessere nelle numerose testimonianze relative alle condizioni di vita e alla visione dei fatti degli abitanti delle città bosniache nel corso degli assedi. Corposa è la rassegna bibliografica in questo campo e a mero titolo di esempio si possono ricordare Vešovic, 1996; Colafato, 1999; Scattolini, Bugari, 1999. 14 E ancora oggi se ne scrive e se ne discute - anche se in misura decisamente ridotta - in relazione al danneggiamento e alla distruzione di numerose chiese e monasteri ortodossi presenti nel territorio del Kosovo da parte di gruppi armati albanesi. 15 Su questo specifico episodio risulta di particolare interesse la lettura di Rumiz, 2QQ3, nonché quella di alcuni articoli pubblicati dall'Osservatorio sui Balcani di Trento sul proprio sito www.osservatoriobalcani.org. In particolare si segnalano qui Rossini, 2003; Terzic, 2003; Corritore, 337 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q Nonostante la trattazione condotta sin qui abbia evidenziato l'esistenza di diversi possibili temi e percorsi di ampliamento e approfondimento, pare necessario sottoli-neare che già la sola pratica di urbicidio perpetrata nel corso di un conflitto armato risulta essere un fenomeno notevolmente più ricco, articolato e complesso (sotto il profilo degli argomenti, dei piani di lettura e delle interpretazioni che esso chiama in campo) di quanto sinora offerto. Qui si propone una primissima analisi che offre largo spazio alla prospettiva "tradizionale" di analisi della violenza urbicida: quella, cioè, contro il patrimonio fisico - storico, artistico, culturale e vissuto16 - della città. Essa tiene conto solo in modo parziale della vicenda materiale, psicologica e interiore - individuale e collettiva - dei suoi abitanti, lasciando a successive occasioni lo sviluppo del concetto di urbicidio nel senso di sconvolgimento della geografia umana cittadina (as-setti demografici, meccanismi di funzionamento del corpo sociale, gerarchie e rap-porti orizzontali tra ceti sociali, sfere di potere e di influenza, disponibilità e sviluppo di risorse umane, ...). È bene comunque osservare che espressioni qui utilizzate quali "lotta di culture, di civiltà, di mentalità" e "programma culturale" suggeriscono prospettive di analisi e riflessione che vanno oltre la dimensione etnica dell'urbicidio e che, secondo studiosi e conoscitori della realtà balcanica, chiamano in causa (anche) gli antagonismi e le fratture esistenti tra ambiente urbano e ambiente extra-urbano - rurale e montano. Riferendosi a questi ultimi, spicca la posizione del noto giornalista d'inchiesta e commentatore triestino Paolo Rumiz,17 che dal 1986 ha seguito gli eventi dell'area 2003. Di quest'ultimo rilevano alcuni passaggi perfettamente aderenti all'angolatura di analisi dell'urbicidio fin qui proposta: "Il nostro Vecchio era molto più di un semplice monumento. Serviva a tutti, ci univa tutti" continua Matvejevic. "In esso era immutata la memoria collettiva dei nostri avi; era il simbolo di generazioni. Non allacciava soltanto due sponde; su quel ponte l'Oriente e l'Occidente si stringevano la mano". [...] Attraverso i suoi ricordi d'infanzia - "sono nato a 200 metri dal Vecchio, come lo chiamavamo tutti noi" - e di gioventù - "ci si dava appuntamento sopra al Vecchio, si faceva il bagno sotto al Vecchio, i ragazzi vi si tuffavano a volo di vlasica (rondine) e vi si posavano i bianchissimi gabbiani dell'Adriatico" - decanta la bellezza e l'unicità architettonica di una struttura che "era sopravvissuta a quattro secoli di terremoti, invasioni, guerre". Si scusa per il sentimentalismo: "Sapete, l'abbiamo protetto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ... e poi l'abbiamo distrutto noi stessi" e indurisce il tono di voce quando aggiunge che non è sopravvissuto all'urbicidio perpetrato da coloro che definisce talebani "croati" e talebani "serbi", sottolineando che le virgolette messe ai nomi dei due popoli servono per distinguere i distruttori da quei Croati e Serbi che ne hanno pianto il crollo. [...] L'Ambasciatore di Bosnia Erzegovina in Italia, Luksa Soljan [...] scorre con le parole concetti simili a quelli di Matvejevic: "La foto del Vecchio distrutto è come il ritratto di una persona amata e perduta". 16 Si intendono qui principalmente piazze e strade di particolare significato per la vita della comunità urbana. 17 È stato a lungo capo dei servizi esteri e inviato speciale del quotidiano di Trieste Il Piccolo. Per valutare appieno il suo punto di vista il testo cui fare riferimento è Rumiz 20002. 338 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q balcanico-danubiana concentrando la sua attenzione su temi politici, economici, sociali e culturali. A conclusione di questo primo inquadramento del fenomeno delVurbicidio appare dunque chiaro come un tema di questo genere risulti essere un ospite scomodo e forse persino inopportuno nell'ambito di una riflessione incentrata sui "crimini senza vittime". Infatti, anche se ci si limita all'analisi del solo "assassinio degli spazi e della pietra" (tralasciando le ferite di varia natura inferte direttamente all'insieme dei cittadini) non sarà possibile prescindere dalla sua fragorosa e drammatica ricaduta sulla vita fisica e spirituale della comunità urbana. È quest'ultima infatti a fruire costantemente del contenitore-città; a pensarlo e ripensarlo, a crearlo, riempirlo, animarlo, modellarlo e rimodellarlo secondo le sue esigenze e secondo la sua sensi-bilità. È la comunità dei residenti e, con essa, quella dei fruitori della città a dare un senso e un valore (e magari anche un'anima) al reticolo degli spazi, degli usi e delle funzioni e a creare meccanismi di vita in simbiosi con il corpo-città. Se tale studio trova comunque diritto di cittadinanza in un contesto di tale natura è perché esso puo rivelarsi utile nel definire con maggiore precisione vittime e danni provocati dalla pratica dell'urbicidio, aiutando a staccarsi dal suo aspetto più immediatamente visibile e più facilmente accessibile alla comprensione delle opinioni pubbliche: quello cioè del mero danneggiamento e della distruzione fisica del patrimonio storico, artistico e culturale della città. Un'angolatura interpretativa, questa, in cui l'immagine della vittima non appare messa a fuoco in forma adeguata. Esso, inoltre, puo contribuire a stimolare la riflessione sull'opportunità e sulla congruità del ricorso al termine crimine per tale genere di pratica e a soppesarne la portata in termini etici e di norme di diritto. Il caso della città di Vukovar Vukovar è una città situata all'estremità orientale della regione storica della Slavonia, oggi posta all'interno dei confini della Repubblica indipendente di Croazia. Centro urbano modellato in passato sullo stile barocco tipico dell'area e ricco di edi-fici di notevole pregio storico, artistico e architettonico, essa si è sviluppata nei secoli lungo la sponda destra del fiume Danubio, da dove punta gli occhi sulla vicinissima regione della Vojvodina. La città è caratterizzata da una geografia curiosa che vede costruzioni e spazi urbanizzati disposti su tratti pianeggianti e collinari che si alternano. Sotto il profilo territoriale, urbanistico e amministrativo essa risulta principalmente composta da: a) un nucleo principale, che contiene in sé due aree di rilievo storico e funzionale distinte e divise tra loro dal fiume Vuka - il corso d'acqua che attraversa la città e si getta nel Danubio; b) un "villaggio" operaio satellite (denominate Borovo Naselje), vasto e organizzato 339 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-350 sotto il profilo dei servizi e giustificato dall'insediamento e dallo sviluppo di un ampio complesso industríale a partire dall'inizio degli anni Trenta;18 c) due diverse aree di insediamento produttivo; di cui quella che costituiva il kombinat Borovo ... era considerevolmente estesa sotto il profilo spaziale e dotata di strutture logistiche "pesanti", quali il porto fluviale e una linea ferroviaria che, attraversando l'intero kombinat, giungeva in riva al Danubio; d) una serie di strisce e nuclei abitati periferici che, sospesi tra una dimensione urbana ed extra urbana, gravitano attorno al centro principale senza esserne pie-namente inglobati. Anteriormente al conflitto esploso nell'estate del 1991 la città era abitata da più di 44.000 abitanti di varia etnia, tra cui spiccavano il gruppo croato e quello serbo, largamente maggioritari rispetto alle comunità russina, magiara, ucraina, slovacca, tedesca e di altra radice nazionale. Tabella 1: Abitanti della città di Vukovar (1991) per appartenenza nazionale (Wert-heimer-Baletic, 1999, 184). Tabela 1: Prebivalci Vukovarja (1991) po narodni pripadnosti (Wertheimer-Baletic, 1999, 184). città di Vukovar assoluti % croati 21.065 47,2 serbi 14.425 32,3 jugoslavi19 4.355 9,8 ruteni 919 2,1 ungheresi 694 1,5 slovacchi 147 0,3 tedeschi 94 0,2 altri 2.940 6,6 TOTALE 44.639 100,0 Oggi, all'indomani della conclusione del conflitto serbo-croato e del passaggio della Slavonia orientale sotto la definitiva sovranità dello Stato croato nel gennaio del 1998 (un evento verificatosi dopo anni di amministrazione serba20 e dopo un 18 Si tratta della tvornica Bata, marchio di fama internazionale legato in primo luogo alla fabbricazione di calzature, poi trasformata in kombinat nel periodo della Seconda Jugoslavia. Su questo argomento si veda Kemal Hrelja, Martin Kaminski, Borovo, jugoslavenski kombinat gume i obuce, Historijski institut Slavonije, Slavonski Brod 1971. 19 Su tale categoria "nazionale" e sulla sua sottostante articolazione etnica interna si rinvia il commento a successive pubblicazioni dedicate ad approfondire la vicenda della comunità cittadina di Vukovar. 20 Seguita all'occupazione militare della città. 340 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-350 successivo periodo di permanenza nell'area di una forza ONU di peace-keeping e stabilizzazione21) le cifre del censimento del 2001 parlano di una citta fortemente spopolata rispetto all'inizio degli anni '90 e di un numero di abitanti censiti inferiore alle 32.000 unita (- 29%). Tabella 1: Abitanti della citta di Vukovar (2001) per appartenenza nazionale (VN, nro. 251, 21. 06. 2002, 8-9). Tabela 1: Prebivalci Vukovarja (2001) po narodni pripadnosti (VN, št. 251, 21. 06. 2002, 8-9). città di Vukovar assoluti % croati 18.199 57,46 serbi 10.412 32,88 jugoslavi - - russini 567 1,79 ungheresi 387 1,22 ucraini 242 0,76 albanesi 112 0,35 slovacchi 85 0,27 altri gruppi nazionali22 351 1,11 altre categorie23 1.315 4,15 TOTALE 31.670 100,00 Con tutta probabilita la cifra registrata nel corso del primo hrvatski popis sta-novnistva (censimento croato) risulta essere superiore a quella dei residenti effettivi, il cui numero dovrebbe aggirarsi intorno alle 25.000 unita.24 Una discordanza di numeri, questa, dovuta essenzialmente al fatto che coloro che emigrano dalla citta per 21 II riferimento e alla missione UNTAES (United Nations Transitional Administration for Eastern Slavonia) varata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 1037 del 15 gen-naio 1996. Su questa decisione si veda la United Nations press release SC/6160 del 15.01.1996. 22 Montenegrini, Tedeschi (58; 0,18%), Rom, Macedoni e Bosniaci, Sloveni, ... . Giova sottolineare che la cifra complessiva comprende solo i membri delle nacionalne manjine (minoranze nazionali) e non anche coloro che hanno fornito dichiarazioni di appartenenza di natura diversa rispetto a quella etnica. 23 E importante osservare che di questa cifra 1.098 sono coloro che "nisu se izjasnili u smislu nacionalne pripadnosti" ("non hanno espresso alcuna appartenenza nazionale"). 24 Questa e la cifra stimata da Damir Lajoš, project coordinator della missione denominata Italian participation to the development of Eastern Slavonia (colloquio con l'autore in data 27 agosto 2003 a Vinkovci), e su cui pare esservi un generale accordo. In questo senso e significativo osservare che il quindicinale d'informazione locale Vukovarske Novine, nell'edizione dell'8 giugno 2001 (n. 224) che dava conto della pubblicazione dei primissimi dati del censimento tenutosi in primavera, aveva titolato in prima pagina: "Vukovar ima 25.007 stanovnika" ("Vukovar ha 25.007 abitanti"). 341 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q motivi di natura economica (trovando lavoro in altri centri della Croazia o altrove) hanno spesso mantenuto la propria residenza a Vukovar per poter godere dei vantaggi retributivi e fiscali accordati alla municipalità per i suoi "meriti patriottici". Al di là di questo scarto numerico è importante soffermare l'attenzione su un dato forte: ossia su come la città si sia largamente impoverita sotto il profilo della presenza abitativa. In questo senso è bene ricordare la fuga dalla città - verso l'estero o verso altre località del Paese - di larghissima parte della popolazione croata negli anni dell'assedio, dell'occupazione e dell'amministrazione serba;25 cui si deve ag-giungere l'addio di cittadini di radice serba dalla Vukovar croata del postreinte-gracijsko vrijeme.26 È vero che nell'ultimo lustro si è registrato ed è stato favorito un rientro di Hrvati in città, ma esuli, profughi, scomparsi e morti per cause di guerra di diversa etnia hanno lasciato spazi vuoti fisici e non la cui consistenza e il cui peso si possono toccare con mano27 e che si accompagnano alla frequente vista del danneg-giamento, della distruzione e della rovina di numerosi edifici residenziali privati.28 In questa città, privata di una porzione importante del proprio capitale umano, i Serbi e i Croati oggi presenti condividono ancora numerosi spazi pubblici e con-ducono la loro esistenza quotidiana sfiorandosi, incrociandosi e incontrandosi di continuo all'interno del perimetro urbano. Cio avviene pero in un clima fortemente deteriorato rispetto allo stato di buona convivenza e mescolanza sperimentati nei decenni precedenti al conflitto.29 Numerose sono le ragioni e le forme della difficile comunicazione tra i membri dei due differenti gruppi etnici; e se alcune di esse balzano agli occhi per la loro 25 Si rammenti, a mero titolo di esempio, che la presenza di profughi da Vukovar in diverse località dell'Istria (Parenzo, ma anche le località turistiche della Liburnia, ...) è durata sino al 2QQ3. 26 Viene chiamato in tal modo il periodo successivo alla reintegrazione nel territorio giuridicamente croato. 27 Si puo parlare di tangibilità del vuoto. 28 Si osservi che Vukovar aveva già subito in passato la perdita traumatica di una fetta consistente e importante (sotto il profilo sociale, economico, culturale e del governo della città) della sua popolazione. Cio era avvenuto al termine della Seconda guerra mondiale, quando i membri della comunità tedesca locale erano stati forzati ad abbandonare le proprie abitazioni, ufficialmente accusati di collaborazionismo con l'occupatore nazista ma presumibilmente colpevoli anche di essere il ricco, borghese, influente e culturalmente avanzato motore economico e istituzionale di Vukovar. Se nel censimento del 1921 i Njemci di Vukovar ammontavano a 2.67Q unità (26,1%), nel 1948 ne verranno registrati solo 54 (Q,3%) e nel 1953, all'indomani della fase più turbolenta della tempesta abbattutasi sui ioro capo, si dichiareranno taii in 334 (l,8%) (A. Wertheimer-Baietic, op. cit., pp. 82, 174 e 176). Ancora oggi la presenza di Tedeschi croatizzati parla del passato della città, ma sarà utile ricordare che in quell'epoca a Vukovar era presente anche una židovska zajednica (comunità ebrea), azzerata nel corso della prima metà degli anni '4Q. Del suo destino si possono leggere ancora oggi alcune tessere sulle pietre tombali del cimitero ebraico, situato lungo una delle arterie di entrata-uscita da Vukovar denominata Sajmište. 29 È interessante osservare che, nel suo articolo scritto per l'Osservatorio sui Balcani Dario Terzic scrive che "Quanto a percentuale di matrimoni misti, nella ex Jugoslavia Mostar veniva subito dopo Vukovar" senza pero fornire cifre in merito (Terzic, 2004). 342 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q evidenza e comprensibilità immediata, altre appaiono più sottili e sotterranee e giacciono nascoste sotto le emozioni più vive e violente. Fermando l'attenzione sulle prime, rilevano anzitutto quelle derivanti dalle sofferenze fisiche e psicologiche vissute da singoli e famiglie per via degli eventi locali legati al precipitare della crisi jugoslava (primavera - estate 1991), del pesantissimo assedio della città, dei costanti combattimenti nell'area circostante,3Q delle violenze e dei fatti luttuosi verificatisi durante e dopo la caduta di Vukovar. A questo, poi, si sono aggiunti negli anni seguenti gli effetti dei comportamenti (e le reazioni da essi suscitate) delle diverse amministrazioni civili - di segno serbo prima e croato poi31 - che si sono succedute e che hanno imposto la loro impronta e la loro logica nazionale (e nazionalista), etnicizzando la vita cittadina e strumentalizzando stati d'animo e idee politiche. Svolta questa sintetica introduzione al presente case-study, pare ora necessario addentrarsi in misura maggiore e più puntuale nel tema dell'urbicidio ai danni della città di Vukovar, facendo emergere ció che fin qui è stato trattato in modo implicito e ha svolto silenziosamente la funzione di scheletro e di cornice di ogni riflessione. Il riferimento è alla bitka za Vukovar (la battaglia per Vukovar),32 alla distruzione fisica e spirituale della città e, conseguentemente, ad alcuni aspetti specifici dell'ur-bicidio perpetrato a suo carico. In particolare, ció su cui si porrà in misura maggiore l'accento saranno i danni alle strutture materiali; ma, come si è osservato nella "sezione teorica" del saggio, questo implicherà necessariamente una serie di spunti e riflessioni relativi agli aspetti immateriali della vicenda. L'assedio di Vukovar è iniziato il 25 agosto del '91; ma la sua fase più acuta si è avuta tra il 14 settembre e il 18 novembre 1991, giorno in cui la strenua resistenza dei difensori croati è stata definitivamente vinta e la città è caduta nelle mani delle milizie paramilitari serbe e delle truppe della Jugoslavenska Narodna Armija (JNA). Per mesi la ridotta popolazione rimasta,33 serba e croata, ha subito un assedio mas-siccio e martellante, condotto con la fanteria, l'artiglieria e l'aviazione e culminato in tre settimane di combattimenti "casa per casa". Si tacerà qui delle pesanti privazioni materiali subite dagli assediati, delle cronache di sopravvivenza quotidiana,34 dei costi psicologici e spirituali e dei costi 30 Si noti, per inciso, che anche diversi villaggi facenti parte del territorio amministrativo di Vukovar sono stati pesantemente colpiti dall'andamento delle operazioni militari. L'esempio principe è offerto da Bogdanovci, un insediamento a larga maggioranza croata situato a una manciata di chilometri da Vukovar. Le foto riportate in Horvat, 1998, 134, 136-141 sono eloquenti del livello di distruzione materiale provocato. 31 Dopo il termine della missione UNTAES. 32 Sugli aspetti militari dell'assedio e della difesa di Vukovar è possibile far riferimento al volume scritto da Mile Dedakovic - Jastreb, comandante della difesa croata della citt à (Dedakovic et al., 2000). 33 Numerosi, infatti, sono coloro che sono riusciti ad allontanarsi dalla città per tentare di garantirsi l'incolumità, iniziando cosí un'esistenza da profughi. 34 I. R., operaio serbo residente a Borovo Naselje, ha raccontato all'autore delle gravi difficoltà di sopravvivenza nel periodo dell'assedio, aumentate a causa del danneggiamento della centrale elettrica 343 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q umani "diretti"; questi ultimi rappresentati dalle migliaia di profughi, dai numerosi civili assassinati, dagli internati nei campi di prigionia,35 dalle centinaia di nestali (gli scomparsi),36 dalle migliaia di feriti e, un episodio per tutti, dalle vittime del cosiddetto "massacro di Ovčara".37 La distruzione fisica di Vukovar è stata pressoché totale su tutta l'estensione del territorio comunale; cosicché, se si guarda alle perdite materiali sofferte dalla città e alla condizione di ogni sua struttura al momento della cessazione delle ostilità, la definizione di "Stalingrado croata", coniata all'epoca dal mondo politico e dai media croati, appare consona alla condizione di questo centro urbano. I giornalisti che hanno avuto il permesso della JNA di entrare nella Vukovar occupata il 21 novembre del '91 e i Vukovarci rimasti che hanno reso la loro testi-monianza sulla situazione presente in quel momento hanno parlato di strade cittadine assolutamente impercorribili, ingombre di cadaveri e di grandi masse di detriti. E i servizi fotografici compiuti in quei giorni e, più in generale, nell'epoca precedente all'inizio della ricostruzione, hanno rivelato una sequenza senza fine di edifici di e dell'acquedotto che rifornivano il quartiere: alla continua esposizione al fuoco e alla difficoltà di reperire generi alimentari si aggiungevano infatti l'assenza di luce, riscaldamento e acqua corrente (colloquio in data 29 agosto 2003). 35 Quello dei logoraši (i prigionieri croati nei campi di internamento serbi) è un tema ancora oggi vivo e dibattuto a Vukovar. Un'idea di ciè puè essere fornita dall'articolo comparso nel n. 294 del Vukovarske Novine (20 febbraio 2004), che ha cosi titolato e commentato in prima pagina: "Odšteta logorašima. Tužba oko 4.200 bivših logoraša srpskih logora pred uručenjem Opcinskom sudu u Beogradu. Od šokova, straha, gladi i patnji koje smo prošli u srpskim logorima svi nosimo ožiljke, rane i bolesti, masovno obolijevamo od karcinoma i bolesti kardio-vaskularnog sustava" (Risar-cimento agli internati. Accusa di circa 4.200 ex-internati nei campi serbi di fronte al tribunale distrettuale competente a Belgrado. Tutti portiamo le cicatrici, le ferite e le malattie degli choc, delle paure, della fame e delle sofferenze che abbiamo patito nei campi serbi. Ci siamo ammalati in massa di tumore e di malattie del sistema cardio-vascolare). 36 Sul tema delle persone scomparse (civili e militari) all'epoca del conflitto e di cui si ignora il destino sono attive diverse associazioni, tra cui quella denominata Vukovarske Majke (Madri di Vukovar). 37 Per quanto concerne l'episodio di Ovčara (minuscola localit à di campagna situata alle porte di Vukovar) e la scoperta (successiva alla conclusione del conflitto) della fossa comune contenente numerosi resti umani è qui sufficiente accennare alla vicenda riportando quanto inciso sul monumento eretto in loco nel 1998: "U spomen na 200 ranjenih hrvatskih branitelja i civila iz vukovarske bolnice pogubljenih u velikosrpskoj agresiji na Republiku Hrvatsku. Ovčara, 20 studenog 1991" (In ricordo dei 200 difensori croati e civili [prelevati] e uccisi dall'ospedale di Vukovar nel corso dell'aggressione grande-serba alla Repubblica croata. Ovčara 20 novembre 1991"), che richiama e rinvia all'appello delle Vukovarske Majke ai partecipanti della "World Conference on Human Rights and NGO Forum" tenutasi a Vienna nel giugno del 1993: "On November 19-20, 1991, Yugoslav Federal Army's colonel Veselin Sljivančanin abducted from the Vukovar hospital and deported the following to the agricultural holding "Ovčara": 199 wounded patients, 25 professional staff, 18 employees, 53 civilians. Furthermore, Yugoslav Federal Army also abducted from the field hospital "Borovo Commerce" 180 wounded patients. We have been searching for our loved ones for the last 580 days since November 19-20, 1991. PLEASE, HELP US!!!" (Udruženje "Vukovarske Majke", 1996, 45). Per un primo inquadramento dei fatti di Vukovar si rinvia a Glenny, 1996; Silber, Little, 1996. 344 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q diversa natura e funzione di cui si era salvata la sola muratura perimetrale esterna. Se è vero che ogni edificio o struttura presente nel Comune ha subito le con-seguenze della furia dello scontro (e anche il quartiere di Borovo Naselje, abitato in maggioranza da famiglie serbe, ha subito forti danneggiamenti al gruppo di condo-mini che lo compongono)38 l'attenzione dei più diversi testimoni e commentatori si è tradizionalmente focalizzata sulla pesantissima distruzione materiale subita dallo Stari grad (città vecchia). I monumenti religiosi e civili più significativi - simboli della storia, della cultura, della sensibilità interiore, del gusto estetico, della ricchezza, della vitalità e dell'am-biente di vita quotidiana della comunità cittadina - sono stati ridotti a scheletri, dopo essere stati sottoposti a una fittissima pioggia di granate e bombe, cui si è aggiunto un nugolo di proiettili esplosi da fucili, kalashnikov e mitragliatori soprattutto durante la battaglia condotta "a corpo a corpo" nella fase finale dell'assedio. II cuore barocco e borghese della città, il cui stile e la cui raffinatezza rivelano un mondo collocato all'interno dell'Impero absburgico, è stato completamente devastato; mentre la collina su cui sorgono il monastero francescano39 e il ginnasio, in com-pagnia di un grappolo di edifici della ricca borghesia locale e di un interessante nucleo di abitazioni più modeste ma eleganti, ha assunto un aspetto spettrale.40 Oltre la Vuka, l'imponente castello-palazzo settecentesco della prestigiosissima famiglia Grof-Eltz e la storica sede del tribunale hanno subito danni gravissimi; mentre sulla sommità del secondo rilievo di Vukovar la chiesa privata della facoltosissima fa-miglia Paunovic - di nazionalità serba e religione ortodossa - si è venuta a trovare lungo una linea di fronte interno alla città, rimanendo cosi ferita da un numero im-pressionante di proiettili. Tutte le abitazioni private e tutti gli edifici sedi di attività economiche o di servizi sono stati danneggiati in vario modo e grado, in diversi casi sino alla loro "sche-letrizzazione" e annientamento. Numerose sono dunque le abitazioni ricostruite exnovo in ogni settore della città - in particolare nell'area sud-orientale della stessa -, 38 A tutt'oggi prosegue il restauro degli edifici danneggiati a Borovo. Un'operazione, questa, che si protrarrà presumibilmente ancora per qualche tempo, poiché mancano all'appello ancora diversi condomini variamente lesionati. Si tratta di attività di lungo corso, che richiedono il trasferimento dei residenti presso le abitazioni di parenti o soluzioni alternative messe a disposizione dalle pubbliche amministrazioni. A questo fine alcuni condömini vengono "parcheggiati" nei campi profughi ancora in funzione: si pensi ad esempio alla baraccopoli di "Blace", situata a pochi chilometri da Vinkovci. 39 Il franjevački samostan è anche il duomo cattolico di Vukovar. 4Q Sul prolungamento meridionale di questa altura sorge anche il Vodotoranj, ossia l'acquedotto moderno della città che la domina e che risulta ben visibile anche dalla sponda opposta del Danubio, abitata dal nemico serbo. Struttura in cemento armato danneggiata in modo significativo ma non mortale dagli assedianti, esso non è stato di proposito sottoposto ad alcun rifacimento, volendo l'amministrazione croata renderlo simbolo della fiera resistenza e del martirio della città. La sua silhouette ingombrante e la bandiera croata che sventola costantemente sulla sua sommità rappresentano un chiaro messaggio all'invasore di oltre sponda. 345 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-350 mentre sugli edifici meno compromessi si è comunque dovuto intervenire sulla copertura e ancora oggi si procede a "stuccare" gli onnipresenti fori di proiettile. I cimiteri stessi sono divenuti teatro della battaglia e numerosissime sono le tombe danneggiate o sbriciolate. Colpi di mortaio hanno annientato più di un sepol-cro, portando alla vista le bare depositate in fondo alla fossa. I danni provocati allo Staro katoličko groblje (vecchio cimitero cattolico) e allo Srpsko groblje (cimitero serbo) paiono dunque configurarsi come un capitolo parallelo e collegato dell'as-sassinio dello Stari grad. Qui sono stati colpiti gli Stari Vukovarci, ossia la comunità multietnica di cittadini che avevano contribuito a costruire e ad animare la città e che, passati a miglior vita, avevano sin lî riposato nella sua terra. Infine, le strutture produttive, le strutture logistiche (rete stradale, sistema di trasporto ferroviario, porto fluviale) e i servizi (acquedotti, centrali elettriche, ospedale cittadino, istituti scolastici) sono stati gravemente danneggiati o resi del tutto inuti-lizzabili e alcune delle prime non hanno ancora visto il ripristino della loro funzio-nalità. Particolarmente grave e densa di conseguenze è stata la devastazione dell'estesis-sima area produttiva che ospitava il kombinat Borovo ("Jugoslavenski kombinat gume i obuce"),41 il quale ha perduto quasi per intero la propria organizzazione e capacità produttiva, passando inoltre dai 22.000 lavoratori impiegati nel periodo anteguerra ai 2.000 scarsi, e in posizione lavorativa precaria, del momento attuale. Il kombinat costituiva una filiera produttiva orizzontale integrata per la produzione di calzature, pneumatici e materiale tecnico in gomma: una sorta di distretto economico compattato all'interno della medesima area industriale e bastante a se stesso per ogni produzione accessoria a quelle principali.42 II suo annientamento materiale ha portato con sé la cancellazione di un capitale fisico e tecnologico: si trattava certo di un capitale da rinnovare, ma che si era evoluto nel tempo e che aveva supportato lo sviluppo commerciale dell'azienda sul mercato jugoslavo e internazionale,43 nonché lo sviluppo di sinergie con importanti aziende produttrici tedesche.44 È poi andato perduto un patrimonio di conoscenze, di competenze, di abilità: un 41 Kombinat jugoslavo della produzione di gomma e calzature. 42 Come già evidenziato in precedenza la vicenda storica del kombinat è rinvenibile nel già menzionato testo di Hrelja e Kaminski. Dati sintetici relativi alla sua estensione e articolazione, al personale impiegato e alla sua capacità produttiva, nonché alla rete degli sbocchi commerciali interni e internazi onali delle sue produzioni sono presenti in Vukovarska Komuna, 1976. 43 Per quanto concerne l'attività di produzione di calzature il marchio noto al pubblico non jugoslavo era (ed è) Bata, ossia il cognome degli iniziatori Cechi (Antonjin e Tomaš Bata) di tale attività mani-fatturiera. 44 È il caso dell'austriaca Semperit, sorta nel 1850 e divenuta uno dei colossi mondiali della produzione di materiali in gomma e plastica. La sinergia Borovo - Semperit ha riguardato la produzione di pneu-matici per autoveicoli. 346 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q know-how che si rinnovava e si approfondiva anche attraverso le strutture d'insegna-mento e di ricerca applicativa collegate al kombinat e insediate sul territorio locale, a pochi passi dal mondo della produzione. In un enorme numero di casi si è cosí assistito alla marginalizzazione e alla demolizione di identità professionali sviluppate e radicate, costringendo ex lavoratori e lavoratrici del complesso a operazioni di trasformazione e reinvenzione di sé che non sono riuscite a tutti.45 La morte del kombinat ha poi significato la crisi delle possibilità di sostentamento materiale per migliaia e migliaia di famiglie della città e della zona circostante; un fatto, questo, che ha imposto mutamenti di vita radicali e la costruzione di complesse e fragili strategie di sopravvivenza. A cio si è sommata la fine o il drastico ridi-mensionamento di altre certezze materiali garantite dal sistema socio-politico precedente: standards apprezzati di assistenza sanitaria, sicurezza in campo previdenzi-ale, intangibilità del posto di lavoro, certezza dell'alloggio, ...: un ulteriore elemento di complicazione, questo, che ha contribuito ad aumentare lo spaesamento e l'avvilimento delle persone. Detto questo, risulta dunque agevole comprendere il pesante indebolimento del senso e della funzione del quartiere operaio di Borovo naselje, che al kombinat era intimamente legato per origine, struttura e vita. Il conto delle perdite conseguenti all'annichilimento del "parco industriale" si arricchisce infine della considerazione che esso valorizzava la posizione geo-economica strategica di Vukovar e della regione dello Srijem, grazie anche alla par-ticolare struttura logistica di cui era dotato e che era funzionale alle sua esigenze di produzione: il riferimento è alla ferrovia pluridirezionale (caratterizzata da una dira-mazione che attraversava internamente l'area industriale) e al porto merci fluviale collegato. Ora questo vantaggio competitivo logistico è azzerato: la linea ferroviaria non è stata sinora ripristinata e il trasporto commerciale via fiume è stato colpito anche dal gelo dei rapporti e dalle frizioni di varia natura con la Terza Jugoslavia,46 nonché dai contrasti sorti tra i due Paesi per la definizione del confine sul Danubio.47 L'attuale stato in cui versa il sistema logistico è pero essenzialmente determinato dalla mancata rinascita dell'area produttiva Borovo; un fatto, questo, che rende privo 45 Cié vale ovviamente anche per altre realtà produttive presentí all'interno del territorio comunale. A questo proposito si pensi alla nota azienda tessile Vuteks, la cui vicenda ha i medesimi contorni di quella che contrassegna il kombinat Borovo. 46 Dal febbraio 2003 "Unione di Serbia e Montenegro". 47 Proprio nei pressi di Vukovar vi sono isolotti fluviali e porzioni di sponda rivendicati alla sovranità croata. Su questo punto si veda ad esempio l'edizione del 27 giugno 2003 (n. 277) del Vukovarske Novine, che intitola come segue l'articolo a p. 3: "Otoci na Dunavu pripadaju gradu Vukovaru. Niti dvanaest godina od raspada SFRJ, Hrvatska nije riješila granicu na Dunavu, pa Vukovarci nemaju pristup svojoj Adi" (Le isole sul Danubio spettano alla città di Vukovar. Nemmeno a dodici anni dalla dissoluzione della Jugoslavia la Croazia ha fissato il confine sul Danubio; e gli abitanti di Vukovar non hanno accesso alla propria Ada). 347 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q di senso investire sulla ripresa di funzionalità, sul potenziamento e sull'innovazione delle preesistenti strutture di trasporto merci. Tutto ció avviene mentre stenta a decollare quella che storicamente si connota come la seconda area produttiva di Vukovar: ossia l'area che oggi porta la denomi-nazione di Podunavska Slobodna Zona e su cui si appuntano gli sforzi degli attuali amministratori locali. Essa, che storicamente aveva avuto uno dei suoi perni principali nel settore tessile - presidiato dall'azienda Vuteks, con i suoi oltre 2.QQQ operai e la sua funzione di subfornitore di alcune delle maggiori firme della moda a livello mondiale - appare in verità ancora gracile. E la debolezza dell'odierna Vukovar risalta ancor di più se si guarda alla vicina Osijek, la quale, forte di una ricostruzione e di uno sviluppo del tessuto produttivo notevolmente più celeri e massicci, ha acquisito una forte preminenza economica nella Slavonia orientale, grazie anche alla sua capacità di attrarre capitali esterni. Una volta fornite alcune tessere di un mosaico estremamente ancor più ricco, complesso e articolato, si puó concludere osservando che la ricostruzione e la ripresa della città di Vukovar procedono tra numerose insidie - ora in maniera più spedita, ora in modo meno fluido. Ci vorrà del tempo per comprendere in modo appropriato cos'è e cosa sarà la nuova Vukovar - la Terza Vukovar -, soprattutto se si guarda a tutto ció che concerne la sua dimensione identitaria e immateriale. L'espressione "crimini senza vittime" e ciascuno dei suoi termini preso singolarmente (crimine, vittime) stimoleranno ancora numerose indagini, analisi e dibattiti intorno al caso di Vukovar, contribuendo a una comprensione più chiara di quanto è accaduto e di quanto sta avvenendo in questa tessera del complesso mondo balcanico. A ogni modo, il progetto "people, places and spaces" sarà lî, all'interno del corpo della città, per tentare di cogliere la direzione e il significato della sua evoluzione - legando insieme Storia, cronaca e domani. PRAKSA URBICIDA IN PRIMER MESTA VUKOVAR Leonardo BARATTIN Nuoveidee di Ideesistemi, IT-35124 Padova, via Cremonino 17 bis e-mail: nuoveidee.pd@virgilio.it POVZETEK Delo se s teoretičnega in praktičnega vidika ukvarja s fenomenom "umora mesta" v času oboroženega konflikta in poudarja, kako je to, kar bi lahko izgledalo kot "zločin brez žrtev" (uničenje materialnega premoženja, mrtvega kamenja urbanega središča) v resnici dejanje, ki povzroča človeške žrtve, pa ne samo s stališča fizič 348 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Leonardo BARATTIN: LA PRATICA DELL'URBICIDIO E IL CASO DELLA CITTÀ DI VUKOVAR, 331-35Q nega izmaličenja, temveč tudi z vidika psihološke in duhovne dimenzije posameznika in skupnosti, ki sta bila podvržena vojnemu nasilju. Povezava med oboroženim na padom na vidne strukture mesta - in še posebej na njegovo zgodovinsko, umetniško in kulturno dediščino - ter obleganje skupnosti stanovalcev, ki mu, pogosto skozi stoletja in številne generacije, dajejo vsakodnevni utrip in ga oblikujejo, je poimenovana "urbicid". Gre za neologizem, ki ga je skoval srbski urbanistični arhitekt Bogdan Bogdanovic in ki povsem povzema tematiko genius loci, urbane identitete in njenega izničenja. Predlagani case-study se ukvarja z mestom Vukovar (vzhodna Slavonija), ki je bilo v drugi polovici leta 1991, v času vojne ob razpadu jugoslovanske federalne socialistične države, podvrženo uničujočemu obleganju. Izjemna škoda, katere rezultat je bil v številnih primerih tako uničujoč, da so od mesta ostali le še njegovi ogrodni elementi in so bile popolnoma opustošenne vse materialne strukture (zgodovinske vrednosti in sodobne, javne in zasebne, cerkvene in laične, namenjene ekonomskim dejavnostim ali nudenju uslug, ali drugim fmk cijam), je bila vzporedna procesu izničenja in globoke transformacije multietnične skupnosti Vukovarcev ter tradicionalnega duha mesta. V Vukovarju sta se materialno in nematerialno uničenje povsem prepletla. Značilen primer tega je opustošenje in produkcijsko izničenje kombinata Borovo, industrijske strukture, s katero je Vukovar postal eno najpomembnejših industrijskih središč Jugoslavije. Njegova usoda je razdejala eksistenco številne skupnosti moških in žensk, ki so delali znotraj njega in zanj, kar je povzročilo praktične probleme vsakodnevnega materialnega preživetja ter probleme identitete, povezane z razpadom dotedanjega sistema življenja ter sigurnosti, ki jih je nudil. Ključne besede: mesto, urbana skupnost, zločini, nekdanja Jugoslavija, vojna 19911995, kulturna dediščina, Slavonija FONTI E BIBLIOGRAFIA Belhumeur, J., Miatello, A. (1995): Urbicidio, genocidio culturale. Una proposta dell'AIDA contenente il testo "Convenzione che bandisca il crimine d'urbicidio, l'assassinio culturale e il genocidio urbanistico e culturale", Associazione Inter-nazionale del Diritto e dell'Arte. In: www.associazioneaida.net. Bogdanovic, B. (1994): Grad i Smrt. Beograd, Beogradski krug. Colafato, M. (1999): Mostar. L'urbicidio, la memoria, la pulizia etnica. Roma, edizioni SEAM. Corritore, N. (2003): Un ponte senza sponde. 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