fffl DEL SECOLO XVI TRADOTTE IN LINGUA TOSCANA DAL CONTE TISTA CONTI ED PERE ORI GINàLl DEL MKDEijLJWO Li • ' ► i ^^ • J^ * . •• » ' • li .Iii ^ ■ • r • i* K )' t v: ' ir, v KKLLA TlPO(;il. DF.L SK.illNArJO lUlCCCXIX« •-»VilVWDIiv»»«**"^ OSSiU^éiiO i/f tfommaso Jadccj al/a ^rocsiLi L* aiid //r/n I, ih INTOllKO ALLA POESIA CASTIGLlANA DAL SEGOLO XIE MXO X^ PHINCIIM DEI. HVl. .I-Ja prima fpoea cloììa' iiiigiia castigìiauii viene comuìiemenle fissata nel secolo xn, non quanto all' uso di essa nella locuzione familiare, di cui non si può stabilire tempo determinato, ma quanto all' uso nella scrittura , del qtiale durino monumenti fiiìo a' tempi nostri. Dalla lingua latina 5 clie a poco a poco si andò corrompendo 5 e fini di sfigurarsi per le invasioni de' Goti 5 degli Arabi, e d'altre barliare nazioni 5 nacque la castigliana, come per simili cagioni naccjuero altre lingue volgari deniro n fuori di Spagna . La poesia pifi antica, che si conosca in essa, è un poema cV incerio amore^ nel quale si racconiano le imprese di D. Rodrigo di Bivar, chiamalo il Cid Campeador » Comprende cpiesLo r esilio intimalo al Cid dal re D. Alfonso vi, la di lui uscita da Bivar sua patria, il passaggio per Biu'gos, le molle vittorie, e finalmente la riconciliazione col re. È scritto con tale semplicità, die i versi non hanno determinalo numero di sillabe, ne redola fissa di assonanti e di consonanti. f ij ' e si crede essere stalo composto intorno alia iiìcià del secolo xii. A questo poema succedono le poesie di D» Gonzalo di Berceoj villaggio prossimo al monasterio dei Benedettini di s. Millan, che fiorì tra il fine del secolo xu, e il prhicipio del sin. Vi ò questione se fosse chierico o monaco di dello mona-sterioo Le di lui opere poetiche sono molte, e tutte sopra soggetti sacri, e scritte a modo d'istoria ^ Questo aiuore e degno di stima per la Isella sem-® plicità dello stile, e per le ottime massime di cri-sliana morale, delle quali ahhoiida. Usò egli quartine con verso, che chiamasi alessandrino j o perche il romanzo della vita di Ales- Sandro Magno ò composto con tal üona ili V(?rs(j, o perdiò si chiama Alcssantlro ili Parigi il poeta, clic uuilamcnlc a Lamljerio Licors lo rompose. 11 verso alessandrino lia dodici, tredici, qnaiiordiri, qnindlci e sedici sillabe, ma, avuio riguardo al valore del tempo, è sempre di quattordici, perdiè ]' iiklnia sillaba con V accento nelle voci ironclie alla nielà o al line del verso equivale a due lun-f»lje, e le due ukime sillabe brevi della voce sdrucciola equivalgono ad una lunga, cosi che è formalo di due parli eguali ciascuna di selle sillalie. Questo verso in Ispagna fin dall'anno i -Joo fu ali-Imidonato, e con ragione, perclic ad ogni orecchio bene organizzato riesce incomodissimo; e tale riuscirà sempre, particolarmente nei lungili poemi, qualunque verso, che sia composto di due parli eguali nel numero delle sillabe e nell' armonia o ' 11 re D. Alfonso il saggio liglio del santo re D. Filmando, che nacque l'anno laai, e mori l'anno iiuS/j., fu gran protettore delle lettere, an-rhe in mezzo airaflHzione di vedersi al)bandonato da'suoi vassalli, e perseguitato dal proprio liglio. Questo re non solo scrisse, e fece scrivere multe upero in prosa, ma fìompos«» ])0csu? iu lingna jra-glicga e casüglmiia. Sei isso nella oasli<»llana iliio Ii-lili, l'uno inlitolato IiLro dvi Lanicnli, Tahro del Tesoro. 11 primo fu da lui coniposLo nel leinpu dello suo disavveiiUire . L'akro lihro deLlo il Tesoro c ima poesìa didascalica di eliimira, il di cui arj^ouienlo è la pio-ira lilosolale. Nel cudlrn, dio si eoiisei va fra i iiiss. della Li-UioLeca reale, dopo undici ottave vengono 55 pa~ ra^^rafi di numero ineguale di linee, eluè alcuni di w Ö * dieci, alcuni di nove, e alcuni di nove e mezzo e liuti posti in cifra cosi implicata, rlie non fu possibile scoprirne raU'aboLojil che mi Ja credere che il re Ü. Alfonso scrivesse per passatenjpo <ìò-pra tale ai'gomento chimerico, e volf^sse fare impazzire i curiosi e gli avari col mezzo della cifra. Questo ottave sono composte di versi, (Jie IVi-rono cliinmati di arte jnaggiore, o per distinguerli da quelli di uiinor inisiira , o perchè creduli allora ])iii ani ad esprimei-c le coso di mngj^iore importanza. Il verso di arte magi^iore ha dieci, undici 0 dodici sillaliej ma per valore di tr-mpo è sem- pre di dodici, ed è formato di due parti eguali5 ognmia di sei sillabe 5 e eoii la medesima armonia « In questo verso 5 che da circa due secoli è disusato in Castigliaj vi sono gli stessi difetti, die aLljiamo notati nel verso alessandrino. Il principe D. Giovanni Manuel nipote del santo re D. Fernando, e figlio clelF infante D. Manuel, die nacrjuo nel 1280, e mori nel 154.7, verslüfjo ogli pru-e in lingua castigliana , 11 di lui libro in= iit».>lato il Conte Lucanor, che fu pubblicato da Gonzalo Argote di Biolina, e composto di 49 novelle, ognuna delle quali finisce in una piecJola poesia istruttiva, e sempre con differente metro . Fra gli altri versi si trovano due endecasillalji. Il verso di redondilla b il pili antico e più usi-tìio in Ispagna . Quello di redoìidilla maggiore e di otto slllalie: quello della minore e di sette, sei, cinque e quattro. Quello di sette dicesi endecha, e qudlo di quattro si diiama piede tronco « ìi assai naturale che i proverI)j , i detti acuti, lo sentenze, che ricercano brevità e concisione, siano I * stati r origine di tali versi corti. Ti c gran qn.ui-lità di proverbj in Ispaguii espressi con tal genere di verso, ehe sono anterlori ai versi scrini poeta cognito, ed alla prosa castigliana. Chiamarono i Casiigliaiii copLis tutte le metriche coinlii-iiazioni, ed anche in generale le opere poetiche dej»U autori, e chiamarono i versi piesy o bordo-' nes o Ora la voce coplds si applica solamente a pormi l>assi, ed ai ridicoli romanzi. Mi sovviene di avere fatto uso di sopra d'altri due vocaboli castigliani, cioc consonante e assonante. Il consonante c la rima perfetta, come canto, manto, santo, tanto, quanto. L'assonante e la rima imperfetta, come alma, santa, sacra, Italia, amava. Questa cbhe origine dalla gente volgare, che faceva errore nella formazione dei consonanti, e fu poi adottata e ri-^ dotta a certe leggi chd buoni poeti. Quanto agli altri atitori ed opere poetiche, che si riferiscono a' tempi, de' quali si c lliiora parlato, ecco ciò che promette il dotto e benemerita D. Tommaso Antonio Sanchez bibliotecario di S, M. nella sua collezione di poesie castigliane onte« riori al secolo xv. »I poemi, che per ora vedranno la luce, avuto 5)riguardo iielFordino alla loro vera, o verisimllo iJiiiiLicliiLk, saranBO i seguenti. Il poema del Cid » Gaiiipeador 5 le poesie di D. Gonzalo di Berceo| »la vita di s. Idelfonso scrina dal benefiziato di » Lbeda j le poesie di Giovanni Raiz arciprete di »Hlta^ quelle dell'ebreo U« Santo^ quelle di Pie» tro Lopez di Ayala 3 V istoria del conte Fernando Gonzalez^ alcuni versi di Pietro Goniez. Entre-» ranno pariniente in questa collezione, se ci riu-» selr.-i di farne opportunamente la scoperta, il poema di Alessandro 5 i vóti del Pavon, le poesie di »Ü. Giovanni Manuel, autore del Conte Lucanori {Inalniente ogni altra poesia, che fossero gli a» manti della letteratura per comunicarci, purché >5 sia anteriore al secolo xv» » Tenendo a'poeti del secolo xv, il re D. Giovanni Il di Casiigliaj che nacque nel e mori l'anno i.j54 , pi'ravan non se ii' e ancora scoperta vernnii Lascio di far menzione tli molli altri poeti di questo secolo, che furono di poca fama , potendo i curiosi dell' aiuicliiià avere rlcor-so al dolio canzonicre generale, e parlerò di cjMoin, die lianno avuto maggior influenza nel mi-£;lìoranionlo della poesia. Ö. Enrico de Yillena, die morì Fanno . Ih buon malcmalico, ed elegante poeta, secondo die afrennano gli seriilori eonlemporanei ^ ma non .si sa il destino delle di Ini poesie?. D. Nicolas Antonio nella sua Bìlilioieea ispana dice, die scrisse in versi le falidie d'Ercole,'libro impresso in Bnr-gos verso la fnie d(»l secolo xv; ma si e trovato du; fjuesto libro ò in prosa. Si dice altresì di'egli alibia (alla la versione del poema di Danu?. Di qnf\sio poeta ho veduto tradotto in olta%x^ d'arte n-aggior, e illìistrato solamente F Inferno non dal detto ì~ill(nia , ma tla Do Pietro Fernandez di Vii-JcgMS arcidiacono di Bttrgos: la quale opera com-p(jsta per comando di Ü. Giovanna d'Aragon figlia liei re Caitolico, e pubblicata in Burgos V anno i5r5 ò degna di stima, avuto riguardo a'tempi, ne' cpiaii Ju srritta. Vi sono due opere di esso Yillena, cbe avranno in quel tempo recata molta uli-liUi alla poesia castig!iai:a . L'una e un ccjpiosi.j commeiìlo scritto in idioma casligliano sopra i tre primi nini dell'Eneide di Virgilio j l'altra e sopra la gaja scienza, o arte di trobur. L'esercizio poetico con questo nome di gaja scienza, cioè di scienza o arie allegra e piacevole, e col premio della giojfi, ch'era una violetta d'oro, fu istituito in Tolosa Fanno ì52/\.; passò a Barcellona nel tempo del re d'Aragon D. Gio\annj primo ^ e fu poscia recato in Castiglia dal detto D. Enrico di Tillena • Ma questa miova arte di trobaVs o scienza gaja non introdusse in Casiìglia alcun nuovo metro, perchè tutti i metri, che si usarono in questo secolo xv, erano gli usati ne' secoli antecedenti. Ciò che quest' arte produsse, fu uu più frequente esercizio di versific^azionc, qualche novità negli argomenti, o nel modo di trattarli, e lo assoggettare a censura le poesie. D. Innigo Lopez di Mendoza primo marrhrse di Santigliana nacque Tanno iSgS, e inori l'anno 1458. Fu uomo de' più riguardevoli de' svun tempi per maturità di consiglio, perizia miliiare e letteratura . Reca non poca meraviglia il vedere le molte opere poetiche da lui composte, «id onta delle dis- cor die civili, cltille laute guerre cjj Navàrri ^ Aragonesi, e Mori (li Granata, della difesa dc'proprj stali, e degli affari politici, clic lo tennero conti-imamente occupato. 11 soprannominalo D. Tommaso Antonio Sanchez nel primo tomo della sua collezione porta molte notizie attenenti alla vita di questo marcdiesc, ci dà mi lungo catalogo delle di lui opere, ed illustra con tullissime note la lettera scritta al contestabile di Portogallo, di cui aLLia-1110 sopra parlato. I3elle opere impresse le migliori sono il libro dei Proverbj, e il dialogo fra Bias e !a Fortuna, ambedue scritte in redondille. Il libro dei Provcrl)] fu da lui composto per far cosa grata al re D. Giovanni ii, ad istruzione del figlio D» ____ t Enrico di Castiglia, che gli successe nella corona, € fu il IV di questo nome. L'opera e ad imitazione delle massime di Salomone, e piena di sana politica, e di cristiana morale. Il dialogo fra Biàs € la Fortuna fu coiiiposto dal marchese per conforto del conte d'Alba di lui cugino carcerato nella fortezza di lloa d'ordine del re. Il dialogo abbonda di acute sentenze, e di documenti atti a rendere il cuore umano superiore ai colpi della fortuna. Fra lo opere maiioscrktc, ch'esistono negli amliivj del duca dell'Infantado dì lui discendeule, le plìi pregiate sodo due poeiiuati, l'uno sopra il (Ine lrasi ico di 1). Alvaro di Luna maestro dell'ordine di 0 s. Giacomo accaduto l'anno 1453 | l'altro soprala battaglia navale fra i Genovesi da una parte, e i re d'Aragona e di Navarra dall'altra seguita Fanno 1 /p5. È anche in pregio il di lui poema sopra la creazione del mondo, che si conserva manoscritto ncJlu libreria della chiesa di Oviedo. 11 libro, alla di cui lettura e studio si applicò egli con particolare attenzione, fu il poema, ovvero commedia di Dante Alighieri, che al>biamo di sopra nominalo. Mosen Jalnie Ferrot de Blanes catalano in un libro scritto nell' idioma limosino al tempo dei re cattolici, intitolato Sentenze cattoliche del divino poeta Dante, ed impresso Tanno i545, fa onorifica menzione del marchese, e lo chiama sascirio e prudente cavaliere, degno di riverente memoria : ed aggiugne ; E quantunque abbondasse egli con pienezza di molta scienza, fu assai grande dantista, avendo molte parti dtj' suoi Proverbj gran somiglianza ad alcuni passi della commedia di detto autore. Ma il poeta, cli'cl)l>c fama sopra ogni altro in questo secolo, fu Giovanni di Mena aiiiatissiiiio dal re D. Giovanni ii. Egli naoque, per quel die si crede 5 l'anno 1411,0 morì Fanno i/|56. L'opens più rinomata di Giovanni di Mena e il LaLerinto scritto in 000 ottave d'arte maggióre» In questo poema finge V autore di essere trasportato ad una grande pianura, dov'era il palazzo della Fortuna, dentro al quale egli si mette guidato per mano dalla divina Provvidenza, die gli era apparsa iu sembianza di bellissima vergine . Di là gli si presenta allo sguardo tutta la terra, di cui fa la descrizione a parto a parte j poscia la Prov%°idcnza gli mostra tre ruote: runa in moto continuo, ed ha relazione al presente^ l'altre due ferme, e rappresentano il passato e il futuro- In ciasclieduna di queste tre mole pone i sette pianeti j nelle due ruote del passatcj e jjresente dice aver veduto numero inlinito di persone col loro nome e destino scritto iu fronte; nella rtiola del ftituro s'accorse solamente di formo e sinudacri coperti di lui velo, die sfii£jKÌvano la di lui vista. Come sette sono i ijrj pianeti, cosi il poeta fece sette t»rdiui, o differenze di genti in ciascuna delle tre mote, secondo le diiferenti inclinazioni degli uomini deriTand dalia varia influenza di cadauno pianeta, opinione allora comunemente ricevuta. In questo modo egli s'apre largo campo nella storia del secolo, in cui viveva, e degli anteriori, e coglie occasione di fare la ge-liealogia- dei re di Spagna per giugnere fino a Gio-tanni n, a cui T opera fu dedicata, dopo di die dice, che volendo sapere distintamente i fortmiali eventi futuri del regno di D» Giovanni, la visiono disparve, Si crede appartenere a questi tempi il toledano Piodrigo di Gota j a lui si attribuisce la tragicommedia di Calisto e Melibea scritta in prosa, cioè il primo atto di essa, perchè il riniànentc ò opera di Fernando di Roxasj la quale fu poi posta in versi, e ptihblicata da Giovanni di Sedeno Tanno i54o in Salamanca 9 ed al medesimo Gota vengono attribuite his coplas^ che vanno sotto il nortie di Mingo Rebulgo, le quali sono un ritratto della, corte di Enrico ivj ma Nicolas Antonio, Blariana e il Sarmiento credono che Y autore sia quel medesimo» che si prese la cura di commentarle - Im- pèrciocchè sono per se stesse s\ oscure ^ e clìveu« lano col mezzo del commento sì chiare, che si rende manifesto non poter essere altra la persona che le compose, ed altra quella che ne fece la spiegazione « Meritano di essere anche nominati con lode D» Gomez Manrique fratello del primo conte di Pa-redes, il di lui nipote D. Giorgio Maiirlque, e Garci Sanchea di Badajoz, i quali scrissero con Biolta purità e facilità kis coplas castellanas, Giovanni della Emina si può riguardare come F ultimo poeta del secolo xt, avendo fiorito sotto il regno di D. Fernando il cattolico, e di D. Isabella . Tradusse egli le Egloglie di Virgilio, e lo applicò alle azioni gloriose di que' due Sovrani. Delle opere di questo autore vi ò mi canzoniere particolare impresso in Saragoza Tanno i5i6. Queste notizie intorno alla poesia castigliana dal suo principio fino al tenninare del secolo xv sono tratte per la maggior parte dall' opuscolo di D. Luigi Velazquez, sopra le Origini della poesia castigliana , dal primo tomo delle opere postume del P. F. Martin Sanniento, monaco bcncjdctüno ^ il di iS cul diolo è: ßlemorie per la sloria delUi poesia ^ e de poeti spagnuoU^ e dalla di sopra accemiaia collezione dolle p(;esio oastigllaiic anteriori al secolo XV di Do Tommaso Antonio Sancliez, Libilo-tecario di S. M. Utile agli sludiosi delF autlclilth è la lettura di tali poeti, come ottimamente osserva il detto padre Sarniientoj piacevole è in essi il vedere pUi cliiaramente, che negli autori presenti, la comizione della lingua latina, e la fomiazione della casllglia-na - Da ciò, e dalla primitiva ortografia si può venire in cosrnizlone della vera etimoloi^ia di molte o o voci5 Fuso dei consonanti potrebbe fissare la pro-nunziazione lunga o breve di alcune altre, di' è ancora incerta j inoltre si potrebbero col mezzo di tali opere rischiarare alcuni punti di geografia, cronologia ed istoria. Non deve poi recar meraviglia se i poeti dei tempi indicati non sono tali, che servir possano di modelli di poesia alla gioventìi studiosa di si bell'arte. I grandi originali e maesüi dell'arte stessa erano poco conosciuti; per conseguenza il più di quelle opere poetiche poco si allontana dalla sem- plieith della storia ^ e si può appellare prosa ri« mata» Si aggiiigne^ che non avevano ancora scoperto quo' poeti il vero pregio del %'erso encleca-sillabo 5 da cui riceve armonia e grandezza la poesia castigliaiia | e trattavano i soggetti dì maggiore importanza col verso alessandrino, o col verso di arte maggiore, i difetti de' quali abbiamo di sopra accennati. Nondimeno, oltre cbe la semplicità delle poesie di quei tempi non lascia d' avere di tratto in tratto alcune originali bellezze 5 è da osservarsi, di' esse abbondano di belle massime di scienza morale, politica e militare; e però credo di potere asserire con fondamento due cose: cioè die poche nazioni potranno vantare F infanzia della loro poesìa men rozza della castigliana j e che gli Spagmioli non erano spoglj di dottrina in que^ tempi, ne^ quali tutta quasi V Europii' trovavasi involta nelle tenebre delF ignoranza „ r SNTORNO A B O S G A N O ella naseka di Giovanni Boscano Almogayer non si può fissare con esaltezza il tempo, come neppure della di lui morte ^ si sa però di' egli nacque in Barcellona, patria de' nobili suoi maggiori, verso la fine del secolo xVj e morì intorno alla metà del secolo xvi. Segui nella sua gioventù la earilera dell'armi, e viaggiò per molti paesi| fu applicallssimo agli studj delle umane lettere, e fornito di lutti quei pregi di corpo e di spirito, che in uomo di corte si possano desiderare. Le singolari virtù del gran duca di Alba D. Fernando sono stale fruito della di lui educazione, come accenna Garcllasso nella Egloga a. Si congìmise in inali ilìlonio con D. Anna Giron di llelnJlcilo, iiu- Lilisslma e viriiiosisslnia dama, dti cui ebbe prole^ e di lai nialrinionio parla egli lunganionte e loggia- drainenie nella (»pisüila indirizzata a D. .Diego Hiir- tado di Menduza, elle si trova in questo volume. ¥ Dopo di che passo il rimanente dri' suoi giorni in Barcellona con oneste facoltà ^ come dalla slessa epistola si raccoglie, scìguendo però alcuna volia la corte dell' imperador Carlo v, da cui era non meno stimato, di quello che fosse da ogni altro ordine di persone. Ma ciò che forma la gloria princijiale di Boscano è V essere stato il primo poeta in Lspa-gna, che facesse conoscere la bellezza del verso endecasillabo, da cui nacque la vera leggiadria e grandezza della poesia casligliana. Come siasi determinato a tale impresa, lo dice egli stesso nella lettera dedicatoria alla duchessa di Soma, che j)rc-cede la seconda parte delle sue nme. »Trovandomi un giorno in Granala col Nava-ijgero, aml)ascialore della repubblica di Venezia »(del quale voglio qui far menzione alla signoria »vostra come di persona famosa a di nostri), e seco j'lui parlando di cose d'ingegno e di lettere^ ® » speclalmeiile d«?lle varie proprietà ili molle lingue^ »mi domandò, perchè non faceva io prova iieiri-»dioma cžksligiiaiio. del sonetto e d'altri geoeri di jìmetri usati da'Imoni autori d'Italia? E non toccò questo punto leggiermento, ma mi pregò eh'io Rivolessi accignermi all'espeiimenlo. Io partii po-j^clìi giorni dopo per ritornare alla patria j e nella y. lunghezza e solitudine del cammino spesso mi ri» » cordava di ciò che avea detto il Navagoro j tanto >'clie cominciai a tentare il maneggio di tal genere ^ìdi verso j nel quale provai al principio qualclie >j diftlcoltk per il molto artifizio, che lo accompa-ìsgna, e per essere assai diverso dal nostro | ma >ì seiii])randomi poscia, forse per l'amore delle cose ì) proprie, che già cominciasse a riuscirmi henc, mi » applicai a poco a poco ad esso con molto calore» Nondimeno confesso, eh' io non avrei perseveralo >ìlungamente in tale fatica, se noii fossi stato con-5J fermalo nel mio proposito dal parere eli Garci-»lasso, che non solo da me, ma dal mondo lutto >8è tenuto per regola certa. Lodando egli pertanto >)inolte volte questa mia impresa, e dandomene »ridliiiio segno di approvazione col proprio csem- »pio (pprchfc volle egli pure seguirò la stossa \i;i) >> fò Si, di' io dedicai a ciò i inouieuli del mio ozio «con isiudio sempre maggiore >». Questo nuovo tenlalivp di Boscano fece insorgere contro di lui due sorta d'avversar]. Gli uni 10 tacciavano di novatore e di corruttore dell' armonia poetica nazionale; gli altri gli contendevano 11 vanto di primo introduttore di detto verso endecasillabo in Ispagna » Ne' j>rimi altro non operava clic una inconsiderata preoccupazione per gli usi del proprio paese, ostacolo sempre fatale ai progressi di una nazione iu ogni genere di scienza ed arte. S' eglino avessero esaminata la natura delle cose, intorno alle quali parlavano, avrebbero sco-pertc) i difetti del verso alessandrino, e del verso d' arte maggiore, e si sarebbero avvedtiti die i versi di redondilkè applicati indistintamente ad ogni genere di argomento si opponevano alla sulJimitk della poesia castigliana. Di fatto non sarà mai veramente grande la poesia di una nazione, la di c^ii lingua per sua naturale configurazione, o per iie-"lii;enza de^li scrittori manclii delle varie modifi- 53 O caziuni armoniche ^ die corrispondono alla molli- piicllà delie ioimagini, ed alla YaricLà degli umaiii affetti. Nel verso esametro dei Latini il libero uso 5 e la varia collocazione delle bre^d e delle lunghe 5 cioè dei dattili e degli spondei ne' primi quattro piedi 5 oltre la facilità di legare un verso all' altro 5 e di finire il concetto in qualunque parte del verso stesso s seivono niiraljilmente a tal fine. Delle medesime prerogative gode a un di presso il nostro endecasillabo5 con la differenza5 che l'esametro si misura rigorosamente per piedi, e questo per sillabe 5 e con la regola degli accenti: e se si dovesse seguire l'opinione di D- Ignazio Luzano capitolo xxir del libro ii della sua poetica, anche il nostro endecasillabo, e que' versi minori, che sono parti di esso, possono essere misurati per piedi. Imporciocchò 5 die'egli ^ quantunqiie non si nie-ghi assolutamente che gli antichi Latini pronunziassero con piJi fina distinzione di noi le sillabe lunghe e brevi? nondimeno non posso determinar-liìl a credere 5 che il modo nostro di pronunziau-(parlo degli Spagnuoli e degli Italiani)^, quanto alle lunghe e alle brevi, sia totalmente diverso dalFaulico j COSI che non se ne sia rimasta sufficicntf» dlstiàzione per V armonia poetica • E dopo aver^ dimostrato ciò cou varj conlVpiiti aggiugnc, che il nostro endecasillabo è composto di cinque piodi, quattro bisillabi, e uno trisillaboc Bisogna però confessare, clic il vantaggio dei La-lini sopra di noi ^ cjuanto alla fina distinzione delle lunghe e brevi, da cui nasce la perfidita eguaglianza dei due piedi dattilo e spondeo nella misura del tempo, e per conseguenza la somma ariiionia del verso esametro, ed oltre a ciò alcune notabili differenze, òhe facilmente si scoprono paragonando la forma della lingua loro con quella delle nostre ^ fan si, die il nostro endecasillabo ben può mólto avvicinarsi alla grandezza dell' esametro, ma non giugnere ad eguagliarla. E nondimeno il noslro cu-decasillabo supera di gran lunga in maestà T endecasillabo faleucio e il saffico, ond' ebbe Y origine ; e ciò deriva dall'essere sempre fisso in tali versi il luogo dei trochei5 del dattilo e dello spondèo; il che produce tale uniformità di armonia, che noiì può essere tollerata ne' lunghi poemi, a' quali ottimamente si presta F endecasillabo nostro. Di questo solo verso si formano molte combi-. nazioni motriclie, che nascono dall' unirne assiemo im determinato nunicru con legge fissa di conso-nanll e di assonanti. Tali sono le terzine, le (jiiar-» tine 5 le ottave, il romanzo eroico in Ispagna, ed altri metri. Questo mescolato coi versi corti ci somministra molte altre bellissime combinazioni per la Ibrniazione delle strofe o stanze, delle quali si compongono le odi e le canzoni. E finalmente per essere armonico, ed atto ad esprimere ogni cosa con naturalezza, leggiadria e grandezza, non abbisogna nulla di ciò, ma solo, e , come dicesl, sciolto riesce eccellentemente, come apparisce dalla ver« sione del poema di Lucrezio fatla dal Marchetil, e da quelle dell' Enelda fatte dal Caro, dalF Ani-brogi, e dal Velasco; eli'e-la massima prova della sua perfezione. Laonde se Cristoforo di Casfillejo, Gregorio Silvestre, egli altri die insorsero contro di Buscano, avessero esaminali con maturila i sommi pregj d(?l nostro verso endecasìllabo, si sarebbero aslenuii dalle invettive contro un uomo si bonemeriio, le quali in conclusione non produssero alcun effetto: perchò le cose quand' lianno vera ed essenziale bontà, trionfano di qualunque opposizione| e però Boscano fu seguito da Garcilasso, dal Bleiidoza j e successivamente da tutti i più celebri Castiglianij anzi lo stesso Gregorio Silvestre conobbe il suo» errore, e scrisse con detto verso tutto ciò che compone la quarta parte delle sue opere. Quanto all' altro genere d'avversar], die a lui contesero il vanto di primo introduttore delF endecasillabo in Ispagna 5 dico primieramente, cb' egli nella sopra indicata epistola dedicatoria accenna 5 cbe il detto verso fu usato da' Provengali 5 e fra gli altri dal celebre Ausias march» catalano 5 o co= me altri vogliono valenziano, e però non si pregiò di esserne il primo introduttore in Ispagna 5 ma nella lingua castigliana. Quelli poi die non gli accordano neppm' questo 5 per avere trovato qualche proverbio antico espresso con detto yerso, alcuni pochi endecasillabi delF infante D. Manuel ^ e del Siarchese di Santigliana^ sono in manifesto errorej pcrehò non merita il nome d'introduttore chi lo ha adoperato alcuna volta per passatempo e capriccio, e sensa porgere un buon modello d'imitazione alla propria nasione j Bia bensì colui ^ che po§e ogni sua cura per conoscerne le proprietà 5 che scrisse Biolte poesie in questo verso 5 e nelle priucipali coiìililnazioni metriche di esso 5 ed ottenne che la propria nazione 5 dietro alle sue traccie^ lo adottasse con universale consenso 5 come fece appunto Boscano. Divise egli le sue rime in tre libri: il |ir3mo comprende lo poesie da lui scritte per Io innanzi colle redondille j negli altri due maneggia sempre l'endeoaslllaho, facendo prova delle principali comi)ir.:.r:ioni di esso ; ed in tale maneggio non ebbe per iscorta vermi poeta spagniioloj ma liensl i poeti italiani. Scrisse canzoni, sonetti, ter-zfine, ottave e sciolti. Nei sonetti e nelle canzoni prese per guida il Petrarca | nelle terzine il Dante ^ e il Petrarca^ nelle ottave il Poliziano, T Ariosto,, e principalmente il Bem))©^ perchè le di lui otta-ve3 che cominciano." el kimbroso j fertil oriente / sono tratte 5 anche per ciò che appartiene alla materia, da quelle del Bembo, che cominciano; Nell'odorato c lucido oriente. Ne' versi sciolti sopra Leandro ed Ero, poesia U'atta da Musco 3 antico poeta greco, seguì il Tris- sino, e forse più da presso Bernardo Tasso padre del yran Torquato, il quale scrisse uu poemello sopra lo stesso soggetto. Clic s'egli non giunse a perfezsionare il Pianeggio armonico di detto verso nella lingua castlgliana, non ò da stnjìlrsi, avuto riguardo alla sonima diffìcolla dell'impresa j ed egli slesso prega il lettore a riflettere, che in tutte le arti i primi fanno assai a cominciare, c quelli clic vengono dopo, hanno F obbligo di migliorare » Dicesi, eh' egli aveva anche ultimata la versione di una tragedia di Euripide, ma se ne ignora il destino. Bensì esiste, ed è in molto pregio, par» landò di opera in prosa, la di lui traduzione in lingua castigliana del bellissimo libro di Baldassar Castiglione intitolato il Corligianoj cosi che dö-v' essere riguar^to Boscano come colui, che additò il primo agli Spagnuoli noii meno in versi che in jn'osa l'uso elegante della loro linguaj e quindi era beo giusto, che avesse cominciamento dalle di lui poesie questa mia collezione - SONETTO I. I 9 A ali acceso il desio moYO. con forza Per gir cantando a sì gran Donna eguale j Ma fredda tenia al cominciar m'assale, E pili eliclo tento5 più l'ingegno oinmórza.. E d'altra parte la ragion mi sforza5 Sì eli or Vine'ella, ora il timor pifi Tale; E parlo 5 e laccio, o il canto or scende, or sala : Alfin pur volo5 e il bd desio rinforza. Del basso iiman legnaggio alta ventura, Gloria ed ammenda al secol duro ed empio Fu l'apparir costei nel mortai velo» Tedemmo in lei quantunque può natura 5 Vedemmo in lei d'ogni virtù T esempio ^ E insieme aggiunto con la terra il Cielo. ETTO U. t-/a qnal parto del Cielo 5 e di qual slclk Scese a vestirsi del terreno aspetto Qiiest'ADgel novoj e qual astro fu eletto Ad operar quaggiù faccia sì Leila? Il'e la eausa occulta 5 se non Cli'ò immensa, eterna, e divino intelletto5 Fonte d'ogni altra causa e d'ogni effetto 5 Principio 5 e ooroia, a cui natura è ancella ? Dio ce la diede; anzi gemma sì rara Sol n'offre al guardoj che indegno d'ornarsi Dì quella ò il mondo 3 e troppo al Cielo è cara Pur5 com'ci vuol, che il suo poter si scopra Forse lei dona vai tempo per mostrarsi Ü ili sì animi ogni dì piìi miserò e doleiit® La dara lontananza del mio Benej E d'altro lato in vita mi mantiene Pensar, die piiote ancora e^ser presente, la speme e il timor si crudelmente Piignan d^ intorno al cor, cL' ei langue e s'V'^ieiie ^ Ed ho talor certezza, non pm' spene j E dico: Rivedrolla immantinente. Poi Diffidenza^ che vaneggia ed erra La mente, grida: E che di novi guai Tal sicurtà Ila madre, e d'aspra guerra E il veggio io ben | ma di mirar que' rai Troppo sart4ibc aver certezza in terra: Per iiom mortai la debil speme è assai. PT O niiei dim pensicr, datemi pace ; TSiilla Ycrgogna ornai5 miironla c nova: S'io soslemii lìnor dò die piii spiace, 3?fo\i Lornienti liiinitì.i»iiìai- ohe giova? Stupida in me natura, c ininioLil £»iace. L'alma contro 11 dolor pia non la prova Di sua nalia virtli 9 ma soffre e taee; st'mi consiglio a tanto mal ritrova . Amor, Fortuna e Morte al giorno estremo Mi van spignendo, ne mi fermo, o arretro ; E ben conosco, die il mio fine c presso. se talora il duol s'allenta , 0 in dietro Mi volgo il passo a rimirar, io tremo Veggendol piu" de' miei vestigi impresso. SONETTO V. gran forza d'Amur5 die d'ogni vero ^aJor privi (fiiaggifi F anime foni, Fai servo il grande, e tiiLS.e ìniiane soni Cangi a lua voglia eoo sovrano iniperril O profondo Oeeiai, die ricco e altero Tai deìle spoglie d'iniinite moni; E pria soininergi, e al Jitio poi ripon i Nò giammai serbi Tesser tuo primiero ! O folgor negli ettelti novo e strano, Che dentro il core d'alia fiamma accende^ E Tiiom di fuor ne mostra integro e s^ano ! O mal 5 di cui gli estremi e le vicende 11 misero mortai contempla invano 5 K piii die il'prova, tanto men F intende! SONETTO VI. 'e in mezzo agli aspri aÜanm la memòm De' forluiiati dì troppo è molesta, A ciii Tiye seciiro io gibja e in festa Reca il passato mal dolcezza e gloria E quindi a¥¥Ìeii ^ che in riiiiemBrar F istoria Di così lunga guerra, or clie mi presta Favore il Cielo 5 in me BuEa si desta Cile pregio non aggiunga a mia vittoria. Come ìieir Ocean sommo diletto Provasi allor clie lucido il Sol escei E ciò perchè fu pria la notte oscura: Cosi disgombro da tristezza il petto g Quel già sofferto duo! la dolce e pura Calma presente} e !e mie gioje accresce. CANZONE 1 o • liiaii e freccili ruscelli. Che placidi scorrete Seguendo il vostro naturai viaggio j Monti 5 cìie albergo siete Della tristezza 5 ed ove Eterno regna solitario orrore 5 Augelli, a' quali è dato Quetar cantando il core 5 Piante di folta e verde Fronda, clie acquista e perde Col variar del cielo, e alfin si muore Piacciavi udir miei versi Rocbi dolenti, e d'amarezza aspersi. IE. Poi ehe II destia da (juella Scevro mi volle, oirF io D' esser limge tremai sol del peiii^ieru', la SI orudel sveiilnra Solo il con forte giova. Che, s'io bea miro, iatcaipestiva è morie e. ì''oglio costante e Ibrte Di mio valor far prova j Che in cosi Lasso stato Tergognoso è morirò, E morir dal diiol vinto e disperato. E d'amaior gentile Indegna ò morte inonorata e vile. Ili Perchè il viver s'apprez/J Uopo ò avvivar la sjienK^j Ed. al vero, che offende 5 ordire inganno-Qnal piìi languisce (5 geme Per asprezza d' affainio ^ Presso ò a gioir ^ clje non dura empia stella P^iero mal, sommo danno| Cede a calma procella. Si, COSI spero ; e s'io Lungi dall' idul mio Meii VO5 tornerò a lui, se il duolo affreno. Ma, lasso! dal Lei viso Come lunga siagìon yiver diviso? IV. 1? ' ■ ? " • i mmiaginar m oilij Se può d' noni, che vaneggia , Torl^ida fanlasia dar pace al core. Questa mi adorni e addili Come 3 e «piand' io riveggia 11 loco 5 ove f ui vittima d' amore. Uso in me fia, presente Finger colei, che adoro j E seco più sovente 5 Ch' i' non farei dappresso ^ Parlare5 e dir che, senza lei mi moro| E pel desio, che abbonda Toro a' sensi parrà eli' oda e risponda « V. Spesso veder mi sembra l^ur ciò 5 eh' e allor sua cura : E dico: Or ella a me volge il pensieroj E r atto vivo e vero L* alma adombra e figura Del suo riso crudel, riso di gloria 5 Qual per alta vittoria^ Nel ricordar Y eccesso Di mio aflamio al partire: Pur mi sovvlcn, clic quando- Da sì fiero dolor mi vide oppresso^ (Yano è di forte il vanto) Quella nemica mia pianse al mio pianto . ■ o E mentre lei vagheggio. Scemo r ore, i momenti 5 E Fordin tutto di sua vita io veggio | E insieme a quali oljbietti Volti ha pensieri e affetti j Che mio intelletto D suo m'apre e disserra E il mio cor5 che non erra. Ora, mi dice, è mesta , Ora e lieta, or s' adorna, Or esce, or si ritorna^ Gill chiude i lumi al sonno ^ e già si desta E di ritrar sua immago Con la mia mente a prova Amore è vago. YII. Tornami alla memoria Dov^io la vidi in prima, E dove pria s' accese il foco mio | Pensando quant' io V amo, Mi ]e%'0 a tanta gloria 5 Glie contemplai' più che veder desioj Ü' ogni mio senso in bando Lei miro tal, che nove . Gioje nel sen mi piove | Ma quando a me ritorno, Duolmi che il dolce error passa 5 e non duraj Che nuir altra dolcezza Fuor che l'inganno suo Y anima apprezza » YIII Ma ciò sperare è vano; Il ver mi si discopre ; Solo alfin mi trov'io, F immagin sparvei E mi par novo e strano, Che r alma ognor s' adopre A pascere il desio di sogni e larve » D' uno in akro pensiero r YO cercando tregua : Bla qiial pro ^ se a dar pace ^ E ristoro, e diletto Nidlo argomento il vaneggiare adegua? Dunque, alii lasso! il Gel volle Che lieto non foss' io senza esser folle ? . IX« Qualor fugge e mi lascia L^ immaginar fallace 5 D® ogni mia speme iu lin cessa il conforto | Torno pensoso e smorto , E vengo meo d' ambascia Dinanzi a tanto suol, die fra noi giace, Nò cura usar ni' e datò \ C1/ ogni pietosa aita Inasprä la ferita. Mi veggo il duolo a lato, E i lieti dì dopo le spalle | ond' lo Rupi alzo in ogni parte Del suol 5 che da" begli occhi mi diparte « Porlo impressi neìì' alma I traili del bel viso, II picglievol costume, e Tarlo ingegno^ Quel modesto contegno 5 La lieta e pura calma, Suo maturo saper non mai diviso Da franco almo candore ^ Il parlar dolce e piano, L'allento udir tacendo, 11 grave sguardo, ond' ella Crjpria gli affetti, e i bei pensier d''amore K noro Cb' 1' nac^qul, e il suol, dove il pie jiosi In prima; Anzi pereliè il mio J'oco Gran tempo duri, e l'alia mia speranza, Del viver lungo ò'1 mio desir si forte, die nino ogiior d\*ssere In braeelo a mone. 111. Ma pur sì Amor mi sforza Col (Moleste splendor del vostro volto, (Jbe tli tanio poder spesso mi duole,-Non sosien£*b' lo la forza o Di tanto b(Mie in due pupille ar<-oltoj; Cb'è vago, e pur talvolta olì'ende il Sole. Come durar può m diverso sialo? Il Lello è vostro, il vagheggiare è mio. Quanto in voi d'or in or beilade avanza^ Tanto ni'abLaglio e struggo 5 Tal die m' avrao per lolle 0' i' non fuggo - Cerio coovien 5 perck' io Non cada esiiiito nel crudel conflitto 5 Si cangi s o tempri il vostro esser perfetto, O eli' io ni involi dal divino aspetto » IV. Qualora in voi mi affiso, Troppo quel cL^ io contemplo Yeggo dal corso d' noni mortai diviso, Manca vigore a' sensi Dinanzi al sonnno di beilade esemplo, * 9 " «e « f^e amar poss 10 come amar voi conviensi. Quanto del non sentir perde di gloria Chi io voi si specchia! Ed a voi pure è danna Tanta riceliezza, e si nova vittoria j Che fede non acquista. Nò lingue di quaggiu ridir la sanno. Oh! se il ben, che vi è dato Tcrsar dai lumi, aroor potessi in seno. ìndi gjóirnn appieno,; awvi anllnicnio D'ornar conversi mìci l'alto portcìUo. V. Sol proveggon mie pew Al viver mio 3 temprai iclo il gran clesiro 5 Coni' onda sparsa sopra loco ardente j Ed il timor, che sorge, Qiiand'io vi miro, il sangue entro le vene M'agghiaccia, e allenta cpiel murUil gioire. Ü dcstin novo e Astrano! A me pu«» solo Porger ronforto la temenza, e il diicJo^ E il Ciel sortimmi a non plìi visto (»c-ersso D' amorosi contenti, Ch'altro estremo di mal nutiga e moire. Ili s'i oppj)sti elementi T/innamtmito cor si libra e folce 5 l'ai che s' io piego all' imo o alF altro lato.. Dolor m'nccide, o il troppo esser iieato. YL Intanto, o Donna, io v' amo Con tal l'oUia, ch'io nun so <|iiel eh" i" voglio. E credo ogni desio spegnere alilne; Che iiiille cose io Lrani.i; 4 M'appresso, e miro, ma parlar non soglio, E mia giornata al primo passo La line. Mollo icnglv io riposto nella mento| E dico : 1)1 scoprirlo è giunta F ora. Ma cpiando siete agli ocelli miei presente 5 Panni per tempo ancora 3 El mio timor5 non la ragione aseoJto. Dinanzi al vostro volto Tosto il mio cor5 che ognor fiso vi adora. Gela, arde, trema, e mille forme piglia Al variar di quelle altere ciglia « VII. E cpdndi milile e cliino Cereo ciò 5 che cred^ lo non si conieoda, E indugio quel, che plìi m'alletta e giova: Ma sempre avvien che offenda Ogni opra, ogni desio fatai destii3o. E vivo da molt' anni a simil prova. Yeggo gli effetti, e F arto ognor m" e nova; Amor mi fere, e. suliito s' asconde j E mentre, i non so come, il hen ch'io hramo M' invola con siif5 frodi, L^ ira m' assai ^ poi gli perdono, ed amo « Di fjiiaiila grazia degno Snii'ìo, che invoco pur clii non rispondo 5 E qiiando alibonda l'amore so affinino, Cliìpggio 5 o Donna , mercè, gradisco il danno ! Can7.on, l)on sai dove il mio cor t'invia^ Ma, se cara tornando esser mi vuoi, Sbordali r acfOiilienza, e i delti suoi. hl rÌÀposla tul invi tli D. Dit .irn Ilurlailo «li Meiidozaj srriSla rt« priiicii«j «li^Ua jsloira liliKsofiAc Oignor, ia vostra lolfcera mi porse Tanto tlileuo, cìie il disio s' accese Di rilornare all' obliato canto « Vero è, die da principio io fui qua! cieco. Glie incerto va 3 nò sa dove riesca j Ma del vostro saper la viva luce Mi fu di scorta 9 e poseini in caoimino, Ganuiantìo in liei soren la notte oscnra. o Yoi con la musa vostra avete desia La mia sopita da gran tempo j voi Rieoiiiponeste con le vostre mani Le rotte fila di mia eetra | e tale Dal lalJiro vostro nel mio sen trabocca Fiiniie di soavissimi concenti ^ Glie men propizio alle campagne e il Kilo| E s' or r ingegno mio non si Db Per cotanLa vlrüi, flie il mitro e avviva. Sua rozza iniipra, e suo doslino incolpi „ Dunque, veiifnido a rio die voi scrivete, Dicovi io più-, che il non meravigliarsi Di nulla, è prova di. maturo senno « Colui che sorge di vlrludo al tempio, i\Iira le coso da sublime loco, lild Ila futto presente agli occhi suoi. Vtmì trapassa senza mover piede Questo e orienza, e qiiìntli csron seiuoiize Di syniiua verÌLa fuor cW! suo labbro. Opposto al inondo, ragion non cura. E ili ver, se niillo snono a Yoi giugnnssc E vodestc altri in džuiza, non fareste Burla di lor, come di gente pazza? TMon altramente il sa"£»io, che si viyo or» ' Senza provar T impulso degli affetti 5 Onde noi siamo d'ogni posa in bando, llide veggeudu il cur nostro agitarsi Ad ogni istante, e non aver mai pace. Si aggiunge a ciò, die siecom' uom die scerne Le cose oltre la scorza, e non va di(?tr(; A stolte e cieche opinion di. vulgo, Esser non può, che con istrane e nove Forme natura lo percota, ed empia D' alto spavento ; al fine ei non si turlifè Per fisico dolor, ne apprezza, e invidia Il diletto in altrui, poi che sol d'una Radice il duolo, ed il piacer germoglia. O chiimrpie tu sia, che il petto hai pl'Mio D'alta lilosodaj certo più vedi DonncMitlo lu^ che in sua vii»Ula il viilyo^ E quiiuli, Ü le Idlce! Il liei sereno Delia üia nieiiLe non oiìeiide, e il covo AL'iaviylia, o liinor^ im nelle pene Yivi iraiiquillo, e Lii nel seeul reo Seri)i lo spirto d'ogni vizio immune. Però, Signor, eon mio dolor m' avveggio Che dalle »nostre lulAra escono in i'uila Maui'.ilieLo sonleiiz'.', (hI ò cosliuiic O ' Nostro con senno t'avellar, ma (piando Si viene all'opre, dal canmiin diritto Torce ciasemio il pie, contento avere Virtude in bocca^ se nel cor non riiave; E mi sovvien, che iioii so qiial malvagio Mi disse un di ^ die lavc^llar di Dio, E oprar coi mondo era diletto j e questa La It.'gyc c pm-, cdie al viver nostro è norma. Nò eredo io già, clic mai «pici si perfetto EscMUpio di virtù sia visso in terra j Ma se giugnere all'otlimo n'e tolto. Ben si puote per noi l'uggire il peggio j Cile in questa valle, ove ogni vizio abbonda^ Chi ira i peggiur non è, buono si slbm. Ed io colili, die al sommo grado aspira. Non mi sforzo emular, ma sol mi basta Fra molle froiidi e fior dar qualdie frullo;; Che non desio virtii graye e imporluna. Ne rigidi coslmni, e non vogF io Col gliiotlo a mensa rimaner diglmio. Di piani e monli ò variala intorno La terra j e son pm' varj i luoghi e i tenipi Del viver nostro 5 e quindi è d' uopo, salva Mai sempre F onestà, facile e piano Costume usar, quando divien molesta Troppo austera virtù. Più dico: vago L'iiom df»gii estremi esser non deej nò vuoisi Ciò da color, che di nostra natura I\legIio filosofaro. Aspro cammino Senocrate ti addita; a noi più giova Platon seguir di lui maestro, e grande ['Va' chiari ingegni ^ e hen egli dar può te A nostra fantasia tempra felice. Nel camniin della vita importa assai Che r uom sia destro y fi-a limore e speme Cautamente convien movere il passo Villa fuggendo, e vani lade, a guisa on IJi rili si iihra, o va niuveiulo il pii'tlc Lunjjo la lune. Il pellegrino ac:corU) L'on* dispensa, e nun ò in suo viaj^fjlo Fnü toloso, no Ionio j a cosi 5 venga Di Cadice pur egli in lino a Roma, Gli ò lieve la fatif-a. O ipianlo h lu'Ha MeJiocrllade ! e quanto è Ibrlunfilo Clii vive in queUa! Di cure moleste Ella è '1 rimedio, e d' ogni liene il lonfe. Ed iij j cui slnijl via dileUa e giova, Donna in consorte elessi, ove lian principili E fine i miei desir, da lei ben tosto Ebbi novello sialo, e si felice, Glie sempre il core, e ]'iritelletJo è pago. Ed or condisco io l)en, eh' ella soltanto A me cOMviensi, e eli' io F altre seguendo wSeguia quello che nuoce j eli'liave in suo Poder tutto ino slesso, io lei posseggo; 1/altre vengono e \an5 conio alla riva mobil fmda^ e mi sovvien, che spesso tìaugiauilo in un sol dì voglia e pensiero Si pascean del mio pianto. Allora il premio Del mio lungo servir spariva in guisa Di magico tesorg cbe si risolve In polvere, e in noiumllci; ora il diletto Vion da radice integra, e saporito, Pieno, costante. Allora i piacer miei Dopo SI gravi cure, e taiito amaro Veniano a me, che Y alma afflitta e stanca avea gusto imperfetto, ed anche affanno ; Ora il ben9 che a me giugne, è ben ch'io godo Il piacer è piacer, che sempre piace. Nò v'ha parte il dolor^ chè in sì bel nodo Trovo compiuta ogni mia brama j e tutto Ad uom contento di sua sorte arride-Campo fu pur d' aspra bartaglLi il letto ; Ora due petti, a' qua! dà moto e vita Una soF alma, nel suo grembo accoglie, E letto ò di dolcissimo riposo 5 E di durevol pace. Anco la mensa Un di sì abbominevole, dov' io Gustai cibi e bevande al pianto miste E che fu sempre dalF immónde arpie Contaminata, or è mensa di cil>i, E di bevande saporite e pure 5 Ciii' empie ogni c^osa di dolcezza il casto Amore, e v noiche sempre io sia felice. Così la pace, die pensoso e mesto Col mio filosofar cercai, ma invano, .Dono è pur ci' una Donna, e slaLil dono. Sol sua mercè mi fu concesso a tempo Yincere la tristezza | ella col (Ilio Ta cancellando i miei vani pensieri, E nove e Lelle idee nel!' alma imprime ; E <|ulndi awien, che fra timore e speme Pili 1 mio cor non ondeggia, e eli' io non voglio 5, Ne posso altro voler, che amore e pace» Ond' io pensando vo, come più liete L' ore trar possa di mia vita insieme Con la diletta mia dolce compagna. Dentro al confin del mio tranquillo albergo. E ristorarmi dai sofferti danni Con maggiori diletti, avendo a scherno i fallaci piacer del mondo errante. Talvolta ancor le facuhadi avite, E i negozi domestici F obi »ietto Son delle cure mie ; ma voglia avara, Che regna in terra, e le virtudi ha spente, Non trova loco nel mio corj che puote D'anno in anno il culior più Jielo e opimo Render di Iliade il suol, piircli' ci non pensi l)i violar nella oomune inopia Giuslizia ed eipiiladc. E tolga il Cielo ^ (Jli' io preziose gemme, ovver metalli Nel sen riposti delia madre antica Cerdii all'annoso, onde raccor gran copia D' am-ee monete j io sol desio fuggire Misera povertli per non yedermi Umil dinanzi ad uom snperbi e vaui^ O a ricchi avari di pietà ruLelli, E per condur vita • soave e lieta ISun mon fra i cittadiii, che fra i bifolchi, lìranii chi vuole 5 e corchi senza posa 11 puro e lacid' or , l'indiche perle, E chi vuol 5 ponga ogni suo studio e cura Per acc[Lustare ampio terreno 5 e molta Sparger semente, a cui risponda il frutto. Che se veggiam per cupidigia ingorda Di posseder, insidiato e spciuo Dal germano il gryrnian, dal lìglio il padre. E j)leno il mondo di continue guerre. Ftiggau lungi da me Y alte dovizie, E ^'-adaii lungi da! mio capo i meili Si vari e tanti, ond'elio origiu sono» Pago SOR io della mia sorte ; io voglio Seder a mensa con piaocvol gente, E pascermi di cibi non sospetti. La mia consorte mi si ponga a Iato, E dica cose grazioso, e mostri Talor da gelosia tm-J)ato il core Con dolci accuse; ed alla mensa inlorn«> Sedere io vegga i pargoletti ilgli. Figli che un di mi facciali' avo ; ed ora Starem nella cittade, or nella vula Per fuggir noja, e trar più dolci i giuriiL Però quand* egli avvieu, clie ne sia grave Yivere alla città, n'andremo al campo Con ramata famiglia, e 1/andrem lungi DagF importunij ivi di molto senno, E d'accortezza non avrem iiisoguo 5 Che la gente malvagia e discortese Non ricovra ne'campi; ivi piìi sdna Trar può filosofia nostro intelletto Dallo innocenti agnello e dagli armenti -Che dal vulgo profano ^ e saran dolci L(! l'avrJfltcj clìv. srjvesiLo ntlreino iJ.i'coijiadìni semplici ^ poi di liamio Già traili alla Ceipaiina i duri arairi. E colpa forse .sarà rpiivi, o biasnio Parlar «1'amore? Anzi fìa morto e loda. Che s'io la sa""ia antidiitadc ascollo, OO ' Febo 5 quel iimiie sì jjentile 5 crraiidu Seil gio per foreste, e fra i pasbui D' amore acceso^ e per Adon la Ijella \^eiiere un di che in m sofferse^ e qnavito Non mosse il piò divin su i verdi prati? Ne £riji di Bacco In minor la fiamma o PcH- r infflice 5 die vinta dal sonno Itaselo fra monti solilai'i ed ermi I/infnlo amante. Ed c pur faoia antica. Che dentro ai puri e Ijtpddi erisialli Eani^ulscono d'amor vezzose ninfe, n ^ Fauni, e Driadi in amorosa tresca Si veggon buzzicar Ira gli arbuseelli. .Dnn([ue segniamo tlegh Dei T esempio 3 la ctuisorle mia suavemente D'amorosi pensier meco Javclli, Pareggiando i miei pasüi, e ginnli in ||:iva Di correlile ruscello, e sotto V ombra D'andca quercia, ella mi sleiida il lembo Della sua vesta, ov' è pifi folla e molle La verde erbetta3 e là posato il fianco, Per noi di geiiulezza si contenda. 11 rio u' andrà, dove naliira il guida, Noi dove amor c' invita 5 e avrem la mente Cliiusa ad ogni pensier, fuor che ad amore. Intanto udremo F usignuolo a deslra Soavi note modular, nò fia Glie spieglii il volo infausto corvo, e il canto. Ma faranno di se giidiva mostra Le amoroselle candide colombe. Tal che ricobui di dolcezza e gioja Invidia non avrem di clii suoi giorni Conduce in sen della jsuperba Roma 5 E vaghi non sarem dei preziosi Tesor, che l'Asia e il novo Mondo invia. Ma ben grato mi fia sotto quelF ombra Leggere i carmi d'alcun vate, e udirò L'opre eccelse de'Numi, e dogli croie, Yirgilio canterà del grande Enea Le imprese e la pietade^ Omero il sommo Valor Jül fiero Aoìniìcs e i iiiugìù errori Poi procelloso mar del saggio Ulisse. Dirli Properzio con dolci ai'inonie Come Giulia gentil d' amor T accese E di LesLia gl' inganm, e i falsi vezzi Sarai! ìiiateria di flebili note Al soave Catullo. Io ne' suoi casi Vedrò de' mali miei F iiimiagiu vera ^ Ma volgendo lo sguardo al ben presente W allegrerò d' esser già fatto accorto Da sperienza e buon consiglio, e frutto Trarrò da ciò, die mi turbava uu tempo I sensi e la ragion, guidando a torto Canunino i passi miei col mondo cieco. E inver^ membrando il mio primiero stato ^ E veggendomi or tal, eh' amo, e non temo Tradimenti in amor, com' esser puote § Gii io dentro al porto, e in sì munite mura Fermo non mi rimanga, e eh' io non chiuda U orecchie al suon di lusinghieri accenti 'i Dunque il Sol mi vedrà mai sempre al fianco Di lei 3 che ognor la mia letizia avviva Col vago riso ^ e di dolcezza asperge 5 11 mio corso viial; sua bella mano Con la mia sLiiugerò ; V un cìor nelF altro Delizie verserà porfcue e pure^ E gli ocelli intanto godranno Y aspetto Di verdi colli, di fioriti prati, E di fronzute ombrose piante ^ tidransi Yenir pel sen delle montaj^no al passo, Là Ve noi poserem, cristallino acfiuo Soavemente niormorando, e tocclic Da zeffiro leggi or stridule canne Lievemente suonar. Poi quando al cbiuso Le pecorelle semplici belando Riedono in fretta, e dagli eccelsi monti Le grandi ombre discendono a por fine De' già stanchi mortali al? opre usate, Noi lentamente moveremo il piede Terso Y albergo nostro ragionando Di ciò che s' offra nel cammino al guardo E non SI tosto la famiglia nostra o Noi scoprirà da lungi, die giuliva Ne verrà incontro, etl alla mia consorte Dimanderà, se di riposo ha d'uopo. Ma 5 posto il pie dentro le soglie, pronta La mensa troveremo, ed ogni cosa Apparecchiata con LelF ordlo 5 come A ben retta magione sì conviene» E poi che avremo riposato alquanto Sensa il romor dì chi pur entri ed esca, Coniincierà la cena, e i miei donzelli Ne recheranno schietto e saporito Cibo, che il gusto ci diletti e punga| Dolci frutta mature^ ai rami tolte Le piti di nostra mano 5 in bel paniere Di fior mille odorosi ^ eletto e puro Fiore di latte, candida ricotta^ E tutto quel che dan capre di parto 5 E poscia il conigliuz^o^ i ben nutriti Polli 5 il novel capretto I che seguire Pei campi non poteo la madre ancora. Noi gusterem sì dilicati cibi Agiatamente 5 e quando ben satolli Ne sentiremo 5 fia nostro diletto Passar la notte in graziosi e lieti Ptagionamenti, fin che ginuga Y ora Del grato sonno, e del commi riposo. Da quel nioninnto al ritornar dei Ciò die avveitii €Ìi nin, si taccia, e vana Non sia la musaj è nolo assai, ohe due Con aloia accesa di si hello e dolcß E legittimo ardor nei casti amplessi Han mille soavissimi diletti „ Così noi condurrem Y ore felici, E vita intera d' amore e di pace In mezzo a' campi. Ma se il cor già sazio Cerea Imigi da se cacciar la noja Variando soggiorno, allor potremo Aiìdare alia città, che ne fia grato il novello ntorno, e con la gente Sarem lieti e cortesi 3 i complimenti Nojosi sempre, o almen miaudo son vani, BIen gravi ne saran per il diletto Che reca novitatej anzi cohiiando Quelli di lode noi direm che sono Della vita civü sostegno e guida« In colai modo vivremo contenti, Ed a' lievi spiaceri e noje avremo Ccmìpenso di piacer molti e perfetti,-Che quantunque non manchino importuni, Pifi sono i dolci saporiti amici; Ö9 E come udiausi pei ritorno xiostro Lor liete grida! e qual gioja, e qual festa Nelle care accoglienze! Non saremo Sazj mai di mirarcij ad ogni istante In traccia andremo V un dei? altro, e grave Ne fia talor d' aver cercato invano • Mossen Durai ci starà sempre a lato ZJescliiando più- col suo tratto gentile Al piacer nostro del suo cor la gioja, E cui dir schietto, e co' piacevul molti Ne farà lieti sì 5 die in noi la nuja Loco nun troverà. Saravvi ancora Girolamo Agostin, die parla e scrive Con graziose forme la volgare Lingua5 e c|uclla del Lazio. Ei grave e umano, Narrando cuse con istudio apprese, Ed intrecciando al ver favole e scherzi, Trar saprii in lungo il conversar soave. \errà poi Munleon caro e piacente A noi cotanto, ed a cliiunque Fodaj Ei parlerà 5 noi Y udiremo allegri | Ei riderà, noi ridercm con lui. Ne lascieremo d'esser-li molasti. o ' OiicF oi s' adiri, e più si goda e rida » Moli'altre cose vi saraii 5 eli'io laccio 3 Cose tanto piacevoli gustando, Cli' ogni bel favellar lor toglie il pregio. Ma tempo è di far fine^ onde rimanga Per altro messo più materia | di' io Vi prometto, o Signor^ che questo foglio L' ultimo non sarà^ purché aooiileiue Non mi distorni 5 e il mio disegno annulli a COMPENDIO della vita DI GAR CILA SSO »N^acqiie GarcHasso della Tega nella ciitii di Toledo r anno i5o3 di Gareilasso della Tcga^ coiiinieiidatore maggiore di Leon 5 e di D. Sanclia di Guzman ^ ambedue di nobilissima stirpe. Fino dalla prima sua gioventù segui la corte delFiinpc-rador Carlo y, e giunto alFeià d'anni 24 si maritò con D. Elena di Jumiiga, dama della regina di Francia madama Eleonora 5 da cui ebbe tre figli, Gareilasso che d'anni 24 mori* valorosamente «ìoinbattendo alla difesa di Vulpiano, Domenico di Guzman religioso domenicano e gran teologo, e D. Sancha di Guzman 5 die fu lìAoglie di D. Antonio Portocarrero della Vega« Dopo il suo inatri-aioiiio accompagnò nelle imprese militiiri Flnipe- ra-io^e: in con lui quando si oppose alla fornii-ciabii potenza di Solimano, die veniva contro la città di Vienna, e si trovò alF assedio di Tunisi, dove rimase forilo nella bocca e nel braccio destro. L'amio 1556 entrò con lo loipcradore in Provenza j da! qiial paese ritirandosi F esercito senza frullo 5 e riprendendo il cammino d'Italia, mentre una pic-ciula parte dell'infanteria si accigneva ad espugnare mia torre difesa con perßnacia da pochi arcliibu-gieri francesi 5 in uu luogo delF ordine di s. Giovanili quattro miglia distante da Frejus^ il nostro Garcilasso niosso dal proprio valore, e dalla pro» senza di Cesare, fu il primo nel dare la scalata alla torre, ma colpito fatalmente nella lesta da ima pietra cadde rovescialo a terrai pei' il quale accidente assai crucciato Flinperadore fece passare a fi! di spada tlitla quella guarnigione. A tale colpo non sopravvisse die giorni 215 e mori in Nizza in età d'anni 33. 11 di lui corpo fu trasportato Fanno i53S dal convento di s. Domenico di quella cittfA alia cliiesa di s. Pietro Marlirè di Toledo 5 e posto nel sepolcro de' Signori di Balres di lui antenati. avvenente e gagliardo della per- sona 5 cscrcilaLlssimo iieUe aiti cavalleresclies aoiaBte della musica 5 ed otlimu suonatore di varj stiu-memi, ma specialmente d'aipa 5 gentilissimo di ima-nicre, e nel tempo stesso foruito di valor singolare , Ma ciò, die lo fece più diiaro in vita, e gli assicurò presso a* posteri la perpetuità della fama ^ fu r eccellenza delle sue poesie 5 le quali vennero raccolte 5 e date alla luce dopo la sua morte dai di lui amico Boscano. Egli era così felicemente disposto alla imitazione delia beUa natura, clie, o volgesse lo sguardo agli oggetti che ne circondano, o leggesse le opere dei buoni scrittori, coglieva tosto i migliori punti di vista 5 ne' quali natura può essere rappresentataj ed avendo inoltro f-rgani sensibilissimi alla vera armonia, appena vi-^ d«j lo prove del Verso endecasillabo fatte da Ba-scano nella lingua casiigliana, cb' egli ne conol)!»© la somina analogia alla lingua stessa, scrisse iuitf* le .sue rime in tal verso ^ ne variò il nianinggie:> s»:-«r^ondcr l'indole dellü cose, ch'egli ha voluto m legare, e ìiusci egregiamente in lOgni metrica c(»m-binasiooe. Balla scolta pertanto felicissima delle immagiui, e dalle pr« jporzionate nrnionie ne siasct; fjueU'altera g gravità ^ dòlcezsa e leggiadria, die ammirano ue' di luì poetici coiiiponimeuti. Che se le opere rimasteci di un tale Tiionio occupalo frequentemente nelle faticlie militari, distratto dai trattenimenti della corte, e morto in quella eia, m cui sogliono ii buoni ingegni coniinciare a dai- Irut« tOj sono in cotanto pregio, bencliè non ancora limate, a quale altezza di gloria non avrebbe egli portata la sua nazione, se gli fosse stato concesso lungo corso d'anni, e tranquillo sialo di vita ? Meritamente pertanto venne chiamato ü principe dei poeti castigliani dei tempo suo, ed onorato in vita e in morte con alti elogj da' più riguardevoli ingegni nazionali e stranieri | tra^ quali scelgo quello soltanto espresso in una elegantissima epistola la-dna dal cardinal Bemlio per la sonmia ripulazsione di chi lo scrisse, e per essere già stati gli altri pre-cnessi in alcune edizioni alle rime del nostro poeta ^ Weapoliin. P. Be Garciiasso hispano S. P. 'D. " h Ex iis oarminibus, quae ad me pridem seria • i.psisii, et cpiantum me amaresj libentissime per-spexi, qui neqiie familiarem tibi hominem. neque »de facie cognilum tam honorìflce appellavisses, i) tanlisqiie ornares iaudiliusj et quantus ipse et^ses idn lyricis paiigendis, quaiìtunique praestares inge-wiiii lumhilbus 5 amaLilitateque scribendi, facile co-jjguovio Quorum allerum ejusmodi est, m nihil >)milii pótiierit aecidere jiicmidiuse Quid est enhn jjquod possit cum praestantissioii poetae amore ai» que bcnevoleiilia comparar! ? Reìiqua euim oiuma, »cpiae hoDCSta et cara bomines habeiit, una cum ììkis qui ea possident, brevi tempore m tare un t j poor j)tae uni yìyuiUj longaevique ac diuturni sunt 5 j>eamdemque yitam ac diuturnitatem 5 quibus vor »luutj impertiuniur. la altero illud perfecisti, ut »non solum Hlspanos tuos omneisj qui se Apol-»lini Blusisque dediderunt, longe numeris superes »et praecurras tuisj sed iialis etiam liominiljus sii-»mulum addaSj quo magis magisque se excitentj »si modo volent in hoc abs te certamine, atque bis »in studiis ipsi quoque non praeteriri. Quem qui-»dem mcum de te seosum atque jùdicium, alia » tua nonnulla cjusdem generis milii Neapoli nuper »missa scripta confirmaverunt. Nibil enim legi fere ^jbac aetate confectum aut elegantiuSj aut onuiino «probius et puriuSi aul certe majori cum digni-V.tate. Itaque qiiejd mo amas, miki verissime jii-»stissimoque laetor : qiiud egregius es vir atqiie umagous, f|uiim tibi in primis gratulor, imii vero jsplurimum terrae Ilispaniae, patriae aLqiie altriri tuae 3 cui quideiii est hoc nomine amplissimus bo-Auae laudis atque gloriae cumulus aeecssurus. Taings cisi est etiam aliud ^ qaod quidem äuget magno->.pere laetitiam ex te coneeptam meam. Nam quiun >5 nuper mecum Honoratus monachiis, (piem tibi la-»ma notum esse video g in eum sermonem esset j)ingressus5 ut quid de tuis earminilms sentirom, »nie interrogavisset, ego vero illi meum Judicium patefecissem, quod quidem accidit ei par atque >isiniillimum suo (est autem peracri vir ingenio jìaique in poetlcis sludiis pererudito); ea mibi de iJtiiis pliu'imis maximisque viilutibus, de liioruni »suavitate, de integritate vitae^ de humanitate tua »dixit, quae amici ei sui per literfis significavis« »sent, ul hoc adderet, omnium Neäpolitanorum » qui te novissenl, sermonibus attestätionibiisque >iConfirman, bis temporilms, quibiis maxime Itavi ìiam veslrae nationes relersérunt, quem omnes »plane hoiiuLies te uno ardentius amayerint, cui->ìque plus iribuciint, illam ad urbem ex Hispania venisse porro iiulluni. Quamobrcni magnum me ììfccisse lucrum stalno 5 qui nullo meo labore ìu iìluani bencvolentiam pei'venerini 5 tuque ita me >)eoniplexus sls, ut etiani onies musae tuae prae^ »conio taoi iUosliic Qulbus quidein fit rebus^ uf »nisi te contra ipse quamplurinium et amaTero et »coluero, liominem profecio esse me nequaquam >»puteni eie. » e' bei innìì al eandor mìsia la rosa . Mentre y' adorna il giovinetto volto, E il ciel turbato 5 e in atre nubi involto Degli ocelli al lampeggiar rit»<'.liiara c posa^ E iiiontre il vago crin, che alla piìi ascosa Vena d' oro purissimo fu tolto ^ Nel bianco altero collo erra disciolio, Mosso dalla soave aura amorosa j Cogliete il frutto di sì lieto aprile 3 Non siate maF accorta ^ nè v' inganni 11 tempo die per voi non cangia stile. V ien presto il verno delle rose a' danni ^ Bianco il crin fassi, e il guardo oscuro e vilc; E tutto 5 o Donna, se ne portan gli anni, iial madre amorosissima, che intende Chieder F ihfermo suo figlio diletto Cosa con preci e lagrimoso aspetto 5 Onde gustando il mal forza riprende; Pria dulcemente a lui quella contende.. Poi dall' amore è vinto V inteHetto 5 E corre, e porge, con pietoso affetto Calma quel pianto, e piii la prole offende: Sì vorrei pur al cieco egro desio. Che d' esser senza voi, Donna, si lagna Torre il crudo alimento, ond' e^li è Taso : 7 o w • Bla tanto il sen di lagrime mi bagna, Toi sospirando ognor, che al fin F appago ^ Nè men la sua, che la mia morte oblio. SONETTO m destili pronto a darmi ognor toriiionto, Come trovai F estremo di tua possa ! Con fere man la pianta liai tronca e scossa Di fiori e fratta j ed ogni. bello hai spento, Le mie speranze se ne porta il vento, Chiuso, c il mio dolce amore in breve fossa, Ne più di lui qui mi riman che Y ossa, E le ceneri sorde al mio lamento. Questo3 ohe sempre dal mio ciglio sale, ì^ianto, e bagna il tuo sasso, ov'ardo e gelo^ Mia Diva^ accogli , benché nulla or vale^ Fin che d' eterna notte oscuro velo Gli occhi copra, ond' io te vidi mortale, Ed altri schiuda, end'io ti vegga in Cielo. SONETTO razie ai pietoso Cid j forza riplgìlo, Già sccjsso è il grave gi^igo, e dalle spoiitle Guardo le i rate IbrmldaLili orule. Sgombro da tenia il core, o fcrriKi il ri^^lifi. Peìidor da souil oriii fuor del periglio Vedrò vile d'aiiianii, a'quali ijiilonde • .Dolci soimi fallaci, e iiiorte asconde Amor cosi3 eli'è vano ogni consiglio. Godru nel contemplar di tpie' mortali Miseri il rischio | e non è già, i|iial semlu a. Quesio diletto mio crudo e inumano. M' allegrerò ^ conje s' all già porto e riposo XII Fui |>ur, ed ora il grave Duol SI vinee la iiienLe, e il cor gli strugge CU' ei me plii ahborre e pave, Cli' altri non odia e Yenenoso angue ^ o Iter leon, che Di selce alposlra e dura, Tu che ingrata esser vuoi, pur non sei figlhi,; Sia di tal macchia pura Chi ogni altra meravìglia In se raccMude, e assommi Dei somiglia « ìf alta paura t' empia D'Auassarete il lui misero e basso, Cui d'' esser schiva ed empia Increbbe lardi, e al passo Di morie, aJlor che IVi cangiata in sasso» Xf. D'au cor dii lei conquiso Gode 5 s' allegra, e il foro slil pur serba Quando, in giù volto il yisOj S<^orge oiniè! la superba Estinto r aniator di morte acerl>a j E stretto al el, ma «piai lia in terra il vanto i laro spino a celcilimr sol nato Cos' alte 5 e degne d'iinnioital meiiioria, Perchè al tuo crin Vittoria Sue gloriose frondi StrettaniGiite circondi; Non sia che indegna di tua ombra ^ e vile Edra li sembri lìoschereccia, limilo, Che serpe intorno ai trionfali allori,-Ma im piii sublime stile te si serba» Or odi i iniyi Pnsiori, tfseia delF onde luminoso e belio Il Sole 5 d' or Iregiando la superb.'ì Cima dei monti, e il buon Salizio intanio Presso alla quercia assiso 5 in grenìbo all' erba D^ mi fresco prato 5 ove gentil ruscello Serpendo già dai sassolini infranto ^ Tenijìrato il flebil canto Col graìo mormorio i}el fuggitivo rio Dol casi il miserel si dolcemente 5 chi Iuii£fì uon ha, ma vede e sente Quella crudel ^ che de' suoi mali è rea. E siccome presente llaglonaiidü con seco le diceiu S A. L I Z I O V, o j)iii dura a' iiiiei lai d' alpina pietra, Ed al possente foco, in cL' io mi striif^go « Più fredda, o Gakteag die neve e ghiaccio. Soii presso a morte, e il viver temo e fuggo, Ne mal fo, se il tuo cor da me s' arretra ; C'al « « « B m a .ile vita e senza te no j oso impaccio 5 A me medesuio io spiactio, E agli ocelli altrui m' involo ^ Che alihandonato e solo Tingermi il volto di vergogna io sento. Tu sdegni un cor sol d' ubbidir contento, Un cor tuo albergo si, che per mio vanto Fuor non esci un momento. Occhij versate senza freno il pianto. TL Per monti e valli saettando il giorno L'astro maggior 5 co'vai dL4 nuovo hime Desta dal sonno augelli, e lere, e grinte al pel seixjno ciol batte le piutnf>, Qiidl cF alta cdma, o erbosa valle intorno Pašno senza timor Ilhcrameiife, Qual visto il Sol presento, l*ur come suol, s' atlopra Volto air oflìzio 5 air eipra , A mi iialura, o '1 dosila suo F ineliina. Trar i;uai sol può quest'anima meschina, Quando stende la notte il nero manto, O il giorno s' avvicina » Occhi, versate senza freno il pianto. VIL E tu obliando or già qual reo governo Di me fa il duol, senza pietade in core. Che i lumi al di per te Salizio chiuda, In proda ai venti la fede e F amore Dovuto a me per dolco pegno eterno Tu lascia o ingrata, e d'ogni senso ignuda« Gran Dio ! con F empia e cruda rSo dal Ciel sui miei danni. E di spergiuri e inganni Yittima scorgi un così fiilo amico) Dov' È quel tuo giusto rigore antico ? Se di fy iiiortc ò il premio, e d^ amor tanto « Clic lìman pel uenilco? Ocelli3 versate senza freno il pianto» YIII lo il silenzio della selva ombrosa ^ Per te il riposto amai chiuso ricetto 3 E 1 solingo del monte orror natio, E d' erba verde, e fresco zefiretto ? Di l)ianco giglio, di vermiglia rosa-E dolce primavera ebbi desio, Alil! qiial error fu il mio! Guanto diversa e rea U alma che s' ascondea la quel tuo petto5 ove ogni fraude annida! Nunzie ben fur de^ mali miei le strida D'infausta gracchia 5 e ripetea quel canto » Che tu mi lasci, o infida. Occhi, versate senza freno il pianto. Quante volte dormendo alla foresta (E ingombro i' mi credea di vani errori) Fui del mio mal ne' sogni miei presago ! Sognava mi dì ^ che in sn gli esiivi ardori Per goder 1' omljra, dr ivi il bosco appresta, Guidai la greggia a dissetar liel Tago^ E giiinto incerto e vago, Ne so dir di qual arte, Per ilisiisala parie Gir veggo il fliiine, e per iifivella riva. 31' arde e siriigge del Sol la face estiva, E senza pro vo dietro al eor.so intanto Dell' ac(|iia fuggitiva. Oedii 5 versate senza freno il pianto. X. Quel tuo parlar d' ogni alma grazia adorno lo qual orecchia or suona? e a quale oJiljieito Hai volto il sol di tua vista serena? Me per chi lasci? ove ripon' tuo affetto. E rotta fede? ed a qual collo intorno Fai delle braccia lue dolce catena? Clii le lacrime affrena. o ' E qual cor mai di pietra Or Don si strugge, e spetia. Che la cara edra mia da me si slaccia, Ed a muro iioveì tende le braccia. Nt- ho jiiìi iiii'i yIhn akr'olnio afO.'liìlo Cnj>i(1a li quel al »lira«-eia ? Ofclii , versale sonza Irono il |iìari!0. XI. Qnal mai spriiic avvieu' nv sia si oli a orranle? (Ilio tlilìii'il rimali, driliMö fil im-erio? l'ra semi avversi (juale amor lia slrain»? E insieme. Mia nierec, ehe ur pno di ecrlo, lìnrhara (ialalea, vantar ramante, () qnal timor d'aceeso spino c vano? ]1 tuo esempio inumano Di mia Iradila lede A qnnnii il Sol mai vede l/ii'll arn:mti teliei lia rolmo il pello Di j-elf»sia, d'afliumo e di sosjieLlo, die non sia tm di «la lor perduto o pianto 1/" aiìiHIf » proprio olihiet lo . Oer hi. s'ersiile aenza iVetìO il piunto. XII. PPi" li' lìwrvvii che di nalura iium S|>eii (ili npposii unir M rlie c»i»nnn Podio spogli, i'^ poler non farei di mia figura Con chi del mio dolor lieto è cotanto. Mei cainlilerei vciuvir«a. Cjcclii, vorsate seiiiza freno il pianto. XIV. Di die son reo, che tanto or ni hai tu a vile? Come odiar me si di Icggier potesti? Non conosci quant'io t'adoro, e colo? Certo me sempre in alto pregio avresti, Se men fiera tu fosti5 e piìi gentile, li non vedreimi abbandonato e solo. Non sai (|iial cerchi stuolo Di mio £»re""e la state •w 00 In Cuenca V aure grate, ÌL al verno il regno estremo 5 uv' io dal ghiacc li) llicovro a lui di miglior ciel procaccio. Ma che vale il tener? di che mi vanto. Se mi consumo e sfaccio? Occhi, versate senza freno il pianto. XV. Al pianlu mio de' monti- il sen petroso Si scioglie e spezza, e gli ali «»ri le cime Sembrai! piegar vba Destaimi «pii con ìa mia Elisa a iato. O iriiserabil (alo! O de' giorni d' Elisa Tela gentil recisa Tr<)p}><> anzi tempo dall'armi di morte! Hi{.'uito ]iifi convenia sì dura sorte AÌV Infelice slame di luia vita j CliL* piii die il ferro è furie 5 Se ijon sì ruppe ccm la tua parlila. Ove soli' or le ireniole pupille 5 l^resso cui Lrallu da poder sovrano D^ amor su F ale, il mio spirto seii già ? Ov' è la molle caiidideiia mano Di palme adorna, e mille spoglie e mille5 Cile lo slufJ de' iiùei seiis^i in dou le oliVia ? li' la chioma, ond' uscia Splendor che facea F oro Parer scarso tesoro? Ov'è il sen lüanco V ov'è F alahasirino Collo, clic al capo rilucente e fino Fu SI {»fìiiiil colonna? AhiI che lant'opre Per mio l'alai destino .Deserta 5 fredda e dura terra copre» LassoI qiiand'lo con te, mia vita ^ intorno JJi questa valle al fresf:o veuli«x'lio Giva coglientlo morLidelti fiori li dolt.» avriauii; Elisa» o misLuello , (^^luinio lungi li'aiulri»! Gl;i jìn'sso v il j^ìurno amani, e fin ilei vusui aiiiori. o J)el CÀrì ììv midi clr^luvì ( i lave c la luaiì (Milani«), Cho a stiiijMlenio ])ianin, F. a tiislM .suHuidiii lui tiDHclaiinn : ì\ plìi di'al irò il veilfr, lasso! ni'aHanria , Clic ìlio siringo alla vila a.sjira o iiojosa » lia mia sldla tiranna , I''nud«» e «;io<'u 5 in carcfìr Unielirusa. Ptii che pili non l'aggiri a noi dapjjn.'.sso, l\m sazi e j/ingui non fin- mai gli arnicnii, il C'ain|)() a'voli del onJlor risprindr-j Tulio avvien qui die Irislo o reo Da nfimw^li' orlie 11 iiovel granej ò oppresso, E sieril V(ina intorno si dilìunde; Prall, rulline e sponde. (llje eo' iKiill llorelli Tn^liean dal noslri peni Sn! delia visia ugni piii grave aflanno, 1)1 spine e bronejii armale ineonlru siannoj li passo ad uman pie iiiega il suiol luiio. il i muÀ ivhC oecin faiiuo Ci'esücr col pianto 11 iinscral>il friiLfo. XXlli Come a] partir del Sul cresce ognor rumLra, E un ììvro vel, poi clic il suo raggio sparve, Tiittf? naseonde di natura V opre ^ Diid'è ehe in vista di terrihll larve, Sì die ogni cor d'alto spavento ingombra, S'olire a noi ein, che notte in sen ricopre. Fin che il hel Sol tli scopre Sua face aniica e pura j Tal 111 ange e preme oscura Notte, or che al inonrlo il trio bel viso Iiai tolto: Cosi treni' io da eneco orrore avvolto. Fin die, in me compio dì morie il desilno» L' innam(»rato e sciolto S|>irlo al Sul de' tnui rai s' apra il cammino. XX.1Y. Come liM fronda e fronda il flelill caiKo l/usiiinnul sriu"1!e„ e il lamciitevol ibrido Contro il villano insiilioso, avaro. Che lasciò freddo e vuoto il dolce nido io6 De' fì"liiu)lhii l'oiìerelli, inLinlo o ' Clic ìmvjà em did ramo dello e aivu: srs E quel suo duolo amaro In lami, e si diversi Tuoni éiYYÌen piu^ cJi' ei versi Col dolce gorgÌìegi»iar, die V ai-ia è piena Del suon dolerne, e il mulo orror non iVena Della gelida notte i suoi lamenti, Cliiamando di sua pena Cui cielo in lestimoii gli astri lucenil; Tal'io5 misero! al duolo il fren disciolto Dì e notte piringo, e nd laménto invano Di morte irola, e in sua ragion severa: Ella dentro al mio cor spinse la mano^ E di là il dolce bììo pegno m'lia tolto ^ Cile ivi suo nido, e sua magion sol era. Ahi violenta e fiera Morte! per te, o crudele g Di nojose querele, E d'imporluno pianto il mondo ho pieno, A tanto eccesso di martir miai freno? Già non può mai di questo cor V intenso Tormento venir meno - Se pria non manca ogni vltal mio senso. sr-cr-rn ^u*te assai cara lio qui de' tnoi caj Accolti 5 Elisa 5 in questo bianco panno 5 Cile mai disgiunto dal mio sen non rolli. Disciolgo il nodo 3 e im sj pietoso affanno M' assale il cor, che su que' crin si belli Gli occhi miei son di lagriniar satolli | Poscia del pianto molli Con sospir mille e mille 5 Ö1' ardon pifi die faville. Gli asciugo e tergo, quasi ad uno ad uno To numerando, e in piccioi fascio aduno Con mi lacciu(.»l, che intorno a Jor s' aggira Appresso l'importinio Dolor sì tempra alquanto, e il cor respira. Ma foslo per mio danno mi riniemLra Di quella tenebrosa noi te oscura, eli' empie di duol quest' anima mescliina Con Ja memoria o£»nor di mia sventura. VetlcTli, oiiiìè! tulln palìor im sniilira In cjiiol fiiiujsio jiasso dl Luirina^ E udir r idiiKi divina Tua fljf» animo] J ire l'otca dcri venti 1' ire Col dolce suono, e or piii non fui ni-i accento E cliianiar «jnella siuda al tvin lanicnio Diva eriidol panni .senUrli ancora Nel tuo Aliai ciiiionro; e Ma tu, nislica Dea5 dov'eri allora? XXVIIL Qua! pro allo I>clvo in r|nol pimi o far guerra, () d'un p;?sl(»r die dorme j aver dilello? 0 eh'alrro mai T oreccliio a'YOli e. al piamo.. Crude] , li clnuse^ ed a pieiade il peir»i? Clio poiur hai veiler falla vii terra lieltà . eh'avca sovra miH'allre il vanlo, in preda, ahi lasso! a tanto Duulo il tuo Nemo roso, A cui sì dileiloso Trastrdlo è l'arie Mia, cacciando al monte Stendere al suol fere veloci e pronte, Ci a le su F are ad offrir poi seu viene j E tli COM Jk'la Ironie Morir SU gli ocelli miei lasci Ii mio bene. XXIX. Divina Elisa, or dio già premi il Cielo Col pie iinmorialo, c spaziando vedi Suo variar di tua fermezza altera, Pereliè di me non ti suwien, ne chiedi, S' aflretii il di, r-lie, rotto il murlal velo, Sia quesL'anima allin sciolta, e leggiera? Onde in la tei'za spera Conmuiiii mano a mano o Cenrlììani j>iii ilolce pi.rno, Pili Lei ruscelli, miglior piaggia aprica, K i llori «r lillre valli, e T oniljra amica , Dov'Io ripresi, e t'abliia ognor presentef Ni? rea tema nemica JJi perderli, mio Ben, turbi la mente. Mai que' tristi Pastor dai canti loro (Ch'ivi solo il gran monte udir potea) Cessato avrian, nò cliiusi* al [>iantu il corso. Se, viste in cielo, «juandi) il Sol cadea, Le nulli rosseggiar l'regiate d" «»ru. rfon s' accorgeauo alfiii 5 cli era il di coi\so. L' ombra pel follo dorso Scender vedeasi in fretta Dall' aliissima yelia. Qual chi repente ad alto sonno è tollo. Sorgono entrambi, e mentre in fuga volto S' ascoFide il Sol di debil luce ad'jrnu, il gregge insiém raccolto. Fan passo passo al eliiuso ovil ritorno. 3«"iilta «t D. rt-ruaiiilij duca d'Alba arfilUissiino per la iimrt« di >ao fralellü D. Bernaldiiiu j accaduta nel di Sicilia „ l,leiidiò il mio cor sia d' aspro daol eonipiniio Vià duro caso, e la nienlc si iìigonilìra 1)1. iVinesli pensier, die cerco io slesso Chi mi consoli, c mi rasciiiglii il piamoj Pur vo' leiilar se in nir»zzo al gravo alAmno IJel recenLe ino mal puss' io la l'orza '.reniprar scrivonilo, e se allo illuse ò dato lliìcar ronlorlo all' alìballiiLo spirto, K por lino a tuoi lai. Den so, eìie «pielle Furlnuaie di Pindo aljilatriei ESenlon picLa della Ina diij;,lia acerba, JJl cui glii sparso è il gvidu, c lama annunzia Che o sorga il Sole in orienle, o scenda Cu' rai neiroiule^ non s'allenla . e molce| Anzi sempre Lu piagni, fj il lier nuulire Tanle dagli (.»echi tuoi lagrime elice. Che allìii slru^ijfM- ti d««!, conio si strugge Neve su i iiKiiiii per pinvusu voviio. J'I llinia (lire ancor^ elu? sso , Onck' per iiuvu cluòì vigore arfjnisll, l>reYÌ sonni la puHiiìa inmiaf^o Ti s'offre del German, r-lie lan^ue, e clnndc A' dolci rai d(,'l dì per sempre i lumi: E lu, porgeudu la pietosa mano Per sostener del vacillante corpo 11 peso aniaio 5 la liev'aura siringi^ E posto in liiga dal dolore il sonno Pm* Ini cerclii afiamioso, e non l accorai. (Ihe in un col sonno si tlileguan tosto 1 vani siniulacnj e quindi meno Yeut'iido in te Fuso d.e's(^nsÌ5 a in liando Onasi tu di le stosso- il tuo Germano Jiinigo i lidi di Trapani, gementlo Va lacrimando clnami, il dolce e caro! German j dell'alma tua la miglior parte. Nò altrimenti ripetendo vai 3/amato nome, ed in cangiato as[)etlo P«;r ogni lato li raggiri ed angi. (Ilie si layiiasse aJJ' Eiiclaiio in riva .Laiiipeziii alUiLla per V estiiiLu irate Da loi chiamato, e la^^riiiiatu invano. OikIu, tlifica, reiKletemi il diletto Fetonte mio, se non volete in pianto Su «jiiesto suol eh' i' mi diseiolga e iiiuuja. O ffnante volte per la l'era doglia Fatta pili forte le querele amare Del suo crudo destino iva iterando! E quante al rallentar del suo fiu'ore Stendeasi vinta sulF ombrosa sponda. E tutta aspersa del color di morte! E certo, se quagjjiù Ira j^rìnlinlii Casi, onile geme de' mortali il c fuco, Onde accese d<4 vtilio eran le nevi, ÌL pur niurlu non giii, ma in J)raccif> a dolce Securo sonno riposar in sembri CV semini in fronle d'imniorlal uiuirc. o ?? a della Madre tua, che lauto (uuasli, E ili cui fosd si .soave olJiieilo, Che avea del viver ruo sahife e viia. Che mai sarà? PovfM-a Madre! Il suonò Già panili udir deli'alle sue cpierele, Cile per Laut'aere a me s'apron la via; E misto a rpielle il gemito e il compianto .Delle Germane tue, che forza acrplista Dal materno dolor, menir'elle al venlo Sparsa, cred'io, la lunga chioma hionda Fanno al liei petto, e a quel Un'oro oltraggio L' antico Torme assiem col vago stuolo Di sue candide Ninfe il rivo spoglia Dd erlsuilluio nmor, ne pui s'assule Presso ci "il iirnii in Tresco umLroso speco ; Ma sleso a terra in svi gli estivi ardori Geiiie rauco siiuno 5 e plora e strazia La sotti! vesta, c .del eapo e del iiienlo I non piii molli e vordeg^ianti «'rlnij A cui d' intorno disadorne in pianto Giacei«jn le aniitte Ninfe. Dee pietose-Che il lirpiido cristullo alljerga e nntri^ JJi Si bel rl(i, datevi pace, e volte Ad iitll opra Finl'ellce Madre, ( ilie di non tardo, oline ! conl'orto ha d' nop/). Ilaceonsolate: in pochi dì la tonilia Sorger vedrei.e su le vostre spondo Marmorea, eterna, che il l>el corpo cliiuda:, E le Yostr' onde haderen passando L' ossa onorale ; lo verrò là, ne senza Dolermi si, che vi sia l'orza il ca|)o Alzar dall'acque j e piagnere al mio pianto. O lidi, o rnpl eccelse in un con tutta lia dolente Ti inacria, avreste mai Ontle leniprar di sì gran danno il lutici? E voidie senza aHannl 1 dì traete De' boschi all' ombre piii riposte g o Kìiife 5 Salili, Fauni, e le virliicli occiJle D' ogni erba conoscete, e d' ogni fiore. Date a Fernando mio soccorso5 aita. Cosi qiialor nelle secrete selve Di tìvo ardendo e dolce foco in traccia Delle Ninfe ven gite, o Fauni, o Satiri, Che fuggono a celarsi, il eorso allentino Tinte da' caldi preghi, e non ricusino Gli amorosi trastulli, anzi com' edera Ognor tenacemente a Yoi si strhiganuo E tu, o Feraando, che già fosti, e sei Per opre IHustri sì famoso e chiaro, E a maggior gloria aspiri, il tuo gran nome Gelosamente serba, e non dar segni D' abbattuta virtù, eh' iiom grande e forte Con fermo aspetto, e cor di valor cinto L' aspre battaglie di Fortuna affronta | Nò sol costei, che sì importuna e fera Ogni cosa quaggiù governa g e volge Cui variar delle celesti spere, Può nulla sopra lui, che in calma, e in pace Sgombro d' ogni tristezza si riposa j Bla la mole dei elei con suono on-euclo Preoipltaiulo sul. tenesire gluljo Lui prima infranlo dalle sue ruine Tedria, cLe liuto di spavento in faccia: E fjuesto è r aspro lìilicoso calle, Non altro già 3 che al seggio eccelso guida Della immorialilate. A' primi moli DtJla fragil natura 3 al sangue 5 al mei'lo Non conlend' io perù 5 che in sì fiuicslo Caso tu ceda alquanto, e pio trillino Di lagrime si dia, ma non consento L'eccesso del marlirj che il tempo almeno5 Per cui tulio fra noi si scema e cangia 5 Dovria poter ciò che ragion non piiote. Nun fu l'Eroe trojan dal padre antico, Nò diilla madre sua senza fin pianto 5 Ma porte preci lagriniose, ed oro Al fiero Achille, e ricorralo il corpo^ J'iu non s' udir d'inutili lamenti Sonar le volle del regale albergo« E visto il caro Adon Tenere Li'lla Giacer prosteso insanguinando il prato, E spirar 1' alma nelle lahra sue j Qual non seiili 5 Lencliè iinnioruile e Dito - Sniania, arianiio. pietà, flolore e huio? 'E pnr qnand' ella riconolibe invano Sparger (|nerole, e iiivan stniggersi in piantò ^ Che non perciò dalla profonda iiolle L' amico suo, la sua delizia e speiuo A' dulei rai del di faeea riiorno 5 Gli oedii asciugò, poi serenò la. fi'onie A poco a poco 5 e dd Garzone esiiijfo Togliendosi all' aspeilo, in un si lolsc Alla gravo ineslizia, indi movendo Il piò gentil sopra i (loreLti e V erba Delle usate gliirlande si ricinse E mentre il crine al collo, e al peli o intorno Gian ventilando le lascive arnvHte, Col lampeggiar debile divine lurama di salire al Tempio, Dove saetta invaii Y arco dì morte j E là vedrai quaiit' ò vana sua possa Contro gl' illustri nomi, e la lìiemoria D' Eroi laiiiosi in cenere couversi « Yulgki infine al Ciel, die pur tua speme Ultima e somma, ove perfetta ascende L' alma, clie in foco di virtute affina. E lai, non altra, dell'invitto Aleide 11 fral caduco un di fiamma consunse, Quando lo spirto suo giunse alle stelle;, IScd altramente chi sospiri, e piagni Tu senza posa, e del cui nome intorno Fai risuunar T aere dappresso e lungi ^ Surse per vie sol di grand' orme impresse Alla dolce magion del riso eterno Già puro, e scosso del mortale incarco. E «juindi noi pulvere, fumo ed omLra Gir brancolando in bnja notte scorge Senz' alcun vel, che la ragione ofi'eada » Scorge da turba d' infiniti mali «j Nostra natura combattuta e vinta, 1:4 lieto nyor^ battendo al Cielo i vanni. Cangiato il dnolo con le glojc eterne Pel cristallino immenso pian si spazia» Yengongli appresso dalF un laio il Padre, L' JLyo dall' altro, ambi famosi e chiari j E qiiosii eidurno delle sue vimidij Che gli fer lieve ogni sublime impressi , U altro eoi sen di fiamiueggianti e Ik^Uo Ferite impresso, onde fur brevi i giorni Di sua dimora fra' mortali ^ ed onde Tal miete frutto co' Gèìesti; e questa E la sola vendetta, a ctii s' aspiri Dagli alti Eroi nelle guerriere offese. Così sen vive il tuo Germano, e un Sono al suo sguardo in paragon dei Cieli La terra e il mar 5 che la circonda e chiude Kè già si volge a noi j die intento e liso, Com' aquila nel Sol ^ mentr^ ei vagheggia L'alto specchio divin, tutto il presente, Le andate cose 3 e Y avvenir contempla. Ed ivi egli non pur, quanto ancor deggia Tu in questa valle rimaner, discerno. Ma qual seggio nel del ti s' apparecclii » Fortunato Garson! te non offende sdegno ed amor cieco, per cui Si piagne i« terra, si sospira e ìanguej Ma ili (lulcissiiria giojaj in pura calma Vivi 5 c vivrai fin die F eterno Amore Gli eletti Spird di sne fiamme acconcia» Dell! il Ciel cortese al mio lu£jubre canto Largisca il don, cui disioso aspira Della immortali tate, ond' anche il tuo Nome qui suoni in tutte parti, e viva, Fin die dia luce al mondo il Sol, die Lruna Notte il ricopra di stellato ammanto, CIi' amino i pesci il mar, le fere il bosco « E ben degno tu sei, che io verde etate Non si vedrà dall' uno alF altro polo Oli tue virtuti, e tuo gnm core adegui. EGLOGA TIPlUENO, ALGIKO 'aranno ora materia del imo canto FiI(Scloe.e, Dinamene, Climéne E Nlse 5 che non lia pari in beluulr, Ninfe del Tago. A si bel fiume appresso S' estolle in vaga solitaria parte Folto bosco ài salcio ai tronchi intorno Tale serpendo va dall^ imo al soiiinio Edra, che tutti gl^ incatena, e chiuso Trovano il varco i rai del Sole al prato. Del liiiipidetto umor di più ruscelli L' erJja si nutre 5 e dolce è il mormorio Ole di lor escej ivi si uiiLe e lento Del Tago è il corso 3 che F occhio non scerne A qua! lato declini. Or quivi appunto Le chiome di fin' oro pettinando Il capo akò dai liquidi cristalli Leggiadra Niufa^ al cui guardo s' L' amenità di sì felice terra. I luoghi onibrati, il fresco venticello ^ Quegli odorosi fior di color mille 5 I pimi augei, die nel ricovro amico Della frese' oiiAra aveaii riposo e pace Dalle fatiche lor , sommo diletto Porsero al cor della vezzosa Niufa« Era 1' ora che il Sol gli umori e 1' aure Neir estivo meriggio ai campi invola 5 E solo udiasi il susiirrar delFapi^ Quaiid' ella, avendo fisamente il loco liiiona pezza osservato ^ il Ijiondo cajx) Neir acque ritiiiìo ^ cadendo al fondo 5 E tosto espose alle care sorelle, Ouaot' era fresco e verde, e quanto acconcio A' lov lavori il seggio in fin che il Sole Piega air occaso : nò di lunghe preci Ebb' ella d' uopo j che le tre Germane 1-reso Ira inani il bel lavoro 5 e visto, Ti aendo gli ocelli fuor deli' onde, il prato. Colà iiu" volte 5 e lascivette a nuoto Hònipeiulo J' acxjue crisudlint" uscirò. ludi air aren.ì, e al llji sul verde sniaifo Posar le molli alabasLriue piarne. Nè fu pria fermo il piede, eli e si diera A spreuiero T luiior dui lungo criue, Che poi dlscdoko d' oyni nodo, e .sparso Copria lucido e fiu gli omer di neve. Appresso dispiegar non meii sottili Meravigliose tele, e s'adagiaro Nel più riposto loco a seguir 1' opra Col guardo fiso, e la man sempre in motoir Tessuto erau le tele di quell' oro 5 Che volgoli le felici ónde del Tago, Pria cerco e scelto con assidua cura Fra la nativa sua minuta arcnia. Poi (alto puro con ardente foco 5 Indi allungato in preziose filai E con quello s' uoia sottil del pari. E dilicato stame, che da verdi Foglie già trailo, di niille colori Tolti a fine conchiglie avean distinto.: E tanta ò Farle, onde figura, e tes.se Ciascuna delle Ninfe, che più industri Pignendo non far già Timante e Apello,. 1)1 c|Melle Dl\ e ìa maggior, eli' k delta Filüiloce, Ji Striiuoiie le sponde Avea ritraUe con maestra manoj D.ilF una parte il pian, dall'altra il monte Aspro, selvaggio e rado, o non mai tocco Da piede miian, fuor die dal piò d^ Orfeo, CU' ivi sì dolcemente afflitto e solo Sciolse la lingua in miseral)il canto. Mostrava ancora la bella Euridice Nel candiilo tallon punta repente Da piccioF angue di veneno infetto, liscia col capo dai fìon e dall' erba, Ov' era ascoso, e lei pallida e smorta, Siccome rosa iimanzi tempo colta. Con torljide pnpille, e sì verace, f!he liu* ])area lo spiiito da quelle Meui!)ra gentili amara dipartita. Poi tutta si vedea distesamente La lunga istoria del fedel consorte; Com' ci giii scese intrepido agli oscmi llegni del pianto, e ricovrò la dolce Perduta Sposa; come impaziente Si volse addietro a rimirarla • ed ella Un'altra volia si mesdiiò ira roml^ro, Nè piii gli apparve^ e ciò elio poi gli avvenne Quando por monti solitari ed (Mini Sen giva errando, e invan spargca querele Contro di morte, e di Plntone avaro. ?fc minoro arliüzio avea dimostro Dinamene tessendo il suo lavoro. Ivi era Apollo pria non d'altro vago. Che di condur vita silvestre e dura. Seguendo belve fuggitive in caccia ; Poi ferito nel sen con aureo dai-do Per man d'Amor, ^'clie n' avea sdegno ed onta ^ Parca, già puste le fere in oLlio, Fi'a' singulti e sospir struggersi in pianto« Indi vedeasi con le chiome al vento Dafne del bianco piò nulla curando Fuggir precipitosa per alpestro Cammino sì, che lentamente il Nume Sembrava lei seguire, onde temprasse La perigliosa fuga^ ed ella, ch'ave Al petto ognora l'impiombato strale. l oia dinanzi alF abborrito amante. Cresccano al fin le dilicate braccia ili duo raiiiì j il crine all' aura sparso Ili foglie verdi era mulalo, ed era Steso e converso il pie candido in torte Lunghe radici, ed al terreo confitto« L' innamorato Dio cercando invano Il molle corpo e le natie sembianze 5 Strigne e bacia qttel tronco, e par die senta Sotto la scorza palpitarle il core. Climcne ingegnosa iva niescliiando oro 3 e 1 molti color si cue n^ uscia Tariato di roveri, di faggi, E di scoscese rupi eccelso monte, Ove sembrava grugnire, e aguzzare Orribile cinghiai le acute zanne, Tenendo incontro ad un garzon, che avea L' asta fra mani ^ ed appariva in vista Prode non iiieiì. che grazioso e belìo. Poscia ferito si porgeva al guardo JJ animai crudo, e il giovane in mal punto Troppo animoso sopra il verde prato Giacca supino, e dal ricurvo dente Miseramente lacerato il peUOc Ülorle sedea nel volto, il biondo ciinc Ne^Iotlo e YÌle si spargea fra l'ori.a. E le candide rose a lui dappresso Tigiioansi tulle di color saiigiiignu, Cii' era Adone il garzon dicoa F asp-ìtto Della Madre d' Amor, die , abliandoiiafa Sopra il corpo di Ini ferito e guttsto, Parca ci'aiTaiino venir meno, ed era In alto di raccor dal LiLro esan-fiie rJ Con la sua boccia le lir'vi auro csin-me Di quelio spirto 5 che diò molo e \ iia Alle membra bellissime, per cui Yiss'ella in terra 5 ed ebbe il Ci?»!?) a sdeano INi^c, die di candore ogni altra avanz.ì, Nel suo fino lavor tesser non volle Antidie istorie, ma del Tago ilbislie Solo intenta alla gloria 5 11 segna e adombra in quella parte, ore de' regni Ispani 11 più felice e lieto suolo irriga. Quel SI ricco d' umori altero llame l'^ra rupe e rupe in pieeiol varco aL^culto Con rapid' onde alle radici intorno D' alto monte girar vedeasi, come Tutto il volesse circondar^ poi quasi Cmit onto füs.se averne tocco assai, Se tulio non poU»a, libero e drillo Caniniin seguiva ^ ed era al ver sì presso 5 dì' udir credei romorcijsiare il flutto. ludi piii mite si faeea quelF onda In suo viaggio 3 e Biolta fuor ne nseia Dalle sponde natie per Lelll ingegni Di ruote eccelse ad inafìlar del rampo l^a piccior erba e i giovani arboscelli; Bla r arduo nìonte dalla cima ai basso Vm rave apparia d' anticlie moli, e adoroa Di superbi palagi ergea la froiite. Nella niedcsriia tela inimagìiuite I.e boschereccie Dee venian portando Jìianchc fiscelle di vermiglie rose, C)uale in atto d' uscir fuor della selva, Qiial posla in via come afiVeiiando il piede ^ Qiial giunte al fiume le rose spargendo Sopra una morta Kinfii, ed eran tulle Disciolie il crine, e lacrimose in visla. ' e? Il bel eandor, la dilicata e molle Tempra d' aml»e le gote dimostrava I.f:i spenta nel fnirir fpuisi defili anni; E la meschina esangue si giacca Stesa fra T erba, e i fior vicino alF acque, Come cigno riman quando si muore. Ma delle Dee sllvesiri la più Leila Disgiunta alquanto dalle sue compagne. Ed atteggiata di doglia e pietade , Intenta era a segnar lettere e versi D' uu verde pioppo su la scorza j e rj Come scritta di toiiiJja, in cotal modo Diceaii parlando per la bella esdnta: >i Io sono Elisa, al cui nome d'intorno »Ecclieggia il monte cavernoso e scaltro jiCon lameiitevol suono, c fede acquista ji Air acerbo dolor di Nemoroso , lìdie chiama Elisaj Elisa in alta voce Anclie il Tago risponde 5 e F onde affretta >> Portando al mar di Lusitania il mio Nome 5 eh' io sporo avrà chi V oda e onori >», Poi tutti Nise vivamente espressi Mostrava i casi, già tante fiate Da Nemoroso cel(;brati e pianti Lungo le amene sponde j e ben contozzii N' avea la Ninfa, che sovente al duolo E al lagiiniiii* del misero Pastore EW ella il petto da pietà commosso j Però ne feo de' suoi luYor soggetto ^ E volle 3 die noe pur gli abitatori Di selve e campi ^ ma quelli delF onde N'a vessar doglia 5 e d'una in altra voce Giugnesse ai regni di Nettiino 0 grido« Di SI famose istorie variate Tedeansi F opre delle quattro Ninfe Con artifizio tal di lumi ed ombre j Che si porgeva rilevata al guardo La tela sottilissima § e invitava Fallacemente ad aìjl}raGCJàr F immago © Ma d' aiti mónti il Sol dopo le spalle I suoi raggi ascondea sì cari al inondoj' Lasciando in cielo biaoclieggiar la lunaj E i pesci percotean la tremoF onda Con salti e guizzi e scorribande intorno | Quando le Dive dai ìavor cessando Tornaro al fiume 5 e con F acqua alle piante5 Tutte pendenti in quella d' improvviso Moleer F orecchio si sentir dal suojia Dì due dolci zampogne ^ e dalF alterno Canio di duo Paslur ^ ne fu lur d' uopo Tolgere il pie, che d' or in or più chiarì Quivi s'udiano i rusticani accenti. Movea iVa lauto pel fronssuto bosco 11 pasciuto hestiainc^ che alla oiandra, Cadendo il Sole^ in ben accollo stuolo Faoea ritorno^ e dietro a quel cantando Enipieau la selva d' armonia soave ^ E raddulciano la fatl(!a i due raneiu Jfasiorj iirreno e AJcmo. D'un medesmo costume, e d'una etate^ Sperti nel canto, e in pregio sopra quanti annenlo a sì bel fiuoie in riva Erano entraiubi. Or questi allora vaghi Di cantar a vicenda, in colai guisa Meschiaro al suon della zampoi>na i versi O Flei'ida a me dolce e saporosa Più che le frutta dell' altrui terreno, Più candida che latte ^ e più vistosa Che prato in primavera di fior pieno. Se lu rispondi sincera o. amorosa Al puro e vero amor dol tuo Tirreno, Ghignerai prima c'dla mia mandra ^ o Leila ^ Clic splenda in eicì la maiuiiina slella. alcino A te pili fjlie ginestra amai-o io sia, 0 Leila 5 o cara Filli, eli' io sol amo, E spogliato mi vegga, o Filli mia, Di te 5 cpial tronco del suo verde ramo. S' odia 5 (juani' io la luce, e se desia 11 nottoìo r orror ^ quant' io lo Lranio 5 Onde pur giunga il termine di questo Giorno 2>iÌL eli' anno a me lungo e molesto . tliuie:s"o Qua! 5 perchè il mondo s' orni e rinovellì. Suole apparir la vaga primavera In compagnia dei dulci venticelli 3 Glie danno al campo I' crLetta primiera, E van smallando di mille fior belli. Bianchi5 azzuni, vermigli la riviera; A me Flerida è tal quando m' appare Gioja rinverdcj e noja via dispare- AÌ.CiNO Te:losti con rjiial furia iraLo il vonto Coiitn) il ripido iiionle si iHssimtm, Che da radice svetle a eniito, a ctonio PioYori ainiosi o pini eccelsi aticrra, TS è. di Si va.sui riiin.'i conlonlo fonnidaliil nuir ìnovo la trunrra ? Minor dnlP ira di Filli ò Lini.'ira, On^nd«) fM>ntni d'Alcino, oinic! s'adira. Tilini-NO Abl»Olirla 0 orcsce il novi'l grano Iniorno, Pruilucn il campo agli arnienli, alla Tonerò jjaslo; e Inion cibo, e-soi;j;iorno Oflìo alle fere il monte, die. TerdeL^i^ia; Seliiude la (Ju])ìa in oj»iri lato il etn-no^ Si die nnir altro suol (piesto ]»aregiil;; Mn LiUlo diverrei triboli e duini, Se Flerida ne toglie i suoi bei lujhl. ALCLXO Alido e il nioìite, il bosco, ed oeni cullo, ' o Trivo di pasto T annentu si umore« CU' occide F erba, e il leiiero ^ir^ultu C; p» L'il ore impregnalo ril maligno ardore; Dülgonsi gli aiigeiriii, elie lì nido occulto Dianzi da yerdi foglie appar già fuore^ Ma rioda Filli, e gli occhi intorno giri. Tedrai riverdogglar qnant' ella miri. TIRRENO Sempre del ]ìioppo Ali.-ide si compiac(|ne^ Del lanro il biondo Apollo djbe dileito^ A lei, die dalle spume del mar nacque. Il mirto fu sovra ogni pianta accetto j Il verde salcio a Flerida sol piacffue, E r ha per suo fra tanti alberi eletto ; Da ora innanzi, ove salcio si veda, Convlen che il pioppo^ il lauro, e il mirto cedü. ATXOO Bello eilìa vista il frassino si pf>rge D'antica st-lva fra le ombrose piante; IN è hfllo il l'a"i;io meo nel monio somo Fra dm-i massi, e tante fronde e tante ; Ma chi la bella ina peisona scorge Dal crino al piede, o 1^'iìli, e il tuo sembiante. Tutto pei- nulla avrà, se paragona li tuo sembianle, e ina bella persona. Cosi canU» Tirreno, e così Alci no Jijspose^ e posto line iil dolce snorio III lor viaggio alquanto alTrcttaro^ Mà quelle Kiiife j udito il calpestio ^ (Jh' era già presso, si spinser neli" acqiie Tu Ite in iiìi punto, ed a rpiol iikjI.o sopii» Le liiiipid' ondo biaoclieggiò la s|)iinia, MfffiAT.F. liullaglia Ruj^iüüc eoa PAi^pelito I. . J .J aspro rigor del irdo lungo iiiariiir-r TO ehe paja nelP ingrato canto, Come negli atti fuor si matiifesia. ;ò miei casi 5 il Iren discioko al pL Fia nota la cagion del mio iiiorirCy Che ad noni presso a morir fede si presta Questo solo conforto ornai mi resta, Poi son da cieco pensier folle a forza Tratto per broachl, e per acute spine, E fra sassi e ruìne, U' più che il vento il correr suo rinforza i^icendo di mia vita orrido strazio; E percliò il mal s' alliuiglii 5 mi veg£>' io Talor sospinto ira soavi fiori, Ove trovo riposo a' mici dolori, Ed i passati guai spargo d"ulilin. Bla del dolce gioir breve è lo spazio j Gli egli non mai di loriiientariiii sazio Ben tosto allor più forsennato e liero Segue, misero me! l'aspro sentiero » IL me non venni in sì fiinesli danni j Bli spinse del destino la possanza ^ E diemiui a tal che ognor mi Lagna il ciglio Ebbe al prineipio mia Ragion fidanza jy essermi scudo, come oe^ freseli' anni Spesso m' avea guardato da periglio j Ma povera trovctósi di consiglio 5 Tosto eli ella conobbe aì paragone Ben altra forssa iion più vista e nova^ Nè già di se far prova Yolca turbata in disugual tenzone^ Pur vergogna fe sì 5 die lenta, lenta E vacillante si ridusse al campo | ..Ma pia che da vicin lei strigne e preme Jl tler nemico, piìi perde la speme (J^uella infelice di difesa e scampo." Tanto il crudel conffitlo la spaventa. Tijìjor di rinianer domata e spenta Sua virtucle talor focca gagliarda ^ Ma più soyente ancor debile e tarda. Blentre in soccorso mio la mia guerrera Da mille colpi offesa, e da temenza Già lassa eoniliattendo, intento e fiso Er'io alla pngìia, e disiava senza Scoprir di rfuel disio la cagion vera^ Glie di lei fosse ogni poter conquiso. Mai, qiiant' io vissi, non fu men divisa Dalle mie brame F ottener | cli^ io vidi Tosto r alta reina al servo indemo o Ceder se stossa, e il regno. Onde in sua vece la mia vita guidi. Usando in me di vincitore il dritto: io non saprei ridir quant' ebbi accesa. Di rossor generoso il volto allora Per così reo trionfo in sì brev' ora; E dietro alla vergogna, onde fui preso,-r mi sentii da grave duolo afflitto, Yeggendo il core a signor empio additto, Glie ognor dii vita e morte,; e il minor danno Quest' è di' io soffra dal crudel tiranno. I ocelli, ond' avvion, die Amor luì luce Tem Che rlsdiiarar V oscura noUe, e il volto Del gran pianeta iiiipalliclir porla. Da qud, ch'io m'era, in qiuil di'io son, in'ìian volto INel primo istante che a sno fur conversi j Tanto, e sì novo artlor da' raggi uscia, . Ed ampia dentro del mio sen la via S'aperse; e per piii danno, il viso asciulto I^Iai pili non el>bi, che qnal viva fonte Le lagrime fiir pronte Pure a cangiarmi, e fare altr' nomo ui tutto ^ Si eh' io non riconobbi piìi me stesso. liiliertade, e riposo almo e fdice Nel petto venir meno io sentii prima: Poscia il mal sorse, che quanto la cima Ergo, tanto ha profonda sua radice. Con raro al mondo, o non piìi visto eccesso. II frutto 5 di' indi coglier m' è concesso, Spesso amareggia il cor, talor diletto Porge, ma sempre è di veneno infetto. Ed or da me fuggendo io corro dietro A tal 3 die via dispai* crome iioirùca; Clie fallo aggiuugo a Mio, e scorno a scorno. ì^^ in mezzo all' amorosa mia fatica Cauto, folle eh' io sono ! in dolce iiieiro ^ Il siionan le catene al piede intorno « Ma breve è il canto j che quand' io rltoi no A me medesmo^ non ho piìi riposo^ t.otanto im trov xo^ misero i il suno Di diffidenza pieno. Speme le Testi3 e l'andar suo vezzoso mostra da lontanj ma non consenlcj eli io lei contenipli da vicino in l'accia-l'cjrno a dolermi ^ e al pianto il varco scJiindo; di' arte fera mi sembra, ed atto crudo, Perch'uom di sete ardendo si disfaccia, Hi('ca d'umori al guardo offrir corrente. Onde il cristallo anmiiraj il romor seni e ; Bla quando ad appressar le laLljra giunge, Scorge l'acqua il meschiii da se ben lungCe Dell' auree fila di quel crin si vago Forjnaro ì sensi miei la rete e il laccio 5 Che tutta avvolge, e in vii servaggio serra Güll sua vergogna alF Appetito in braccio L' alma 5 eli è j>tir tlcl su(.> FaU.ore imiiiago ^ Del ciclo ausi al cospello e Jclla terra» Nò ]>iii 5 croci'io, dal nodo si disserra. Ed il teuuuio è inlonipeslivo e vano ; Ne saprei come^ poscia die a tal puulo ini veggo esser giunto, die tolte alla Ragion T arme di mano 5 Cliiiisa è d'in Ionio al mio campar F usci La« Qual uom non sente orror per quel eli io dico ? ( E si vedrà, se il mal venne alF estremo ) Uel grave, aspro dolor eli'io fuggo e temo, (Cliil crederla?) tal volta i' son si amico^ Che ripensando alla mia prima vita 5 Più non desio la libertà smarrita 3 £ i giorni e V ore abbomino e delesto • Gli' io vissi fuor del carcere funesto » Ma non sempre in tal guisa io bramo e penso Glie poco fantasia torbida ed egra In un medesmo stato si mantiene j l^erò die alcuna volta si rintegraj E cosi vivo è il mio dolore e intenso 3 Che süfferenssa più non mi sostiene. Quanto, infelice ine! deìle mie pene Dura r assalto, ed il martir si forte 5 Piagnere, e ripregare udir mi sembra Le mie misere membra ^ Che indietro io torni dal canimin di morte. Tutte d' intorno a me scosse e tremanti. non c già, che a quel grido i' mi fermi, fe all'intelletto mai giugne lor roeej Onde cresce il tormento, e tanto nuoce Ad ogni parte de' miei sensi infermi, Che d'alcun dolce, se alcun u^ ebbi imianti. D a sovvieniiii ira i singulti e 1 pianti, E sento solo il mal presente, e scemo Di me farsi, ond' io pera, empio governo - YIIL Mentre mi strazia il cor la fera doglia, IJna lieve di bene immagin s' (jffre, Che r ardor tempra, e il cor fosco rischiara ; Certo 5 io dico, del mal, che F alma soffre. Alcuna parte avvien die in petto accoglia Quella nemica mia si jiella e cara. Ferch' io mi .sforzi a i?omportar F amara I o Pena, e il tormento, che. cotanto crebbe^ Uopo ho d'iiiganuo, e seiiZei c|uesto avrei Finiti i giorni miei Sì cliiiisaìiitìnte, eh' noni noi risaprebbe Così un po(X) U penar si disaccrlia^ Qiiand'io più son perduto j ma beo tosto L' ordin si cangia, e rea tempesta sorge ^ Ed appena Fidanza ajiito porge, Che in fuga e sphita dal Timore oppf)sloj E dico.- Io per lei moro ; e pur non serba Di me memoria quelF empia e superba. Così dal bene, ond' ho sì breve pace g Rinasce il duol, che mi consuiua e s face » Canzon, se alcuno m te Usando gli occhi Pel Taneggiar sì novo S' empio di meraviglia e di spavenlo 5 Dirai, che n'è ragion «tabi! tormento. Onde il rigor per mio destino io provo Tanto acerbo e crudel, che, ovunque tocchi. Turba la mente 5 e fai'h sì che scocchi Mor(.e fra poco agli uman preghi sorda L' ultimo strai ddla terribil corda. IKTOllKÜ FERDINANDO D^ HERRER A sa 5 che Ferdinando d'llerrcra fu olilerlco, ed elibe per patria la città di Siviglia; ma T anno del di Ini naschuentOj i genitori, i progressi nella yia ecclesiastica9 il luogo, e Fanno della morie soji tutte cose, di cui non resta memoria. Si può perì» asserir francamente, cli^ egli nacque a prineipj del secolo xvi, e giunse a Ycccliiezza» Fu appli-catissimo agli stiulj di lllosofia morale 5 matemall-ca, geogralia antica e moderna, lingua greca. Li-lina, toscana; e questo si raccoglie dagli scriLli suoi 5 e dalle fref|nenti note di sua mano poste al margine di m«)lii ed eccellenti libri, vìi erano presso di lui. Scrisse molti ej)igranuui latini, e con ottimo gusto, ])er delto di Francesco ììioj;?, ma se ne ignora il destino - Cuiiipose parrcf^liin opem in prosa e in Terso nelF idioma caslìyliano, delle quali alcune videro la luce, ed altre si sono soiar-rilé« In prosa le puliblicate sono; Relazione della guerra di Cipro ^ ed ^Iwenlìnenti d&lki battaglia navale di Lepanto ß Annotazioiii alle poesie di Garoilasso s fila e fuoiie di Tommasa Moro cancelliere cFInghilterra. Le smarrite sono: La battaglia di Lepanto^ cioè hi medesii/ta relazione riformata e accresciula ^ e La storia generala di Spagna fino a" tempi dell' imperador Carlo perdita fatale, se si risguarda all'alto ingegno dello scrittore, e forse non compensata del ttitto dagli altri storici della nazione » DeUe opere in verso quello clic ci rimane, e fu pubJjlicato, ò una collezione di poesie liriche fatta da Francesco Paceco, celebre pittore siyigliano ^ e grande amico del poe« taj sopra di che Enrico üuarte in un suo scritto alla memoria di Ferdinando d'Herrera si spiega in questo modo : » E certamente la di lui memoria iìrimaneva sepolta per sempre nelFoblio, se Fran-?jcesco Paceco, celebre pittore della città nostraj ^ìed appassionalo di lui imitatore ^ non avesse rac- » colio con parlicolaro anorixjuiic .''Iciiin ({U.idenii :.)f3 niiiìiiie, die nviuizarono al lìaiirnjj^io ^ in cui »pochi giorni dopo la di luì liiorle p'^riruno MUie »le sue poesie da esso riloceale con Fullinia cjh-rezlono, e rldoLLc a volnnio por la lor»; pnblili->ìc»izlone. Taccio 11 nome di ehi n'ehbe la colpa 5 »non essondo io aulico d'infamare chiccliessiaj e »reputo degno di grande premio colui 5 che ha pro» curalo culi f anta cura di porvi riinedlo^ loi'Jiendo >»iuolLe ore al necessario esercizio di sua pro fes-»slone; perche non solo copiò egli una e due Toko j)di pi'opiìa mano «luelh*, che ora ci ofTre, ma ri-»emp\ alcuni Tiuili col mezzo di carte sciolte, che »erano in poiere «li varie persone; e henchò tutto »sia della penna medesima, nundimeno è chiaro, »che le opere scelte e limate dalF Amore per farne »edizione doveano essere piffc compiutamente per« »feite »B Le poesie perdute son le seguenti; La halinglia de giganti ß II ralla di Prosrrpina^ UAitiadi^ S GU filari di Lausino e Coro/m : ììiolte egloghe 5 e varie «dire cumposizioni « Con quanto fervore siasi egli dedicato alla lettura d(?gli antichi poeti, udiamoìo da lui slesso iiellfi prelazione itimuvLi dal tletlo Eiirk'O Dnarte di alcuni periodi scioki, die si rliiveiinen> fra lo carie del nosiro Amore, de'quali seiiilira, di'egli appunto tesser volesse la prefazione alle sue poesie. Dice ad inique: wPer verità non eliLe piceioìa »parte in questa mia risoluzione l'amore e il de-»sivlerio,a tiUii gii scrittori comune, dì vedere le proprie opere in qualche stima. Conosco, eh' io » sarei troppo siiperLtj ^ promettendo a me stesso >ì la memoria de' secoli avvenire, ma se Y indefesso » studio 5 e r aiìmiirazione per gli anticlii c degna j) di alciuia lode, ben credo di meritarla a. In fatti ìion solamente studiò egli la nobiltà e gentilezza a toscana poesia, ma fti il primo che T entusiasmo e la grandezza dell' el>rea, greca e latina trasportasse alla castlgliana, nò si fermò nell;^ sola imitcìzione delle parti, ma seppe einimare di quello spirito le sue produzioni. Adorno di sì rare doti, e di tanto merito trionfò egli dell'invidia, da cui f'U'ono e saranno mai sempre opyingnati i grau« d'uoinini, ed ebbe vivendo il titolo di Divino dal consenso della nazionej ma dopo la morte vi fu, come di sopra si è detto, chi tentò di estinernero k farna sna, e defraudare la patria del vantaggio ed onore di cos\ preziosi lavori; e qnantunfpie ci ìia allontanato un danno sì grave la Lenemerita iligenza di Francesco Paceco, non è però lieve la perdita del manoscritto già destinato alla stampa con F ultima correzione. ODA yitt«ìiia riporhita' Ftipra ì "iVTori iiollp monia^'iio «leite las Alpujara: da lì. Giovanni irAusti isi P ami o oscia che iì Re del inondo E padre degli Dei 5 Giove looaiile, D^ Etna nel cupo fondo Spinse F empio, arrogante Encclado con braccio fiilniinanie ; «« IL E la rol)ella terra. Non duma ancor con molta prole estinta. Cessò dalF aspra guerra Cor.fpiisaj o Marte, e "vinta Per la tua spada d' atro sangue tinta ^ Nel dieto e liieid^ etra Al modular canoro JJ armouiosa ccti'a Febo temprò ^ il' alloro Cinto la diiara fronte» e i crm d' oro. Rcìpito in dolc;e olJio Fu di quel canto alla sublime nota Con Giove ogni altro Dio| liei ciel 5 che a volo rota ^ Stette ogni spera limiinosa immota. uisana marma Calmossij e tacque il tempestoso vento j E con voce divina, A secondare intento Fe il coro delle ì [diiio concento YL Cantava la vittoria 5 E de"li alti il valor Numi sovrani. C? ' Fiammeggiante di gloria 5 Contro le membra immani ^ Vs il q;ran furor dcs>li orridi Titani» a -— o Ylh Di Palla, allica Dea,' Lo scudo meduseo, F asta potente 5 Del Re dell' onda egea Lo scotilor tridente 3 L* ercalea dava e il braccio ognor vincente, YIIL Bla di sue lodi ornata Sen gio più F opra del bistoiiio Marte | Di quella destra armata Cantò la possa e T arte. Onde F osti flegree fur vinte e sparte - ÌK. In te, diceva, o scudo, O grau forza e valor, die il Cie! difende^ Timor non desta il crudo Stuol 5 die a pugnar s' accende Cinto le iiienibra e il cria di seipi orrende e X. Tu solo a Oromedonte Togli la vita rea là sovra alpesti'O Monte già imposto a monte. Tu a Peloro con destro Colpo il seno apri, di ferir Biaestro. O di Giunone aiterò Figlio, o Guerriero non mai sianco e lento, Per te Mimante fiero In diilibio aspro cimento Fu palpitante5 debellato e spento» XIL Tu 5 cui le meiiiLra involye Teste d' acciar ^ fai sceDipio de' mordali g Di sangue intriso e polve ^ E agli urti tuoi son frali I foni propugnacoli murali. XUL Tu 11 vacillante soglio Sostieni a Giove con robusta mano ^ La qual poleo F orgoglio Frangere delF insano Lcgnaggio formidabile, profano. XIV. Ma benclic si sfayille Qucsia vittoria, onde famoso or Tai« Glie per milF anni e mille, Chiara più. ch'altra mai. Sparger prometta luminosi raij XY. Tempo Yerrk di' io scorga Vinta sua luce, e iu suol d'Eroi feconda Di tal valore uom sorga A far più bello il mondo, Gii' egli lìa primo, e tu sarai secondo. Nel bel regno, cui kigiia Quel mare, oiid'è cima la terra intorno, Hella felice Spagna Avrà r Eròe soggiorno , Per lui fia salva io memoral)il giorno. XYll Che ad essa il Ciel concede Germe dell' iiiniiorlal Cesare invitto ^ Di sua virtù te erede. Onde in fiero conflitto Cada Ü Trace terribile sconfìtto. XYin. E di veder già parmi A giogo arduo poggiar la turba infida 5 Glie all' arnd, gi ida , all' armi, E nella sua confida Grand'oste sì 5 ciie il Ciel minaccia e sfida j; E là di balza io balza Sen corre al par dei capri snelli g o faòre De' nascondigli sbalza 5 E sfV)ga suo core Tonando e folgorando il reo furore. non SI tosto appare Ü' Austria il prode Garzoii snJP erte cime 5 Cile fa gli empi tremare Col suo valor sublime. Gli urla5 rompe5 disperde, incalza, opprime Como nel mar si desta, E i pallidi noccbier d' orror circonda Mugghiando atra tempesta. Tal cbe Tinto dall'onda, E infranto a' duri scogli il legno affonda; 0 di nube, che tuona, Dallo squarciato scn come stridente Fidmino si sprigiona, Con liinso solco ardente Quanto incontra struggendo orribilmente « La Fennia allor fin sopra II ciel spiegando i vanni cF or giiiliva, Farà col siion qiUflF opra Sì gloriosa e viva. Che dair elii non fia d' onor mai priva XXIV. andrà il sno nome a volo, Dove Zefiro spira il flato lieve Là nel!' indico suolo, E dove assidua neve Gela soli' aere niibiloso e ereve. Se parie del valore. Dalla destrezza sua Peloro avea, I-* 1 « ■ ■ ■ Lgli uscia vincitore Di le, o Gradivo, e fea Yano ogni sforzo tuo la stirpe rea. S' era del Ciel campione Uom tal contro Mmante immenso e forte. Fon temea la tenzone 11 Re deir alla corte, scuoiea ü braccio apportator di morte. XXVIi Ciel, vola 5 e affrel ta gli anni, Porla il dì 5 che F Eroe s' offra a^ oiiei sguardi : Raddoppia, o Tempo, i vanni. Perchè ad uscir non lardi n fior sublime de' guerrier gagliardi. XXVIIL " Così la cetra suonai Giove col capo afferma; e la gmn Reggia Deir Olimpo riiitona Crollandosi, e fiammeggia: Marie turbato in pensier gravi ondeggia. iieiVe, die a vol Ja frontfì adorna fanno Crespo fila cF or puro, ov'arile in vive FiamiiiCj e lacci tessendo lo plìi seJilve Alme vince 5 e incarcna Amor tiranno, Qnando di vosLra primavera a danno H verno reo, die tempo ai fior prescrivo. Giunga 5 o mio Sol, fien de' ])ei raggi priv(^ E l>ian(!lie£4giar di Iirinn si vedi-amio: Ne jìorò lascieni lai seggio Amore.- di'ivi il lieo ciò, che por eiJi non cade. Gran core, ingegno, cortesia, valore. Il mio laccio, il mio Inco è T (niostadc "^ osira, e F inesringiuMle splendoi e Di vostra cLonia aniielict» l)f'li;ide. ^I^ETTO IL ulto fra' scogli il mar, posie del vento Freiiicnle di' ira, ed iu balia delF onde j^Uscrc navi io da sicure sponde Già fui soveule a rimirare iuLeoLo« E dissi ailor di mia sorte contento, Non scisza il diiol die F altrui morte infonde Me non yedrà giammai sue vie profonde Solcar F inìido orribile elemento. Ma, o vani delti! appena s'ofire alF alma D'imiiiaginato ben fallace speme, mar ia E ratto vo: ma snbUa procella Soriio, e di notte orror m'involve e preme iN è piii^ lasso I cilteud'io salute e calma. i I / M en vo de^Biiei pensoso aoticlii danni Per questo suolo inospiie, sdvaggio^ Senza ii mio Sol 5 poi die dal suo bel raggio Awieii che in duro esilio mi condanni« Tarpati io sento alla speranza i Tanni j Pur fo da poggi a cime ardue passaggio. Volto (e dqgF occhi il cor segue il viaggio) Ver là, doYe principio ehber gli affanni. Tanto perduto beo piange memoria 3 Ed in SI gravi cure or mi vegg' io, Che il misero mio cor langue, e vicn meno- Fieri pegni di lal^ che fu mia gloria, Gelosia, lontananza, ingrato oblio, Perchè ad uom vinto lacerate il seno? iC3 O Yiyi luEiig a' quai .suo spino infoBde Divino Amor, che aceende insieme e affrena Le beuiiate alme, e Tolte alia serena Magioo dà queste carceri profonde! O lucid' or di quelle trecce bionde ^ Tesoro di celeste eterna Teiia! O armonia d' angelica Sirena ^ Glie da perle e coralli il suon diffonde I Qual meraviglia a noi offre e disserra ! Qual d'immorsai grandezza esempio splende Neil' imago gentil del puro velo I Ch' io nel mirar tanta bekade la terra 5 Beltà,' che col folrar mia vista offende^ ' o Cerco F immensa, e mi sollevo al Cielo - A limi 3 che siedi negli eterei scanni Piena di santo ardor, deli! clii sospira Privo di te con dolce sguardo mira ^ E avviva si 5 eli' erga dal suolo i vanni « In questo petto albergo sol d' affanni, Alma beata, le tue fiamme spiraj Sì che timor giù posto, e speme5 ed ira, Del mondo io sprezzi i lusinghieri inganni. Piansi il tuo dipartire5 amai tua gloria^ E creblje al tuo languir sì la mia pena ^ Ch'io ben credeimi a te seguir non lento. Ah! se tu di mia fe' serbi memoria, Con quella fronte vien bella e serena Ad acquetar fra l'ombre il mio tormento. _ \ _ 'S Pfr la viHoria nsivalc fifi C.risliaui routro i Turrlii nel ftlfr/ tli r/f'|>nii|ii Panno i^jif essüHclo c-č2|iii.uii ^unerafe D, Csiü-vai^m d' . Jaiitiamo inni al Signor, ohe sovra il piano Del vasto mar V inüdo Trace ha domo. Tu gran Dio, delle hattaglie il Nume; Tu sei forza 5 salute e gloria nostra.-Tu sol di FaraOD, gnerrier feroce 5 Spossasti il duro 5 formidabil branciOg E r altera cervice ; i suoi piìi scelti Prenci del mare De^ profondi abissi Piiniibarono <|ual pietra j e in un oiomeiito. Come da fianmia aride spicìie^ assorti Furon dall'ira tua. L'empio Tiranno suoi legni fidando, a' quai dan volo liC mail de' nostri Incatenati, e a forza Fatti ministri delle sue rapide 5 A mille a mille i cedri, e i pini eccelsi i6ß . Pi-eclpllò da* sonimi giugìii^ ed elibe Di premere ardimento i non suoi fliiiliy E jìor ne' lidi a noi soggetti il piede. 1 piccioli Sovrani ^ all' apparire Di nemico sì fierj fm'O altamente Sbigottiti e confusi I ed ei la fronte Alzò contra di te. Dio sommo e vero, E il lìraccio armato incontro al Ciel vibrando Crollò il capo superbo: ardea di sdegno Con F una e Y altra dal mar cinta Esperia ^ Percliè speme hanno io té, perchè di santa Fede 5 e di puro amor sotto F usbergo Re^riiono a fronte di sua forasa immensa. Però disse arrogante e . dispettoso : Poser dunque i Cristian folli in oì>1to Gli effetti del mio sdegno, e Falte imprese De' miei grand' avi? ò fur le tm-clie squadre Negli ungarici campi risospinte, Ovver ne' campi di Dalmazia e Rodi? Chi colli trionfò? dalle lor mani Chi salvar F Austria, ed i German poteo? Stolti, se credon'or, che quel suo mia destra vincitrice e Difondcrìi potrà! Roma treiiiaiita In pianto amaro i cantici rivolge 5 E co' suoi figli desolati altende Morie dt'jr ira mia j Francia arde tutta Di civil guerra ; e la ne^ regni ispani Chi della Lima il gran Tessillo adora 5 Danni e strage minaccia; e quindi intento Alla propria difesa è quel feroce Popolo bellicoso: e sia clie puote^ 3> Non temo uè di sua, uè d' altrui forza • Chi piìi grande è di me? Cercano scampo Dal mio furor 5 porgendo a me la destra Prenci potenti 5 indi al mio giogo il collo | E tosto adduco in servitù le vergini ^ E i prodi uccido: cosi in tutto spenta Di gloriose nazion la possa ^ D' ogni loro splendor s^ orna il mio scettro | E dall' Eufrate al Nilo, e al gelid' Istro Quanto il Sol Tede, è mio» Tai für gli accenti Del superho Tiranno ; e noig gran Dio 5 Così pregando a te ci rivolgemmo«" Alto Signor 5 se F uom ferocie e vano ^ Che fida nel suo braccio, e s'erge in Nume^ Srojìo ti cli'ir Ira fn.i, questo snprrhn Mini flal Cìio!, cho iic^lle suo viuorn^ lìrufla od (»riVnitlo ì sjicrosami allürir ^r^ll coni' pgli i tuoi (edoli opprimo: Doli! lìDii Insoiar, olio il luirliaro lo bolve l\isoM «Mio ](»r oaruL e F «nlio sfo^Iu o INo' oorpi .san£(uiun.si «lo^li osfiulì, .Dioondo: 11 Diu duv'ò, dj)vo s'asroude Di fjiiosla gonio iulaiiio? Ah! por la giuria Doì uomo MIO, por la giusla voudfMJa Df^'fi-jli Uioi, pe.'i lor gouìiii e piami TI gnin liraocio divin disreudi e Tibra Conffrn ooslui, olio s(ìoi;p.a esser morLalo^ E s'rUTOi^a £»Ii onor, ohe In wlor,:i-monto sorlù a te? sol: raddopjJia i coìpi Sfjpr.ì il nomieo luo ; 1'on!:i al liso uouio Sia quoir aocìjir, elio la sua vil;i osùngiia. CfKsì noi supplìeaiumo: ed egli inraiiro rxliiama i grandi a consìglio, e uuri Turo Vvnini a pngnnr oonixo di uni, gridando: Tc^sio si vada, e là nel maro ondfiso Faceifim del sangue loro ifumon^o h^o-SiauM sporsi dal n:ondo; il nonio p^ra Pur di Cnsio con cs&i; e dlvirleudo Lo spoglie loì', nella teml>n strage Ìj iìc.i'lìuì nostro si pasca e si satolli. (Uli pófria mai iieirn.-r qiial era, o quanta I/uslc iiPiìiica? lnnunioral»il Uirba D'Aralii r Asili 3 o. T-ynea di «end [»inj?ne 0 pien di niernvigile Egitto, E popoli altri barlìarcselii é strani Dal son Torsiiro; a questi, o Greda, i tuoi ( t'ì'Jììsorzìo abboniinevolc! j fur diinti, E Uìli'ì pronieuean snperhanicnte JJ' arderne le città, di porre in dui'o S.Tvaggio i pr.rgoleUi, e violare Ìjo inniiacolale vergini enitlve. A'ò già fnr lenti, ma ben tosto ingombrò l'Jjbero il mar di leani lorrei'"lanti C» - Per ogni lato. A cotal vista i prodi «'inerrier di Cristo stupidi e confusi Cessar dall' opre loro : e si rimase Il nifUìtlo intero sbigottii'! e iinHo. Ma Dio, chi? schiava di Dübele inirjua L ì-asc'iar non vuol la sua cara Sionnr, De'snoi le duce il Garzon d'Ansfri;, invitto; E questi con Y illustre e bellicosa Ispana gente al gran furor si o[>pose-N'esultò F empio, e sua natia fierezza Destò come leon, die s' apparecchia spiegar Fugne, e insanguinar le labbia® Ma tu 5 Signor, nel sen de' tuoi celeste Vigore inlbndi, ogni timor sgom1)raiulo| . Tu (ai robuste le lor braccia in auisa D'arco di fino acciari tu le lor mani Avvivi alla battaglia, e non pur sei Scudo a' tuoi fidi, ma tu stesso armalo J?'iombi sopra il nemico. E cbi, gran Dio^ Può starti a fronte? In men che non balena Tut? a tremante e sliigottka F oste Del Tiranno crudel i'u vinta e doma-Mille dinanzi ad un fnggiau, quai paglie All' impeto del vento, e tu quid fiamma -Gii arde le selve, e pei fronzuti gioghi Slridendoj e divorando si diffonde, () qual nnigghiantfì orrilùle procella Fosti nell'ira tua: lo spaventevole Drigo hai con(|iiiso, ed al crudfJ le trepi^ Ali, e sue dome vacillanti braccia Troncasd sì, che con profondi geniki A stento ei se fino al covile strascica; Ove tF alto terror pieno le viscere Con F atre serpi sue tremando sibila," Però eli' ei pave il tuo leon magnanimo DI Spagna uscito j che ruggendo intronalo. Giunse, giunse il gran dì 5 che alfin si videro Gli occhi al suol fissi del superbo ed empio j E tu, Signor, tu sol, Dio degli eserciti g Fosti esaltato. Ogni feroce orgoglio Non pur, gran Dio, sotto i tuoi passi piegasi. Ma cedro eccelso5 e mtiro, e torre, e vertice Di monte alpestro: or come a lor resistere Fotean le a noi si cravi, e si terrilvili o * Navi di Tiro? O giorno ntemorahile, Giorno della tua gloria! Io veggio, io veggio (Ne molto amlrii) l'Egitto e Bal^ilonia Palpitando provar come feriscano Le nostre laneie impetuose 5 ed ardere In foco struggitor; veggio, sì, vogj^io Sorger fvmio e faville in fino alF etera, E que' popoli rei sparsi, e precipiti Rìcovrar ne' deserti, e la lor piar.nei-e 5 Privi iV Oijiii roìiforio, alta J«»nf)mnn.'i. Quanto, u «{uaiito, mio Dio, tu sei tromeiida tuo lììror! Cid di costei ajnoliho La strana possa, ed or vegga disgoiiiliro 1! irinr ile' legni suoi, vegga Y ininionsa Strage de' suol giierrier, dirà Ira i moti Di meraviglia, d'umiltaie e gioja; Signor, tua tlestra oimiporento adoro; L' opra e degna di te : tu per la gloria Del santo nome tuo, per la fe' piu*a Del Cristian Prence, il regno Ispano esalti Con si rara vittoria. Benedetta Sia la grandezza tua ; elie dopo tanti Danni, ben giusta pena agli error nostri. Di noi mosso a pietà, frangesti al crudo Nemico il braccio, e ia superbia antica; T^ adorino, Signor, gli eletti tuoi 5 Quanto il Ciel cbiude nel suo giro immenso Il tuo nome, o Inion Dio, conlessi e lodi „ E strugga il loco ogni ribello ed eriipio. k L Pci la fcfuuiiila e mori«! tli D. Sfba.stiaao iv Ji Porluialio. uccudiita in AiVicii ranno 157«. T ocG dolente» gemili, singiiìu, Acceiili di timor inisLo ron ira Diano al Ceinto priiieìpiu, in riii Y amara Memoria si rinova «li quel giorno Odioso 5 ilitai 5 che a piagner àeiììpro Ignoda di yalor, priva di gloria Te, Lusitania misera, condanna. L'isloria lagrimevole suimando DairaLÌantico mare al mar vermiglio, E lino al balzo d' Oriente, dove Fra' popoli feroci in guerra domi lie bandic^re di Cristo trionfanti Teggonsi tremolar, d'alto ricolmi Funesfo orror le vincitrici schiere-Miseri quei guerrier. cLe sol litlando Ne' carri e hg' eavalli, io le, o deserta Libia, posero il piede5 e gli occhi al Cielo Non sollevaro, onde ogni ben deiwa! Le altere teste s il cor superbo e vano 5 La folle di vittoria siciirtadej Lor voglie intese a vìi preda mirando 11 Santo d'Israel posto in non cale Sua mano aperse5 e li lasciò: ben tosto Dal sommo alF imo rovinando giac'quero Carri^ cavalli e cavidieri infranti. Giunse quel giorno fier^ giunse qmel giorno D'ira e furor, die feo d'uomini illustri Yoto il regno e deserto, ed in profondo Duolo r immerse ; al mondo il nuovo Sole Negò suoi rai di tanto mal presago» Dio sovra iì regno apparve ^ empiendul tuttö^ affanno, e di terror per abbassare L' insana ainbision ; Dio virtù diede A® barbari men prodi ^ onde non vaghi Di spoglie e d' oro, ma di sangue ' ostile Pugnassero da forti 5 e vendicando Con braccio vincitor le proprie offese Fosser ministri della sua vendetta. Qos\ velie ü Signor: qaiudi gF iiiüJi Ü' Africa abilalor pieni far d' ira, Di forza, di valor; quindi ardiiiiei:to Ebl)ero d'impugnar Y acciaro incontra L' alto fulgor di tua gloria sì bella 5 Misera Lusitania, e uou ben paghi Della tua morte 1' onor tuo maccliiaro » O come impetuosi, o come impavidi Riipper le armate squadre, e il tuo conquisero Bellico orgoglio! o qual mai cruda orribile Strage de' figli tuoi! Le ardenti sabbie Si fer lago sanguigno ^ e di cadaveri Monti sorger qua e là nel pian si videro. Nò clii cadr.'sse con valor malanimo o Fra lor manco; ma duolmi il fin vDissinio Di tanti pel timor spaisi e precipiti. Dunque i guerrier son questi invitti e celebri, Che in mar s' aprirò ignote vie, che scossero Troni potenti, e fer cadere in cenere Citta superbe? questi il giogo ali-arduo Cullo imposer di genti iueulte ed orride, E devastar <|uanlu circonda 1' intüc^o Pelago immenso? Ov'e quel core intrepido, I'.6 I Uve Talui vlrtii? Come ini dì ^ lin hroyo tli pole il valore (?«;reyio Di Liiiìd Eroi, che Ìimt>i iluì suol patrio A ìiiorie spiiiLÌ, scniza estMpiie c tiiiiiiilo, lliiiuiscr j)asio delle belve lllùclie? Ltisì i\iv giù i|ii:d ceilro eccelso e vago Del Libano Sii i yioj^hij a cui le dolci Aure5 la terra, le rui'/iadi?, il Sole Diero a prova favor : spiii-^' ei la cima AI ciel sovra ogni piaiilà, e stende iràtorno Le sue braccia cosi, die tra le foglie ' vJ I canori au^elliu fauno lor nido Securi e lieti, e sotto la frese' oiìi1«\i I^e pecorelle col pastore assise l'or-»on soave al caldo seu ristor(i; o AiLor giammai piii bello e piti stdJime Natura non formò; ma poi «-he (juesti t'amosi Eroi di te, gran Dio, dimenticlu -E paghi di se stessi il capo alzarono Superl>ameiitc, ecco 1' eccelso cedro" Svelto per le tue man dalla radice j'rr-ripiiiir con sovra lid gran parie Dell'arduo monte; eccolo in pred-t agli empi Slrauier, che con hipeuiü orrido scempio FaiiDO de' rauii suoi ^ delle sue fronde : Auoniti i pastori e spavcDiati Seu fuggono col gregge, e in quelle vasta Ilovioe lor covil formau le fiere; O Lihia rea, nelle cui secclie arene 11 regno Lusitan domato e spento Clarrpie, e la giuria sua giunse all'occaso 5 Perdi' abbi tu, debil Guerriera, il vanto 5 Oltre ogni speme, di vittoria^ ond'alta Yergogna ingombi-a i Cavalier cristiani, Non superbir: die s'egli avvien, die il giusto Dolor sospinga alla vendetta 1' iia Drl prode Ispano, il Ilo tu paglierai D' onta e strage sì orribile, spirando Sotto i gran colpi di sua lancia invitta j E Luco porterà, iViggendo al mare5 Ü' empio libico sangue al mar. tributo. I j è J'Auiur die iimoja clii v'ama In peua dell' ardir, sia la mìa morte Altrui d' esempio j ma se Aiiiur desia 5 Che lieto viva elù (juest'ebLe in sorte, (Come al suo regno, ed a voi pur couvieusi) Perclic tanta llerezza, o mio I>ul S« Piagni con meco, Amor, la pf»na mia. In (|ìu\sta solitudine m' aggrada (Ilò di'.'iliri aUiorre o fugge. O cicco, o stolta Chi segue Amor, die nei suoi boni e mali Damioso e sempre, anzi più allor funeslo. Quando più i sensi e il cor lusinga e luolee! A die sorgi, o speranza? Uoni fuor di speme. Tosto è liiori d'error; F inganno allora, Qual era aperto al Ciel, die umo vt'de^ Scopre air nomo Ragion, scopre del duolo • Quant' era vana la cagione, e rpianlo Semplice è mai chi di caduca e frale Bellezza un Dio si forma, e di se fuori Gli estremi danni s-uoi cerca e sospira. Ma lasso me! perdie il mio duol non scemi. Non m'alihandona ancor speme tiranna e Piagni, Amor, meco le passate gioje». Oda Vidturno impetuoso, e porti IJe'miei lamenti il suon dove le ardenti Ruote il Sol Lagna ; e di Ik passi il grido Ove il suol Lolle, ed ov'ò il ghiaccio eterno: Sappia il mio mal chi con ardila prora Fende, o Nel luno, il tuo seno profondo; Sappial colui, die il tuo furore, o Marte5 Nel campo affronta, e F oda ogni mortale^ E chiiiriqoe perei li lo aLLìa il suo bone Ncilla sventura mia, eli' ogni altra eccede -Trovi «^onlurto. L'infelice istoria Del fiero mal, che al gran gioir successe, ScMilta in bronzo qui resti 5 e tragga il pianto IJagli ocelli altrui. Se per ventura in queste Rive il piti ferma peregrino amante ^ Con piaga aspra e mortai, dica dolente, E scriva neir arena: >»Ecco la terra Solo a^ miseri aperta, ecco il soggiorno Dell' atre cure 3 e d' ogni crudo affanno » . Bla mentre io lu' avvicino al giorno estremo » m' odon queste solitarie sponnìpr«ij:ia Di questa fonte il cristallino lunorc« r^on è maggior dol malti il mi«> lamr-nio. Clie dJomiin il Ci(4 roljuslo rorp, nel allo Gran duolo a sofleriri ma quel di'or sento ^ Yincc quiil pili crudol iVi in cor d'amante. ]Jirfidenza, timor, speme, odio, amore assalgono a vicenda ^ e sì vaneggio ^ non conosco ornai se alilìorra, od ami® Sallo il vicin deserto, ove sovente Caddi sidr infocata e nuda arena Tulio cosperso del color di morte. Candida Luna, che lucente e Isella Atienlamente mie querele ascolti. Dimmi 5 vedesti mai pena amoros^i, Qie jìareggi la mia? Me eigne intorno 11 freddo manto della notte, ed io Pur siedo in fjuesto margine solingo, E al suon dell'acque il mio piamo riniegro. Ferma, deh! fenna a'miei dogliosi accenti r? 11 mol)il carro, o Diva, e poi che strale D'Amor punse il tuo cor, non tocco innanzi Abbi pietà di sì ]ìerduto amante « Così il (iarzon, cui dolce sonno infondi» Di tua bel ih, di tua luce sol pago 11 leu o genial mai non olTenda. Tu che a^ tuoi raggi fta le iiubi il varco Nel teìiiipo apristi di mia verde speme Per vedermi gioir 5 recami in que.sLo Augusciusu timor 5 che m' auge e opprime. Qualche rimedio, end' io vigore acquisti 5 Se rimedio pur v' è « Ma poi che Y alta Sua via segue Diana, e nulla impetro5 PÌ£jgni con meco5 Amor, la pena mìa. Insanabile ò il mal; per me sereno Più non ritorna il ciel; fremere io sento La nera onda del mar ; s' asconde il j)orto ; Enijìio destili por sempre m' aliLaudona Air affanno, al martir. Dunque io sou fermo D' attender qui sopra F eccelse sponde Di questo fiume romoroso il fine Dell' importuno duol con la mia morie, Unico bene ornai, che affretto e chiamo. E qui mi rimarrò Innesto esempio Di non più udita pasL^on d' amore | Che mai più lieto, e più meschino aniante Non vide occhio mortai : V ossa infelici Coprirà quest' arena, che il Sol fiede Ne' lunghi giorni ; ed il mio sa^so dica : Solo, e disgiunto dal TÌcin suo I)ene RIisero amante ingiusta sorte ha spento. Amore, iiidÌYÌsiI)ile compagno. Qui con lui giace nella stessa tomba « ELEGIA IV. .liYula, o Cielo, al guardo de'mortali Tua clùara luce g ed i tuoi spazi immensi Copri d' oscuro vel ; struggiti in pianto, E cangia i lieti in miseri concenti, Spagna infelice: e tu, mio sacro Beli, lliiueseolaiido i piii riposti fondi, Di toriJid'onde il gonfio mare accresci: Poi die il fiero destino (o nostra mente Pigra in antiveder!) rapir poteo tSi tosto al mondo il suo fregio più bello-l'^osca perjietua nebbia di tristezza Prema, aìTanni ogni cor : d' alto sjiavento Fatto Si crudo e reo colmi ogni core; Taccia ogni alto dolor, che in questo esigila l'er più diu'a cagion mai non si pianse. Colei, che un Sol fu di bellezza, un raggio iJella bellezza eterna, uhi! fredda giace. E di lewebre cinta. E clii Tcggondo, Eliodora bellissima, la pura. Soave luce delle tue pupille Potea questo temer? Oiiiiè! que' biondi Non pia visli capei, fascio lucente Di fila d' or crespo, soltile e terso, Preda son della Parca: oiinò! già smorte Son le rosate porporine guance j Spento ò il vigor di quella chiara fi'onte. Glie fea sereno il CieL- giii pendo il collo Di tanta grasia e maestade adorno: Cortesia, gentilezza, leggiadria, Pietà, lede5 modestia^ anxi la stessa Virtù viva e presente in braccio a morte Destino crudelissimo abbandona In mi sol dì, quando üoria la speme^ Quando men si temea» Dopo si grande l^ubblico danno, in questa ingannatrice Talle piena d' orror, clie mai di bene Più rimane a sperar? Certo dal punto Di cosi amara, e subita partenza E '1 viver morte, ed il morire ò vita« Da gloria spinto ^ e di valore armato L'iiolu Tra le stragi iinpavRlo ü'avvolge, Tiiuur nou lia d' orribili procelle ^ U il'iiiiiuense ruiiie^ e iiifadeabile Culi leriao aspcLlo ogiìi periglio affronta ^ Ma c|uaijdo luorie insidiosa e rea Degli anni in sul fiorir tronca lo stame Di tal 3 eli'orna la terra, e sovra ogiii al ira Degnissima e di vita, ali! qual mai grande, Iloliusto cor della iialia fortezza Kon rliiian jirivo, e non si strugge in pianto. Se céiniro l'empia ogni valore ò vano? O teriiliil sventi ira! o eomiin duolo! C) danno iniiversal, elie tutlc affrena Le vaìje pompe, ed il profano oi-goglio Alilìatte e frange! E imllo usbergo adunque Contro i colpi di furia si crudele Può F uomo oppor? Ss puote un solo, e tale,. Cii' è tli celeste impenelrabil tenipra, bfavilbuile, divin ; rpora, e la neve, E 1' oru di tua cliiuma, meraviglie Al mondo senza par, dirà; Ben'empio !1 deslin fu, clie tal heltade offese. Alii! mi rimeniìira ognor da (juaiite angost.-ie Fu Si'Hipre aillilto il tuo spino nel lireve Cnrso deuli anni tuoi: non volle il Cielo Scrliarii a nuove pene; e qual dc.ù mali Ti restava a soffrir? Però dal mondo Ras ia viilasti ad aliku' T Olimpo Cile del nt»stro dolore (n- si fa liello ; teeo sen fuggi ijn^rl santo e puro l'oeo d'amore5 onde i tuoi lumi onesti A vean col lampeggiar pieno ogni core. Menlre fi»sli Ira noi ^ eantai sovente Tuo valor; fua liei rade; or qual mercede Lassili lu i'olya i' vorri4 Jìr, mii 1! pi;iiìio Tronca gli cicecnlu Ali! non (k vt'r, che oLlio Del Ilio nome LrioiiH; oyuor più viva Blenioiia io s(ìrI)o delle tue virludi » Ces.si ornai il iij^riniar, poi «^lie in ripreso Sicuro , iclicissinio , ImmLo 3jTì vSiai. come ina viia alma richiede. • Sì 5 Donna eccelsa, in te poser le stelle Tania bellezza, e lai s^nno e virfnie Ullre r uso mortai, eh' esserti graio Non polea loco tenebroso e vile; E quindi schiva dal corporeo lacero Ti disciogliesti5 ed or l'etera premi. iJeh! se Tra il riso, e fra le i»ioje etenie .Alcuna volta ti sovvien di ([ilesto Suol che sdegnasti, a me pielosanierite Gli occhi rivolgi, e V ahlialliito e misero Mio spirto riconforta a sostenere 11 duro e grave della vita incarco: eh' ei pi»! di speme non si pasce, e visti Delusi i voli suoi, rimansi in pretla Di ctu'e acerbe, e di crudeli angoscie- Intanto volto ad onorarti, o Diva, li Regno OGckleiitcJ ^ V alteio Tago 5 E il gelid' Ebro, a te clevof aniente Qiicslo giorno consacra^ e il nostro Beli Teco già lieto 5 or senza le dolente ^ E iiieii ricco d' imior, (ara cJie lutto E^ea dair onde delle Ninfe il coro, E sopra il verde pralo con soavi Concenti le lue ludi rinuvelli: Meiilr" ei dalla profonda ampia sua foce JV»r lungo trailo i nnnorosi Uniti elago d'Atlante su.spiijgendo rà del tuo gran nome il suono ^ Tal die sol di tua giuria intorno intorno S'odano canti, e d'uno in altro lito Keir egeo niare il grido voli, e giiuiga Fino air ulti ino Eusinu. lo, s'è pi«' vero, Cile Apollo in me suu divin' estro infonda 5 E se il ilebile filo, a cui s' attiene La vita mia, non è tronco ben losio Dal Ciel, eli'ò lesiiiaun «lei mio desire ^ Spero di fama illustre ed inimortale Lasciarli, o Diva, meniuraudu esempio: l-'anlu, die sulu al juiio dulor si dcbbe« foS E Ji tue lodi il suüü runiuie gemi Güll meraviglia udeiidu, avaro e crudo Cliiaiueranno il destili, die iioa euiiccsse Agli ocelli lor di couteiiiplar si viva. Pura, bella5 soave, inclita luce» 0 Iclice Alma, che l'Olimpo adurui Colma di gioja, e di vermiglio etereo Telo t' auimanti gloriosa, mira, Dell! mira Spagna ancor: vedila oppressa Da crudo affanno, e d' 0££ni bene iiinuda ' n o Per Io tuo dipartir: die già non può te Vincere i moti del suo core^ ad onta Di vederti iiiimortal: drizza lo sguardo A queste sponde 3 di tristezza e duolo Già fatte albergo, poi die a' primi alidori La sua gloria dispan^o, e udrai che Y onda Con mesto voci mormorando suona: jìLa sublimo 5 bellissima Eliodora, 5ì Rotto il career im-en, tutta infiammala » De' rai divini, che adora e vaglinggla, }ììi custode del sacro esnerio Rio», COMPENDIO DELLA VITA DI FRA LUIGI DI LEON .1 maesiro fra Luigi di Lodo oaeqiiej seccando alcLuii in Granala, di Lope di Leon e di D» A« gnese di Valera 5 ambedue nobili di Beìnioiite ^ paese della Mancia. Qaesio avvenne l'anno iSscome si deduce dalla iscrizione apposta al di ìui sepolcro nel convento di s. Agostino di Salamanca 5 che dice : OBIIT • AN • 3IDXa « XXIir « AVGVSTI AET « LXniI » Vestì egli F abito nel detto convento Fanno i545« Ottenne nelFamio i56i in quella Università la cattedra di s. Tommaso d'Aquino dai vod degli Sco« Liri, cü!ii' em Y uso di qufi ü-mpi, ad onta rii jnóìli eonip(?lil.f)ri 5 alcuni de'({iiali erano ^ili callo-. draoli. Appressi» ^li fu i'Onferita la rairf.Hira di Pri-aiia della Scrllliira sacrile Fn anche dichiaralo dottore in teologia, onore allora non conni ne, e ce-reinoola di moka spesa« 11 singolare di liii ineriif». e la fonia sna denfio e fuori del regno e*'rilar«Hio coiil.ru dì lidia invidia di niolti. Ne pruvò egli yli cfìelti in occasione di cerüi iraduzione leLlerale in linirua casliqliana della Gamica di Salomone, da Ini o o falla per compiacere ad im amico, e di una sua dis.sertazioue sopra la Vidgata. Qnesii due lavori resi maliziosamente sospetti 5 produssero la di lui carceraaione nelF anno i5r2 per il trihiniale defila fnisizione, da cui dopo il corso d' anni cinque rieblie la liberta 5 la cattedra § ed ogni altro onore, ejjseadosi sexiperta la di lui innocenza, e la malvagità degli accusatori« I suoi costumi furono mai sempre di edificazione a' religiosi ed al popolo ^ e rnOii provinciale della sua religione nel convento di Madrigal, dal quale fu traspoitato il di lui corpo a quellt» di Salamanca, come diiuostra Y accennala isèrizioue. Per ciò poi che appartiene al di Ini merito iifJla ropiiliIJica letteraria 5 egli fu uomo di grande in-grgMO, e di non minore giudizio j e perfezionò i suoi naturali talenti con la lettura degli anticliio-j^eroliè era dotto nella lingua eljr^^a 5 greca, latina G toscana. Scrisse varie opere sacre in buon lati-isr>, dtJle (piali alcune furono da lui pubblicate 5 altre rimasero inedite ^ e compose anche qualche poesia latina leggiadramente. Ma deve egli principalmente r immortalità della fama sua alle opere di prosa e ili verso scritte in lingua castigliana. In pn >sa ne abljiamo due : V una dei nomi di Cristo 5 Falti'a della perfetta Moglie. Ci lasciò auche una prefazione agli scritti di s. Teresa g ed avressimo anclie la vita di essa, se morie non l'avesse colte» , mentre tenea fra le mani questo lavoro. Viene inoltre accennata con molta lode da maestro Giù-sop[)e di Yaldiviesso altra opera 5 che ha per titolo il perfetto Predicatore, nella approvazione da esso dnta l'anno 1629 alle poesie del nostro Autore 5 nò so per qual ragione non alibia ancor veduto la pul»blica luce. Maestro Leon fu il pri-Jiio ad introdiure il numero e 1' eleganza nella prosa ciistigliana, ed a reudeihi nubile e cllgiii-tosa. Le sue poesie castlgUane l'uruno da lui slesso divise ili ire libri. Il primo couliene le Originali| il secondo tradiizloui d'alemie di Pindaro, OrazI«>. Tir4>ilio, Tibidlo , Petrarca, Moiisijnior d(Jla Casa. e Bembo j il lei'zo traduzioni di poesie sacre di Gioì) 5 Salomone, e Davide. Nelle Originali F invenzione è poelif^t, e tale, ehe la materia di cid si tratta 5 vieii posta in ottimo punto di vista, il tutto è ben dis'jgnalo e ben ripartito nelle strofe o stanze 5 le figure hanno proprietà e vivezza 3 le voei sono jìure, scelte 5 ben concertate ed armoniche. Nelle traduzioni, ciie vanno adorne, da ciò die risgiiarda la invenzione in fuoii, delle bellezze medesime, egli fa cantare le Muse delle altre nazioni nella natia lingua si lelicementè, che le poesie non sembrano forestiere, ma naturali, e proprie della castigliana lavella. Queste gli costarono sì dura fatica, ch'egli mostra di farne più conto, die delle altre da lui inventato, giugnendo perfino a dire^ elle lasciava libero al capriccio di ciascheduno iì giudizio delle Originali sue opere , ma pregava i 'iritiei di voler far prova di se prima di censurare le traduzioni, ben cèrto che avrebbero allora leiiiilo in miìggìore stima il di lui trava-iUO. Di L ARGO^VIEjVTO B'VÌniiro sroiiiitfo. « in Sp^iirna gopi^Topata .lai Mnri rhifiinah' ilal eonJr D. (tÌiiIìììud jier veiuluiarši tiešl:» viohf!i/.a li.saU dal He alT oiune ik'üa di lui ììmIÌìi . I. kjPülingo al Tago in riva Roderico giacca fra Y ozId inolJe In grembo alla sna Diva; La fronte il Fìiniio estolle, E dice al Ile liliklinoso e fülle: IL . Canjiji il Clel, cangi quelle Tue dolcezze in amaro aspm iornienro. Sforza tur tli donzelle; Glie già del violento Marte il lier grido, e il siion dell' anni io sento. in: Qual Ji diujl mied e pianto Fnilto dol ino gioir sì lusinghiero! () fjiiaolo costa, u quanto Do' Goti air alto ini[jero Chi vaga in mal di nacque, e al suolo ibero! lY. Mentre quel lior tu cogli, Guerre a te, insano! e al popol iito {filali Fni lo tue Jjraccia accoscii, o ' ■ e otrigni aiigosrie iimnortaJi, Fiamme, stragi, rovine e inunensi mali' Y. Per chi sul monte, e al piano llompe la iertil betica campagna ^ Pel Ilegiio Insilano, Per quel cui T El»ro liagna. Per tulta V ampia ed inlelice Spagna. YL Posta in non cai sua Jiuna, E vago sol dì vendicar pur Y onte, Da Cadice già chiama L'inlVniato Conte Baibare schiere a' tbmii tuui Ijcn prunte. no6 m Olli, già il Moro iiwila Col suon eli tromba orrlhile, £:iic'rrl(?n? ' o In Afrira 1' ardita Sua genie alla bandiera. Che fa per F aere tremolar leggiera. I/ asta brandisce 5 e scaglia Ferendo V aure 5 e col pie batte il suolo, Chiamando alla battaglia: Corron Lì tosto a volo Turbe d'armati: o innumerabil stuolo! Copre lo sLuol le sponde; Di grida 11 eiel cootuse riutonare S' ode : la jiolve a.sconde 1 rai del Sol: dispare Souo gran selva di navigli il mare. AJji! die già ratio ascende I lunghi abeti 5 e del cammino instriitto I^e biaccia ai remi tende Con somma forza, e liuto Spuma 3 e ferve da ròstri aperiu 'il fluì lo Airi! dl'Eolo allo Numide » Nari già spira in p(vppa, e col tridente Per lo slrfìMo d'Algido DolF onde il Re pos.sf;nLc La via disgombra alla nemica gonlc». XIL Misnro! e in tal periglio Ti io ])nr fra rei piaceri assorto i Kc eon anni e consiglio T' adopri ? Ahi ! malaccorto, Mira di l«3gni pien V ercnleo porto. XITJ. Sorgi, a (juel sen t' invt»la, Tarca T alla montagna- occupa il piano. Accorri 5 s}»rona, vola, E i'on fnlminea mano Ilota r acciar, nò incenda colpo iiirano. Qiianto negli urti fieri AlTanno con F immensa oste nemica Per Tanti e (cavalieri Gravi d'elmo e lorira, IL poi destrier su la campagna aprica I E tli, Beli dhiiio, .Di nostro e; iiianro sanene ros.se^i'iiniie. () quanti ni mar vi«'ino D' origine pr(\siaui.o Corpi darai, qufintc oriate infrante! XVI Per cinque Soli Marte Spinge a psiqiiar gli eserciti con rara Costellila pari, ed arte: Ti Teggo il sesto, filii ! eara I^uria, fra ceppi in seiTitute aniara« '2inj ODX ì 1. ulcc 5 innHjullIa vila D'noni, che ruggeii XYL E monlre in ardor floro Alili iiijscrl lidio 3 ed ango 5 dl;i slmile, (Ch'era l'esempio di J »ella ) ne il vero Plii diifirarncnle nelLi froiile scrino; E (jnaiiLo, mentre rel)l)e. era felice, Tallio è misei o e clecD or die c pi ivo. 0 helìi.ssimo viso, ove alcun sogno » ])' ira , iV odio . d" invidia non apparse. Cli'eterna notte a^ll oeelii miei oontende! o eastissJmo oggetto del desio! C!ii li vio ardi 5 die d'ogni speme ign ndr» ?\on rimanesse, e fuor 1 ratio d'iiurar.no « w 3)oleemcnte da te? Clii senxa speme Jjasriò d'amarli? Il ror, la nir^nlfi o yli atti Egiuili avesti alla yramlrzza e é^lorla J)oi»li avi tuoi, fh'io «ar.oio: e J>eii pulrri ?.lr»Jd rp«»i noniarj ma tu sci j^nuido Pei- le medc^sma, e dcidi ariticlii IVeti! Uopo non liai. Che s»-mno! olio jinidfm/.a 1 Che bchielii» favi^llar! nulT ari'' mai l 'orm«» inoi dt^lli, ed era il cor si d ]al>I«ro. dal .suol naiio .sljJIa nemica I^unf»! Ilio spinse d' alla j^loria vaj»o, Poi r ali mi tarpò, pui m m" tjpprime ^ Ch'io son già stanco: c per me fora il megüo Seguir dcvolamenie i tuoi vesilgi, -Non oppormi al de-stin, «lar pace al corcj l»Ieritar di vederli, e far sol cjtiesio Delle fatiche mie mela e riposo» (.) l'elici color, che al ilio passagijio l'^nron prese:?nli! Ad essi fu concesso Darli aiu e conforto, la tua destra Di lacrime bagnar, chiuderli i lumi Con le lor mani, e contemplar qnant" era Molte nel viso tuo serena e Leila » O dolce ufllciD. e Azeramente de^no IT aulico e di congiunio. miì DogcUo Dal inondo oiiiai, che peggiorando inveceliia! Uenedello elil udì le lue soavi Angeliclie parole ^ e bcMiedeilo Colui eli'el»bo da te 1'idduio addìo I Fur l>revi, inclita Donna, ì giorni iiioi, Molli i iravas^li e le vicen«le: avveisa Ci Fu ugnor la sorle a' iiiuì disegni; illnslre Cuna ti diede il CieL- Tosti rjiual Diva Adorala da noi: premesti in lena Vie di valor da più d'al ira non toeclie: li certo ogni altra di gir teco eguale Nudria iiobil desio, ma Invan, die addietro Intenta ad ammirarti si rimase. O «juante volle, in guisa d'uom, che totnia. Credei vederti, e l'avellarti, airi lassoI Poi mi irovai da te loiuanu, e solo Fra lagriuie e sospiri! A me si ofliia L'inniiagin tua con quella maestade. Che agli allibai delti altrui die legge, e sempi e liiverenza destò^ nui non bealera Formala ancor, die come iiebhia al venl^ Si dileguava: ontl'iu sospeso3 e senza Voller pili nulla, e a )iio inoilosirio in iva Mi riinanea. Misero me! dio ij^naro JJi idlì vìw iMurl.c in mit) jjran danno onlia. Fui ilei iiiiu mal nel vanej^glar presago. SAGGIO DELLA POKSIA nr D. DIEGO I1ÜRTAD0 DI MEÌN'DOZA CHE COAllNfil.V EL no inaruvillavse ìlonihre de nada se tn 5 clic me fiij^jj;!, e mai non cessi. D'ir perscgiiciKlo, al fin mi »ssa a pleiade l)ella pena amorosa, eiie mi siruggej ìi mansueta e pia d' irala c crucia Fatta repente oltre il costume (aliil tanto Già sperar non poss'io) di tua presenza Degnar volessi cjuesto mio soj^oi^mo, liellissinia Marllsa! A te dappresso Ben so 5 che il petto mio non (la disgomliro Da cure e da sos|)lr: pur ijran ventiUYi È il vederli e F udirli. Ali! del ino lido. Del ]>rI«»loniero tuo le pn!ci asculla, Scaccia ornai crudciui dal Uu^ bel seno. Che troppo a lo disulce, o vieni, o Diva. Per te» ni" c «[uesla piagf^ìa amena, Per tè la sollliuHne^ il riposo, Il saggio oblio delle ni)jose cnrej Per te la vita alfla m e ilolt^e e cara ^ Pomiiii ai deserti, ove T arena bolle. Pollimi m alta montagna al gblaceio eterno Turila e sconvolgi, come piii t' aggrazia, li' ordine di mia vita, io sarò sempre Teeo felice, o Sol degli occhi mie;!. ìMIra i tanti colori, onde i novelli Odorosi lioretri il suol rivestono: Odi la dolce melodia, che fanno Con loro or gravi, ed ora acuti snoni l canori aiigelliii sii gli arl)0scelli: Osserva d' acepie cristalline e piire^ I fresclii rivi, die rotti fra i piccioli Vario-dipinti sassoliii seii fiiggono Con lieto mormorio. Te come intrecclaiio Le piante i rami verdeggianti, e quali Ombre porgon beate, ii rai del Sole Cliuidendo il varco, e i belli e sapr>rosi Frutti contempla, che dai rami pendono^ O dolco llliislon! Ml semhm^ o cara, 'Pascer non già d" inimagiiri II desio g Ma teco favellar. Si 3 mio Boscaiio. Tu la vedrai; ma per opra d'Amore Già lei veggio ed ascollo: eccola adorna Di sua candida vesta: ecco f[iiel nero Bellissimo suo crin: già con la liianca Soave man li va cogliendo i rari (irappoli inlonio, e i rugiadosi frulli. Dolci primizie della Siale amica. O con qiial cura e Luon volere ò presla Di far servigio al nuovo ospite, e cjuanlo Appar nell'opra sua giuliva e Leila! Certo non vidi mai mescer pastfire Al caro amico la vermiglia rosa Con bianco latte g come in cpielle goi-e 11 bianco latte, e la vermiglia rora ' o Mescer seppe natura. Osserva, amico. Com' ella avvolge alla tua sacra fronte Il verdv^ mirto 3 e fiori, ed or v'intreccia; Gli occhi alza, e mira, che ventuno, 0 vannc« A stuolo gli Amorini: asct>lla il suono Nelle faretre degli aenfi sirali. Vedi come del riso, e gioeo amami G redolì ]' ali Ijagiiar nel viri soave. () jiionieiiti felici! o vere ginjo! Preiiia F orine dii vuol dei grandi in lowLi, Glie di reggere i popoli fur vaghi,-S' aiìaiini ti' ottener ciò <:lie Furluna liOi" non ronc(^sse, e pieno di sospetto Sopra i lesori suoi la notte giaccia, Ch'altro ci pnr non avrà^ elio dtjglia amara, E pentimenlu^ e F opre sue del pari Fien senséi lania^ io sol medioere stato. Fonie di bei diletti, apprezzo ed anio| E non ascorido Je ricchezze5 o adoro» Tu 3 s'iti in' inganno 5 assai di ine più saggio Giostrami tosto il ver^ ina vieni5 amico, DovMu men vivo^ se al miglior da'appiglio, J — DELLA VITA Si ii r ^h dì Miranda nacque in Golmbra Fanno i495-si applicò da principio g contro sua yoglia, allo slu« dio delle leggi 5 e fu doLiore in quelle 5 ma le ab-Landonò ben toslo per dedicarsi intieramente alla filosofia morale ed alla poesia: si trasferì in Italia per acquistare il buon gusto j indi fece ritorno alla patria j e dopo parecclii anni di dimora alla corte del re Ü. Giovanni in sì ridusse a vita solitaria e tranquilla 5 nella quale terminò il corso degli anni suoi Fanno s558. Egli fu il primo riformatore della poesia portoghese 3 con F introduzione del verso endecasillabo, e scrisse col verso medesimo pa-reccliie poesie castigliaiie» .SAGOrO lìlùLLX POIvSrA ni s A' 1) I BI I R A N I^TITiir. ATA LA FAVOLA Dl MOISOKJO eiure s' iuYola all' anlito Ai isLeo , Pünla da serpe di venéno ini eli o Euridice sul prato estinta cade (Sorie criidel!) nel primo fior degli anui lìd il jiiisero Orfeo del suo Ijeii privo Genie, piange, sospira^ alfin risolve Giro in iraccia di lei vivo fra i morti » Nè da mano mortai corde di cetra Tocclie far mai si dolcemeiucj come Qiiaiid'ei lento di sua cetra le corde, E v'accoppiò di sua Yoce il concento« Ma quante Yolte pria s' udì per nome Chiamar ìa sposa, c il nome d' Euridice La valle ripetè! rpianle fiate Sorse, s' assise 5 o scliisiso al pianto il yarco ! Ombre, cantò3 se ili sì caro pegno5 Che dieinnii Amore ^ innanzi lemjio 10 sia JL lia voi spogliato3 Toi inedesme il dite» i:- se ccjiMpasslon degr infelici Provaste mai^ pensate quanto e misero ^ E con quanta ragion si lagna e dole Tra' vivi Orfeo, poi eli è morta Euridice ^ Orfeo, di' eblie dal Giel con Euridice Sempre comune, indivisibil core. Ah! se il tutto-veggente oecliio dei Sole, Ihì cui lioigi meu vo, mai vide in terra Ìaìso sì indegno e lier, che il mio pareggi. Ombre, cia rea frtitii novelli Soave-olenti 5 e da grandine ^ o incanto . Strutte le bionde spiche; e Amore istesso Doglioso a tanto duol v^ apre il mio seno -Yi mostra la crudel piaga profonda. Ed implora pietà e Qua me non guida Strano desio de' tssor yostri occulti, O folle ardire j ed a spiar non venni Le strade e i porti del regno, cui eigne li gran Iago di Stige; Amor mi scorge, II solo Amore 5 e cerco io sol pietade. Ma se nel cupo fondo alberga e regna Tal crudeltà5 che sieo vane le preci, E le lagiime mie5 deli!.voi che intorno Dell'aere oscuro e cieco v'aggirate, Ombre5 e di me la miglior parte avete. Dite, ond' è mai che non togliete ancora Questo misero avanzo di mia vita? All! iioii vi sla Ira voi clii creda Orfeo l*resuüLuosijj a me dolore iiilenso Move la lingua5 e il piò; me udite, e qimsie Tenebre vinca la mi:i pura fiamma: Che Amor qiìaggih pur si conóbbe, ed arse IMuL«m re vostro d'amorosa fiamma| IN'ò il mondo ignora e donde, e come, e quando C(»rer scese ira voi sulF onae amile 1)1 Prosorpina sna: ne invan giii scese. Anzi del Sole ai ral contenta e paga Fece ritorno. Oimè ! qni dall' angoscia, Cbe il cor mi stringe, respirar lascLaemi CJJanlcIie momento almeii: Ombre, che mai A YiÀ j;lova il mio male, o il ben che nuoce? A iiì linieri detti, alla divina ì uce, ed al suon della soave cetra, Cìic di sua ninno Amor temprata avea, V\?lh dfsl'jssl ovancpie ei mosse il ]ji;.Mle« Ja; Vnvlv .«piaer.tevoli aliliassaro 1/ li'fa rS-ivuna di .s-rpl, il truce aspelfo C.Axni sua nave olTers:?^ C rs» 5 il cari, che per tre gole latra, id." iii.'.ìMrJjIle d'I varco. s'St) Dojjllo.so atldieLni si rif.rasHO, e al vnito Spalancala lasci«*) V iiiloni.-sl porrà; Che piii? lermoijsi ci'Issiuii la moia; SU'lier senza v«?r.sar F acrjiia imJ rriljro lìeiidi germane; il Irlgio Taiilalo Lfi poma, e J'oiule «aeniaiiienie iiiulùli ViiSte prosar, slliiiondo c laiiieliro A qìieJJe «'avveiilu, F iiiiniensa voglia Satollando in quel di; uè liir di Tizio Dal vorace avolior rose le viscere-Dunque sollerra Orfeo segiicndf* il passo Giunse alla roggia di Pluionoj ed ivi Tale ei formò di snoii, di canto e gemito Mirabile concento, die Euridice Data gli fn^ ma sol con questa loffge, C!ie nel caniìuin d' Inferno il guardo addietro Yv.r hi non rivolgesse: al re sì piarcjue. Che non promette ^ e qìianto non si lilla Di se inedesino olire il poir-r F amante? .illegro e haldo ej-li si pone in via, J^ dieta a tergo lui segue Euridice» Misero Orfico! tu per opra d'Amore Dianzi Jermo vincesti la paura, Che (l(?lLi vista risr-ia di/mosliì oneiuli, Col snoii viiMiosli 11 cri l'lo Averno, o«! ora Te vine:o Amur; nessun crAin<»r si lisli. IiDpiizifjiiLe a si YuJyo^ e corre l'i?r alibraf:falarla 5 ma qnal iiimo al veiito Si uilc^na Euridice: ei F aer cieco Solo siringe alTannoso, e invan lei cliiaina. Perililo, in^ijrato Amor, son qnesli adun([üe I ni«)l giorlii o trasinlli? K già non lice ^i'il.ir di l'iulone il reo decreto. UiuV ss'jnle afiblto? COMPENDIO DELLA VITA DI LÜPERCIO LEONARDO D' ARGENSOLA Ijiiperelü Leonardo d'ArgeBsoìa nacque nella eiuà di liarbasLrOj si crede 5 F amie i565. Suo pa-» dre fu Giuvaiiui Leonardo della iiobil laniiglia Leonardo di Raveiraa, caro alF iiuperador Massimiliano Il per dottrina e pmdenzag di lui genliliiomo, e secretario^ e la madre D- Aldonsa di Argensola 5 ^'asa illustre di Catalogna « Fece i suoi stud j nel-F Università di Huesca^ Di là portatosi a Saragozza ^ »i applicò alF eloquenza ^ e alla lingua greca, ed el)Le Andrea Scoto precettore. Coniinciò assai jìct tempo a godere di chiara üima non solo per il sin« èolare talento^ ma per F integrità del costume; co- sìrdiè npll'ntà ti'anni :>5 cli%'onne secrciario del-Y iìiiperatlriui? D» Maria ti' Aiisli ia, cìie vivoa noi riiiro dello Scalzo reali di Madrid. Pdcuj ilo[)o gli fu coniV-rilo dalla corie il carici) di cn.ruisla niai^- rj giure dui rc}»uo d'Aragcjua, e dai depiilali di Saragozza r altro parinieiitG di eronisla del d(}Uo roano. od essendo voniuo a Madrid Farctidnea Alo * Lerto, lo suo gonliliionio di camera. Inioriio a cpiesLo tempo si congiunse in inalrinionio con D. Jlitria Barbara d'Albion, da mi (»IjIio un liglio per nome IJ. Gabriele Leonardo, del (|U(de parleremo poi3 ed era egli appena giunto all'età d'anni 55 j (piando I). Pietro di Castro 3 conte di Le-jiios, fireato vice-re di Napoli, lo volle seco per secreUirio di stalo e di guerra, (^uivi seppe egli di^Linguersi nel injnieggio de'p ul oblici aflitri« neper quesio lasciò di (!oltivare gli ameni studj, e di favorirli, dovendosi all'opera sua l'erezione dell'Ac-earleniia intitolala gli Oziosi: e lelire quel regno, so fusiio limgaìnente vissuto! Ma fu da morte rapilo Fanno i6i5^nel «juaranlesimo oliavo delFetii sua. La Sp.'ìgna e F Italia ne rimase dolente, e r Af.c.ulemia degli Oziosi celebro con tiuia la poni- pa F esequie 5 oiiorainlcj ccm versi e prose? la nie-ììioria iVi SI yraiid' iiuiiio« Vciioiiclo all'opere sue5 cuiiiposo egli nell'età (l'unni vend i tre tlrainnii, FLalK^lla Ju FilflcJo e k Alessandra. De Nleolas Anlonio accenna, ohe scrisse un'oporeLla in prosa, inllloluLa: l\(Jazione dei moTiniend d'Aragon.-i p(»r cagione di Anionir» Peres 5 la quale rimase inedita « Ma eiò die rendo rljiarlssinio il nome di LupereiOj e il Canzoniere, dopo la sua morLc pubbliet» D. Galirielo Lr^«»-iiardo d'ALMou di lui llglio, da noi di sopra no-jìiinalo: e fu gran ventura F averlo potuto f.'onipi-Jare, prrclic essendo stato Lupereio vero ronosei-un-r delFarif», diflido sempre delle proprie lijrze^ V non solamente non pu])l)ll(:i>, ma diede alle llam-mf.' i .snoi poelìc; romponimenti, rome si raecoglle i'hi'la nsposla dcJ dottore UartulonnuL'o di Ini Jra-felìo a lì. F<^niar,do di Avila, che i'omin<;i,i; ./? l (ilahi ìììo iliLS la ile maaslro. %'Ha f-olIczLune p^-rlanlo iaUa dai Ij^Jio sno \i sono pue.^ie sacre 3 eroieliC, anionxS'', SàLirirlie e bellissime IraUnziuiii di alcune odi iVi Orazio. Seoue (V-di far buona üciha. e iiicscolanza d: vu- À. X ci 5 s'astenne nelle rime dall' oso frer|iiciile dei ge-randj, di cerli aggt*lLÌvi c d'altri vonaboli, che ripcisiù in esse prudiu'uno bfuie spesso bassezza c inoiioluuia, variò i riposi della vcrsilirazioiìc cusì, clic geiìoraliiioiile i suoi versi non sono ne preci-pifatijiiè pesami, ma gravi e iioLiIÌNSim!^ e soppr^ nel tempo slesso moverli, o ritardarli, quando giudicò couveniente di esprimere le cose col mecca-» 2i5smo delle \'Oci e dell'annoi ria. quali pregj occupa egli uno de pi Imi kioglii Ira i casiigllani poeti 3 e merita di essere scello dagli sliidi per me si chiede^ Che da Fille veder mia le' gradita ^ E me gir lieto di sua bella fede? Piis;^iindo r innamora I o Pot:!.! per le rcürjiiie dì Sajiiinfo iiiìira infranto, e oiiiai si lieve .srgiK» Di nostra cleJnl glorio ^ e passeggiera j CliC a stento il peregrio dire: Un «lì v'era uSayunto qui, di siiigìlur smte strane la fe' come in suo rc'jno ^ Tal rl\e piii raro esompio iiiirau si spera ^ cui non vinse inai dono, o preghiera. Nò itilLo il poter piinieo, e lo sdegno; Dell! poicliò fe' siniU costante e pura, E simil tempo al diiol dioninii la sorte, M'accogliete5 io son vostro, o sacre niura^ ove dopo gloriosa morte IJ' Eroi fidi il sepolcro, e il nome dura, Sia di (ama, g dl loniba io pur consorte. "li^TTO IH. bollii 3 clic lascia il patrio teiLo 3 ed erra I^iDgi dal suol Ila Lio clelF oro amante, Chi pago appena si riman con quante Messi nel grembo suo l'Africa serraj icl die a tutta occupar F onda 3 e la terra Crede aver petto intrepido, costante, E ingiù s LO 5 ed empio fa tacer le sante L(»ggi co' tuoni 5 e fulmini di guerra, Non ha fm certo^ ed è Tana sua curaceli' uom vago di ricchezze ^ o di comando Mai satollo non òj sempre desia. Felice5 ehi sen va per faeil via, E non chiede al destino altra ventura d^ ühhedlre riamato amando! À mor che sia^ per faina appena ioienclc. Gloria pur tratta in servitù d'Amore Si crede, e accesa d'alia fianmia il core^, Sijl percliè Tirsi a disamar non prende. Trino ponsier! Fiamma, die Amore accende^ Blai non riìiiansi in mi medesmo ardore j E se crescer non può, languisce e muore: Che non lia mezzo, ed agli estremi tende» Se Giuri esser d'Amor serva desia. Tutta si ponga in signoria di lui, E faccia suo voler ciò che a lui piace « O chiamisi tiranna, e ognor piii sia Di lorincnti inventrice a danno alimi, Ne il pio nome d^ amante usurpi audace. 'un io5 cLi 1 crecleria? soii'io quel forte, Da eni del cieco Dio fu ognor derisa La facG e F arco. O come il tempo avvisa, Cli® noni sccuro non è fino alla morie ! Ora mi servo di Ini ^ cangiala sorte, Scopre agli aui, al pallor clii in me s'al'flsa Mii se de' inoi liei rai in l'armi, c> Nisa^ Qnal colpo (ia, die piaga non appone? Come posi' al»l)ia il collo in m lirev" ore Del cosini giugo sullo il grave pondo, A me slesso rliied' io pien di slnpore. Ma losio a mio confuiio mi rispomlo; Giugno f|uel punlUj in cui può mao Ainore Così pur vinse i primi l'Iroi del mondo. i6 e a caso il vcì dagli ocelli alza, e s' s JJ avara Galatea d' essere scorta, Si toslo il crudo ricoprir succede, ' ella spaveiila piìi clie non coufuria Cosi iu oscura notte ^ e senza scorta Ad uomo incerto ove jiosare il piei Il subito balcn terrore apporta, Nò tempo al giuirdo per mirar concede. O rigida onestà, clic al suo cos])orto Pone alla vista ancor limiti, e peiia^ So il conlin passa por seguir F olvhictlo ! Poi 1 guardo fe di libero soggetlo, Qual meraviglia5 se le lingue frena, E tanti r aspro duol ciiiudono in petto? 'en porla aiitnnno la pampmea fronde ^ E goßfio per gran pioggia Ebro tiiLt' osa, Sdegna iiiargini, e ponte 5 e Y orgogliosa Onda su i eampi prossimi diffonde . Moncajo orrore e freddo gelo inftnide Con la sublime sua fronte nevosa^ nato appena il Sol, F umida ombrosa . Terra suol dolci rai copre ed asconde. Turba Aquilone il mar, scuote le selve Fremendo sì 5 che alla capanna 5 al porlo Fuggon le genti 5 ed al covil le belve e Vnv sulla soglia rea di Taide steso Fabio vii pianto versa, e malaccorto Non ])iagne il tempo -vaneggiando speso. al campo greco il siioii doleuic e roco-, L^Ellorea spada 5 die qual fuliiìin üccikIö, Mille guise di mone atroci, orrende, E col ferro crudel qiiauio può il foco Slassi a udire3 e veder, ferino in suo loco5 L'ìiiyìilo Achille5 ne duolsi, o s'accende, Anzi tocca la lira, e piacer prende, E al suon confonde 1 pregili altrui per gioco Viva è ogiior F onta, e col pensier sol mira D'Agamennone al sen F amala e vaga Briseide, die il superLo a lui rapJo. E in proprio danno il fero sdegno appago, Poi che la gloria sua pone in oLlio: Tanto puoie io un cor Y offesa, e V ira » ^-isce dalF onde 5 e appar su F oriiszome Dopf) piuggie importune il Sol già cliiaro« Del Jello fuor salta il bifolco avaro 5 Clic r ozio aliliorre, e splender vide il monie : E posto il duro giogo sulla fronte Dell' anniial 5 eli' Europa ebl^e sì caro ^ lisce 5 coijtro F inopia a^ suoi riparo 5 E sparge il seme a piene mani e pronte® Torna di notte alla sna casta moglie ^ Che gli apparecchia foco 5 e mensa 5 e lettor Stuol di parvoli il eigne, e padre il chiama? Gena semplici cose con diletto 5 Lui senz'invida cura il sonno accoglie j O corte! o confusioni chi mai ti brama? ►NETTO X Ili sul gli effetii in qnosia bassa lornf. Mira, lìti alle ragion cieco poii ineiiKi; 11 vizio prende per virtute ^ ed erra, Che spesso F «'ipparenza abbaglia, e mento Qiiinili e dcLi.o paeiftco sovente Gum, che per vii linior fugge la guerra^ Il l'uribondo inirepido, e prudente Colui, ebe cupe fraudi in petlo serra. E quanta, oimè! se lolio fosse il velo Air interno dell' noni, ehe Dio sol vede, Maleria avreninio di pietade, e riso! Felic(» chi il sur» cur già volto al Cielo Di virtù veste, non pur gli atti, e il viso E ciascuu do' suoi di V ultimo nrcde ì S ili di tenero affetto, e di pieiade Adorni il tuo sembiante altero e btJìo ]Ncir alterezza sua; già. più non fuggi Dal lido aitiante, che per te sospira In vivo focó| anzi a quel vivo foco Tu cerchi d' appressarli 5 e farne prova Col dolce conversar. Di che mai rara Nova bellezza or ti fa dono il Cielo! Pria tua beltà die morte 5 or vita reca La tua beltà. Qual è5 vaga Aniariìli, Qua! è giuria maggior? Dal tuo rigore L' alme più l'orti limaneaii coiif|üiso 5 Ed i trionfi tuoi più rari e Sommi Solevi disprezzars cfuel ch'or tu faij Piace Amarilli a te, jiiace ad Amoro. Tu ricolma di giubilo già prendi Il possesso d'un cor g dove sarai ■2,1.5 Pacifica regina ; e fera leiiipra Di cor non domi lii : rli' ò tlulciì core, Cor per te ialto j come V alma pura, La f£iial scende dal Ciel, faLta ù pel corpo. Clic da lei vita già iiialuro alleiide. Non pria di Celio giovinelLo adulla Fu la ragion, non pria goder del dono Poteo di libertà, die visto il vago Splendor degli ocelli tuoi 5 senza temere Gli atti tuoi prima disdegnosi e sellivi, T' offerse il petto non mai tocco innanzi Da flaniDia altra d'Aoiorj si, vergin petto, di' arse ben tosto al rai d(J tuo bel viso » Tu die sol eri a ferir Ijelve intesa Seguendo altera di Diana il coro. In quel punto iiiedeshiio sentisti Con tremito soave un dolce foco Scenderti al core, uè sai come, ed ivi Porre la sede sua : già, il so, t' e f:aro, Già3 ben conosco assai, più vive e forti Proverai tosto le sue fiamme in seno« Amarilll, Amarilli, amante sei« Neghi e resisti invano; ò Amore, c Amore Queir affetto gentil, die si i'abLfJIa, E (filando ila che la tua man di neve Con la mano di Celio si congiunga, Meglio saprai ciò che l'Amor desia» Or odi me: che del futuro il velo Già III apre il biondo Dio. Tu di Lucina Nel tenipio il cinto appenderai strignendo Celio, lo sposo tuo diletto, al seno, E la bella Germana paventando L'esempio tuo, superila e disdegnosa Con piè veloce 5 ed in succinta gonna Fuggirà invano per F omljrosf> I)osco Vaga di Ill)erta. Fermati, o Silvia, Non fuggir, non fuggir. Credi fors'aìibia l'atto quegli occhi il Clel sol per nrlnislri D'aeuto darilo 3 onde i trlonli tuoi Sien vane spoglie di trafitte IielveV Lascia omai gli atti schivi, che a ben altre Gloriose vittorie Amor ti chiama. Yedral, vedrai (Febo a me scopre il vero) In fausto giorno d'xlmarllli il parlo. Senza affanno e timor: tu in esso aita I^e porgerai: tu di desio d" udire T nwìù tenero Jüniiinno, Lieto ppgno d'amor, ti struggerai. Nò niolf o andrìi, visti i mpoli, o Silvirij. Clin iiseiraiì figli dai ino sen foeundo, Ben ronoscirio elri domerà il tim orgogìio. Bla tu piti non temer, Celio, ì! a]ìpres.sa . Stringi, non indngiar, la bella mano, La man già ilisarmatag e pronta a da i ti IVgno di pace in dolce nodo eteriìo. 3:iii-a in volto Amarilli: ella tacendo Con modesto rossor prega, o desia D'esser pregata almen. Felici amanti, 1 Old dolci desir nascenti e prijui Lecito g santo e fiiusto Imene appaga! z'J i speme 5 o dolcse spenin! il grave duolo E iinportniiü tiiiiur tu calmi in seno Al misero mortai. Qual urudo iiifeiiio Non h penar .senza il piìi lieve segno Di futuro gioir? Si, Lendiè afllii^^ga La tarilarìza del ben 5 pur se y' ò speme. Saper, dio vola il tempo, ne conforta, fnì le dure zolle all' aratore 1/ ispida liarìia di luìne Iiianclieggia 5 E vien manco il vij^or: ma ripensando Egli alle spiche del cocente Agosto 5 Ed ai grappoli 5 ond'è T Ottobre opimo, T-e sue latielie alleggia, e sempre di' egli PiicompoMe r aratro 5 il guardo gii'a Verso la die con dolcu all'alma Memorie gli e ne'snoi lavor presenle. l'efli pur come siiito grave incarco Di duro leitü le sue inciiiljra doma 11 focoso garzon 5 com' ei si lega Dì guerra agli usi 3 ai risdn, agli asjiri afninni I/ozio sicuro ei fugge 2 e pel nenileo L' amico caugia dolce suoi natio : Ma quando se ne va lungi, ma quando L' oste nemica assai 3 mille trioni! Pugnando 5 e mille glorie si prom(»tLep Così avvien eli' altri per gran sete d' oro La vita al nwe, e a sotti! legno ai'lidi; Ed ecco d'improvviso il Sol s' asconde, Freiiiono i venti5 il mar s'adira5 e i flutti Semliran far guerra al ciel con miiggliio orrendo; Pur men Y orrore di vicina morte In lui può, die il desio di gemme e d' oro, Ed arma il petto di costanza e speme . Ed anciie il ca(x'iator vigli 9 rol>usLo Lascia lo calde piume, e il dolce e caro Seno della gentil sposa die dorme,. Nò duro gliiaccioj od aquiloii F arresta : Sia in suo pensler d' ogni disagio è Leila rvlercc, alle fere Invan sagaci ^ invano Forti, e veloci invan turbar la pace» Sempre a ßn eei-io, cd a niorroile aspira L'iiom negli alTainii suoi; duolo e diletto 3 Fatica e premio ognor vaniìo alteriiauclo Fra noi quaggsii: iiìcn gravi i gioriìi algenti Rende il peiisier della futura state: E ini tempo all'altro c di compenso| e scilo Pùnuise il Ijen della Speranza in terra, Quando ver l'alto Ciel lutti fuggirò. CANZÓNE argomento l'ilo iiivillluüo C lufiügiio si c;ra adoperato pni- logìirrc ni Poph? ii majigiorc di futli i bcui, ciuc» a diiv ramicna ue'due crisialli^ ove Lralace il Sole 5 Che pose Amor dinanzi a'nostri poLll Per farne il core d'ambedue palese;, Sì elle le Ycre ognor doglie e diletti Senza temer de'falsi ani e parole L'uo cor dell'altro a mcraYJglia in lese. Quelli per vane offese^ Anzi per sogno ed ombra D'oscura nube iogombra Fiato d'Invidia velenoso, e cLiara Più la fe' non appar sì bella e rara. Beo è scolpita in questo cor qual pria Di te rimiiiagin cara 5 Ma non so già^ se nel tuo cor la mia. 2ì):} Pur se lice sperar, clic qiiale-lie alta Porga a'miseri im dì picluso il Cielo Di i [iieir ingiusta e rea contro il furore ^ Se la saijla aiuisLade è in Ciel gnuliLa^ Certo5 uè molto andrà. Torrido velo l'^ia die disgombri ü ver col suo splendore. Amor, l'invltlu Amore, (Di cui negli aspri allaniii (Iresce la forza, e i vanni) Qiial dopo pioggia l'Iride, che cinge Con F arco il mondo e bei color dipingf», Sorgerà lieto | ed al mio fido antico Vedrem che la man stringe, Pegno d'eterna pace, il dolce amirOo Ne temo io già no il mio sperar sia vano, Cli'esempio di ^"alorj ch'ogni altro avanza, Die (juesto petto, e in sna virtù te io spero; Però che ad assalir la mia costanza Sdegno, ed aspro rigor s'armaro in vano, Nò reo per opra lor son d'un pensiero. Macchia non solfre il vero Candor della mia feth". Che a' sellivi alti non cede, Ptò strìgnormi alla sna iiiofa ml vkle Furüiiia sioJia (juaudo alimi sorridf»; Clic ù. mensa ingrata del piacer sol Vcij^o 11 Yiilgo Don s'asside, E sul cu'fior senza le spine è pago, liiinge il Gel lenga dal jiiio cN»re amanse Peste sì rea, nò sofìra che eaneelli D'Amor la legge il rito de profani. Seulia rimase in solido diamante Quel di 5 clie il giugo con si ibrii e belli Kodi ne impose Amor con le sue inauij E come i due Germani Splendon mercè F al terna ^iia, e morte d'eterna Luce nel Cielo, e sono in duLhia sorte A' miseri noechier propizie scorte ^ Cosi fatte nostr'anime sol una. Quella pngiiò da forte Contro i colpi del tempo e di fortuna» Con sì conforme cor dentro al suo re^^no o D'accoglier si compiacrpie il padre Giano Saturno esule, afflitto e peregrinoj Quand'egli valicando il mare insano. E fiiggcnclo di Gloye iì fero sdegno Pieno d'alio timor cesse al destino. Per lui nel suol latino Nova sorse fatica Contro la madre antica ^ Clic tributo da se porgea, ma tutto Trass' egli a ftirza, e pik souve il frutto. Cessar caslague e glüandc| e lungo solco Di duro ferro instrutto Nelle viscere sue fece il bifolco » Indi con falce allor (curvo strumento Dal Nuiiiu usato in minìsien) crudo) Le splclic Liundeggiauli a terra stese 5 Ì:L vÌ6lI»ia a vile! Se il lido Tirsi ciò elio lirama, impetra, Ei vi celebrerà con splendid'are, Se nulla óttien^ con la sua tomba umile. D'alma in aiiiar gentile Ter voi la le' si pura Passi all' età futura» Tu beneliò in rozzo stil, ne appìen eompr 11 senso, o peregrin, iiou sia, che offenda Questo pegno d'amor d'un core afflllto; Amor fa die piii splenda mute piramidi di Egitio. COMPENDIO DELLA VITA .l3artolommeo Leonardo d'Argensolci ^ Iratelìo Ji Liipercio, nacque in Barbastro Fanno i56G. Slu-fUò nniane lettere5 filosofia, gius civile e canonico nelf Università di Huescaj oy'ebbe la laurea dottorale, ed ordinato sacerdote passò a Madrid cappellano della imperadrice vedova 1). Maria d'Austria, che vivea nel ritiro delle Scalze reali di quella città. Si trasferì poscia dopo la di lei morte a Valladolid, ove risedeva la corte, e vi si icrniò qnalclie tempo per far cosa grata a D, Pietro Fernanden di Castro, conle di Lenios^ ma non con-lacendusi all' indole sua lo stile de' eortJglani 5 si ri- condusse idla patria cun liilciisiüne dl godere iraii« quillameiite della paterna eredità. Questo suo di-Yisameuto non ebbe luoyo die il breve spazio di pochi mesi 5 percliò essendo creato vice-re di Napoli il detto conte di Lenios, iì quale prese per segretario di stato e dì. guerra Lnpereio, se iie andò a Napoli in coiupagnia dei fratello. Quivi si occupò egli nel pianeggio de' pubblici all'ari per alleggerirne il peso a Lupereio, quivi proniossß egli pure gli stuclj ^ ed eli])C meritamente grandis« sima Huna. Ma uscito di vita il fratello Fanno i6i5. e giunto il eonte Tanno x6iG al fine del suo governo, Bjrtolonuneo venne d'anni 5o a Saragozza 5 (*ve lo diilìiiiava F impiego di cronista del regno «l'Ar,:jgona, e la dignità di canonico conferitagli dal pontefice Paolo v. Si dedicò egli pertanto all'adompinionto de'siioi doveri, e perseverò negli stndj .j ad onta di abituale indisposizione, da cui fu spinto al suo termine con universale cordoglio Famio iGji nelF età d'aimi GG. Fu egli valentisSimo scrittore nella lingua castigliana in prosa, c in verso. Abbiamo di lui F istoria della conquista delle Molucbe 5 la continuazione a Zurita dedi annali dl Arairoiia^ io poosie raccolto e piiliblieaic dopo la sua morie da D. Gabriele Leoiuirtlu (li Alblon suo nipote- In questa collezione vi sono poesie sacre, eroiche, Inaubri, facete e satirlclie niaeslrevobnenie SO' composte, ed ollinie iraduziuni di salmi, d'inni sacri, e di alcune cose di Marziale, e d'Orazio. Srrflla lU'IPorrjssione^ nunir iniiiialnint cìol fro»i!p lìi Gelri»: D. Fcrnaiiiltì di Ciisfin :ul nn iV;ot«"lI(i «Irl inodivsìini). .iacliìc, O Signor 3 (la gi-avr» aml^-isfiia vinto Cile il tcrniioe affreilò dü' giorni svi«»!, 11 ino Fernaiiclo su T «prìi «lesali anni j Qriéil purpureo giacinto j a cui repente Pioggia il liei capo opprime ^ o F allllalo Ion ter passando il verde stelo offende» liC r^infe tutte del Pinciaiio rio. Tista giacer su le uatie lor sponde La fredda spoglia del Garzone estinto ^ Dier segui di dolor: piagne F ilinstre CitUi reioa, die guerriere paluic Da lui spelò (pie'indo animare in giòstra Col suo valor la gioventute il vide Ne' dì festivi: al tristo anninizio il Beti, Giù poslo il serio del felice ulivo. 1/alUTti Ironie tli «-Iprosso adombra. E Lil, Galizia, o Cid! tu che vedesti Con alta meraviglia iV improvviso Fiorini yermOi»ljar la culla d'oro, Ond' diber calma i suoi primi vagiti ^ E mille udisti nel palagio avito Yoni di gioja benedir le sldlc Poco distanti allor dai caro oggetto; Or Todi risnonar d'alto querelo. Odi gli astri accusar. Ma cpiale iiigegiio Sdì// aila del Ciel p«iria la doglia Pingcr dci'vostri aspetti, o Madre, o Sposa. O mlsori Germani? Euterpe il velo Stenda, ond' espresse le paterne angoscie Saggio antico pittor: die il sn(m de' carmi Può placar V ombre dello sligio regno, K le stelle arrestar, ma qui vien meno ])i IMelpomene ancora il grave accento. Come lalor d'Aprile il vento scuole Pianta così, dio vedova riniansi ììì sne lenere iVondi, ond' ond»ra, e vago Verdeggiar si sperò ; poi la jierdona Alle in^maijli snl pi'»galo ramo Siiioite, o venuiglio, die vltlor iiialiire FriiLLa Goiisorli; iii siüiil guisa il falò A voglia sua F ordine Mii ba 5 od ora Louto è a coire il tribiilo, or tosto il coirli D Te 5 o Feroaodo, rapì. Tu giaci, e leco Giacciono i geriiii di laut'opre illustri 5 Clic usciali di tue virtìi: come iiiipcrfeUc^ K d' error cinte riinarriau le cose Senza i fecondi rai del Sole amico, Tòco mancò quella miiabil forza ^ Onde rotando il ìiudo acciarj Io scontro B' erculea clava non temevi : ed ora Qual mano reggerà con egiial arte I destrler bellicosi, i destiief llgli Delle.fervide madri, die la dolce Aura fecondatrice in riva (d Bcd Cupidamente per le nari accolgono Di quella concependo? E a dii mai tanto Cara la polve olimpica fu 3 come II circo a te 5 dove si viljrao ìancie Con lucid'arnii, od africana pompa? 3Nò già pel plauso popolar, che intesa Era tua mente al glorioso oggetto Di bellici trofei. Nel patrio alljcrgo Riverenza «li figlio, amoi' ài madre l?e pria ritenne, e quando fuor già spinto T'avria nol>il desio di fama eterna. Morte si oppose, e il bel desio fe vano» Cosi nella natia liljica lana Giov.inetto ìeon, cui imtre e molce La materna pietà ^ non pria si sente D' unghie e di zanne armato. e sovra il collo L'aurea cliioma ondeggiar, ehe ben conosce Quai mamme V allattaro, e a «jiiali adulto Frove lui spinga il foco, onde tutt'ardoj Sdegna il vilto pa«;ifico, ed abborre L'ozioso covile, impaziciite I^er fera voglia di sanguigno pasto; Ma quando o tigre, o il più robusto loro JJe prmii impeti suoi la segno, e aspira A domar p()scia le bollenti arene, Tinta repente da mortale angoscia Spira la belva generosa e forte, Cile lanle minacciò siragi e mine. J*ur d'altre inelite pahne, o fjran Fernando, Puoi gire alu-ro: t lie, uv'allri ruggendo -GS Tir.cc i bassi tlcsìr, tu li Fra le grazie d'Amor lacomlo agilor semliran i'ar f»uerra. (Allinda j)iu' l'oro in sen Pirene, o Atlante, versi in mir suol rapidi (orrenli, Verrà <|ucl dì, che d'umor jirivo c t T oro Doma per lunj^a elii jileyiii la ir«mie Cinta or di jiianle ombroso; nò pereiìue St>rllto lian eors'i i ìijupidetri vosi ri IMormoranti ruscdii, o sacre Ibnti: s' ora il a^o jirtfziose nrciie VoIot Tra l'onde sue. T ELro s\ihhella o ' 1.S S(!uiHraiuIo il Sol c|iiiiiido e' no iiifMia il giorno, J^' acque (lilegiieraiisi, o senza onore InüiaiTaii l'urne Ji rieea vena. (Ihe pili? Fra Tonilirc, ove s'asside il £»regf^e Col senipliee pasLur, m il siiono or semi Della scure cruclel, elie i pini aliena, Onde navi Tonnarj pur uon ti semini Slrano il pensier j die ov' ora i salsi flnui Fa liianelieggiar (!on cento prore e esento L'immensa brama di dominio 5 e d' oro, Veggansi F erba un di pascer gli armenti, Splender le falei adnnche, e i tardi bovi Sotto il giogo sudar. Fnggono rapidi 1 secoli5 nò mai per voti, o lagrime S'arrestano un istante; vincitrice li' età dell' opre sue serl»a per Y ultimo Gemito amaro le medesme, eli'hanno Alimento da lei^ grazia e Ijehade« li ci/nitro esser mai può, se (|ueste sono 1)' origine mortai (in da quel punto, Clie basso loco e centro, in cui si libra, l.,a materia sorti? Qui gli elementi Fi'a lor discordi ebbero il primo imene, Ed il üilaiiio lor; proiluron fssi, E sliTigyoiio eli poi 5 tenlaiulo iigiiora Coli vìvi sforzi, e per ofx'iilii «»in La via (U fare al primo caos ritorno. Spinti dal soiiiiHO lor natio df.*sirr. Ma divin liiiiie, e bel d«\S!r iiali«j Vvv via eerta e feli«'.o al Cielo setiri^e auinie nostre, ov'è palese il vero^ l'^il ove tra i IuIž^ch' iiienan irioiHo Cili eletti al snono di inilT inpe e mille O pompa eterna! o ineorrnnihll jialniel Scrilta a D. Fernando fli Soriii Galv«imi, .si era dcdiralti alla liloitofìn , coiislijliaiiilolo iT iiiijiit^i-ari^ i|ual('lie «ira del giorno üogii uìiiciii studi; i; pnriiculariiiciitf; nella ptiesìa. .0 11 YOglio olibedir, Fernando mio 5 E tcco favellar, coni' uom che svia La iiiente alquanto dalle gravi cose Con piacevol discorso: e però qucslo Si rliiian«£a fra noi j eh' ora F amico Scrive all'amico senza pompa ed arte: rfè son io così altero, ovver si dotto, Che in tviono di maeslro io possa 5 o YOgìb Dettar precetti, ed emendar gli errori. Dico li adimqiie, cliMo godo in vederti Tutto rivolto a que' severi študij eli'lian per oggetto il ver; ma che talora Giova porli in disparte, e ricrearsi5 D' altri pascendo piìi soavi il gusto, C^lie opprimer non ileo, se rimi la in sorlec Fanno pi^ova, o Fernando, e «pialor essi Con la nativa lor grazia e beilade S' oO'ranp a te, lu senza sforzo 5 e senza Sllnioli alu'üi ne diverrai cultóre. Uopo in questi non Lai d' esser sagace 5 Come nella scolastica palestra, Qi-iaiido inteso a convincere 5 li stavi Allliando cndmenii, ciie veloci i'iscon della dialettica faretra. Ingenne son, paciüclie^ elegaiili Le nove Muse 3 ed ò F offizio loro Dilettando erudir. Te per man guidi ì f età in elade Ja canuta Istoria Là negli arcliivi suoi, dove ancor vivono Di morte ad onla degli ]'j*oi le imprese, E «juindi uscendo con la mente acconcia A pili sulilimi immagini, li lascia Tutto inlianmiar dall'apollineo foco. Tu piii die atl altro, a si bell'arte spinto Sei, cred'ioj da natura; i moli suoi Segui, e a lei non ti oppor : nò del profano Vulgo ti caglia j che virili non cura 5 O di iiciiiiai ai vali ìiiyliisiii sono. E mciUre delia Lima al dclùl raaaio J^' un va per selve iif?l pifi li ilo verno So^ueiulo lo ßcliiauir dei caii sacraci, o ' o ' L' altro a kdirico gioco s' abbandona ^ E molli ancor do' cilladini iJliislri Sono a lascivia In-iilianienie addilli^ Tu iieir ore iioLluriie in elieta parie A vijjile lucerna5 o dell'aurora Col dolce liune a bel studi propizio Scrivi contro il Fanciul, che di ragione e Le forze abbatte: e recbino i tuoi versi Meraviglia3 piacer, cura e salute, a se v<.»lgendo le iiieniorie antiche i costumi 5 di popoli 5 e d' Eroi Te stimola desio d' epica Iromljaj Ovver se il ciel ^ die ti si gira intoriìo, De' suoi pianeti, e degl' inibissi loro A dir ti cbiama in più sulilime canto ^ Pronto all'opra t'acciglii, e vedrai come Nella picciola tua stanza presente V Universo ti Ila. L'impresa affida 5 Se la rima l e grave ^ al iiobil verso 5 Clio 11 mein) serLa, non vuol rime 5 e gode 1)1 libera armonia. ISujoso e Yano Impaccio e gir di consonanze in traccia A chi volge al pcnsier intta sna cnra. Tioggo cnidel ! non favellar se ])ria \"cjci d'accenlo c^nal, di simil snr)no rr» ' ' Non s'olirono alla mente! e quindi nasce, CIjo r lina delle due voci concordi Kado serve al pensier, radxj sen viene iuu ile e piana : dell' estreme pani Queir uniformo snon F oreccliio foro. Ma il buon senso dov' è ? ?fon altrimenti PaliLsiri rane nel condir, sol trovi I-iO i',anil>e integre, e il eorpiccinol ririiiti: li tjiiando il Nilo i campi sgcnnUra Älercc dol Sol, che il pingue imiido limo Organi zzai idi) va cu' rai fecondi^ gioiti hridican pie, stridono hocclie D'infcirml topi. Da che il grave incarco Fu datu a" versi della rima, o c{uanti Per vane voci, o mal conmimte insieme o Sono imperfcni! li vero, che soverite A rinforzar tlella sentenza il nerho l>8i» Giovan le rime con liell'arte usate; Ma non v' ò mezzo ^ o signoreggia ^ o seiTC La forza perigliosa delle rime. Come deir oro awien : chi per far uso Di diiusa pria pensata, o d'un ]»el dello^ IS'offre defrirme, o vil ciò die precede, Li die si clilTerenzia dal tiranno Che per ingiuste vie recar pretende Qualche vantaggio alFiioni? Pera F indegna Politica dottrina, die dal vizio L'iitil traendo ogni virtù te offende. Che se di rime il secol iiostro e vara. o " E le forzate e misere rifiuta, S' apra i ricchi tesor delF idioma Il rimator sagace 5 acciò die in folla ì'cjigano alF uopo suo quaiite mai volano Per F Iberia gentil voci leggiadre. Pur senza studio, e senza cura industre Sol col ibco natio già non presuma Porlo a felice iiumero, e concerto. Ma pria eh'uom versi con le rime, o sciolti A scrivere s' accinga, orni sua mente U'alta filosofia» Quel cosi esperto Nd correre lai mar divino Omero g Che sopra avanzi5 in guisa di trofei. D'ardile prore3 e eon gli alluri al crine Risponde cfiiiie oracolo dal j^orio. Per farsi aniiclie le soavi Muse, ìy ogni scienza i pelaghi profondi Pria solcando sen gio molti e moli'anili. Dunque poicliò di Socrate comprendi Le mistidie ironie negli aurei libri Di Plifio, ed ami le voci g e il sottile riagionar d'Aristotele, che incalza I pili rapidi ingpgnij il corso lascia l-,iIirro all' alma tua pei larghi campi Di <|ucir antica sapienza, e il flore Più hil ne cogliI indi con ampie vele ln!.re])id(j nocchier fra Y onde e i venti Spingi il tuo voi si lungi dalle sponde, altro non vegga fuor che cielo e mare. IL dir vogF io con dò, die Lene islruuo Delle prische dottrine all'uopo usarne Tu dei con franco stil, fpud che tu scelga Di que'duo stili, a (pud gran lurha aspira, E non perciò facili sono, e meno Sphiyono a iiauliMi^iir. Bn^ve e chmicÌmj I/mio essior vuol, ma Ji pomposi frcyl IJeiKìliò neini(;o sia, terso lor, che padii HO« Für (11 lulli gli Eroi5 die Spagna onora, La iiioiilagna natia snona cd ccf-heggla. Di <|ucsLo io canterò: nò sarò sempre Ohlicdienic a' rigidi preccLli, (Gridi, se Ytiul, cpialelic Aristarco) e lungi Dal cliiedcrne pcrdon, lode ne attendo. Che se por opra d' un felice volo Varca la Musa que' confin, non danno. Bla pro l'arte n'avrà. Così non cura Gli usati fregi bella Ninfa, e spesso Le negligenze sue sono artifizj : E Ninfli di natia beltà ricorre Allo specchio talor non per consiglio 3 Ma perdiò dica a lei: Tu.se pur bella. Ohr incominria: Em>x ctmfvjos iias, Eutcrpa mini «leve finge uii cuìIoc|i!Ìo con la Musa . »Bea JL-/miqiie, o mio caro 5 Se a dolce vita e riposata aspiri, Lascia l'estasi ornai, lascia il ritiro. Tempera i modi tuoi con gli usi altrui « ^ò li tolgo 5 òhe fugga dal profano Tiilgo con Trimegisto coiiteniplandó 11 Cielo, e Dio 5 purché ^iya, e t' adopri Con/ uom fra noi, non come puro spirto : Che Fortuna quaggiìi mai non ha posa Dando, e togliendo ciecamente. È d^ uopo Nel gran tumulto de' seguaci suoi Aggirarsi, e' tentar : mal tu conosci U indole sua, se trarla a te pur pensi Tivendo occulto: e se ciò sai^ che attendi? Forse che V alta Provvidenza eterna ]3i subite dovizie ti ricolmi? ÌC) ago D' injjiuslo, iiialaecurlo etl oryoiilioso Ö ' O O Fuggir la taccia non puoi tu, so in premi«> Di ine virindi altro Aliacuco attendi Per r aere a volo dal sno crln pendente Mgil ministro a te dV?sca soave = Dnnqne stil innta, nò ti pajan strani Questi consigli mieij la cor, t'adopra. Cerea qnel che piìi giova 5 e senza indugio Mostrati in Roma, o nella corte nostra^ Ove s'odan tue voci; hai tu dottrina, E Principi conosci; il favor loro Senza vii Irode, e senza simonie Felice ti farà. Glie? sai qua! sorte Ti si prepare'i, e s' ella c forse ingiusta La diffidenza tua? Ya, non si perde Ciò che pria non fu chiesto j hai tempo ancora E se nnlla tu fai, dirò che T ozio Agiato e pnsillanimo ti rende. Ma parlar brami ; e tempra è 5 ch^ io ti veggio Morder le laljra, ed inarcar le cigliai ( )nd' io nji tàccio . Indizio , o Musa, 6 rjnesto Ch'io pi?! del hiion desio, die del consìglio Br appago in ascoltarti. E che pretendi? CIjl' 10 mi formi di nuovo ? E poss^ io forse Spogliar la propria , e lor F indole altrui? Nè sol Tuoi me operoso, e eli io in' opponga 9 Alla natura miai ma, mosto Ciclo! opra iDiponi, e per qual Tia mi spingi Pria coni' agii destrier "velocemente Testuggine vedrai correre, e scossa I-a portatile sna picciola stanza Porsi al rigido gel ^ clr io (mJ^pcrdoni 11 tuo buon zelo) in ciò die vuoi divenga Agile, industre. Non mi die per cpiesto Attitudine il Ciel. Clii al Ciel fa forza Piežrando il collo sotto il Lavive "io£jo ODO DI SÌ molesto alìlir, va strascinando 11 carro trionfale di Fortuna Gol morso in bocca, come rjuel di Tenere., E quello di Giunon pavoni e cigni. E mi vuoi tu novo pavone, o cigno Pronto sidF ali ognor, col giogo in collo $ Mordendo a forza, e sia pur d' oro, il freno ? A Roma tu m'invii; lodo il consiglio; ?Ja di' altro io sarò poi se non la l)efra ÌJÌ qnclla curia? Pm:lic invece, o Musa, Di suppliche formar sagaci 5 acute Per vincere i datarj, e d' aver prima Reso tributo a lor d'inchini, e d' oro, Tu mi vedresti curioso, ed avido Girne per la citta 3 cercando ov" era 11 primo muro 5 ed olire all' Aventino Monte il Pomerio 5 in c|ual foro per opra Di Vakrioj e di Bruto, alior che il .seno Lucrezia si feri. fu F odioso o Rfgno proscritto | in qual parie s' oppose Al Senato incostante il buon Camillo | E dove cesse al pubUico desio Papirio dittator. Tu mi vedresti Al circo ed a' teatri, ove quant' uomini, Tuli d Marte allor vide emiìli suoi. Si che a dire di lor tutt'arte è mutaj O presso alle rovine delle sacre Case de' grandi Scipion, gik templi Di bellici trofei: fora mio dolce Diporto il gir per le feconde terre Dal perfido Afričan disfatte ed arse, E trovar chi mi dica: 11 campo è questa in cui vir^lto non Lo scaltro coiidouier, pèrcliò sospetta Fosse al romano popolo e senato La fe' di cpieir Eroe:, ma Fabio il campo Per prezzo diede 5 e ricomprò dì molti Roman la libertà: cosi più chiara Ui saggio e di leal fama ne trasse ^ Porrian me fuor di me le sparse membra Di frisi 5 d' epistili e di colonne, Memorie illustri di guerriere palme 5 E F alma accesa del valore antico, Questa misera età posta in oblio ^ Saria beata in quella degli Eroi. Dunque Homa lasciando5 alla mia corte, 0 torre Ijabilonica , m' appresso. Bladama Ipocrisia mi porge il manto. Entro5 e odo dissimili favelle. Chieggo acquaj e mi si dà calce, od arena: Soffro questa prim' onta in pace ; alfine Vo' dire: O coite, addio i ma incantatrice Di ministro regal voce, o sirena Con lusinghe dolcissime m' arresta » Passano gli ainii, e F anno, o supplicanti, Yostro non giugne, o se pur giugne, è cosa Clio mal vi si convicn: però che misero Sortite alfine, o vergognoso uffizio | Ovverj percliè vi sliate ognor su F ali. Grazia v'arride eli cotanta altezza^ Da far Palla temer, non di' uom senz' arte g Povero di consiglio, e dopo tante Notti inquiete di dormir sol vago. Quanto mai fura a voi5 eli'alto poggiate. Utile speccLiio la iioveìlà antica DegF incerati vaiini? Aveaii già d'ali Dedalo armale 5 ed Icaro le terga 5 E disse il genitor ; D^ intorno chiusi Dalla terra e dal mar fora' c il cammino Aprirsi a volo; non volare 5 o figlio g Troppa alto, o basso5 e dietro a me ne vieni: Che se a mezz' acre stai 5 noe fieii lue jicnne Nò Lagnate dal mar, ne dal Sol arse. Passò il buon vecchio, e tempio in Cuma eresse Ma il giovin cadde5 e die suo nome al mare. Però non li stupir j se il romor fuggo ^ Ed alla stanza mia solinga io torno, Ove Fortuna invan co' doni suoi (Fosser di Crasso ^ e Creso le dovizie} 9 Terria superba ad assalirmi il core, Biasmo i voli tropp^alii^ e non a forza ^ Bla di liuoii grado.- e per laogo uso amico Della natura mia con lei s' accorda Di mia niente il pensier « PercLè vogF io Pungermi5 concitarmi, e gire in traccia A' remi e vele del miglior mio bene. Se qui presente il veggo? O abbominevoìe Amhision! Co' tuoi magici incanti Fai bì di' ci non appàr 3 nè mai si trova -'J\into studio che vai? Col proprio stato Strigner dolce amistade è pace 5 è vita 5 Ed ogni altro desio discordia e morte. Ma poni 5 Euterpe 5 die il mio sì Fortuna (Ciò che di rado avvicn) mi diiegga, offrendo llicdiezze e dignità; pongliiam mi faccia Con mitra capolino 5 ed incoroni La fronte mia (questa mia fronte vaso Di müle strane idee), forse avrò il core Soggetto alla ragion ? Le voglie avare Caccierò in bando 3 e degli onor F ardente Sete fia spenta in me? Pensi tu forse, Guasto ii mondo.com'è5 trovar si possa Pace ne' sommi gradi alma e perfelia ? Di pace apportatrice si millanta ForUina, ma MOn è: cm-e inquiete» Mortali angoscio 5 e rigide catene Di non creduta servitù son anzi Gli amari frutti di sì cieco impero 5 Gli ove riposo fra le gemme e Y oro Par die amica ti serbi ^ ivi si cela A prendersi di te gioco, e trastullo. Tornami avanti or cosa, che ben viene Al proposito nostra. Uom del contado latoso a coltivare 1' orticello Trovò scavando a poco spazio un vaso. Suona la zappa colpeggiando, e tutto Il vaso appar d' ogni sua parte integro. Munito di fortissimo bitume. If-ra il copercliio a modo di piramide^ Di creta poco meu dura die pietrai E poi cìf ò fama di tesor nascosti In grembo a questo suol, pensò di^ ivi entr® Stava là sorte sua. Questo è, diss'egli. Felice me! licdussitno tesoro D' alcun Nimiida in perigliosi tempi Già posto in salvo j e fuor di se por gioja Dal seil io tragge dell' amica terra Fra se peiìsfmdo s Con F oro qui chiuso Tanta ne comprerò quanta occliio Tede. Tremai! le Biaai, meiitr'ei F alza: il guardo Gira vigli d^ intomo j e in ogni pianta Adombra un predatori pien di sospetto Il nostro avventurato ricovrarsi Tuoi solo solo in cliiuso loco ^ ed ivi Queir uriia aprir c Su T omero si reca Dunque l'amato incafco^- e si rattrista^ Poicliò pensando a ciò eli' ei crede 5 e spera, Gli sembra leggerissimo: ma tosto Si riconforta 3 sapendo eli' è lieve Ogni peso gradito: alfin ricovra Di sua magion nel più secreto loco. Chiude la porta5 ed ogni buco tura; Torria celarsi al Sol; sopra il terreno Stende la cappa 5 . e perchè suon non esca 5 Fa forza con le man tanto che rompe, Ed iscopercliia. Oh! con qual gioja allora li vaso Caipovolge al creder suo Zeppo d' antiche gemme ^ e di fin' oro. Ma iu vece n' escon fuori ossa oiezas' arse, E ceneri d' iiom forse celebrato Nelle prisdie imeoioiie. A cotal Yistà Stupido resiai poi fra dubbi ondeggia ^ Coudiiude alfiii d' antiche pire ignaro ^ Che spiritò d'abisào in cener volse Suo vero inestimabile tesoro« Cosi ricchi ne fa. quando seconda Nostre voglie5 Fortuna« ella promise Opulenta e piacer^ ma tosto appare Che son cenere ed ossa i doni suoi. TRATTO DELLA SATIRA Che incomìiifìia: J^o le pleiuo podir qiie me penìones^ eh'è iiia£l risposta a D. Rodrigo Pacherò, marchese eli Cerralvo, ohe fu suo clisocpolo, nella qiiale dice il perchè avea dovuto W sciare di essergli maestro e cuelode a ta nel tuo foglio a chiare note scritto. Che iiioamorato di tue vaue imprese I mìei consigli non curasti: io teco Linguaggio iisai nò lusinghierj nè ardilo ^ Tutto fede e caiidor, come al vivace Tuo wspirto eonvenia: tratti dal seno lìella filosofia con la sicura Guida di sperienza erau miei detti; Ma invece almeno di benigno orecchio 9 Ebb' io scherni da te, gli scherni ebb' io De' pari tuoi nel tuo fallir consorti, l'crò veggciido quanto invau ragiona Üom die in pregio non è 5 fuggii le beffe ^ ÒUU Tcco rliuase il cur. Se U cuci si ludia, jXocchier g eli è in alto mar, tende le vele Ai remi non dà posa, e il porto afferra, Eran^ Signor, le imbi si vermiglie^ Che dii* potei: Vicina è la procella; (Ed or si rende a' miei consigli onore) Quindi pien di rossor mi ricondussi Ai patrii lari, e le mie labra eliiusi«, dò forse alcuno liproyando, dice. Che il medico amoroso si rimane j Mal grado dell' infermo, a lui dappresso. Se tale è il parer tao, soffri che teco Con hello esniiipio io mi difenda, e scolpi aquila dalla rondine richiesta Uni gli uccelli suoi per affar gravi» Dunque passò la rnstica gallina ]I ligustico mare, e l'africana o ^ Sue palme abbandonò; quivi il pavone (Sì raro un tempo nelle niense, ed ora Del vorace Spagnuol contiimo cibo) Spiega la pompa delle occhiute piume» Vengon le merle, e gli alemanni tordi Diillf» grandmali, e codej il biantjo cigno^ Qxo piange ooii dolcissima armonia L'angoscia del morir; Tennero ancora I fai^lani da Coleo: invia F Joiiia I francolini suoi.- tu puro, a cui Caro ò il pepe e l'arancio, o mia pernice5 Più che balsamo e niiiTa, lentamente riena di gravila quivi giugnesiie Gninse Foca ai Roman sì fida, di'eLbe Alimento in mercè dal Censor primo | II colombo del campo, il piccioa Biolle. Il gallo di montagna, la camoscia Civetta, e la lunghissima cicogna. Poscia mia squadra di sonori uccelli j Usignuoli, calandrle: obbedienti Le Canarie mandaro i cantor suoi« Tenne la solitaria toitorella^ Che ognor si duole.- la bizzarra e altera Garza pur venne, il passero, ed ü corvo^ L' astore, ed il falcou scendono in terra. Ma non di caccia sopra i noti ordigni. Insieme co' terzetti, e gcrifalcliii Che senza cappelletti, e senza geti Quella schiera d' auge! rapace e baldii. Tieii' ora 11 guardo ^ iì becco ^ e F iigiie in pace « Scese ancora la grìi, die eoo si destre Guardie dell' oste sna F attica cifra Difender suol da repentini assalti; L' agreste cotoniice, e la marittima 5 Il fantastico passero celeste 5 E V upupe cresime | e fosti aiìimesso Tu pure, o gufo9 Leucliè ai sacri lumi Gtierra tu faccia^ e Foglio suggn-j e franga Le lampade de' templi » Uscir uon volle De' suoi recessi la fenice 5 ov' era Intesa a preparar di scelti aromi Tolii agFIiidi e Sabei rogo vitale. Ma da que' soli io fuor die il dritto esiuie^ Tenner tutti a consiglio i più remoti, E dietro al suoii de' banditori ticcelli Si posar tutti di Pirene in cima» Quivi tra querele ed elei 5 ampio teatro, La nobile ministra del Tonarne Tenne i comlsj suoi. Chiesta licenza^ E lunghe ceremonie al dir premesse. La rondine parlò. Die sid principio5 Couie fan gli scolastici pedanti. Lodi superlative 9 onde acquistarsi Comun beDeYolenza. Io tu ila zelo Pei pennuti Tiventi utile avriso Vi reco innanzi: e ben poss^ io rolando Sopra sì Yarie regioni e tante Notar quel die a voi giova g e quel die rmoce. Gran periglio notaij non già presente, IMa certo in breve, e ciò basii per faìTi Sullecite al rimedio. Or io vi dico^ (Ihe dal mar ellespontico al latino Nasce nei pingui campi una semente Pronta a melter radJcj, a ^^ugger pronta Quanto lia d' umido il suolo ^ e di vitale » Questa lino s^ appdla, e in pocbi mesi Giugne a dar frutto. Noe mostra sì tosto Lo stelo in cima biondeggiante H grano 5 Che da radice è svelto 5 acciò die il Sole Là sul meriggio non lo stringa5 e induri. Cosi in piccioli fasci al Sol si secca ^ Poi sitilìondo pegli estivi ardori NelF acque si ristora ^ e fuor deU' acque Un altra volta a'' mi del Sol vien posto« Quindi a colpi di maglio infranto e pesto Quel Liigio gambo, delle lignee paril. Glie volano per F aria ^ si dispoglia, E mondo resta in Uinglie vene il lino 5 Che degno della rocca il pettin rende. Ivi qual barba 5 o chioma degli antichi Filosofi. d'Alene g o anacoreti Là presso il Nilo, s' allunga compresso Dalle riisliclie dita^ e al fuso avvolio Filo divien: per iiliimo congiunti Pili fili insieme 5 e funicel già fatto 5 Forma retig e lacciuol con nodi e cappi5 Che nelle piante ascosi, e fra le mura 5 Ove noi dimoriam, porranno in grave Rlsdiio di Ganimede il rapitore. Nun fia pili salvo Y innocente nido -Nò si poira volar liberamente Per selve e campi: che ingannevol rete L' uom formerà di questo lin ben tos io Per farne prigionieri. Ora io propongo, E parmi con ragion ^ ch^ anzi che giunga D' umane insidie ad essere strumento 5 E mentre ancor mite ruscello innaffia Suoi grumoli novelli; oi avventiam® Tutti sopra quelF erba a noi sospetta ^ Che strage al nostro popolo minaeciaj E guasto e scempio ne facciamo a gara 5 (i imponi ahnen, magnanima Regina 5 Clic stuolo di rondoni adopri F ungine A por sossopra la fatai semente e IN e pereliè veggia tu da lunge il danno Tarda all' opra esser dei : vani sena' opra Sono i consigli; il mal die non si sncmie o i Ö jNc' suol prmclpìl, si rinforza e cresce e Pensa Y incauto sul die il tempo avanzi g Ma il perder tempo a chi più sa j piii splacc. Oul die fine al parlar; ma coniö avesse 3/a(|uila utìito il Terenzlano Trasso Sorrìd(»ndo spregiò rutile avvisu» Gli altri di mano in man riser seguendo 3/esempio di chi regna, e in brevi istanti I/ aere suonò d' universal cadiinno : 111 v' ehlic chi parlò d' esilio in pena Di si l'rivol consiglio; ma rivolse Ciò piu'e in gioco 5 e impaziente a volo Senz' ordine fnggendo in aria alzossi L'alato ignorantissimo senato. 20 3()G Auoiìiu la roncìmc, e confusa Vcggeiidosi solelta, e conìsposui Yilìanamente; O via^ disse, si ceda Air ignonmza Miiiversalj poi eli'altro Frullo, che obbrobrio, il zelo mio non coglin. Pensi ciascuno a se; cerio io disgiunta Da' boccili avrò sicauvi stanza: il mio Nido sospenderò dell' uoin nei tetti Alle travi piii eccelse, e faccian pure (ili alati senator ciò che lor piace» Tempo verrà, che avviluppati e presi lA»deranno il mio zelo : al tempo, al leiiip> De' buon consigli disprezzati il Cielo Commise la f»lnsiJs.sima vendetta» Caliamo più iiiTOCO il Cielo in mezzo alFoiides Più il mar s' adira ^ e tempestoso è il vento j Qualito più iiiYoeo il Cielo 5 al mio lamento Con tuoni e lampi piii clic pria risponde. Ma ehi gF idoli ancor serba ed asconde 5 Come il Ciel spera a sua salute intento? Serbo i tuoi pegni, o Fille^ e mal mi pento. I^nr aure imploro ai navigar seconde» Osiamo 5 oslam j die tremi ^ o mano ? All' opra. Ardali F imago 5 e queste note 5 e F oro Del vago crin« d^Amor si caro pegno. Cbe il nocdrier roco e pallido 5 cui sopra Sta morte 5 al Cero mar getta il tesoro 5 Per porre in salvo il eombatmto legno. nin Dio! Poi die tu se' proYklo, giusLo E padre universal, Jeli! ooiiic avviene^ Che 3 cinta F innocenza di catene, S' erga la fraude in tribunale augusto ? Chi fa il braccio pugnar, die sì robusto Contro le leggi tue pnr si mantiene, E ì' uuiil zelo 5 che in le pon sua spene « Gemere al piò del vincitore inghisto? Da inique man vittoriose palme Scosse il Sol vede, e con dimesso volto - Starsi Yirtute in quel trionfo indegno» Mentr io così dicea, Ninfa del regni.) Celeste apparve, e sorridendo, O stolto, Disse 5 la terra e centro di vostr' alme. DELLA VITA VINCENZO SPINEL incenzo Spinel nacque in Ronda j ciuh del regno di Granala Fanno iS/j-i? sacerdote e cappellano di una chiesa di delta città» Tentò di mi-gllf)rare la sua corta fortuna nella sua patria 5 o nella corte, ina invano « Uscì egli fuori di Spagna, visse lungamente in altri paesi 5 e ritornato finalmente dopo molti anni al suolo natio morì in Madrid senz'alcun premio, e povero Fanno 16549 nelF età d' anni 90. Ebbe dalla natura assai felice disposizione alla poesia e alla musica, e si distinse nelF una 0 iielF altra | ma la musica, secondo pare, formò la sua principale occupazione, per(Jie scarso e il numero de' suoi poetici componimenti. Fu in fotti suonatore di chitarra eccellente, e perfezionò ielle IstrumeiìLo eoii T aggiuuU della cjiiiiua corda. liG di Ini opere io Terso si risirlngoiio alla traduzione in Terso sciolto della Poetica d'Orazio, eh' è deana di stima, e ad im tooietto in ottavo di varie o ' rime stampate Fanno i5gi in Madrid5 dove tra le altre cose si trova un poemetto di due canti in ottave intitolato : La casa della nieniorìa^ in .onore di alcuni poeti di Spagna, e spezialiiiento di quelli deir Andaluzia. Fu egli inventore delle decime, clic tuttora si cliiamano spinele. In prosa ci lasciò iin' ope-ra intitolata ; La vita dello scudiere Mcirco di Otrcgon j di' è m pregio 5 e fu impressa fV una volta. ^RGEKrO, LISTO, SERÖON URGENIO 13olce amico LlseOj quell'aspro duolo, di' ogni letizia dal tuo petto sgombra, E a Yivere penando ti condanna g Mi nmoYe a consolarli, onde il tuo core Noe sia dal peso de^ suoi mali oppresso. LISEO Ikncliè il conforto, onde i miei dì s'allungliiiio Mon giovi che mf amara solitiidine, La qual con morte al vaneggiar dia line, Gradisco, amici, il buon disio, ne voglio Il refrigerio ricusar, che voi Porgete col dir vostro alle mie pene» SERDON Di me ti fida, cli^ io vengo in tuo ajuto Con pio fraterno ainor^ medico esperio Son io d'altri, e di me5 di me^ cui tema Recali nuove ferile , e Leu m'accorgo y Cli^asjìra ò la piaga ma. Però so cara T'è la nostra amislàj narra i luoJ mali j Ondo f|nalclie rimedio vi si ponga. JASEO Voi die la trista* iitllr sioiia t1 piace De' mail miei, dolflssioii Pasujri, Alleiìtameme m^iscoliaie. In f|ut?lla Parte, eli'è la miglior parte di Spagna, Che il Tago irrighi co' suoi frnscìu umori Dove mite e la state^ e mite il Terno, E fiori, e dolci abbondali frutta, ed ove I/ avaro mietitor raccoglie, e chiude Dorata messe più che in altro suolo, T' è un loco felicissimo heato, Ove il piìi grande di iiitfi i pastori In compagnia de'suoi piii cari alberga-Quivi e d' Amor la sede, e pegli amanti »Come a ciascim le sue - stelle ordinaro;^ Quivi tutto è timor, speme, favore, Ilr'prdse, gelosie. Fra quelle care Leggiadre pastorelle una ve n eia Celida detta 5 che per mio ben nacque y- So nemica tìon fosse Invidia rea. Cel ida ogni ai tra di grazia e liei lade Vinceva, e di valor5 di coriesla; Quindi pili ch'altra onorata5 servita EIF era dai pastor 5 nò mai per V aere Passava incaula tortora 5 o pernice, Che a prenderla ciascun non s' affrettasse I^er porla in mano a Gelida vezzosa. Nò avea nien Ijello il core. Io mi ricordo 5 die un dì tenendo fra le man di neve Vaghi angelletti tenerelli 5 a lei lìecati in dono, da pietà conjmossa A quel stridulo suono, ed ai lamenti, Che hr parean mlH' altri angel dai rami Pf.T quei pegni dolcissimi lor tolti. Li pose in liberta. Questo, e tant'altri PrPLU, die in cor gentil destano ardore. Secreta fiamma nel mio scn nudrlro. Onde ornai tutto avvampo. E nondimeno Fu forza allor geloso di sua fama, E per altre caglon, eli' io qiìel beato Soggiorno aliliandonassl^ ed alle sponde Guidai del lieti le mie pecorellec •o 14 Ora, im dì cL' io mi stav-a spensierato Contemplandone il corso, una gran festa Odo fra quei pastor, perchè giunt^ era Novellamente forestiera Ninfa Di tal behày di tanta grassia e brio. Gli' ogni altra del paese superava « Tosto io mi sento scorrer per le vene Un non so che pria non sentito, e nuovo; Gregge e capanna oblio | sol la memoria Della passata fiamma si ridestai To sospettando5 e requie in sen non trovo. Oh! quando mai non fu presago il core? Ecco Gelida appare, ed a tal vista »To venni men così coni'io morissi. Questi è Liseo ^ questi è Liseo 5 diss' elLi, ' E la man bianca a sollevanni stese. Ne così tosto intirizzita serpe Destasi5 e fuoii dalle fiamme sbalza, Ove insieme con gli aridi sermenti Bifolco la gettò, com' io racceso Dal suo divino ardor rinvengo, e m^ alzo. Era nel eiel dominatrice stella Venere allora» e gioja. amore e pace Dal ciel Yersaiido sovra noi, niilF aloie Gou amorosi viocoli amiodaYa. Con tale d' improvviso in qiielF istante Vincolo d^ amistà, vineol d' amore Strinse Gelida a me, che in molle cera Tolse quel cor di pietra. E chi potrcl)be Dire il contento eh' io provai? Maggiore Farmi sentia di me medesino. Ah lasso! Perchè pur penso alle somnié dolcezze Di principio si buon5 se amaro è il fine? Cresceva intanto sì pura, e sì monda D' ogni hasso pensier Y amistà nostra ^ Che Gelida 5 e Liseo s' udian con lode [Nominar sempre da tutti i pastori. Ci amavan tutti, e tutti aveanci in pregl«i»; Ed ogni compagnevole trastullo Senza di noi parea men hello, e onesto. L' ore ingannar del giorno era iioslr' uso Col suon, col canto; io versi componea Da lei richiesti, a^ quali aggiugnea pregio Ella ben tosto con sì dolci note. Che parean Terhe, i fior, le piante, il rio Pieni di soavissima dolcezza. 5i6 A pasturar qua e là le pecorelle Sempre iinid andavamo.' i scrmoii nostri l'olgeansi dolcemeiiie iiitonio a cose Dil lei gradite j e noi staudii accogllea L' ombra di rfiieste piante, e il verde liiargo Dì questa fonte, ove grato riposo PrendevaiiK) 3 e diletto rammentando Ciò die finor narrai. Qui mi rimemlira (Fosse quel tempo ancor!) die sorla gara In fra i pastori «piai più celelìrasse La pastorella sua,- vinsi la prova lìì Gelida cantando, e in premio 1/ebbi Ghirlanda al crin di mille fior contesta. Suvvienml .ancor, che a lei la porsi, e ch'ella €kmie donata le avessi un'agnella, Gnidilla, e lietamente la si prese. Tempo felice! Un giorno, un'ora, un punto Disgiunti il Sol non ci vedea: sì crehlie C«>1 mutuo conversar nelle nostr' alme Qsiella pura amlstade» I lidi cani Custodi di sua greggia non si tosto Me da lun^i scur4(can . che ad incontrarmi o o ' Yenian luiivendo le lor code^ e quando Yedéan le agnelle mie Gelida Ijclla Correaii losio a lamLirle è piedi, e mani. Ma per fornir questa dolente Istoria, Sappiate, o miei pastor, che iiientre a lale Scagno era nostra amistade, la un momento, oimè! tutto perdei^ K è dico io pili, perei le più dir non deggio. SEJIDON Se nien vivo nel cor l'osse il desio iJi porgere conforto alle tue pene^ Carissimo Liseo, potrei las<'iarn Di UKileslarti chiedendo la storia Distesamente. Ma poi eli'.io ti veggio In misera])il slato, nò sofìVire Puote il mio cor, die tu rimanga oppresso, D elie ina vita sia continua morto, Dell! non celarmi nulla, o caro, e segui. J.TSKO Più die Immii cosi, m\iscolia. To vissi liieio alcun tempo in sì fdu-e stan», llen ìunr»i dal temer, dio in mido oLIio Tolto mai f^)sse un rcìsì dolco amore; r invidf) deslin la mia lidanza jìj.i, oiS D'improvviso allerrò con V opra iiidf?gna Di tal, die amico si fingeva^ eil era Blio nemico mortai - Còstiii d'amore Per Gelida infiammato, e mal soffrendo La mia felicità, secretamenie Già spargendo sospetti, e false nnove, Che feriano di Gelida la fama. E nnlla sapend'io, nò rispondendo, Percliè di fmto il maligno tessea o L^ empia sua tela 5 il mal grido si ord ii je 5 Che quand' ivamo soli al lx)scr>, al fonie Eravam mostri a dito: ella fidando In sua virtude, e di se slessa paga Di ciò pria non curò5 ma poi: Che ò quesio, Dieea 5 die non vegg* io le pastorelle Starmi5 come solcan^ d'intorno, e mille Danni segni d'amor? Perchè sen vanno A ricrearsi da me lungi? Or, mentre Di giorno in giorno le si fa piii grave Una tal novità, pur come soglio3 Di buon mattino un dì (sorta non fosse Si cruda aurora in ciel!) men volo a lei. Ma quanto, oh Dio! mi giunse inaspettato Ciò ehe mi avveiioe ! Ell' era conibattuta DalF ira j e dal dolor : pieni di lagrime Avea gli occlii, e terribili ^ De niono Caddi 5 pereliè quo' rai sempre dan ^ita « Bla poi die ü forte singhiozzar represse 5 A me rivolta con torbato aspetto. Disse»' Yanne da me lungi, o pastore| Ne il saero Apollo5 che la valle irradia. Mai più ti miri accompagnato 5 o sol© Comparirmi dinanzi : e detto questo. Senza risposta attendere, mi lascia Sdegnosamente5 e via sen fugge al bosco. Come chi va senza la scorta a lato, E solo in compagnia de' pensier suoi Di notte <;anmiluando, se repente Balena, e tuona, ationito e confuso Rimansi in mezzo della via silvestre» Cosi a tanto rigoi', dove ben lungi Fui dair immaginar tanto rigore, Attonito e confuso mi rimasi. Nò tutto ancor diss' io : ci/ io non sol privo Bli trovo del mio l>enc, e ni' ardo, ed amt> Con cieca intensa passion, ma gode Di Gelida il favor piein) cl^ orgoglio Colui die Uli iradl. Serdoii, hcn vedi g Ben vedi iiig die fiera sp;ula è quesia Al mio misero eor, Ciel, come sulTri, Che mi compagno 3 mi amico mi persegua 5 TI pera il giusto, e il traditor trionfi? SEIIDON Sento, amico Liseo, del tuo dolore Quella compascoli 5 die sentir deve Un vero amico tuo, qual io mi sono. E negli afiauni tuoi prendo tal parte. Che il Cielo io chiamo io testimonio, e giuro Di porre ogni opra, ond' alJjia (ine il daolo. Ilivediamci domani alla foresta Dopo il meriggio: che discende ornai Dagli altissimi monti maggior Tonibraj E il Sole indora il ciel su T orizzonte. La mia Ninfa m' attende disiosa, La mia Ninfa hellissima, che adoro, Ch' è dolce speme, e vita di (juest' alma j E s'io piii tardo, aivrà. tema ed affiinno, Non sapendo il perchè di mia tardanza, Andlam, ch'io spero a'mali tuoi por fine- ^ DELLA VITA "uasparre Gii Pulo iiacque nella cluà dì Ta-lenza, ma non si sa F anno della sua nascila. Si applicò allo studio della giiu'ispnidenza, eli' e^Ii Esercitò in {jaella ciitàj e coltivò le umane lettere 5 corno Io dimostra con somma .sua gloria il libro da lui composto5 clic Iia per titolo: La Diana in- iiaìiiomta. Quest'opera h una continuazione della Diana di Giorgio ìgli di Ihioli grado la prosa, e F onoro di essere >1 stato il primo in tali opero » » Venendo poi alla Diana innamoralji di (iil Polo, dl(!e; Quella .si »custodisca, come fosso opera del rnedesinio Apol-»lo)i. Questo lavoro misto di prosa e di verso fu impresso molto volte dentro e fuori del regncj. jiuE uaodo Ycslita di iiiiDo colori La PriniaYera appar, via tolto il gelo^ Vago il campo divieu 5 sinxmo ò 11 cielo Pingui le gregge son, ricchi i pasiori; Su gli alberi fioriti F iisigiiiiolo Fa udir suo duolo 3 V'ha fonti helle. ili intorno a n ?fitide linfe Canto di ISinfOe Ma s'Elvinla dispar, ])on tosto eterno Senza i suoi lumi ayreni rmido Temo. o Quando F aquilonar gelido fiato Ogni Ijollezza al suolo5 ai rami loglio, Più al canto F au^cllin voce non scioiilic « ' KJ Orrido muto solitario c 11 prato; \olano 3 giorni, e dura lung.imeuto La noMe alyenlo ; li' aere nebliioso ^ E U'.iicbrosü, Mesta ed oscura Ileucle Natura. Sia venga Elviuia al oainpo, e la prinncra Ben tosto avreni rideiue Primavera. L" Ira del del lalor suo lidmiii torto Vii ira tonando^ il pastorello al earo (ireggc3 vicino, e seiiz'alcun riparo Attonito rimali, tremante e smorto« K se gii! p'omlia grandine soiiaiite, Che sfronda piante 5 Iriitta strugge, Il pastor fugge 5 Sludlandu il passo Dolente e basso» Ma venga Elvinia liella 5 ed ogni affanno, Tem.'i 5 tristezza, orror lungi 11' andranno q cjuando all' ombra delle verdi fronde l'o di canto e di suon erato concento : Oliando con dolce armonioso accento 11 merlo, e la calandra mi risponde. f— p- E il mio sen mulce im zefiro soave j Quando agni grave Dal pollo noja Sgombro, e la gioja 1 Mi brilla in viso,. Se iV improvviso Elvinia irata appar, iremo al suo orgoglio ^ Piii irlie al Iragor del fulmino non soglio. Menine persegue le veloci lielve La fareiraia Dea d.' Amor nemica Con la dileila sua seliiera pudica, Campagne e rive afiallcandoj e selve 4. Le Napee, le Amadriadi vezzose La via di roso Spargono, ed ella Superila e l)ella « Che lodar s'tale, Trionfa e gode. Ma dove cacciar .suole Elvinia mia Giunga, e minor pan-.-i sua leggiadria» E se slando.si Elvinia in pura fonie Sue memi ira a leri^er dilicate intesa. s? Delia vedesse lei, ben so che accesa E* /T 020 D'invidia 9 e Iiassa porteria la fronte » Perchè nclF onda trasparente e chiara Stupenda e rara^ Cui par non v' ebbe, Forma vedrebbe In marmo fino Alabastrino : E se Ateon mirasse Elvinia allora j In cervo no5 ma volto in sasso fora. Canzone io vo' tentar, se udir facendo5 E ripetendo Tuo dolce canto Si spetra alfjuanto Quel duro core, E sento amore. Me foriLuiato ! se il Ciel mi concede ^ Che ai mio dolor dia fin morte, o mercede. AI1S1Ì.E0 -L>?iirl mal sempre il tempo, die di mille Color dipinge la pria nuda e mesta Faccia del mondo; fei'ace diveii^ja XiU steril suoloj e riproduca in copia Inondi, erbe5 fiori e saporite frutta, liceo d' avilri e di selve aldtatrice Jllsponda a mille pastorali avene; Iiliuisc'ano gli amori, a' ([uai nemico il sì nojoso verno 5 e perchè in ipiesii Bei di gioja perfetta aL»])i-i il cor mio. Tu, die oyiìi aspra J'atica inganni e iìì.jÌoì, Dell! non lasciar gianmiaij Jjenigiiu Amore^ Doli! nun lasciar senza di te il mio core. Non crediate 3 o pastori, esser felici Cantandu al mormoiìo di limpid'acqua ^ O per r erbette e i liori il più movendo, Se il vostro sen non aiiiiiiolllsce Ainorco A clii, pastori, a chi fuor cJie al]' anuUti Tolgcr mai puossi doiceinciiltj il canto? Che giova il crine inghirlandar di fiori ^ Se non v'adoecliia gentil pastorella? Ciio vai sedere al margine d'ini rio, Se il caro Leo non vi si posa al fianco? E Primavera die mai valj se mentre i^atura e tutta Amor, voi non sentite Gli strali soavrssinii d^ Amore ? lo cauto alia mia vaga pastorella 1 miei teneri aFielti. io gli odorosi riuri le p'^rgo. io presso a lei m'assido Xìì riva al iinme su Ja molle erbetta 5 I l eosi lìf^aiisslmo e ì' aprile. i)eh! poiciu». reclii tai dolcezze, Amore5 non lasciar senza di le il mio core» La saggia andcliiia 5 le meraviglio Vendendo c.igiivjr del ino poter sovrano. Ti cSilamò Nume ^ e l' orse altari c templi, le un core in un punto arde ed aggliiaccia. Per le diviene il timido "atdiardo. o Z} Guerrier iamo.si, iiìvperadori e reiti '1 c Tinti ai poter di lui dolce atto, e d^im guardo5 E i Ninni deir Olimpo trasformati Quando in oro5 in augelli5 e quando in belve. Sono i trofei di tua potenza5 Amore, Coriquistator mai sempre d'ogni core. In ozio vile g e a vii guadagno inteso Cfin r alma addormentata io mi vivea Senza saper che fosse il dolce Amore, E senza fama di destrezza ed arte, Nè di modi gentili. Or per le molte Vigorie iJlnsii ri g di' oLI/ io fra i pastori Con vigoroso membra lotteggiando, O girandolili fionda «il capo intorno« E nel semio eodiendo, ovver soave- O D ' mente cantando, di corone abbondo» E ciò sol tua merce5 lieni^no Amore, ' e » Cbe Ili'accompagni 5 e mi sul »limi il core» Qual v'lia mai liliertà, qnal v'lia diletto, Clic valga la mia dolce Servitute. E le amorose mie dolci catene? Ilo alcuno amaro, e ver; ma quante mai Sono le s(*avissime dolcezze, Cbe dopo un lieve mal ne porge Amore! DD o Amor non già, ma sul Fortunaj e il Tempo Incolpino gli amauli sventurati, Kò piagnendo si lagnino ci'Amore j Che dolcemente ci ammollisce il coro« Quanto piacer mai reca uo viso Lello! E qual dolce splendor mandano all' alma Due luci amate, die non cedon punto A due stelle del ciel ! Da qrrali afìanni 11 core di colui non si disgombra, CliC contemplando sta due man di neve. Due mani perfettissime, divine, Ove sua gloria, ove sua vita ci pose! Quanto diletto è amar con vivo aniore. Ed esser vivamente riamato! E qual eccesso di contento il fare Cosa, che piaccia alF adorato bene ! Questa dolcezza ò tal, che sebben d'ira Talor t'infiammi, o superbetto Amore5 Godo tenerti ognor fitto nel core. olizie inioniù alla poesia casiìgUa?m e . « P^^g" Compendio delia vita di Boscj^no . e . = » . 21 di Gar a IL ASSO « - « » 0 «ji di FeRDIJS^AJS'JDO d'ììeflrera » l^'] di fra Luigi di Leon « » » ^99 dì D, Diego Hurtado di ji/endoza di iV^' ili jlJlRA^'DA ...» lì2J di LuPEncio LEoxAnDO d^Jn- gessola . » . b . . » 253 di lìaiitoloi^imeo Leonardo i? Argensola eoo 0 lìG i di i^TNCENZO SpÌNEZ - » » OOQ di Gu asf ar re GiL polo » ìi 5'.U SONETTI V idi acceso il desio move con for.za » -Da (piai poì'ie del Cielo ^ e di qual stella Fanimi os^ni tTi più misero e dolenie » » O miei duri peusier^ datemi pace . . O s^Yi/i forza d'Amor , che d^Ož^ni vero . Se in mezzo agli aspri affanni la memoria De lei gigli al candor mista la rosa « . Oi/£i£/ madre amorosissima^ che intende » ai 5.1 54 •w »» 56 78 TO o o dßsiin pronto a tìarnn ognor tonfteulo b Pag. Qmziß al pietoso Clel ^ forza ripiglio . . « Bi JS'iiOùi Leandro^ nè perielio teme .... 82 Non Franca destra j che al mio sen con\'ersu h 83 fhéelie , che a voi la fronte adorna fanno . » ì Rotto fra scogli il mär ^ poste dai vento . . >j i6i Jleti fo de^ midi pensoso amichi danni » . ì> i(ki O vivi lumi ^ a' fjuai suo spirto infonde . . iG.i AlrnUj che sie ili nea^li eterei scanni. . „ . Uhi Pago viver vogl^ io di mia fortuna ... « » O mura infrante^ e ornai si lieve stagno . . a 'jJyH Colui j che Inscia il patrio tetto, ed erra » jlmor che sla^ per fama appena intende 'AqO San io ^ chi '1 crederia 'ì son io ijnel forte . » Se a caso il vel dagli occhi alza ^ e s'avvede » /j fi Sen porta autunno la ptmipinea fronde » Dal campo greco il suon dolente e roco . . » Esce dfdP onde , e appar su F orizzonte . . ^7// sol gli effeiii in iptesta. bassa terra . . j) a{(> Quanto più invoco il Cielo in mezzo alt onde n Gran Dio! poiché tu se" provido , giu^ìo . . » 5o5i CANZONI Chiari e freschi ruscelli u »» 07 46 Se dalie 3Juse in dono ...» ... e ì) Hi L'aspro rigor del 77/io lungo martire . . . n Poscia che il Ile del mondo...... » l/>2 Solinao al Taso in riva....... Dolce ^ tranf/uilla vita . . ...... » aof) Que^ due cristalliy ove traluce il Sole . > . » 254 fjìuindo vestita di mille colori » e . » , » ELEGIE Jftfnchà il mio cor siti it nsjtro diitjl compunto Pag. 111 f ^occ dohnW. , ^umiLi ^ sitigulli. ..... » I y> y 1 'if) 1 EGLOGHE Jl dolca lamentar di due paxéori . . • - 1« jjo Stiranno ora materia del mio canto . . . » Dilli e amico Liseo , tjnal aspro duolo ì> 5i r Duri mai sempre il tempo, che di mille . il 1» j'j." à EPISTOLE Signor j la %rjstìn lettera mi porse .... • » lo li voglio ohhcdir ^ Fernando mio , . . » i POESIE /'ARIE (■alitiamo inni al Signor ^ che sovra il piano a j J'Ut il mondo non ^'edrit helià sì-m'le . . . •1 O se in ^ che mv fu'Z^i^ e mai non cessi ?i •i» I jMentre s'imudti iilf' ardilo Fristen .... >» Già di tent ro ajji-tto ^ e di pietade . . . i» ! O speme , o dolce speme! il ^rave duolo •j/f 1 f ' M viHij Sui nei tuo Jhgiio il du'iire note scrino . .