Etnografía umanistica ne L'epistola sulla religione ed i sacrifici degli antichi prussiani di Jan Sandecki Malecki (Meletius) Lorenzo Pompeo The author publishes a selection of excerpts from the work of Ionannes Meletius from the third decade of the sixteenth century. These excerpts address pagan customs concerning the harvest in the region comprising present-day Poland, Latvia, Lithuania, Belarus and the Ukraine. They are followed by a description of a goat sacrifice that may be related to the spring fertility cult. Customs carried out on the day of St. George (23 April), when gifts were offered to Pergrubius, the god of plants and seeds, are also depicted. The funeral rituals are described in greatest detail, rituals that are considered to have been experienced first-hand by Meletius. They are recorded in the dialect spoken in the region between Poland and the Ukraine, Meletius' native land. These rituals prove that the Slavs believed in existence after death. There is a surprising accordance between the accounts recorded by Meletius and the reports of later ethnographic sources analyzing the same region. L'epistola di Jan Sandecki Malecki (latinizzato Ionannes Meletius), rappresenta senza dubbio una delle fonti piü antiche e piü interessanti sul folklore, sulle credenze e sui riti pagani in tutta quella area geografica che comprende quei territori orientali della corona polacca, attualmente Lituania, Lettonia, Bielorussia e Ucraina. Anche se non tutti i dati riportati in questa opera sono degni di fede, in ogni caso essa appare un'importante testimonianza di un interesse di carattere "protoetnografico" nei confronti delle etnie comprese nella Rzeczpospolita polacco-lituana. Infatti una buona parte delle notizie riportate dall'autore risulta il frutto di una sua conoscenza personale. Jan Malecki, noto nella versione latinizzata di Meletius, nacque a Sacz nel primo decennio del XVI secolo, in una zona di confine attualmente abitata dai Lemki, una delle comunita rutene piu occidentali. La sua era una modesta famiglia borghese. Non sappiamo se studio all'Universitá di Cracovia; di sicuro sappiamo che era in contatto con la vita culturale dell'allora capitale del Regno polacco. Fu protagonista del processo di affermazione della lingua polacca insieme alle figure di Biernat da Lublino, autore del primo libro stampato in polacco, Raj duszny, che usci nel 1513, e ad altri autori dei primi libri stampati in polacco (per lo piü apocrifi e letteratura popolare) come Jan da Koszyczek 0 Baltazar Opec. Lo stesso Malecki infatti, a partire dagli anni venti, fu membro dell'arte dei tipografi, lavorando prima nella tipografía di Ungler (dove era stato pubblicato il citato primo libro in polacco). Il suo nome comparve nel colofone dell'edizione di una versione di Baltazar Opec dello pseudo-Bonaventura, Zywot Pana Jezu Krysta del 1522, del quale Malecki fu redattore. Nel 1525 apri una propria tipografía ed un punto vendita dei suoi libri sulla Ulica Floriañska, a Cracovia, ma l'impresa non ebbe fortuna e dovette presto chiudere 1 battenti. Nel 1530 apri una tipografía presso la residenza estiva dell'arcivescovo Andrzej Krzycki a Puitusk, ma qualche anno dopo l'arcivescovo verra eletto primate di Polonia e Meletius, passato alla confessione luterana, nel 1537 divenne pastore luterano a Elk, in Prussia. Ma alcune sue omelie non troppo conformi al credo luterano gli attirarono le ire del principe prussiano, il quale costrinse Malecki ad abbandonare la Prussia. Fu in questo periodo che scrisse alcune importanti opere sulle religioni e sulle credenze pagane, come la Epistola de sacrificiis et idolatria vetrum Borussorum, Livonum aliarumque vicinarum gentium, scritta in forma di epistola indirizzata all'umanista e rettore dell'universitá di Konigsberg Jerzy Sabino (Giorgius Sabinus) e pubblicata per la prima volta nell'opera di Horner Livoniae historia nel 1551. Questa epistola fu ristampata piü volte nel corso del XVI e XVII secolo. Jan £asicki la incluse nella sua De russorum, moscovitarum et Tartarorum religione, sacrificiis, nuptiarum, funerum ritu, del 1582; la cito piü volte nella stessa opera e nella successiva De diis Samagitarum pubblicata del 1615, pubblicata in quest'occasione insieme al trattato di un tale Michalon Lituano (Michalon Litwin) De moribus Tartarorum, Lituanorum et Moschorum (il manoscritto di quest'ultima opera viene fatto risalire al 1550). L'epistola di Meletius-Malecki fu ristampata nell'epitome Respublica Moscovia et urbes del 1630. L'opera in questione costituisce quindi una delle piü antiche e piü importanti fonti per quanto riguarda l'ethnos dei popoli che facevano parte della Rzeczpospolita. Non solo le numerose ristampe, ma anche le citazioni di quasi tutte le opere successive che hanno toccato lo stesso argomento, testimoniano l'importanza dell'epistola. Nel 1584 Sebastian Fabian Klonowic, figura di una certa importanza nel parnaso del rinascimento polacco, giá notaio a Lublino, pubblica un'opera singolare: un poema in distici latini sull'Ucraina occidentale che si intitola Roxolania. La relazione di Klonowic sui riti funebri ucraini certamente tiene conto e conferma le notizie riportate da Meletius. Solo due anni prima del poema del notaio di Lublino, era uscita l'opera di Jan £asicki De russorum, moscovitarum et Tartarorum religione, sacrificiis, nuptiarum, funerum ritu, mentre l'opera del Guagnino Sarmatiae europeae descriptio, era stata pubblicata pochi anni prima, nel 1578 a Cracovia. Dalle date di pubblicazione delle opere in questione, che coprono un periodo di sei anni che va dal 1578 al 1584, possiamo rilevare la manifestazione di un interesse di carattere etnografico relativo ai territori e alle popolazioni della Rzeczpospolita. In questo ambito l'epistola di Meletius costitui una delle fonti piü frequentemente citate. Nella Kronikapolska, Litewska, Zmódzka i wszystkiej Rusi di Maciej Stryjkowski, scritta in polacco e pubblicata a Cracovia nel 1582, il quarto capitolo, che si intitola O starodawnych ceremoniach, albo raczej szaleñstwach Ruskich, Polskich, Zmodzkich, litewskich, Liflandskich i Pruskich obywatelów baiwochwalców i róznosc ich bogów fatszywych, e dedicato proprio alle credenze e ai riti dei popoli della Rzeczpospolita; tra le fonti di questo capitolo sicuramente possiamo annoverare anche la menzionata epistola. Infatti alla pagina 149 del reprint del 1846 della Kronika... di Stryjkowski, in relazione ai riti funebri, troviamo le stesse formule che il Meletius riportava nella sua epistola. A sua volta l'opera in questione puo essere ricollegata ad una precedente trattato, che forni agli umanisti occidentali le prime notizie su una vasta area geografica compresa tra la Rzeczpospolita e la Moscovia: il Trattato delle due Sarmatie di Mattia da Miechów, stampato a Cracovia nel 1517, venne tradotto nel 1561 in italiano con il titolo: Historia delle due sarmatie tradotta per il signor Annibale Maggi bresciano; questa edizione e stata ristampata l'anno successivo e nel 1584. Venne ristampato nell'opera di Ramusio Delle navigazioni et viaggi nel 1606 e, successivamente, una stampa a parte dell'opera risale al 1634. Tutte le edizioni del trattato apparvero a Venezia. Nel capitolo Della Lituania e Samogizia vi sono interessanti notizie sui culti Lituani dei serpenti e del fuoco, sui riti funebri e su un santuario pagano posto su una collina nei pressi del fiume Neviasza. L'autore del trattato, Mattia da Miechów soggiorno più volte in Italia e fu a Roma in occasione dell'Anno santo del 1500 e per questo paragona spesso i fiumi e le città descritte nel suo trattato a quelle italiani. L'interesse verso i popoli dell'Europa orientale era nata proprio nell'ambiente umanistico italiano, cosi come testimonia anche lo spunto dell'epistola in questione, ovvero l'elegia di Jerzy Sabinus, che non ci è pervenuta, indirizzata a Pietro Bembo, che avrebbe trattato di argomenti analoghi a quelli dell'opera in questione (sappiamo che il Sabinus, durante il suo soggiorno italiano, entro in contatto con il Bembo). Alla stessa epoca dell'epistola in questione, ovvero alla metà del XVI secolo, risalgono le epistole di Stanis3aw Orzechowski (Stanislav Orichovs'kyj all'ucraina, per tutti meglio noto come Orichovius Ruthenus) agli umanisti italiani Paolo Ramusio (1549), e Francesco Comendoni ( 1564), nelle quali l'autore forniva notizie di prima mano sulla sua "gens" ("gente rutheni, natione poloni" era solito scrivere a proposito della sua origine). Non tutte le notizie che riporta Meletius nella sua epistola risultano esatte. Nella lista delle divinità dell'Olimpo pagano degli antichi prussiani sono citati alcuni nomi che non hanno trovato riscontro. Il Bruckner, nel suo studio Mitologia slava (trad. it. pubblicato a Bologna nel 1923 dell'orig. Mitologia siowianska, Kraków 1918) ha dimostrato che non fu il Meletius ma la sua fonte la causa dell'errore, ovvero l'Agenda prussiana di Speratus e Polenz, del 1530, in cui è contenuto un "canone" degli dei prussiani pieno di sviste ed errori dovuti alla scarsa conoscenza da parte degli autori della lingua locale. Le notizie riportate da Meletius sui riti (sacrifici, riti nuziali e riti funebri) sono considerate invece del tutto attendibili. Molte sono le corrispondenze tra alcuni aspetti del folclore slavo-orientale ed i riti descritti nell'epistola. Alcuni riti legati al ciclo delle stagioni e del raccolto sono descritti da Meletius quasi allo stesso modo di quanto riportano le fonti etnografiche ottocentesche, come ad esempio i riti legati alla mietitura, a proposito del quale egli scrive: Similiter quando jam segetes sunt maturae, rustici in agris ad sacrificium congregantur, quod lingua Ruthenica Zazinek vocatur, id est initium messis. Hoc sacro peracto, unus ex multitudinis electus, messem auspicatur, manipulo demesso, quem domum adfert. Postridie omnes primo illius domestici, deinde caeteri quicumque volunt, messem faciunt. Facta autem messe, solenne sacrificium gratiarum actione conficiunt, quod Ruthenica lingua Ozinek, id est, consumatio messis dicitur. "Similmente quando le messi sono mature, i contadini si riuniscono nei campi per un sacrificio, chiamato in lingua ruthenica Zazinek; cioè l'inizio delle messi. Completato questo rito sacro, uno scelto tra la folla, allontanatosi dal gruppo, comincia la messe, che poi porta a casa. Il giorno dopo tutti i familiari di quello, e poi tutti quelli che vogliono, raccolgono le messi. Fatto il raccolto, fanno un altro sacrificio per gratitudine, che in lingua "ruthena" chiamano Ozynek, cioé raccolta delle messi." Vladimir Propp, nel suo studio sulle Feste agrarie russe (trad. it. pubblicata nel 1978 a Bari dell'or. Russkie agrarnje prazdniki, Leningrad 1963) nel cap V, dedicato al culto delle piante, riporta a p. 125 notizie sullo stesso rito riportato da Meletius. "L'inizio della mietitura si chiamava zazinek o zazinki ed era accompagnato da alcuni riti festivi. Il primo covone non veniva portato nel pagliaio, ma lo si portava solennemente in casa. Esso non era molto grande e veniva messo all'angolo di ingresso oppure sotto le immagini sacre e veniva decorato con ghirlande fatte di filoni o di spighe. (..) Non soltanto la parte iniziale, ma anche la parte finale della mietitura era accompagnata da azioni rituali. Un piccolo fascio di spighe non veniva affatto mietuto. Questo fascio non mietuto viene chiamato ovunque "barba". (..) L'abitudine di intreccio della "barba" a volte si accompagnava ad un'altra abitudine e precisamente al solenne trasporto dell'ultimo covone in casa. A differenza del primo covone che si chiama zazinocnyj, l'ultimo si chiama dozinocnyj. I riti concernenti questi due covoni sostanzialmente coincidono. L'ultimo covone si chiama anche imeninnik, esso veniva decorato e con nastri, fiori e ghirlande e cantando veniva portato nella casa del padrone" Altrettanto interessanti sono le relazioni tra il sacrificio del capro riportato dal Meletius ed il significato della figura del capro nel folclore slavo-orientale. Nell'epistola a proposito leggiamo: His Daemonibus invocatis, quotquot adsunt in horreo, omnes simul extollunt caprum, sublimemque tenent, donec canatur hymnus, quo finito, rursus demittunt ac sistunt caprum in terram. Tum sacrificulus admonet populum, ut solenne hoc sacrificium a maioribus pie institutum, summa cum veneratione faciant, eiusque memoriam religiose ad posteros confervent. Hac concinuncula ad populum habita, ipse mactat victimam sanguinemque patina exceptum, dispergit. "Invocati questi demoni, tutti quelli che sono giunti nel granaio tutti insieme sollevano il capro e lo tengono in alto fino a che viene cantato un inno, finito il quale di nuovo lo abbassano e lo lasciano. Allora il sacerdote dei sacrifici ammonisce il popolo affinché questo solenne sacrificio, istituito piamente dagli antenati, facciano con somma venerazione, affinché la memoria di quello conservino religiosamente per i posteri. Fatto questo ammonimento presso il popolo, lo stesso sacerdote uccide la vittima e sparge il sangue che era raccolto in un piatto." Sempre Propp, nel citato studio sulle feste agrarie russe, nel capitolo VII sulle feste e sui divertimenti, a proposito del travestimento natalizio e del corteo, scrive a p. 197: "La gente si mascherava da animali e a volte trascinava dietro di sé degli animali. Tra questi animali quello che richiama la nostra attenzione è la capra. (..) La capra è una delle maschere più arcaiche. La capra come maschera si trova più spesso in Ucraina e Bielorussia che nella Grande Russia. (..) Il corteo con la capra a volte accompagnava la processione dei Koljadanti. (..) Comincia la rappresentazione. Mentre gli altri cantano, la capra si muove. (..) La canzone dice che vogliono battere la capra. Alle parole Oj udaril kozynku uno della folla colpisce la capra tra le corna e rimane in terra fino a quando i cantanti non sono arrivati alle parole della canzone Zdorova ustala (vedi a proposito anche di Karskij, Belorusy, ocerki slovesnosti belorusskogoplemeni, Mosca 1916)." Questo corteo, che sembra essere proprio una parodia del sacrificio narrato nell'epistola del Meletius, era accompagnato dal seguente canto: "Gde koza chodit/ Tam žyto rodit,/gde koza chvostom,/ tam žyto kustom/ tam gde koza nogoju/ tam žyto kopoju/gde koza rogom/ tam žyto stogom}" Altre fonti di carattere etnografico, come anche il testo di un intermezzo del capro di Chr. Jaščuržinskij, Roždestvenskaja intermedia (koza); pubblicato su "Kievskaja starina" nell'ottobre del 1898, cosi come il testo di una koljadka ucraina raccolta da Kostomarov nella provincia di Èernihiv che fa: "De koza chodyt', tam žyto rodyt'./ De ne buvaje, tam vyljahaje./ De koza tup tup,/ Tam žyto sim kup;/ De koza rogom, tam žyto stogom", mentre una ulteriore variante della stessa koljadka è stata raccolta da Stec'kyj in Volinia. L'abbondanza delle fonti a proposito di questa koljadka testimonia la diffusione di questo tema in Ucraina ed il valore che aveva la capra in relazione alla fecondità della terra, che doveva essere alle origini dell'intermezzo in questione. L'interessante articolo di Radoslav Katičic Hoditi - roditi. Spuren der Texte eines urslawischen Fruchtbarkeitsritus pubblicato sulla rivista "Wienerslawistisches Jahrbuch"nel n. 33 del 1987, riporta numerose varianti della citata Koljadka slavo-orientale relative all'area slavo-meridionale. In queste varianti al posto della capra, della koza, appare talvolta la figura di Jarylo/Jarila, ovvero Jurij/Egorij, ovvero S. Giorgio, mentre al posto della segala, žyto, più spesso in area meridionale appare il campo, polje, mentre il nesso hoditi-roditi è l'elemento che si conserva invariato. Queste varianti ci offrono quindi preziose indicazioni, innanzitutto relative ad un antico nesso tra il motivo della Koljadka e la festa di S. Giorgio e la capra, che poteva essere in ipotesi essa stessa in origine sacrificata per propiziare il raccolto, oppure poteva "rappresentare" quelle greggi portate al pascolo per la prima volta, secondo una antica tradizione ancora viva nelle campagne di quell'area geografica tra Russia, Polonia e Ucraina. Le notizie che ci fornisce il Meletius sui sacrifici pagani nel giorno di S. Giorgio, ovvero il 23 aprile, ci offrono preziose informazioni che possiamo mettere in relazione con i canti ed i riti che tra gli slavi orientali erano eseguiti in occasione di questa festa e in onore di questo santo. Meletius scrive: Die Georgii sacrificium facere solent Pergrubio, qui florum plantarum, omniumque germinum Deus creditur. Huic Pergrubio sacrificant hoc modo. Sacrificulus, quem Vurchayten appellant, tenet dextra obbam cerevisiae pienam, invocatoque daemonii nomine, decantat illius laude: Tu (inquit) abigis hyemem, tu reducis amoenitatem veris: per te et horti virent per te memora et silvae frondent. Hac cantilena finita, dentibus apprehendens obbam, ebibit cerevisiam nulla adhibita manu: 1 Šein, Materialy dlja izučenija byta i jazyka russkogo naselenija severo-zapadnogo kraja, t. I, parte 1, p. 41, Sankt Petersburg 1887. Una variante dello stesso testo è riportato nel volume di Mychajlo Voznjak Počatok ukrajins'koji komediji, Leopoli 1919, alle pp. 8-9. Questa volta viene citata la località in cui è stato trascritto il testo: il villaggio di Kološivka nella provincia di Černihiv e la relativa fonte: Trudy Etnografičesko- statističeskoj Ekspedicij v zapadno-russkij Kraj, opera in cinque volumi a cura di P. Chubinskij (1872-1878); nel terzo tomo, pubblicato a S. Pietroburgo nel 1872, alle pp. 265-266, all'interno dell'articolo: Narodnyj dnevnik, izdannyjpod nabljudeniem djejstv. N. I. Kostomarova. Nella nota al testo nell'edizione a cura di Voznjak vengono riportati i dati bibliografici di una variante della Volinia, pubblicato nel I tomo della medesima raccolta di materiali da cui era tratta la variante riportata dall'autore, questa volta a cura di Stec'kyj, alle pp. 268-269. ipsamque obbam ita mordicus epotam retro supra caput jacit. quae cum ab terra sublata, iterumque impleta est, omnes quotquot adsunt ex ea bibunt ordine, atque in laudem Pergrubrij hymnum canunt. Postea epulantur tota die, et choreas ducunt. "Il giorno di S. Giorgio di solito fanno un sacrificio a Pergrubrio che è ritenuto il dio dei fiori delle piante e di tutti i semi. A questo Pergrubrio fanno sacrifici in questo modo. Il celebrante, che è chiamato Vurchayten, tiene l'obba piena di birra con la destra, ed invocato il nome del demonio, canta la lode di quello e dice: Tu che allontani l'inverno e che riporti l'amenità della primavera, per te sia i giardini fioriscono ed i boschi e le selve verdeggiano. Finita questa cantilena, afferrando l'obba con i denti, si beve la birra senza usare le mani. E cosi mordendo l'obba bevuta la mette dietro la testa, che, essendo stata sollevata da terra, viene di nuovo riempita e tutti quanti si avvicinano e bevono in ordine da quella ed in lode di Pergrubrio cantano l'inno. Dopo banchettano tutto il giorno e conducono delle danze." Le notizie riferite da Meletius appaiono le più attendibili e le più chiare, soprattutto se messe in relazione a quelle riferite da altre fonti tra la seconda metà del XVI e i primi del XVII secolo. Infatti l'aspetto paganeggiante dei riti della festa di S. Giorgio non sfuggi nemmeno a Ivan Vyšenskyj. Il celebre polemista ucraino della fine del XVI secolo condanno recisamente quei riti, che bollo come diabolici.2 Siegmund Herbestain invece, nei suoi Commentari della moscovia etparimente della Russia (Venetia 1550) riporta una singolare e curiosa credenza relativa alla festa in questione: "Dicono alcuni che a gli uomini di Lucomorye non so che cosa mirabile, et incredibile, et quello che ha più della fabula che di verosimile, sole intervenire che quelli, che quelli, per ciascuno anno cioé alli XXVII del mese di novembrio, nel qual giorno appresso delli Rutheni, e la festa di S. Giorge, moiano, et che poi nella seguente primavera alli XXIII di aprile alla similitudine di ranocchie di nuovo resusciteno" (p. 50b). Oltre tre secoli più tardi in un'opera fondamentale come il The Golden Bough di James George Frazer vengono riportati alcuni riti celebrati in occasione di questa festa in Ucraina: "In Ucraina il giorno di S. Giorgio (23 aprile) il prete coi suoi paramenti, seguito dagli accoliti, va ai campi del villaggio, dove il raccolto comincia a mostrare le prime foglioline verdi e lo benedice. Dopo di che i giovani sposi si mettono a giacere in coppie sul seminato, e si rotolano parecchie volte sopra di esso, credendo che questo promuoverà la crescita delle messi.3" Lo stesso Frazer aggiunge in seguito che in alcune parti della Russia era lo stesso prete ad essere fatto rotolare per i campi, riportando una formula rituale con cui i partecipanti rispondono alle eventuali proteste del prete: "Piccolo padre, tu non ci vuoi bene sul serio: non vuoi farci avere grano, sebbene vuoi vivere sul nostro grano". Sorprendenti sono quindi le analogie tra il rito descritto da Meletius e quello descritto da Frazer, dove la funzione del prete ricorda in maniera cosi evidente quella del Vurchayten del citato passo dell'epistola. 2 A proposito scrisse: "Na Georgija mučenika praznik diavol'skij na pole izšedšich samanje ofjeru tancami i skokami činiti - razorjete; gnjevaet bo sja na zemlju vašu Goergij mučenik, što njemaeš christianina pravoslavnogo, ktoryj by rugan'e toe diavol'skoe očistiti i izgnat mogl". Ivan Vyšenskyj, Sočinenija, p. 44. Vedi anche l'articolo di Ihor Myc'ko Do problemy stanovlennja populjarnych chrystyjanskyj kultiv v Ukrajini pubblicato in "Medievalia Ucrainica"tom V, 1998, pp. 30-33. 3 James George Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione, Edizioni Euroclub Italia, 1995, p. 169. Andrej Sinjavskij, nel suo recente studio Ivan lo scemo. Paganesimo, magia e religione delpopolo russo; (pubblicato a Napoli nel 1993, tit. or.: Ivan Durak, Paris 1990) riporta la notizia tratta dalla monografía di Maksimov Nečistaja, nevedomaja i krestnaja sila a pagina 447 riguardo ad un canto tradizionale per "chiamare" il santo con un canto propiziatorio.4 Infatti San Egor o San Egorij era considerato il protettore dell'agricoltura ed il canto propiziatorio è di buon auspicio per il prossimo raccolto. In questo giorno il bestiame veni-va portato al pascolo la prima volta, anche perché la rugiada in questo giorno sembrava essere di buon auspicio. Infatti vi era la tradizione di aspergere il bestiame con acqua bene-detta prima di mandarlo al pascolo. Propp, nella citata monografía, riporta una notizia di una tradizione legata a questa festa che ha tratta dallo studio di Kalinskij Cerkovno-narodnyj mesjaceslov na Rusi apparso nella pubblicazione "Zapiski Russkogo geografičeskogo obščestva po otdeleniju etnografii", vol. VII, apparso a San Pietroburgo nel 1913. Secondo questa fonte, in questo giorno si tramandava la tradizione di cuocere i Kozuli, un dolce che nel nome ricorda la capra, e di intrecciare le ghirlande del semik. In entrambi i casi le tradizioni legate a questa festività sembrano essere legate ad un'offerta cerimoniale pagana per propiziare il raccolto. Ma le informazioni più interessanti contenute nell'epistola di Meletius riguardano i riti funebri, che l'autore descrive in maniera molto precisa, basandosi probabilmente su una sua esperienza personale. Egli descrisse i riti funebri ai quali doveva avere assistito, come testimoniano le frasi rituali che riporta nell'epistola, proprio nella sua regione di origine, ovvero l'attuale zona di confine tra Ucraina occidentale e Polonia, come si puo evincere dalla lingua, che l'autore definisce "ruthenica" delle parole che egli riporta. Anche se Maciej Stryjkowski, nella sua citata opera, colloca i riti funebri descritti dal Meletius al confine tra Prussia e Samogizia (attuale Lituania), l'indicazione della lingua, che lo stesso Meletius chiama "Ruthenica" e le descrizioni del medesimo rito fatte da Sebastian Fabian Klonowic nel suo poema Roxolania ci offrono valide indicazioni riguardo ad una collocazione geografica dei riti in questione più meridionale, più o meno in quella zona di confine tra Ucraina occidentale e Polonia orientale; tuttavia non possiamo escludere che anche più a settentrione, al confine tra Prussia e Lituania, si svolgessero analoghi riti. Ma ecco quanto riporta a proposito Meletius: In funeribus hic servatur ritus. A rusticanis, defunctorum cadavera vestibus et calceis induuntur et erecta locantur super sellam, cui assidentes illorum propinqui, perpotant ac helluantur, epota cerevisia, sit lamentatio funebris quae lingua ruthenica sic sonat: Ha le le, le le, y procz ty mene umarl ? i za ti nie miel szto yesty albo pity ? Y procz ti umarl ? Ha le le, le le i za ti nie miel krasnoie mlodzice ? Iprocz ty umarl ? (..) Hoc modo lamentantes enumerant ordine omnia externa illius bona, cuius mortem deplorant: neimpe liberos, oves, boves, equos, anseres, gallinas, etc. Ad quae singula respondentes, occinunt hanc naenia, cur ergo mortuus es, qui haec habebas ? Post lamentatione dantur cadaveri munuscula, nempe mulieri sila cum acu: viro linteolum, idque eius collo implicatur. Cum, 4 Maksimov, Nečistaja, nevedomaja i krestnaja sila, Sankt-Petersburg 1903, p. 447. ad sepulturam effertur cadaver, plerique in equis funus prosequuntur, et currum obequitant quo cadaver vehitur: eductisquae gladiis, verberant auras vociferantes Gegeite, begaite pekelle. Qui funus mortuo faciunt, nummos projiciunt in sepulchrum, tanquam viatico mortuum prosequentes. Collocant quoque panem, et legenam cerevisia plenam ad caput cadaveris in sepulchrum illati, ne anima vel sitiat vel esuriat. Uxor mane et vesperi, oriente at occidente sole, super extincti conjugis sepulchrum sedens vel jacens, lamentatur diebus triginta. Cognati vero ineunt convivia die tertio, sexto, nono et quadragesimo, a funere. Ad quae convivia animam defuncti invitant, precantes ante januam. In his convivijs, quibus mortuo parentant, tacite assident mensae tanquam muti, nec utuntur cultris. Ad mensam vero ministrant duae mulieres, quae hospitibus cibum apponunt, nullo etiam cultello utentes. Singuli de uno quoque ferculo aliquid sub mensam jaciunt, quo animam pasci credunt, eisque potum effundunt. Si quid forte deciderit de mensa in terram, id non tollunt, sed desertis (ut ipsi loquuntur) animibus reliquunt manducandum, quae nullos habent vel cognatos vel amicos viventes, a quibus excipiantur convivio. Peracto prandio, sacrificulus surgir de mensa, ac scopis domum purgat; animasque mortuorum cum pulvere ejicit, tanquam pulices, atque his precatur verbis, ut ex domo recedant: Ieli, pili duszyce, nu vven, vven. Post haec incipiunt convivae inter se colloqui et certare poculis. Mulieres viris praebibunt et viri vicissim mulieribus, seque mutuo osculantur." "Nei funerali si osserva questo rito: i cadaveri dei defunti, vestiti dai contadini e messi sulla sella, vengono condotti, per i quali i parenti di quelli bevono e si danno alla baldoria e, bevuta la birra, c'è il lamento funebre che in lingua "ruthenica" suona cosi: Ha le le, le le, y procz ty mene umarl ? i za ti nie miel szto yesty albo pity ? Y procz ti umarl ? Ha le le, le le i za ti nie miel krasnoie mlodzice ? I procz ty umarl ? In questo modo i lamentanti enumerano in ordine tutti i beni di quello del quale la morte piangono. Appunto i figli, gli uccelli, i buoi i cavalli. Rispondendo alle singole cose cantano questa nenia: "perché dunque sei morto, tu che possedevi queste cose." Dopo il lamento le mani del cadavere vengono baciate, e alla moglie viene dato ago e filo; un lenzuolo viene avvolto intorno al collo dell'uomo. Quando il cadavere è portato alla sepoltura, molti seguono il corteo funebre a cavallo e cavalcano intorno al carro nel quale è condotto il cadavere e tirate fuori le spade, lanciano colpi in aria urlando: "Gegeite, begaite pekelle "5 Coloro che fanno il funerale al morto, gettano monete nella tomba come per congedare il morto con un viatico. Mettono anche pane ed una bottiglia di birra al capo del morto messo nel sepolcro, affinché l'anima non abbia sete e non abbia fame. 5 Le stesse parole sono citate dallo Stryjkowski nella sua Kronika polska, Litewska, ímódzka i wszystkiej Rusi, Cracovia 1582 (reprint del 1846), p. 149. La moglie di mattina e di sera all'alba e al tramonto sedendo o giacendo distesa sopra la tomba del coniuge estinto, si lamenta per trenta giorni. I parenti cominciano i banchetti il terzo, il sesto ed il quarantesimo giorno dal funerale, ai quali convivi invitano l'anima del defunto, invitandolo davanti alla porta. In questi convivi fanno un'offerta al morto e siedono come muti alla mensa né usano coltelli. Alla mensa provvedono due donne che portano il cibo agli ospiti, senza usare nessun coltello. Alcuni gettano sotto la mensa qualcosa da un piatto, con la quale credono di nutrire l'anima e versano anche da bere. Se per caso qualcosa cadesse dalla tavola in terra non lo prendono, ma lo lasciano da mangiare (come loro stessi dicono) alle anime rimaste, che non hanno né cognati né amici viventi, i quali sono esclusi dal convivio. Finito il pranzo, il sacerdote si alza dalla mensa e ripulisce con la scopa quello che è rimasto e manda via le anime dei morti con la polvere, come le pulci e con queste parole impreca affinché si allontanino dalla casa: "Ieli, pili duszyce, nu vven, vven."Dopo di cio i banchettanti cominciano a gareggiare con le coppe e le donne bevono in onore degli uomini e gli uomini delle donne e si baciano reciprocamente." Questa testimonianza risulta la parte più interessante dell'epistola in questione. Innanzitutto, le formule rituali forniscono una preziosa testimonianza che ci permette di collocare il rito funebre con precisione. La descrizione di questo rito funebre fu poi ripresa da £asicki nella sua citata opera, con le citazioni delle formule rituali che Meletius aveva riportato. Un'altra opera di grande interesse in relazione all'etnografia ucraina come Roxolania di S. F. Klonowic, tra le altre interessantissime notizie in relazione agli usi e costumi dell'Ucraina occidentale, riporta nei versi 1709-1806, una dettagliata descrizione dei riti funebri che corrisponde in buona parte con le notizie riportate da Meletius.6 Le notizie sui "banchetti funebri" degli slavi orientali erano talmente diffuse in Europa, che Giovanni Botero, nelle sue Relationi universali ( 1591-1596), scrive a proposito, collocando tuttavia questo rito nella Moscovia: "Fanno honor grande ai sepolcri con molte candele, e lumi; e il sacerdote va a torno a essi sepolcri con incenso, e con diverse oratione e gli asperge d'una composizione di mele, acqua e grano e poi ne mangia parte egli, parte i circostanti. I parenti del morto ancora apparecchiano diverse vivande sul sepolcro delle quali pigliano la metà per sé, distribuendo l'altra ai poveri e ai ministri. La stessa tradizione dei banchetti funebri era già stata in precedenza descritta nell'opera dello scrittore arabo di origine persiana Ibn Rusta (o Ibn Rosteh) nel suo Kitab al-A 'laq an-nafisa ovvero il "libro delle gemme preziose", opera che viene fatta risalire dagli studiosi all'inizio del X secolo. In questa opera l'autore, a proposito dei banchetti funebri, scrive: "Un anno dopo i funerali riempiono venti vasi di miele, talora più, talaltra meno, e li portano su questa collina dove riposa il defunto e dove la famiglia del morto si raduna, mangia e beve e poi si separa.8" Quanto scrive Frans Vyncke nel suo saggio La religione degli slavi, apparso nella Storia delle religioni diretta da Henry-Charles Puech (tit. or. Historie des Religions, 6 Vedi l'articolo di Lorenzo Pompeo, Wqtki humanistyczne i etnograficzne w Roxolanii Sebastiana F. Klonowica, su "Warszawskie zeszyty ukrainoznawcze", n. 6-7, 1998. 7 Giovanni Botero, Relationi universali, Venezia 1669, p. 431. 8 La traduzione è tratta da: Francis Conte, Gli slavi, Einaudi, Torino 1991, p. 139. Vedi anche di Laran e Saussay, La Russie ancienne, Paris 1975, p. 23, oppure: Tadeusz Lewicki, Zródia arabskie do dziejów slowiañszczyzny, t. II, cz. II, Zakl. nar. Im. Ossoliñskich, Warszawa 1977. Gallimard, Paris 1970-1976) si attaglia in maniera sorprendente alla descrizione dei riti funebri fatta dal Meletius: "Gli slavi credevano in un'esistenza dopo la morte, nonostante quanto asserisce Thietmar, secondo il quale "cum morte temporali omnia putant finiri" (I, 14). Thietmar allude, in questi termini, alla resurrezione cristiana, che era effettivamente sconosciuta agli slavi. Essi consideravano la vita dell'oltretomba come una specie di risvolto negativo di questo mondo. Si credeva che i morti vivessero nelle stesse condizioni dei vivi. Per questo si depositavano presso i cadaveri o presso l'urna del cibo e gli oggetti più svariati di cui il morto potesse avere bisogno nella sua esistenza futura. Si che il defunto si separasse malvolentieri dal suo clan e che cercasse di tirarsi dietro qualcuno che l'accompagnasse nel suo solitario viaggio. La rappresentazione che si aveva dell'anima era assolutamente calcata sul modello corporeo; si trattava di una sorta di una sorta di cadavere vivente, più o meno legato alla spoglia mortale. Il rituale della sepoltura comportava parecchie misure volte ad impedire un ritorno improvviso dell'anima. Si constata, infine, un'ansia perpetua di restare in rapporto stretto con i defunti. Nei giorni di commemorazione, i parenti compiono svariati riti sulle tombe e recano del cibo. Si riteneva infatti che i defunti esercitassero un'influenza sulla fertilità dei campi. Dunque, la morte era innanzitutto considerata un'assenza di vita e i defunti restavano fondamentalmente ancorati al clan dei vivi.9" Nel complesso l'epistola di Meletius rappresenta un documento di grande rilevanza sia per quanto riguarda le preziose informazioni di carattere etnografico sia in quanto documento della manifestazione di un primo interesse verso i fenomeni culturali che appartengono alla tradizione orale, ovvero di quell'interesse verso usi, costumi, credenze e riti dei popoli, che solo nel corso dei primi decenni dell'800 emergerá con il nuovo clima culturale legato al movimento romantico europeo. La corrispondenza tra le notizie riportate dal Meletius e le fonti etnografiche successive relative ad un'area che comprende Bielorussia, Ucraina, Russia sono sorprendenti (mentre un discorso a sé meriterebbe la Lituania). Tali corrispondenze indicano la necessitá di uno studio comparativo delle fonti etnografiche che superi i confini nazionali dei singoli paesi compresi nell'area geografica in questione. Humanistična etnografija v Pismu o verovanjih in žrtvovanjih starih Prusov Jana Sandeckega Maleckega (Meletius) Lorenzo Pompeo Pismo Jana Sandeckega Maleckega (z latinskim imenom Ioannes Meletius) je nedvomno eden najstarejših in najzanimivejših virov o folklori, verovanjih in poganskih obredih, ki so bili v rabi na območju, ki zaobjema vzhodne teritorije tedanjega poljskega kraljestva (Rzeczpospolite). To so današnja ozemlja Litve, Latvije, Belorusije in Ukrajine. Čeprav podatki, ki jih vsebuje delo Maleckega, niso vsi zanesljivi, pa vendar lahko rečemo, da je pismo pomembno pričevanje o zanimanju "protoetnografskega značaja" za etnične 9 Frans Vyncke, La religione degli slavi, in "Storia delle religioni" diretta da Henry-Charles Puech, Laterza, 1976 Bari , vol. I,1, pp. 729. skupine, ki so živele znotraj meja poljsko-litovske Rzeczpospolite. Vesti, ki jih navaja avtor, so namreč v veliki meri sad njegovih osebnih opažanj. Jan Malecki, bolj znan pod latiniziranim imenom Meletius, se je rodil v S^czu v prvem desetletju 16. stoletja v skromni meščanski družini. Ne vemo, ali je študiral na univerzi v Krakovu, gotovo pa je, da je bil v stiku s kulturnim življenjem tedanje prestolnice Poljskega kraljestva. Skupaj z Biernatom iz Lublina in drugimi avtorji tiskanih knjig je imel odločilno vlogo v procesu uveljavljanja poljskega jezika. Osebno se je spoznal na tiskarsko delo. Leta 1525 je celo odprl svojo tiskarno v Krakovu, ki pa jo je moral kmalu zapreti. Leta 1530 je odprl tiskarno v poletni rezidenci nadškofa Andrzeja Krzyckega, a tudi ta načrt mu je spodletel, ker je bil nadškof imenovan za poljskega primasa. Meletius, ki se je malo kasneje spreobrnil v luteransko vero, je 1537 postal pastor v Elku, v Prusiji. Vendar je moral zaradi spora s pruskim knezom kmalu zapustiti tudi Prusijo. Prav v to obdobje spadajo nekatera njegova pomembnejša dela o poganskih verovanjih, kot je n. pr. Epistola de sacrificiis et idolatria veterum Borussorum, Livonum aliarumque vicinarum gentium, napisana v obliki pisma humanistu in rektorju univerze v Kaliningradu (Konigsbergu) Jerzyju Sabinu (Georgius Sabinus) To je bilo v času 16. in 17. stoletja večkrat objavljeno. Gre torej za enega najstarejših in najzanimivejših virov o običajih narodov v Rzeczpospoliti, iz katerega so zajemala skoraj vsa kasnejša dela, ki so se dotaknila podobnih vprašanj. Kot ugleden primer naj navedemo Roxolanio, zelo nenavadno delo uglednega predstavnika poljske renesanse, Sebastiana Fabiana Klonowica, ki se v svojem poročanju o ukrajinskih pogrebnih obredih nedvomno sklicuje na vesti, ki jih navaja Meletius, in jih hkrati tudi potrjuje. Zanimanje za taka vprašanja izpričujejo številne publikacije, ki so se zvrstile v naslednjih letih. Podatki, ki jih Meletius navaja v svojem pismu, niso vsi pravilni. V seznamu božanstev poganskega Olimpa starih Prusov se pojavljajo imena, ki niso našla nobene potrditve. V svoji razpravi Mitologia stowianska (Kraków 1918) je Bruckner dokazal, da so napake izhajale že iz Meletiusovih virov. Vesti, ki se nanašajo na obrede (žrtvovanja, poročni ali pogrebni obredi) so po mnenju strokovnjakov povsem zanesljive, saj se v veliki meri ujemajo z marsikaterimi prvinami vzhodnoslovanske folklore. Nekatere obrede v zvezi z letnimi časi in letino Meletius opisuje skoraj na enak način, kot jih opisujejo etnografski viri iz 19. stoletja. Takšen je n.pr. tisti v zvezi z žetvijo. Opis Maleckega se v glavnem ujema s tem, kar o istih obredih navaja Vladimir Propp v svoji razpravi Russkie agrarnyeprazdniki (Leningrad 1963). Zelo zanimive so tudi povezave med žrtvovanjem kozla, ki ga navaja Meletius, in pomenom kozla v celotni vzhodnoslovanski folklori. Meletius poroča, da tisti, ki se udeležujejo obreda, dvignejo kozla, in ga tako držijo, dokler ne odpojejo himne, potem ga spustijo dol. Svečenik izreče posebno svarilo, zatem sam ubije žrtev, njeno kri pa polije na tla. V zgoraj omenjenem delu Russkie agrarnye prazdniki Propp poroča o tem, kako so se ljudje oblačili v maske, ki so predstavljale živali. Največ pozornosti po njegovem zasluži koza. Ta naj bi bila tudi ena nastarejših mask, ki je bila najbolj pogosto v rabi v Ukrajini in Belorusiji ter tudi v Rusiji. Sprevod koljadantov, to je kolednikov, je pogosto spremljala koza, ki so jo med petjem večkrat udarili med rogove ob kriku oj udaril kozynku. Tak sprevod, ki se dejansko zdi posnemanje daritvenega obreda, ki ga omenja Meletius, je spremljala naslednja pesem: "Gde koza chodit / Tam žyto rodit, / gde koza chvostom, / tam žyto kustom / tam gde koza nogoju / tam žyto kopoju / gde koza rogom / tam žyto stogom". Dejstvo, da je v Ukrajini znanih več inačic te pesmi, dokazuje, da je bila ta tema zelo razširjena, in da je bila koza v kmečkem pojmovanju tesno povezana z rodovitnostjo zemlje. Zanimivi članek Radoslava Katičica Hoditi - roditi. Spuren der Texte eines urslawischen Fruchtbarkeitsritus, objavljen v reviji "Wiener slawisches Jahrbuch" (št. 22/ 1987) navaja številne inačice omenjene vzhodnoslovanske koljadke tudi pri južnih Slovanih. V teh različicah pa se namesto koze včasih pojavi lik Jarila/Jarile, oz. Jurija/ Egorija, to je Svetega Jurija, medtem ko je besedo žyto, to je rž, nadomestilo polje. Povezava hoditi-roditi pa je ostala nespremenjena. Te variante nam nudijo dragocene podatke o stari povezavi med koljadko, jurjevanjem in kozo. Meletius podrobno poroča o poganskih obredih, ki se dogajajo na praznik Sv. Jurija, 23. aprila. Njegove vesti o daritvah bogu Pergrubriju, bogu rastlin in vseh semen, so zelo jasne in zanesljive. Ujemajo se s tistim, kar je James George Frazer tri stoletja kasneje zapisal v svojem glavnem delu The Golden Bough o obredih, ki jih ukrajinski kmetje obhajajo na Jurjevo. Vlogo, ki je v Meletiusovem času pripadala poganskemu svečeniku, t.i. Vurchaytenu, je sedaj prevzel krščanski duhovnik. Najbolj zanimive vesti v Meletiusovi Epistoli pa se nanašajo na pogrebne obrede, ki jih avtor opisuje zelo podrobno, in ob katerih vzbuja vtis, kot da jih je osebno doživel. To dokazujejo obredni izreki, ki jih navaja v svojem delu. Zapisani so namreč prav v narečju, ki so ga govorili v krajih, iz katerih je bil sam doma, to je ob današnji meji med Ukrajino in Poljsko. Sam avtor pripominja, da je jezik besed, ki jih navaja, lingua ruthenica. Še en namig, ki opozarja na omenjeno geografsko lokacijo, izvira iz zgoraj navedene pesnitve Roxolania. Njen avtor Klonowic opisuje zelo podobne obrede, ki naj bi jih opravljali prav tako ob današnji meji med Ukrajino in Poljsko. Ne moremo pa izključiti, da bi bilo podobno obredje v rabi tudi bolj severno, na meji med Prusijo in Litvo. V zvezi s pogrebnim obredom Meletius navaja natančne besede tožbe, ki jo izgovorijo pogrebci: "Ha le le, le le, y procz ty mene umarl? I za ti nie miel szto yasty albo pity? Y procz ti umarl? Ha le le, le le i za ti nie miel krasnoie mlodzice? I procz ty umarl?' Vdova mora žalovati trideset dni. Sorodniki pa priredijo sedmine, in sicer na tretji, šesti ter štirideseti dan po pogrebu. Na sedmine povabijo dušo umrlega in mu simbolično vržejo na tla nekaj od svojih jedi in pijač. Podobne vesti nahajamo tudi pri drugih avtorjih: poleg že omenjenega Klonowica, tudi pri arabskem pisatelju perzijskega porekla Ibn Rusti (Ibn Rosteh). Vsa ta pričevanja dajejo misliti - kot piše Frans Vyncke v svoji razpravi Historie des Religions (Gallimard, Paris, 1979-1976) - da so Slovani že verovali v življenje po smrti, za razliko od tega, kar v zvezi s tem piše Thietmar, po besedah katerega: "cum morte temporali omnia putant finiri" (I, 14). Seveda ne gre za krščansko vero v vstajenje od mrtvih, marveč enostavno za neke vrste nadaljevanje zemeljskega življenja. Verjeli so namreč, da so mrtvi imeli podobno življenje kot živi. Epistola Maleckega je v glavnem zelo pomemben dokument, in to bodisi zaradi dragocenih vesti etnografskega značaja, bodisi zaradi dejstva, da izpričuje zgodnje zanimanje za kulturne pojave, ki pripadaj ustnemu izročilu. Gre za zanimanje, ki je popolnoma oživelo šele v prvih desetletjih 19. stoletja v okviru novega vzdušja, ki ga je ustvarilo evropsko romantično gibanje. Ujemanje vesti, ki jih navaja Meletius, s poročanjem kasnejših etnografskih virov o istem območju, namreč ozemlju, ki obsega Belorusijo, Ukrajino in Rusijo, je presenetljivo. To nas opozarja na potrebo po primerjalnem preučevanju etnografskih virov, ki bi presegalo meje posameznih držav na tem območju.