I> E L L V RIVENDICAZIONE DELL' ISTRIA AGLI STUDII ITALIANI. DISCORSO t-"''V ' * '.'V'' 'v'. • DI' . . V;.,, C. A. C O M B I S. C. DEL R. ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. Dagli Atti dello stesso Istituto, Vol. IV, Serie V, Seduta 16 decembre 4877. VENEZIA TIPOGRAFIA DI G. ANTONELLI 1878 DELLA RIVENDICAZIONE DELL' ISTRIA AGLI STUDII ITALIANI. DISCORSO C. A. C O M B I S. C. DEL R. ISTITUTO VENETO 01 SCIENZE, LETTERE ED ARTI. V E N E Z I A TIPOGRAFIA DI G. ANTONELLI 1878 COL MESTO PENSIERO RIVOLTO A LUI CHE TUTTA ITALIA PIANGE E IL CUI GRANDE ANIMO FU CONFORTO DI OGNI ITALIANA SPERANZA QUESTA PAGINA MODESTA RICONOSCENTE AGGIUNGO. Venezia, 24 gennajo 1878. 1> E L L A RIVENDICAZIONE DELL' ISTRIA AGLI STUDII ITALIANI. Ammesso all' onore di formar parte di questo illustre Istituto, comincio oggi a recare il mio piccolo contributo di studi a quelli gravissimi con cui esso aggiunge sì gran pregio alla scienza italiana. Non vi dirò quanto io mi senta peritoso per tale confronto, e come sinceramente invochi la vostra indulgenza. Poiché siffatte proteste sono esordi di cui sogliono valersi anche i migliori ingegni, non sarebbe lecito a me prestare il linguaggio della loro modestia virtuosa alla mia, la quale altro non è che necessaria. Professando io in alcuna loro parte le discipline giuridiche, dovrei non dipartirmene. \fa questa volta, e forse più altre, farò altrimenti, fiducioso che voi non me lo apporrete a colpa, tosto che al vostro patriottismo ne avrò spiegato la ragione. Mentre la mia provincia nativa, italiana quanto ogni altra, si trova non solo disgiunta politicamente dalla sua nazione, ma ancora (non ispiaccia la franca parola) mal conosciuta da essa, se non anche dimenticata e talora perfino sconfessata, non mi riesce di far tacere nell'animo il sentimento di un altro obbligo, la coscienza di un'altra prò- Cessione, il vivo desiderio di adoperarmi, quanto è da me, perchè queir estrema nostra regione sia rivendicata almeno agli studi nostri. Eccovi adunque manifestato, e insieme, lo spero, giustificato il mio intendimento. Nò vi sorga sospetto, eh' io voglia di tal maniera condurre qui la politica, qui dove tanti e tanto rispettabili motivi consigliano di lasciarla da parte. Io mi affretto ad assicurarvi che nulla porrò innanzi che possa turbare i pacifici e sereni vostri offici. Nessun voto verrà da me proferito per un' azione qualunque la quale riguardi palestre diverse dalla vostra. In cotesti argomenti rimanga pure ai governi tutta la cura di fare o non fare secondo la vicenda delle occasioni e degli ostacoli ch'essi soltanto sono in grado di valutare pienamente. Per voi penso di non pretendere troppo, se credo indiscutibile il vostro diritto di abbracciare nei riguardi scientifici ogni famiglia del popolo italiano, ossia di riconoscere tutto che a dispetto di ogni dimenticanza, di ogni divieto, di ogni sinistra fortuna porla il suo nome e vive del suo pensiero. Che se a taluno paresse opportuno il riserbo anche sotto questo rispetto, mi permetterei di soggiungergli, che non v' è pretesto il quale valga a sequestrare alla scienza l'esercizio delle sue ragioni. Essa non ha diplomazie, perchè serve unicamente alla verità. D'altra parte, mentre due particolarmente delle nazioni straniere, cioè quelle che ci sono più vicine dal lato d'oriente, gareggiano tra loro nel fare argomento di numerosi ed estesi scritti la provincia dell'Istria (eh'è appunto la contrada italiana su cui mi propongo di richiamare la cortese vostra attenzione), e sembra come una intesa di molti e molti de' loro scienziati e pubblicisti tentare cosi di stringerla con altri nodi ai loro politici interessi, sarebbe assurdo ed indegno, che soltanto gì' Italiani avessero ad imporsi il silenzio, a condannarsi alla mortificazione d'ignorare o di tìngere d'ignorare le cose proprie. Ed è specialmente la Venezia che deve sdegnare tale vergogna, la Venezia che sta sì dappresso a queir italiana regione, e forma co" suoi abitatori una sola stirpe per identità di lingua, di costumi, di bisogni, di sentimenti, e ne condivise le liete e le tristi sorti per ogni età fino a pochi anni or sono, e serba ne' suoi monumenti, ne' suoi archivi, nella ricca letteratura de' suoi avi, i più preziosi documenti della sempre onesta e fida loro italianità. Non è già eh' io, esprimendomi di questo modo, mi scordi dei generosi che ora pure seguono le vecchie tradizioni nel muovere coi loro studi come in casa propria, ogniqualvolta 1' argomento loro si presti, anche oltre il nostro confine politico e sino alle rive del Quarnaro, Che Italia chiude e i suoi termini bagna. Ad essi, anzi, di cui alcuni onorevolissimi appartengono a questo Istituto, colgo l'occasione di porgere i più vivi ringraziamenti de'miei comprovinciali. Ma a fronte di sì belle eccezioni, non si tratta appunto che di eccezioni, e queste sono troppo rare perchè non abbia a dirsi vero quanto deploro. A me, che naturalmente mi trovo spesso condotto a parlare del mio paese nativo, accade assai volte di udire, dagli stessi uomini colti, errori incredibili intorno ad esso. Nè questi si dicono soltanto, ma si stampano anche, con una sicurezza meravigliosa, quasi fosse questione di qualche terra perduta nella vastità dei mari, della quale si possa narrare quanto meglio piaccia, con nessuno o assai piccolo rischio di essere smentiti. E non è mollo (concedetemi di riferirvi un esempio veramente singolare) che avendo io procurato ad una benemerita Società nostra parecchi soci istriani, non sen- za aver fallo loro considerare comic ci convenissi! far allo di presenza anche cosi nella connine patria, questi si videro arrivare le pubblicazioni della Società stessa con indirizzi che li cacciavano d'Italia, trapiantando le loro dimore, anche più notorie per isterica rinomanza italiana, nella slava Dalmazia. Sono ignoranze queste che destano bensì la ilarità, ma non senza disdoro nostro e indignazione di chi, soggetto al dominio straniero, si raccomanda almeno alla nostra memoria e al nostro affetto, e scorge invece, con quello strazio delle ingenue sue fidanze che ciascuno può immaginare ben facilmente, non essergli amica sicura qui da noi neanche la geografia, la innocentissima delle scienze, alla quale perfino un celebre cancelliere dei tempi nostri più sciagurati consentiva di riconoscere l'Italia. Perdonatemi se troppo m'indugiai in questo preambolo al disadorno discorso che sto per tenervi. Senz'altro vengo ora ad accennarvi i titoli dell' Istria per la sua rivendicazione agli studi nostri : titoli che sono le prove indiscutibili non solo dell' italiana sua cittadinanza, ma altresì del suo gran prezzo per nazionali riguardi, e che rilevano insieme gli svariati argomenti su cui possono cadere le autorevoli vostre considerazioni negli studi che per diretto o indiretto modo hanno attinenza con essi. Dai cenni generali di questo mio primo discorso mi porterò poi su temi particolari, quando la vostra benevolenza sia per darmi I' animo di farlo. Se f Italia geografica è, come ognuno ripete, il bel paese. .. che il mar circonda e l'Alpe, I' Istria ne forma, fuor di ogni dubbio, parte integrante. Bastano, invero, gli ocelli della fronte a vedere, come le giri a tergo, non altri- — 9 — nienti che ad ogni altra nostra regione subalpina, la gigantesca frontiera italiana, senza che filone qualunque interceda a romperci da quel lato la continuità del territorio nazionale. E due bei nomi nostri, I' uno de' quali rimase sino a questi giorni, furono dati a queir ultimo tratto delle nostre Alpi, cioè di Venete e di Giulie. Perciò l'Istria fu già chiamala, e per secoli, la Venezia superiore ; perciò anche nei tempi più oscuri dell' evo medio Paolo Diacono scriveva : 1enetiae ci Histriae prò una provincia ha-bentur; perciò, a dir breve, nessun valente geografo, da Plinio al Balbi, dubitò di comprenderla fra le provincie d'Italia. Se qui volessi semplicemente citare le autorità nazionali e straniere in appoggio di quanto affermo (e ne avrei pronto I' elenco), sarebbe come rinunciare a parlarvi d' altro per quest'oggi, e mettere a troppo dura prova la vostra pazienza. Meglio dunque ch'io, per quanto concerne questa prima ragione della causa che tratto, mi limiti a muovere preghiera ai nostri Corpi scientifici d'infliggere severa censura a chi, scrivendo dell'Italia geografica, massime in libri destinati a farla conoscere alla gioventù delle nostre scuole, copia ancora qualche vecchio testo timbrato a Vienna, ovvero, riproducendo le carte uscite da quelle officine, mostra di credere goffamente, che quel po' di colore, segnatovi sul confine orientale già del Regno Lombardo-Veneto ed ora del Regno d' Italia, stia là a scindere anche l'unità naturale della nostra patria, quasi il pennello politico valesse a farle sparile i suoi monti o a condurseli dietro sulle proprie traccie. Né la natura è di tal guisa soltanto che stabilisce colà i termini d'Italia. Essi appariscono manifesti da ogni altra sua opera ed impronta, e quanti sono i cultori di scienze naturali, a qualunque nazione appartengano, i quali ab- C. 2 — io — bianó esleso le loro ricerche a quella contrada, possono essere addotti a rendere di ciò testimonianza. In questi campi delle indagini scientifiche la verità corre minor pericolo, perocché negli studiosi o suole mancare la passione che persuade ad offenderla, o non è mai tanta la cecità che tolga loro affatto di scorgerla. Ad orni modo, come l'oro-grafia, così i caratteri geologici e idrografici di un paese, il suo clima, la sua flora, la sua fauna, e ogni altra proprietà sua naturale, forniscono documenti che sfidano la frode, che voler qui illudere vale lo stesso che illudersi della peggior maniera, cioè porsi fra gf insipienti innocui, che sono fra tutti i più umili e dispregiati. Ma anche senza soccorso di scienza, le italiane sembianze della natura dell' Istria balzano all'occhio di chiunque le riguardi. Chi dall' opposto versante dell'Alpe Giulia, cioè dal bacino della Sava, varca la frontiera, e, superati i primi suoi divallamenti petrosi, scende sui poggi istriani dello splendido bacino dell'Adriatico, vede rimularsi di un tratto ogni scena. Per quanto egli sia cupido di raffigurarsi la sua Slavia o la sua Germania su quelle rive incantevoli, ei vi trova tosto, e lo confessa, tutto il sorriso del cielo d' Italia, e i tepori del suo clima, e il nostro olivo fra le viti e i gelsi nostri, e quanti sono i vivaci colori profusi sul nostro suolo. Considerée (cosi il Malte-Brunn nel libro decimosesto della sua Geografia universale) dans ses tiini-tes naturelles, la parile septentrionale de l'Italie comprend toitt le versant des Alpes depili» la branche appetiée Alpe* Cotiennes jusqu à celle que fon appelle Alpes ìuliennes. A' princ arrivés sur le versant meridional des Alpes non s voyons e h anger loul-à-coup la végetation, les honmes et les usages. Il semole qu un elimai favorable au laurier au myrl et à l'Olivier porte i homme à i amour de la gioire et aux bienfaits de la civilisution. Ora, che i naturalisti di altre nazioni si rechino, per — 11 — così dire, a frotte ( e il mio Saggio di Bibliografia istriana ne dà lu prova) a investigare parte a parte queir estremo lembo d' Italia, e che le loro fatiche vi trovino largo compenso di varietà e novità di tipi, di forme, di fenomeni, dalle caverne del Carso alle scogliere della marina, dai muschi del Monte Maggiore all' àgave di Pola, non è a dolersene per sicuro, ma sì invece a goderne pei progressi della scienza. Ma non sarchile più lieta cosa ancora, che, mentre alcuni Istriani, sulle orme del loro illustre Biasoletto, sostengono con onore, di fronte agli stranieri, la nobile gara di cotali sludi, altri di qua si aggiungessero ad essi per vincerla, spingendo più oltre o più direttamente al tema di cui ragiono I' esempio dato in passato dallo Zanni-chelli, dal Bianchi, dal Donati, dal Ginnani, dal Fortis, dallo Spallanzani, dal Naccari, dal Chiereghm, e quello più recente eh' è bello dei nomi dello Zanardini, del Nardo, del Visiani, del Cornalia e del Taramelli? Ma se così evidentemente nostra è la terra istriana, lo e del pari la sua popolazione? H fatto di alcune rustiche tribù di Slavi, sparse per la sua campagna, come lo sono pure in alcune parli del Friuli, e come vi hanno Teutonici nel Veneto, Francesi nel Piemonte e Albanesi su quel di bipoli, le toglie forse di vantare pienamente la patria italiana nei riguardi etnografici ? Io prendo qui in esame, comecché fuggevolmente, quel-I' unica delle condizioni del mio paese nativo, la quale può indurre, ehi ben non lo conosce, a credere, che una delle sue ragioni di appartenerci non gli sia propria così intieramente quanto ogni altra. L'Istria, o signori, di cui le statistiche austriache ci danno 1 anagrafe, non è già l'Istria che sola porta questo nome nella storia e quale distinta unità topografica, sì per lo contrario è l'Istria amministrativa, vale a dire un' ag- gregaztone politica operata dai reggitori di Vienna coll'an-nettere alla vera regione istriana parecchi territori, anche d' oltralpe, occupati per intiero o quasi da gente slava e che in ogni tempo le furono estranei. Non è di questa creazione artificiale e recente che cade qui di occuparsi. Qui va considerala unicamente f Istria del suo nome secolare, del suo popolo, della sua patria italiana, 1' Istria che giace a' piedi della Vena e del Caldera fra Duino e Fianona, — e in essa anche la ragione del numero sta pegf italiani suoi abitanti, i quali di un terzo superano gli slavi. >Ia ve ben altro che li fa padroni del campo. Quella piccola ma animosa popolazione italica, le cui origini rimontano alla più lontana antichità, e che rinvigorita dall' elemento Ialino e dal veneto tenne l'Istria da sola sino al secolo nono (come lo attcsta il famoso placito dell' 80-i nel codice Trcvisan) e quasi da sola sino oltre alla metà del decimoquinto, serbò sempre incorrotto attraverso ogni vicenda il suo carattere nazionale, sì eh' è tutta una sola famiglia dalle stesse sembianze e dallo slesso spirito, quando invece gli Slavi, che le furono importati in epoche diverse dalle signorie feudali, e, pur troppo, anche dalla veneta Repubblica, allo scopo di ripopolare le sue terre più interne disertate dalle pesti (i deserta loca dei documenti), sono di dieci e più schiatte, diverse tanto e fra di loro e dalle finitime d' oltremonte che le une colle altre non s'intendono nò colf animo ne col linguaggio, e si trovano consociate soltanto nel desiderio, più volle espresso, di possedere esse pure e scuole italiane e italiani commerci e italiano avvenire. E non basta ancora, che mentre quei villici sorvenuli altro non sanno mostrare che le loro marre a chi della vila loro li ricerca, gf Italiani possono additare con orgoglio i loro municipi, ricchi d'insigni memorie dai tempi di Roma ai giorni nostri, e i loro statuti, fra i pri- lui d* Italia, come anche il Balbo lo scrisse, e una storia tutta fusa nella nostra, e stupendi monumenti dell'arie pagana e cristiana dall' anfiteatro di Pola alla cattedrale di Parenzo, e istituti civili di ogni maniera, e celebrale opere d'illustri loro ingegni negli annali delle scienze, delle lettere e delle arti, e dovizia di tradizioni, di leggende, di canti popolari, di proverbi, che ne ritraggono la vita, conscia di un passato glorioso da onorare e bramosa di future sorti che vi consuonino da meritarsi. L' etnografia di un tal popolo, che serba reliquie di dialetti italici anteriori all'occupazione latina, — che parla tuttavia non poche voci dell' età di Roma, scomparse affatto dalle altre parli d'Italia, — che vanta colonie romaniche ancora viventi sulle rovine degli antichi spaldi, corrosi dall'onda delle genti slave nel secolare abbandono di ogni soccorso, — che sentinella avanzata della nostra nazione sulla porta più perigliosa d'Italia non solo resse all'urto di tante foi 'ze avverse, ma piegò spesso ai propri usi i coabitatori stranieri e le penetrare nei loro idiomi molta parte del proprio, — è senza dubbio degno argomento di studio per qualunque ingegno, ma specialmente pegli Italiani, che troverebbero in esso di che illustrare un episodio di non piccolo interesse della loro vita nazionale, e tale una llora di memorie ohe per vivacità di tinte e robustezza di libra non ò da meno di qualunque altra. E qui entra la storia a confortare di nuovi argomenti il mio assunto. Dissi testò che la storia dell' Istria è tutta italiana. Ora non vi spiaccia che ne trascorra di volo i momenti principali, tanto che anche questo suo vanto suoni qui allo scopo per cui vi parlo. Costituita regione d'Italia già sotto il governo di Roma, r Istria fiori lungamente della più rigogliosa civiltà la- lina. Le sue colonie, i suoi municipi, come Tergeste, Egida, Emona, Parentium, Pola, salirono presto in lama di ricchezza e di forza ; — eleganti e magnifici edilizi, i cui avanzi si ammirano tuttora, e contribuiscono largamente, con un assieme di oltre mille lapidi scritte, a chiarire la civile potenza del genio romano, sorsero ad aggiungere i prestigi dell'arte a quelli della natura, bella di colli e piani ubertosi, che sotto la mano di un popolo intelligente e felice divennero, giusta la descrizione fattane da Cassiodoro, la delizia dei doviziosi, la fortuna de' meno agiati, la campagna di Ravenna, e ornamento d'Italia. E in mezzo a quest'opera grandiosa, più grande ancora fu lo spirito che l'animò, il proposito cioè di rendere quella provincia, che sta di contro al varco più geloso della frontiera d'Italia, quanto meglio si poteva gagliarda a tenerne la guardia, come ce lo dimostrano gì' innumerevoli fortilizi e i valli turriti che vi furono costruiti, e le cui traccie restano tuttora custodi di un pensiero sapiente che deve risorgere. Corsa poi anch'essa, ina non occupata stabilmente, prima di Teodorico, dai barbari, potè, quasi più di ogni altra italiana provincia, conservarsi ancora per lungo tempo non solo la vita ma lo splendore dell' età latina, e ciò per la sua postura di iianco alla via fatale che, superata I' Alpe, mena tosto ai più larghi orizzonti dei piani friulani, e per la ragione inoltre del breve suo ambito, quasi intieramente sul mare, il quale tutto lo frastaglia di seni, di porti, di rade, e dal quale le tornava agevole di trarre gli ajuti a resistere o a rifarsi dei danni patiti. E così, mentre allora appena sorgeva entro ai ripari di questa laguna la più altera gloria di che dopo Roma siasi riconfortata 1' Italia, — mentre il nascente potere di Venezia apparecchiavasi agli alti suoi destini nelle umili sedi di Eraclea e di Malamocco, — e la già tanto doviziosa e formidabile Aquileja giaceva estinta fra i canneti della sua maremma, — Pola teneva il primato tra le città dell Adriatico superiore, e dalla sua Istria, ancora vigorosa sotto le armi dell' antica sua fortuna, venivano qui, più in ausilio dei profughi che profughe esse medesime, molte e molte di quelle insigni famiglie, i cui nomi ricinsero poi di sì luminosi raggi il gran nome della loro Repubblica. Il turbine dei tristi tempi si rovesciò più tardi anche siili' istriana provincia ; ma quel grande suo vanto non ne andò sperduto, che anzi influì per sicuro a ricondurre alle avite spiaggie i Veneziani, appena loro crebbe l'animo di osare. Ed invero, l'Istria, sebbene desolala anch'essa dal flagello delle invasioni barbariche nei lunghi anni luttuosi, che seguirono dalla guerra gotica al regno dei Eranchi, era però sempre ricca dei mirabili suoi porti, dai quali soltanto potevasi guardare e signoreggiare il golfo. Ed essa inoltre s'era mantenuta quasi tutta e quasi sempre indipendente dai Longobardi sotto il nominale dominio di Bisanzio, rappresentato dall'esarca di Ravenna e più davvicino dal maestro dei militi, e con liberi ordini municipali, siili' antico modello romano, dell'età in cui il correttore, il preside od altro consimile magistrato la governava assieme con la Venezia. Di tal modo la storia dell' Istria da Alboino a Carlo Magno è prova continua, che, anche dopo spezzata da quello, mediante 1 occupazione del Veneto, l'unione amministrativa di esso colla regione dell'Alpe Giulia, le città istriane continuarono a tenersi collegate in vera società coi fratelli di questa laguna, loro ajutatrici da prima, aiutate poi da chi già si avviava a ridonar loro una nuova Roma sul loro mare. Quindi, se con Carlo Magno hanno principio nuove sventure per l'Istria, e prima fra tutte il feudalismo, erettosi allora per la prima volta nelle sue campagne, nuovo Compenso le fu dato di vita italiana, e questa, vòlta com'era' a una gran meta, fu piena di dure prove e di generosi ardimenti. Traducendo il sodali/io di fatto, che aveva stretto con Venezia, in formale federazione, regolata da patti solenni, nei quali giurava di retili ere honorem beali Marci, di combattere sotto il suo vessillo ab.squc jus,w imperatori*, e di prestare tributo di navi, di derrate, di prodotti delle sue industrie, l'istriana provincia, via via che quel baluardo d" Italia rendev asi più forte e di maggiori imprese capace, passò dall' alleanza sotto la prolezione, e dalla protezione sotto il governo di esso. È questo un lungo periodo fortunosissimo che si svolge dal secolo nono ai primi anni del decimoquinlo, meritevole di essere profondamente studiato non già solo da storie municipali e provinciali, ma da quella ancora di Venezia e d'Italia e dello stesso medio evo in generale, i cui falli di si vario e intricato sviluppo hanno bisogno d ogni loro profilo e d' ogni riscontro di colori e di ombre per essere ritratto con verità di disegno e di rilievo. Fu lotta estrema fra l'elemento nazionale e Io straniero, le franchigie municipali e il de-spotismo feudale, le città guelfe e le baronie ghibelline, In civiltà e la barbarie, il diritto e l'usurpazione. K vinse la buona causa per le virtù della saggezza, del coraggio, della perseveranza di Venezia, mirabilmente secondate dal patriottismo e dal valore dogi' Istriani, e alle quali la storia darà encomi maggiori di quelli dati finora, quando i nuovi studi sul passato, attinti a tutte le loro fonti in casa e fuori, avranno ristabilito pienamente questa brillantissima parte dell' opera sua millenaria. Le nuove sventure, a cui f Istria tenne fronte nel detto periodo, riassumo così:—Orde slovene importate dal Friuli su alcune delle sue terre montane; — fatta una marca feudale di quelle frazioni della provincia che non riuscirono a salvare la propria indipendenza dai nuovi ordini ; — ascritte bensì le une e le altre al titolo del Regno d' Italia e non mai a quello del Regno germanico, per modo anzi che pur m'ir età pii'i infelice del feudalismo alemanno I' Istria si trova annoverata fra le regioni italiane soggette al diritto fatino, invece che al longobardico, assieme con Roma, Venezia, Ravenna, Napoli, la Pentapoli, la Toscana, l'Umbria, l' Abruzzo, la Calabria, ma franta I' unità del paese e modus vivendi per esso la guerra, a così dire, di ogni giorno ; — i signori della marca, cioè i comites limi-tnnci o mai-gravi, come furono chiamali in appresso, da prima francesi e poi tedeschi, tramutatisi da elettivi in ereditari, e cosi, sebbene assenti sempre nelle loro signore d'oltremonte, divenuti mano mano più ostili a tutti i comuni istriani, dei quali gli uni erano obbligali al solo tri-tolto, gli altri franchi del tutto da ogni soggezione; — sórla sotto lo stesso nome dell'Istria, ma del pari estranea all'Istria comunale o civile, quell'altra fattura feudale che fu la Contea, quasi non più che gastaldia del marchesato in sul principio, ma poi corpo a sè, temibile non poco anche nella ristretta sua cerchia, perchè in possesso del varco del Monte Maggiore ; — costituitesi agli altri passi dell'Alpe Giulia le altre contee della Carsia e di Gorizia, e alzata di tal manie-ra, se non dentro agli accampamenti della popolazione italiana dell' Istria, sulle linee più importanti della sua difesa, già sì lungamente e strenuamente tenute, la bandiera delle genti transalpine ; — succeduti nel marchesato i patriarchi di Aquileja, meno lidi, è vero, alle mire straniere e meno stranieri essi medesimi, ma non meno avversi all' antico e non mai logoro o stanco indirizzo della istriana provincia, c più risoluti anzi a combatterlo colle insidie e colla forza, vicini com' erano e quasi presenti al campo della lotta; — l'Austria infine o già subentrata o prossima a subentrare, dalle sue acropoli della Carniola e della Carinzia, a quelle Piccole signorie, che le avevano prestalo l'officio di avanguardie, l'Austria già spintasi tino ad una rada dell Adria- c. 3 lieo, vale a dire lino a Trieste, nella quale, pur lasciandola libero comune italico, stette (piasi cuneo confitto Ira I' I-stria e il Friuli, le due estreme contrade italiane della Repubblica, e potè così impedire eh' ella riconquistaSS6 a sè e alla nazione la frontiera tutta dell' Alpe Giulia secondo che aspirava costantemente dietro la guida dei ricordi di Roma. Conlido non sia il solo amore della patria che mi taccia apparire ammirevole e degna dello studio di ogni ricercatore dei fatti italiani non meno la costanza dell'Istria nel pensiero e nelf opera nazionale contro tanto succedersi di avversità, di quello che la sagacia di Venezia che seppe valersene, salvando almeno per l'avvenire interessi e destini d'Italia, i quali altrimenti sarebbero periti forse per sempre e forse ancora senza neanche una voce di postumo compianto. — I comuni istriani non cedettero mai uè ai marchesi laici nè ai marchesi chierici;—tentatosi da questi ultimi di formarsi un partito in alcuno di essi, prima e dopo le volontarie loro dedizioni alla Repubblica che si sono succedute tino dal secolo XII, e spintolo anche a qualche rivolta, sì che certi cronisti, non registrando quasi altri fatti che questi rispetto all' Istria, indussero anche storici diligenti a narrare conquiste veneziane non solo contro il marchesato delle campagne feudali, ma anche contro la stessa Istria (tanto diversa) dei comuni, il patriottismo italiano trascorse pur là, come portava la fierezza di que' tempi, a sanguinose e barbare vendette per furia di popolo, esempio quella più atroce fra tutte che fu detta la strage dei Sergi in Pola ; — assalito per mare e per terra da Slavi, Saraceni, Ungari ed altre schiere di barbari e di predoni, nè risparmiato, pur troppo, in quella maledizione delle guerre civili, da Pisa e Genova, che a ferire la potenza di Venezia facevano impeto principalmente contro i lidi istriani, quel popolo fu continuamente in armi così nel- te rocche cittadine come sulle navi degli arditissimi suoi itoli, ossia di quelle svelle flottiglie, alle quali il governo di S. Marco commetteva il rischio e l'onore di guardare il golfo ; — cento e cento combattimenti sostenne esso allora nel nome d'Italia, cui se la ristretta scena e l'età oscura tolsero le segnalate testimonianze, è giusto ora salvare dal-I oblio, che il merito delle azioni generose sta nella virtù loro e non nel rumore che se ne sia levato ; — anch' esso ebbe la sua Legnano a Salvore, come un egregio storiografo triestino attende ora a dimostrarlo contro i dubbi con che piace a molti di mettere in forse quel lontano avvenimento;— anch'esso vanta esempi molti di eroico valore, di cui alcuni sarebbero pari in tutto a quelli dei Mica e dei "ragadin, se loro pure fossero toccale in sorte le onoranze della fama seguace, illacrimabìles . .. • , ignotique longa nocle, careni quia vate sacro;—esso infine, e qui esso solo veramente, può spiegare sotto gli occhi di ogni più rigido censore tulle le sue memorie, provocando a scoprirvi una sola macchia per fede mancata all' Italia, mentre tante invece se ne trovano, pur troppo, in tante altre delle più illustri della storia nostra. Ma procediamo solleciti. Con Venezia, impadronilasi nel 4420 anche del marchesato, comincia per l'Istria un'eia migliore, nella quale la vita, fallasi più tranquilla e sicura, s'ingentilisce negli studi e si sviluppa variamente sotto sagaci ordinamenti, dei quali non pochi durano tuttavia negli usi ed anche in alcuni statuti o regolamenti su cui non è passata ancora la mano del nuovo legislatore. L' antica civiltà nostra, non mai spentasi su quell' e-Btremo lido d'Italia, vi riprese vigore assai presto sotto I' azione delle stesse cause che la fecero rinascere e iìorire si bene per rutta la penisola. Ed è qui, panni, che cade di rilevare, come l'Istria vada superba di una numerosa sebie-'a di eultori distinti delle scienze e delle arti belle, della quale tutta la nostra nazione si onora e non hanno l'eguale molto e molte delle minori provincia sorelle. Preceduta dal seniore Vergono, che appartiene all'età anteriore, e che a ragione il Platina mette, per ordine di tempo, primo fra i migliori, i quali, dopo il Petrarca, abbiano posto mano alla ristaurazione degli studi classici, questa schiera, a trasceglierne soltanto un drappello e lacere «li ogni contemporaneo, conta il giuniore Vergerlo e il Flaccio, rinomatissimi nella storia della Riforma, il Muzio, che meritò di essere chiamato l'emulo del Davanzali, - il Santorio, illustre caposcuola nelle mediche discipline, - il Carli, gloria della scienza economica italiana e insieme storiografo fra i più eruditi del secolo del Muratori, che pur tanti se n'ebbe di grandissimo valore, - il Carpaccio, le cui tele sono qui, in questa città monumentale, ammirate fra le più degne opere del purismo della scuola veneziana, e ne contendono la palma a quelle del Giambellino e del Cima da Concgliano, - e infine il sommo Tartini, vero genio della musica, che legò alla posterità non solo le immortali sue armonie, ma dottrine così profonde e nuove sulle leggi de' suoni che gli studi recenti riconoscono ogni dì più meravigliose. — Quando pure V Istria non portasse sul proprio scudo altro titolo che questo, lascio giudicare a voi, propugnatori delle ragioni dell'ingegno, se non dovremmo, meglio che riconoscerle, vantare la italiana sua cittadinanza. Ho precorso i tempi di cui mi resta far cenno, tratto da sì confortanti ricordi. Rifacendomi ora su di essi, cioè sull' ultimo periodo della storia di Venezia neh" Istria (che così ormai va chiamata la storia di cotcsta provincia), soggiungo tosto, che, sebbene a maggiori intervalli, nemmeno allora le mancarono memorande occasioni di distinguersi per larghi sacrifizi di sangue e di averi in difficili cimenti contro lo straniero. I Turchi, gli Austriaci, gli Uscocchi più volte la invasero, la depredarono, la coprirono di stra- — 24 — gì, ed ella trovò in se I' animo sempre pari al pericolo, e avvenne perfino die da sola respingesse talora i fieri assalti, con armi proprie e con a capo quel nobilissimo suo Patriziato, il quale si meritò a storico delle sue gesta, come mille ducali di questi archivi rendono fede, lo stesso Governo della Repubblica. Ne questa, incontratasi coll'Auslria, giusta quello che ho giù notato, ai conlini dell' Istria e del Friuli, dopo aver levato di mezzo il principato dei patriarchi di Aquileja, abbandonò, di fronte alla crescente potenza del grande Stato vicino, la generosa speranza di allargare il suo dominio su tutto il versante italiano dell'Alpe Giulia, come lo comprovano molti pubblici documenti e relazioni dotte e sagaci, provocate dal Senato, di celebri uomini d' arme. Anzi, nella guerra contro Massimiliano le riuscì, comecché per Per poco, di compierla. Inalberato allora il suo vessillo al varco di Postoina (le .Ir* Postuniie dei Romani), forse non ne sarebbe slata più rimossa, se la lega di Cambrai non ]e avesse franta l'impresa. E nuovamente più tardi si slanciò alla stessa meta in guerra gagliarda, quando le atrocità degli Uscocchi, narrate dal Minucci c dal Sarpi, la trassero a ritentare la prova. Che se questa non fu più felice dell'altra, entrambe attestarono del pari, quanto e per quale ragione suprema premesse a Venezia di vincerle. E non tarderà, giova sperarlo, chi nell'attuale risveglio degli studi storici, sì bene promosso e diretto per nuove vie anche ^a noi, sorga a bene illustrare questo importantissimo indirizzo della politica italiana di Venezia, fin qui troppo trascurato e pur sì meritevole di essere fatto argomento di accurate ricerche e di giudizio attento, non solo in omaggio alla verità e per aggiungere onore al senno di quell'accortissimo Governo, come richiede la religione del passato, ma ancora a nostro ammaestramento sì pel presente che I'01' l'avvenire, allineile, dala l'occasione, l'Italia unita non si mostri «la meno «li ciò che Tu una sola delte sue città. Ma è tempo di chiudere questo rapidissimo sommario della storia dell' Istria. Posseduta da Venezia, quando questa non teneva ancora, a cosi esprimermi, i margini della sua laguna, essa fu la prima a brandire le sue armi e fu l'ultima a deporlo; poi le sotterrò con tale lamento che fu la sola voce degna levatasi al tramonto di tanta grandezza. Non vi dirò dei brevi anni, nei quali l'Istria fu provincia del Regno Italico e provincia preziosa sia per ragioni militari del maggior momento, sia per la sua marina, giudicata dal Baudé la première officine d'liommes de mer e che può dirsi col Nelson essere tutta un porlo, come pure per l'alto valore de'suoi boschi e stabilimenti salini. Troppo presto precipitarono quo' nuovi suoi destini e ne seguì il servaggio che dura ancora per lei. Or qui, se potessi indugiarmi, volentieri vi esporrei, con cifre alla mano, come questo servaggio, il quale non valse mai a rimutare l'animo dcgl' Istriani, non bastò nemmeno a sviarne gf interessi economici. A stringere su di questo molte prove in una sola, basti rammentare, che si è dovuto escludere la penisola istriana dalla lega doganale dell'Austria, cioè rinunciarla ai commerci nostri. E se Trieste serve ai traffici della Germania orientale, anche Venezia e Genova servono a quelli della Germania centrale e occidentale, senza che alcuno si lasci cadere in mente per ciò di concedere su di esse diritto qualsiasi alle signorie d' oltralpe. — Nò ragionando tale argomento, si male compreso dai più, va dimenticato, che lo straniero, il quale sta sull'Adriatico, non ne sarebbe già escluso quando lasciasse l'Istria, secondo che sudisi credere per grossolano errore, ma terrebbe ancora, oltre ad ottime sue di- — ì>3 — fese s li M opposto versante dell' Alpe Giulia, un litorale, da Fiume a Cataro, sci volte più esteso dell' istriano e portuoso del pari ; come non va dimenticato inoltre, per ciò «'he riguarda le pretese ad un Mare Germanico del Sud nel golfo, già sempre italiano, dei Dandolo, dei Pisani e degli Zeno, protestarvi contro anche il fatto che nessuna stirpe tedesca s'incontra sulle sue rive nò dappresso, dappresso essendovi, e per largo tratto di popolose provincie, la sola Slavia. Ma lasciando ciò, conviene mi porti senz'altro a toccare di un' ultima ragione che soccorre alla mia parola e eh' io non potrei passare intieramente sotto silenzio in questo mio forse già troppo lungo discorso. È ragione cotesta che si riferisce alla sicurezza del nostro Regno, e sebbene sia così fatta da condurre sul terreno «Iella politica per ignei cineri supposilos, io ne la terrò fuori studiosamente, dichiarando che quanto sto per dirne alla sfuggita non mira ad altro che a provocare sludi, sciolti di ogni carattere officiale, sulle condizioni e sugl'interessi d'Italia sotto tale riguardo. Neanche scrupoli di convenienza possono interdirceli. Sarebbe invero, a dir l'oco, pretensione ridicola quella di volere che la nostra nazione non solo tolleri pazientemente i suoi danni, come f;i (<>n mansuetudine più presto unica che rara, non solo desideri pace ed accordo contro il comune pericolo con «.negli stessi che la costringono a subirli, ma si astenga perfino da qualunque atto che possa condurre a vederli. Pur troppo, dal vedere al provvedere non è sempre nò breve nò piana la via, e ad ogni modo noi qui non si mette piede in essa, nò io mi rivolgo a quelli i quali, così piacendo al ciclo potrebbero percorrerla. Che se poi il conoscere e condizione e può essere avviamento al fare, perchè pone in grado di Vigilarne e coglierne le occasioni, ciò spella a queir ordine naturale di cui nessuno ha ragione di richiamarsi. Con questa premessa, affermo, appoggiato alle autorità più competenti, che dai piani del Friuli al capo di S. Maria di Leuca è sguernito di ogni valida difesa tutto il fianco orientale del nostro Regno, e che va ben deplorato un assetto per cui dei due Stati, fra cui si addentra l'Adriatico, l'uno vi abbia ogni potere e punto l'altro, quello stringa ogni mezzo di offesa e questo sia privo invece anche della più necessaria difesa. Ed invero, il contine che abbiamo nel Friuli corre per gran parie in aperta campagna al di qua dello stesso Isonzo e sotto il cannone di chi occupa i contrafforti delle Giulie. Tutti e tre i varchi di questa nostra cinta alpina (Pro-dil, Postoina e Ciana) sono in potere altrui. Senza I' Alpe Giulia pertanto, senza l'Istria, eh'è campo mirabilmente chiuso dalla natura di contro alle vie d' oltremonte, molo d'approdo proteso verso Venezia quasi a formarle di quell'ultimo seno dell'Adriatico il SUO gran porto esteriore, e perciò testa di ponte e complemento della sua fortezza, — tutto il Veneto e scoperto fino all'Adige e al Poe deve essere considerato nei riguardi militari, giusta una celebre frase, nulla più che un1 anticamera d'Italia senza imposte nè d'uscì nè di finestre. Nò meno infelice è la nostra posizione siili' Adriatico. Il nostro litorale (per usare le parole del Menis, che trovano piena conferma negli scritti del Paleocapa e del Wùl-lerstorf) è basso, piano, sabbioso, senza sviluppo d'insenature, con ratti- mal sicure ed ancoraggi pochi ed infidi, incerto, instabile, profondamente corroso e smarginalo da gran copia di fiumi, di eanali, di stagni, nonché esposto ai venti levantini che ne contrastano la navigazione. — Tralasciando di avvertire i gravissimi danni che ne derivano a molteplici interessi della stessa navigazione commerciale per noi elio non occupiamo nell' Adriatico il benché minimo tratto della sua costa di levante, alla quale pur si (Icae Poggiare indeclinabilmente, qui ini limilo a notare, che non un solo vero porto di guerra si apre nel nostro lido. Venezia medesima, la quale non ha pel grosso naviglio che mia sola e non facile bocca, vale a dire il canale di Mala-mocco, non è perciò propriamente che un arsenale militare, come ben lo riconobbe anche la Repubblica, lenendo sempre nei porti di Pola e del Quieto le sue triremi alla guardia del golfo. E basta, certo, porsi sott'occhio questi fatti per vedere, che, non potendosi difendere efficacemente Un lungo litorale che mediante una dotta, nè destinare flotta a tal fine senza un vero porto di guerra, il quale le serva di base d'operazione, da cui muovere e dove prendere rifugio agevolmente, la nostra frontiera marittima dell' A-dria si giace inerme, sì che potrebbe essere aggredita e varcata in più punii ad un tempo nel giro di poche ore specialmente da ohi tiene gli eccellenti porti del litorale opposto. Quello che da tutto ciò consegue riguardo all' inapprezzabile valore dell' Istria per le più imperiose ragioni della nostra sicurezza, e perchè Venezia non resti imprigionata nella sua laguna quasi naviglio in disarmo, non ho bisogno di dirlo. Se il buon senso non si stimasse abbastanza sicuro delle sue conclusioni, verrebbe a confermargliele ampiamente la scienza. A ricercarne i giudizi possono servire le indicazioni che si leggono in parecchi lavori (I), (1) Di quelli tr a i mici die dovettero uscire anonimi e furono ''Pihniti talora ad autori diversi, debbo, per non apparire colpevole di plagio, citare i seguenti: Etnografia istriana, nella Rivista contemporanea di Torino, settembre 1860 e giugno 1861 ; — La frontiera orientale d'Italia e la sua importanza, nel Politecnico d| Milano, vol. XIII, 1862; — L' Istria e l'Alpe Giulia, Monza, 1866, e nella lìivista Contemporanea dello stesso anno; — Appello de-9* Utriani all'Italia, a pag. 19-50 della pubblicazione La Provincia Istria c la Città di Trieste, Firenze, Barbera, 1866. che trattarono la causa istriana e ch'io mi recherò a debito di presentare a questo illustre Istituto. Qui indicherò soltanto le Memorie del Marmont, la Storia politica e militare del principe Eugenio pel generale de Vaudroncourt, i Propugnacoli d'Italia di Annibale Saluzzo, la Marina dell'Austria del Baude, e le storie del Thiers. La sintesi poi di lutti i ragionamenti sta in una memorabile sentenza proferita dal più gran capitano dell'età moderna. L'Alpe Giulia, disse egli, è compimento del Regno d'Italia ; —perchè questo non s' abbia il nemico in casa, la linea dell'Adige va portata ti quei monti, à l' Istri <\ qui l'empori, par la convenance et la valeur intrinsèque, de beaucoup surla Lombardie. Or altro non aggiungo. Se narrassi ancora la lunga serie delle prove di patriottismo date dagl' Istriani anche in questi ultimi anni e in ogni campo del fortunato nostro risorgimento, non mi riuscirebbe di stare ai rispetti che mi sono prescritto. Ne ho già raccolte le memorie autentiche, e sto ordinandole in volume che spero di potei1 pubblicare quanto prima. Quella parte di esse poi, la quale ritrae il movimento intellettuale dell' Istria ai tempi nostri e il fecondo lavoro delle istituzioni e delle riforme civili che lo accompagnò attraverso alle più aspre opposizioni, mi riservo di rappresentarvi un' altra volta, occorrendone relazione alquanto diffusa. E sarebbe ozioso, infine, ch'io facessi perorazioni a voi, qui in questa rocca dell' immortale pensiero di Venezia, dove affettuosa sempre, e per secoli domestica, suonò la voce della mia provincia naliva. Possa io, o signori, avervi indotto a ripetere, guardando a lei, lo agnosco veleria vestigia jlammae.