Revus Journal for Constitutional Theory and Philosophy of Law / Revija za ustavno teorijo in filozofijo prava 18 | 2012 Ustavna demokracija La democrazia costituzionale Constitutional Democracy Luigi Ferrajoli Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/revus/2291 DOI: 10.4000/revus.2291 ISSN: 1855-7112 Editore Klub Revus Edizione cartacea Data di pubblicazione: 10 dicembre 2012 Paginazione: 69-124 ISSN: 1581-7652 Notizia bibliografica digitale Luigi Ferrajoli, « La democrazia costituzionale », Revus [Online], 18 | 2012, Online since 04 February 2015, connection on 19 April 2019. URL : http://journals.openedition.org/revus/2291 ; DOI : 10.4000/ revus.2291 All rights reserved 69 european constitutionality review (2012) 18 www.revus.eu revus (2012) 18, 69–122 Luigi Ferrajoli La democrazia costituzionale 1 LE CONCEZIONI SOLAMENTE FORMALI DELLA DEMOCRAZIA. TRE APORIE Secondo la concezione corrente la democrazia è la forma di governo nella quale il potere è esercitato da tutto il popolo o dalla sua maggioranza, diret­ tamente o tramite rappresentanti. E’ questa non solo l’accezione etimologica, ma anche la nozione di “democrazia” che ricorre in tutta la storia del pensiero politico: dalla classica tripartizione introdotta da Platone nel Politico1 e ripresa da Aristotele2 all’idea rousseauviana della volontà generale come autodetermi­ nazione di tutti e di ciascuno,3 ino alle odierne teorie della democrazia rappre­ sentativa, da Kelsen a Bobbio, da Schumpeter a Dahl, da Popper a Waldron.4 1 “Terza forma di costituzione non è forse il governo della massa, che ha nome ‘democrazia’?” (Platone, Politico, 291d in Platone, Tutti gli scritti, Giovanni Reale (a cura di), Milano, Bom­ piani, Milano 2008, 349). 2 “E’ necessario che sovrano sia o uno solo, o pochi o i molti. Quando l’uno o i pochi o i molti governano per il bene comune, queste costituzioni necessariamente sono rette, mentre quelle che badano all’interesse o di uno solo o dei pochi o della massa sono deviazioni … Quando la massa regge lo Stato badando all’interesse comune, tale forma di governo è detta col nome comune ‘politèia’ … Deviazioni delle forme ricordate sono, la tirannide del regno, l’oligarchia dell’aristocrazia, la democrazia della politeia (Aristotel, Politica. Costituzione degli ateniesi, R. Laurenti (a cura di), Bari, Laterza, 1972, 1279b, 146). 3 Bobbio 2011 (fn. 73), Aspetti del positivismo giuridico, pogl. V, § 3, 88. “Kao način približavanja studiju prava, pravni pozitivizam je karakterisan razlikom između realnog i idealnog prava, ili, drugim riječima, između prava kao činjenice i prava kao vrijednosti, između prava kakvo jeste i kakvo treba da bude; i između ubjeđenja da pravnik treba da se bavi prvim, a ne dru­ gim”. 4 Cfr. Hans Kelsen, Essenza e valore della de mo crazia (1929), tr. it. di Giorgio Melloni, in Hans Kelsen, La democrazia, Bologna, Il Mulino, 1981; Hans Kelsen, Teo ria generale del dirit to e dello Stato (1945), tr. it. di Sergio Cotta e Giuseppino Treves, Milano, Edizioni di Comuni­ tà, 1959, 289; Karl Popper, La società aperta e i suoi ne mici (1945), Dario Antiseri (tr. it. a cura di), Roma, Armando, 1973; Joseph Alois Schumpe ter, Capitalismo, socialismo e demo­ crazia (1954), Emilio Zui (tr. it. di), Milano, Edizioni di Comu nità, 1955; Norberto Bob bio, Il futuro della democrazia. Una difesa delle regole del gio co, Torino, Einaudi, 1984; Giovanni Sartori, Democra zia e deinizioni, Bologna, Il Mulino, 1957; Robert Dahl, La democrazia e i suoi critici (1989), tr. it., Roma, Edito ri Riuniti, 1990; Michelangelo Bove ro, Contro il governo dei peggio ri. Una grammatica della democra zia, Roma­Bari, Later za, 2000. Richiamo anche le critiche che in base a questa conce zione sono state rivolte, nelle discus sioni intorno alle mie tesi sulla democrazia costituzionale, da Michelangelo Bovero e da Anna Pinto re, in Luigi Fer­ rajoli, Dirit ti fonda mentali. Un dibattito teorico, Ermanno Vitale (a cura di), Roma, Later za, 70 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu La democrazia, secondo questa concezione, consisterebbe dunque soltanto in un metodo di formazione delle decisioni pubbliche: precisamente, nell’insie­ me delle “regole del gioco” che attribuiscono al popolo o alla maggioranza dei suoi membri il potere, diretto o tra mite rappresentanti, di assumere tali deci­ sioni. Il suo solo fondamento assiologico risiederebbe nell’auto­nomia, cioè nel “potere di dar norme a se stessi e di non ubbidire ad altre norme che a quelle date a se stessi”:5 nel fatto, in altre parole, che le decisioni siano prese, diret­ tamente o indirettamente, dai loro stessi destinatari, o quanto meno dalla loro maggioranza, e siano perciò espressione della loro stessa “volontà”. Per questo tale nozione di democrazia viene comunemente chiamata formale o procedu­ rale. Essa identiica infatti la democrazia sulla base delle sole forme e procedure idonee a garantire che le decisioni prodotte siano espressione, diretta o indiret­ ta, di tale volontà. La identiica, in breve, in base al chi (il popolo o i suoi rappre­ sentanti) e al come (la regola della maggioranza) delle decisioni, indipendente­ mente dai loro contenuti, cioè dal che cosa viene deciso, anche se tali contenuti sono illiberali, antisociali e perino antidemocratici. Questa concezione, a me pare, è eccessivamente sempliicata e in ultima analisi insostenibile. Certamente la dimensione formale della democrazia quale potere legittimato, direttamente o indirettamente, dalla volontà popolare ne co­ stituisce un connotato assolutamente necessario: una condicio sine qua non, in assenza della quale di “democrazia” non si può parlare. Ma essa non ne è né la sola condizione necessaria, né una condizione suiciente. Per tre ragioni, cor­ rispondenti ad altrettante aporie, che richiedono che tale dimensione sia inte­ grata da limiti e vincoli sostanziali o di contenuto quali sono tipicamente i diritti fondamentali costituzionalmente stipulati. La prima ragione consiste nella mancanza di portata empirica e conseguen­ temente di capacità esplicativa di una deinizione che della democrazia identi­ ichi i soli connotati formali, cioè le condizioni in presenza delle quali le deci­ 2001, cui ho replicato ivi, III, § 6, 318–331, e poi da Pedro Sala zar Ugarte, da Pablo de Lora e da Andrea Greppi e, pur se in ter mini problemati ci, da Alfonso Ruiz Miguel in Miguel Carbonell e Pedro Sa la zar (edd.), Ga rantismo. Estudios sobre el pensamiento juridico de Luigi Fer rajoli, Madrid, Editorial Trot ta, 2005, cui ho risposto nel libro Garantismo. Una discusión sobre el derecho y la democracia, Andrea Greppi (tr. sp. di), Madrid, Editorial Trotta, 2006, in particolare nel capitolo VI. 5 Norberto Bobbio, Della libertà dei moderni comparata a quella dei posteri (1954), ora in Teoria generale della politica, Michelangelo Bovero (a cura di), Torino, Einaudi, 1999, 228). E’ questa la nozione rousseauviana di libertà come “l’obbedienza alla legge che noi stessi ci siamo prescritta” (Rousseau 1972 (n. 3), lib. I, cap. 8, 287), ripresa da Kant: “Meglio è deinire la mia li bertà esterna (cioè giuridica) come la facol tà di non obbe dire ad altre leggi esterne, se non a quel le cui io ho potuto dare il mio assenso” (Immanuel Kant, Per la pace perpe tua [1795], sez. II, in Scritti politici e di ilosoia della sto ria e del diritto, Gioleo Solari e Giovanni Vidari (tr. it. di), Torino, Utet, 1965, 292); “la libertà legale [è] la facoltà di non obbedire ad altra legge, che non sia quella a cui essi [i cittadini] han dato il loro consen so” (Immanuel Kant, Prin cipi meta isici della dottrina del diritto [1797], ivi, § 46, 500). 71 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu sioni politiche sono espressione, diretta o indiretta, della volontà popolare. Una simile deinizione non è infatti in grado di dar conto delle odierne democrazie costituzionali, le quali sarebbero, alla sua stregua, non­democrazie. Limitan­ dosi a richiedere che i pubblici poteri siano esercitati dal popolo come che sia, e conigurando quindi la democrazia come potere popolare assoluto, essa ignora e contraddice il paradigma dello stato di diritto, che non ammette l’esistenza di poteri non soggetti alla legge,6 e tanto più dello stato costituzionale di diritto, entro il quale non è afatto vero che il potere del popolo sia illimi tato. La novità introdotta dal costituzionalismo nella struttura delle democrazie è infatti che anche il supremo potere legislativo è giuridicamente disciplinato e limitato, con riguardo non solo alle forme, predisposte a garanzia del potere della maggio­ ranza, ma anche alla sostanza del suo esercizio, vincolato al rispetto di quelle speciiche norme costituzionali che sono il principio di uguaglianza e i diritti fondamentali. Dovremmo concludere, alla stregua della nozione formale di de­ mocrazia unicamente come “potere del popolo”, che questi sistemi non sono democratici? O non dobbiamo afermare, al contrario, che proprio in assenza di limiti, se pure possiamo parlare di “democrazia” in senso puramente politico o formale, non possiamo certo parlarne a proposito di quella sua forma comples­ sa e oggi pressoché generalizzata che è la “democrazia costitu zionale”? La seconda ragione consiste nel nesso indissolubile, trascurato dalle conce­ zioni puramente formali della democrazia, tra la democrazia politica e quei di­ ritti fondamentali costituzionalmente stabiliti che operano come limiti o vincoli di contenuto alla volontà, altrimenti assoluta, delle maggioranze. Innanzitutto i diritti di libertà. La volontà degli elettori si esprime infatti autenticamente solo se può esprimersi liberamente. E può esprimersi liberamente solo se è garantito l’esercizio, oltre che del diritto di voto, delle libertà fondamentali da parte di tutti e di ciascuno: della libertà di pensiero, di stampa, di informazione, di riu­ nione e di associa zione. I diritti di libertà, d’altro canto, in tanto sono efettivi in quanto siano a loro volta sorretti dalla garanzia dei diritti sociali a prestazioni positive, cioè alla sussistenza, alla salute, all’istruzione e all’informazione. Senza 6 Un si stema “democratico” ove la sovranità popolare non fosse soggetta alla legge corrispon­ derebbe pienamente alla nozione di stato assoluto deinita da Hobbes: “il sovrano di uno stato, sia egli un'assemblea o un uomo, non è soggetto alle leggi civili. Infatti, avendo il potere di fare e di abrogare le leggi, se vuo le può liberarsi dalla soggezione abrogando le leggi che lo di sturbano e facendone di nuove” (homas Hobbes, Le viatano [1651], Rafaella Santi (tr. it. a cura di), Milano, Bom piani, 2001, parte II, cap. XXVI, § 6, 433); e più ol tre: “Una quarta opinione incompatibi le con la natura dello Stato è questa, che chi detiene il potere sovrano è soggetto alle leggi civili ... Un sovrano non è soggetto a quelle leggi che egli stes so, cioè lo stato fa, perché essere soggetto alle leggi è essere soggetto allo stato, cioè al suo rappresen­ tante sovrano, che è appunto lui. La sua non è una sog gezione, ma una libertà dalle leggi. Quell’errore, ponendo le leggi al di sopra del sovrano, pone sopra di lui anche un giudice e un potere che può punirlo e questo signiica fare un nuovo so vrano e poi, per lo stesso moti vo, un terzo che punisca il secon do e così di continuo all’ini nito, con la conseguente confusione e dissolu zione dello stato” (ivi, § 9, 529). 72 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu la soddisfazione di questi diritti e degli obblighi pubblici ad essi corrispondenti, sia i diritti politici che i diritti di libertà sono destinati a rimanere sulla carta: perché non c’è partecipazione alla vita pubblica senza garanzia dei minimi vi­ tali, né formazione di volontà consapevoli sen za istruzione e informazione. Di soli to alla nozione puramente formale o procedurale viene aggiunta la tesi che i limiti alla volontà delle maggioranze assicura ti da talu ni diritti fonda menta­ li sono “condizioni”, o “pre­condi zio ni” o “presupposti” del la democra zia.7 Ma una condi zione, se ritenu ta necessa ria, equivale a un requisito es senziale, e deve essere quindi inclusa, quale condizione sine qua non, nella dei nizione del ter­ mine da deini re. La terza ragione consiste nella scarsa consistenza teorica di un con cetto di democrazia solamente formale che intenda essere conseguente a se medesimo. Un qualche limite so stanziale ai contenuti delle decisioni legittime è infat ti ne­ cessario alla stessa democrazia politica, la quale in sua assenza non può – o, quanto meno, può non – soprav vivere. E’ sem pre possi bile, in via di prin cipio, che con metodi democratici si sopprimano, a maggioranza, gli stessi meto di demo cratici: non solo i diritti di libertà e i diritti socia li, ma anche gli stessi di­ ritti politi ci, il pluralismo po litico, la di visione dei poteri, la rappre sentanza, in breve l’intero sistema di rego le nel quale la democrazia poli tica consiste. Non si tratta di ipotesi di scuola: è quanto accadde con il fascismo e il nazismo del se colo scor so, che in forme democratiche si impadronirono del potere e poi soppressero la demo cra zia. Fu da quelle tragedie che nacque il paradigma costi­ tuzionale e garantista delle odierne democrazie, sulla base di due severe lezioni: da un lato la ine di ogni illusione sui valori sostanziali di giustizia e libertà assi­ curati dalla volontà della maggioranza e dal consenso prestato ai poteri politici; dall’altro, e conseguentemente, la necessità di limiti e vincoli sostanziali a questi imposti, a garanzia della stessa democrazia, da principi di giustizia rigidamente stipulati nelle nuove costituzioni.8 7 Si veda Bobbio 1984 (n. 4), 6: “anche per una deinizione minima di democra zia, com'è quella che accolgo ... occorre”, in aggiunta al sufragio uni ver sale e al principio di maggioranza, “una terza con dizione: occor re che coloro che sono chiamati a decidere o a eleggere coloro che dovranno decidere siano posti di fronte ad alternative reali e siano messi in condizione di poter scegliere tra l'una e l'al tra. Ainché si realizzi questa condizione, occorre che ai chia mati a decidere siano garantiti i cosiddetti diritti di libertà, di opinione, di espressione della propria opinione, di riunione, di associazione, ecc ... Le norme costituzionali che attribuiscono questi diritti non sono propria mente regole del gioco: sono rego le preliminari che permettono lo svolgimento del gioco”. Analogamente, Kelsen: “Una de mocra zia senza opinione pubbli ca è una contrad dizione in termini. In quanto l'o pinione pubblica può sor gere dove sono ga rantite la libertà di pensiero, la liber tà di parola, di stampa e di reli gione, la de mocrazia coincide con il liberali smo politico, sebbe ne non coin cida necessariamente con quello economico” (Kelsen 1959 (n. 4), parte II, IV, B, d, 293): dove è chiaro che que sta “coin cidenza” fa dei di ritti di libertà una dimensione essen ziale e sostanziale della democrazia. Nello stesso senso, Bovero 2000 (n. 4), cap. II, § 6, 38–41. 8 Per un’analisi del paradigma costituzionale, rinvio a Luigi Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del 73 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu 2 LA DIMENSIONE FORMALE DELLA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE La prima lezione è che il metodo di formazione delle decisioni politiche ba­ sato sulla rappresentanza popolare per il tramite del sufragio universale e del principio di maggioranza designa e garantisce soltanto la forma democratica della selezione dei governanti. Ma questo metodo non implica afatto che le de­ cisioni prese dalla maggioranza abbiano, in quanto tali, una sostanza democrati­ ca e un valore di giustizia. Non comporta, in altre parole, nessuna connotazione del potere del popolo o della maggioranza come potere buono e giusto. E’ invece questa la tesi che attraversa gran parte della storia del pensiero democratico: dall’apologia della democrazia diretta formulata da Protagora nell’omonimo dialogo di Platone,9 all’argomento di Aristotele sulle molteplici e perciò superiori intelligenze che concorrono nelle decisioni,10 ino alle tesi di Rousseau sulla volontà generale come volontà “sempre retta” e rivolta “all’utilità pubblica”,11 sostanzialmente riprese da Kant, secondo il quale tale volontà non diritto e della democrazia, 3 voll., Roma­Bari, Laterza, 2007, vol. I, Teoria del diritto; vol. II, Teoria della democrazia; vol. III, La sintassi del diritto (d’ora in poi PI, I; PI, II; PI, III). Si veda anche Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale (1989), Roma­Bari, Laterza, 9° ed., 2008, parte V. 9 Protagora, 323a: “Gli ateniesi, e anche gli altri, allorché sia in questione l’abilità dell’arte di costruire o di qualche altra arte, ritengono che pochi debbano prender parte alle delibera­ zioni. E se qualcuno che non sia di questi pochi vuol dare consigli, non lo sopportano, come tu dici: e a buona ragione, dico io. Ma quando si radunano in assemblea per questioni che riguardano la virtù politica, e si deve quindi procedere esclusivamente secondo giustizia e temperanza, è naturale che essi accettino il giudizio di chiunque, convinti che tutti, di neces­ sità, partecipino di questa virtù, altrimenti non esisterebbe la città” (Platone 2008 (n. 1), 820). 10 Aristotel 1972 (n. 2), 1281b, 154–155: “Che la massa debba essere sovrana dello Stato a pref­ erenza dei migliori, che pur sono pochi, sembra si possa sostenere: implica sì delle diicoltà, ma forse anche la verità. Può darsi in efetti che i molti, pur se singolarmente non eccellenti, qualora si raccolgano insieme siano superiori a loro, non presi singolarmente ma nella loro totalità, come lo sono i pranzi comuni rispetto a quelli allestiti a spese di uno solo. In realtà, essendo molti, ciascuno ha una parte di virtù e di saggezza e come quando si raccolgono insieme, in massa, diventano un uomo con molti piedi, con molte mani, con molti sensi, così diventano un uomo con molte eccellenti doti di carattere e d’intelligenza”. 11 “La volontà generale è sempre retta e tende sempre all'u tilità pubblica” (Rousseau 1972 (n. 3), lib. II, cap. III, 290): “Quando tutto il popolo delibera su tutto il popolo, esso non considera che se stesso … Allora l'oggetto su cui si delibe ra è generale, come la volontà deliberante. Quest'atto io chiamo una legge … In base a questo concetto si vede subito che non bisogna più domandare … se la legge possa essere in giusta, poi ché nessuno è ingiusto verso se stesso … Da sé il popolo vuole sempre il bene, ma non sempre lo vede da sé. La volontà generale è sem pre retta, ma il giudizio che la guida non sempre è illuminato. Bisogna far le vedere gli oggetti come sono, e talvolta come le debbono appa ri re, mostrare il buon cammino che cerca, proteggerla dalla sedu zione delle volontà particolari, ravvicinare ai suoi occhi i luo ghi e i tempi, far contrappeso all'attrattiva dei van taggi pre senti e sensibili col pericolo dei mali lontani e nasco sti. I singoli privati veggono il bene che respingono; il pubbli co vuole il bene che non vede. Tutti ugual mente han bisogno di guida” (ivi, lib. II, cap. VI, 295–296). 74 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu può “recare ingiustizia” né “fare torto a nessuno”.12 E’ il principio, formulato nell’art.4 della Costituzione francese del 1793, secondo cui la volontà generale è anche, sempre, una volontà giusta: “La loi est l’expression libre et solennelle de la volonté géné rale…; elle ne peut ordonner que ce qui est juste et utile à la so ciété; elle ne peut défendre que ce qui lui est nui sible”. Si tratta in realtà di un non sequitur. Ne è prova il fatto che nella storia del pensiero politico alla forma di governo democratica sono state di solito associate connotazioni assiologiche negative conseguenti alla svalutazione o peggio al disprezzo nei confronti del popolo.13 In ogni caso, l’illusione della volontà generale come volontà buona è stata tragicamente smentita dagli orrori dei totalitarismi del Novecento, che certamente godettero di un consenso maggioritario. E torna purtroppo a ri­ proporsi, come in questi anni abbiamo sperimentato in Italia, nella demagogia populista e nel senso comune. Esclusa ogni connotazione sostanziale della volontà popolare come volontà giusta, domandiamoci allora se sia quanto meno sostenibile, quale fondamen­ to assiologico della democrazia formale o procedurale, la sua caratterizzazione come “auto­nomia”, o “au to­go verno” o “auto­determina zione” popolare, os­ sia come li ber tà posi tiva del popolo di non essere soggetto ad altre deci sioni, e quindi ad altri limiti o vincoli, che non siano quelli delibera ti da se mede­ simo. E’ la classica tesi ricordata all’inizio e sostenuta anche da Hans Kelsen: “Politicamente libero”, scrive Kelsen, “è colui che è soggetto a un ordinamen­ to giuridico alla cui creazione partecipa. Un individuo è libero se ciò che egli ‘deve’ fare secondo l’ordinamento sociale coincide con ciò che egli ‘vuole’ fare. Democrazia signiica che la ‘volontà’ che è rappresentata nell’ordinamento giu­ ridico dello Stato è identica alle volontà dei sudditi. Il suo opposto è la sogge­ 12 Si ricordino questi passi apertamente rousseaviani di Kant: “Il potere le gislativo può spettare soltanto alla vo lontà collettiva del popo lo. Infatti, siccome è da questo potere che devono provenire tut ti i diritti, esso non deve assolutamente poter recare ingiusti zia a qualcuno colle sue leggi. Ora è sempre possibile, quando alcuno decide qualche cosa contro un altro, che egli commetta contro di lui un’ingiustizia; ma non la commette mai, però, in ciò che egli decide riguardo a se stesso (perché volenti non it iniuria)” (Kant 1965 (n. 5), § 46, 500); “Una legge pub bli ca, che deter mina per tutti ciò che a loro dev’essere giuridi ca mente lecito o illecito, è l’atto di una volontà pubblica da cui deriva tutto il diritto, e che quin di non deve poter fare torto a nessuno. Ma ciò non è possibile ad altra volontà che non sia quella del popo lo intero (in cui tutti deliberano su tutti e quindi ognuno sopra se stesso), poiché solo a sé non si può far torto” (Immanuel Kant, Sopra il detto comune: ‘questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica’ [1793], II, in Kant 1965 (n. 5), 259). 13 Così Norberto Bobbio, La regola di maggioranza: limiti e aporie, (1981), in Bobbio 1999 (n. 5), 384. Basti ricordare la connotazione negativa associata da Platone alla democrazia nell’ VIII libro della Repubblica. Ma si veda l’ampia rassegna di valutazioni negative del demos nella storia del pensiero politico non solo conservatore o reazionario, ma anche liberale, oferta da Valentina Pazé, In nome del popolo. Il problema democratico, Roma­Bari, Laterza, 2011, parte prima. 75 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu zione dell’autocrazia”.14 Kelsen ammette che “democrazia ed autocrazia, quali sono state ora deinite, non descrivono efettivamente determinate costituzioni storiche, ma rappresentano piuttosto dei tipi ideali. Nella realtà politica non vi è alcuno Stato che si conformi completamente all’uno o all’altro di questi tipi ideali”.15 E ripiega perciò su di una fondazione quantitativa della democrazia politica quale massimizzazione della libertà politica assicurata dal principio di maggioranza: “l’idea che sta alla base del principio di maggioranza è che l’ordi­ namento sociale deve essere in accordo con quanti più soggetti possibile, e in disaccordo con quanti meno sia possibile. Poiché la libertà politica signiica un accordo fra la volontà individuale e la volontà collettiva espressa nell’ordina­ mento sociale, il principio di maggioranza semplice è quello che assicura il più alto grado di libertà politica possibile nella società”.16 Ma anche questa è una raigurazione illusoria. Come ha osservato lo stesso Kelsen, nella democrazia rappresentativa il voto popolare contribuisce soltanto all’elezione di chi è chiamato a decidere, ma non ha nulla a che vedere con le decisioni deliberate dagli eletti.17 Il popolo, nella democrazia rappresentativa, non decide nulla nel merito delle questioni politiche. Decide solo, nelle forme e nella misura in cui lo consentono le leggi elettorali, chi saranno coloro che deci­ deranno. Non a caso il divieto del mandato imperativo,18 ben più che un conno­ tato accidentale, è tutt’uno con la nozione stessa di democrazia rappresentativa, non essendo neppure possibile preigurare, al momento delle elezioni, le deci­ sioni che saranno prese dagli eletti. Anche nella democrazia diretta, tuttavia, si decide comunque a maggioranza, e chi resta in minoranza risulta subordinato 14 Kelsen 1959 (n. 4), parte seconda, IV, A, b, 289. “Il principio di maggioranza, e pertanto l’idea di democrazia, è una sintesi delle idee di libertà e di eguaglianza” (ivi, B, b, 3). 15 Ibidem. 16 Kelsen 1959 (n. 4), B, b, 2, 291–292; ivi, 291: “Il massimo grado di libertà possibile, e cioè la maggiore approssimazione possibile all’ideale di autodeterminazione che sia compati­ bile con l’esistenza di un ordinamento sociale, è garantito dal principio che un mutamento dell’ordinamento sociale richiede il consenso della maggioranza semplice di coloro che vi sono soggetti”. La stessa tesi quantitativa era stata formulata da Kelsen in Kelsen 1981 (n. 4), 46, ove il principio di maggioranza era stato fondato sull’ “idea che, se non tutti gli individui, almeno il più gran numero di essi sono liberi, il che vale a dire che occorre un ordine sociale che sia in contrasto col più piccolo numero di essi”. 17 L’idea che i rappresentanti esprimano la volontà degli elettori, scrive Kelsen, è “una inzione” e un’“ideologia politica” la cui funzione “è di nascondere la situazione reale, di mantenere l’illusione che il legislatore sia il popolo, nonostante il fatto che, in realtà, la funzione del popo­ lo – o, formulata più esattamente, del corpo elettorale – sia limitata alla creazione dell’organo legislativo” (Kelsen 1959 (n. 4), B, g, 296). 18 Stabilito per esempio dall’art. 67 della Costituzione italiana: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Il divieto del mandato imperativo fu formulato per la prima volta dalla Costituzione francese del 3 settem­ bre 1791: “I rappresentanti eletti nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un diparti­ mento particolare, ma dell’intera Nazione e non potrà essere dato loro nessun mandato” (art. 7 della sezione III, del capitolo I, del titolo III). 76 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu alla volontà eteronoma della maggioranza. La sola ipotesi di efettiva autode­ terminazione popolare si avrebbe perciò in una democrazia diretta in cui tutte le decisioni sono prese all’unanimità. Ma questo tipo di unanimismo, ove fosse verosimile, farebbe supporre una ben più grave distruzione dello spirito pubbli­ co: l’omologazione ideologica e la ine del pluralismo e del conlitto politico e perciò proprio della libertà.19 Ciò che caratterizza la democrazia, infatti, è non tanto il libero consenso, quanto soprattutto il libero dissenso. D’altra parte, come proprio Kelsen ci ha insegnato, il popolo è un sogget­ to collettivo, che può deliberare solo a maggioranza e per di più, nella demo­ crazia rappre sentativa, sulla sola ele zione dei suoi rappresentanti. L’equazione tra auto­nomia e meto do decisio nale fondato sui prin cipi di maggioranza e ra­ ppresentanza rischia quindi di assecondare una con ce zione comunita ria, orga­ nici stica ed olistica della de mocra zia basata sull’idea – chiaramente ideologica e gravida di implicazioni autoritarie e populiste – che il popolo sia un “corpo poli ti co”,20 una sorta di organi smo, un macro­sog getto, do tato di una propria vo lontà omo genea e che i principi della rap presen tan za e della mag gioran za, anzi ché sem plici con venzioni più d’o gni al tra idonee a determina re i sog get ti mag giormente rap pre senta ti vi, siano real mente le forme tra mite cui si espri­ me la volon tà gene rale e uni taria del popo lo quale soggetto a sua volta unita rio ed organi co.21 Lad dove, se abbandoniamo queste insidiose metafo re, dobbia mo 19 “Spesso, purtroppo”, scrive Bobbio, “le maggioranze sono formate non dai più liberi ma dai più conformisti. Di regola, anzi, tanto più alte sono le maggioranze, specie quelle che siorano l’unanimità, tanto più sorge il sospetto che l’espressione del voto non sia stata libera. In questo caso la regola della maggioranza ha prestato tutti i suoi servigi che le si possono chiedere ma la società di cui essa è lo specchio non è una società libera” (Bobbio 1999 (n. 5), La regola di maggioranza, 391). 20 Si ricordino i celebri passi di Rousseau: “Immediatamente, al posto della persona privata di ciascun contraente, que st'atto di as sociazione produce un corpo morale e collettivo, composto da tan ti membri quanti voti ha l'assemblea, il quale riceve da que sto stesso atto la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà. Questa persona pubblica, che si forma così dall’u­ nione di tutte le altre, prendeva un tempo il nome di città e prende ora quello di repubblica o di corpo politico... Riguardo agli associati, essi prendono collettivamente il nome di popolo” (Rousseau 1972 (n. 3), lib. I, cap. VI, 285); “Col patto sociale noi abbiamo dato l’esistenza e la vita al cor po politico; si tratta ora di dargli il movimento e la volontà con la legisla zio ne” (ivi, lib. II, cap. VI, 294). Questa idea dell’ “unità reale” di quanti hanno concluso il patto sociale e del “corpo politico” da questo generato, è del resto presente anche in Hobbes, in Locke e in Kant (si vedano i passi citati in PI, II, nota 11, 114–115) ed ha probabilmente contribuito al pregiudizio ideologico del rapporto organico tra rappresentanti e rappresentati. 21 “Ma che cos'è questo popolo?” si chiede Kelsen: “una plura lità di in divi dui senza dub bio. E sembra che la democrazia pre supponga, fonda mentalmente, che questa pluralità di individui costituisca un'u nità, tanto più che, qua, il popolo come unità è ­ o dovrebbe teoricamente es­ sere ­ non tanto oggetto quanto sog getto del pote re. Ma di dove possa risultare questa unità che appare col nome di popolo, resta pro blematico inché si conside rano soltanto i fatti sen­ sibili. Divi so da contrasti na zionali, religiosi ed eco nomici, il popolo ap pare, agli occhi del sociolo go, piuttosto come una molteplicità di gruppi distinti che come una massa coerente di uno e di un medesimo stato di ag glomerazio ne” (Kelsen 1981 (n. 4), cap. II, 50–51). 77 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu ri cono scere, come scrisse Hans Kelsen in polemica con Carl Schmitt, che una sifatta volontà unitaria non esi ste,22 e la sua as sun zione ideologica serve solo a legittimare il potere assoluto della mag gio ranza, destinata magari a incarnarsi in un capo, e ad occultare la plu ralità de gli interes si e delle opinioni e il conlitto di classe da cui il cosiddetto “popolo” è attraversato.23 Ma allora anche l’idea della democrazia politica come “autogoverno” – nella quale le teorie procedurali identiicano il fondamento assiologico della demo­ crazia – è un’idea fallace. La tesi classica e dominante secondo cui essa consi­ sterebbe, come scrissero Rousseau e Kant, nel non obbedire ad altre leggi che a quelle che noi stessi ci siamo prescritte, o anche, come scrisse Kelsen, nell’accor­ do fra volontà individuale e volontà collettiva è una tesi chiaramente ideologica, che allude a un’ipotesi che nel migliore dei casi è inverosimile e nel peggiore è pesantemente illiberale. Possiamo ben caratterizzare i diritti politici come “dirit­ ti di autonomia politica”.24 Ma è chiaro che “autonomia” non designa afatto, in questa espressione, l’autogoverno politico, ossia la soggezione alle leggi prodot­ te da se medesimi. Le leggi, tutte le leggi, restano pur sempre eteronome, anche per la maggioranza. Ne consegue che il solo signiicato che può essere associato all’“autonomia” assicurata dai diritti politici è la libera autodeterminazione del loro esercizio, che si manifesta nel consenso e ancor più nel dissenso; nella libe­ ra adesione, ma anche, e più ancora, nella libera opposizione; nella condivisione ma anche nella critica e nel conlitto politico da essa legittimamente generato. Insomma, il solo fondamento assiologico della dimensione formale o poli­ tica della democrazia è l’uguaglianza, determinata dal sufragio universale, in quella speciica classe di diritti fondamentali che è formata dai diritti politici. Non dimentichiamo che la democrazia non è stata un valore condiviso ino al secolo XX. La stessa idea di “autonomia”, quale fondamento del sufragio ri­ stretto, è stata associata dal pensiero liberale sette­ e ottocentesco più illumina­ to, a causa del riiuto da essi opposto al principio di uguaglianza, unicamente ai cittadini istruiti e/o proprietari perché considerati i soli capaci di autentica autodeterminazione.25 E’ stato quindi il valore connesso all’uguaglianza, a sua 22 Hans Kelsen, Chi deve essere il custode della costituzio ne? (1931), § 10, tr. it. in Hans Kelsen, La giustizia costituzionale, Carmelo Geraci (a cura di), Mila no, Giufrè 1981, 277 23 Ivi, 275: l’idea che il popolo sia “un collettivo unitario omogeneo”, accomunato da “un inter­ esse collettivo unitario che si esprime in una volontà collettiva unitaria”, serve a “mascherare il contrasto d’interessi, efettivo e radicale, che si esprime nella realtà dei partiti politici e nella realtà, ancor più importante, del conlitto di classe che vi sta dietro”. 24 Così li ho chiamati in PI, I, § 11.4, 744–747, nella deinizione D11.17. Di questa nozione ho dimostrato, con la tesi T11.72, l’equivalenza con quella di “diritti politici”. 25 Pazé 2011 (n. 13), 28–29. “Tutto i cittadini”, scrisse Montesquieu, “decono avere il diritto di dare il loro voto per scegliere il rappresentante, eccettuati quelli che sono di così bassa con­ dizione che si ritiene non abbiano volontà propria” (Charles de Montesquieu, Lo spirito delle leggi (1748), Sergio Cotta (tr. it. a cura di), Torino, Utet, 1952, II, lib. XI, cap. VI, 281). E. Kant: “Colui che ha il diritto di voto in questa legislazione si chiama cittadino … La qualità che a 78 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu volta associato a quello della dignità della persona, che ha determinato il muta­ mento, da negativo in positivo, del giudizio sulla democrazia. Sufragio univer­ sale e principio di maggioranza si sono così afermati come la tecnica più d’ogni altra democratica nella selezione dei governanti: perché tale metodo consente che a questa partecipino in condizioni di uguaglianza tutti i governati; perché esso favorisce il pluralismo politico e ideologico, nonché il conlitto tra opzio­ ni e concezioni diverse degli interessi generali; perché accorda rappresentanza al dissenso e lascia spazio all’organizzazione dell’opposizione politica e sociale; perché rende possibili una qualche forma di controllo popolare e di responsa­ bilità dei rappresentanti, sia pure solo attraverso la loro non rielezione, e le pos­ sibili alternative di governo; perché inine, congiuntamente ai diritti di libertà, esso vale a promuovere la partecipazione popolare e lo sviluppo del dibattito e dell’opinione pubblica da cui sono condizionate sia la formazione delle maggio­ ranze che le loro concrete decisioni. Naturalmente la realizzazione più o meno soddisfacente di queste inalità dipende in gran parte dalle leggi elettorali, che sono le leggi di attuazione e di garanzia dei diritti politici. L’importante è che si rifugga dalle due fallacie ideologiche qui rilevate e dal surplus di legittimazione ideologica impropria da esse prestato al potere politico: l’idea che la volontà po­ litica espressa con metodo democratico sia una volontà buona e giusta e quella, non meno insidiosa, che essa consista nell’autogoverno popolare. 3 LA DIMENSIONE SOSTANZIALE DELLA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE. TEORIA GIURIDICA DELLA VALIDITÀ E TEORIA POLITICA DELLA DEMOCRAZIA La seconda e ancor più importante lezione che può essere tratta dal rico­ noscimento delle tre aporie all’inizio illustrate è che il connota to formale e procedurale espresso dalla forma rappresentativa delle decisioni politiche, pur essendo necessario, non è suiciente, né sul piano empirico, ossia con riferi­ mento alle odierne democrazie costituzionali, né sul pia no teorico, con rife­ ciò si esige, oltre a quella naturale (che non sia un bambino, né una donna, è questa unica: che egli sia padrone di sé (sui iuris) e quindi abbia una qualche proprietà… che gli procuri i mezzi per vivere; e ciò nel senso che, nei casi in cui per vivere deve acquistare beni da altri, egli li acquisti solo mediante alienazione di ciò che è suo e non per concessione che egli faccia a altri dell’uso delle sue forze; quindi che egli non serva nel senso proprio della parola a nessun altro che alla comunità” (Kant, Sopra il detto comune, in Kant 1965 (n. 5), II, 260–261). Si veda tuttavia, sui percorsi attraverso i quali l’idea della democrazia come valore positivo venne af­ fermandosi nel pensiero illuminista napoletano della ine del Settecento, Dario Ippolito, Le dimensioni della ‘democrazia’: un itinerario meridionale tra illuminismo e repubblicanesimo, in AntonioTrampus (a cura di), Parole e linguaggi del tardo illuminismo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011. 79 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu rimento alla stessa nozione di democrazia politi ca, a deinire la democrazia. Proprio perché la dimensione formale della democrazia non garantisce afatto né la bontà delle decisioni politiche, né la loro corrispondenza alla (supposta) volontà popolare, perché un sistema sia demo crati co, si richiede che alla mag­ gio ranza sia almeno sot tratto il potere di sopprimere le minoranze e comunque il potere delle possibili, future maggioranze. Ma questo è un connotato sostan­ ziale, che ha a che fare con il con tenuto delle decisioni, e che quindi contrad di ce la tesi secondo cui la democrazia consisterebbe uni camente in un metodo, cioè nelle regole procedurali che assicurano la rappresentatività popolare delle deci­ sioni tramite sufragio universale e principio di maggioranza. Indubbiamente, connotati sostanzia li di questo tipo, necessari a ga ranzia dello stesso metodo democra tico e dei loro svariati e complessi presup posti, sono stati teorizzati, nello stato liberale e legislativo di diritto: ma come limiti politici o esterni e non anche come limiti giuridici o interni. La democrazia costituzionale ha trasfor­ mato questi limiti politici o esterni in limiti e regole giuridiche o interne. E’ stata questa la grande invenzione del costituzionalismo garantista del secondo dopoguerra europeo.26 Ne è risultato un paradigma com plesso – la democrazia costituzionale – che accanto alla dimensione politica o formale include an che una dimensione che ben possiamo chiamare sostanziale, dato che riguarda i contenuti, ossia la sostanza delle decisioni: ciò che a qualunque maggioranza è da un lato vieta to e dall’altro è obbligatorio de cidere. Per comprendere questo mutamento di paradigma della democrazia e dello stato di diritto, conviene rilettere sul cambiamento in sede istituzionale e sulla revisione in sede di teoria del diritto, avvenuto con il paradigma costituzionale, delle condizioni di validità – sostanziali, ol tre che formali – della produzione legislativa.27 Esiste infatti un nesso biunivoco tra il mutamento strutturale di tali condizioni nel vecchio stato legislativo di diritto e il mutamento strutturale della democrazia generati entrambi dal paradigma del costituzionalismo rigido. Esiste, più in generale, un nesso isomorico, troppo spesso ignorato, tra le con­ dizioni giuridiche di validità – quali che siano, democratiche o non democrati­ che – e le condizioni politiche di legittimità dell’esercizio del potere normativo: in breve, tra diritto e politica e tra teoria del diritto e teoria politica. E’ il nesso 26 In alternativa alle misure illiberali della “democrazia protetta” adottate, come ricorda Pazé 2011 (n. 13), 92–93, dalla Legge fondamentale tedesca del 1949: come il divieto previsto dall’art. 9 delle associazioni “dirette contro l’ordinamento costituzionale o contro il principio della comprensione dei popoli”; la perdita dei diritti di libertà prevista dall’art. 18 per chi ne abusa “per combattere l’ordinamento fondamentale democratico e liberale”; la messa al bando come “incostituzionali”, stabilita dall’art. 21, dei partiti che “per le loro inalità o per il com­ portamento dei loro aderenti tentano di pregiudicare o eliminare l’ordinamento fondamentale democratico”. 27 Cfr. Ferrajoli 2008 (n. 8), cap. XIII, 895–909, 917, 926; Luigi Ferrajoli, Il di ritto come sistema di garanzie, in Ragion pratica, I, 1993, 143–161; Vitale 2011 (n. 4), I, 18–22, II, 145–50 e III, 318–332; PI, I, cap. IX, §§ 9.10–11, 530–542. 80 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu che fa della teoria politica un’interpretazione semantica, appunto ilosoico­po­ litica, dell’apparato concettuale elaborato dalla teoria del diritto. La teoria del diritto, infatti, ci dice che cosa è la validità: non quali sono o quali è giusto che siano le condizioni della validità delle norme – che è quanto che ci dicono le discipline giuridiche dei diversi ordinamenti e le diverse ilosoie politiche della giustizia – ma in che cosa tali condizioni consistono. Ce lo dice, in quanto te­ oria pura o formale, con la deinizione del concetto di validità: è valida, in un dato ordinamento, qualunque norma prodotta in conformità alle norme di tale ordinamento sulla sua produzione. La teoria politica della democrazia ci dice invece quali sono o devono essere, in democrazia, le forme appunto democra­ tiche della produzione normativa e in generale delle decisioni politiche. Ma la stessa cosa farebbe una teoria politica dell’autocrazia: l’identiicazione delle forme autocratiche – per esempio, il principio quod principi placuit legis habet vigorem, inteso ‘princeps’ quale organo monocratico dotato di potere assoluto e ‘vigorem’ nel senso di ‘validitatem’ – della produzione delle norme e più in generale delle supreme decisioni politiche. Questo isomorismo esiste chiaramente tra teoria kelseniana della democra­ zia politica e teoria kelseniana della validità, l’una e l’altra ancorate alle forme della produzione giuridica e perciò al carattere formale o procedurale dell’una e dell’altra. Sia Kelsen che Bobbio hanno infatti formulato una nozione puramen­ te formale di validità delle norme, identiicandola con la loro esistenza, legata a sua volta alle forme stabilite dalle norme sulla loro formazione.28 Di qui, da questa nozione formale di validità, la loro concezione parimenti formale o pro­ cedurale della democrazia, consistente in nient’altro che nel carattere democra­ tico di tali forme, cioè delle norme – dal sufragio universale al principio di ma­ ggioranza – sulla produzione normativa. Se è vero che la validità delle norme dipende dalla loro produzione nelle forme prestabilite dalle norme sulla loro formazione, allora la democrazia politica non può essere altro, per Kelsen come per Bobbio, che la democratizzazione di tali forme, cioè del “chi” e del “come” delle decisioni, aidate a governanti eletti con sufragio universale e deliberate a maggioranza. Ma è proprio l’isomorismo tra la nozione giuridica di validità e la nozione politica di esercizio legittimo del potere che suggerisce, negli odierni ordina­ menti dotati di costituzione rigida, l’identiicazione, accanto alla dimensione formale o procedurale della democrazia, di una non meno importante dimen­ sione sostanziale, generata dalle più complesse condizioni in essi richieste alla validità delle norme. Le costituzioni rigide hanno infatti cambiato le condizioni di validità delle leggi, che hanno connesso non più solo al “chi” e al “come”, cioè alla forma di produzione delle decisioni, ma anche al “che cosa”, cioè alla 28 Sul punto rinvio alle prime risposte sviluppate nella conversazione con Juan Ruiz Manero, qui riportata nel capitolo IV. 81 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu sostanza o al contenuto delle decisioni prodotte. Ne consegue, in aggiunta alla dimensione formale, una dimensione sostanziale così della validità come del­ la democrazia, che non ha nulla a che vedere con l’idea della volontà generale come volontà buona e giusta, ma semmai, al contrario, con l’idea, esattamente opposta, che è ben possibile che tale volontà non sia né buona né giusta. Questa seconda dimensione è stata innestata, nei nostri ordinamenti, dalla positiviz­ zazione in costituzioni rigide, quali norme sostanziali sulla produzione legisla­ tiva, dei diritti fondamentali e di altri principi di giustizia, come il principio di uguaglianza, la dignità della persona e simili. Conseguentemente, diremo, nelle democrazie costituzionali continua ad essere vero che quod principi placuit le­ gis habet vigorem, inteso “vigore” nel senso di “esistenza”, ma non è più vero che esso abbia altresì validitatem, potendo ben accadere che una norma formal­ mente valida perché prodotta nelle forme normativamente previste sia tuttavia sostanzialmente invalida perché in contrasto con le norme costituzionali. Viene insomma meno, con il paradigma costituzionale, la vecchia coinci­ denza tra validità e vigore (o esistenza) delle norme che è il tratto distintivo dello stato legislativo di diritto e un postulato del paleo­giuspositivismo, e che fu stranamente e costantemente difeso da Kelsen, cui pure si deve la teoriz­ zazione della struttura a gradi dell’ordinamento e del controllo giurisdizionale sull’incostituzionalità delle leggi. Ma di nuovo, nel paradigma della democrazia costituzionale, possiamo registrare l’isomorismo che anche in materia sostan­ ziale lega validità e democrazia: i limiti e i vincoli sostanziali, cioè di contenuto, imposti dai diritti fondamentali alla volontà delle maggioranze, valgono infatti a condizionare la validità giuridica delle norme non più solo alle loro forme ma anche ai loro contenuti; non più solo alla loro conformità alle norme formali, ma anche alla loro coerenza con le norme sostanziali sulla loro produzione. Ed è chiaro che questa nuova dimensione sostanziale della validità retroagisce sulla struttura della democrazia e dell’esercizio democratico del potere, la cui legitti­ mazione non è più solo politica o formale, cioè fondata sul sufragio universale e sul principio di maggioranza, ma anche legale o sostanziale, cioè fondata sul rispetto e sull’attuazione delle norme costituzionali sostanziali.29 29 Non è inutile precisare, a scanso di equivoci, che anche i concetti di “validità sostanziale” e di “norme sostanziali sulla produzione” – come del resto di “diritti fondamentali” – sono, al pari di quello di “validità formale” e di tutte le nozioni della teoria del diritto, nozioni “formali” nel senso metateorico del termine “formale”. Essi non ci dicono quali sono o quali è giusto che siano i contenuti o la sostanza dettati dalle norme sostanziali, ma solo che si tratta appunto di contenuti vincolanti per le fonti inferiori. Sarebbero norme sostanziali anche le norme costituzionali di un ordinamento totalitario che, per esempio, imponessero una religione o un’ideologia di stato e ne imponessero il rispetto sia alle leggi, quali condizioni di validità so­ stanziale, che alle libertà dei cittadini. L’isomorismo tra teoria giuridica della validità e teoria politica – della democrazia costituzionale, ma anche di altre forme di governo – è anche in questi casi innegabile. 82 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu E’ pertanto nella virtuale e strutturale divaricazione tra la validità e il vigore, cioè tra il dover essere costituzionale e l’essere legislativo del diritto medesimo, che consiste il mutamento di paradigma, così del diritto come della democra­ zia, generato dall’odierno costituzionalismo rigido. Nella democrazia solamente politica propria del vecchio stato legislativo di diritto, la legge era la fonte su­ prema e insindacabile della produzione giuridica, le maggioranze parlamentari erano onnipotenti e la validità delle leggi si identiicava con la loro esistenza. La positivizzazione costituzionale dei diritti fondamentali sottopone anche il legis­ latore a limiti e a vincoli sostanziali, rompendo la presunzione di legittimità del diritto e aprendo lo spazio ad antinome per l’indebita produzione di leggi invalide e a lacune per l’indebita omissione di leggi dovute. In questo senso essa equivale a un completamento sia del positivismo giuridico che dello stato di diritto: perché positivizza il dover essere giuridico del diritto medesimo e per­ ché sottopone al diritto anche quell’ultimo residuo di governo degli uomini che consisteva nell’onnipotenza del legislatore. Il paradigma costituzionale dello stato di diritto ne risulta rideinito sulla base di due postulati corrispondenti a due classi di garanzie, le une primarie e le altre secondarie. Il primo postulato, identiicabile con il principio di legalità, impone che ovunque ci sia un potere devono esserci norme primarie, formali e sostanziali, che ne regolino l’esercizio sottoponendolo ai limiti e ai vincoli, cioè ai divieti e agli obblighi, nei quali consistono le garanzie primarie, negative e positive, dei diritti fondamentali costituzionalmente stipulati. Il secondo postu­ lato, identiicabile con il principio di giurisdizionalità, impone che ovunque ci siano norme primarie, formali o sostanziali, devono esserci anche norme secon­ darie che predispongano l’attivazione di garanzie secondarie o giurisdizionali in grado di rimuovere o riparare le possibili violazioni delle norme e delle garanzie primarie dei medesimi diritti. Entrambi i principi, come si vedrà più oltre, ri­ chiedono leggi di attuazione, in assenza delle quali ricorrono lacune, primarie o secondarie, responsabili dell’inefettività, a sua volta primaria o secondaria, dei diritti costitituzionalmente stabiliti.30 4 UN MODELLO QUADRIDIMENSIONALE DI DEMOCRAZIA: DEMOCRAZIA POLITICA, DEMOCRAZIA CIVILE, DEMOCRAZIA LIBERALE E DEMOCRAZIA SOCIALE E’ questa nuova complessità delle condizioni della validità generata dal paradigma costituzionale che retroagisce sulle condizioni della democrazia, 30 Sulle nozioni di garanzie primarie e garanzie secondarie, di norme primarie e di norme se­ condarie, di lacune primarie e lacune secondarie, di efettività e di inefettività primarie e secondarie, rinvio a PI, I, §§ 10.16–10.21, 668–701. 83 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu anch’esse non più solo formali, ma anche sostanziali. Si producono così due integrazioni, l’uno nel paradigma del diritto e l’altro in quello della democra­ zia, tra loro connesse e parallele. Come nel vecchio paradigma dello stato le­ gislativo di diritto, le condizioni della validità formale delle leggi sono le stesse della condizioni della democrazia formale, essendo soddisfatte le une e le altre dalla conformità delle leggi prodotte alle regole che ne determinano le forme democratiche: precisamente, il “chi” (le norme di competenza che attribuiscono i poteri di governo a organi rappresentativi) e il “come” (le norme procedurali sul sufragio universale e sul principio di maggioranza) della loro produzione. Tuttavia, accanto alla validità formale, il paradigma costituzionale richiede alle norme di legge anche una validità sostanziale, corrispondente perciò a quella che ben possiamo chiamare democrazia sostanziale, l’una e l’altra soddisfatte dalla coerenza dei signiicati, cioè del “che cosa”, ovvero della sostanza delle nor­ me prodotte, con i principi e i diritti costituzionalmente stabiliti Di qui la necessità di una rideinizione sia della validità che della democrazia in grado di dar conto del nuovo paradigma costituzionale dell’una e dell’altra. Secondo questa rideinizione, il carat tere rap presentati vo di un siste ma politi­ co, assi curato dal suf ragio universale e dal principio della maggioran za, è solo una condizione della validità delle leggi e solo un connotato della demo cra zia. Esso designa, della democrazia, la sola di men sione politica, relativa al “chi” e al “come” delle decisioni pubbliche, cioè alle loro forme democratiche, basate appunto sui diritti politici di autodeterminazione nella sfera pubblica. Ma a que­ sta prima dimensione formale, certamente necessaria, altre ne vanno aggiunte per dar conto della complessità degli odierni ordinamenti democratici. Va aggiunta innanzitutto una seconda dimensione formale, relativa al “chi” e al “come” delle decisioni, non già pubbliche ma private: quella che ho chia­ mato la dimensione civile della democrazia, basata su quegli speciici diritti di autodeterminazione nella sfera privata cui ho riservato il nome diritti civili e a quella speciica forma di produzione diretta e spontanea del diritto da parte di tutti i soggetti capaci d’agire che è l’autonomo esercizio di tali diritti. C’è in proposito un equivoco nella tradizione liberale, che ha lungamente pesato nella concezione e nella costruzione dello “stato di diritto”. Contrariamente alla loro conigurazione corrente come “diritti di libertà”, risalente a John Locke, questi “diritti di autonomia” sono infatti poteri, oltre che diritti fondamentali, dato che il loro esercizio consiste, diversamente da quello dei diritti di libertà, in atti precettivi produttivi di efetti normativi anche nella sfera giuridica altrui.31 31 Ho insistito più volte sulla critica della nozione corrente di “diritti civili” nella quale, da Locke a Marshall, vengono di solito inclusi e valorizzati indistintamente i diritti fondamentali di lib­ ertà, i diritti fondamentali di autonomia privata e il diritto reale di proprietà, nonché sulla dis­ tinzione strutturale tra i primi, consistenti in mere immunità o facoltà, i secondi consistenti in poteri il cui esercizio incide nella sfera giuridica altrui e i terzi consistenti in diritti singolari excludendi alios: cfr. Luigi Ferrajoli, Teoria assiomatizzata del diritto. Parte generale, Milano, 84 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu Non si tratta infatti di diritti il cui esercizio, come quello dei diritti di libertà, non produce efetti nella sfera giuridica altrui, bensì di diritti il cui esercizio in­ terferisce, a causa degli efetti obbligatori da esso introdotti, con le libertà degli altri. Per questo gli atti con cui sono esercitati, al pari di quelli che sono eser­ cizio diretto o indiretto dei diritti politici, sono sottoposti a regole sulla loro formazione le quali, disci plinando le loro forme, possono ben essere chia ma­ te norme formali sulla produzione. In base a queste regole la validità formale e insieme la legittimità demo cratica di tutte le deci sioni giuridiche si fon da su procedure ido nee a ga ran tire che esse siano espressione dell’autonomia dei loro destinatari: indirettamente della loro autonomia politica, direttamente della loro dell’autonomia civile. Ma, soprattutto, va aggiunta, alla dimensione formale della democrazia ba­ sata sui diritti politici e sui diritti civili, una dimensione sostanziale, relativa al “che cosa”, cioè alla sostanza delle decisioni, sia pubbliche che private. Nelle od­ ierne democrazie dotate di costituzione rigida, infatti, il rispetto delle regole sulla forma delle decisioni, a cominciare dalle leggi, è necessario ad assi cura­ rne il vigore e la validità formale, ma non è suiciente a garantirne la va lidità sostanziale. Perché una legge sia valida è altresì neces saria la coerenza dei suoi signi icati con regole e principi che ben possiamo chiamare norme so stanziali sulla produzione dato che investono, appunto, i contenuti e perciò la sostanza delle deci sioni. Queste regole sono quel le stabilite di so lito nel la prima parte delle carte costitu zio nali: i diritti fon damentali, il princi pio di uguaglianza, il principio della pace e simili, cui corrispondono altrettanti limiti o vincoli di contenuto ai pote ri di maggioran za. Precisa mente, i diritti fon damentali consi­ stenti in aspettative negati ve ­ come sono tutti i dirit ti di libertà e i diritti di au­ tonomia ­ sono diritti soggettivi che impongono limiti, cioè divieti di lesione, la cui violazione ge nera antino mie; i diritti fondamen tali consi stenti in aspettative positive ­ come sono tut ti i di ritti socia li ­ sono invece dirit ti che im pongono vincoli, cioè obblighi di pre stazione, la cui inottemperanza genera lacune.32 Giufrè, 1970, cap. II, § 5.2. 99–105; Ferrajoli 2008 (n. 8), § 60, 950–957; Luigi Ferrajoli, Il diritto privato del futuro: libertà, poteri, garanzie, in Pietro Perlingieri (a cura di), Il diritto privato del futuro, Napoli, Esi, 1993, 13–30; Luigi Ferrajoli, Tre concetti di libertà, in Democra­ zia e diritto, Motivi della libertà, 2001, 169–185; Vitale 2001 (n. 4), I, 12–18, II, 134–145 e III, 288–297; Luigi Ferrajoli, Contra los poderes salvajes del mercado. A favor de un constiucio­ nalismo de derecho privado (2001) in Democracia y garantismo, Miguel Carbonell (a cura di), Madrid, Editorial Trotta, 2008; Luigi Ferrajoli, Proprietà e libertà, in Parolechiave, n. 30, 2003, 13–29; Luigi Ferrajoli, Per un costituzionalismo di diritto privato, in Rivista critica del diritto privato, anno XXII, n. 1, marzo 2004, 11–24; Luigi Ferrajoli, Diritto civile e principio di legalità in Europa e diritto, n. 3, 2005 e in AA.VV., Il diritto civile oggi. Compiti scientiici e didattici del civilista, Napoli, ESI, 2006, 81–91; e, soprattutto, PI, I, §§ 1.6, 10.10, 11.6–11.8, 132–134, 635–638, 752–772 e PI, II, §§ 13.17, 14.14 e 14.20, 83–85, 224–230, 254–266. 32 “Diritto soggettivo” è stato deinito – in PI, I, § 10.11, D10.20, 641 – quale aspettativa posi­ tiva a prestazioni o negativa di non lesioni. ‘Diritto fondamentale’ è stato deinito ivi, § 11.1, D11.1, 727, quale diritto soggettivo attribuito a tutti in quanto persone, o cittadini e/o capaci 85 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu In tutti i casi i diritti fondamentali costituzionalmente sta biliti sono norme sostanziali sulla produzione normativa. Sono, in primo luogo, “norme” essi stessi, essendo conferiti in via generale ed astratta ai loro titolari, diversamente dai diritti patrimoniali, ipotizzati invece dalle norme come efetti degli atti da esse previsti: il diritto di libera manife stazione del pensiero, per esempio ­ di­ versamente da un diritto patrimonia le quale è per esempio il diritto reale di proprietà, che non è mai esso stesso una norma ma è sempre predispo sto da una norma quale efetto degli ipotetici atti da essa previ sti ­ altro non è che (il signii cato del)la norma co stitu zionale che enuncia tale diritto. Sono, in se­ condo luogo, norme “sostanzia li” sulla produzione di norme, nel senso che di­ sciplinano non già la for ma, bensì il signiicato, cioè la sostanza delle norme prodotte, condi zionan done la validità alla loro coerenza con i diritti e i principi di giustizia tra mite esse formulate. Ebbene, l’insieme di queste norme sostanziali circoscrive quella che ho più volte chiamato la sfera del non decidibile:33 la sfera dell’inde cidibile che, deter­ minata dall’insieme dei di ritti di libertà e di autonomia, i quali precludono, in quanto aspettative negative, decisioni che possano lederli o ridurli; la sfera del­ l’indecidibile che non, determinata dall’insieme dei diritti sociali, i quali impon­ gono, in quanto aspettative positi ve, deci sioni dirette a soddisfarli. Solo ciò che resta fuori da que sta sfera è la sfera del decidibile, all’interno della quale è legit­ timo l’esercizio dei diritti di autonomia: dell’au tonomia politica, mediata dalla rappresentanza, nella pro duzione delle decisioni pubbliche; dell’autonomia pri­ vata, direttamente sul mercato, nella produzione delle decisioni priva te. Limiti e vincoli espressi da norme sostanziali, ben al di là delle deboli regole in materia di lavoro o di tutela dell’ambiente e dei consumatori, andrebbero peraltro in­ trodotti anche a quei diritti­potere che come si è detto sono i diritti civili di autonomia privata, onde impedirne l’odierno carattere sregolato e selvaggio, re­ sponsabile, come si vedrà più oltre di gravissime crisi economiche che rischia­ no di trasformarsi in crisi della democrazia. Principio di maggioranza e libertà d’impresa, discrezionalità pubblica e disponibilità privata, deliberazione degli indirizzi politici e autodetermi nazione privata sono insomma le re gole che pre­ siedono alla sfera del decidibile. Ma incontrano limiti e vin coli invalicabili nella sfera dell’indecidibile disegnata dalle norme sostanziali sui diritti fondamentali d’agire. I ‘diritti di libertà’ e i ‘diritti di autonomia’ sono stati deiniti ivi, § 11.4, 742–747, quali diritti fondamentali negativi consistenti gli uni, in base alla D11.15, nella somma logica dei diritti primari di ‘libertà da’ e dei diritti primari di ‘libertà di’ deiniti dalle D11.12 e D11.13, e gli altri, in base alla D11.14, nei diritti­potere equivalenti, in base alla tesi T11.69, ai diritti secondari deiniti dalla D11.5. I ‘diritti sociali’ sono stati deiniti, ivi, 742, dalla D11.10, quali diritti fondamentali positivi a prestazioni pubbliche. Inine, le nozioni di ‘antinomie’ e di ‘la­ cune’ sono state deinite dalle deinizioni D10.43 e D10.44, ivi, § 10.19, 684–691. 33 Da ultimo in PI, I, § 11.8, 819–824 e § 12.6, 872–876; PI, II, § 13.4, 19 e § 15.1, 304. 86 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu onde garantire, secondo la formula kantiana, la paciica convivenza delle libertà di tutti. Ne risulta un modello quadri­dimensionale di democrazia, ancorato alle quattro classi di diritti nelle quali possono essere distinti tutti i diritti fonda­ mentali: i diritti po litici, i diritti civili, i diritti di libertà e i diritti so cia li. I primi due tipi di diritti, cioè i diritti politici e i di ritti civili che ho chiamato “seconda­ ri”, o “formali” o “strumen tali”, assicurando gli uni l’autonomia politica e gli altri l’autonomia privata, valgono a fondare la legittimità della for ma delle decisioni, rispetti vamente nella sfera della politica e in quella dell’economia, e perciò la di­ mensione forma le della democrazia: da un lato la democrazia politica, dall’altro la democrazia civile. Gli al tri due tipi di diritti, cioè i diritti di libertà e i diritti so ciali che ho chiamato “primari”, o “sostanziali” o “inali”, riguardando ciò che al l’autonomia sia politi ca che privata è vie tato o obbli gato rio decidere, valgono a fon dare la legittimità della sostanza delle decisioni e perciò la dimensione so­ stanziale, in negativo e in positivo, del la democrazia: da un lato la democrazia li­ berale o liberal­democrazia, dall’altro la democrazia sociale o social­democrazia. E’ su queste quattro dimen sioni, tutte necessarie e congiuntamente sui cienti, che si basa il pa radigma dell’odierna “democrazia costitu zionale”, in forza del qua le è sottratto a qualunque potere, sia pubblico che privato, la disponibilità dei diritti fondamentali e degli altri prin cipi costi tu zionali: come la divisione dei poteri, l’indipen denza della giu risdizione e le varie igu re di incompatibilità volte a impedire con litti d’interesse. E’ chiaro che tutti questi diritti e principi stipulati come limiti e vincoli ai pubblici poteri consistono in valori morali e politici di giustizia altamente con­ divisibili, Di qui, secondo molti autori, l’idea che la loro costituzionalizzazione avrebbe posto in crisi il principio giuspositivista della separazione tra diritto e morale e prodotto una rinnovata connessione tra le due sfere. Alla base di questa convinzione c’è evidentemente l’idea che esista non già una pluralità di concezioni morali e politiche diverse e magari tra loro in conlitto, bensì la morale; e che questa si identiichi, in tutto o in parte, con l’insieme dei valori stabiliti dalle nostre costituzioni democratiche. I principi formulati nelle nostre costituzioni – l’uguaglianza, la libertà, i diritti fondamentali ­ non sono quindi, per quanti sostengono una simile idea, semplicemente valori di giustizia da essi condivisi e fermamente difesi, bensì principi e contenuti di giustizia “veri” e, in qualche misterioso senso della parola, “oggettivi”. La connessione tra diritto e morale da essi teorizzata si risolve così in un tendenziale giusnaturalismo co­ niugato con quella variante del legalismo etico che è il costituzionalismo etico: cioè in una concezione esattamente opposta a quella qui sostenuta del costitu­ zionalismo come positivismo giuridico raforzato, in forza della positivizzazio­ ne anche delle scelte che devono presiedere alla produzione del diritto positivo medesimo. 87 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu In base a questa seconda concezione la costituzionalizzazione di principi di giustizia non incide minimamente sulla separazione giuspositivista tra diritto e morale. La tesi della separazione, infatti, è semplicemente un corollario del principio di legalità quale norma di riconoscimento del diritto positivo esisten­ te. Vuol solo dire che “diritto”, in un ordinamento nomodinamico, è tutto e solo ciò che è posto come tale dalle autorità giuridicamente abilitate a produrlo, qua­ le che sia – piaccia o non piaccia come giusto o come ingiusto – il suo contenuto normativo; che conseguentemente il diritto è altra cosa dalla morale, dato che la positività di una norma, sia pure di rango costituzionale, non ne implica la giu­ stizia, essendo sempre possibile che essa (da tutti o da alcuni o anche da taluno) sia giudicata ingiusta o immorale; che la tesi secondo cui la giustizia di una nor­ ma non è né una condizione necessaria né una condizione suiciente della sua validità registra “un dato di fatto”, come scrisse Herbert Hart richia mandosi a John Austin, “che consente ai giuristi di avere una maggiore chiarezza di idee”.34 La morale e la giustizia, per quanto (da noi) moralmente e politicamente condi­ visi siano i principi e e i valori stipulati in una costituzione, resta pur sempre un punto di vista esterno al diritto: il punto di vista morale e politico di ciascuno di noi, non oggettivo ma soggettivo, di adesione o di riiuto, in tutto o in parte, dei principi e dei valori costituzionalmente stabiliti. Ne è prova il fatto che quei principi e quei valori non sono afatto scontati, ma si sono tutti afermati sto­ ricamente – dall’uguaglianza alla libertà di coscienza, dal riiuto della pena di morte al principio della pace, dai diritti dei lavoratori ai diritti sociali alla salute e all’istruzione – contro principi e valori diametralmente opposti e condivisi da grandi maggioranze; che essi sono stipulati nel patto costituzionale di convi­ venza proprio perché, ancor oggi, non sono condivisi da tutti e vanno anzi po­ sti al riparo anche da contingenze e sempre possibili maggioranze; e che noi li difendiamo con tanta maggior forza e passione quanto più sperimentiamo che essi non sono afatto universalmente condivisi né tanto meno ritenuti ogget­ tivamente veri, ma sono al contrario costantemente violati, ignorati e perino negati o contestati. L’oggettivismo etico, contrariamente all’idea corrente secondo cui ofrireb­ be un più sicuro ancoraggio ai valori nei quali crediamo, rappresenta perciò il terreno più instabile e scivoloso, essendo stati su di esso sostenuti, con ar­ gomenti di fatto, i valori più opposti. Ma c’è un altro fattore che indebolisce anziché raforzare la difesa oggettivistica dei valori morali e politici come “veri”: l’inevitabile intolleranza come falsi dei valori ad essi opposti, non essendo tolle­ rabili tesi false come “2 + 2 = 4” o “la Rivoluzione francese è avvenuta nel 1889”. La tolleranza consiste infatti nel riconoscimento della legittimità e perino della giustiicabilità razionale dei diversi valori che si scontrano nel dibattito politi­ 34 Herbert L. A. Hart, Il positivismo e la separazione tra diritto e morale (1958), tr. it. in Herber L. A. Hart, Contributi all’analisi del diritto, Vittorio Frosini (a cura di), Milano, Giufrè, 1964, 116. 88 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu co. Di qui la contraddizione tra oggettivismo etico e liberalismo. Naturalmente, poiché di solito gli oggettivisti laici non sono afatto intolleranti, questa con­ traddizione è un argomento a contrario contro il loro oggettivismo etico. 5 IL PARADIGMA COSTITUZIONALE QUALE GARANZIA DELLA DEMOCRAZIA. IL GARANTISMO COME L’ALTRA FACCIA DEL COSTITUZIONALISMO Ma torniamo all’analisi della struttura normativa e garantista del paradigma costituzionale. Si ca pisce come la concezione complessa e multidimensiona le della democra zia in qui delineata sia in grado di superare le tre aporie gene rate dalla sua nozione puramente politica o formale. Solo l’imposizione di limiti e vincoli ai poteri della maggioranza e del mercato ad opera di norme costitu­ zionali ad essi rigidamente sopra­ordinate è infatti in grado non solo di dar conto della dimensione sostanziale delle odierne democrazie costituzionali, ma anche di porre al riparo da sé me desima, cioè dagli eccessi di poteri illi mita ti e virtualmente selvaggi, la stessa democrazia politica o formale. Non a caso, del resto, il costituzionalismo è un nuovo paradigma sia del dirit­ to che della democrazia, generato, come si è detto, da una rifonda zio ne dell’uno e dell’altra a seguito delle tragedie che hanno funestato la prima metà del secolo scorso: i totali tari smi e le guerre mondiali. Si capì allora che il potere della mag­ gioranza, che aveva consentito l’avvento delle dit tature, non garantisce la qualità del sistema po liti co e neppure la sopravvivenza della stessa democrazia politica. E si ri scoprì quindi il signiicato di “co stituzione” come limite e vin colo ai pu­ bblici poteri stipulato un secolo e mezzo prima dal l’art.16 della Dichia razione del 1789: “Ogni società nella quale non sono assicu rate la garanzia dei diritti né la sepa ra zione dei po teri non ha co stituzione”; che sono esattamente i due principi – la garanzia dei diritti fondamentali e la separazione dei poteri – che il fascismo aveva negato e che del fascismo sono la negazione. Di qui la stipulazi­ one, nelle costituzioni rigide del secondo dopoguerra e simultaneamente nella Carta dell’Onu e nelle tante carte internazionali sui diritti, di ciò che nessuna maggioranza può fare e di ciò che qualunque maggioranza deve fare, cioè la non derogabilità, ad opera delle maggioranze, dei patti costituzionali e delle loro clausole, a co min ciare dai diritti fondamentali. Di qui il mutamento di pa­ radigma sia del diritto che della politica: da un lato delle condizioni di validità delle norme di legge, non più limitate alle forme ma estese anche ai contenuti della produzione normativa, dall’altro i limiti sostanziali imposti alla politica e alla democrazia politica dai diritti costituzionalmente stabiliti. Non solo. Il paradigma della democrazia costitu zionale, proprio grazie a questa sua dimensione sostanziale, è in grado di integrare e, per così dire, di 89 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu raforzare la stessa no zio ne di “democrazia politica” e quella che è alle sue spalle di “sovra nità popola re”. Tutti i diritti fondamentali ­ i diritti di liber tà e i dirit ti sociali, al pari di quelli po litici e civili ­ sono infatti alla base dell’u guaglianza, che è ap punto un’uguaglianza en droits, ed al ludono quindi, in maniera ancor più pregnante dello stesso principio di maggioranza, al “popo lo” intero, riferen­ dosi a poteri e ad aspettative di tutti. Che cosa comportano, infatti, le due tesi più sopra illustrate, a) che i diritti fondamentali non sono predisposti da norme, ma sono essi stessi norme, e b) che tali norme, nelle democrazie co stituzionali, sono incluse nelle costituzioni come altrettante norme sostanziali sulla produ­ zione di grado sopraordinato a qua lunque altra? Comportano, rispettivamente, due im pli cazioni, entrambe di enor me portata ai ini di una teoria nor ma tiva non solo della demo crazia costituzionale, ma della stes sa democrazia politica. La prima implicazione è che della parte sostanziale delle co stituzioni sono titolari – “titolari”, si badi, e non semplice mente “destinatari” –, perché titolari dei diritti fonda mentali da essa conferiti, tutti i soggetti cui i diversi tipi di diritti fondamentali sono costitu zionalmente ascritti.35 Dire che i dritti fondamentali costituzionalmente stabiliti sono norme equivale infatti a dire che la parte so­ stanziale della costituzione è “imputata”, nel senso tecnico­giuridico del termi­ ne, a tutti e a cia scuno, cioè al popolo intero e ad ogni persona che lo compone. Di qui la “na turale” rigidità delle costituzioni:36 i diritti fondamen tali, e quindi le norme costituzionali in cui essi consi stono, proprio perché sono dirit ti di tut ti e di ciascuno, non sono sopprimibili né ridu cibili a maggio ranza. La maggioran­ za, infatti, non può di sporre di ciò che non le appar tiene. Se tutti e ciascuno siamo ti tolari del la costitu zione per ché ti to lari dei di ritti fon da mentali in essa ascritti, la costi tu zione è patrimo nio di tutti e di ciascu no, e nessuna mag gioran­ za può manometterli se non con un col po di stato e una rottura ille git tima del patto di convi venza. Per questo, una vol ta stipu lati costitu zio nalmen te, i diritti fonda mentali non sono nella disponibilità della mag gioranza e do vrebbero es­ sere sottratti anche al po tere di revi sione: o, me glio, dovrebbe es serne ammesso solo l’allarga men to e mai la re strizio ne, né tan to meno la sop pres sio ne. D’altro canto, a causa del loro carattere universale, cioè generale ed astratto, i diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti sono regole: essendo disposti immediatamente dagli enunciati normativi da cui sono previsti, essi consistono infatti in quelle che ho chiamato “regole tetiche” e, più speciicamente, “nor­ me tetiche”.37 Precisamente, essi sono aspettative negative o positive ‘universali’, 35 Si vedano, in PI, I, § 12.16, 928–929, le tesi 12.168 e T12.169–T12.171. 36 L'espressione è di Alessandro Pace, La “naturale” rigidità delle co stituzioni scritte, in Giuris­ prudenza costituzionale, 1993, 4085 ss, secondo cui una costituzione non rigida ma lessibi­ le, cioè derogabile dalla legge ordinaria, non è in realtà una costituzione. Si veda anche, di Allessandro Pace, La causa della rigidità costituzionale. Una rilettura di Bryce, dello statuto albertino e di qualche altra costituzione, Padova, Cedam, 1996. 37 Si vedano, in PI, I,§ 11.1, 724–731, le tesi T11.8, T11.16–T11.20 e, nei §§ 12.13–12.14, 908– 90 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu nel senso logico della quantiicazione universale dei loro titolari (omnium), alle quali corrispondono, come garanzie, divieti ed obblighi (erga omnes) in capo alla sfera pubblica, consistenti a loro volta in regole. In quanto regole deontiche, peraltro, essi possono essere attuati o inattuati, osservati o violati.38 E in quan­ to norme costituzionali sono norme sostanziali sulla produzione giuridica che comportano, in capo al legislatore, a) l’obbligo di produrne leggi di attuazione, in violazione del quale si producono lacune, e b) il divieto di produrre leggi con essi in contrasto, in violazione del quale si producono antinomie. E’ in questa correlazione tra diritti e garanzie che risiede la normatività delle costituzioni: nei confronti della legislazione, cui impongono il rispetto delle norme costituzi­ onali; e nei confronti della giurisdizione, cui impongono l’applicazione sostan­ ziale delle medesime norme agli atti invalidi che ne sono violazioni.39 La seconda implicazione è non meno importante sul piano teori co. La costi­ tuzionalizzazione dei diritti fondamentali, elevando tali diritti a norme sopra­ ordinate a qualunque altra norma dell’ordinamento, conferisce ai loro titolari – ossia a tutti i cittadini e a tutte le persone in carne ed ossa – una collocazione a sua vol ta sopraordinata all’insieme dei poteri, pubblici e privati, che al rispetto e alla garanzia dei medesimi diritti sono vincolati e funziona lizzati. E’ in questa comune titolarità del la costi tuzio ne, conseguente alla titolarità dei diritti fon da­ mentali, che risiede la “sovra nità”, nell’unico sen so in cui è ancora le cito far uso di questa vecchia parola. Nello stato costituzionale di diritto, nel quale anche il potere legislativo è soggetto alla legge, e precisamente ai diritti fondamenta­ li stabiliti dalla costituzione, non ha infatti spazio l’idea di sovranità nella ve­ cchia accezione di potestas legibus soluta. E’ pur vero che in tutte le costituzioni si dice che “la sovranità appartiene al popolo” o “risiede nel popolo” o simili. Ma questa norma può intendersi solo in due signiicati, tra loro complemen­ tari: in negativo, nel senso che essa appartiene al popolo e soltanto al popolo, e nessuno, né assemblea rappresentativa né presidente eletto dal popolo, può usurparla;40 in positivo, nel senso che, non essendo il popolo un macrosoggetto, 919, le tesi T12.129–T12.136. Sulla distinzione tra “norme tetiche”, che dispongono immedi­ atamente le situazioni e gli status da esse previsti in forma generale e astratta, in opposizione a quelle che ho chiamato “ipotetiche” e che pre dispongono situazioni quali efetti degli atti da esse previsti cfr. PI, I, § 4.5, 233­235, § 8.2, 419–422 e § 11.1, 729–730 (T11.20). Sulle nozioni di (situazioni) ‘universali’ e ‘assolute’, cfr. ivi, nel § 10.14, 651–661, le deinizioni D10.30 e D10.32. 38 Si vedano le tesi T4.66, in PI, I, § 4.7, 242 e T8.35, ivi, § 8.3, 424. 39 Sulle nozioni di ‘rispetto’, ‘applicazione’, ‘applicazione formale’ e ‘applicazione sostanziale’, e sulle correlative nozioni di ‘coerenza’, ‘corrispondenza’, ‘conformità’ e ‘sussunzione’, rinvio a PI, I, § 9.15–9.16, 556–566. 40 Fu del re sto lo stesso Rousseau ad afer mare che “la sovranità non può es sere rappresen tata, per la ragione stessa che non può essere alienata; essa consiste essenzial mente nella vo lontà gene rale, e la volontà non si rappresenta: o è essa stes sa, ovvero è un'al tra; non c'è via di mez­ zo” (Rousseau 1972 (n. 3), lib. III, cap. XV, 322). Lo stesso principio è afermato dall’art.1 del preambolo al titolo III della Costituzione francese del 1791: “La sovranità è una, indivisibile, 91 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu bensì l’insieme di tutti i consociati, la sovranità appartiene a tutti e a ciascuno, identiicandosi con l’insieme di quei frammenti di sovranità, cioè di poteri e di contropoteri, che sono i diritti fondamentali di cui tutti e ciascuno sono titolari. Nel primo signiicato, il prin cipio della sovrani tà popolare, anziché porsi in contrasto con il principio dello stato di diritto, ne rappresenta quindi una ga­ ranzia negativa: signiica che la sovranità, appar tenendo al popolo intero, non appartiene a nes sun al tro e nessuna singola per sona o gruppo di persone può ap propriarsene.41 Nel secondo signiicato il medesimo principio, anziché esse­ re limitato dai di ritti fonda menta li costituzionalmente stabiliti, ne rappresen­ ta una garanzia positiva: signiica che la “sovra ni tà” o “vo lontà popolare” non può mani fe starsi autenticamente se non può esprimersi liberamente, e non può esprimersi libera mente senza essere presidiata dalle garan zie non solo dei di­ ritti politici, ma anche dei diritti di libertà e dei dirit ti so ciali, dalla libertà di manifestazione del pensiero al diritto all’istruzione. Per que sto ogni viola zio ne dei diritti fondamentali è una lesione non solo delle per sone che ne sono tito­ lari, ma anche della so vra nità po pola re. E’ quanto aferma il famoso art.34 del la Dichiara zione pre mes sa alla Costitu zione del 24 giu gno 1793: “Vi è op pressione contro il cor po so ciale quando uno solo dei suoi membri è oppres so. Vi è op­ pressio ne con tro ogni membro quan do il corpo sociale è oppres so”.42 Ne risulta allar gata e raf orzata la stessa no zione poli tica corrente di “demo­ cra zia”: la demo crazia consi ste nel “potere del popolo” non già semplice mente nel senso che al popolo e quin di ai citta dini spettano i diritti poli tici e perciò, se non il cosiddetto “auto governo”, quanto meno la scelta dei loro rappresentanti e governanti, ma anche nel senso ulteriore e non meno importante che al popolo e a tutte le per sone che lo compon gono spetta anche l’in sieme di quei “poteri” che sono i diritti civili e di quei “contro­poteri” che sono i diritti di libertà e i diritti sociali cui tutti i poteri, inclusi quelli di mag gioranza, sono sottopo­ sti. Spettano, in una parola, le si tuazioni giuridiche supreme, cui tutte le altre inalienabile e imprescrittibile: Essa appartiene alla Nazione; nessuna sezione del popolo, né alcun individuo può attribuirsene l’esercizio”. 41 Benjamin Constant, La sovranità del popolo e i suoi limiti, dai Principes de politique (1818), con successive aggiunte e varian ti, in An tologia degli scritti di Benjamin Constant, Antonio Zanfari no (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1962, 59, nota 1: “L’assioma della so vranità del popolo è stato considerato un principio di libertà: è invece un principio di garanzia. E’ des­ tinato a impe dire a un individuo di impadronirsi dell’autorità che invece ap partiene a tutta la società; ma non decide niente sulla natura e sui limiti di questa autorità”. Si ricordi anche l’art. 3 della Costituzione fran cese del 1958, che dopo aver stabilito nel primo comma che “la sovranità nazionale appartiene al popolo” aferma nel secondo comma che “nessuna frazione di popolo né alcun indi viduo può at tribuirsene l’esercizio”. 42 Si ricordi anche il nesso tra “garanzia so ciale” dei diritti, consistente nell'“azione di tutti” in loro difesa, e “so vranità nazionale” istituito dall'art. 23 della Décla rations des droits premessa alla Costituzione francese del 24.6.1793. 92 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu sono subordinate e funzio nalizzate, e che da nessuna delle altre pos sono essere sopraf atte. Solo in questo modo, attraverso la sua funzio nalizzazione alla garanzia dei diversi tipi di diritti fondamentali, lo stato democratico, ossia l’insieme dei pu­ bblici poteri, viene a conigurarsi, secondo il paradigma con trattualistico, come “stato strumento” per ini non suoi. Sono infatti le garanzie dei diritti fonda­ mentali ­ dal diritto alla vita ai di ritti di libertà e ai diritti sociali ­ i “ini” esterni e, per così dire, la “ragione sociale” di que gli artiici che sono lo Stato e ogni altra isti tuzione politica. Ed è in questo rapporto tra mezzi istituzio nali e ini sociali e nel conseguente primato dei diritti fonda mentali sui pubblici poteri, del le persone in carne ed ossa sulle macchine politiche e sugli ap parati am­ ministrativi, del punto di vista esterno delle prime sul punto di vista interno delle seconde, che consiste il signii cato profon do della democrazia. Del resto, in tempi come quelli in cui vi viamo, è proprio questa concezione garanti sta del costituzionalismo che deve essere af ermata e difesa contro le derive maggio­ ritarie e tendenzial men te plebiscitarie della demo cra zia rappresentativa e le sue dege nerazioni populistiche e video­cratiche e, per altro verso, contro le analog­ he pretese assolutistiche e l’analoga insoferenza per limiti e controlli dei poteri economici del mercato. In questo sen so il garan tismo, quale è declinabile nelle quattro dimensio ni sopra illustrate della democrazia costituzionale – politica, civile, liberale e sociale, a se conda della classe dei diritti garantiti – è l’altra faccia del costituziona lismo: le garanzie dei diritti, infatti, rappresentano altrettante condizioni di efettività della democra zia. 6 LA RIGIDITÀ DELLA COSTITUZIONE E LE GARANZIE COSTITUZIONALI. ANTIOMIE E LACUNE. REGOLE E PRINCIPI Le ga ranzie costituzionali dei diritti fonda mentali sono dunque ga ran zie anche della demo crazia. Con l’espressione “garanzie costituzionali” si allude di solito alla “rigidità” della costi tuzione, cioè alla non modiicabilità dei princi­ pi, dei diritti e degli istituti da essa previsti se non con procedure di revisio ne aggravate e, inoltre, al controllo giurisdizionale di incostituzionali tà sulle leggi ordinarie con essi in contrasto. Si tratta in real tà di una nozione complessa, che qui scomporrò in più nozioni distinte: da un lato la ri gidità, che è un conno ta to delle norme costituzionali; dall’altro l’in sieme complesso e articolato delle sue garanzie, che richiedono a loro volta di essere distinte e analizzate. La rigidità costituzionale è non già, propriamente, una garan zia, bensì un connotato strutturale del la costi tuzione legato alla sua col loca zione al vertice della gerar chia delle norme, sicché le costituzioni sono rigide per deini zione, 93 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu nel senso che una costituzione non rigida non è in real tà una costituzione ed equivale a una legge ordinaria. Si identiica, in breve, con il grado sopra­ordi­ nato delle norme costituzionali rispetto a quello di tutte le altre fonti del l’or­ dinamento, cioè con la normatività delle prime rispetto alle seconde. E’ que­ sto il senso della “naturale rigidità” delle costituzioni giustamente sostenuta da Alessandro Pace.43 Riferita alle norme costitu zionali che stabiliscono quelle aspettative universali che sono i diritti fondamentali, la rigidità conferisce quin­ di a tali diritti una duplice norma tività: quali aspet tative negative della loro non deroga o vio la zione e, insieme, quali aspet tative positive della loro at tuazio ne. Si capisce perciò come la questione della rigi dità costituzionale – o meglio del grado di rigidità che è giustiicato associare a una costituzione, e più preci­ samente ai diversi tipi di norme costituzionali – è assolutamente centrale nella teoria e, ancor prima, nella costruzione della democrazia, identiicandosi con quella del rap porto tra democrazia politica e diritti fonda mentali. Su di essa si con trappongono, da sempre, due tesi, l’una garan ti sta, l’altra per così dire politico­demo cratica, sostenute en trambe sulla base del diverso senso e va­ lore as so ciati al potere e all’atto co stituen te: la pri ma, sostenuta da Be njamin Constant, è la tesi del l’immodi i cabilità di al meno al cuni princi pi da essi sta­ biliti come fon da mentali,44 non esi stendo nes sun potere costi tuito superiore al po tere costi tuen te, e sauri tosi perciò con il suo esercizio; la seconda, risa lente a Sieyès, è la tesi del la permanente modi i ca bi lità di qua lunque principio costitu­ ziona le ad opera di un po tere costi tuen te concepito come co stantemente in atto, quale espressione perma nente della sovranità popolare e della democrazia po­ litica.45 L’argomento principale portato a sostegno di questa seconda tesi è che un’eccessiva rigidità delle costituzioni varrebbe a limitare i poteri costituenti delle genera zioni fu ture e più in generale i principi della democrazia politica: a 43 Negli scritti citati supra, nella nota 35. 44 Cfr. Benjamin Constant, Rélexions sur les costitutions (1814), in Benjamin Constant, Cours de politique constitutionnelle, Genève­Paris, Slatkine, 1982, 265 ss, se condo cui non sono mo­ diicabili per via legislativa le norme sul la forma di governo e quelle sui diritti costituzional­ mente sta biliti. 45 La tesi risale a Sieyès: “Una nazione non può né alienare né inter dirsi il diritto di vo lere; e, quale che sia la sua volontà, non può perdere il diritto di cambiarla quando il suo interesse lo esige” (Emmanuel Joseph Sieyès, Che cosa è il terzo stato? (1788), Umberto Cerroni (tr. it. a cura di), Roma, Editori Riuni ti, 1992, cap. V, 59). Il princi pio è inoltre enuncia to nell’art. 1 del ti tolo VII della Costi tuzione fran cese del 1791: “L’Assemblée na tionale constituante déclare que la Na tion a le droit impre scriptible de changer sa Constitu tion” (e a tal ine prevede, negli artt. 2–8, una procedu ra spe ciale di revi sio ne), e poi nel l’art. 28 della Costituzione france se del 24 giu gno 1793: “Un peu ple a toujours le droit de révoir, de réfor mer et de chan ger sa consti tution. Une génération ne peut as sujettir à ses lois les généra tions futures”. La stessa tesi fu espressa da homas Paine, Rights of Man (1791–1792), tr. it., I diritti del l’uomo e altri scritti politici, Tito Magri (a cura di), Roma, Editori Riu niti, 1978, 122: “ogni gene razione è e deve essere in gra do di af rontare tutte le decisioni richie ste dalle circostan ze del suo tempo”. 94 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu “legarne le ma ni”, secondo un’eicace formula corrente. E’ l’argomento del pri­ mato della volontà popolare espresso dall’art.28 della Co sti tuzio ne france se del 1793, secondo cui “ogni popolo ha sempre il diritto di rivede re, di riformare e di cambiare la sua costitu zio ne” e “una generazione non può assogget tare alle sue leg gi le genera zioni future”. Questo argomento, se prendiamo il costituzio­ nalismo sul serio, deve essere, a mio parere, rovescia to. Ho già parlato della va­ lenza so stanzialmente demo cratica dei di ritti fondamenta li e del loro nesso con la so vrani tà popolare quali poteri e con tropoteri conferiti, oltre tutto nel mo­ mento costituente ca ratte rizzato dal velo di ignoran za in ordine a con tingenti in te ressi di parte, a tutti e a cia scuno, e quindi al popolo inte ro. Su questa base, il principio del costante diritto di tutte le ge ne razioni di decide re del loro futuro dev’essere, con paradosso appa rente, portato a sostegno della tesi esattamen te opposta a quella dell’esistenza di un permanente e radicale potere costituen te quale espressione della sovranità popolare: a sostegno, precisa mente, della tesi che proprio la ri gidità della costitu zione è al tempo stesso espressione e garan zia della so vra nità popolare del le generazioni future e degli stessi poteri delle future maggio ranze. Pro prio in base ad esso, infat ti, deve essere preclusa la revi sione quan to meno dei princi pi co stituzio nali supremi, posti a salvaguardia perma­ nente della sovranità popolare e dei poteri di maggioran za: come per esempio il metodo demo crati co, i diritti politi ci e il suf ragio universale, gli stessi di ritti di libertà e forse gli stessi diritti sociali, che dei di ritti poli tici for mano il pre­ supposto elementare. La rigi dità, in altre parole, lega le mani delle generazioni volta a volta presenti per impedi re che siano da esse amputate le mani delle generazioni future. Ne con segue che un popolo può anche deci de re, “demo­ craticamente” e con tingentemente, di ignorare o di distruggere la propria co­ sti tuzione e di aidarsi deinitivamen te a un go ver no au to ri ta rio. Ma non può farlo in forma costitu ziona le, invocando a favore di se me desimo il ri spet to dei di rit ti delle genera zio ni future o l’onni potenza della mag gioranza, senza con ciò sop primere, con il meto do democratico, i medesimi diritti e il mede simo pote re in capo alle maggioranze e alle ge ne razioni rispetto ad esso future. Chiarito il senso della rigidità delle costituzioni, è facile anche chiarire la natura delle garanzie costituzionali. Premetto che intendo “garanzie” nel senso da me convenuto: per designare i divieti o gli obblighi logicamente correlativi alle aspet tative positive o negative normativamente stabilite nella forma, di so­ lito, dei diritti soggettivi. Parlerò per tanto di “garanzie negative” per designare i divieti corrispon denti a quelle aspettative negative (o di non lesione) che sono i diritti di libertà, e di “garanzie positive” per designare gli obblighi corrispon­ denti a quelle aspettative positive (o di pre stazione) che sono i diritti sociali. Parlerò inoltre di “garan zie primarie” per designare la somma delle ga ranzie positive e di quelle negative, e di “garanzie se condarie” per designare le ga ranzie di giustiziabilità, le quali inter vengono in caso di vio lazione dei diritti, cioè delle aspettative normative che ne for mano il contenuto, e delle loro garanzie prima­ 95 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu rie, siano esse negative o positive.46 Per esempio, il divieto penale dell’omicidio o del furto o quelli costituzionali del divieto della pena di morte o delle in­ debite restrizioni delle libertà fondamentali sono le garanzie primarie negative dei diritti di immunità, dal diritto alla vita ai diritti di libertà e di proprietà; il debito è la garanzia primaria positiva del diritto di credito, così come l’obbligo dell’assistenza sanitaria e quello della pubblica istruzione sono le garanzie pri­ marie positive dei diritti sociali alla salute e all’istruzione; l’annullabilità degli atti invalidi e la responsabilità per gli atti illeciti sono le garanzie secondarie rimesse alla giurisdizione e predisposte per riparare o sanzionare le violazioni delle garanzie primarie. Ebbene, le garanzie costituzionali altro non sono che le garanzie della rigidità, cioè della normatività della costituzione. Esse non si identii cano af atto con la ri gidità, che come ho detto è un connota to struttu ra le del la costituzio ne gene ra to dal la sua colloca zio ne al vertice della gerarchia delle fon ti, bensì con le regole idonee ad assicurarne l’efettività. Sono garanzie costituzionali primarie, rispettivamente negative e positive, il divieto e l’obbligo, imposti alla legislazio­ ne, di violare e di attuare le norme costituzionali e i diritti negativi e positivi da esse stabiliti: in breve, le regole che disegnano la sfera del “non decidibile che” e del “non decidibile che non”. Sono garanzie costituzionali secondarie i control­ li, imposti alla giurisdizione, sull’illegittimità delle violazioni costituzionali: in breve, le regole poste a presidio della medesima sfera del “non decidibile”, in caso di inosservanza, per commissione o per omissione, delle garanzie costitu­ zionali primarie. Sia le garanzie costituzionali primarie che le garanzie costituzionali secon­ darie aprono peraltro un problema, che riguarda l’equilibrio tra i pubblici po­ teri: la restrizione dei poteri politici determinata dalle prime e l’aumento del potere giudiziario generato dalle seconde. Nel momento in cui il potere giudi­ ziario si converte in potere di controllo sulle violazioni dei limiti e dei vincoli costituzionalmente imposti gli altri poteri, peraltro legittimati dalla rappresen­ tanza politica, diventa ancor più essenziale afermarne limiti e vincoli quan­ to più possibile rigorosi quali condizioni della sua stessa legittimità. Di qui la necessità di raforzare tutte le garanzie giurisdizionali e di rifondare la legalità, non solo ordinaria ma anche costituzionale, attraverso una formulazione più precisa e tassativa delle norme, onde ancorare quanto più possibile i giudizi alla rigida soggezione alla legge. Ma di qui anche una responsabilità della cultura 46 Sulle correlazioni tra aspettative passive positive e negative e modalità attive dell’obbligo e del divieto, disegnate dai due quadrati deontici delle modalità e delle aspettative, si vedano le tesi T2.60–T2.63, in PI, I, § 2.3, 151–157. Sulle garanzie, distinte in positive o negative, quali obblighi corrispondenti ad aspettative positive o quali divieti corrispondenti ad aspettative negative, si vedano le deinizioni D3.5–D3.7 e le tesi T3.35–T3.45, ivi, § 3.5, 194–198. Sulla distinzione tra garanzie primarie e garanzie secondarie, si vedano, ivi, nel § 10.16, 668–679, le deinizioni D10.39 e D10.40. 96 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu giuridica. Proprio l’espansione del ruolo e del potere dei giudici generata dal paradigma costituzionale rende a mio parere inaccettabile l’orientamento, oggi largamente difuso nella letteratura ilosoico­giuridica, che legge gran parte delle norme costituzionali non già come regole destinate all’applicazione, bensì come principi oggetto di ponderazione. Diversamente dalle regole che sono oggetto di applicazione alle azioni in esse sussumibili, i principi costituzionali, inclusi i diritti fondamentali, sarebbero infatti, secondo questo orientamento, norme aperte e non chiuse, che formulano obiettivi politici ponderabili e non già prescrizioni o proibizioni di comportamenti in esse sussumibili come loro fattispecie.47 La questione non è afatto accademica: una simile tesi vale di fatto ad assecondare, ben al di là degli ordinari margini di opinabilità presenti in qualunque attività interpretativa, un’impropria discrezionalità sia politica che giudiziaria. Ne risulta indebolita la normatività della costituzione, che risulta aidata alla ponderazione, sia pure argomentata, della legislazione ordinaria e della giurisdizione costituzionale. L’attivismo giudiziario avallato da questa in­ giustiicata estensione della nozione di ‘principi’, rischia così di risolversi in una duplice lesione del paradigma dello stato di diritto: da un lato il ribaltamento della gerarchia delle fonti, dato che la ponderazione comporta la scelta dei prin­ cipi costituzionali volta a volta ritenuti più “pesanti”, e dall’altro la separazione dei poteri per il ruolo creativo di diritto di fatto assegnato alla funzione giudi­ ziaria. La correlazione logica rilevata nel paragrafo precedente tra diritti fondamen­ tali e garanzie primarie consente, a mio parere, di respingere questa tesi e le sue gravi implicazioni. La maggioranza delle norme costituzionali, a cominciare da quelle che stabiliscono diritti fondamentali consistono infatti in regole, tanto quanto ne sono conigurabili le violazioni. Sono infatti regole deontiche, o se si vuole principi regolativi, le norme delle quali sono conigurabili sia l’osservanza, sia soprattutto l’inosservanza, quest’ultima in esse sussumibile e alla quale esse sono perciò applicabili non diversamente da come è applicabile alle sue violazi­ one qualunque altra regole.48 Sono invece principi, o se si vuole principi diretti­ vi, le norme delle quali non sono conigurabili precise violazioni, in esse come tali sussumibili, e che sono perciò, esse sì, oggetto di ponderazione anziché di applicazione. Non nego afatto, quindi, l’esistenza dei principi e l’utilità della loro nozione teorica. Il loro campo di denotazione è tuttavia assai più ristretto 47 Ronald Dworkin, I diritti presi sul serio (1977), Giorgio Rebufa (a cura di), Bologna, Il Mu­ lino 1982, 90–121; Robert Alexy, Teoría de los derechos fundamentales (1985), Madrid, Centro de Estudios Constitucionales, 1997, cap. III; Manuel Atienza, Juan Ruiz Manero, Las piezas del Derecho. Teoría de los enunciados jurídicos, Barcelona, Ariel, 1996, cap. I; Gustavo Zagrebel­ sky, La legge e la sua giustizia, Bologna, Il Mulino, 2008, cap. VI, 205–236. 48 Si vedano i teoremi T4.66 e T8.35 sull’equivalenza tra “regole (o norme) deontiche” di un comportamento (o di un atto) e la loro osservanza o inosservanza in PI, I, cap. IV, § 4.7, 242 e cap. VIII, § 8.3, 424. 97 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu di quanto ritengono molti neocostituzionalisti. In particolare, quasi tutti i diritti fondamentali sono regole, dato che di essi è conigurabile l’inosservanza per commissione, ove consistano in diritti negativi come sono tipicamente i diritti di libertà, oppure per omissione, ove consistano in diritti positivi come sono tipicamente i diritti sociali. In tutti i casi, infatti, essi consistono in aspettative di non lesione o di prestazione, cui corrispondono i limiti (o i divieti) e i vincoli (o gli obblighi) che ho chiamato garanzie primarie, la cui violazione compor­ ta l’obbligo della loro applicazione, cioè l’intervento di quelle che ho chiamato garanzie secondarie. Sono invece principi, per esempio, norme pur importanti come “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che … impediscono il pi­ eno sviluppo della persona umana”, o “la Repubblica incoraggia e tutela il ri­ sparmio”, espresse dagli articoli 1, 3 cpv e 47 della Costituzione italiana. Di tali norme, infatti, non sono conigurabili precise violazioni. Ciò non toglie il loro carattere fondamentale. Esse deiniscono infatti l’identità della Repubblica itali­ ana, ne deiniscono lo status democratico e sono perciò, in questo senso, norme o principi costitutivi e non già regole deontiche o principi regolativi.49 Sia le garanzie primarie che le garanzie secondarie garantiscono la normatività e insieme l’efettività delle costituzioni. La loro violazione genera infatti antinomie e lacune, le prime per commissione e le seconde per omissio­ ne. In questo senso, sia le antinomie che le lacune di questo tipo sono struttural­ mente diverse dalle antinomie e dalle lacune rilevabili tra norme del medesimo livello. Uso infatti “antinomia” e “lacuna” in un signiicato più ri stret to rispetto agli usi correnti. Con questi termini, a mio parere centrali nella teoria della de­ mocrazia costituzio nale, de signo solo le antinomie e le lacune generate dalla virtuale divaricazione deontica tra norme sulla produzione e norme prodotte, le prime di grado sopraordinato alle seconde. Diversa mente dalle antinomie e dalle lacune tra norme dello stesso livello, tali aporie sono perciò conigura­ bili come “violazioni”: cioè come “vi zi”, non so lubili dall’interprete, che com­ portano l’inapplicabilità, se non risolte da una loro rimozione autoritativa, della nor ma violata, nel pri mo caso per l’esistenza e l’appli ca bilità di una norma sub­ ordinata con essa in contrasto e nel secondo per l’inesistenza delle sue nor me di attuazio ne. Di solito, con “antinomie” si intende invece qualunque conlitto tra norme: non solo tra norme di grado diverso, ma anche tra norme di epoca o di esten­ 49 Sulla distinzione tra norme deontiche e norme costitutive – le prime prescrittive di situazioni giuridiche, cioè in aspettative positive o negative (quali sono i diritti soggettivi) oppure in obblighi o in divieti o in facoltà, le seconde di status – rinvio a PI, I, cap.VIII, § 8.2, 419–424. Intrecciando questa distinzione con quella tra norme tetiche e norme ipotetiche richiamata nella nota 37, si ottiene una tipologia delle norme distinte in quattro classi (T8.36): le norme tetico­deontiche, le norme ipotetico­deontiche, le norme tetico­costitutive e le norme ipoteti­ co­costitutive (ivi, § 8.3, 425). 98 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu sione diversa; e con “lacune” si intende qualunque assenza di norme: non solo la mancanza delle norme di attuazione delle norme ad esse sopraordinate, ma anche l’assenza di norme che esplicitamente prevedano e qualiichino deonti­ camente un dato comportamento.50 Si tratta invece di due ordini di fenomeni profondamente diversi. Il conlitto tra norme di epoca o di estensione diversa viene comunemente risolto dall’interprete con l’applicazione del criterio cro­ nologico e di quello di specialità; analogamente, l’assenza di norme che espres­ samente obblighino, o vietino o permettano una data azione viene superata dall’interprete – ove questo non sia espressamente escluso, come accade in ma­ teria penale – mediante il ragionamento analogico o il ricorso ai principi gene­ rali del diritto. La stessa cosa non può dirsi invece per le antinomie e le lacune che sono generate dai dislivelli normativi, quali quelli che intercorrono tra nor­ me costituzionali e norme di legge e che possiamo perciò chiamare “strutturali”. Solo esse, e non anche le altre, sono il frutto di violazioni giuridiche, delle quali richiedono perciò, ove si tratti di antinomie, un accertamento giurisdizionale che annulli come invalide le norme indebitamente vigenti e, ove si tratti di lacu­ ne, un intervento legislativo che introduca la norma di attuazione indebitamen­ te mancante. Solo esse, e non anche le altre, contraddicono la gerarchia delle fonti rendendo inapplicabili le norme costituzionali: le antinomie per l’indebita presenza di norme con esse in contrasto, e le lacune per l’indebita assenza delle loro leggi di attuazione. Solo esse e non anche le altre, inine, consistono in vizi: non c’è infatti nessun vizio nella norma precedente o nella norma generale ri­ spettivamente derogate dalla norma successiva e dalla norma speciale, e neppu­ re nell’apparente incompletezza colmata dall’analogia; mentre sono vizi, per vi­ olazione della costituzione, sia la presenza di norme di legge rispetto ad essa in contrasto, sia l’assenza di norme di legge rispetto ad essa di attuazione.51 Sono questi vizi che vengono preclusi o riparati dalle garanzie costituzionali negative, primarie e secondarie, la cui violazione per commissione consiste in antinomie, e dalle ben più problematiche garanzie costituzionali positive, la cui violazione per omissione genera lacune. 50 Mi limito a ricordare Norberto Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico (1960), rist. in Nor­ berto Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, Giappichelli, 1993, parte II, capp. III e IV, Norberto Bobbio, Lacune del diritto, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, Utet, 1963, vol. IX, 417–424; Giacomo Gavazzi, Delle antinomie (1959), rist. in Norberto Bobbio, Studi di teoria del diritto, Torino, Giappichelli, 1993. 51 Rinvio PI I, § 10.19–10.20, 684–695; PI, II, 13.15, 77–82; PI, III, cap. X, 507 e 673–687. Ma si vedano anche i chiarimenti forniti, rispondendo a svariati interventi critici, in Principia iuris. Una discusión teórica, in Doxa, n. 31, 2008, § 2.2, 410–413; Intorno a Principia iuris. Questioni epistemologiche e questioni teoriche, in P. Di Lucia (a cura di), Assiomatica del nor­ mativo. Filosoia critica del diritto in Luigi Ferrajoli, Milano, Edizioni Universitarie LED, 2011, §§ 14.1.3–14.1.4, 239–250, § 14.2.1, 265–266 e § 14.2.5, 272–276; Dodici questioni intorno a Principia iuris, in Stefano Anastasia (a cura di), Diritto e democrazia nel pensiero di Luigi Fer­ rajoli, Torino, Giappichelli, 2011, §§ 2.5–2.6, 185–191 e 3.4, 202–206. 99 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu 7 LE GARANZIE COSTITUZIONALI NEGATIVE E POSITIVE, PRIMARIE E SECONDARIE Le garanzie costituzionali negative sono quelle dell’inderogabilità della Costituzione da par te del legislatore ordinario, al quale precludono la produzione di norme con essa in contrasto. Sono garanzie negative primarie i divieti imposti alla legislazione ordinaria di pro du rre nor me in deroga a norme co sti tu zio na­ li, sia esso incondi zionato oppure con di zionato al l’adozione di un pro ce di mento legislativo ag gravato quale è quello previsto dalle norme sulla revisione. Sono garanzie negative secondarie le norme sul con trollo giu risdi ziona le di costitu­ zionalità, che consistono nell’obbligo per la giurisdizione di annullare o disap­ plicare gli atti precettivi in contra sto, per ragioni di forma o di sostanza, con le norme costitu zionali e che violano perciò le loro garanzie negative primarie.52 Le garanzie costituzionali negative primarie possono essere più o meno vin­ colanti, a seconda del grado di rigidità da esse garantita: una rigi dità assoluta ove la revisione non sia prevista o sia esplicitamente esclusa; una ri gidità relativa, ove siano predisposte forme più o meno aggra vate di revisione. Nel primo caso abbiamo limiti assoluti, formu lati in talune co stituzioni – come la Costituzione francese del 3 settem bre 1791, l’art. 79 3^ comma della Costituzione tede­ sca del 1949, l’art. 288 della Costituzione portoghese del 1976, l’art. 60 della Costituzione bra siliana e gli artt. 441 e 442 della Costituzione ecuadoregna53 – in ter mini re lativamente precisi e tassa tivi. Nel secondo caso abbiamo li mi ti rela tivi, che consentiranno di parla re di un grado più o meno elevato di rigidità relativa, a seconda del grado di aggra vamento del procedimento di revisione previsto rispetto alle pro cedure le gislative ordinarie. Ma oltre ai limiti esplici­ ti alla revisione dettati dalla stessa costituzione, esistono anche limi ti impliciti, oggi ampiamente riconosciuti sia dalla dot trina che dal la giurisprudenza, come 52 Sulle garanzie costituzionali e sulla loro distinzione in primarie e secondarie, invio a PI, I, il § 12.14, 917–919 e le deinizioni D12.28–D12.30. 53 Una prima, antica formulazione della rigidità assoluta è reperibile nel titolo I della Costi­ tuzione francese del 3 settem bre 1791, intitolato “Dispositions fondamentales garanties par la Constitution”: “Le Pouvoir législatif ne pourra faire aucunes lois qui portent atteinte et mettent obstacle à l'exerci ce des droits nauturels et civils consignés dans le présent titre et garantis par la Constitution”. La previsione di limiti assoluti tassativi alla revisione costituzi­ onale igura peraltro, oltre che nell'art. 139 della Costituzione ita liana sulla non modiica­ bilità della forma repubblicana, nella Legge fondamentale tedesca del 1949, il cui art. 79, III comma stabi lisce: “Non è ammissibile una modiica della presente Legge fon damentale che tocchi l'arti cola zione del Bund in Länder, o la partecipazione dei Länder alla legislazione o i principi enunciati negli articoli 1 e 20”. L’art. 288 della co stituzione portoghese elenca ben quat tordici materie sottratte al potere di revisione. L’art. 60 della Costituzione brasiliana sta­ bilisce l’intangibilità a) della forma fede rale dello Stato; b) del carattere segreto, universale e periodi co dell’esercizio del diritto di voto; c) della separazione tra i poteri; d) dei diritti e delle garanzie individuali. Gli artt. 441 e 442 della Costituzione ecuadoregna escludono riforme costituzionali che alterino la struttura fondamentale dello Stato o comportino restrizioni dei diritti o delle garanzie, o modiiche delle procedure di revisione della Costituzione. 100 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu quelli relativi al metodo democra tico e ai diritti fondamentali. Per esempio l’art. 2 della Costi tuzione ita liana dichiara “inviolabili” i “di rit ti dell’uomo, sia come sin golo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua perso nali tà”; e una sen­ tenza costituzio nale, la n. 1146 del 1988, ha stabilito la sottrazione al potere di revisione dei “principi supremi dell’ordinamento”, da essa non espressamente elencati ma certo identiicabili, sul piano teorico, con quelli impliciti nella no­ zione stessa di costituzione democratica e di rigidità costituziona le. Questa diferenziazione delle garanzie costituzionali negative primarie si è sempre realizzata, quando si è realizzata, in assenza di un qualsiasi disegno teori co. Una scienza della costitu zione dovrebbe invece teorizzare e proporre gradi diversi di rigi dità delle diver se norme costituzionali, giustiicati dal la loro diversa rilevan za democratica: per esempio, la rigidità assoluta delle norme che stabiliscono il principio di uguaglian za, la di gnità della perso na e i diritti fondamentali, dei quali andrebbe previsto il pos sibile raforzamento ma non la possibile riduzio ne, nonché i principi della rappresentanza politica e del la sepa­ razione dei poteri; forme più o meno aggravate di rigidità rela tiva per le norme sull’organizzazione e il funzionamento dei pub blici poteri; forme lievi di rigidità relativa, inine, per le norme meno importanti. Anche le ga ranzie costituzionali negative secondarie, consi stenti nel control­ lo giu risdiziona le di costituzionalità, possono d’altro canto essere più o meno incisi ve. Storicamente, come è ben noto, si sono sviluppati due tipi di controllo giudiziario sulla legittimi tà delle leggi: a) il controllo difuso, aferma tosi negli Stati Uniti e in altri ordi namenti americani e consi stente nella disap plicazione nel caso deciso, ma non nell’annul lamento, della norma incostituzionale, che resta quindi in vigore pur dopo il ricono scimento della sua illegitti mi tà, salvo il va lore di fatto vinco lante del preceden te, tanto più autorevole se prodotto dalle Cor ti supreme; b) il controllo ac centrato, afer ma to si in Italia e in molti altri pae si europei nel secondo dopo guerra, sul modello kelse niano adotta to dalla costi tuzione au striaca del 1920, e con sistente nell’an nulla mento delle norme di legge inco stituzionali riservato a una Corte Co stituzio nale, in vestita del la rela­ tiva questione da un giudice nel corso di un giudizio, ove sia da que sti ritenuta ri levante e non mani fe sta mente infondata. Dei due modelli, quello più eicace è senza dubbio il secon do: “una Costituzione cui manchi la garanzia dell’annullamento degli atti incostituzio­ nali”, scrisse Kelsen, “non è, in senso tecnico, completamente obbligatoria”.54 Ma anche il secondo modello, quello del controllo accentrato di costituzionalità 54 Hans Kelsen, La garanzia giurisdizionale della costituzione, § 22, in Kelsen 1981 (n. 22), 199: “Sebbene in ge nerale non se ne abbia coscien za”, prosegue Kelsen, “una costitu zione in cui gli atti costitu zionali, e in particolare le leggi, restano validi – in quanto alla loro costituzi­ onalità non conse gue l'annullamento – equivale presso a poco, dal punto di vista giuridico, ad un voto privo di forza obbligatoria. Qualunque leg ge, regolamento o anche atto giuridico generale posto in essere dai singoli hanno una forza giuridica superiore a quella di una tale costituzione, cui sono tuttavia subordinati e dalla quale traggono validità”. 101 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu spe rimentato in Europa, presenta limiti mol teplici: sotto il proilo oggettivo dato che riguarda, per esem pio nel diritto italiano, non già qualun que atto nor­ mativo in contrasto con la costituzione ma solo le fonti primarie, cioè le le­ ggi ordinarie e tutti gli atti ad esse equiparati; e sotto il proilo soggettivo, dato che legittimati a sollevare la que stione di incostituzionalità sono di solito, come di nuovo in Italia, non già i soggetti lesi dalle nor me sospettate di illegittimità bensì, incidentalmente, i giu dici ove la ritengano fondata e ri levante nei casi sottoposti al loro giu dizio. Non meno importanti delle garanzie costituzionali negative sono le garanzie costituzionali positive, stranamente trascurate dalla dottrina pur essendo indi­ spensabili all’efettività, in particolare, dei diritti sociali costituzio nalmente sta­ biliti. Esse consistono nel l’obbligo, cui è vincolato il legislatore in ottemperanza dei diritti, di varare una legisla zione di attuazione: in breve nell’obbligo di intro­ durre le garanzie legislative, pri marie e secon darie, correlative ai diritti fonda­ mentali stipulati. Vengo così alla questione centrale del garantismo – quella del rapporto tra diritti fondamentali e garanzie – sulla quale si è sviluppata, in re­ centi dibattiti, una ormai annosa po lemica. Secondo una tesi assai difusa, in as senza di garanzie, cioè de gli obblighi o dei divieti corri spon denti ai diritti pur costitu zio nal mente stabiliti, non si avreb be, come io sostengo, una la cuna, bensì l’inesistenza dei diritti stabiliti.55 Alla base di queste critiche c’è la confu sione tra diritti e garanzie, avvalorata dall’autorità di Kelsen. Secon do Kelsen il diritto soggettivo sa rebbe infat ti solo il “rilesso di un dove re giuridico”,56 ossia di quel­ lo che ho sopra chiamato “ga ranzia primaria”. Di più: avere un diritto, aggiunge Kel sen, equivale ad avere “la possibi lità giu ridica di ottenere l’appli cazione della norma giu ridica appro priata che provvede la sanzio ne”:57 ad attivare, in altre 55 E' la tesi so stenuta da Ricardo Guastini, Tre problemi di deini zione, in Vitale 2001 (n. 4), 43–48, e da Danilo Zolo, Li ber tà, proprietà ed ugua glianza nella teo ria dei 'diritti fonda men­ tali, ivi, 49–55. Si veda la mia re plica ivi, 156–171. Una tesi analoga è sostenuta da Ricardo Guastini, Rigidez constitucional y normatividad de la ciencia jurídica, in Carbonell, Salazar 2005 (n. 4), 245–249, e da Pablo de Lora, Luigi Ferrajoli y el con stitucionali smo fortísimo, ivi § 3, 255–259. Si veda la mia replica in Ferrajoli 2006 (n. 4), 56 e 4.3–4.4, 74–81. 56 Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto (1960), Mario G. Losano (trad. it. di), Torino, Ei­ naudi, 1966, § 29, a, 150: “Se si dei nisce come ‘dirit to’ il rapporto fra un individuo (nei cui ri guardi un altro indi viduo è obbligato ad un certo com portamen to) con quest’ultimo indi­ viduo, il diritto in questione è soltan to un rilesso di que sto dovere”; Kelsen 1959 (n. 4), parte I, VI, A, 76: “non vi è dunque nessun dirit to per qualcuno senza un dovere giuridico per qualcun altro. Il contenu to di un diritto è in deinitiva l’adempimento del dovere di qualche altro”; ivi, C, a, 77: il diritto “non è altro che il correlativo di un do ve re”. 57 Kelsen 1959 (n. 4), C, d, 82–83. “In questo senso”, pro segue Kelsen, “questa norma costituisce la 'sua' legge. Soltanto se l'appli cazione della norma giuridica, la esecuzione della san zio ne, di­ pende dall'espressione della volontà di un individuo diret ta a questo scopo, soltanto se la legge è a servizio di un indi viduo, questa può venir considerata la 'sua' legge, la sua legge sogget tiva, e ciò signiica un 'diritto soggettivo'”. Anco ra: “il diritto sogget tivo, pertanto, deve consistere non già nell'inte res se presunto, ma nella protezione giuridica ... Il di ritto sog gettivo non è, in breve, che il diritto oggettivo” (ivi, C, c, 81); “l'essenza del diritto soggettivo, che è più del sem­ 102 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu pa role, quella che qui ho chiamato “garanzia seconda ria”. Kelsen – forse perché i suoi riferimenti, come dimostrano tutti gli esempi da lui pro posti, sono solo ai diritti patrimoniali che in ef etti sono sem pre prodotti da atti negoziali insieme ai doveri corri sponden ti – opera dunque ben due iden tiica zioni: tra i di ritti e le correla tive garanzie pri marie e tra i diritti e le correla tive garanzie secondarie. Questo singolare appiattimento dei diritti sulle garanzie è il prezzo pagato da Kelsen alla sua concezione imperativistica del diritto, basata sulla centralità della sanzione. Si tratta tutta via di un prezzo troppo alto, che contraddice le premesse norma ti vistiche e giuspositivistiche del la sua stessa teoria. Ne deri va infatti che diritti formalmente posti o prodotti da validi atti normativi ma privi di garanzie sarebbero, semplicemente, diritti inesistenti; che inesistenti – sem­ plici latus vocis – sarebbero altresì le norme che li espri mono; che interi cata­ loghi di dirit ti – gran parte dei diritti sociali e quasi tutti i di ritti umani stabiliti da convenzioni internazionali – sarebbero non­diritti, non­norme, solo perché privi di garanzie, sia prima rie che secondarie. E’ una tesi che contraddice ben due postulati del normativi smo, al tempo stesso metateorici e teorici. Contraddice in primo luogo il postulato del gius­ positivismo, in quanto miscono sce la positività delle norme giuridiche, le quali in siste ma no modinamico esistono se poste o prodotte, e non se corrispon dono a un principio teorico, quale la necessaria correlazione tra diritti e do veri, quasi che la teoria possa svolgere fun zioni le gislative. Contraddice, in se condo luogo, il postulato del gius­co sti tuzionalismo, in quanto misconosce il grado sopra­ ordi nato ad ogni altra fonte delle norme costituzionali e dei di ritti in esse sta­ biliti, la cui esistenza non può essere subordi nata alla produ zione delle loro leggi di attuazio ne, dato che una simile tesi equivarrebbe, come ha scritto giustamen­ te Miche lan gelo Bovero, a decretare il pote re del legislatore di vanii care, o di abrogare o comunque di dero gare alla co stitu zio ne e così ad oc cultarne la vio­ lazione.58 Al contrario, è la struttura nomodinamica del diritto positivo che impone la distinzione tra i diritti fondamentali costituzio nal mente stabiliti e le loro garan­ zie legislative. Poiché in un sistema nomodinamico, come proprio Kel sen ci ha insegnato, l’esi stenza delle norme è legata a un fatto empirico, cioè all’atto della loro produzione, è ben possibile che, dato un di ritto fonda mentale espres so da una norma costituzionale, non esista – pur se dovrebbe esi stere – l’obbli go o il divie to corri spondente a causa del l’(inde bita) inesi stenza della nor ma che do­ vrebbe pre vederli; così come è ben possibile che, data la facoltà di un compor­ tamen to, per esempio un di rit to di libertà, esista – pur se non do vrebbe esistere plice riles so di un dovere giuridico, consiste nel fatto che una norma giu ridica attribuisce ad un individuo il potere giuri dico di far valere l'inadempimento di un dovere giuridico median­ te un'azione giudiziaria” (Kelsen 1966 (n. 56), § 29, d, 159). 58 Michelangelo Bovero, Derechos, deberes, garantías, in Carbonell, Salazar 2005 (n. 4), 237–238. 103 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu – il di vieto del medesimo comporta mento a causa del l’(indebita) esi stenza del la norma che lo prevede. E’ pos si bile, in breve, che in ordina menti complessi, ar­ ti colati su più livelli nor mativi, si produ cano lacune e anti no mie. Questa possi­ bilità è un corolla rio del costi tuzio na lismo rigido, il cui trat to caratteri stico è lo spazio vir tuale che esso apre al l’e sistenza del dirit to ille gittimo, a causa della possibile inot temperanza da parte del legislatore dell’obbligo di rispettare e di attuare le norme costituzionali. E’ precisamente quest’obbligo – l’obbligo di una legislazione di attuazione, consistente nell’introduzione delle garanzie pri marie e secondarie mancanti – che integra la garanzia costituzio nale positiva dei diritti costituzionalmente stabiliti. Non è quindi vero che la mancanza di ga ranzie legislative primarie e se condarie equivale alla mancanza di qualunque obbligo in capo al legislato re: sicché, come scrive per esempio Riccardo Guastini, dovremmo o abbandonare la deini zio ne di “di ritto sog gettivo” come aspettativa cui cor risponde un dove­ re, oppure negare l’esistenza del diritto pur costituzionalmen te sta bilito.59 Un obbligo, come sopra si è detto, esiste, ed è precisamente quello di introdurre le garan zie corrispondenti al diritto stipulato. E’ in quest’obbligo di una legis­ lazione di attuazione che possiamo identiicare la garanzia costituzionale po­ sitiva primaria dei diritti costituzionalmente stabiliti. Si tratta di una garanzia debole sotto un duplice aspetto: in primo luogo per la diicoltà di assicurarne l’efettività tramite una garanzia costituzionale positiva secondaria quale sareb­ be il controllo giurisdizionale di costituzionalità sulle lacune; in secondo luo­ go perché essa è, per così dire, una meta­garanzia, consistente nell’obbligo di intro durre legislativamente le garanzie forti costituite dalle garan zie primarie e se condarie corrispondenti al diritto fondamentale costitu zio nalmente stabili to. Tutti i diritti fondamentali stabiliti dalle costituzioni, del resto, richiedono una legislazione di attuazione che ne disponga le garanzie, non essendo que­ ste prodotte, come accade per i di ritti patrimoniali, contestualmente agli stessi diritti garanti ti. Si prenda la stipulazione costituzionale, per esempio, del di­ ritto alla vita, oppure di un diritto di libertà come l’habeas corpus, oppure di un diritto sociale come il diritto alla salute. In man canza della proibizione pe­ nale dell’omicidio o delle garan zie processuali della libertà personale o di una legislazio ne sociale in materia di assistenza sanitaria ­ cioè in assenza di ga­ ranzie forti, sia primarie che secondarie ­ tali diritti sono destinati a rimanere sulla carta. Ma certamente non diremo che essi non esistono perché non esi ste, come richiede la deinizione di diritto soggettivo, il divieto o l’obbligo ad essi corrispon den te. Esiste infatti l’ob bligo costituzionale di introdur re que ste ga­ ranzie forti, cioè di colmarne la lacuna, il quale invera e sod disfa, quale garanzia costituzionale positiva, la tesi teo rica del nesso di implicazio ne tra di ritti e ga­ ranzie. 59 Guastini 2001 (n. 55), 43–44. 104 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu 8 LA CRISI ODIERNA DEL PARADIGMA COSTITUZIONALE Il paradigma costituzionale inora illustrato è evidentemente un modello normativo complesso, mai pienamente realizzato né perfettamente realizzabi­ le a causa della virtuale divaricazione che sempre sussiste tra normatività ed efettività. Le garanzie possono ridurre questa divaricazione, ma non certo eli­ minarla, consistendo anch’esse in igure deontiche. Per questo possiamo parla­ re soltanto, per qualunque democrazia costituzionale, di un grado maggiore o minore di garantismo e perciò di legittimità democratica, ovvero di democra­ zia, a seconda del grado di efettività dell’insieme delle garanzie dei principi costituzionali. Ma questa virtuale illegittimità è anche il maggior pregio delle democrazie costituzionali, dato che solo negli stati assoluti non esiste divari­ cazione, bensì coincidenza, tra l’esistenza e la validità delle norme prodotte dai supremi organi normativi. Questa divaricazione deontica tra normatività ed efettività della democra­ zia costituzionale può essere isiologica, esistendo sempre, entro certi limiti, un qualche grado di inefettività delle garanzie. Ma può diventare, oltre tali limiti, patologica, allorquando raggiunge un punto di crisi, o peggio di rottura. La crisi può essere provocata da due fenomeni: lo sviluppo dell’illegalità, quale si mani­ festa nelle violazioni delle garanzie, e l’ancor più grave difetto di legalità, quale si manifesta nell’assenza di garanzie. Sviluppo dell’illegalità e difetto di legalità, allorquando investono i pubblici poteri normativi, danno luogo l’uno ad an­ tinomie e l’altro a lacune. E’ quanto sta oggi accadendo, sotto entrambi questi aspetti, sia a livello statale, sia, e ancor più, a livello in ternaziona le. Le ragioni della crisi sono molteplici: il fatto che la politi ca non ha mai realmente ac cettato la sua soggezione al diritto; la mancata produzione, soprattutto a livello inter­ nazionale, delle garanzie sia primarie che secondarie dei diritti stabiliti nelle tante carte e convenzioni, nonché delle relative funzioni e isti tuzioni di garanzia all’altezza dei nuovi poteri e dei nuovi problemi globali; la perdita della memo­ ria delle tragedie del passato e di quei “mai più” che all’indo mani della seconda guerra mondia le furono all’origine del nuovo costituzionalismo democratico. La crisi si manifesta, all’interno degli ordinamenti statali pur dotati di co­ stituzioni rigide, in una sorta di processo decostituente, cioè nell’obsolescenza, nella prassi e nella concezione stessa della democrazia, del principio della so­ ggezione alla legge dei poteri di maggioranza e nella tendenza di tutti i poteri, sia politici che economici, ad accumularsi e a le gittimar si in forme assolute. I suoi fattori speciici sono molte plici. Sono anzitutto fattori oggettivi: si pensi alla crisi del principio di legalità conseguente alla dislocazione di quote cre­ scenti di funzioni normative, tradizio nalmente riservate agli Stati, al di fuori dei coni ni na zionali e, per altro verso, all’inlazione legislativa che ha provocato, in tutti i paesi avan zati, un collasso delle capacità regolative del diritto. Sono in se­ 105 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu condo luogo fattori di ca rat tere sog gettivo e più pro priamente politico: la voca­ zione cre scente al l’illegali smo di tut ti i pote ri, privati e pubbli ci, confortata dal trionfo delle ideo logie liberiste sul terre no eco no mico e plebiscitarie e popu liste su quello poli tico, le une e le altre insoferenti dei li miti e dei vin coli garanti­ sti imposti dal co stitu zionalismo demo cratico; la con seguente conce zione della libertà e della democra zia – in una parola, della “liberal­demo crazia” – come assenza di regole e controlli, di limiti e vin coli, da un lato all’auto nomia pri­ vata, e quindi ai poteri eco nomici del mer cato, dall’al tro alle deci sioni della maggioran za e quindi ai poteri politici del go verno. Si è così afermata una sorta di neoasso luti smo di entrambi questi poteri, in con trasto con i principi dello Stato costituzionale di diritto che non ammettono poteri assolu ti, cioè non so­ ggetti alla legge e ai conseguenti con trol li giu risdi ziona li. Il risultato è un’aggressio ne all’intero sistema dei diritti fondamentali e delle loro garanzie: ai diritti sociali alla sa lute e all’istruzione, ai diritti dei lavorato­ ri, al plu ralismo dell’informazione, alle molteplici separazioni e incompatibilità dirette a impedire concentrazioni di potere e conlitti di interesse. Sotto il nobile nome di “riforme” sono stati varati, in Italia, tagli crescenti di spesa all’istruzione, alla ricerca e alla salute, con conseguenti riduzioni delle ore di insegnamento, aumenti dei prezzi dei farmaci e delle visite, ineicienze, restri­ zioni e paralisi di gran parte delle istituzioni pubbliche di garanzia. In partico­ lare, l’art. 64 commi 2 e 6 della legge n. 133 del 6 agosto 2008 ha previsto, per il triennio 2009–2011, una riduzione del 17 % del personale scolastico e per il quadriennio 209–2012 un taglio al bilancio dell’istruzione pubblica di 7 mili­ ardi e 732 milioni, da attuarsi con la chiusura di scuole e riduzioni e accorpa­ mento di classi. L’art. 8 della legge n. 148 del 14 settembre 2011 ha poi inferto il colpo di grazia all’intero diritto del lavoro – già dissestato dalle molteplici for­ me di lavoro precario e dalla conseguente riduzione dei diritti, primo tra tutti il diritto alla stabilità del rapporto di lavoro – prevedendo che la contrattazione aziendale o territoriale possono derogare a qualsiasi legge ordinaria o contratto collettivo in ordine a quasi tutti gli aspetti dell’organizzazione del lavoro: dalle mansioni dei lavoratori alle classiicazioni e all’inquadramento del personale; dalla disciplina dell’orario di lavoro all’introduzione di impianti audiovisivi o di nuove tecnologie; dalla disciplina dei contratti a termine o a orario ridotto, modulato o lessibile, ino a quella delle modalità del rapporto di lavoro, dal­ le assunzioni ai licenziamenti, fatta eccezione per quelli discriminatori o per ragioni di gravidanza. Inine è stato aggredito il pluralismo dell’informazione televisiva attraverso leggi apertamente informate agli interessi privati del presi­ dente del consiglio. Ancor più grave è la crisi della legalità internazionale, cioè di quella seconda grande conquista del ‘900 che fu il patto di convi venza paciica e di tutela dei diritti umani stipulato con l’istitu zio ne dell’Onu. E’ stata innanzitutto riesuma­ 106 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu ta e messa in pratica la dottrina della “guerra giusta”: per ben cinque volte nel corso di un ventennio è stato infranto il divieto della guerra, che dell’ordine interna zionale istituito dalla Carta dell’Onu è la norma fonda mentale e costi­ tutiva. A causa dell’assenza di idonee istituzioni sovranazionali di garanzia, la guerra, con il suo carico di vittime innocenti, è stata così ria bilitata come stru­ mento di soluzione delle contro versie inter na zionali, facendo regredire l’ordine mondiale a una sostanziale anomia. L’intero fenomeno della glo balizzazione del l’economia, d’altro canto, può essere a sua volta identiicato, sul piano giu­ ridico, con un vuoto di un dirit to pubblico interna zionale idoneo a di sciplinare i grandi po teri eco nomi ci transna zionali: non, si ba di, un vuoto di diritto, che non può mai esserci, ma un vuoto di diritto pub blico riempito, ine vitabil men te, da un pieno di dirit to privato, cioè da un di ritto di produzione contrattuale che si sosti tuisce alle forme tra dizionali della legge60 e che inevitabilmente rilet­ te la legge del più forte. Ne è conseguita una re gres sione neoas soluti stica così delle gran di po tenze come dei grandi poteri eco nomici trans na zio na li: che è un neo ­as soluti smo regres sivo e di ritor no che si ma nifesta nel l’as senza di re gole aperta mente as sunta, dal l’o dier no ca pita li smo glo ba lizza to, come una sor ta di nuo va Grundnorm del nuovo ordine eco nomico e politi co internazio na le. L’efetto della globalizzazione in assenza di una sfera pubblica mondiale è stata perciò una crescita esponenziale della disu guaglianza, segno di un nuovo razzismo che dà per scontate, nei paesi poveri, la miseria, la fame, le malattie e la morte di milioni di esseri umani senza valore.61 Ma l’assenza di regole nei confronti dei poteri del mercato ha provocato in questi anni una crisi econo­ 60 Cfr. Maria Rosaria Ferrarese, Le isti tuzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, Il Mulino, Bolo gna, 2000; Stefano Rodotà, Diritto, diritti, globaliz­ zazione in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2000, n. 4, 765–777; Uberto Allegretti, Globalizzazio ne e sovranità nazio nale, in Democra zia e diritto, 1995, 3­4, 47 ss; Uberto Allegretti, Costi tuzione e diritti cosmopolitici, in Gustavo Gozzi (a cura di), De mocra­ zia, diritti, costi tuzione, Bologna, Il Mulino, 1997, 53 ss; Uberto Allegretti, Diritti e Stato nel la mondializzazione, Troina, Città Aperta, 2002. 61 E' stato calcolato che il divario di ric chezza tra paesi poveri e paesi ric chi, che era di 1 a 3 nel 1820 e di 1 a 11 nel 1913, è divenuto di 1 a 72 nel 1992; e che meno di 300 miliardari in dollari sono più ricchi di metà della popo lazione mondiale, ossia di 3 miliardi di persone. Secondo il Rappor to sullo sviluppo uma no e sulla glo balizzazione, inoltre, circa un miliardo di persone non hanno accesso all'acqua e all'alimenta zione di base, ciò che provoca 15 milioni di morti ogni anno, si è più che raddop piato il nume ro dei ma lati di Aids, 850 milio ni di per sone sono analfabe te, circa 3 milioni muoiono ogni anno a causa del l'inqui namento atmo sferico e oltre 5 milioni a causa della conta minazio ne del l'ac qua (UNDP. Rapporto 1999 sullo sviluppo umano. La globaliz zazio ne, Torino, Rosenberg e Sellier, 1999, 55). Inine – ed è il dato più spaventoso – 17 milioni di per sone muoiono ogni an no, vittime di ma lat tie infet ti ve e ancor prima del merca to, per non poter paga re i co stosi farmaci “essen ziali” brevet tati o, peggio, perché i farmaci bana li che potrebbero cu rarli non sono più prodotti, riguardando ma lattie in gran parte debel late e scompar se nei paesi occi dentali (Cfr. Giani Tognoni, I farmaci essen­ ziali come indicatori di di rit to, in Giornale italiano di farmacia clinica, 12, 2, apr.–giu. 1998, 116–122). 107 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu mica anche nei paesi più ricchi, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, che sta degenerando in una crisi della democrazia. La crisi si manifesta infatti in una totale impotenza della politica, cioè degli Stati e delle loro tradizionali istituzi­ oni democratiche nazionali – partiti, governi e parlamenti – generata dalla loro subalternità, nell’odierno capitalismo globalizzato, all’economia e più precisa­ mente ai poteri inanziari. La politica e le sue istituzioni democratiche hanno così abdicato al loro ruolo di governo e si sono assoggettate ai cosiddetti “mer­ cati”, cioè ai poteri sregolati e selvaggi della inanza speculativa i quali, dopo aver provocato la crisi economica, stanno imponendo agli Stati la distruzione del Welfare, la riduzione della sfera pubblica, lo smantellamento del diritto del lavoro, la crescita delle disuguaglianze e della povertà e la devastazione dei beni comuni. All’impotenza della politica nei confronti dei mercati fa infatti riscon­ tro la sua ritrovata onnipotenza nei confronti dei diritti delle persone. Si è in­ somma invertito il rapporto tra pubblico e privato: non abbiamo più il governo dei poteri privati da parte dei poteri pubblici, ma il governo dei poteri pubblici da parte dei poteri privati. E si è altresì capovolto il rapporto tra politica ed economia. Non sono più i governi e i parlamenti democraticamente eletti che regolano i mercati e controllano il mondo degli afari in funzione degli interessi pubblici e generali, ma sono le potenze incontrollate dei mercati che governano gli Stati, imponendo loro politiche antidemocratiche e antisociali, a vantaggio degli interessi privati della massimizzazione dei proitti, delle speculazioni i­ nanziarie e della rapina dei beni comuni e collettivi. 9 IL FUTURO DEL COSTITUZIONALISMO Se tutto questo è vero, il costituzionalismo non è solo una conquista del pas­ sato e il più impor tante lascito del secolo scorso. Esso è anche un program­ ma per il futuro, che richiede da un lato la sua maggiore attuazione negli or­ dinamenti statali, dall’altro il suo sviluppo a livello internazionale e, insieme, nei confronti dei poteri economici privati. Il paradigma dello “stato di diritto”, come dice questa stessa espressione, è stato concepito e si è sviluppato nei con­ fronti soltanto dello Stato, cioè dei poteri statali. Non ha investito né i poteri sovrastatali, essendo stato il diritto positivo identiicato per lungo tempo con il solo diritto statale, né i poteri economici privati, a loro volta ideologicamente concepiti dalla tradizione liberale, come si è visto nel § 4, anziché come poteri, come diritti di libertà. Di fronte alla crisi della sovranità degli Stati e ai pro­ cessi di assoggettamento della politica all’economia più sopra illustrati, la sola alternativa al tramonto dell’intero paradigma della democrazia costituzionale è perciò il suo allargamento ai poteri economici privati e il suo sviluppo al l’al tezza dei nuovi luo ghi, non più statali ma extra­ o sovra­statali, nei qua li si sono spo­ 108 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu stati i pote ri e le deci sioni: in breve, verso un costituzionalismo di diritto privato e, insieme, verso un costituzionalismo di diritto internazionale o sovranazionale. Di fronte alla crisi, in breve, o si va avanti o si va indietro: o si realizza un’ulteriore espansione del costituzionalismo in una pluralità di sensi e direzi­ oni, oppure si rischia il collasso dell’intero paradigma e la regressione premo­ derna delle stesse democrazie nazionali. L’espansione si richiede in due sensi. In primo luogo in senso estensionale, in direzione delle due classi di potere – i poteri privati e i poteri extra­ o sovrastatali – rimasti estranei al vecchio paradi­ gma dello stato di diritto. In secondo luogo, in senso intensionale, in direzione delle due dimensioni – quella formale della separazione dei poteri e quella so­ stanziale della garanzia dei diritti e dei beni fondamentali – dell’odierno paradi­ gma costituzionale. 9.1 Prospettive di espansione in senso estensionale La prima espansione, cioè l’estensione del paradigma costituzionale ai poteri extra­ o sovra­statali, ri chiede un percorso inverso a quello compiuto dagli sta­ ti nazio nali: non già il costituziona lismo quale comple tamento del paradigma dello sta to legislativo di diritto, ma al contrario la costruzione dello stato legisla­ tivo di diritto quale attuazione delle promesse costituzionali espresse dai diritti fondamentali positivamente stabiliti. Il diritto sovra­statale, infatti, dispone già di innumerevoli carte e dichiarazioni dei diritti, regionali e internazionali. Il vuoto di diritto pubblico sovra­statale di cui ho sopra parlato è soprattutto un vuoto di garanzie di tali diritti, che richiedono norme di attuazione in grado di colmare le loro lacune. Il suo superamento richiede oggi, alla ragione giuri­ dica e politica, un terzo mutamento di paradigma del diritto e delle istituzioni politiche, dopo i due mutamenti prodottisi con le due rivoluzioni istituzionali della modernità: la fondazione gius­positivistica dello Stato moderno quale sfe­ ra pubblica separata ed eteronoma rispetto alle sfere private, e poi la fondazione gius­costituzionalistica della democrazia attraverso la sua garanzia mediante i limiti e i vincoli imposti ai poteri politici. Questo terzo mutamento dovrebbe consistere nella fondazione gius­cosmopolitica di una sfera pubblica sovranazi­ onale, in grado di imporre limiti e vincoli ai poteri economici sovrastatali con­ tro le molteplici crisi – economiche, ecologiche, sociali e in ultima analisi delle stesse democrazie nazionali – provocate dal loro odierno carattere sregolato e selvaggio. Proprio la crisi economia in atto potrebbe rappresentare un’occasione, a ca­ usa della necessità e dell’urgenza di misure pubbliche sovrastatali in grado di fronteggiarla, per far compiere un passo in avanti al processo di integrazione, sia europeo che internazionale. Mai come oggi, di fronte alla gravità della cri­ si, si è rivelata la mancanza drammatica di un governo politico sovranazionale dell’economia, in grado di imporre regole, limiti e controlli alla inanza onde 109 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu impedirne gli attacchi speculativi. I rimedi da più parti prospettati a una simile carenza, taluni a livello europeo, altri a livello internazionale, sono molteplici ed eterogenei, tanto necessari e urgenti quanto purtroppo nei tempi brevi impro­ babili: anzitutto una iscalità europea e magari internazionale, a cominciare da un’adeguata tassazione delle transazioni inanziarie – come la ben nota Tobin Tax – diretta non solo al prelievo di risorse pubbliche ma anche, e soprattutto, a ridurre drasticamente, se non a impedire, le operazioni di pura speculazione; in secondo luogo, un passo in avanti in direzione della costruzione di un’Europa federale e al tempo stesso sociale, dotata di un bilancio comune e di comuni po­ litiche economiche e sociali; in terzo luogo l’attribuzione delle valutazioni sulle inanze degli Stati, oggi aidate ad agenzie di rating private, alla competenza di autorità internazionali pubbliche e indipendenti; in quarto luogo la sottrazio­ ne al mercato e all’appropriazione privata, ma anche alla disponibilità politica, di beni vitali o fondamentali e/o comuni come l’aria, l’acqua, gli equilibri cli­ matici e il patrimonio ambientale attraverso la loro previsione come beni de­ maniali nelle costituzioni statali e nei trattati internazionali; in quinto luogo la tendenziale e graduale uniicazione del diritto del lavoro e delle sue garanzie, dapprima a livello europeo e poi a livello mondiale e, insieme, l’introduzione di redditi minimi ex lege a garanzia comunque della sopravvivenza; inine una ri­ forma in senso efettivamente rappresentativo delle attuali istituzioni economi­ che – il Fondo Monetario Inter na zionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione mondiale del com mercio – oggi controllate dai paesi più ricchi, onde restitu­ irle alle originarie funzioni statutarie quali furono disegnate da John Maynard Keynes: la stabilità inanziaria, l’aiuto allo sviluppo dei paesi poveri, la pro­ mozione dell’occupazione e la riduzione degli squilibri e delle disuguaglianze, cioè esattamente l’opposto delle loro prestazioni odierne, consistenti invece nell’imposizione agli Stati di politiche pesantemente antisociali. 9.2 Prospettive di espansione in senso intensionale Ma l’espansione del paradigma costituzionale si richiede anche in senso in­ tensionale. In questa prospettiva andrebbero raforzate e in molti casi inven­ tate molteplici ordini di garanzie, a sostegno di tutte e quattro le dimensioni – politica, civile, liberale e sociale – della democrazia costituzionale distinte nel § 3 e delle quattro classi di diritti ad esse corrispondenti. Non mi sofermerò sulle garanzie dei diritti politici e della rappresentatività delle istituzioni elet­ tive, se non per dire che l’impedimento dell’onnipotenza delle maggioranze e delle derive populistiche richiede oggi la riabilitazione del ruolo dei parlamenti, l’ancoraggio alla loro iducia del potere esecutivo e il divieto del mandato im­ perativo, l’una e gli altri favoriti dal sistema elettorale proporzionale e vaniicati invece dalla tendenziale trasformazione delle elezioni, provocata dai sistemi va­ riamente bipolari e maggioritari, nell’investitura popolare di una maggioranza 110 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu e del suo capo. Parlerò invece delle molteplici separazioni tra poteri che oggi si richiedono, ben al di là della classica tripartizione e separazione montesquievia­ na, a tutela dei diritti politici e civili e delle relative dimensioni della democrazia e, per altro verso, delle garanzie primarie e secondarie richieste dai diritti di libertà e dei diritti sociali contro le loro possibili lacune. E’ necessario, in primo luogo, restaurare la separazione della sfera pubblica dalla sfera economica e il primato della prima sulla seconda, che sono i due trat­ ti caratteristici della modernità oggi dissolti dalle molteplici concentrazioni di poteri e dai conseguenti conlitti di interessi. A tal ine si richiede l’introduzione di rigide incompatibilità tra poteri politici e poteri privati: non solo le garanzie primarie, peraltro già presenti in molti paesi e perino in Italia, dell’ineleggibilità alle cariche pubbliche di quanti sono titolari di rilevanti interessi e poteri priva­ ti, ma anche le garanzie secondarie consistenti nell’attribuzione del controllo di tali incompatibilità ad organi terzi e imparziali.62 La vecchia ricetta montesquieviana della separazione dei poteri dovrebbe in secondo luogo investire, nelle odierne democrazie complesse, anche il rapporto tra poteri pubblici e poteri sociali: non solo quindi tra la sfera della politica e quella dell’economia, ma anche tra la sfera delle istituzioni e i partiti, che dovre­ bbero essere restituiti al loro ruolo di organi della società e di strumenti della partecipazione dei cittadini alla vita politica, quali soggetti rappresentati, an­ ziché rappresentanti, deputati alla formulazione dei programmi, alla scelta dei candidati e alla responsabilizzazione degli eletti. I partiti, in breve, dovrebbero essere separati dallo Stato: non solo dagli apparati amministrativi di gestione di­ retta della cosa pubblica, ma anche dalle istituzioni rappresentative. Per tre ragi­ oni: in primo luogo per consentire la mediazione rappresentativa tra istituzioni pubbliche elettive ed elettorato attivo; in secondo luogo per evitare i conlitti di interesse che si manifestano nelle auto­candidature dei dirigenti e nelle varie forme di cooptazione dei candidati sulla base della loro fedeltà a quanti li hanno designati; in terzo luogo per impedire la confusione dei poteri tra controllori 62 Si ricordi l’articolo 10 della legge eletto rale italiana n. 361 del 30. 3. 1957, che dispone l’ineleggibilità di “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti lega li di so cietà o di imprese private risultino vincolati con lo Sta to ... per con ces sioni o autorizza zioni ammi­ nistrative di note vole enti tà eco nomi ca”, quali quelle richieste alle imprese televisive. Ciò che manca in Italia contro simili conlitti di interessi sono le garanzie secondarie o giurisdizionali, essendo i controlli sull’eleggibilità aidati, quali interna corporis, alle stesse assemblee elettive, in tal modo chiamate a giudicare in causa propria e perciò investite esse stesse da un ulteriore con litto di in te ressi. Sulle istituzioni elettorali di garanzia indipendenti – come sono, per esempio in Messico, il Tri bunal Electoral del Poder Judicial e l’In stituto Fede ral Electoral, isti­ tuiti nel 1996 – si vedano Jose de Jesús Orozco Henríquez, El Contencioso electoral, in Dieter Nohlen, Sonia Picado e Daniel Zovatto (a cura di), Tratado de derecho electoral comparado de América Latina, Ciudad de México, Ife, 1998, 708–807 e Ricardo Becerra, Pedro Sala zar, José Woldenberg, La mecánica del cambio político en México. Elecciones, partidos y reformas, México, Cal y Arena, 2000. 111 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu e controllati e la responsabilità dei secondi rispetto ai primi. Occorrerebbe a tal ine prevedere l’incompatibilità tra cariche di partito e cariche elettive is­ tituzionali, sicché i dirigenti di partito avrebbero l’onere di dimettersi all’atto dell’assunzione di funzioni pubbliche. Si porrebbe così ine all’odierna occu­ pazione delle istituzioni da parte dei partiti, i quali dovrebbero essere investiti di funzioni soltanto di indirizzo politico, e non anche direttamente di pubblici poteri. Solo il venir meno degli attuali conlitti di interesse che si manifesta­ no nell’autoelezione e nella designazione da parte dei capi dei partiti dell’intero personale rappresentativo varrebbe a restaurare il rapporto di rappresentanza tra istituzioni elettive ed elettorato, a radicare i partiti nella società, a ridurre il loro discredito odierno e a restituire loro autorevolezza, credibilità e capacità di attrazione e aggregazione sociale e di controllo e responsabilizzazione degli eletti.63 Ma il paradigma costituzionale dovrebbe oggi suggerire, in terzo luogo, un ripensamento dell’intera sfera pubblica e una rifondazione, sia a livello stata­ le che a livello internazionale, della classica tripartizione montesquieviana dei pubblici poteri. Di fronte allo sviluppo delle funzioni pubbliche generato dallo sviluppo dello stato sociale e richiesto dalla stipulazione, nelle tante carte nazi­ onali e internazionali, dei diritti fondamentali e in particolare dei diritti sociali, quella tripartizione dovrebbe essere aggiornata ben al di là della separazione settecentesca del potere giudiziario dal potere legislativo e da quello esecutivo. Ripropongo qui la distinzione, che ho più volte sostenuto, tra istituzioni di go­ verno e istituzioni di garanzia: le prime investite delle funzioni politiche di scel­ ta e di innovazione normativa in ordine a quella che ho chiamato la “sfera del decidibile”, e perciò legittimate dalla rappresentanza popolare; le seconde depu­ tate alla garanzia dei diritti fondamentali, cioè alla conservazione di quella che ho chiamato la “sfera del non decidibile”, e perciò legittimate dall’applicazione della legge, sia ordinaria che costituzionale. Rientrano tra le istituzioni e le fun­ zioni di governo sia il potere legislativo che il potere esecutivo, quest’ultimo non più aidato al sovrano, come nell’ancien regime, ma espressione, in democrazia, della rappresentanza politica al pari del legislativo al quale è vincolato, nei sis­ temi parlamentari, dal rapporto di iducia. Rientrano invece tra le istituzioni e le funzioni di garanzia non più soltanto le funzioni giurisdizionali, ma anche le funzioni amministrative deputate alla garanzia in via primaria dei diritti sociali, come le istituzioni scolastiche, quelle sanitarie, quelle previdenziali e simili.64 63 Rinvio, su questa proposta, a PI, II, § 14.8, 190–193 e a Luigi Ferrajoli, Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana, Roma­Bari, Laterza, 2011, § 4.2, 68–69. 64 Sulla distinzione tra funzioni e istituzioni di governo e funzioni e istituzioni di garanzia, e di queste ultime in funzioni e istituzioni di garanzia primaria e funzioni e istituzioni di ga­ ranzia secondaria, rinvio a PI, I, §§ 10.16­10.18, 668–684 e 12.5–12.8, 862–879; PI, II, §§ 14.10–14.12, 200–218 e a Ferrajoli 2011 (n. 63), § 4.2, 70–72. 112 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu Questa riformulazione della separazione tra i pubblici poteri è a mio parere essenziale ai ini della rifondazione della democrazia costituzionale. La strut­ tura della sfera pubblica dello Stato, tuttora modellata sul vecchio schema della tripartizione montesquieviana dei pubblici poteri, ha infatti incanalato l’intero sviluppo dello Stato sociale e delle sue prestazioni entro gli apparati burocra­ tici del potere esecutivo. Le funzioni di garanzia primaria dei diritti sociali – come i diritti alla salute, all’istruzione, alla previdenza e alla sussistenza – non potendo essere organizzate entro il potere legislativo o il potere giudiziario, si sono tutte collocate entro quel grande e indistinto contenitore che è la Pubblica Amministrazione, alle dipendenze del potere esecutivo o di governo. Di qui le pratiche dello spoils system, delle lottizzazioni partitiche e dei condizionamen­ ti politici delle funzioni e delle istituzioni di garanzia – la sanità pubblica, la scuola, gli istituti di previdenza e di assistenza – la cui legittimazione politica, al contrario, risiede non certo nel consenso delle contingenti maggioranze, ma nell’applicazione della legge a garanzia dei diritti di tutti. E’ in forza di questa diversa fonte di legittimazione, non maggioritaria ma garantista, che nel mo­ dello della democrazia costituzionale la separazione e l’indipendenza di queste istituzioni e funzioni di garanzia, che ho chiamato “primarie” perché deputate alla soddisfazione in via primaria dei correlativi diritti sociali, dovrebbero es­ sere assicurate al pari della separazione e dell’indipendenza delle istituzioni e delle funzioni giurisdizionali, che ho chiamato “secondarie” perché interven­ gono in caso di violazione delle garanzie primarie. Solo in questo modo, attra­ verso l’uguale e imparziale attuazione ad opera di istituzioni indipendenti delle garanzie corrispondenti ai diritti fondamentali, è possibile la trasformazione dell’odierno stato sociale burocratico, con tutte le sue ineicienze e perversioni clientelari, in uno stato sociale e costituzionale di diritto. Per la stessa ragione, inversamente, non si dovrebbe consentire la confusione tra controllori e con­ trollati generata dalla pratica della dislocazione di magistrati ordinari o ammi­ nistrativi negli uici ministeriali degli organi di governo. La medesima separazione tra funzioni e istituzioni di governo e funzioni e istituzioni di garanzia è d’altro canto particolarmente feconda ai ini di una fon­ dazione costituzionale della sfera pubblica sovrastatale; la quale richiede – ben più che lo sviluppo delle funzioni di governo in vista di un improbabile e neppu­ re auspicabile super­Stato, sul modello dello Stato rappresentativo nazionale – il raforzamento e l’introduzione di funzioni e di istituzioni di garanzia dei diritti fondamentali stipulati nelle tante carte internazionali. Mentre infatti le funzioni di governo, essendo legittimate dalla rappresentanza politica, è bene che riman­ gano quanto più possibile di competenza degli Stati nazionali, le funzioni di garanzia, essendo legittimate dalla soggezione alla legge e dall’universalità dei diritti fondamentali, non solo possono, ma in molti casi devono – in materia di tutela dell’ambiente e di beni ecologici comuni, di difesa dalla criminalità internazionale, di tutela della salute e di riduzione delle disuguaglianze e della 113 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu povertà – essere istituite a livello internazionale. E’ la mancanza o l’ineicacia di queste istituzioni e funzioni di garanzia dei diritti, pur stipulati in tante carte e dichiarazioni, la lacuna più vistosa, equivalente a una violazione struttura­ le, dell’attuale diritto internazionale. Talune di queste istituzioni, come quelle economiche già ricordate e, per altro verso, la FAO, l’Organizzazione mondiale della sanità e la Corte penale internazionale, esistono da tempo, e occorrereb­ be raforzarle e dotarle dei mezzi e dei poteri necessari all’esercizio delle loro funzioni di garanzia. Altre – in tema di ambiente, di sicurezza, di criminalità organizzata e di altre emergenze al tempo stesso vitali e globali – andrebbe­ ro invece istituite. E’ poi evidente che il loro inanziamento richiederebbe una iscalità mondiale: oltre alla già ricordata Tobin tax sulle transazioni inanziarie, la tassazione dell’uso, dello sfruttamento e del danneggiamento di molti beni comuni – dalle orbite satellitari alle bande dell’etere e agli spazi atmosferici – oggi utilizzati dai paesi più ricchi come res nullius. E’ poi evidente che tutte le separazioni sopra elencate – tra poteri econo­ mici e poteri politici, tra il potere sociale dei partiti e il potere politico delle istituzioni rappresentative di governo, tra funzioni e istituzioni di governo e funzioni e istituzioni di garanzia – varrebbero a contrastare quell’onnipotenza delle maggioranze che sta oggi minacciando la tenuta delle nostre democrazie. Non dimentichiamo il monito di Montesquieu sulla vocazione di chiunque ab­ bia un potere “ad abusarne, procedendo ino a quando non trova dei limiti” e sulla necessità, “perché non si possa abusare del potere… che il potere freni il potere”:65 precisamente, che i poteri e le funzioni di garanzia frenino i poteri di governo, in attuazione dei limiti e dei vincoli a questi imposti dai diritti costitu­ zionalmente stipulati, e che i poteri pubblici siano separati non solo tra loro, ma anche dai poteri economici, sociali e culturali. C’è poi un’altra espansione che si richiede al costituzionalismo e che rigu­ arda lo sviluppo delle garanzie primarie e secondarie. In questa prospettiva il problema principale è quello delle lacune. E’ infatti proprio nella lacuna di leggi di attuazione dei diritti costitu zionalmente stabi liti – in particolare dei diritti socia li, come il diritto alla salute, all’istruzione e alla sussisten za – che risiede oggi il principale fattore di illegittimità co sti tuziona le dei no stri ordinamen­ ti. L’assenza di garanzie è pres soché to tale nel diritto internazio nale. Salvo po­ che eccezio ni, tra le quali la Corte pena le internazionale per i cri mini contro l’umanità, peraltro inoperante nei confronti dei paesi più forti, l’ordinamento internazionale è quasi del tutto privo di istitu zioni di garan zia: tanto che possi­ amo iden tiicare la globalizza zione, sul piano giuridico, con il sostanziale vuoto già segnalato di una sfera pubblica globale, cioè di garanzie all’al tezza dei tanti diritti fondamentali pur solennemente proclamati nelle tan te Dichiarazio ni e convenzioni internazionali. 65 Montesquieu 1952 (n. 25), II, lib. XI, cap. 4, 274. 114 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu Ma anche a livello statale le odierne demo crazie sono incom plete, a causa della mancanza di idonee garanzie dei tanti diritti stabiliti nelle loro costituzio­ ni rigi de. Perino per i diritti di libertà le classiche garanzie primarie dei divie ti ad essi corrispondenti e quelle secondarie della condanna penale per le loro lesioni e dell’annullamen to delle norme con essi in con trasto si stanno rivelando largamente inidonee a metterli al ripa ro dalle vecchie e nuo ve insidie e aggres­ sioni da parte non solo dei poteri politici ma anche dei grandi poteri economici privati. Di qui la necessità di un nuovo costituzionalismo liberale di diritto pri­ vato, oltre che pubblico, in grado di imporre limiti al mercato dell’informazione e delle comunicazioni. Lo stesso si dica dei diritti po liti ci, che possono esse­ re vaniicati, ove l’ordinamento non di spon ga di eicaci garanzie, dai metodi elettorali adot tati, dalla concentrazione dei media e dalle le sioni recate alla rappresen tanza dalle derive plebiscitarie e dai con litti di interessi. Ma il problema più grave è oggi la mancanza, in molti ordinamenti, delle garanzie pri marie di molti diritti sociali e delle tecniche giuridiche idonee a costringere i pub blici poteri ad introdurle. Mancano perino, in molti casi, le tecniche garantiste idonee a impedire o a riparare lo smantel la mento – in atto per esempio in Italia, come sopra si è visto, ma anche in molti altri paesi – di molte delle garanzie sociali esi stenti. L’argomento avanzato di solito a sostegno della mancanza o dell’inefettività di tali garanzie è il loro costo economico. Si tratta di un argomento fallace, che come ho osservato più volte deve essere ri­ baltato.66 Le spese sociali in materia di salute, di istruzione e di occupazione sono anche le spese economicamente più produttive, dato che da esse dipendo­ no la tutela e lo sviluppo della produttività, sia individuale che collettiva. Ne è prova la maggiore ricchezza dei paesi nei quali, come in Europa, si è sviluppato lo Stato sociale, rispetto ai paesi poveri e privi di tutele e rispetto al loro stesso passato. Ma ne è prova la stessa recessione economica in atto nei nostri paesi, provocata dai tagli alla spesa pubblica e dalla riduzione dell’occupazione messi in atto, in contraddizione con gli insegnamenti di John Maynard Keynes, per fronteggiare la crisi economica. D’altro canto, nelle società odierne sopravvive­ re è sempre meno un fatto naturale e sempre più un fatto sociale, dipendente dall’integrazione dell’individuo nel tessuto delle relazioni economiche e sociali. Diversamente dalle società primitive, nelle quali la sopravvivenza era assicurata da un rapporto diretto con la natura, nella società capitalistica, e più che mai nell’odierna economia globalizzata, si è rotto irriversibilmente il rapporto tra sopravvivenza e occupazione teorizzato da Locke all’origine dell’età moderna.67 66 Mi limito a rinviare a PI, II, § 13.13, 67–71. 67 Si ricordi la lunga argomentazione sviluppata da John Locke, Due trattati sul governo. Secondo trattato (1690), Luigi Pareyson (tr. it. di), Torino, Utet, 1968, cap. V, a sostegno del nesso tra sopravvivenza, lavoro e proprietà: “La ragione naturale”, egli scrive, “ci dice che gli uomini una volta nati, hanno diritto alla loro conservazione, e per conseguenza a mangiare e bere” (ivi, § 25, 258). Questo diritto è soddisfatto dalla proprietà, che a sua volta è frutto del lavoro: “quan­ 115 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu Oggi, come mostrano i lussi migratori e la crescita della disoccupazione gio­ vanile, non basta più la volontà di lavorare per ottenere un’occupazione. Di qui la stipulazione, nelle odierne costituzioni, dei diritti sociali alla sopravvivenza e perciò a prestazioni vitali, in aggiunta al diritto negativo alla vita da lesioni altrui, quali clausole fondamentali del patto di convivenza. E’ in questa prospettiva che oggi si richiede, in aggiunta alla garanzia dei diritti sociali alla salute e all’istruzione, la garanzia di un reddito minimo so­ ciale ex lege, necessario non solo alla sopravvivenza in caso di disoccupazione ma anche al raforzamento dell’autonomia contrattuale dei lavoratori. Non solo. Di fronte alla diicoltà, se non all’impossibilità, di apprestare garanzie giuris­ dizionali contro le lacune di garanzie sociali, indicazioni di grande interesse provengono dal costituzionalismo di terza generazione che sta sviluppandosi in molti paesi dell’America Latina. Mi limito a ricordare l’obbligo in capo ai go­ verni, introdotto dalla Costituzione brasiliana, di rispettare precisi vincoli di bilancio imposti dalla previsione di quote minime della spesa pubblica da riser­ vare alla soddisfazione dei diritti sociali e, in particolare, del diritto alla salute e del diritto all’istruzione.68 Grazie a questa innovazione, la garanzia debole del ta terra un uomo lavori, semini, boniichi e coltivi, usandone il prodotto, tanta è proprietà sua. Egli, col suo lavoro, la recinge, per così dire, sostituendosi alla proprietà comune … Né questa appropriazione di una porzione di terra in base alla coltivazione di essa torna a pregiudizio per altri, poiché ne rimane sempre abbastanza buona, e più di quanta possa servire a chi ne è sprovvisto” (ivi, §§ 32–33, 263–264). Infatti, “la misura della proprietà è stata dalla natura ben stabilita in base all’entità del lavoro dell’uomo e dei comodi della vita: non c’è lavoro umano che possa sottomettere o appropriarsi di tutto, né fruizione che possa consumare più che una piccola parte, così ch’è impossibile che un uomo per questa via invada il diritto di un altro”, es­ sendo per quest sempre possibile emigrare “in qualche parte interna e deserta dell’America… poiché vi è terra suiciente nel mondo da bastare al doppio degli abitanti” (ivi, § 36, 266–267). 68 L’art. 212, in materia di istruzione, stabilisce che “l’Unione applicherà annualmente mai meno del 18 % e gli Stati, il Distretto federale e i Municipi mai meno del 25 % del ricavato delle imposte … al mantenimento e allo sviluppo dell’insegnamento”. L’art. 198, §§ 2 e 3, in ma­ teria di salute, stabilisce invece che “l’Unione, gli Stati, il Distretto Federale e i Municipi uti­ lizzeranno annualmente, per le azioni e i servizi sanitari pubblici, risorse minime derivanti dall’applicazione di percentuali calcolate, nel caso dell’Unione nella forma deinita ai sensi della legge complementare prevista nel § 3” cioè di una legge “che sarà rivista almeno ogni cinque anni” e che “stabilirà”, oltre alle percentuali suddette, “i criteri di rateizzazione delle risorse dell’Unione vincolate alla salute e destinate agli Stati, al Distretto Federale e ai Mu­ nicipi”. In assenza di tale legge, l’art. 77, § 4 delle Disposizioni transitorie, prevedendo la sua eventuale lacuna, stabilisce che “si applicherà all’Unione, al Distretto Federale e ai Comuni quanto disposto” nei paragrai precedenti, e cioè la destinazione delle risorse minime utiliz­ zate nell’esercizio inanziario dell’anno precedente “aumentato come minimo del 5 %” per quanto riguarda l’Unione, “del 12 % per quanto riguarda gli Stati e il Distretto Federale” e “del 15 % per quanti riguarda i Municipi”. Da ultimo, peraltro, la lacuna è stata evitata dalla recente legge complementare n.141 del 13 gennaio 2012, che in materia di sanità ha confermato la percentuale del 12 % per gli Stati e del 15 % per i Municipi e per l’Unione, stabilendo che esse devono crescere, nel minimo, con la crescita del Pil. Inine l’art. 34, VII, lett. e) stabilisce che l’Unione non interverrà nelle politiche di spesa degli Stati o del Distretto Federale” se non per “assicurare l’osservanza” del principio dell’“applicazione del minimo richiesto delle entrate 116 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu generico obbligo in capo al legislatore di introdurre, senza alcun vincolo quan­ titativo, leggi di attuazione dei diritti sociali si è trasformata nella garanzia for­ te dell’obbligo di destinare alla soddisfazione di tali diritti almeno determinate quote dei bilanci pubblici;69 con il risultato che sia la lacuna di simili leggi che la loro inadeguatezza, di per sé incensurabili in sede giudiziaria, si sono trasfor­ mate in antinomie, rilevabili e riparabili in tale sede, su iniziativa degli uici del Pubblico Ministero, quali violazioni della Costituzione. Un ultimo ordine di espansioni riguarda inine le garanzie secondarie di tipo giurisdizionale contro le antinomie e le lacune. Quanto alle antinomie, il controllo ben potrebbe essere allar gato agli atti non legislativi: come per esem­ pio la partecipazione alla guerra, il cui solenne ripudio, enunciato dall’art.11 della Costituzione ita liana non è assistito da nessu na garan zia giu risdizionale. Per altro verso, occor rerebbe estende re ad altri sog getti, oltre ai giu dici a quo, la legittimazione a sol levare la questio ne di inco stituzio nalità. Si pensi alla le­ gittimazione attiva ad adire la giurisdizione di costituzionalità prevista in molti ordinamenti in capo alle minoranze parlamentari o agli organi di governo.70 Ma si pen si, so prattutto, alla proposta avan zata da Hans Kelsen ed attuata per esem­ pio dalla costituzione brasiliana, dell’i stituzio ne, presso la Corte costitu zionale, di un procuratore generale, da lui chia mato “di fensore della co stitu zione”, con il compito di eccepire l’il legitti mità di qua lunque atto del Parla mento da lui ritenuto in costitu zionale.71 Più diicile e problematico è l’e sten sione del con­ trollo di costituzio nalità alle lacu ne, cioè alle violazioni della costituzione non per com missione (come sono le antinomie generate da norme invali de), ma risultanti da imposte statali … per la conservazione e lo sviluppo dell’insegnamento e per le prestazioni e i servizi pubblici sanitari”. Sui vincoli di bilancio, cfr. anche PI, II, § 13.19, 98 e § 15.18, 402–403. 69 Ho chiamato ‘garanzia debole’ l’obbligo di garantire, correlativo all’aspettativa espressa da un diritto fondamentale normativamente stabilito, e ‘garanzia forte’ l’obbligo della prestazione, per esempio scolastica o sanitaria, introdotto dall’attuazione obbligatoria della garanzia debo­ le: il primo obbligo è imposto al legislatore, e può accadere che questi non lo attui dando così luogo a una lacuna; il secondo obbligo spetta agli apparati istituzionali e ai loro funzionari, istituiti in attuazione del primo (PI, I, §§ 9.14, 10.20, 10.21, 11.17 e 12.14, 556, 694, 701, 815, 917 e 918; PI, II, §§ 13.15 e 13.19, 80 e 96). 70 E’ quanto prevedono l’art. 93, 1° comma della Legge Fondamentale tedesca, l’art. 162 della Costituzione spagnola, l’art. 281 della Costituzione portoghese e l’art. 103 della Costituzione brasiliana. 71 “Un istituto del tutto nuovo ma che meriterebbe la più seria considerazione sarebbe quello di un difensore della costituzione presso il tribunale costituzionale che, a somiglianza del pubbli co ministero nel processo penale, dovrebbe introdurre d'uicio il procedimento del controllo di costituzionalità per gli atti che ritenesse irregolari. Il titolare di una simile funzi­ one do vrebbe avere evidentemente le più ampie possibili garanzie d'in dipendenza sia nei con­ fronti del governo che del parlamento. Per ciò che concerne i ricorsi contro le leggi, sarebbe di estrema importanza attribuire il diritto di proporli anche ad una mino ranza qualiicata del parlamento” (Hans Kelsen, op. ult. cit., § 19, 196). L’istituto è stato introdotto nella Costituzi­ one brasiliana… 117 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu per omis sione: un controllo pre visto dalla Costituzione portoghe se e da quella bra siliana, che tuttavia in contra un limi te insu perabile nella natu ra di giudizio di annul lamento e cadu cazione del l’atto inva lido accerta to che è propria della giu risdi zione di legitti mità:72 un limite, peraltro, in parte aggirato dai già ricor­ dati vincoli di bilancio, la cui imposizione vale a trasformare le possibili lacune in antinomie censurabili in sede giudiziaria. E’ poi evidente che tutte queste espansioni del ruolo della giurisdizione richieste dal paradigma costituziona­ le suggeriscono, a sostegno della stessa legittimazione del potere giudiziario, la sua più rigida soggezione alle norme costituzionali quale proviene, come si vedrà nel prossimo capitolo, dal modello garantista della loro applicazione assai più che dal modello principialista della loro ponderazione. Naturalmente la crisi odierna del paradigma costituzionale non consente nessun ottimismo. Ma dobbiamo essere consapevoli che in tale crisi non c’è nul­ la di naturale; e che la democrazia, nelle sue diverse e complesse forme, dimen­ sioni e livelli, è una costruzione artiiciale, che dipende dalla politica, dalle lotte sociali a suo sostegno ed anche dal ruolo critico e progettuale della scienza gi­ uridica e politica. Le degenerazioni in atto, ma anche le arretratezze e le lacune responsabili dell’inefettività del paradigma costituzionale devono comunque essere lette come al trettanti fattori di illegittimità. Possiamo infatti iden tiicare il grado di le gitti mità dell’ordinamento di una democra zia costi tuzionale con il grado di efettività delle garanzie dei diritti in essa costi tuzional men te stabiliti; e identiicar ne l’illegit timità con le loro vio la zioni o peggio con le loro lacune. E’ precisamente l’identiicazione di questi proili di illegittimità il più rile vante compito scientiico, e insieme politico, che il costituzionalismo conferisce oggi alla scienza giuridica: non più concepibile né praticabile come mera contempla­ zione e descrizione del diritto vigente, secondo il vecchio metodo tecnico­giu­ ridico, bensì investita, dalla stessa struttura a gradi del proprio og getto, di un ruolo critico delle antinomie e delle lacune in que sto generate dai dislivelli nor­ mativi e di un ruolo progettuale delle tecniche di garanzia idonee a superarle o quanto meno a ridurle. 10 IL DIRITTO ILLEGITTIMO NELLO STATO COSTITUZIONALE DI DIRITTO E IL RUOLO DELLA SCIENZA GIURIDICA Vengo così all’ultimo tratto distintivo del costituzionalismo garantista: il mutamento del ruolo da esso assegnato alla scienza giuridica. Si è detto che 72 L'art. 283 della Costituzione portoghese del 2.4.1976 e l'art. 103 della Costituzione brasi liana del 1988, dedicati al l'”incostituzio nalità per omissione” si limitano a prevedere la segnalazi­ one della lacuna da parte del Tribunale Costituzionale all'organo legislativo e, nel caso della costituzione brasiliana, l'invito a colmarla “entro trenta giorni”. 118 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu l’innovazione strutturale introdotta dalla democrazia costituzionale è stata la stipulazione, in costituzioni rigide sopraordinate a tutte le altre fonti, di quella che ho chiamato la sfera dell’indecidibile: di ciò che non può essere deciso, cioè la violazione dei diritti di libertà, e di ciò che non può non essere deciso, cioè la soddisfazione dei diritti sociali. Orbene, questo “indecidibile (che o che non)” è chiaramente un indecidibile di carattere deontico o normativo. Ciò che è “non decidibile che” può essere, di fatto, deciso; e ciò che è “non decidibile che non” può essere, di fatto, non deciso. Possono ricorrere in breve, ho già detto, violazi­ oni della costituzione da parte del legislatore: violazioni per commissione, cioè antinomie consistenti nell’indebita produzione di norme invalide; violazioni per omissione, cioè lacune consistenti nell’omessa e parimenti indebita produzione di leggi di attuazione. Ne consegue una virtuale divaricazione tra il dover essere costituzionale e l’essere legislativo del diritto, nella quale risiede il principale difetto ma anche, ripeto, il maggior pregio dello stato costituzionale di diritto: la comparsa, grazie alla rigidità delle nuove costituzioni, del “diritto giu ridi ca­ mente illegitti mo”, cioè di un fenomeno impen sabile e di una con traddi zione in ter mini alla stregua del paradigma paleo­giuspo si ti vi sta del lo stato le gislativo di diritto, nel quale validità e vigore delle leggi coincido no a causa dell’as senza di norme di grado rigidamente sopraor dinato alle leg gi. E ne consegue altresì un ruolo critico e progettuale della scienza giuridica: critico nei confronti delle an­ tinomie, delle quali ha il compito di sollecitare la soppressione, progettuale nei confronti delle lacune delle quali ha il compito di sollecitare il completamento. La cosa singolare è che l’idea del “diritto illegittimo” – per l’indebita presenza di norme invalide o per l’indebita assenza di norme dovute – è un’idea inammis­ sibile e impensabile anche per Hans Kelsen, che pure, come ho ricordato, della struttura a gradi dell’ordinamento e del controllo costituzionale di legittimità delle leggi è stato il massimo teorico. Conseguentemente, per Kelsen come per Bobbio e per gran parte della scolastica kelseniana, tuttora attestata nella difesa del metodo tecnico­giuridico, è inammissibile un ruolo non puramente descrit­ tivo e avalutativo, ma critico e normativo della scienza giuridica.73 Le due tesi 73 Norberto Bobbio, Aspetti del positivismo giuridico (1961), in Norberto Bobbio, Giusnatu­ ralismo e positivismo giuridico, (1965), rist., Roma­Bari, Laterza, 2011, cap. V, § 3, 88–89. Si vedano anche le critiche rivolte, nei confronti delle tesi qui sostenute, da Alfonzo Ruiz Miguel, Validez y vigencia: un cruce de caminos en el modelo garantista, in Carbonell, Sala zar 2005 (n. 4), 211–232, e da Ricardo Guastini, Rigidez constitucional y normatividad de la ciencia ju­ rídica, ivi, 245–249, ai quali ho risposto nel libro Carbonell, Salazar 2005 (n. 4), cap. IV, 63–81; da Paolo Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti fon damentali, in Analisi e diritto. 2002–2003. Ricerche di giu risprudenza analitica, Torino, Giappichelli, 2004, 317–329, cui ho risposto in La pragmatica della teoria del diritto, ivi, in particolare nel § 7, 372–375. Critiche in parte diverse mi sono state rivolte da Ricardo Guastini, Algunos aspectos de la metateoría de Principia Iuris, in Doxa. Cuadernos de ilosoia del derecho, n. 31, 2008, 253–260, cui ho risposto in Ferrajoli 2008 (n. 51), ivi, § 1.2, 398–402. Per una critica giuspositivistica della tesi dell’avalutatività della scienza giuridica con riferimento all’odierno paradigma costituzionale, rinvio, oltre agli scritti sopra citati, a PiI, Introduzione, § 6, 26–32. 119 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu – quella teorica dell’equivalenza tra validità e vigore delle norme e quella meta­ teorica del carattere descrittivo e avalutativo della scienza giuridica – sono evi­ dentemente connesse. E sono connesse, a loro volta, alla concezione unicamen­ te formale della democrazia. Il nesso, a me pare, consiste nell’incomprensione delle due grandi novità introdotte dal paradigma del costituzionalismo rigido: la virtuale presenza del diritto illegittimo e perciò il ruolo anche normativo e non semplicemente descrittivo della scienza giuridica. Io credo che questa incomprensione sia stata anche il rilesso di un equi­ voco epistemologico, che ha gravemente e lungamente pesato, grazie proprio all’avallo di Kelsen, sugli studi di teoria del diritto, impedendo di coglierne la dimensione pragmatica. L’equivoco consiste nell’identiicazione tra (teoria) “formale” o “pura” e (teoria) “avalutativa” e/o “descrittiva”. “Formale” invece, quale termine metateorico, non equivale afatto a “avalutativa”, né tanto meno a “descrittiva”. Certamente la teoria del diritto è una teoria formale ­ come sosti­ ene Bobbio,74 o “pura”, come dice Kelsen ­ al punto che in Principia iuris ne ho fornito una formalizzazione e un’assiomatizzazione. Lo è nel senso che, di per sé, essa è soltanto una sintassi – la sintassi di quell’universo linguistico che è il diritto positivo – la quale non ci dice nulla sui contenuti dei concreti ordina­ menti, cioè su ciò che il diritto dispone, o su ciò che è giusto che disponga, o su come di fatto funziona, ma si limita a stipulare concetti e tesi in grado di spie­ gare e di analizzare la struttura di qualunque fenomeno giuridico. Ma proprio per questo – e non, semplicemente, nonostante questo – essa non può essere né puramente avalutativa né esclusivamente descrittiva. Non può essere puramente avalutativa e descrittiva, in primo luogo, a causa delle scelte che inevitabilmente presiedono alla stipulazione dei postulati e delle deinizioni teoriche. Queste assunzioni implicano sempre scelte, che non sono né vere né false. Le scelte sono di solito scelte di ca ratte re puramente teoretico, cioè giustiicate dalla maggiore capacità e splicativa da esse rivela ta, nel corso 74 Secondo Norberto Bobbio, “la teoria genera le del diritto è una teoria formale del diritto nel senso che studia il diritto nella sua struttura normativa, vale a dire nella sua for ma indi­ pendentemente dai valori a cui questa struttura serve e dal contenuto che racchiude” (Nor­ berto Bobbio, Studi sulla teo ria ge ne rale del diritto, Torino, Giappi chelli, 1955, VI). “E’ inutile dire che questa idea”, aggiunge Bobbio, “è stata elabora ta, nella forma in cui è più nota, dal Kelsen”, la cui “dottrina” o “teoria pura” è perciò “formale” nel senso suddetto. La stes sa ca­ ratterizzazione della teoria del diritto come “teoria forma le” è ripresa da Bobbio negli Bobbio 1955 (n. 74), 3–7, 34–40 e 145–147. Sul carattere “formale” delle tesi teoriche, rinvio alle chi­ ariicazioni svolte ripetutamente, a proposito della mia deinizione di “diritti fondamentali”, in Vitale 2001 (n. 4), I, § 1, 5–9; II, §§ 1 e 5, 123–145 e 150–151; III, §§ 1 e 4, 279–288, 298–309 e soprattutto nell’Introduzione a Principia iuris. E’ poi evidente che “for male” nel senso qui indicato, cioè quale predicato meta­teorico dei con cetti e degli asserti della teoria, non ha nulla a che vedere con il signiicato di “formale” come termine teorico, riferito alla “forma” degli “atti formali” (in oppo sizione alla “sostanza” o al ”signiicato” delle decisioni pro dotte), dalla quale dipen dono la loro “validità formale” e la dimensione “formale” della democrazia, legate entrambe all’osservanza delle norme a loro volta “formali” sulla produzio ne. 120 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu stesso della teoria, ri spetto a pos sibili scelte alternative. Tal volta, tuttavia, si trat­ ta di scelte alle quali non sono estranee opzioni valutative di carattere etico­po­ litico, det tate dalle spe ci i che ina lità rico strut tive perse guite dal teo ri co in vista delle implicazioni pratiche da esse sugge rite. Si pensi alle diverse implicazioni teoriche e pratiche delle deinizioni di “illecito” e di “diritto soggettivo” proposte da Kelsen, l’uno come presupposto di una sanzione e l’altro come rilesso di un dovere a sua volta concepito come presupposto dell’illecito e della conseguente sanzione,75 rispetto a quelle della dei nizione di illecito da me pro posta come “atto (in formale) vieta to” e di diritto soggettivo come “aspettativa di prestazioni o di non lesioni”. Per Kelsen la guerra, benché vietata dal diritto internazionale, non è un illecito non essendo stata introdotta la relativa sanzione;76 né sono diritti, ma semplici latus vocis i diritti fondamentali ove non siano introdot­ ti gli obblighi e le sanzioni corrispondenti alle loro violazioni. Sulla base delle mie deinizioni, al contrario, la guerra è un illecito semplicemente perché vie­ tata e i diritti pur privi di sanzioni sono diritti vincolanti semplicemente perché positivamente stabiliti e la mancanza di leggi di attuazione volte a introdur­ ne le garanzie, cioè i doveri corrispondenti e la sanzione, è conigurabile come un’indebita lacuna che richiede di essere riempita. In secondo luogo, e soprattutto, la teoria non può essere puramente descrit­ tiva dato che impone la coerenza del diritto positivo con se medesimo: una co­ erenza che di fatto può anche mancare, a causa della divaricazione già illustrata che virtualmente sussiste tra l’essere (legislativo) e il dover essere (costituziona­ le) del diritto. É in questa divarica zio ne interna al diritto tra li velli nor mativi, connessa alla duplice di mensione di “norma” e di “fat to” a sua volta regolato da norme che la lega lità ordinaria ha assunto nello stato costitu zio nale di di­ ritto, che risiede il tratto distinti vo del paradigma costitu zionale, carat terizzato appunto dalla sogge zione alla leg ge della legge medesi ma, non solo quanto alle forme degli atti che la pro ducono ma anche quanto ai contenuti norma tivi pro­ dotti. Questa sog gezione è avvenu ta tra mi te l’in corpo razione, in costi tu zio ni rigide, di principi etico­politici – come la separa zione dei pote ri, il principio di ugua glian za e i vari di ritti fonda mentali – tra sfor mati così da fonti di legit tima­ zione poli tica o esterna in fonti di legit timazio ne (e, se viola ti, di de legittima­ zione) an che giu ridica o interna. La principale implicazione metateorica di questa di varicazione riguarda il rapporto tra la logica e i suoi usi nella teoria del diritto da un lato e il diritto medesimo dall’altro. In un siste ma di diritto positivo – entro il quale le norme sono prodotte da autorità competenti, e non dedotte da altre norme – non sem­ 75 Kelsen 1966 (n. 56), § 6, lett. a), 43–44; Kelsen 1959 (n. 4), parte I, cap. III, 51–56. 76 Kel sen 1959 (n. 4), parte II, cap. VI, 332–337, 349 ss, 360–361; Hans Kelsen, Law and Peace in In ternational Rela tions, Cam bridge (Mass.), Har vard University Press, 1952, 36–55; Kelsen 1966 (n. 56), § 42, lett. a), 352–354. 121 european constitutionality review La democrazia costituzionale (2012) 18 www.revus.eu pre i principi logi ci sono sod disfatti dagli atti di produzione giuridica. In esso, anti no mie e lacune strutturali di fatto esistono tra norme di diverso livello a causa del diva rio che sempre virtualmente sus siste tra norma tività e ef ettività. Conseguentemente, coerenza e completezza, richieste dalla lo gica alla teoria del diritto e alle discipline giuridiche positive quali condizioni di consistenza di qualunque discorso sul diritto che enunci implica zioni tra igure deontiche, non sono né possono essere, nel paradigma co stituzionale, caratteri intrinse ci del di ritto che è og getto della teoria; giacché questo diritto è un sistema no modina­ mico, artico lato su più livelli, ciascuno dei quali è normativo nei confronti di quello inferiore ed è per ciò, da questo, virtual mente violato e con traddetto. La logica, in breve, è propria dei discorsi sul diritto, mentre non è, pur se dovrebbe, del discorso del diritto positivo, nei cui confronti ha perciò un ruolo non già descrittivo ma prescrittivo. Ciò vuol dire che i principi della logica deontica e tutti quelli del la teo ria che fanno uso di igure deontiche – come la contraddizione tra permesso e vietato, o l’implicazione tra aspet tativa positiva e obbligo corrispondente espresse ri­ spettivamente dai due quadrati delle opposizioni di cui ho parlato in dai primi due capitoli di Principia Iuris77 – sono sì principi del di ritto ma non principi nel diritto. Non consistono, in altre parole, in principi interni al diritto positi­ vo, cioè in quelli che possiamo chiamare prin cipia iuris et in iure, non essendo espressi né esplicitamente né implici tamente da norme giuridiche. Essi sono bensì principia iuris tantum, che im pongo no al di ritto positivo, quali principi ad esso esterni, la logica che esso, di fat to, non ha ma che, di dirit to, deve avere. Esprimono, in un ordinamento positivo o no modinami co, il “dover essere” del diritto stabilito dal di ritto medesimo, e cioè la normatività, nei confronti delle sue fonti, dei princi pia iu ris et in iure stabiliti dalle norme di grado ad esse so­ praor dinato. Di qui, il ruolo normativo che il paradigma teorico e formale della democra­ zia costituzionale, strut turato su più gradi o li velli nor mativi, svolge – o me­ glio impone di svolgere alle discipline giuridiche dei diversi ordinamenti – nei confronti del diritto positivo: perché entro tale para digma i principi teorici da essa teorizzati quali princi pia iuris tantum sono per un verso princi pi analiti ci logicamente veri, de scrit tivi appunto del mo del lo teo ri co; ma per altro verso sono principi normativi che impongono al diritto, non di versamente dai prin­ cipi della lo gica o della mate matica rispet to ai di scorsi che ne fanno uso, co­ erenza e comple tezza rispetto ai principia iuris et in iure quali sono i diritti e i principi di giustizia stipulati dalle nor me costituzionali. Insomma, i principi di questo secondo tipo – iuris et in iure – sono sì principi assiologici, ma sono anche principi interni di diritto positivo; mentre i principi del primo tipo – iu­ 77 PI, I, § 1.4, 120–124 e § 2.3, 151–157. 122 european constitutionality review KEY PAPERS (2012) 18 www.revus.eu ris tantum – sono sì principi esterni al diritto positivo, ma non sono afatto principi assiologici, bensì principi logici, la cui normatività non è diversa da quella delle regole della grammatica o dell’ortograia. Il pa ra digma costitu ziona­ le, con trassegnato dai dislivelli norma tivi, postula insomma, se preso sul serio, una teoria del diritto normativa e una scienza giuridica non pura mente rico­ gni tiva ma anche critica e progettuale nei confronti della virtuale pre senza di antino mie e di la cune: cioè una teoria del diritto e una dogmatica giuridica che non possono più limitarsi a di re, secondo una classica tesi bob biana, “ciò che il di ritto è”,78 non potendo non dire anche “ciò che il dirit to deve esse re” e che parimenti fa parte, a un livello normativo superiore, del “diritto che è” pur se ai livelli normativi inferiori “illegittimamente non è”. 78 Bobbio 2011 (n. 73), Aspetti del positivismo giuridico, cap. V, § 3, 88. “Come modo di avvici­ narsi allo stu dio del diritto, il positivismo giuridico è caratterizzato dalla net ta distinzione tra diritto reale e diritto ideale, o, con al tre espressioni equivalenti, fra diritto come fatto e diritto come valore, tra il diritto quale è e il diritto quale deve esse re; e dalla convinzione che il diritto di cui deve occuparsi il giuri sta sia il primo e non il secondo”.