Paola Desideri UDK 81'276.6"1920/1960":32 Università «G. d'Annunzio» di Chieti-Pescara* origini e sviluppi delle analisi e delle teorie sul linguaggio politico (1920-1960) 1. LE PRIME ANALISI DEGLI IDIOLETTI POLITICI: LENIN, HITLER, MUSSOLINI Nel lontano 1924, anno fondamentale per datare l'inizio degli studi scientifici e siste-matici sulla lingua política, apparvero sulla rivista sovietica Lef alcuni importanti arti-coli di Boris M. Ejchenbaum, di Boris Tomasevskij e di Jurij N. Tynjanov sul linguaggio di Lenin, lavori che, pubblicati proprio nello stesso anno in cui venne aperta la polemica tra marxisti e formalisti, si proposero di sperimentare sull'idioletto leniniano alcuni fondamentali principi del metodo formalista, decisamente più impegnato nel privilegiare l'analisi del testo. Tali contributi, estremamente originali, e soprattutto innovativi, nel panorama della ricerca linguistica del tempo, in qualche modo ebbero il merito di aprire la strada all'osservazione scientifica del discorso politico, investigato particolarmente nelle sue strutture retoriche e lessico-semantiche. Entrando nello specifico dei singoli studi, il lavoro di Ejchenbaum (1968 [1924]) prendeva in esame lo stile oratorio prettamente propagandistico degli articoli e dei discorsi di Lenin, sempre rivolti a tutto il popolo e mai ad un uditorio selezionato, i cui tratti distintivi sono identificabili nella lotta contro la verbosità e il vaniloquio mediante l'adozione del registro informale del parlato unito frequentemente ad espressioni anche grossolane, tendenza questa non limitata peraltro alla sola componente lessicale, ma estesa pure alla sintassi e all'intonazione. L'articolo di Tomasevskij (1968 [1924]) consisteva invece in un'indagine sulla costruzione sintattico-retorica e sulla distribuzione del materiale verbale nelle «tesi» proclamate da Lenin il 4 aprile 1917, cioè il giorno successivo al suo arrivo in Russia. Infine il lungo saggio di Tynjanov (1968 [1924]) tentava di mettere a fuoco le pecu-liarità linguistiche del discorso dissuasivo di Lenin come oratore e come scrittore politico, peculiarità che vanno dall'uso polemico dei procedimenti adottati dall'avversario, attraverso l'espunzione di un'espressione messa tra virgolette, alla lotta accanita contro le cosiddette parole «livellate», vale a dire quei lemmi dotati di un forte impatto emotivo privi pero di un significato preciso (come per es. libertà, uguaglianza, utilizzate sempre * Indirizzo dell'autrice: Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Viale Pindaro 42, 65127 Pescara, Italia. Email: paola.desideri@unich.it 1 La rivista Lef, sigla di Levyj front iskusstva («Fronte di sinistra dell'arte»), fu diretta dal 1923 da Vladimir V. Majakovskij. Ponendosi come punto di riferimento per le avanguardie artistische della Russia futurista, Lef raccoglieva poeti, scrittori, artisti, registi, insomma Y élite intellettuale impe-gnata a sostenere la costruzione della nuova Repubblica bolscevica. con fine persuasivo), dal rifiuto delle piatte parole-slogan e del loro condizionamento all'avversione nei confronti delle vecchie espressioni logore e stantie. A tutti questi usi dell'obsoleto vocabolario politico del tempo, le strategie discorsive leniniane oppongono invece lo svecchiamento dello stile aulico e l'adozione di un lessico concreto, legato alla realtà materiale, tramite la selezione di lemmi ingiuriosi e provoca-tori, nonché l'impiego di un linguaggio decisamente figurato. Queste tre analisi, ovvia-mente ancorate al livello e agli sviluppi teorici raggiunti nel 1924 dal funzionalismo russo, si distinsero tuttavia anche per avere tentato di verificare e di calibrare su una tale importante e complessa produzione discorsiva la portata concettuale dell'approccio formale. Debbono pero trascorrere quindici anni prima che qualche studioso riprendesse la riflessione sul linguaggio politico. Si deve infatti all'opera del fisiologo russo Serghej Ciacotin (1964 [1939]) un'indagine innovativa e interessante sugli effetti persuasivi della propaganda politica, tanto che oggi - a distanza di un settantennio - essa meri-terebbe di essere attentamente rivisitata per gli spunti originali e l'intuizione di certe osservazioni psico-sociologiche di grande attualità. Vale la pena qui ricordare le vicis-situdini politiche alle quali fu sottoposto il testo di Ciacotin, vicissitudini che ben riflet-tono i tempi oscuri in cui l'opera vide la luce. Pubblicata per la prima volta in Francia nel 1939, solo due mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, inaspet-tatamente subi la censura dei francesi nelle sue ultime bozze di stampa a causa dei numerosi passi sgraditi a Hitler e Mussolini. L'autore pero, appellandosi alla legge, fece in modo che il volume uscisse nella sua forma originale, anche se, a soli due mesi dalla sua comparsa, fu sequestrato dalla polizia parigina. La stessa sorte tocco al testo nel 1940 allorché, appena dopo l'occupazione di Parigi, fu distrutto dai tedeschi; comunque venne ugualmente diffuso tramite le edizioni inglesi, americane e canadesi e dopo la guerra fu riproposto nelle vesti di una nuova edizione francese, riveduta e ampliata per la messe cospicua di materiale che Ciacotin era andato raccogliendo con gli ultimi fondamentali avvenimenti bellici. Applicando i principi della psicologia comportamentista (la teoria dei riflessi condizionati di Pavlov) e risentendo dell'influsso della nascente psicoanalisi (in par-ticolare delle teorie di Freud e di Jung) riguardo alle pulsioni di vita e di morte, il fisiologo russo esamino, senza peraltro trascurarne i risvolti mitico-antropologici, le cause dell'ascesa di Hitler e i meccanismi emotivi soggiacenti al legame del tutto irrazionale e mistico instauratosi tra il dittatore e il popolo, legame che assunse ben presto i tratti inquietanti del rapporto capo-folla. La parte preponderante della ricerca è dedicata alla descrizione attenta delle molte-plici e variegate tecniche di propaganda che, ripetute ossessivamente, produssero l'esal-tazione fideistica del popolo tedesco nei confronti di questo «ingegnere delle anime»: spettacolari raduni rituali denominati «campi di maggio», simboli runici facilmente riproducibili come la croce uncinata, culto per il passato ariano compreso il recupero della suggestiva cultura del wald e, a livello più strettamente linguistico, uso martellante di slogan e parole d'ordine, infine un'oratoria costituita da frasi imperative e incitative, scandite perentoriamente con una pronuncia resa perfetta dai corsi di dizione suggeriti da Goebbels per germanizzare la fonetica di Hitler troppo austriaca. Ciacotin, con molto acume, comprese e sottolineo l'importanza che assunse in questa mistificante prassi comunicativa l'utilizzo, già dalla fine degli anni Venti, di un médium cosi coinvolgente come la radio: la trasmissione dei toni cadenzati della voce del Führer e la música wagneriana contribuirono a creare un clima di passività e di parossismo. Va rilevato che, sempre a Parigi, alla fine dell'Ottocento era intanto uscito il famoso trattato Psychologie des foules di Gustave Le Bon (1970 [1885]), su cui fonda-rono la loro preparazione di futuri dittatori Benito Mussolini e altri meneurs de foules. Tale opera sulla propaganda politica, apprezzata da Freud e da Merton, ma ogget-to anche di giudizi critici molto discordi, sottopone ad analisi la folla intesa come massa amorfa e inerte che, particolarmente influenzabile da immagini suggestive, regredirebbe a livelli primitivi e barbarici reagendo d'istinto, stimolata dalla propria «anima collettiva», alla manipolazione di un capo. Sempre nel 1939, negli Stati Uniti, fu pubblicato lo storico saggio di Kenneth Burke (1939) sui meccanismi retorici e sui perversi, inquietanti slittamenti di signi-ficato presenti nel Mein Kampf di Hitler: per es. il parlamento tedesco considerato alla stregua di una nuova Babilonia; l'ebreo, trasformato in diavolo e diventato il per-sonificatore di tutti i possibili misfatti, utilizzato come il nemico per antonomasia su cui convogliare il malessere della popolazione (di qui la consequenziale opposizione «ariano-eroismo-sacrificio» vs. «ebreo-astuzia-arroganza»); l'appello all'irrazionali-smo e la proliferazione di immagini belliche; le forti provocazioni lessicali; il ricorso alla ripetitività di slogan e l'abuso di termini impiegati programmaticamente, quali l'emblematico volkish, lemma carico di inquietanti valenze semantiche identitarie fondate sulla comune appartenenza razziale. Sull'analisi del linguaggio nazista è ugualmente imperniata la monografia di Victor Klemperer (1946), che nel dopoguerra studio le pratiche di seduzione e di sobillazione del popolo perpetrate da Hitler. Klemperer, filologo romanzo a Berlino Est, fu inviato dai nazionalsocialisti a lavorare nelle fabbriche e quindi ebbe modo di annotare dettagliatamente nel suo diario segreto l'onnipresenza della lingua tertii imperii, la lingua del Terzo Reich, cioè quell'idioma acquisito inconsciamente e dovuto alla ripetizione collettiva, martellante e meccanica di migliaia di locuzioni entrate nel vocabolario d'uso. Stupisce il fatto che tale autorevole testimonianza diretta sulla pratica politica, sull'ideologia e sugli esiti nefasti di un linguaggio totalitario come quello nazista non abbia trovato il seguito che meritava nelle successive ricerche sul discorso politico portate avanti dalla ex D.D.R. A questi lavori si deve aggiungere anche quello di Charles Bastide (1935) sugli anglicismi presenti nel vocabolario politico francese, anticipatore del futuro e cre-scente interesse verso il lessico, i neologismi e i forestierismi della politica.2 Infatti 2 Tale tipo di ricerca semantica fu particolarmente incrementata in Francia alla fine degli anni Sessanta con il Colloque du Centre de Lexicologie Politique - E.N.S. de Saint-Cloud (26-28 avril 1968) sul tema Formation et aspects du vocabulaire politique français. XVIIe-XXe siècles. Gli Atti con-gressuali, pubblicati nei tre numeri monografici dei Cahiers de lexicologie (13, 1968; 14, 1969; 15, 1969), si rivelano anche oggi molto interessanti per gli studi specifici sull'impiego e sulle occorrenze di un particolare lemma, di un determinato vocabolario, di certi enunciati all'interno di contesti discorsivi francesi ben definiti tra il XVII e il XX secolo. negli anni Cinquanta Georges Matoré (1951b) esaminerá in un saggio specifico i neologismi politici in voga nella societá francese di Luigi Filippo d'Orleans, distin-guendo le parole frutto delle nuove istituzioni dai barbarismi della tribuna e dal les-sico tipico delle nascenti teorie utopiche socialiste. E pero grazie alla maggiore tira-tura dei giornali, dopo gli avvenimenti della Monarchia di Luglio del 1830, che la lingua politica, quella che veniva chiamata il parlamentarisme, diffusa largamente attra-verso la stampa, entrerá in maniera estesa nella lingua comune (Matoré 1951c). Il 1939 fu indubbiamente un anno intenso; infatti anche in Italia apparve una ricerca sul linguaggio totalitario scritta in tedesco per i tipi della casa editrice Sansoni, quella di Hermann Ellwanger (1941 [1939]) sulla lingua e sullo stile mussoliniani. L'autore esami-na i tratti costitutivi dell'oratoria del duce, che vanno dall'oculata scelta di lemmi sugge-stivi e di efficaci neologismi al predominio della costruzione sintattica di tipo paratatti-co, dalla organizzazione antitetica della frase all'effetto persuasivo prodotto dai tropi (per es. le frequenti similitudini e metafore medico-chirurgiche) e dal ritmo ternario lessica-le, efficace per il martellamento inconscio e linguistico delle masse. Fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta la produzione scientifica italiana sul discorso politico fu piuttosto esigua - prescindendo da quegli scritti di regime, celebra-tori del linguaggio del fascismo e di Mussolini (Ardau 1929, Bianchi 1937, Adami 1939) - produzione limitata soprattutto ad alcune brevi e puntuali analisi diacroniche svolte su lessemi particolarmente in vigore in quegli anni. Queste analisi di storia della lingua politica, ad eccezione di quella di Bruno Migliorini (1934), apparvero prevalen-temente sulla rivista Lingua nostra che, sorta appunto nel 1939, si distinse subito per il rigore filologico e per la varietá dei corpora oggetto d'analisi, tanto da porsi come auto-revole punto di riferimento per gli studi linguistici italiani diacronici e sincronici. Menzioniamo i contributi piu importanti: quello succitato di Migliorini, che con-dusse uno studio proprio sul termine autarchia e, partendo dall'etimologia, attraverso la storia dell'adozione del lemma da parte dei filosofi greci, arrivo fino al contemporaneo uso fascista; Emilio Bodrero (1939), il quale analizzo il lessico politico del tempo con l'intenzione di epurare i forestierismi; Emilio Peruzzi (1944-45, 1946), che esamino le cosiddette parole «a corso forzoso», soffermandosi sui neologismi e sui forestierismi bellici di cui forni un quanto mai utile repertorio; infine Francesco Maggini (1947) che, stimolato dal recentissimo cambiamento della forma di governo italiana, si interesso, non a caso, alle origini e agli usi del lessema repubblica. Ma e a Rodolfo De Mattei che si deve, sempre sulla rivista Lingua nostra, la fon-dazione di due rubriche semantiche specializzate nell'ambito del repertorio lessica-le politico: (1) «Voci politiche fortunate», che va dal 1940 al 1942; (2) «Ospizio di parole politiche perdute» che, iniziata nel 1942 e protrattasi per decenni, risulta particolarmente preziosa per la messe di informazioni su parole politiche cadute in disuso, di cui viene fornita, insieme alla data o all'epoca in cui sono attestate per la prima volta, anche la fonte.3 3 Un inventario dei periodici e puntuali interventi di Rodolfo De Mattei, dal 1940 in avanti, e stato compilato da Desideri, Marcarino (1980: 74-75). A tali lavori, per completezza d'informazione, aggiungiamo gli articoli di Anna María Finoli (1947, 1948) sulla terminologia economica italiana settecentesca, sottocodice che e parte integrante del discorso politico; lo studio di Anna Laura Messeri (1957) sugli anglicismi entrati nel circuito del linguaggio politico italiano del 1700-1800, di cui, analogamente a Finoli, si riporta un ricco repertorio lessicale e infine il saggio di Mario A. Cattaneo (1959) con interessanti osservazioni sul binomio linguaggio-politica. Infine, nel novero degli studi italiani sulla lingua politica, e doveroso ricordare che una delle prime analisi, se non la prima in assoluto, condotta sulle strutture sintattiche delle locuzioni politiche fu quella elaborata da Bruno Migliorini (1952) a proposito della famosa formula Votate socialista, nata nel 1946 con le elezioni per la Costituente e diffusa soprattutto per le votazioni amministrative del '47 e per quelle politiche del '48. Di tale costrutto sintagmatico (costituito da un verbo e da un aggettivo con valore avverbiale) piuttosto innovativo per l'epoca, che ricalca il corrispondente francese voter socialiste gia analizzato peraltro nel 1938 da Leo Spitzer, Migliorini rilevo la potenza propagandistica testimoniata da espressioni pubblicitarie strutturalmente affini, come bríndate Ganda! e camminate Pirelli (formate da un verbo intransitivo e da un nome proprio). In questa ricognizione, relativa alle ricerche sul linguaggio politico dei primi decen-ni del Novecento, e utile ricordare anche quella di Stuart Chase (1966 [1953]), che, nata dal precedente lavoro sul 'cattivo' uso del linguaggio,4 si colloco come uno dei ten-tativi americani di mettere in rilievo la funzione e il potere della parola nella vita politico-sociale, tentativo fortemente discutibile e opinabile, a detta del filosofo marxista tedesco-orientale Georg Klaus (1974: 191 [1971]), come vedremo tra poco. Interessato al crescente sviluppo dei processi della comunicazione e risentendo dei principi della semantica generale di A. Korzybski, Chase analizzo con rigore diversi corpora politici, quali l'acerrima battaglia tra due parole-guida capitalismo e socialismo (Chase 1966: 215-227), i meccanismi propagandistici che Washington da una parte e Mosca dall'al-tra scelsero nella famosa guerra fredda e nella successiva fase del disgelo (Chase 1966: 229-235), i moduli espressivi adottati dai democratici e dai repubblicani nella campa-gna elettorale dell'autunno del 1952 per l'elezione del Presidente degli Stati Uniti (Chase 1966: 237-243), infine le peculiarita del gobbledygook, il cosiddetto linguaggio burocratico (Chase 1966: 271-281). Sempre restando nell'area semantica americana, per quanto concerne il versante di studi sul potere della lingua politica, vale la pena citare anche il glossario di Heinz Paechter et al. (1944), elaborato sulla terminologia nazista penetrata nel tedesco contemporaneo. Sono contributi, questi, che meriterebbero, specialmente oggi, una rivisi-tazione approfondita, dalla quale scaturirebbero senza dubbio la vitalita e la modernita delle considerazioni e delle riflessioni avanzate nella prima meta del Novecento. 2. I PRODROMI DELLA RIFLESSIONE TEORICA SUL DISCORSO POLITICO Ripercorrendo le fila degli studi teorico-applicati sul linguaggio politico, un posto di grande rilievo e rappresentato dalle prime riflessioni teoriche, propriamente dette, sullo 4 Cfr. l'interessante contributo di Chase (1938) sulla tirannia delle parole. statuto del discorso político e sui criteri di identificazione e di riconoscimento di tale dimensione discorsiva, ricerca tipologica che verra affrontata soltanto nell'ultimo ven-tennio del Novecento. In primo luogo, non possiamo esimerci dal prendere in conside-razione le speculazioni di uno dei padri fondatori della semiotica come scienza, Charles William Morris (1938), che gia negli anni Trenta, sottolineando fortemente il carattere sociale dei processi segnici, aveva distinto le tre «dimensioni» della semiotica nella pragmatica, nella semantica e nella sintattica e ne aveva individuato le aree di competenza rispettivamente nell'esame dei rapporti dei segni con gli utenti, nell'analisi della relazio-ne dei segni con quanto e da essi significato e infine nello studio dei rapporti formali dei segni fra loro. Egli, precorrendo i tempi, nel suo famoso Signs, Language andBehavoir (Morris 1949 [1946]) si pose il problema di individuare una tipologia dei discorsi e giun-se ad una classificazione di ben sedici tipi di specializzazioni del parlare comune, carat-terizzati dalla maniera dominante di significare e/o dal loro principale uso segnico. Tra questi tipi viene annoverato anche il discorso politico come discorso di «maniera pre-scrittiva» e di «uso valutativo», in quanto prescriverebbe delle azioni con lo scopo di otte-nere il consenso ad una determinata organizzazione della societa; tuttavia resterebbe comunque la difficolta di una precisa identificazione del suo statuto, essendo intimamente connesso con molti altri generi di discorso. Risulta altrettanto problematico delimitare l'area del discorso propagandistico, poiché, simile per certi versi a quello politico, si serve anch'esso di altri tipi di lin-guaggi; secondo Morris anche quest'ultimo discorso e di «maniera prescrittiva», ma di «uso sistemativo», dato che rafforza le prescrizioni e le organizza mettendole in relazione con le altre. Va rilevato che, sempre nel lavoro in questione (Morris 1949 [1946]: cap. III, cap. IV § 10, cap. VI §§ 1-6), lo studioso americano distingue quattro principali aspetti del comportamento segnico, cioe quattro diverse maniere di significare: designativa, apprezzativa, prescrittiva e formativa. Un'interpretazione marxista delle idee semiotiche morrisiane venne tentata diversi anni piu tardi dal filosofo tedesco-orientale Georg Klaus (1964), il quale, introducendo un elaborato apparato concettuale, colloco il linguaggio politico in un contesto filosofico di natura strettamente gnoseologica. Egli, interessato soprattutto alla relazione pragmatica tra i segni e l'uomo, adotto la terminologia morrisiana relativa agli aspetti del segno linguistico, pubblicando nel 1971 un'opera (Klaus 1974 [1971]) che rappresento un reale contributo a una «scienza della propaganda». In questo testo, che si pose come riferi-mento generale per la teoria e per l'analisi applicata del linguaggio politico nella Repubblica Democratica Tedesca, vengono analizzate, secondo i principi della cibernetica, della teoria dell'informazione, della socio-psicologia empirica e della semiotica, i mezzi espressivi e le tecniche manipolatorie dei discorsi propagandistico-agitatorio e politico, di cui l'autore riporta innumerevoli esempi attinti in particolare dagli organi di stampa e dagli slogan nazisti, capitalistici e socialisti. Nel ventennio compreso tra il 1940 e il 1960 possiamo annoverare ben pochi lavo-ri tedeschi, tra questi ci limitiamo a menzionare solo Lutz Mackensen (1956): va rile-vato che la cospicua messe di studi inizia soltanto con il decennio successivo. In ogni caso, uno dei primi riferimenti metodologici imprescindibili per lo studio del linguaggio politico e della propaganda e rappresentato dal volume collettaneo americano Language of Politics. Studies in Quantitative Semantics, curato da Harold D. Lasswell e Nathan Leites (1979 [1949]), che, a un sessantennio dalla sua prima edizione, e ancora oggi un utile punto di partenza per la ricerca sulla persuasione politica e sulle comunica-zioni di massa. L'assunto centrale del libro, costituito da vari studi di carattere sia teorico sia applicato, e che «[...] il potere politico puo essere meglio compreso nella misura in cui se ne comprenda meglio il linguaggio; [...] che il linguaggio della politica possa essere utilmente studiato per mezzo di metodi quantitativi» (Lasswell e Leites 1979 [1949]: 27). Si deve infatti ad Harold D. Lasswell,5 considerato da Gianni Statera (1979: 7) uno dei «padri fondatori» della ricerca sulle comunicazioni di massa, la realizzazione intor-no agli anni Trenta della Content Analysis,6 tecnica largamente praticata dalla sociologia che, pretendendo di essere obiettiva e sistematica, descrive, quantifica, classifica i contenuti delle diverse manifestazioni comunicative (parole, simboli, miti, ecc.) in relazione ad una determinata audience, prescindendo pero in partenza dalle connessio-ni intertestuali e dalla grammatica «profonda» dei significati considerati. E bene ribadire che le prospettive lasswelliane, forzatamente limitate dalla stessa impostazione metodologica dell'«analisi del contenuto», in realta non possono pervenire all'universo di discorso, essendo circoscritte all'esame del solo contenuto manifesto del messaggio, quello cioe usualmente recepito dalla comunita linguistica di cui gli interpre-ti fanno parte. Muovendo dal principio per cui la comunicazione e lo strumento primo e ineludibile del potere, Lasswell attribui alla Content Analysis la possibilita di decodifi-care i modi della persuasione di massa tramite l'elaborazione di tecniche che costruisco-no categorie di contenuto entro cui classificare gli elementi del messaggio. Ovviamente ogni tecnica si differenzia dalle altre per le modalita con le quali le unita linguistiche vengono indicate, specificate e per i criteri che conducono alla for-mazione delle categorie. Considerando appunto la funzione basilare svolta dal linguaggio, lo studioso statunitense distinse nel political myth la classe dei credenda, quella dei 5 La produzione di Lasswell è sterminata e riflette la molteplicità delle tecniche e delle direzioni di indagine che lo studioso sperimentö via via nella sua pionieristica opera, volta ad esplorare sempre nuovi metodi di analisi e moderne possibilità di ricerca interdisciplinare nella scienza politica: si accostö infatti sia agli strumenti psicoanalitici che a quelli marxiani, sia alla teoria elitistica italiana che alla filosofía di Whitehead, per citare solo alcune delle aree di interesse. Va segnalato che, quan-do divenne condirettore degli studi della Hoover Institution nella Stanford University, Lasswell diresse il progetto di ricerca RADIR (Revolution and Development of International Relations), fina-lizzato ad esaminare i simboli politici ed elitari dal 1890 al 1950. Per quanto riguarda più specifica-mente gli studi condotti sulla propaganda, cfr. Lasswell (1927a, 1927b, 1938, 1939, 1941, 1947); Lasswell, Casey, Smith (1935, 1946); Lasswell, Blumenstock Jones (1938, 1939a, 1939b). 6 Oltre ai lavori presenti in Lasswell, Leites (1979 [1949]), su Content Analysis e linguaggio politico, cfr. particolarmente Lasswell (1942, 1947, 1968); Lasswell, Janis et al. (1943). Come esempio clas-sico di varie applicazioni della Content Analysis, cfr. Pool De Sola (1959), specialmente le parti riguardanti la politica e la propaganda. Infine, sul metodo dell'«analisi del contenuto» e delle sue applicazioni, cfr. Janowitz (1968), Rositi (1970), De Lillo (1971), Statera (1974). miranda e infine le formule politiche, che prescrivono piu o meno dettagliatamente il contenuto della dottrina política in modelli di potere particolari: nell'aspetto normativo della formula viene annoverata chiaramente anche la manifestazione di sottocodici contigui e a volte integrati, quali quello burocratico ed economico. Come esempio concreto dell'utilizzazione delle procedure dell'«analisi del contenuto» per esaminare il discorso del potere, giova menzionare la ricerca di Sergius Yakobson e Harold D. Lasswell (1979 [1949]) condotta sugli slogan sovietici prodotti per la festa del 1° maggio dal 1918 al 1943. Di questi ultimi venne attentamente stu-diata la variazione di frequenza dei simboli chiave classificati entro undici categorie di contenuto (simboli rivoluzionari, antirivoluzionari, nazionali, universali, ecc.), variazione ritenuta indicativa del corrispettivo mutamento dei valori sociali. La Content Analysis, con l'adozione del metodo statistico, favor! largamente dagli anni Cinquanta in avanti tutta una serie di ricerche americane sulla frequenza di determi-nati usi comunicativi propri del comportamento del potere.7 Non e questa la sede idonea per un approfondimento dei principi teorici lasswel-liani, ma va certamente rilevata la diversa impostazione dei numerosi contributi; infatti bisogna osservare che esistono consistenti divergenze tra le applicazioni presentate in Language of Politics e, piu in generale, tra i criteri seguiti dallo stesso Lasswell e dagli altri studiosi. In altre parole, con le distinte tecniche dell'«analisi del contenuto», e possibile all'interno di una comunicazione registrare la presenza di alcuni items, oppure suddividere il messaggio, prevalentemente giornalistico in que-sto caso specifico, in unita omogenee di notizia,8 oppure ancora quantificare la fre-quenza di certi attributi, anche mettendo in relazione i significati reperiti con varia-bili sociologiche e psicologiche (atteggiamenti, giudizi, opinioni, ecc.). Pero, di fatto, rimane piuttosto vaga l'operazione che dovrebbe condurre alle inten-zioni dell'emittente, dato che la tecnica lasswelliana, in ultima analisi, e funzionale alla rilevazione delle caratteristiche del messaggio, secondo le modalita di decodifica proprie dell'analista. In ogni caso, bisogna riconoscere che le ricerche di Lasswell, anche con tutti i limiti che si possono rilevare, hanno l'innegabile merito non solo di avere identi-ficato nelle strategie comunicative, fin dal termine degli anni Venti - anni in cui si col-locano i primi lavori sulla propaganda bellica (Lasswell 1927a) - lo strumento primario di persuasione gestito dalle élites, ma soprattutto di aver tentato di fornire, con criteri per la prima volta metodologicamente determinati e dichiarati, una descrizione oggettiva (presunta o reale non importa dal nostro punto di vista) della produzione linguistica del potere inserita nel contesto comunicativo. Procedendo a grandi linee, e doveroso menzionare anche il breve, ma acuto arti-colo di George Orwell (1946), uscito immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, precisazione diacronica d'obbligo tanto piu che si deve constatare che in Gran 7 A tale proposito, cfr. Berelson (1952), cui si deve, oltre a Lasswell, la sistemática esposizione di tale approccio e Pool De Sola (1952). 8 A questo riguardo, cfr. l'analisi di Morin (1961), applicata alle modalita con cui la stampa france-se aveva reagito alla visita di Nikita Kruscev in Francia. Bretagna dal 1950 al 1980 almeno si ebbe, accanto al proliferare di studi politologici e sociologici, la pressoché totale assenza di indagini sul linguaggio político,9 ad ecce-zione del lavoro di R. N. Carew Hunt (1961 [1957]) e di pochi altri. Le osservazioni fatte da Orwell sul linguaggio della propaganda politica, anche se forse troppo con-nesse alla sua personale ideologia, sono piuttosto interessanti, riguardando i rappor-ti tra la lingua ufficiale inglese e la politica, con la conseguente trasformazione subita dalla lingua nei regimi totalitari. Tra l'altro l'autore osservo con attenzione l'uso, molto frequente nel sottocodice politico, dell'eufemismo di cui analizzo la forte carica connotativa, senza mancare di riportare diversi costrutti frasali, lessicali e retorici in determinati contesti e con fini persuasivi ben precisi. Il testo di Hunt succitato ha la veste di un ricco ed elaborato repertorio lessicale di ben cinquanta voci concernenti i piu noti concetti marxisti-leninisti, tra loro intimamente connessi e generalmente utilizzati dai comunisti nei loro discorsi. Tali termini, di cui vengono forniti date, fonti, definizioni metalinguistiche, valenza semantica e impiego pragmatico, si riscontrano negli scritti di Marx e di Engels, ma la loro larga diffusione va addebitata all'adozione che ne fecero successivamente Lenin e Stalin. Il criterio selettivo adottato fu la frequenza d'uso di queste espressioni nella stampa sovietica e nel giornale del Cominform dopo l'ultima guerra. Un discorso a parte merita invece il lavoro di Paolo Facchi (1960) sulla propaganda dei partiti politici italiani nelle elezioni del 1953 e del 1958, analizzate attraverso i moduli linguistici e argomentativi maggiormente persuasivi, utilizzati dalla stampa di partito a carattere nazionale per riportare i comizi e i programmi elettorali dei principali leaders. Sembra giusto sottolineare il carattere innovatore di questo studio che, uscito molti anni fa, recepi e applico in modo originale sia le contemporanee riflessioni di Ch. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca sui diversi tipi di argomenti, sia le teorie di A. McClung Lee sulle tecniche di manipolazione della propaganda. Si e tentato qui di ripercorrere i prodromi degli studi teorici e applicati sul linguaggio politico che influenzarono, direttamente o indirettamente, lo sviluppo di una tipologia discorsiva complessa e variegata, per antonomasia la piu sensibile ai mutamenti del corpo sociale e alle trasformazioni dei sistemi assiologici ed epistemici degli esseri umani. E pero soprattutto intorno agli anni Sessanta che questo settore di ricerca venne progressivamente investigato e incrementato, all'inizio attraverso il prevalente supporto metodologico dell'analisi lessico-semantica, poi tramite quei raffinati strumenti testuali, retorico-argomentativi, pragmatici e semiotici che le scienze del linguaggio e della comu-nicazione, come sappiamo, andarono ad elaborare e a potenziare nei decenni successivi sia in Europa che in America. 9 Su questo particolare fenomeno, cfr. Rossini Favretti (1980: 23). Bibliografia Adami, Eugenio (1939) La lingua di Mussolini. Modena: Societa Tipografica Modenese. 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Riassunto ORIGINI E SVILUPPI DELLE ANALISI E DELLE TEORIE SUL LINGUAGGIO POLITICO (1920-1960) Scopo di questo contributo e di ricostruire le origini e gli sviluppi degli studi, sia teorici che appli-cati, sul linguaggio politico dal 1920 al 1960, a cominciare dagli articoli di alcuni autorevoli formalisti russi pubblicati nel 1924 sulla rivista sovietica Lef. Vengono ripercorse le tappe fondamentali di questo interessante e complesso settore di studi, che vede, soprattutto negli anni Trenta, le prime analisi applicate indirizzate all'esame delle peculiarita stilistiche degli idioletti di tre capi carismatici che hanno fatto la storia del primo Novecento: Lenin, Hitler e Mussolini. Di tali linguaggi sono par-ticolarmente messi in luce quei tratti semantici e retorici che, lessicalizzati da parole d'ordine e slogan ad effetto, hanno reso possibile quel passivo e irrazionale rapporto popolo-capo che ha caratte-rizzato inquietanti regimi nel secolo scorso. Inoltre sono prese in considerazione le prime teorie novecentesche sulla specificita del discorso politico, del quale si tenta di identificare modi e usi, tenendo conto del comportamento segnico di questa particolare produzione linguistica. A tale riguardo, la teoria predominante e certamente quella della ContentAnalysis, che, a partire dagli anni 1930-1940 in avanti, sara il punto di riferimento metodologico per intraprendere ricerche, anche quantitative, sulla persuasione politica e sulle strategie comunicative di massa. Povzetek IZVOR IN RAZVOJ ANALIZ IN TEORIJ POLITIČNEGA JEZIKA (1920-1960) Prispevek skuša rekonstruirati izvor in razvoj tako teoretskega kot aplikativnega proučevanja političnega jezika v obdobju med 1920 in 1960, začenši s članki nekaterih pomembnih ruskih formalistov, ki so bili objavljeni leta 1924 v sovjetski reviji Lef. Predstavljene so glavne etape tega zanimivega in kompleksnega raziskovanja, v okviru katerega so se v 30. letih pojavile prve aplikativne analize slogovnih posebnosti idiolektov treh karizmatičnih voditeljev, ki so zaznamovali zgodovino prve polovice 20. stoletja, in sicer Lenina, Hitlerja in Mussolinija. Pri obravnavanju jezikov posameznikov je pozornost namenjena posebej tistim semantičnim in retoričnim značilnostim, na osnovi katerih se je prek leksikalizacije gesel s posebnimi učinki in sloganov lahko vzpostavil pasiven in iracionalen odnos med ljudstvom in voditeljem, ki je tipičen za nekatere skrb zbujajoče režime prejšnjega stoletja. V prispevku so nadalje obdelane prve teorije iz 20. stoletja, ki se posvečajo posebnostim političnega diskurza, pri katerem skušajo ugotoviti njegove različne vrste in rabe, upoštevaje znakovno vedenje te specifične jezikovne produkcije. Med temi teorijami je zagotovo najvažnejša content Analysis, ki od obdobja 1930-1940 naprej v metodološkem pogledu pomeni referenčno točko za raziskave (tudi kvantitativno naravnane) političnega prepričevanja in strategij množičnega komuniciranja.