Received: 2011-10-14 UDC UDK 343.1:347.961(450.36)"15" Original scientific article IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO Michelangelo MARCARELLI via Rivignano 12, 33030 Varmo (Ud), Italia e-mail: michelangelomarcarelli@hotmail.com SINTESI Il testo presenta i risultati di uno studio, condotto principalmente su fondi notarili, inerente alla terza parte nel Friuli del XVI secolo e al suo ruolo esercitato nel dirimere questioni di vario tipo. E emerso che, quando essa era socialmente superiore ai conten-denti, il luogo ove solitamente avvenivano le pacificazioni era il castello o il palazzo di sua proprietä (o di residenza), mentre le paci nelle quali la terza parte apparteneva allo stesso ceto sociale dei litiganti, gli atti di pace si celebravano di preferenza nelle chiese dei villaggi, specie se il reato all'origine del conflitto era di una certa gravita. Si e inoltre cercato di delineare le caratteristiche del passaggio delle paci da cerimonie pubbliche e comunitarie a atti privati inseriti nella procedura penale, avvenuto nei decenni a cavallo del Seicento. Parole chiave: pace, comunitä di villaggio, giustizia penale, Friuli, giurisdizioni signori-li, Belgrado, Gemona, Carnia THE THIRD PARTY IN MEDIATION AND PEACE RITUALS IN SIXTEENTH CENTURY FRIULI ABSTRACT This article analyzes the role played by the third party in Friuli during the sixteenth century. It seems that the place in which usually the settlements happened was castle, when the third party was socially higher. Conversely, the settlements took place at village parish, when the contenders and the third party were socially at the same level. Further more, it seems that the agreement was imposed when third party was socially upper, while in the case of social equality, the settlement was the result of the mediation done by the third party. Key words: settlement, peace, village community, criminal justice, feudal jurisdiction, Friuli, Belgrado, Gemona, Carnia Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 COMUNITA, TRIBUNALI E MEDIAZIONI Una delle caratteristiche piu importanti dell'assetto istituzionale della Patria del Friuli durante la dominazione veneziana fu la mancanza di citta che fossero riuscite ad esten-dere la propria giurisdizione su parti significative del territorio nel quale, fino al 1420, la Chiesa aquileiese aveva esercitato il potere temporale. Eredlta delle lotte che dilaniarono lo stato patriarcale negli ultimi decenni della sua esistenza fu la frammentazione del territorio in una miriade di giurisdizioni, talvolta di estensione piuttosto ridotta, in cui signori, comunita o enti ecclesiastici esercitavano il di-ritto di amministrare la giustizia civile e penale (Da Porcia, 1897; Leicht, 1955, 188-190). La maggioranza della popolazione viveva in una miriade di piccoli villaggi diffusi in un territorio vasto e scarsamente abitato (Bianco, 1994, 53). La Patria del Friuli era quindi una realta prettamente rurale. In un simile contesto, i conflitti in molti casi erano mediati di preferenza nell'am-bito della comunita di villaggio: solitamente si preferiva evitare il ricorso alla giustizia ufficiale (Povolo, 2004, 49), e la terza parte era costituita da anziani, uomini di chiesa, notabili del luogo. Spesso, erano questi che si muovevano di propria iniziativa, allo scopo di evitare che si verificassero situazioni di conflittualita che potevano essere un pericolo per il normale svolgersi della vita sociale delle comunita (Marcarelli, 2004, 262); in altri casi, invece, erano le parti coinvolte che affidavano le trattative a queste persone, che godevano di un certo prestigio nella comunita in cui vivevano. Da rilevare, inoltre, che per gli uomini di chiesa, principalmente pievani e curati, ma non solo, la pace all'interno della comunita nella quale operavano era il presupposto per la celebrazione della comunione pasquale. In particolare il parroco doveva, il giovedi santo, "al momento della confessione, o in modo meno formale per tutto il corso dell'anno, procurare la ricomposizione delle inimicizie attraverso l'arbitrato, la soddisfazione e i riti di riconciliazione celebrati in chiesa, in osteria o altrove" (Bossy, 1990, 79).Il ruolo nella risoluzione delle contese esercitato dal clero era una qualita tenuta in gran conto nelle comunita di villaggio1 ed era anche approvata dalle gerarchie ecclesiastiche. Significativo il fatto che Bartolomeo da Porcia, abate di Moggio Udinese, durante la visita pastorale da lui effettuata nel 1570 nei territori della diocesi aquileiese nei domini dell'arciduca d'Au-stria, volle dare il buon esempio e di fatto si sostitui al clero residente (e inadempiente): "chiamava a se gli inconfessi e li esortava a dar tregua agli odi privati e a riaccostarsi ai sacramenti" (Bertolla, 1907, 92-93). Vale la pena citare le testimonianze di due di questi mediatori, il reverendo Bastiano (probabilmente) parroco di Flambro e messer Ferandino De Thadeis dello stesso pae-se, che riferirono al capitano del tribunale di Belgrado2 come avevano portato avanti le Un buon esempio e offerto da una testimonianza sul comportamento di un membro del capitolo della cattedrale di Concordia raccolta durante la visita pastorale effettuata nel 1584 "in Concordia detto monsignor Marino e tenuto un po'per fastidioso e superbo, ma e ben vero che quando occorre qualche rissa lui crca di interporse e far pace" (Marin, 2005, 29). Per le caratteristiche di questa giurisdizione, vedi sotto. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 trattative per giungere alla pacificazione tra due famiglie coinvolte in una rissa. Il caso e esemplare, e questa narrazione assume ancor piu valore in quanto e piuttosto difficile incontrare negli atti notarili e giudiziari testi che descrivano in modo cosi dettagliato il modus operandi della terza parte, la sequenza degli incontri e delle trattative, il loro esito. Ecco il racconto dell'uomo di chiesa, purtroppo lacunoso e incompleto a causa del cattivo stato del supporto cartaceo: "[essendo] che fu ferito da lacomo Maras Zuane Toneatto caminando [in Flam]Äro al verso della piazza, mi chiamd Hieronimo Maras padre^ [et mi] pregd a voler insieme con messer Ferandin esser contento di andar a^ pase a Zuanne Toneatto, volendo esso viver in pace, al che io contentai^". Fortunatamente la testimonianza di Ferandino de Thadeis si e conservata quasi inte-gralmente: "^essendomi venuto a trovar Hieronimo Maras, me pregd che io, assieme con messer pre' Bastian poco avanti essaminato, volessi andar da Zuan ferito, et a suo nome domandarli pace, perche voleva viver da homo daben, laonde io in compagnia del messer pre' Bastian andai da Zuanne, qual trovassimo in letto ferito, et visitatilo li dicessimo di esser venuti li da parte de Hieromino chel vorebbe far pace con lui, et cosi ancho nui l'esortassimo et pregassimo, il qual Zuanne^ promisse la pace, et contentd di farla, ma voleva che li fussero pagati li suoi danni et interessi, et perche noi non havevimo commissione da Hieronimo di questo, dicessimo ad esso Zuanne che volevimo parlar con esso Hieronimo, al quale ancho parlassimo in quel giorno stesso, et dicessimo di quanto havevimo operato con Zuane, et che lui era contento di far la pace, ma che voleva esser pagato di tutti suoi danni et interessi, il qual Hieronimo si contentd di pagarli, et che se rimeteva in quello che io et che messer pre' Bastian havessimo comandato, et cosi ritornassimo a parlar a Zuane, qual se contentd de remetersi anchor lui in noi, et cosi ne promise la pace" (ASU, CB, 149, verbali di cause criminali, c. n. n.). In questo documento emerge abbastanza chiaramente come ci si rivolgesse a persone che godevano di una solida reputazione, affinche usassero il loro prestigio per convincere la parte lesa a sottoscrivere un accordo che poteva essere difficile da accettare, sia per il rancore verso l'aggressore, sia per il desiderio di vendetta, necessaria a ripristinare l'onore perso a causa di quella che era, a tutti gli effetti, una grave offesa e quindi un'umiliazione. Si evince, nel caso specifico, la grande considerazione che le parti in causa avevano dei due mediatori, e la fiducia nei loro confronti: entrrambe infatti si affidarono a loro per stabilire l'ammontare dei danni che l'aggressore doveva pagare alla sua vittima. Quindi essi agirono prima da mediatori, per rappacificare le parti, poi, una volta raggiunto questo obiettivo, eb-bero l'autorita di arbitri: in quest'ultimo ruolo, le loro decisioni sarebbero state vincolanti. Notevole il fatto che fu il padre del feritore a far chiamare uno dei mediatori e a recarsi dall'altro per chiedere di interessarsi al suo problema: forse il figlio era in minore eta, piu probabilmente si era allontanato dal paese per evitare ritorsioni dai parenti della vittima. In questo modo, mancando la persona che poteva essere l'oggetto principale (se non l'u-nico) di azioni di vendetta, tra le due famiglie si creava un clima di non belligeranza. Cio naturalmente favoriva le trattative, che comunque i due mediatori vollero (e riuscirono a) concludere piuttosto rapidamente, nell'arco di una sola giornata. Prima di passare ad esaminare alcuni atti di pace rogati nel periodo che qui interessa, mi sembra utile accennare al rapporto tra pacificazioni e procedura. In altre parole, che Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 cosa avveniva nei tribunali in presenza di accordi fra le parti? Solitamente, nei casi in cui era stato avviato il processo, i giudici vedevano con favore la risoluzione delle contese in ambito extragiudiziale. In effetti, la presentazione dell'atto di pace era considerata come un'ammissione di colpa da parte del reo, che di fatto concludeva il procedimento, e la pena era comminata "mitius agendo stante la pace": il colpevole doveva pagare le spese processuali e un'ammenda, che di fatto era anche il riconoscimento della legittimi-ta del tribunale stesso (Povolo, 1997, 137). Non e errato affermare che fra gli scopi che perseguivano i giudici attivi nei tribunali minori della Patria del Friuli ci fosse quello di favorire il riequilibrio dei rapporti forza tra le parentele, e che uno dei mezzi per ottenerlo era l'accettazione delle ricomposizioni delle contese (Povolo, 2000, 9; Marcarelli, 2007a, 329): come si vedra meglio sotto, le pacificazioni non riguardavano solo le persone di-rettamente coinvolte nei contrasti, ma gli interi gruppi di parentela di cui facevano parte. Talvolta, erano gli stessi giudici che agivano in maniera di assecondare gli accomo-damenti. LA CHIESA Nei casi piu gravi, quali ferimenti ma soprattutto omicidi, la pacificazione avveniva nelle chiese dei villaggi: il rituale sanciva il rientro nella comunita del reo che, compiendo un omicidio o una grave offesa contro una o piu persone, di fatto si era tolto da essa. Il perdono avveniva di fronte a Dio ma in particolare di fronte agli uomini. In effetti, le paci assumevano l'aspetto di vere e proprie cerimonie pubbliche in cui erano interessate non solamente le parti in causa, ma anche la comunita stessa in funzione di testimone e di garante dell'accordo, grazie alla presenza dei cosiddetti "vicini" (ossia dei suoi membri), che vi assistevano numerosi, chiamati dal suono delle campane, come per una funzione religiosa (Marcarelli, 2004, 262-264). A cautela della parti, in molti casi il tutto veniva registrato da un notaio, che pero la maggior parte delle volte si limitava ad annotare solo le notizie essenziali, non dilungan-dosi troppo nella narrazione di quanto effettivamente accadeva. Di solito, oltre naturalmente ai termini dell'accordo, sono menzionati i nomi dei contraenti, dei mediatori e di alcuni testimoni, indulgendo molto brevemente sulla richiesta di perdono, che poteva essere reiterata, e il gesto che sanzionava l'accordo: un abbraccio, una stretta di mano, il "bacio della pace" (e talvolta omettendone la citazione). Alcuni esempi possono chiarire quanto sopra esposto. L'epoca e attorno alla meta del Cinquecento, il luogo e dato dalla bassa pianura friulana, zona caratterizzata dalla pre-senza di piccoli insediamenti poco distanti fra loro e appartenenti a diverse giurisdizioni signorili. L'antefatto: domenica 25 aprile 1568 "orta esset rixa in villa Varmi inter olim lo-sephum q. Sebastiani a Turca, q. Franciscum olim Angeli a Turca ambos de Rovereto, ac Vincentium fratrem dicti q. Iosephi et Dominicum atque Colaum fratres olim Francisci ex una, et q. Gasparem Favorlinum de Musillo et Valentinum, Ioannem Cecchum et Novel-lum fratres dicti q. Gasperis, Beltrandum de Villa Chiaceli in Varmo Inferiori degentem, lacobum et Franciscum fratres de Loncha ex altera". Lo scontro ebbe conseguenze tragi- Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 che, con la morte dei cugini Ioseffo e Francesco Turca e di Gaspare Favorlino. Due setti-mane dopo, nella chiesa del vicino villaggio di San Martino, il reverendo Pietro Veronese, che officiava nel contiguo paese di Muscletto, assieme al domino Domenico Molinari di Romans, e il reverendo Giovanni Siena Iustinopolitano assieme al magister Domenico, fabbro di Santa Marizza, agendo rispettivamente i primi due per i Turca e gli altri per i Favorlini, si incontrarono, "nomine dictorum rixantium ominumque eorum affinium et consanguineorum". I quattro si erano mossi "pro evitando periculis [sic] et expensa que de facile oriri possint". Essi nominarono due persone che avrebbero agito da amicabili compositori per stabilire l'ammontare dei danni che le parti dovevano rifondere ai parenti delle vittime, impegnandole a rispettare la sentenza arbitraria sotto la pena di forti ammende in denaro. Solo dopo questo primo accordo, tutte le persone coinvolte nella rissa e nominate nell'atto entrarono in chiesa e agendo "per se omnes et singulos eorum affines, consan-guineos, amicos et benevolentes, tam presentes quam absentes" fecero "bonam, puram, et meram simplicem atque irrevocabilem^ pacem" (ASU, ANA, 3838, 9 maggio 1568). Esposto quanto contenuto dall'atto rogato dal notaio Andrea Molinari di Romans (molto probabilmente parente del domino Domenico), si possono fare alcune osservazio-ni. Non e molto chiaro se i quattro mediatori si fossero mossi di loro spontanea volonta mettendosi a disposizione delle parti avverse (spinti da "inspiratione divina", come si puo leggere in simili atti coevi), o se invece fossero stati chiamati dalle parti stesse e aves-sero avuto da queste una sorta di delega per favorire la composizione. In entrambe le ipo-tesi, comunque, essi dovevano essere ben consci della pericolosita delle conseguenze che i tre omicidi avrebbero potuto avere in termini vendette e ritorsioni, che verosimilmente avrebbero coinvolto non solo le persone direttamente implicate nel fatto di sangue ma tutta la loro parentela. Da qui la reiterata insistenza nel documento sull'impegno a rispettare gli accordi non solo da parte delle persone presenti, ma anche di tutti i loro parenti e amici. E lecito inoltre pensare che, in ogni caso, i quattro agirono con la l'approvazione dei contendenti che, oltre a raggiungere un accordo onorevole, dovevano essere ben interessati ad evitare le ingenti spese processuali che avrebbero dovuto affrontare in caso di ricorso alla giustizia formale. In questo caso la composizione giunse a buon fine e le parti si accordarono a vivere pacificamente come "si nulla inter eos intervenisset offensa". Ad ogni buon conto, i mediatori vollero comunque stabilire una penale per far si che l'accordo ratificato in chiesa davanti agli uomini e a Dio fosse ancora piu solido, anche allo scopo di difendere il proprio prestigio e la propria credibilita, che in caso di nuovi scontri sarebbero stati inevitabilmente ridotti. Se la pace fosse stata infranta, il trasgres-sore avrebbe dovuto pagare la non modesta cifra di cinquanta ducati in caso di violazione "in verbis" e il doppio in caso di infrazione "in factis". Un buon deterrente era costituito dal fatto che la meta della somma avrebbe dovuto essere versata direttamente alla parte avversa (l'altra meta sarebbe andata alla chiesa di San Martino). La difesa dell'accordo e, parallelamente, la difesa del prestigio delle persone che ave-vano agito nel ruolo di terza parte furono determinanti nell'introduzione di un'ulteriore clausola di salvaguardia: se una delle parti avesse deciso di adire le aule giudiziarie nono-stante la pace, avrebbe dovuto pagare la penale massima di cento ducati. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 Qualche dettaglio in piu sulla richiesta di perdono e sul ruolo della terza parte e con-tenuto in un rogito che descrive una cerimonia di pace svoltasi nella chiesa di Tualis, villaggio posto nella valle di Gorto, in Carnia, il 16 agosto 1525 (AMG, FR, 11, f. 7, cc. 25-30). Anche in questo caso, si tratta di una pacificazione per un omicidio. Il colpevo-le si presento di fronte al fratello e al figlio della vittima, "flexis genibus supplicans et rogans^ bonam pacem et ...indubitatam concordiam sibi facere dignarentur". Segui il perdono concesso dai due "per se et omnes ex domo paterna ac agnatos et cognatos, affines et amicos etparentes". Il dato piu interessante contenuto in questo atto notarile, a mio avviso, e costituito dal fatto che il notaio riporto in maniera esplicita che il reo si umilio e chiese perdono "ductus interventis, precibus ac suplicationibus proborum virorum". Mi sembra abbastanza chiaro che qui la terza parte avesse agito di propria iniziativa non solo "propter misericordia et Dei amorem et Beate Marie Virginis" ma soprattutto perche spinta, anche in questo caso, dalla necessita di evitare l'innescarsi di vendette e ritorsioni. Fig. 1: La chiesa di Belgrado, attualmente intitolata ai ss. Nicold e Rocco. Fig. 1: The church of Belgrado, currently entitled to Saints Nicholas and Rocco. Sl. 1: Cerkev v kraju Belgrado, trenutno poimenovana po Sv. Nikolaju in Sv. Roku. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 Tenuto conto della sinteticita di questi resoconti che, caratterizzati da una certa ripetiti-vlta delle formule, descrlvono poco o non descrlvono affatto quello che accadeva effettiva-mente tra le parti durante le cerimonie di pacificazione che si svolgevano in chiesa, appare particolarmente interessante un dettagliato atto di pace rogato nel marzo del 1554, a Belgra-do, un piccolo centro posto nella bassa planura, sede dl un importante trlbunale la cul glu-risdizione era prerogativa della potente famiglia Savorgnan (Marcarelli, 2004, 266-269). Mattia di Vincenzo di Mattia, reo di aver ucciso Valentino Sebastianutti, accompagna-to da eius mediatoris, Vegregio Batta Belgradlno, si presento alla porta della chiesa di San Nlcolo e, lnglnocchiatosl, lnvoco ll perdono di Bernardino Sebastianutti, fratello della sua vlttima, che lo attendeva presso l'altare magglore. Ottenuta una risposta affermatlva, egll entro da solo in chiesa e, fermatosl alla meta dell'edificio sacro, si inginocchio di nuovo, ripetendo la richiesta, e gli fu confermato il perdono. Si alzo di nuovo, raggiunse gli scalini del coro e, postosi un'ultima volta in gi-nocchio, formulo per la terza volta la richiesta, ricevendo finalmente il perdono definitivo. Si tratta di un rituale preclso - la richiesta di perdono "tripartita" e presente in altri atti di pace- che implicava una progressiva purificazione del reo, che si compieva a tappe: man mano che le sue suppliche venivano accolte, si avvlclnava sempre di plu al luogo simbolo della riconciliazione, l'altare maggiore, dove avveniva la consacrazione dell'eu-carestia, sacramento che sanciva la pace sociale nella comunita. Dopo che il rappresentante della famiglia dell'ucciso concesse il perdono per la terza volta, si esauri la componente religiosa del rituale. Inizio una parte (della quale non ho trovato riscontri in altri documenti) che e probabilmente ricollegabile alla funzione che la cerimonia ricopriva sul piano dell'onore delle persone colnvolte. Il fratello della vlttima fece un gesto che potrebbe essere lnterpretato come una metafora dell'atto fisico della vendetta: colpi ripetutamente Mattia di Vincenzo con una bac-chetta di legno. Era la soddisfazione simbolica e sublimata dell'omicidio del nemico, che rappresen-tava la reintegrazione dell'onore del lignaggio di fronte alla comunita. Che si ragionasse in questi termini e confermato dal fatto che l'atto delle percosse fu ripetuto da Domenico Sebastianutti, altro fratello della vittima, come se si volesse rivendicare una specie di responsablllta collettiva da parte di coloro che avevano ll dlritto/dovere di vendlcarsl. Ml pare inoltre significativo il fatto che, dall'entrata in chiesa del reo, la questione riguar-dasse solo i contendenti: il mediatore si era limitato ad accompagnare Mattia di Vincenzo fino alla porta della chiesa. Nel suo complesso, la cerimonia qui descritta puo essere asslmilablle a quello che, in antropologia, e definito un rito di passaggio. In generale, esso e distinto in tre fasi: preli-minare, liminare e postliminare, anche definite rispettivamente di separazione (distacco della persona colnvolta nel rito dallo status in cui si trovava), di transizione (la persona e sospesa tra il vecchio stato e quello in cui si trovera ad essere) e incorporazione (entrata nel nuovo status) (Mulr, 2000, 25-27). Nel rituale dl Belgrado come fase prellmlnare potrebbe essere lnterpretata la richiesta di perdono di Mattia, che ammetteva la sua colpa e si poneva fuori dalla comunita, assu-mendosl la responsablllta di averne ucciso un membro. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 Questo stato era rappresentato anche fisicamente: l'omicida, al suo comparire nella cerimonia, si trovava all'esterno della chiesa, metafora della comunita stessa. La fase di transizione era data dall'ingresso e dal tragitto nell'edifico sacro: l'aver attraversato la porta, luogo liminare per eccellenza, affermava lo stato di separazione dalla comunita, ma non ancora la riaggregazione, che significativamente si realizzava presso l'altare maggio-re, dove si celebrava l'Eucarestia, ovvero il raggiungimento della pace nella comunita. Ora alcune considerazioni sul sito: come gia osservato, e come appare abbastanza chiaramente dal caso belgradese appena descritto, la chiesa era il luogo centrale della comunita di villaggio, di forte impatto simbolico, punto d'incontro tra tutti i vicini, vivi e morti: all'interno ed attorno all'edificio sacro c'erano le tombe in cui erano sepolti i membri delle famiglie che vivevano nel villaggio da tempo "immemorabile". Assieme al campanile, la chiesa era costante oggetto di attenzione di tutti gli abitanti del paese, mediante l'azione dei camerari (Le Bras 1979, 30 e sgg.). Essa era l'espres-sione collettiva della comunita e del suo prestigio, sia verso l'esterno, nei confronti dei villaggi vicini, sia verso l'interno, appianando simbolicamente le differenze di prestigio delle famiglie che le componevano (fermo restando che nella comunita non c'erano differenze di rango sociale). Pertanto e ragionevole supporre che la chiesa fosse il luogo piu indicato dove celebra-re le pacificazioni in cui la terza parte apparteneva o era fortemente legata alla comunita stessa, e non si distingueva per rango o per nobilta dai contendenti. Essa non si imponeva sulle parti, ma cercava di usare il proprio prestigio per indurle a rappacificarsi. IL CASTELLO, IL PALAZZO Cosi non avveniva se la terza parte, pur appartenendo al contesto sociale in cui si trovava a comporre conflitti, era superiore ai contendenti per nobilta, per onore o per ricchezza. Rimaniamo a Belgrado: nel gennaio del 1565, il conte Mario Savorgnan si fece promotore della pacificazione tra due persone appartenenti al suo seguito, che si erano scon-trate qualche tempo prima: quello che emerge dall'atto notarile e la passivita dei contendenti rispetto al signore, che di fatto assumeva un ruolo da protagonista. Nella scrittura privata, riportata in seguito in un registro notarile, il Savorgnan descris-se in prima persona la sua azione: prima volle sapere cio che era accaduto - "ho voluto intender" -, poi decise il da farsi e convoco le parti -"li ho chiamati a me"- ordinando loro la riconciliazione e ottenendo una immediata obbedienza - "volsi che si riconciliassero, comefecero allapresentia mia" -. Il tutto non avvenne in chiesa, ma in una stanza, preci-samente la "sallaparva" nel castello in cui il conte viveva (Marcarelli, 2004, 269-270). Rispetto alla terza parte della comunita di villaggio che, come si e sopra esposto, mediava con persone allo stesso livello sociale, appare evidente che qui il nobile, forte del suo rango, semplicemente impose la sua volonta, fatto abbastanza scontato tenuto conto che i litiganti -come gia accennato- facevano parte del suo seguito. Appare comunque significativo che il luogo della riconciliazione non fosse stata la chiesa del paese, ma la residenza signorile, e i testimoni non fossero stati gli abitanti del villaggio, ma persone di un certo prestigio, che ricoprivano vari incarichi istituzionali al servizio del conte. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 L'esame di un altro atto notarile, rogato ancora presso il castello di Belgrado qualche anno prima di quello sopra descritto (precisamente il 5 febbraio del 1549, ASU, ANA, 248), chiarira come, a mio avviso, la ratificazione di un accordo potesse divenire anche un modo per ostentare la superiorita di una terza parte che piu che mediare, aveva la pos-sibilita di far valere la propria autorevolezza. L'atto riguarda un accordo tra i conti di Varmo e i loro sudditi in materia di sequestri, annona, pesi e misure. Il ruolo di terza parte era svolto dal conte Giulio Savorgnan, fratello di Mario3. La posizione sociale della sua famiglia era superiore a quella delle parti in causa: i signori di Varmo di Sopra e di Sotto, pur appartenendo all'antica aristocrazia feudale friulana e avendo facolta di giudicane in civile e in penale nel distretto a loro infeudato4, non avevano di certo il prestigio del quale godeva la famiglia Savorgnan, ascritta gia verso la fine del XIV secolo al patriziato veneziano (Trebbi, 1997, 11). Inoltre, ben diverse erano le caratteristiche delle giurisdizioni delle due famiglie. In elfetti, il contado di Belgrado era stato attribuito a Girolamo Savorgnan, padre di Giulio, come ricompensa per il fondamentale ruolo avuto nella difesa del Friuli contro l'esercito asburgico, in particolare nel 1515 (Trebbi, 1997, 127). Si trattava di una giurisdizione privilegiata: oltre ad esercitare la giusti-zia civile e penale fino al terzo grado, il tribunale rispondeva direttamente alle magistrature della Dominante, e non al luogotenente della Patria del Friuli, dalla quale il contado era formalmente separato, anche per quanto riguarda la materia fiscale (Da Porcia, 1897, 47). La giurisdizione belgradese era senz'altro piu prestigiosa di quella varmese5. Il preambolo del rogito in oggetto fa intuire la solennita del momento e allo stes-so tempo offre un esempio significativo di come fosse considerato ideologicamente il rapporto di subordinazione tra signori e sudditi: "essendo debito et officio d'ogni gien-til'homo de metter bene et assettamento dove si vede alcuna differentia et maxime tra quelli che I'uno non puol star senza lo altro, come e che li signori non ponno star senza li suoi suditi et meno li suditi senza li soi signori, et I'uno per I'obedienza et I'altro per I'amorevolezza se conservano benissimo insieme". Il testo prosegue osservando, quasi con preoccupazione, che le molte et longe differentie" tra i signori di Varmo e gli uomini dell'omonimo "comune" potevano causare "cativi effetti, cioe di spese et travagli". 3 Alcune notizie biografiche su Giulio Savorgnan in Casella, 1987, 24^25. 4 Le due famiglie esercitavano la giurisdizione sull'omonimo feudo ad anni alterni, e vivevano in due diversi castelli nei pressi della villa di Varmo (Da Porcia, 1897, 55). Da notare che alcuni esponenti di spicco dei varmo di Sotto erano legati strettamente ai Savorgnan, avendo militato tra le fila della fazione zamberlana (Muir, 1993, 287). 5 Renata Ago ha osservato che "il signore che aveva il diritto di amministrare l'alta giustizia si considerava automaticamente superiore a chi non godeva di tale prerogativa e, dove le gerarchie interne alla nobilta non erano codificate da un sistema diversificato di titoli, questo genere di privilegi permetteva di stabilire una graduatoria delle preminenze (Ago, 1998, 16). Questa affermazione puo essere estesa anche al caso sopra menzionato: non mi sembra scorretto affermare che il nobile che aveva la possibilita di amministrare la giustizia fino al tezo grado di giudizio, rispondendo direttamente ai tribunali della Dominante e non a un suo rappresentante (il Luogotenente di Udine), si ritenesse e fosse ritenuto superiore, quanto meno per onorabilita, al nobile che aveva la giurisdizione solo in primo grado. In particolare, la diretta dipendenza da Venezia era una prerogativa che isolava e distingueva i Savorgnan dagli altri signori friulani (Trebbi, 1997, 128). Alcune osservazioni sui privilegi del tribunale di Belgrado in Veronese, 1999. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 Da qui l'intervento di Giulio Savorgnan: "il detto signor conte s'ha ha interposto et voluntariamente ha redutto con le sue exortationi amorevoli li sopraditti signori et il antedetti huomini del villa et comun a tal compositio, transactio, et concordio che appar qui de sotto^". Senza entrare nel merito dell'accordo, si possono fare alcune osservazioni. Il testo vuole mettere bene in evidenza come il conte Giulio fosse intervenuto di sua spontanea volonta, senza aver ricevuto alcuna delega dalle parti o alcuna nomina formale ad arbitro. Ufficialmente egli agi di sua iniziativa, per dovere e per onorare il suo "debito di gen-til'huomo", ed in effetti riusci a dirimere una controversia che era sicuramente complessa. In casi simili le cause si erano trascinate per decenni nelle aule giudiziarie della Dominante e gli "huomini di commun" erano disposti a sobbarcarsi spese non indifferenti pur di far valere quelli che ritenevano essere i propri diritti. Il rogito descrive quella che puo essere considerata una vera e propria cerimonia civile, che avvenne in forma pubblica "in castro super salla magna". Era il luogo di rap-presentanza dei giurisdicenti: riccamente arredato, conteneva i segni del loro prestigio e della loro ricchezza. Anche le persone chiamate a fare da testimoni alla stesura dell'atto denotavano la forza dei legami dei Savorgnan. Tra gli altri, infatti, era presente il "magni-fico domino Antonio Thieppolo filio clarissimi domini Niccolai Thieppoli doctori patricio veneto". Probabilmente la combinazione di tutti questi fattori - solennita dell'atto, sfog-gio del blasone, della ricchezza e dei legami diretti con Venezia - era destinata a colpire i numerosi rappresentanti della comunita presenti alla ratifica, confermando visivamente e ritualmente l'autorevolezza della famiglia ospite. Questa ostentazione non doveva essere solamente un modo per ribadire l'onore familiare rispetto ai ceti sottoposti, ma mi pare che si possa ipotizzare che fosse anche un modo per assicurare il rispetto dell'accordo del quale il conte Giulio Savorgnan si era fatto garante. Similmente, anche a Gemona, contesto la cui realta sociale era piu simile a quella di una citta che a un villaggio di campagna, accadeva qualcosa di analogo: dove il mediatore era un nobile, la pace si celebrava nel suo palazzo. Un esempio: a seguito di una rissa che vide il ferimento di due persone, Zuane e Andrea (padre e figlio) del paese di Braulins per mano di Defendo e Giusto Vinturini di Avasinis, fu inoltrata denuncia del fatto pres-so il tribunale competente di Osoppo6. Allo scopo di evitare il procedimento penale, le parti decisero di "rimettere ogni loro diferenza nell'illustrissimo signor Ludovigo Pram-pergo". Quindi, il 29 gennaio 1606, nella residenza di sua proprieta, "apersuasione di detto signor Lodovigo mediante stretti abbracciamenti seguiti l'uno con l'altro, a laude della santissima Trinitä Dio nostro, hanno fatto buona e sincera pace, la qual promisero osservar a vicenda come s'aspetta al obligo di vero cristiano". Sembra chiaro che fu il nobile gemonese a pretendere l'abbraccio rituale che sanzionava simbolicamente l'avve-nuta pacificazione e l'impegno a rispettare l'accordo per il futuro. Ludovico Pramapero, come gli fu richiesto di fare dalle parti, decise anche l'ammontare del risarcimento che i due feritori erano tenuti a pagare "per ogni et qualunque danno et interesse patiti per li medesimi offesiper occasione delleferite loro date", stabilendo anche le scadenze delle 6 Altra importante giurisdizione dei Savorgnan (Da Porcia, 1897, 46). Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 tre rate in cui era stato diviso il pagamento. Egli inoltre "si obligd far effettuar quanto di sopra si contiene", rendendosi garante di tutte le clausole dell'accordo per il quale aveva agito da terza parte (ASU, ANA, 2288, alla data). A mio avviso, due sono le caratteristiche salienti di questo accordo. In primo luogo, Ludovico di Prampero di fatto fu nominato arbitro, di modo che le sue decisioni fossero vincolanti. Secondariamente, fu lui a persuadere i contendenti a riconoscere la validita dell'accordo e della pacificazione facendo un gesto fortemente impegnativo e di grande impatto simbolico quale erano gli "stretti abbracciamenti". Anche in questo caso, mi sembra corretto affermare che la terza parte, superiore socialmente a quelle in causa, agi non tanto mediando, ma piuttosto tendendo a imporre, almeno in una certa misura, la sua volonta. In altri contesti, come quello della Carnia, giurisdizione caratterizzata dall debo-lezza del tribunale della magnifica comunita di Tolmezzo e dall'assenza di nobilta di sangue residente in loco, la ratifica di un accordo presso la residenza della terza parte assumeva anche lo scopo di sancire il ruolo di preminenza da essa raggiunto nell'am-bito comunitario. E il caso della famiglia Nigris di Ampezzo, villa collocata nell'alta valle del Taglia-mento. A partire dalla fine del Cinquecento, alcuni dei suoi membri riuscirono ad arric-chirsi attraverso attivita commerciali (legname e generi alimentari) e finanziarie (prestiti), riuscendo a monopolizzare le principali attivita economiche della zona (Stefanutti, 1994). La ricchezza presto inizio a tradursi in forza politica: la famiglia ebbe modo di far senti-re la sua influenza anche sulle questioni amministrative ampezzane e delle ville vicine. I membri della famiglia Nigris erano presenti come terza parte in moltissimi arbitrati, affrontando e risolvendo liti per eredita, controversie di lavoro e intervenendo perfino in contese fra comuni. (Marcarelli, 1997, 117-119). Si inizio inoltre a firmare contratti e a pubblicare le sentenze arbitrarie presso il loro palazzo, e nel novembre del 1641, vi si stipule una pace (ASU, ANA, 55, 24 novembre 1641). Il palazzo dei Nigris era divenuto il centro della vita amministrativa, economica e anche giudiziaria della zona, evidenziando la potenza raggiunta della famiglia. I Nigris, di fatto, tenevano lo stesso comportamento dei nobili che, come i Savorgnan nella zona di Belgrado e i Di Prampero a Gemona, agi-vano da pacificatori nelle comunita in cui vivevano o avevano interessi. EPILOGO In sintesi, quando la terza parte era socialmente superiore ai contendenti, il luogo ove solitamente avvenivano le pacificazioni era il castello o il palazzo di sua proprieta (o di residenza), mentre le paci nelle quali la terza parte apparteneva allo stesso ceto sociale dei litiganti, gli atti di pace si celebravano di preferenza nelle chiese dei villaggi, specie se il reato all'origine del conflitto era di una certa gravita. Le ratificazioni di questi accordi mantennero l'aspetto di cerimonie comunitarie almeno fino agli ultimi anni del Cinquecento. Pero le cose stavano mutando. Era il periodo nel quale la politica della repubblica di Venezia nell'ambito dell'amministrazione della giu-stizia penale stava passando "dall'ordine della pace all'ordine pubblico" (Povolo, 2007, Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 38 e sgg.). L'affermarsi della giustizia punitiva come reazione alla recrudescenza del banditismo ridusse drasticamente le prerogative dei tribunali delle giurisdizioni friulane. Tra le molteplici conseguenze, quella che in questa sede piu interessa e data dal venir meno dell'aspetto pubblico e solenne delle paci. Ferma restando la predisposizione dei giudici signorili ad accettare le transazioni extragiudiziali, almeno per quanto riguarda reati non gravi (Marcarelli, 2007a), la pace venne progressivamente assumendo le ca-ratteristiche di un atto inserito nella procedura, perdendo l'aspetto rituale e comunitario. In altre parole, la tendenza era di concludere gli accordi nella casa del notaio di fronte a pochi testimoni piuttosto che in chiesa davanti alla comunita. Alcuni esempi chiariranno questa affermazione. Nel 1576, a Gemona del Friuli, c'e ancora spazio per la cerimonialita: nella chiesa di San Rocco, Antonio Sabbidussi e Ni-colo Aita, agendo anche a nome di amici e parenti, si perdonarono per gli "assaltis, per-cussionibus, vulneribus" avvenuti tra loro, scambiandosi l' "osculum pacis" di fronte a molti testimoni e impegnandosi ad annullare i procedimenti penali in corso (ASU, ANA, 2274, 19 ottobre 1576). All'inizio del secolo successivo lo scenario era gia cambiato. Una ricerca a campione effettuata su un numero significativo di registri notarili rogati in Fig. 2 : La chiesa di S. Giorgio di Colza. Fig. 2: The church of St. George of Colza. Sl. 2: Cerkev S. Giorgio (Sv. Jurija) di Colza. Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 loco rende lecito ipotizzare che gli atti di pace erano divenuti a tutti gli effetti transazioni private7, con la sola eccezione della pace per "ingiuria e offesa di parole" stipulata nella parrocchiale tra due donne, senza pero particolari ritualita e alla presenza di due soli testimoni (ASU, ANA, 2288, 11 aprile 1611). La scelta del luogo fu forse legata al fatto che la terza parte era costituita dal reverendo monsignor Franco D'Abramo, molto attivo come mediatore e paciere in quegli anni. Di solito, pero le ratificazione degli accordi da lui mediati avveniva nella sua abitazione o in quella del notaio rogante. Piu sfumata la situazione in Carnia, dove le due modalita di ratificare la pace, che potremmo definire l'una comunitaria e l'altra privata, coesistettero ancora per qualche tempo. Sfogliando i registri notarili dei notai Virgilio e Gio Batta Moldone, che furono attivi nel piccolo villaggio di Maiaso tra la fine del Cinquecento e i primi due decenni del secolo successivo, si puo notare che le pacificazioni stipulate in casa dei notai e nella locale chiesa (o nelle chiese dei paesi vicini, come San Giorgio di Colza8 o santa Giuliana di Freisis) piu o meno si equivalevano. In Carnia il cambiamento ebbe tempi piu lunghi, probabilmente a causa delle pecu-liarita di questo distretto montano: in primo luogo, la debolezza del tribunale di Tolmez-zo, che aveva sempre avuto difficolta ad affermare la sua giurisdizione su un territorio piuttosto vasto e, secondariamente, la coesione interna delle comunita di villaggio, che permetteva ancora di mediare e risolvere un certo numero di controversie in loco, senza dover ricorrere ad autorita esterne. Un sentito ringraziamento alle professoresse Marzia Moro e Barbara Tieppo che mi hanno prontamente aiutato in un momento di difficolta nella stesura dell'articolo. Si tratta di registri compilati da diversi notai gemonesi a cavallo del Seicento: ASU, ANA, 2275, 2287, 2288, 2289, 2290. Presso questa chiesa, ad esempio, Zuan Maria Vuezil si pacifico con Angelo Pascolo, che gli aveva inferto una ferita (ASU, ANA, 2915, 26 luglio 1601), e si tenne la pace tra "liPaschuli" e ancora Zuan Maria Vuezil (ASU, ANA, 2916, 22 marzo 1609). Tutti i contraenti vivevano nel piccolo villaggio di Colza. Da notare che nel primo caso, la pace avvenne di fronte a pochi testimoni, mentre nel secondo i mediatori "hanno pregato me infrascritto nodaro che scriva e publichi solennemente questa sua unanime deliberatione": questa pace manteneva ancora una forma pubblica. 7 Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 TRETJA STRANKA V MEDIACIJSKIH IN MIROVNIH OBREDIH V FURLANIJI 16. STOLETJA Michelangelo MARCARELLI via Rivignano 12, 33030 Varmo (Ud), Italija e-mail: michelangelomarcarelli@hotmail.com POVZETEK Članek analizira vlogo, ki jo je v Furlaniji 16. stoletja igrala tretja stranka. Študija je bila oblikovana z upoštevanjem različnih notarskih dokumentov, ki so bili napisani na določenih območjih in ki bolje predstavljajo različne teritorialne ustanove. Razprava obravnava tri glavna območja: prvo je območje ravnin levo od reke Til-ment, katerih posebnost je prisotnost številnih majhnih jurisdikcij, sledi dokaj razširjeno območje »magnifica comunita« v Huminu in ne nazadnje še Karnija, obsežno gorsko območje s številnimi majhnimi vasicami. Poleg tega je avtor preučil tudi nekatere listine sodišča Belgrado, fevda vplivne rodbine Savorgnani. Ko je bila tretja oseba na družbeni lestvici višje od nasprotnikov, je do poravnav prihajalo na njenem gradu ali dvoru. Vna-sprotnem primeru, ko so nasprotniki pripadali istemu družbenemu sloju, pa so poravnave potekale v vaških župnijah. Poleg tega se zdi, da je bil sporazum vsiljen, ko je tretja stranka pripadala višjemu sloju, medtem ko je bila poravnava med stranmi, ki so pripadale istemu družbenemu sloju, rezultat posredovanja s strani tretje osebe. Članek vsebuje tudi opis postopka poravnave, ki je potekal v župnijskih cerkvah. V prvih desetletjih šestnajstega stoletja so ti običaji postopoma zbledeli, in sicer zaradi nove politike beneške vlade, s katero je bil poostren nadzor nad kriminalom. Ključne besede: poravnava, mir, vaška skupnost, kazensko pravosodje, fevdalna jurisdik-cija, Furlanija, Belgrado, Humin, Karnija Michelangelo MARCARELLI: IL TERZO NEI RITI DI MEDIAZIONE E DI PACE NEL FRIULI DEL CINQUECENTO, 225-240 FONTI E BIBLIOGRAFIA AMG, FR - Archivio del Museo Gortani di Tolmezzo (AMG), fondo Roja (FR). ASU, ANA - Archivio dl Stato dl Udlne (ASU), archivio notarlle antico (ANA). ASU, CB - ASU, cancelleria dl Belgrado (CB). Ago, R. (1998): La feudalita in eta moderna. Roma, Bari, Laterza. Battistella, A. (1907): La prima visita apostollca nel patriarcato aqullelese dopo ll concl-llo dl Trento. Memorie Storiche Foroglullesl. Clvldale del Friull, 3, 84-100. Bianco, F. (1994): Le terre del Friuli. La formazione dei paesaggi agrari in Friuli tra il XV e ll XIX secolo. Verona, Clerre. Bossy, J. 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