Anno 1 della Nuova Serie (XIII della Raccolta) Fasc. III Capodistria, giugno-luglio 1922 PAGINEISTRIANE Uscito il primo fascicolo della Nuova Serie di questa ras-segna, piu di un amico ci osservo, con 1' aria di chi e costretto a fare a malincuore un' osservazione sgradevole, che il leone di San Marco, onde simbolicamante si fregia la nostra copertina, posa la zampa sopra un evangelo in cui fa brutta mostra di se un er-rore di ortografia: tanto di tibbi con due, anziche con una b. Rispondiamo. L' artista che ha disegnato quel leone — e che e, tutti or-mai lo sanno, anche perche si legge sotto, 1'egregio direttore della Scuola del merletto in Isola, signor G. A. Zamarin — non creo, con 1'aiuto della fantasia, un leone suo, non delineo una sua per-sonale interpretazione dell'aligera belva : ma fedelmente ritrasse, per incarico nostro, il famoso leone che in antico era apposto e dava il nome al Castelleone di Capodistria e ora e confinato (per non dire... internato) nel giardino dei conti Totto, sempre in Capodistria. Di quel marmoreo simulacro, opera veramente arti-stica di un immaginoso scultore del Cinquecento, diede gia ampia notizia il Caprin nell'Istria Nobilissima*), pubblicandone in pari tempo un bellissimo schizzo a penna dovuto al chiaro prof. Giulio De Franceschi, un virtuoso del genere; schizzo anche sul quale e di leggieri decifrabile il dispiaciuto e incriminato tibbi. Ci siamo spiegati ? Rassegna bimestrale di Letteratura, Scienza ed Arte con particolare riguardo ali'Istria IL NOSTRO LEONE LA DIREZIONE *) Trieste, Stab. art. tip. G. Caprin, 1905 ; vol. I, pag. 96. „Pomiga" e „Pomigadori" «E questo fia suggel ch ogni uomo sganni >> I. Perdonatemi, ospiti egregi ed amici carissimi, se, contraria-mente alla tradizionale usanza italica che vuole liete e serene le mense, io sto per tenervi, inter pocula, un discorso di carattere piu serio che allegro, un discorso che non puo avere, ahime, nep-pure il grande impagabile merito deila brevita. Quando, sere fa, i colleghi del Comitato, per troppo di fi-ducia in me, mi vollero affidato 1'incarico di tessere, alla fine di questo memorabile simposio, la storia della Pomiga, e segnata-mente di spiegarne la genesi, la natura e gli effetti, io, confesso il vero, mi sentii non poco imbarazzato e temetti, su le prime, di essere fatalmente destinato a guastare un centinaio e piii d'inci-pienti digestioni; ma poi, ripensandoci, mi sovvenne di due cose: prima, ch'io ero un vecchio e provato pomigador. e che un po-migador degno del nome non deve arretrare dinanzi a nessun peri-colo e a nessuna difficolta; secondariamente, che avrei avuto intorno a me un uditorio formato in massima parte di pomigadori, ai quali non sarebbe dovuto dispiacer poi tanto d'udir risuonare anche una volta le lodi di quella Pomiga, che occupo gia si gran pošto nella loro vita e che formera — sa Dio per quante generazioni ancora — il loro maggiore titolo di gloria. Restano gli ospiti, e questi devono veramente armarsi di coraggio e di pazienza.... *) Questo discorso, detto a Trieste la sera del 4 gennaio 1919 alla cena degli ex-« Pomigadori», si pubblica, nonostante la sua forma a volte scher-zosa, per cid che contiene di storicamente esatto circa 1'azione antiaustriaca spiegata durante la guerra redentrice dagl'italiani costretti a militare nelle file deli'esercito austro-ungarico e per togliere di mezzo una volta per sempre ogni ambigua o addirittura maligna interpretazione dei vocaboli Pomiga e Pomigadori. II. Pdmiga, si sa, e voce del dialetto istriano, a cui corrisponde in lingua la parola Potnice, della quale il Vocabolario degli acca-detnici della Crusca (vedete che fo sul serio) da questa spiega-zione: «Pietra leggerissima, spugnosa, piena di pori rotondi o ovali, ruvida al tatto, facile a rompersi, eppure atta a rodere o corrodere il vetro piu duro ed anche l'acciaio». E Pdmiga a buon diritto e con felice traslato si chiamo, du-rante la guerra mondiale, la tacita formidabile intesa di quei pa-triotti italiani che, costretti dall'Austria a indossare la divisa mili-tare, s'industriarorio in tutti i modi, vecchi e nuovi, palesi e nascosti, possibili ed... impossibili, di sminuirne e limitarne 1'efficenza bellica, a tutto profitto di un'altra e piu grande Intesa, ma col desiderio di giovare in ispecie, sia pure per vie del tutto indirette, a quella che fu sempre, anche nei momenti piu tristi del loro esilio, in cima dei loro pensieri, alla gran madre Italia. Chi fosse il primo ad usare il vocabolo Pdmiga nel significato che ora ho detto; come, dove e quando egli lo mettesse in circo-lazione; tutto cio resta avvolto nel velo del piu fitto mistero, come, a un dipresso,... la storia primordiale deli'Egitto, almeno quando noi facevamo i nostri studi liceali. Quello che di certa scienza si sa e che la Pdmiga, simile anche in cio ad una vasta e bene organizzata congiura, si manifesto improvvisa per cento modi e in cento siti, non appena 1'Italia ebbe dichiarato guerra all'Austria; eppure ne un accordo era stato previamente preso, ne era corsa una qualunque parola d'ordine. No: aveva parlato il puro e sem-plice sentimento patrio, e tutti avevano operato come d' istinto. Dunque, con ogni probabilita, la cosa fu prima della parola, e la parola non fu che il riconoscimento e la consacrazione della cosa. Ma intendiamoci bene: nulla e tanto lontano da noi quanto la pretesa di atteggiarci, poniamo, ad aiutatori efficaci deli'Italia in guerra; e nulla ci urge meno che la fregola di proclamarci addi-rittura belligeranti e di chiedere che una nostra rappresentanza diplomatica si assida al tavolo verde delle trattative di pace. Ci mancherebbe altro! Facemmo quel che potemmo : ecco tutto. Fa-cemmo que!lo che, impediti — e non per cagion nostra — di prender parte alla guerra di redenzione, dovevamo fare, se vole-varno rimaner pari a noi stessi, alle tradizioni del nostro passato, alle speranze del momento che allora vivevamo. E se qualche volta il nostro contributo di resistenza passiva e di sabotaggio assunse aspetti e portate tali da non incutere soverchio terrore all'Austria, cio non vuol ancora dire che il nostro fosse un giuoco fanciullesco o, peggio, un allegro passatempo ; giacche ogni azione umana va giudicata in relazione e in dipendenza dalle circostanze nelle quali si svolge, e nulla induce piu facilmente in errore che 1' informare i propri giudizi alle sole momentanee apparenze. Vero e che non vi fu ostruzionismo nostro, per quanto piccolo, per quanto insignificante, che non s'ispirasse all'odio che nutrivamo accanito e inestinguibile contro 1'Austria, e che la storia del nostro servizio militare alle dipendenze dell'Austria fu una storia di scon-forti e di pene amarissime, anche se talvolta, ad ingannare il nostro cuore che piangeva in silenzio tutte- le sue lagrime, le nostre labbra cercavano di abbozzare uno sbiadito sorriso. Scusate se v' ho parlato di tristezze ; ma il dovere mio non era di abbellire la realta, si di rappresentarla schietta ed intera ; e d' altronde i lutti di quei tempi, gia cosi lontani nella memoria nostra, sono oggimai tornati in felicissima esultanza. Tolto cosi di mezzo ogni possibile equivoco, vediamo ora un po' piu da vidno come praticamente funzionasse la benemerita Pomiga. III. In due luoghi specialmente esplico 1*attivita sua la Pomiga; a Radkersburg, sede del battaglione di complemento deli'i. e r. reggimento fanti n. 97, detto anche reggimento demoghela, per 1' irre-frenabile smania di passare ai nemici dell'Austria che soleva coglierlo ogni qual volta fosse mandato al fronte, e a Voitsberg, sede del battaglione di complemento deH'i. e r. reggimento terri-toriale n. 5. Del rinianente, non c'era, si puo dire, sito del retro-terra austriaco ove la Pomiga non facesse capolino o non giungesse co' suoi lunghi tentacoli: che per 1'intera Austria-Ungheria furono dispersi, come da un vento furioso, i gregari dei suddetti reggi-menti; reggimenti che si reclutavano nelle terre nostre e pero contavano nelle proprie file un considerevole numero d'italiani. E anche al fronte arrivava talvolta, sia pur sottile fino alTinverosi-mile, la schiera dei pomigadori. E allora non c' era che una legge per essi: disertare al piu presto possibile e a qualunque costo; disertare non gia per mettere al sicuro la propria pelle, ma si per proccaciarsi il modo di finir volontari nell'esercito italiano e com- battere da valorosi per le proprie sacrosante aspirazioni, per il proprio nazionale diritto. Ne c'e bisogno ch'io esemplifichi: vanno oggi per le bocche di tutti i nomi di quei comprovinciali nostri che, in ispecie dal fronte galiziano, passarono ai nemici delTAustria e che, divenuti o prima o poi, come ardentemente bramavano, soldati d' Italia, seppero dare, sul campo di battaglia, ben altre e piu memorande pomigade aH'Austria-Ungheria. Bisogna pero convenire che uno dei maggiori scopi della Pomiga era quello di non lasciare che i propri affigliati terminas-sero al fronte; il che essa faceva anzitutto per sottrarre combat-tenti alTAustria, in secondo luogo per impedire che i torturati si battessero per il torturatore, controsenso mostruoso solo in Austria possibile e che 1'Austria, invertendo i termini, soleva infame-mente baltezzare amor di patria, «Vaterlandsliebe». E in questo suo capitale assunto sarebbe lungo dire a quanti e quali mezzi, a quante e quali astuzie ricorresse la Pomiga. 1 primi ali' opera erano, va da se, i medici nostri, sempre inarrivabili nelTarte di riformare i sani e i vigorosi, e di affollare sino all'inverosimile gli ospedali, le infermerie, i convalescenziari e gli stabimenti di cura. Troppo tempo ci vorrebbe per far nomi. Tuttavia uno non ne posso tacere: esso e quel!o del dottor Carlo Ravasini, al quale debbo io medesimo una riconoscenza che non potra venir meno mai. Caro e buon dottore, ancora m'e nell'anima quella grigia e gelida mattina stiriana, in cui la mia poco marziale nudita dovette comparire dinanzi agli occhi di Lei profondamente scrutatori oltre le lucide lenti, la nel tragico orrore di quel lurido e graveolente carnaio uinano che fu la famigerata caserma Kodolitsch; e ancora mi risuonano negli orecchi le benedette parole di commiserazione con cui Ella, senza neppur curarsi degli altri commissari, mi clas-sifico abile solo a servizi di cancelleria. Čreda che, se non fossi stato anch'io un pomigador e non avessi temuto di rompere l'in-canto, čreda ch'io L'avrei allora abbracciato. Ma quanti Ella strappo ai piu duri e avvilienti servizi militari? Lei stesso non lo sa. Certo e che a migliaia si contano i beneficati da Lei, i sottratti da Lei ai battaglioni austriaci di marcia, alle trincee au-striache della Galizia, della Transilvania, delle Alpi, del Carso. Ne parra riconoscimento soverchio dei meriti Suoi, s'io stasera La prodamo, a nome anche di tutti gli altri pomigadori qui rac-colti, il primo dottor dei pomigadori, il primo pomigador dei dottori. Si capisce che i piu prossimi ed efficaci aiutatori dei medici furono i farmacisti e gl* infermieri; abili i primi segnatpmente a dar consigli circa le medicine piu adatte a ben pomigar, nonche a procacciare le medesime in conveniente copia e senza soverchio dispendio dei pazienti; chiamati specialmente i secondi ad erudire il disgraziato che volesse ridursi, per sua salvezza, a pelle ed ossi, nella non facile arte di condurre a buon fine, emulando, si, Luigi Succi ma non il conte Ugolino, la sua pomigada. Ma non meno che negli ospedali e stabilimenti congeneri esercitava la Pomiga il suo possente influsso nelle caserme e negli uffici dei vari Comandi. Spicciolo e immediato nelle caserme, il lavorio dei pomigadori diveniva particolarmente serio e com-plesso nelle cancellerie dei Comandi, ove facevano capo, si capisce, tutte le fila delle persecuzioni politiche e ove necessitava qualche volta un pronto animoso intervento personale allo scopo di sop-primere o sviare qualche carta compromettente e qualche rapporto poliziesco non troppo benevolo, o di fabbricare, alle spalle e all'insaputa dei vigili superiori, e magari contraffacendo la firma di questi, un foglio di viaggio o addirittura un certificato di licenzaj in soccorso di qualche disgraziato al quale il Comando negava inflessibile, per le solite ragioni politiche, il ritorno in patria, fosse egli pure chiamato al letto di morte del suo piu stretto congiunto. Cosi ,fu che pote rivedere per qualche ora la sua Trieste, in pieno terrore austriaco e senza che nessuno se ne accorgesse o mai lo risapesse, un nostro amico e collega in Pomiga dei piu compromessi e dei meglio vigilati dalle autorita militari di Rad-kersburg. Un grave e particolarissimo compito incombeva poi a quelli tra i pomigadori che la non ambita fiducia dei capi collocava in qualita di segretari e scritturali nelle commissioni di leva; com-missioni in ispecial guisa pericolose ai pomigadori, quando dove-vano attendere a una classificazione degli occupati nei servizi sedentari e di guardia. Qui il salvataggio dei colleghi e la pomigada alTAustria si esplicavano su vasta e importante scala; ed e tipico il caso di quel consumato pomigador che, fungendo ap-punto da segretario in una commissione di revisione delle cate-gorie escluse dal servizio di linea, classifico a modo suo e secondo i dettami della piu stretta e coscienziosa Pomiga i colleghi pomigadori, senza curarsi ne poco ne molto del truculento medico militare e di tutta I' altra i. e r. ufficialita presente. E non sarebbe stata che mera giustizia il perpetuare pur la sua effigie nel bel-]issimo fregio parietale, onde due nostri geniali e spiritosi artisti adornarono il ritrovo che liberalmente aperse in Radkersburg agli amici pomigadori un altro pomigador di gran farna e di gran cuore; ritrovo rimasto a buon diritto famoso anche per le squisite serate di musica che vi si tennero e per le epiche Ietture che vi si fe-cero deli' introvabile e desideratissimo Corriere della Sera, ivi giunto per le piu misteriose e miracolose vie. Ma guai se io dovessi narrare per aneddoti la storia della Pomiga e dare intera una lista degli infiniti mestieri a cui s'adat-tava e delle arti sopraffine ch' esercitava la paziente tenacia dei pomigadori: non la finirei piu! Se non che (atteso pure, come canta quel capo ameno del Forteguerri, « che dolce cosa ell' e fra le vivande udir narrazioni memorande »), io non posso non ricordarvi ancora un episodio della attivita anti-austriaca dei pomigadori, il quale e per vastita di proporzioni e per le meravigliose conseguenze ch'ebbe, trascende di gran lunga quanto comunemente uno si puo immaginare in materia di ostru-zionismo militare. Ammalati di tracoma ce ne furono in ogni tempo e in ogni luogo; ma in nessun'epoca e in nessun sito tanti quanti durante la guerra mondiale nei depositi e nelle sedi dei due reg-gimenti austriaci, che gia vi dissi. Per questo semplice ed elo-quente motivo : che i tracomisti *) non erano mandati al fronte, si concentrati in speciali stabilimenti di cura, dove non avevano di solito altra preoccupazione che quella... di guardarsi bene dal guarire. Crescendo pero il loro numero in modo veramente fanta-stico e. . deleterio, il Comando deli' esercito austro-ungarico diede ordine un brutto giorno che venisse formato un battaglione di marcia di soli tracomisti. Ma il Comando fece i conti senza 1'oste, cioe senza la Pomiga: che, giunto il battaglione dei tracomisti al fronte, in pochi giorni la diffusione del contagio nelle truppe ad esso contermini fu tale e tanta, che gli effetti di tracoma da mille salirono a tremila e il ministero della guerra si trovo indotto, per evitare guai maggiori, a rispedire in fretta e furia alla sua antica sede sanitaria quel bizzarro e mai piu visto battaglione, non senza, va da se, aggregargli gli altri duemila nuovi pazienti. Con calzante *) Mantengo, per piu fedelta alla storia, il termine allora da noi usato. arguzia affermo pertanto un tracomista bello spirito che, a guerra finita, si sarebbe dovuto inalzare, quale domestica insegna, su la lanterna che vigila 1'entrata nel porto di Trieste uno sesquipedale bandierone con in mezzo — indovinate che cosa ? — un occhio, un superbo occhio di pomigador tracomista. IV. Ma e 1'Austria — sento domandarmi da qualche parte —, non poteva, non faceva nulla 1'Austria contro tutto questo? Eh, 1'Austria fece, com' era suo costume, del suo meglio per perseguitare e Pdmiga e pomigadori, pur non giungendo mai, no-nostante il suo famoso fiuto poliziesco, a rendersi esatto conto del novissimo e a lei tutt' altro che vantaggioso fenomeno. Essa menava per lo piu i colpi suoi a casaccio o valendosi, come di filo conduttore, di quel brutale marchio, onde aveva perfidamente distinto, quasiche si trattasse di buoi da macello o di schiavi da galera, tutt'i buoni patriotti italiani, il P. U. (in dialetto Pe U); jniziali delle due voci tedesche « politisch-unverlasslich le quali, voltate in italiano, significano, come si sa, «politicamente infido». Questo ormai celebre marchio suonava, per i disgraziati che n'erano vittime, press'a poco come il dantesco « Lasciate ogni speranza, voi ch' entrate». Non c' era difatti vessazione ne tribolazione austriacamente con-cepibile, a cui essi non fossero sottoposti, fin dal loro primo presentarsi al servizio militare. Non pur ogni favore, ma ogni di-ritto, per quanto minuscolo, per quanto inconcludente, era loro negato; e il P. U. li seguitava implacabile persino negli ospedali, persino in trincea. Uno riusciva, a prezzo d' infiniti stenti o magari di sonante denaro, a crearsi un posticino tranquillo, a ricoverarsi nella piu remota e obbliata cancelleria? Ma non passava un mese e il P. U. gli era addosso di nuovo, a guisa di un insidioso e mortale siluro. Eppure quanti di noi, o antichi compagni miei di Pdmiga e di P. U., quanti di noi si sono lasciati intimidire e tanto meno sopprimere dalFAustria? quanti di noi fallirono nel ritorcerle contro le sue stesse sataniche armi? Taccio di quei pochissimi che, per effetto di speciali e superlativamente ben condotte pomigadure, giunsero a rendere possibile I'impossibile, cioe a strapparsi per sempre di dosso la greve e micidiale camicia di Nesso del P. U. e a rifarsi una... immeritata verginita politica: ma a quanti — dite — a quanti della restante massa vieto con successo 1'Austria di dormire fuori di caserma, di mangiare nelle trattorie, di uscire dopo la ritirata, di occupare posti di fiducia nelle cancellerie, di varcare i confini di quella ermeticissima zona di guerra, dove li richiamava cosi irresistibile 1'amore del proprio nido? V. Ancora due parole e poi ho finito. £ risaputo che il colonnello Hauser, che fu 1'ultimo di questo grado a comandare il battaglione di complemento deli'i. e r. reg-gimento fanti n. 97, meditava di raccogliere in un solenne e ba-diale volume, riccamente adorno di fregi, di ritratti e di scene guerresche, i bellici fasti del reggimento. II progetto era lodevole e degno in tutto e per tutto di quell'egregio signore: soltanto esso stentava a pigliar forma concreta per il fatto che assai poche erano le eroiche imprese da magnificare e meno ancora le ricom-pense al valore da registrare; il che non e a dire quanto spiacesse al degno ufficiale. £ ora evidente che lo storiografo aveva sba-gliato strada: giacche, se si fosse rivolto a noi pomigadori, egli avrebbe potuto avere da noi tale una messe di genuino e atten-dibile materiale storico illustrativo delle gesta compiute dali'i. e r. reggimento n. 97 durante la guerra mondiale, da disgradarne qua-lunque altro piu famoso ed agguerrito corpo di truppa del cessato esercito austro-ungarico e da formare per sempiterna saecula alla Pomiga le granitiche basi di una gloria senza rivali. Dicembre 1918. GIOVANNI QUARANTOTTO ANTONIO GRABAR*' Mi sento onorato oltre ogni dire di commemorare in nome di Parenzo italianissima, di Parenzo democratica la figura lumi-nosa d'uno dei suoi figli piu degni, di Antonio Grabar, anima maschia di popolano, che risalta e s'erge grandiosa dai flutti della storia recentissima, da noi tutti fortemente vissuta. Alla luce della verita, fulgente di pura bellezza ideale, la figura d'eroe e di mar-tire del proletario parentino Antonio Grabar segna un solco degno di rilievo sul faticoso cammino storico della Patria nostra, la Grande Proletaria, che, con la geniale operosita dei suoi figli, sparsi nel mondo ad erigere dovunque segni e monumenti di bellezza, ad edificare opere alte di civilta, s' e affermata grande e possente tanto nelle gare pacifiche delTindustre e paziente lavoro umano che nei cimenti cruenti della guerra terribile teste combat-tuta e vinta. E dalla grande guerra epica, che chiude tutto un ciclo storico, che infrange per sempre 1' idolo germanico della forza bruta del militarismo, della reazione autocratica, dei resti ana-cronistici del feudalismo medioevale e consacra il trionfo del diritto, della giustizia, della liberta, della democrazia, emerge un manipolo glorioso di figure eroiche, espresse dal grembo fecondo deli'Istria nobilissima alla luce immortale dei secoli e fra esse una tra le prime e piu degne e quella di Antonio Grabar. L'Istria, la cui storia s'accompagna a traverso due millenni a quella deli' Italia, dalla fatale giornata di Lissa mordeva insof-ferente il freno, rodeva con l'animo amaro ma sempre forte e fidente, le dure catene del servaggio ed anelava a liberta in nome del diritto nazionale calpestato dall'Austria, nemica d'ogni bene. Scoppiata la guerra europea, la fiera anima italiana e democratica degl'Istriani, se da un lato palpitava piena di fede ed anelava a veder scoccare l'ora — auspicata e sognata da tutti i suoi figli — del riscatto nazionale, dall'altro fremeva e s'agitava, per l'in-coercibile, nativo ed istintivo suo sentimento umano e civile, contro ]a strazianie barbarie teutonica, che s' accaniva sulle misere carni del Belgio martire, si sfogava brutalmente e crudelmente sul *) Commemorazione tenuta a Parenzo il 19 luglio 1919. nobile corpo de!l'eroica Francia sorella. Tutti noi Italiani ci strug-gevamo nell'ansia penosa, nel timore orrendo di veder trionfare la bestia briaca, sitibonda di sangue e di strage, sbucata ed avventatasi dalle selve germaniche e dagli antri austriaci contro 1'Europa civile e liberale, e la Patria nostra generosa surse in piedi a chiedere la guerra ed a prendere le armi per fiaccare e schiacciare 1'Idra teutonica. L'Italia senti che la guerra dichiarata dalla Germania superba e dalTAustria nefanda al!'Europa pacifica e civile era un episodio eterno della lotta tra il bene e il male, tra lo spirito che vuole ascendere verso la liberta e la luce e la cieca volonta di violenza, che vorrebbe trascinare giu e congua-gliare tutti, uomini e popoli, nella opacita dello stesso materialismo servile; che le idee per cui avevano lungamente lottato e sofferto tanti grandi Italiani, erano minacciate di morte; che cento anni di storia, della piu bella storia d'Italia, sarebbero stati cancellati virtualmente nella coscienza della Nazione, se la brutale forza austro-tedesca avesse vinto; e che in un'Europa boccheggiante sotto il tallone tedesco ed austriaco nessun Italiano .avrebbe po-tuto fissare il sole con pupille non velate di lacrime o non offu-scate dali'odio. Cesare Balbo ha detto che il sentimento delTin-dipendenza e ai popoli quello che il pudore e alle donne, e disse bene. Tutti coloro cui riesce piu intollerabile della morte quella specie di servitu che e la peggiore di tutte, la servitii spirituale, tutti coloro, che non hanno tollerato la sinistra oppressione che fruga irridendo ed insozzando nell'anima umana per soffocarvi cio che in essa e piu divino, la sua fede nei valori ideali; tutti coloro che sono disposti, si, a concedere che lo Stato si prenda quanto occorre, il loro denaro, la forza ed il lavoro, ed anche la vita, ma non il loro spirito e la loro coscienza, tutti coloro, insomma, i quali quando sentono minacciato il loro pensiero insorgono pro-nunciando le fiere parole »non serviamo», tutti si trovarono concordi nel combattere colle armi e colle idee 1' atroce ambizione della Germania, assassina filosofante, il sogno spaventoso di oppressione deH'Austria, assassina di uomini e di anime. Era nella linea e nella logica della nostra tradizione nazionale che 1'Italia prendesse risolutamente il partito della guerra, ed essa lo prese virilmente e fu la vera determinante della comune vittoria. In nome del diritto nazionale, in nome dei diritti umani Antonio Grabar — novello Antonio Sciesa — fece olocausto della vita sull' altare della Patria e della Umanita. Fra le nazionalita deH'ibiida, anacronistica compagine statale austro-ungarica, quella che piu di tutte avea sofferto e dolorato nelToltre secolare servaggio era la nostra. Onde a traverso il 48, il 59, il 66 gli uomini nostri migliori avean teso le speranze po-polari e nazionali verso 1'unione alla Madre Patria, ma le fortune della Patria, che era fatale arrivassero a maturazione gradual-mente e per successivi stadi storici, fallirono ed affogarono tem-poraneamente nel doloroso 66 ed un brandello vivo e palpitante della Nazione dovette continuare a gemere sotto il giogo straniero. La vita del nostro popolo — minacciato ed insidiato da ogni parte, avversato con felino accanimento in tutte le manifestazioni della sua vita nazionale, politica, economica, spirituale, dai Governi della duplice Monarchia, ai quali tenevan bordone e Tedeschi e SI avi e Magiari, tutti quanti nemici nostri implacabili ed inesora-bili — segna dal '66 al 1915 un vero martirio, uno strazio diu-turno, perenne, insopportabile, che a quando a quando coinmosse l'anima collettiva d'ltalia e richiamo anche 1'attenzione del mondo civile sulle sofferenze nostre. La guerra mondiale fu Io spiraglio di luce, che apri il varco alle non morte e neanche sopite nostre speranze e noi tutti vedemmo, confortati e pieni di soddisfazione, come il popolo nostro, primo fra tutti, si raccolse intero intorno alla sua sacra bandiera, alle memorie sempre vive del passato, si ricompose tutto nel sogno — vagheggiato da oltre un cinquan-tennio -— e nel proposito — maturatosi a traverso tanto strazio di storia — di contribuire con tutte le sue forze alla disfatta austriaca: nel 1914 la nostra gioventu, che non avea potuto var-care 1' iniquo confine ed era inquadrata nell' esercito austro-ungarico, passava a plotoni, a compagnie, a battaglioni negli ormai storici reggimenti 97 e 5 dalla parte del nemico in Serbia ed in Russia; i rimasti a časa venivano evacuati e trasportati come mandre di pecore nell' esilio doloroso, deprimente estenuante e decimante nelle inospiti regioni nordiche, brumose deli' Impero ; altri a centinaia e migliaia venivano incarcerati ed internati negli orrendi campi di concentramento, e la desolazione ed il terrore rimanevano padroni delle nostre čase, dei nostri lari, dei nostri cari paesi diletti dal sole e dalla morte per farne ed inanizione. Tutti i nostri uomini validi, richiamati sino ed pltre i 50 anni alle armi, erano circondati dal sospetto ben fondato d'infedelta, onde ben pochi arrivavano alla fronte e quelli che vi arrivavano se ne ritornavano con malattie simulate e pretestate, con ogni specie di automutilazioni ed autoinfezioni. Nell'odio contro 1'Austria, che cominciava a far breccia anche fra Czechi, Romeni e Slavi del-1' oriente e del sud, il popolo nostro era tutto un' anima, tutto un pensiero e tra noi, che cospiravamo dovunque ci si trovasse, nell'Esercito, nella Marina, nelle carceri, nei campi d'internamento, di confinamento, di concentramento, nell'esilio, nei nostri paesi ri-dotti spettrali, dovunque due anime italiane s'incontrassero, non vi fu neanche un Efialte, neanche un traditore, segno e prova questa della nobilta della nostra stirpe non degenere, non trali-gnata, ma mantenutasi pura ed incorrotta pur fra le insidie, le tentate corruzioni, gl' imbastardimenti e le artificiali immigrazioni e commistioni di genti straniere. CLuesto 1' ambiente morale, questa 1'atmosfera politica, in cui viveva il popolo nostro sotto il terroristico e militaresco regime austriaco della forca. Ma le anime nobili e forti non si lasciano intimidire ne pro-strare dalla forza bruta, dal terrorismo morale, dali'assolutismo militare, assurti a simbolo e sistema di governo. E pur fra le maglie fitte della disciplina e del terrorismo militare, nella Marina austro-ungarica il tarlo roditore della rivo-luzione s'era insinuato minaccioso e terribile ad opera, dapprima esclusiva, d' Italiani: a Pola ne sottominavano le basi con lenta opera sottile distruttiva e sgretolatrice i Maovaz, Talatin, Mon-tignacco, Faragona, Tarlao, Zanon, Decarli, Veronese, Pesavento ed altri, ai quali poi s'associarono Czechi e Serbo-croati; a Cat-taro invece 1'anima dei ribelli era Antonio Grabar, il promotore e 1'ideatore assieme a Czechi e Serbo-croati della rivolta, che scoppia violenta ed istantanea il primo febbraio 1918 su tutte le navi ancorate nel ben munito porto e, incarcerati tutti gli ufficiali, si mantenne vittoriosa per 3 di. I comitati rivoluzionari, nei quali avean gran parte gl'Italiani, erano divenuti padroni delle navi ribelli ed aveano dato incarico alle stazioni radiotolegrafiche di avvertire la flotta di Pola, coi Comitati rivoluzionari della quale erano intervenuti segreti accordi, e le stazioni radiotelegrafiche d'Italia dello scoppio della rivolta, ma i radiogrammi o vennero intercettati o trasmessi in modo corttrario; fatto sta che il cadetto dalmata Sesar — uno dei capi della rivolta — riparo il terzo giorno a tempo con un velivolo all'altra sponda ed il povero Grabar, che era certo de)l'esito, incorava i compagni italiani assi-curandoli che la flotta italiana era fuori delle Bocche, che quella di Pola sarebbe arrivata per unirsi ai rivoltosi, che i fuochi erano accesi per salpare le ancore e filare con l'intera flotta alla volta della costa italiana per consegnarla ai fratelli. Intanto, mentre i marinai czechi erano tutti d'accordo con gl'Italiani, i Serbo-croati invece tendevano a trattenere la flotta a Cattaro per impadro-nirsene in caso della riuscita della rivolta, gli Ungheresi ed i Tedeschi in fine s'erano associati ai loro compagni con 1'inten-dimento di manifestare e protestare contro il malo trattamento e per una pronta pace, ond'e che fra tanti e cosi profondi dissensi sui mezzi di lotta e sulle finalita, il Forte di scirocco in mano dei fidi Ungheresi comincio a cannoneggiare il terzo giorno le navi ribelli, delle quali colpi l'«Arciduca Rodolfo» ed altre, mentre la flotta di Pola composta delle navi tipo «Arciduchi» comparve la mattina del 3 febbraio nel porto di Cattaro e, appoggiata da 50 sommergibili germanici, intimo sino alle 10 la resa agli equipaggi rivoluzionari, i quali, non sapendo di aver dei compagni d'anima e di fede sulle tre navi accorse da Pola, obbedirono alTordine, ammainarono la bandiera rossa alle 9.45 e si arresero con la pro-messa allettatrice deli'impunita. Gli ufficiali ridiventati padroni di tutte le navi arrestarono i capi piu in vista della rivolta, fra cui primo Antonio Grabar, ed altri 1200 marinai, fra i quali parecchie centinaia d'Italiani, che 1'intervento del Parlamento di Vienna ed il disastro di Vittorio Veneto salvarono da certa morte. Si fece un processo militare sommario, che condanno alla fucilazione il martire nostro, che, a detta di coloro che vi assistettero, ando incontro alla morte fiero e sereno come a splendido convilo, do-vette scavarsi, per il consueto ordine crudele austriaco, la propria fossa e prima di cadere fulminato da 6 palle grido: «Cani di Austriaci, Viva l'ltalia». La fucilazione avvenne 1'11 febbraio nelle prime ore del mattino. La rivolta di Cattaro, che scosse sin dalle fondamenta e scompagino e diede uno scrollo profondo alla potenza marinara della Monarchia degli Absburgo, suscito enorme impressione e sbigottimento nei circoli di Corte e dirigenti deli'alta burocrazia e del militarismo austro-ungaro-croato e nella stragrande maggio-ranza del popolo ancora fedeie, ed ebbe effetti fecondi di bene per noi, perche, pur dopo fatta tabula rasa di ammiragli ed ufficiali superiori ed assunto il comando di essa da parte del picciolo Imperatore, la flotta austro-ungarica fu immobilizzata e tenuta ancor piii salda alla catena nei porti ben tappati e piii sospettosamente ed accuratamente vigilati, ma non preclusi ali'ardimento leggen-dario dei nostri Pellegrini, Rossetti e Paolucci, e, quando nel giugno 1918 allo sferrarsi deli' offensiva austriaca alla Piave tento 1' estrema uscita, in una lotta Davidiana contro 1'enorme Golia, il siculo nostro eroe bello e gagliardo, Luigi Rizzo, ne spezzo 1' ul-timo anelito di forza e la condanno con la constretta inattivita alla morte sicura e fatale. Durante la rivolta Antonio Grabar era diventato comandante deli'incrociatore corazzato «San Giorgio» e come tale al con-trammiraglio Hansa da lui vigilato anche durante la notte, che gli chiese fra altro cio che accadrebbe se il nemico apparisse di-nanzi a Cattaro, egli rispose: « Noi non abbiamo nemici, voi siete i nostri veri nemici». II pensiero dominante ed assillante di Antonio Grabar — allevato ed educato ad alti sensi di patriottismo, d'italianita, di sana democrazia nella benemerita nostra Societa ginnastica « Forza e Valore*, che diede alla Patria ben 28 uffi-ciali volontari nell' esercito nazionale — il pensiero dominante di Antonio Grabar era di vibrare un colpo mortale alla potenza ma-rittima dell'Austria-Ungheria nell'Adriatico, contribuendo cosi alla totale disfatta austriaca, al trionfo della Patria nostra ed alla libe-razione delle Provincie Adriatiche dal servaggio straniero. li suo audace disegno, accarezzato sin dallo scoppio della guerra — che egli tento di tradurre in atto, col gettare in mare tutti gli ufficiali e non gli riusci per la contrarieta degli Ungheresi, gia nel Natale del 1916 nell'occasione del bombardamento d'un ponte ferroviario, effettuato dalla «San Giorgio» dinanzi ad Or-tona a Mare — comincio a concretarsi ed a maturarsi negli ultimi mesi del 1917. Al suo disegno guadagno tosto tutti gli Italiani, anelanti come lui a dare il colpo di grazia ali' odiato oppressore, e con la sua facile loquela venne da tutti riconosciuto ed ascol-tato quale capo. Tutti questi fatti vennero assodati e messi in luce da un Comitato di Cittadini, che, dubbiosi per la laconicita ed il silenzio della sentenza emessa dal Tribunale militare di Cattaro, credet-tero necessario di lumeggiarli con un'indagine ampia, accurata, serena, oggettiva fatta con 1'assunzione di ben 18 testimoni, che in gran parte parteciparono o si trovarono a Cattaro nei giorni della rivolta. L'umile figura del martire ed eroe nostro ne risulto circonfusa di suprema bellezza ideale, di puro e forte spirito ita-lico e 1' odierna esaltazione e celebrazione della gesta eroica e del martirio del fiero popolano era tanto piu doverosa e tanto piu s' imponeva in quanto Egli era di umili origini e di bassa condi-zione sociale. Ma la Nazione nostra appartiene ad una tale stirpe, che e feconda d' eroi umili e grandi, che ne formano ed illustrano la gloriosa sua storia millenaria. 11 De Sanctis scrisse che i sillogismi della storia sono bat-taglie e patiboli, oppressione e resistenze e che non si giunge a tirare nessuna conseguenza senza dolorose e sanguinose premesse: parole queste auree, che sono il piu efficace commento alla Storia della nostra Patria, che assurse al!'attuale sua grandezza e po-tenza a traverso infiniti eroismi, martiri e sacrifici dei suoi piu nobili figli. La fiera anima italica del proletario Antonio Grabar, che oggi noi rievochiamo ed esaltiamo anche colla lapide, che ne tra-manda ai posteri la memoria, esultera plačata nella fossa abban-donata di Cattaro ed a quella fossa oscura noi Istriani andremo un giorno in devoto pellegrinaggio per trarne ammaestramenti ed auspici. Alla fine della nostra commemorazione, fatta dinanzi alla maesta del popolo composto in rito solenne, dinanzi ai rappresen-tanti delle Autorita civili e militari, con la visione orrenda della lontana fossa di Cattaro, ara di martiri, racchiudente le spoglie scarnificate del nostro Martire, ai negatori della Patria io voglio ripetere con animo d'italiano la terribile invettiva carducciana: Oh a chi dltalia nato mai caggia dal core il tuo nome frutti il talamo adultero tal che il ributti a caici da i lari aviti nel fango vecchio querulo ignobile ! e a chi la patria nega, nel cuor, nel cervello, nel sangue, sozza una forma brulichi di suicidio, e da la bocca laida bestemmiatrice un rospo verde palpiti! Gloria, gloria, gloria ad Antonio Grabar! Cav. Dott. ALESSANDRO VOLTOLINA Un quaderno di scuola e un sonetto inedito di Pasquale Besenghi degli Ughi Nel settembre 1920 il Municipio d' Isola si trasferiva dal-1' antico palazzo veneto, che pareva minacciasse rovina, in una časa a pigione, e i documenti deli'archivio, raccolti e ordinati dai buoni vecchi, amorosi cultori delle patrie memorie, erano in questa occasione venduti quale carta straccia a un macellaio del luogo e a un rigattiere di Capodistria. Fu fortuna che potessero salvarsi dalla vendita i pochi atti che si conservavano nell'ufficio della cassa; che tra queste carte, quasi a compensare, almeno in parte, la per-dita di tante memorie locali, il caso doveva riservarci la lieta sorpresa di scoprire durante il trasporto un fascicolo scritto di mano del poeta Pasquale Besenghi degli Ughi. Come poi seppi per caso, ne aveva fatto generpso dono al Municipio il notaio dott. Michele Depangher di Pirano, che 1'aveva trovato tra altre carte vecchie da un salumaio. £ un grosso quaderno di 190 pagine, roso dai tarli e am-muffito dall'umidita che ha cancellato la scrittura della parte superiore di quasi tutti i fogli. II frontespizio porta il nome del possessore, Pasquale de Besenghi, e la data, 1811, giugno; nel-1'ultima pagina, dopo un Finis coronat opus accuratamente scritto e ornato da disegni, si leggono queste parole: Accio non dicano che questa opera sia anonima, i autore son io, Pasquale, con un ghirigoro per significare Besengo, e poi un' altra data, 22 giugno. Veramente, il ragazzo non avrebbe avuto motivo di menarne vanto, che l' opera non e che un trattatello di rettorica, dettato, come appare manifesto da piu passi, dal maestro al giovinetto, che allora nella sua stessa patria frequentava la classe di rettorica della scuola diretta dalTillustre canonico isolano Antonio Pesaro. In una breve prefazione il maestro espone le ragioni che lo in-dussero, essendovi tante Rettoriche alle stampe di retori classici, ad imitar deli' api l' industria,t che non fermansi in assaggiar la dolcezza sempre d.'un fiore, ma raggiransi sopra tutti i fiori del prato, e succhiar il meglio ritrovano, e quindi a comporre un altro abbozzo di nuovo che non pub riescire che disadatto. Finita 1' in-troduzione coll' invocare il Signore Iddio e la Santissima Vergine protettrice degli studi,') spiega in latino i tropi e le figure che illustra con copiosi esempi ricavati dagli scrittori latini e dalle sacre scritture, e poi viene a parlare diffusamente, in volgare, delle varie parti e sottoparti della rettorica. II maestro seguiva un po' liberamente il Piano de' Studi per norma delli tre Maestri delle Pubche Scuole d' /so/a in Istria istituite dali Eccmo Senato co/ D'° 7 Giugno 1794, che prescriveva per la nozione delle figure e dei tropi il compendio ad uso del seminario di Padova e per i precetti di rettorica lasciava facolta al maestro di fare un breve riassunto dei piu essenziali.2) Ma molto piu che per queste lezioni di rettorica, che lo sco-laro diligente deve aver ricopiato con cura a časa, il quaderno besenghiano desta il nostro interesse perche nella sua prima pa-gina contiene, dedicato a/la Serenissima Repubblica di Veneggia, questo Soneito di me Pase/ua/ino Besengo d' anni 15. O dellantico Lazio emula altera, Di semidei, d'eroi madre feconda, Adria regal, la cui felice sponda Ricca e di palme e di virtii guerriera; Almo ricetto della fede vera, Nido di liberta dolce e gioconda, Sicuro asilo ove la gioia abbonda, Reggia d amor che sovra i cori impera; Gloriosa inai sempre in guerra e in pace, Esempio di costanza entro i perigli, D'Italia onor, e gran spavento al Trace. Per virtu, per valor, opre e consigli Sparge per l'orbe il suon farna loquace Che un cielo e 1'Adria e tanti numi'1) i figli. Sarebbe questa la prima prova del futuro poeta ? Non oserei affermarlo. Se anche nelle parole della dediča si dimostra fiero e superbo d'aver scritto il sonetto a quindici anni (nel giugno ') Per il contenuto e la lingua in cui e scritta, la prefazione doveva, čredo, esser premessa alla seconda parte del corso, che tratta della rettorica propria-mente detta, dove anche viene ripetuta. II pošto d onore che usurpa nel quaderno e dovuto probabilmente al giovane Pasqualino. 2) E pubblicato da Luigi Morteani'in /šota ed i suoi statuti, Parenzo, 1888, p. 75 segg. 3) Sopra numi e scritto maestri. 1811 non ne aveva veramente che quattordici e tre mesi, essendo nato il 31 maržo 1797), non occorre pensare per questo che il nostro sonetto segni 1'inizio della sua carriera poetica. Čredo piuttosto che la sua fierezza provenga dalla soddisfazione del-1'opera sua e dalFintimo convincimento che quei versi siano la cosa migliore uscita finora dalla sua mente. Le immagini rettoriche, lo sfoggio d'epiteti, 1'espressione chiara e precisa, la sonorita e scorrevolezza del verso ci attestano che il fanciullo, oltre all'aver ben profittato degli studi di scuola, aveva gia una certa dimesti-chezza colle Muse. Sappiamo del resto da un anonimo, concitta-dino e amico suo, che ne scrisse la biografia subito dopo la morte,1) che gia durante gli studi ad Isola volgeva ogni sua cura alla poesia, ed ha torto il Hassek5) di credere che appena a Capodistria, quand'era študente di quel seminario vescovile, co-minciasse a vestire in versi i suoi sentimenti. 11 nostro sonetto ce ne da la prova piu sicura. Lo studio della poesia non era nuovo nella famiglia Besenghi. L'aveva coltivato il nonno del poeta, Pasquale, vi aveva atteso con gran cura ed amore, se anche con poca fortuna, il padre Giovanni Pietro Antonio, socio di varie accademie, che nel 1784 pubblicava a Venezia una raccolta di poesie sue, del padre, del canonico Pesaro e d'altri Istriani per celebrare il giorno in cui Alvise Giorgio Contarini, cavaliere e conte del Zaffo, riceveva l'ordine ereditario della stola d'oro.6) Era naturale che il figlio giovanetto entrando nell'arringo letterario seguisse gli ammaestra-menti e gli esempi del babbo e del nonno: i fronzoli rettorici che infiorano il sonetto, i luoghi comuni, le iperboli lo dimostrano ad evidenza. Ma ne il babbo ne il nonno, negli anni maturi, dopo lunghi e intensi studi, seppero scrivere versi che potessero avvi-cinarsi a quelli del fanciullo quattordicenne. Basta leggere qual-cuna di quelle loro poesie, vuote di pensiero e di sentimento, dai versi faticosamente elaborati, dalTandatura stentata, dalle inutili 4) Vedila pubblicata da Giovanni Quarantotto nel Pregramma del Gin-nasio reale di Pisino, 1908-1909, pag. 12 segg. 5) Besenghi degli Ughi, Trieste, 1878, pag. 48. 6) Un esemplare si trova nella Biblioteca. civica di Trieste. — Notizie sui babbo del poeta diedero il Morteani (op. cit, p. 65) e Domenico Venturini (Appendice alla Conferenza su Pasquale Besenghi degli Ughi tenuta dal prof. Paolo Tedeschi nella Famiglia triesiina a Milano, Capodistria, 1899, pag. 55 segg.) che pero ignorano la succitata raccolta. e frequenti ripetizioni: ad esempio, il sonetto del padre, dove pure la fortuna di Venezia e confrontata alla potenza e gloria di Roma. Nel sonetto del giovane Pasqualino (allora si diceva lui stesso Pasqualino, ma guai piu tardi a chiamarlo con quel dimi-nutivo!8) piace subito la scelta dell'argomento. Celebrare le glorie dell'Adriatico quattordici anni dopo la caduta della Repubblica veneta potrebbe sembrare soltanto una vana esercitazione acca-demica. Ma si consideri 1'ambiente nel quale allora viveva il giovane poeta E noto che Isola fu fedelissima a S. Marco, tanto che nei 1797, alla notizia della fine della repubblica, pochi giorni prima che vi entrassero le truppe austriache, il popolo insorse e uccise 1'ultimo podesta veneto, Nicold Pizzamano, che sospettava congiurasse per consegnar il paese aIl'Austria. E le memorie della gloriosa repubblica dovevano esser nel 1811 ancor fresche e vive negli animi degli lsolani che, tenaci nei loro sentimenti, malvo-lentieri tolleravano il dominio francese e rimpiangevano amaramente i bei tempi della Serenissima.9) Che meraviglia che il giovinetto, dotato di squisito sentimento, aperto ai piu nobili affetti, s'infiam-masse al ricordo della gloria di Venezia e desse forma poetica a quanto sentiva nell'animo? No, non puo essere un caso che consacrasse questi versi della sua adolescenza, i primi versi che di lui abbiamo, a Venezia: 1'amore e il ricordo deli'antica repubblica gli sgorgavano dali' intimo del cuore. Purtroppo — e non poteva accadere altrimenti — 1'effusione sincera deli'animo suo, il vivo entusiasmo e soffocato da tutto il bagaglio rettorico di cui lo hanno caricato gl* insegnamenti della scuola e i consigli del padre, e il giovane poeta batte inconsciamente una via dalla quale 7) A pag. 21 della Raccolta. 8) Cf. Hassek, op. cit., p. 130. 9) Interessanti n questo proposito sono le parole d'uno scrittore tedesco, J. G. Wiedemann, nel suo libro Streifziige an Istriens Kiisten pubblicato ano-nimo a Vienna nel 1805. Parlando di Capodistria egli dice (ripeto il testo da L'Istria di Carlo de Franceschi, p. 457 seg.): «Ora intero ed ora mezzo si vede il leone alato, inciso sulla pietra, esposto da per tutto con profusione. Lamore per questo palladio dello stato distrutto e smisurato. Vidi dei fanciulli appoggiarsi al suo dorso, accarezzargli la giubba, ed esclamare pieni di com-passione: oh povero S. Marco!....; si risveglia la prisca alterezza veneziana, e si fa palese la viva affezione per Io stato caduto, che la maggior parte de' suoi sudditi si suole ancora rappresentare nella stessa relazione di grandezza e potenza col resto d' Europa, nella quale si trovava nel secolo decimoquarto o de-cimoquinto....». A Isola l amore per Venezia non era certo meno forte, e nel 1811, sotto il dominio francese, i sentimenti non potevano essere mutati. PAGINE ISTRIANE 77 dovra nauseato scostarsi, appena uscito dalla tutela della scuola e della famiglia. Se gia nel fanciullo si palesa il carattere e si rivelano i segni delle passioni dell'uomo adulto, dalla dediča del sonetto, dai versi, dalle parole con cui finisce il quaderno, traspare chiaro 1'entusiasmo del futuro poeta per ogni cosa bella e nobile, il suo orgoglio, il desiderio che il suo nome «di bella itala gloria s'in-futurasse.* Povero Besenghi! II fato gli fu avverso in vita e dopo la morte. I suoi versi sono pressoche ignorati fuori deli' Istria e nella natia Isola stessa, nel palazzo patrizio dei suoi avi, non c'e un segno che ricordi che li nacque il maggior poeta lirico istriano. Trieste, ottobre 1921. ATTILIO DEGRASSI Blasoni popolari triestini e istriani (Continuazione e fine; vedi numero precedente) Gli Isolani del Quarnero son detti bodo/i. E dei Sansegoti si narra, che volendo partire da Sansego, montarono in barca, sciolsero le vele, e per far meglio, vogarono tutta la notte. Al mattino si accorsero d'essere ancora a Sansego, perche s'erano dimenticati di sciogliere la corda che teneva la barca attaccata alla riva. La stessa cosa si narra degli abitanti di Laurana, di Ica, di Icici, di S. Marina sulla costa deliziosa della Liburnia.i3) Per significare poi ad uno ch' e goffo e poco svelto di corpo e di mente, si dice: Cid, Sansegoto! E conchiudiamo questo capitolo con i blasoni fabbricati in Istria a vilipendio dei non tonterranei. I Friulani son tacciati d'a-varizia giusta il motteggio Furlan magna merda e lassa pan, e giusta il dialogo rimato: — Furlan, magnetno el tu pan 9 — — No go fam. — — Magnemo del mio. — — Magnemolo con Dio. — E di Grado si suol dire: Grao, bel de /ora, e de drento smer-dao. E ai Greci il Triestino lancia il saluto: Calimera, calispera — tu ti i Greghi in caponera. IV. Ma non e che soltanto la costa istriana-faccia le spese del-1' ilarita motteggiatrice e delle insolenze satiriche, perche ne sono coinvolte anche le borgate dell'interno. !i) La stessa cosa narrasi di Cuneo, e a Verona di Azzago. I Montonesi son detti magnarane, perche nelle paludi san trovarle belle e grasse, o magnagati-, i Vallesi bifulchi-, i Pin-guentini fraioni-, i Buiesi cazzamussi, perche a Buie di somarelli c'e abbondanza; quei di Tribano scalogneri, mangiatori di scalo-gno; quei di Bibali patateri; quei di Castellier senza fede\ quei di Visinada, perche son mangioni e perche san fare faccia franca, e talora tosta, a cattivo giuoco, stomeghi de Visinada, o anche magnagati come quelli di Montona, o magnamule, cioe mangiatori di sanguinacci; e perche la terra di Visinada politicamente e ri-tenuta irrequieta, fin da quando i Grimani di Venezia la compe-rarono dalla Serenissima, servendosene della popolazione per ven-dette politiche e private, si dice con sprezzo Visinada colonia grimania. Pisino e Pisin pien de vin. E giacche ho nominato Pisino, ricordero che il famigerato barone Federico de Grimschitz, capo del Capitanato Circolare di Pisino, forse per vendicarsi delle frecciate lanciategli dai patriotti pisinesi, soleve ripetere con teutonica burbanza di voce: Pisino-ten-Otentoten. E per lui furono davvero terribili quei cittadini.2") Ci fu poi un certo poeta estemporaneo Bindocci, il quale circa il 1850 non trovo buone accoglienze a Pisino, sicche improvviso su Pisino il detto : Pisin, pissa e passa. Questo fatto mi aiuta a ritenere che la paternita di molti insolenti blasoni popolari an-tichi, noti ab immemorabili, derivino pure dalla maldicenza di menestrelli, di cantastorie e di giullari, che si vendicarono del-l'accoglienza cattiva avuta in certi paesi con detti e con proverbi satirici rimasti eredita del popolo. E le morsicature continuano. Dicono a Pedena: Pedenesi gran signori, Gallignanesi gran dotori, Lindaresi prepotenti, Pisinoti boca e denti. Sottostando il comune di Pedena a quello di Pisino, vogliono i Pedenesi, che tutti i loro tributi comunali sieno mangiati da Pisino. 24) Cfr. Camillo De Franceschi, L'irredentismo di Trieste e dell'Istria agli albori del Quarantotto, in « L'Era Nuova», Trieste, 20 maržo 1921, a. III, n. 605, p. 3. I primi due versi di questa strofetta pedenese possono es-sere stati imitati dai versi somiglianti d'una strofetta veneziana.'') Se cio avvenne, si fu certamente almeno nel secolo XVII, du-rante il quale per quei di Pedena e quei di Gallignana correvano gia i predetti nomignoli. lnfatti il parroco di Pas, scrivendo il 28 dicembre 1712 ad Antonio Braissa, « che la citta di Pedena havra questa prossima quaresima un bravo predicatore cappuccino« no-tava che quei di Gallignana ne avrebbero provato gelosia. E per indicare i Gallignanesi diceva: «i havera pizza i signori Dot-tori».2(i) Del resto c'e il detto zape de Pedena, per significare che a Pedena non si trova altro che zappe, benche i fabbri di la sieno realmente fainosi nel confezionarle. E nelle proposizioni — Va a Pedena a cior zape. — Son anda a Pedena a crom-par zape. — Dove ti vaghi9 A Pedena per zape — c'e sempre il sottinteso satirico. I motteggi della Valle del Quieto si condensano in questa strofe: Montonesi magnagati, Visinadesi magnamule, Grisignanesi quei del do', Castagnesi piu che ciuchi, a Piemonte mati duti, Portole leterati setantadč. Del motteggio contro i Visinadesi vedemmo gia. Ai Montonesi si affibbia quel titolo, perche si pretende, che sieno caccia-tori di gatti e scacciatori di lepri. Di Grisignana si burla il do' usato, come dai Triestini, per dove. Quei di Castagna son detti ciuchi, specialmente da quei di Piemonte, che a la lor volta si piglian su del matto, come i Parenzani. E si punzecchia Portole ricordando a titolo di beffa, che nel 1807 il suo maire, alla cir-colare del prefetto francese di Capodistria se mai nei piccoli co-muni vivessero letterati, prendendo questa parola nel senso di 25) Cfr. Giusti, Raccolta cit., p. 216: Veneziarti, gran signori ; Padovani, gran dottori. 20) In «La Provincia deli'Istria», Capodistria, 16 maggio 1879, a. XIII n 10, p. 78. chi sa leggere e scrivere, rispondeva che a Portole di letterati ce n'erano 72.'") £ storica poi la satira, brutta ma sanguinosa, scritta contro Portole da Alessandro Bon, suo podesta veneto fra il 1786 e il 1789, in 164 strofe 28), una delle quali assomma cosi le qualita dei Portolani, secondo lui: Che i xe tutti i Portolani, vechi, zovini, villani: imbriagoni, discortesi, perniciosi alli paesi. Cosi il Bon aveva fatto per Portole, cio che mezzo secolo dopo doveva fare il Grimschitz per Pisino. I Buiesi infine, benche bravissimi in tutto, son detti maca-chi\ donde il rimprovero scherzoso : Cio, macaco de Buie! Son detti anche magnafighi. Siccome poi i Buiesi son ottimi calzolai per stivali da strapazzo, s'e trovato Toffesa scarpa de Buie. L/origine di tali satire nella Valle del Quieto ha radici molto antiche, e risale alle gravi diuturne liti, che sostennero quei paesi fra loro confinanti per questioni di confini, di particelle pro-miscue e di proprieta comunali e private, sempre contestate e quasi mai risolte, fra il secolo XIV e il secolo XVIII.29) E passiamo nel Montonese. Quei di Visignano son detti Cargnei, perche molte di quelle famiglie sono dalla Cfcrnia; quei di S. Marco presso Visignano ranconeri, perche s'aggirano sempre intorno alle siepi, che raccomodano col «rancon»; quei di S. Domenica (presso Visinada) falzeteri, perche portan sempre seco la falcetta; quei di Villanova son detti alla slava palizzeri, perche andavano alla processione della celebre Madonna dei Campi col bastone (palizza)\ quei di Sovignacco, Zumesco, Caldier, Novacco son datti besiachi, alla friulana; e quelli che stanno al di la di Caroiba sono imperiali, cioe fuori delTantico territorio della Se- !1) Cfr. Vesnaver, Usi ecc., pp. 15-16. 28) S'intitola «Canzone sopra 1'aria della Biondina in gondoleta, Breve descrizione del Castello di Portole e de' suoi abitanti. Di Nason Lebardo N. e V.o»; vedi G. Vesnaver, Una satira del costume al tempo della Serenissima (Pola, tip. Sambo, 1902). 29) Delle controversie fra Grisignana, Piemonte e Buie, vedi G. Vesnaver, Notizie storiche di Grisignana nell'Istria, Capodistria, 1906, pp. 108-114. renissima ed entro il territorio che appartenne agli arciduchi au-striaci. Intorno a Parenzo, da Varvari a Mompaderno, quelli abi-tanti son detti Morlacchi. Della gente di Torre, di Abrega e di Fratta, ch'e laboriosa, ma vuol anche godere la vita, si dice: Toresan, el cul mala e 7 beco san. Oppure: Ti ga el ma/ del Toresan — el dadrio mala e 7 beco san.™) E per il loro sangue caldo che fa spesso nascere, specialmente per le loro sagre del Carmine in Iuglio e per S. Martino in novembre baruffe, e peggio, si aggiunge : Tore, Abrega e Frata, e la busera xe fata. V. Atroci sono le offese, che tra paese e paese son lanciate a vituperio delle donne de' singoli luoghi. Questa maldicenza scortese e da se un capitolo e un epilogo di quella tradizionale giullaresca satira italiana, che dal secolo XIII ando mordendo le donne delle singole citta italiane, e di cui e tipo originalissimo la «Chansone... della condizione delle donne dalchuna cipta» ri-portata nel codice magliabechiano Vil, 10, 1078.31) Anche la pro-vano feroci morsicature le donne fiorentine, senesi, romagnole, bolognesi, ferraresi, padovane, veronesi, e via via fino alle trentine.3') . Son frizzi ingiusti — si sa — che spesso non hanno ra-gione che nella rima tirata per i capelli. P. e. di Castagna e di S. Domenica di Visinada si dice: Le donne de Castagna le xe dute una magagna. Santa Domeniga, belle campane, i omeni bechi, le donne p... 30) Babudri, Ancora rime ecc., «Miscel!anea Hortis», II, 952, n. 485. 31) Vedi Tomaso Casini, Un repertorio giullaresco del secolo XIV, An-cona, Sarzani, 1881; Casini, Rime inedite dei secoli XIII e XIV, in «Propu-gnatore», a. XV, p. II, p. 346; Casini, Le donne trentine in una poesia popo-lare del secolo XIV, in «Archivio storico per Trieste, 1'Istria e il Trentino«, II, 1883, pp. 240-242. 32) Nel codice Laurenziano della SS. Annunziata, n 122, c. 134a, man-cano le strofe delle donne trentine: Cfr. Casini, in «Archivio» cit., p. 241, nota. E per Torre, Castellier e Visignano si son trovate le stro- f ette: — E le mule Toresane le se čredi de esser bele, le se frega le massele co la carta de color. — E le mule Castelierese 'ssai ghe piasi laquavita ogni di le se la slica per tre volte nel cafe. — E le mule Visignanese le se porta el c... in /ora, se ghe pol ziogar la mora, el tresete e 7 trentaun. E contro quelle di Torre, cui piace il vino, si canta anche E le pute Toresane le se čredi de esser bele: le destuda piu candele, che no 7 prete su l' alt ar. Contro le fanciulle di Parenzo, ritenute superbe e aristocra tiche, si cantava circa fra il 1870 e 1880: — Le ragazze parenzane no le vol sposar vilani, an]cora meno i artisani, e in carossa le vol andar. — Le carosse le xe poche, le ragazze le xe trope: xe da vero un bruto a far, tante pute a maridar. — Se /a dote le 'varia, tute se maridaria: ma la dote no le ga, e] tute quante le sta la. VI. Ma ci sono anche i blasoni antoelogistici. I Momianesi si vantano, e a ragione, delle loro pure e ottime sorgenti: L'aqua de Momian la val per un sovran. E questa magniloquente esaltazione e segnata molto bene nella bellissima canzonetta popolare di Giovanni Barsan «Da Pola a Capodistria«, musicata dal maestro Giorgieri. E Dignano in un impeto di soddisfazione esclama : A zi majo Dignan cu 'i so grumassi, che Pola e Galisan cu 'i so palassi. Ma due citta spiccano per il panegirico di se stesse nelle canzoni popolari: Muggia e Rovigno, forse le due piu bersagliate dalla maldicenza. Muggia vanta il suo castello, i quattro angoli delle sue mura, la sua chiesa, il suo leone e l'acqua del Plai sulla co-stiera tra il Castello e Muggia Vecchia. O Muja bela, Muja reale, de nove robe la se pol lodare: el bel castel che fa la guardia al mare, e le saline che faQeva sale; al porto bel ghe xe un bel spedale, che in tuta Muja no ghe xe iuguale; e po vifin ghe xe la portissa che se potria ciamar Muja novissa. A la porta granda xe una bela insegna, che xe san Marco e D'o ne lo mantegna; a san FranQesco ghe xe una fontana, che se potria ciamar Muja sovrana; in piassa granda ghe xe un bel stendardo, che de bellessa el porta el pomo d oro; e po la ciesa de san Zuane e Polo, che de bellessa la val un tesoro. "') 33) Vedine il testo muglisano in Cavalli, op. cit., p. 164, nota. Alle quali lodi si aggiungano queste in vecchio muglisano: O Mugla biela di cuairo ciantons, quatro bighi di pan no mancia mai; e l'aga del P/aj con quela del Risan la se confai. L'aga del Plaj cun quela del Risan non se confai; e quela de la Puorta Granda la ga onour assai.:tl) O Mugla biela di quattro ciantons una biga di pan no mancia mai: e l'aqua del Plaj nu la bevons, o Mugla biela dei quatro ciantons. Da cui fu tratta la quartina giuliana: O Muja bela dei quatro cantoni, una biga de pan no manca mai: in piassa granda xe una bela insegna, ghe xe San Marco, e Dio ne lo mantegna. Rovigno poi vanta il suo campanile, il suo cielo, le sue chiese e le sue contrade: Andare i me ne vuoi — chi vol vineire ? — andare i me ne vuoi, Ruveigno bielo. Staro tri, quatro misi, al meio piagire, e se me piaseruo, staro in etierno. Ruveigno bielo, ti te puoi guantare, ti ga oun biel campaneil in jetrna al Monto; ti ga ouna biela reiva da lustrare, ti ga oun biel Sant'Antuonio fora el Ponto. Ti ga San Ninculub, che guarda el mare, l'apuostolo San Pijro in Ceima oun monto; in miezo reiva dui culuone in alto e al nostro prutetuor, veiva San Marco. M) Cavalli, ivi. Veiva San Marco e veiva i Viniziani, veiva Santa'Maria de la Saloute; e San Frangisco in reima otin muntisielo e la Saloute zi Dreio Castielo.") Interessante si e, che queste quartine laudatorie rovignesi con la fine acclamatoria sono ripetute anche fuori di Rovigno in traduzione esatta veneto-giuliana 36), sicche si vede, che benche Rovigno fosse saettata dalla maldicenza paesana, finiva per es-sere anche lodata a bocca piena. VII. Paolo Tedeschi nel suo articolo Citta e regioni che fanno le spese dellilarita scrive : «E in Istria ? L'abbondanza dei motti e dei nomi di scherno e tale e tanta, da non far dubitare nep-pure per un momento che la nostra e terra italiana, e che coi fratelli abbiamo comuni le virtu ed i difetti pur troppo. Tra Capodistria Trieste Pirano ed Isola c'era a' passati tempi uno scam-bio di complimenti, conseguenza delle antiche discordie e divi-sioni politiche. Pare che tolte le cause dovessero cessare anche gli effetti; ma signori no, c'e quel benedetto uso, tiranno della lingua, che fa perpetuare i motti senza malizia spesso, e tanto per eccitare T ilarita. E non si avra mai a finirla? — Col tempo puo essere, risponde il Bortolo dei Promessi Sposi; i ragazzi che vengono su; ma gli uomini fatti, non c' e rimedio: hanno preso quel vizio; non lo smettono piu. — Chi avesse la pazienza di raccogliere tutti questi motti di scherno, condannandoli, s' in-tende, farebbe opera utilissima».a7) Ed io con questo saggio, sia pure con ritardo di mezzo se-colo, čredo d'aver seguito il nobile incitamento del compianto Tedeschi. Ma ho composto siffatto saggio folkloristica non solo dopo di aver condannato a priori il malvezzo di tale maldicenza paesana, ma dopo di aver stabilito d'aggiungere a questa dove-rosa condanna quanto scrivo adesso, basandomi anche sul fatto 35) Ive, Saggio di dialetto Rovignese, pp. 17-18, n. 18. 36) Babudri, Terza serie di rime e ritmi del popolo istriarto, n. 636 e 637; il Timeus, op. cit., p. 18, lo pone anzi fra i canti istriani in genere. 37) Paolo Tedeschi, in «La Provincia dell'Istria», a. XXVII, cit., p. 72> col. 2\ che 1' Istriano stesso in pratica rinnega e scansa ogni conseguenza di queste satire. Se infatti i diversi luoghi son legati tra loro da anelli di ferro, che odio e maldicenza irrugginiscono, son pure legati da anelli d'oro, che 1'affetto vicendevole rende ognor piu brillanti. Triestini e Istriani in realta fra loro si amano, in onta ai satirici blasoni popolari, ove le spine pungono acute. Ne e prova la bellissima tradizione delle famose gite che fra il 1870 3S) e il 1913, riprese un po' per volta dopo il novembre del 1918, usarono scambiarsi in segno d'affetto e di stima Trieste e le citta istriane nelle domeniche estive, su piroscafi a bella posta noleggiati, con sventolio di bandiere, sonar di bande musicali, e cortesie ufficiose di comuni, di societa operaie, spor-tive e di cultura. Al commiato, a sera inoltrata, tra il fiammeg-giar del bengala, lo scintillio delle fiaccole e 1'avvicendar degli inni di S. Giusto e deli' Istria, in una fantasmagoria di luci, di forme e di colori, in terra e sul mare, si inneggiava alla patria, e non potendo gridare «Viva l'Italia!», si gridava «Viva 1'angu-ria!», perche /'anguria e tricolore: bianca nella buccia interiore, rossa nella polpa, verde alTesterno. E in queste che furono tra le piu belle feste popolari de!l'Adriatico irredento, non c'eran piu frizzi, non c'eran piu maldicenze, non c'eran piu rime a saetta, ma solo allegro sentimento di civica coscienza. Nelle guerre delTindipendenza italiana fra il 1848 e il 1870, nei campi dolorosi di deportazione e d'internamento fra i! 1915 e il 1918, nelle pianure galiziane e sui Carpazi, ove gli Adriatici irredenti si trovarono sbalestrati, si sentirono orribilmente soli: ma ben presto, ancorche prima non si fossero mai conosciuti, si palesarono alla parlata. E allora a gran voce uscirono dalle loro bocche queste grida: — Ma no ti son Istrian ti? — Mi si: son de 1'Istria! — Ma anca mi! — E mi son Triestin! — E mi anca! — conchiuse da un trionfale : — Patria, basemose! — E si abbracciavano, e si baciavano, rinnovando la scena commo-vente (Purg. VI, 70-75), dalla quale Dante fa precedere 1'epifo-nema contro le discordie d'Italia. 38) Vedansi le relazioni di molte di siffatte commoventissime feste popolari fra il 1873 e il 1894, disseminate nelle annate della Provincia dell'Istria di Capodistria, e si legga in proposito L'Isiria di Marco Tamaro. 88 PAGINE ISTRIANE L'anima lombarda soletta, altera e disdegnosa di Sordello — narra il Divin Poeta —: ... di nostro paese e della vita Cinchiese. E il dolce duca incominciava «Mantova...*. E 1'ombra, tutta in se romita, Surse ver lui del loco, ove pria stava, Dicendo: «0 Mantovano, io son Sordello Della tua terra». E lun l'altro abbracciava. Cosi, proprio cosi, i nostri si palesavano, e rinnovando ap-punto la commozione di questo divino episodio conchiudevano il concitato dialogo del loro riconoscimento con un trionfale «Patria, basemose/», tutto effusione di nostalgica tenerezza. «E lun l'al-tro abbracciava...*. FRANCESCO BABUDRI BIBLIOGRAFIA ISTRIANA A. Libri ed opuscoli 44. Baccio Ziliotto: Peironio Petronio Caldana rimaiore piranese del secolo XVIII; estr. dall'«Archeografo Triestino»; vol. IX della III Serie, XXXVII della Raccolta; Trieste, Caprin, 1921. Infaticabile rovistatore d'archivi e di vecchi manoscritti, lo Ziliotto ha scoperto un nuovo rimatore istriano, ignoto finora a quanti si sono occupati delle vicende delle lettere nazionali in Istria: Petronio Petronio Caldana, figlio di quel Marco Petronio Caldana, che deve allo stesso Z. la monografia che con piu amore ed esattezza lo illustra. Poeta il padre, poeta il figlio. Ma piu poeta, se mai, il padre. II figlio non si elevo gran che sopra la comune turba dei verseg-giatori di maniera, nel secolo XVIII pullulanti come i funghi nei boschi. Giusta-mente osserva lo Z. ch'eg'.i ha bensi « orecchio musicale ed e felice nell azzeccare rime sonanti, ma scrive quasi sempre a freddo». La poesia, insomma, 'non e per lui che un passatempo di nobile sfaccendato, sia che, schiavo della moda, compensi con un sonetto una gentildonna che si rinchiude nel chiostro, conforti un vedovo, si congratuli con un laureato, esalti una cantante o un predicatore, s'inchini a un potente, mendichi un favore». Piu interessante e importante ci sembra il Caldana figlio come poeta vernacolo. Nel ponderoso volume mano-scritto che contiene i suoi versi inediti, lo Z. difatti s'imbatte anche in una sua Canzonetta dialettale, ch'egli pubblica per intero e tanto piu volentieri in quanto, com'egli giustamente osserva, «1' Istria, pur cosi ricca di rime di popolo, offre ben pochi esempi di poeti dialettali avanti il secolo XIX» Nella sua parlata natia il poeta e piu franco, piu spontaneo, piu saporoso, anche perche piu libero. «M o che gusto, che contento Che el parlar con vit me da; Vii se 1'unico istrumento De la mia /elicita». E cosi avanti, per un bel po' senza urtare e senza stancare, anzi divertendo il lettore, per quanto schifiltoso e per quanto ormai abituato, in poesia, a ben altre andature. Con questo eccellente saggio di storia letteraria paesana lo Z. sembra voler ritornare a' suoi studi prediletti. Non ci resta a desiderare se non una cosa: ch'egli seguiti. G Q. £X ^' 45. Rodolfo Pucelli: Canti ali'aria aperla; Trieste, Tip. moderna Su- smel & C, 1921. Chi sia il Pucelli, si sa: si sa del suo sforzo costante, della sua ferrea ..'( ;tf ^ i 'i vo'on':®' su0' s'"di contrastati e de' suoi primi passi nell'arringo letterario-Saggi del suo modo di concepire la poesia e di verseggiare, apparvero, prima della guerra, anche in questa rivista: umili e tenui saggi, di voce quasi direi esitante e sommessa, ma pur impregnati di un vivo desiderio di giungere al-1'espressione perfetta, di oggettivare con una certa indipendenza alati fantasmi e sogni soavi. In questo volumetto che abbiamo sott'occhio 1'arte del P. fa indub-biamente dei passi innanzi: la modellatura del verso e piu disinvolta, la costruzione della strofe piu ferma; e anche il linguaggio poetico, pur cadendo talvolta in frasi pedestri e trite, tende ad elevarsi e ad affinarsi. Di qualche componimento si puo anche dire che e cosa quasi del tutto riuscita: il sonetto Idalia, p. e., nonostante le rime un po' troppo comuni. In complesso, c'e da sperar bene di quest'uomo che deve tutto a se stesso e che serba, fronteggiando animoso tutte le contrarieta di cui non gli e avara la vita, un cosi tenace e disinteressato culto per le cose deli'arte. Com egli si sia liberato dalle scorie che tuttavia gli ap-pesantiscono il pensiero e la mano, non e il caso di dubitare ch'egli possa rag-giungere qualcuna delle vette da lui agognate. II nostro augurio lo accompagna fervido e sincero. G. Q. 46. G. E. Pons: Pola antichissima; Pola, ed. lo Stabil. tipogr. Francesco Rocco, 1922. In questo opuscoletto, il solerte bibliotecario civico della citta di Pola, gia noto per altre pubblicazioni storico-archeologiche (Z/arco dei Sergi, p. es.,), si fa a studiare le origini e i primordi di Pola. Esamina le varie ipotesi e con-chiusioni degli storici, le discute, affaccia anche opinioni proprie. Črede, non senza buoni motivi, che si possa identificare 1' antichissima Astor con Pola ; non ara-mette che il nome Pola sia derivato del greco e significhi semplicemente citta (itoXtc); ravvisa nei mediterranei o eurafricani del ramo pelasgico i protoabitatori deli' agro polese. Tutte questioni, intorno alle quali, mancando dati veramente irrefutabili e contraddicendosi gli storici, si potra discorrere e congetturare ancora per un bel pezzo. G. Q. 47. L' Adriatico ; studio geografico, storico e politico di XXX; Milano, Treves, 1915. [Non in tutto esatto. Lavoro, piu che altro, di propaganda nazio-nalista. Contiene gravi errori storici specialmente sull' Istria.] 48. Haydee [Ida Finzi]: Vita triestina avanti e durante la guerra: Milano, Treves, 1916 («Quaderni della guerra«). 49. Gino Scarpa: Trieste, l'Italia e la Mediaeuropa; Roma, Unione economica nazionale per le nuove provincie d'Italia, 1907. 50. Gi.seppe Inverardi: Per l'italianita geografica del Ouarncro; Roma, tip. naz. Bertero, 1917. 51. Roberto Mirabelli: Oberdan nella olimpiade storica deli'irreden-iismo italiano; Milana, Treves, 1918 («Le pagine deli'ora»). 52. Antonio Fradeletlo: I martiri nostri; Milano, Treves, 1918 («Le pagine deli'ora»). [Vi si parla anche di Oberdan e di Sauro.] 53. Tancredi Galimberti: I martiri irredenti della nostra guerra; Milano, Treves, 1917 (« Le pagine dell'ora»). [Vi e discorso di Giacomo Venezian, di Damiano Chiesa, di Scipio Slataper, di Ruggero Timeus, di Spiro Xydias, di Guido Brunner, di Francesco Rismondo, di Filzi. Battisti e Sauro]. 54. Giannetta N. Roi: Anime irredente; Milano, Treves, 1918 («Le pagine deli'ora»). [La R. narra fatti di cui fu spettatrice, prima della nostra guerra, negli ospedali viennesi, presso i feriti irredenti]. 55. Spartaco Muratti: Per Riccardo Pitteri; Per la mia časa; Per Nazario Sauro; Roma, Officina poligrafica italiana, 1917. [Versi]. 56. Ministero della Pubblica Istruzione: Elenco degli edifici monu-mentali e degli oggetti d'arte di Trieste, Istria e Fiume; Roma, Calzone, 1918. 57. Un volontario trentino : / martiri deli'Italia redenta; Milano, Unione gen. insegn. ital., Comitato Lombardo, 1918 [Brevi cenni su Oberdan, Chiesa, Battisti, Filzi, Rismondo e Sauro.] 58. Democrazia Sociale irredenta. Primo congresso generale; Milano 6-7 aprile 1918; Milano, Stab. Codara, 1918. [Contiene gli atti, le relazioni, gli ordini del giorno e i verbali del Congresso.] 59. Andrea Galante: Le basi giuridiche della lotta per /' italianita di Trento e Trieste; Bologna, Zanichelli, 1918. 60. Giulio Italico [Giuseppe Cobol]: Trieste, la fedele di Roma; Torino, Lattes, 1919. [Tratta anche deli'Istria. Lavoro non scevro di lacune e d'ine-sattezze, ma ispirato da un grande entusiasmo patriottico.] 61. Umberto Silvagni; Les revendications nationales italiennes au Con-gres de la Paix; Roma, Tip. Unione Editrice, 1919. 62. Silvio Benco: Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste; Roma-Vlilano-Trieste. Časa editrice Risorgimento, 1919; voli. 3. [Opera che contiene delle pagine meravigliose e che, dopo la nota monografia su Trieste, e certo la miglior cosa uscita dalla penna dello scrittore triestino.] 63. Giovanni Quarantotto: Per un monumento a Nazario Sauro nella sua natale Capodistria, Capodistria, Stab. tip. naz. Priora, 19192. [Relazione tenuta, a nome e per incarico del « Comitato promotore di un monumento a Nazario Sauro in Capodistria sua citta natale», nell' adunanza plenaria di quei cittadini, il giorno 26 dicembre 1918.] 64. Giovanni Quarantotto: Rime deli'attesa e della passione istriana ; Capodistria, Stab. tip. naz. Priora, s. d. [ma 1919] 65. A ricordo del terzo anniversario dal supplizio di Nazario Sauro; Capodistria, Stab. tip. naz. Priora, 1919. [Duerno; contiene 1'epigrafe apposta alla časa ove nacque Sauro e la «Canzone di Nazario Sauro», ambedue com-poste da Giovanni Ouarantotto ] 66. Emilio Piazza: Trieste vernacola, antologia della poesia dialettale triestina; Milano, Caddeo, 1920. 67. Giovanni Cumin: La nostra passione (durante 1'epoca Stiirgk -1916); Venezia, Scarabellin, 1919. [Versi ispirati dalle infamie commesse dal- 1'Austria ai nostri danni durante la guerra, mentre il Parlamento viennese rima-neva chiuso.] 68. Mario Picotti: II confine orientale d' Halia dalle alpi carniche al mare; Trieste, 24 maggio 1920; Stab. art. tip. G. Caprin, 1920. [Ottimo studio geografico, riccamente illustrato, sui nuovi confini dltalia.] 69. Raffaello Battaglia: II caso Sarini; Parenzo, Coana, 1920. [Co-raggiosa denuncia documentata dei volgari plagi che infarciscono il libro di Pietro Savini su "Le origini e le evoluzioni storiche della civilta latina e della nomenclatura locale della Venezia Giulia»; Venezia, 1918, a cura della Regia Deputazione di storia patria.] 70. Carlo Baxa: Invito a visiiare l' esposizione araldica istriana che si terra da Pasqua a Pentecoste MCMXX nella Sala Rosa del Palače Hotel di Portorose; Capodistria, Priora, MCMXX. [Contiene il « Libro d'oro del-1'Istria«, cioe un compiuto ed opportuno elenco delle famiglie nobili istriane.] 71. Carlo Baxa: Guida di Portorose presso Trieste; Capodistria, Priora, 1920; ill. 72. Nel 1° centenario della nascita del grammatico Giovanni Moise; a cura del Municipio di Cherso; Pola, Fratelli Niccolir.i, 1921. [Numero unico. Vi collaborarono Attilio Hortis, Baccio Ziliotto, Cesare Rossi, Pier Gabriele Goi-danich, Giovanni Quarantotto e, piu a lungo di tutti, con un bellissimo discorso in memoria del Moise e di Marco Carvin, Jacopo Cella.] 73. Mario Oliveri: Martiri e glorie; Pola, Fratelli Niccolini ; 1921 [Versi riboccanti di entusiasmo patriottico. Vi sono cantati anche Nazario Sauro e sua madre.] 74. L'I t ali a nella Venezia Giulia nel primo biennio della liberazione ; Trieste, tipografia della «Nazione», gennaio 1921. [Opportuni dati statistici su lo sforzo compiuto dali' ltalia per risollevare le nostre terre dalle tristi condi-zioni economiche e morali, in cui le aveva trovate alla fine del 1918.] 75. Giuseppe Fusinato: Trieste nel primo triennio della sua nuova economia; Roma, Cooperativa tipogr. «Egeria», 1921. 76. Guido Calza : Pola, con lettera di Corrado Ricci; Roma-Milano, Al-fieri & Lacroix, s. d. [ma 1921]. [Guida di carattere storico e archeologico, pen-sata con profondo amore, scritta con grande competervza e corredata di molte e belle (iproduzioni fotografiche.] 77. Carlo Cattaneo: Terre italiane: Trentino, Istria, Savoia e Nizza, Canton Ticino; Citta di Castello, «11 Solco», 1920. 78. Dott. Elena Gentilli Bacciga: Un patriota triestino, Domenico Rossetti (biogratia); Mantova, s. d. [ma 1921]. [A detta della autrice stessa, il libretto, composto nell anno che precedette lo scoppio della guerra mondiale, ha «lo scopo di far conoscere come Domenico Rossetti fosse animato da un profondo spirito d italianita e come egli sia stato il pioniere di quel movimento irredentista che doveva portare, con gli anni, alla liberazione di Trieste«.] B. Riviste e giornali 79. Francesco Salata: 11 confine orientale in un concorso napoleonico; n «Rassegna Ita1iana», fasc. XV, 1919; Roma, Armani, 19 9. 80. Nicolo Cobol: Toponomastica della Venezia Giulia. Vicende sto-riche, criteri di massima per il suo riordinamento. Nelle «Alpi Giulie», n. 1-2 genn.-apr. 1921; Trieste, Lloyd, 1921. 81. Francesco Babudri: Aggiante al Calendario istriano: nella »Rivista politico-letteraria Dalmazia»/ Zara-Trieste, a. II, 1920, Trieste, Spazzal, 1920. [Compimento di un studio pubblicato in Pagine Istriane, a. XI e XII.] 82. Ferdinando Pasini: Gian Rinaldo Car/i nel secondo centenario della sua nascita (1720-1795); in «Rivista d'Italia» (Milano), vol. III, fasc. III (1920). [Breve ma felice esame valutativo della produzione letteraria del grande capodistriano.] 83. Carlo Curto: Ricordi Mazziniani nella Venezia Giulia (1831-1915) ; con una lettera inedita di Giuseppe Mazzini; in « Rassegna Nazionale» (Roma)( fasc. 16 settembre 19 1. [lnteressantissimo scritto, ove son passati in diligente e amorosa rassegna tutti gli affigliati che la «Giovane Italia» conto nella Venezia Giulia ed e illustrata la lettera di Mazzini al patriotta goriziano Francesco Verzegnassi, oggi posseduta dalla Biblioteca Civica di Trieste. Di Giovanni Orlandini vi si dice — pag. 7 — che fu il fondatore della Favilla. Non e esatto: I' ideatore e fondatore della Favilla fu il capodistriano Antonio Madonizza.] 84. Dott. Giannandrea Gravisi: II Monte Maggiore d'Istria; in « Bol-lettino della Reale Societa Geografica Italiana» (Roma), fasc. II (1921) pp. 55-63; 511. 85. Dott. Ing. Emilio Gerosa: Progetto di bonificazione delle ex-Saline di Capodistria, delle Valli di Stagnone e di Campi e delle ex-Saline di Muggia e di Zaule: illustrato con una tavola\ ne «11 Monitore Tecnico» (Milano), a. XXVII, n 11 e 12 (1921). 86. Salomone Morpurgo: Dante e la Venezia Giulia, in «La Lettura» (Milano), a. XXI, n. 9 (settembre 1921); pp. 646-652; ill. [Fugaci ma esatti ap-punti su la fortuna e sul culto di Dante nella Venezia Giulia.] 87. Attilio Tamaro: II Burgenland\ ne «L'Europa Orientale» (Roma), I, 6 (1921). 88. Gian Francesco Guerrazzi: Ricordi di Giuseppe Revere\ nel-1'« Era Nuova» (Trieste), 5 maržo 1920. 89. Vincenzo Marussi: Tomaso Luciani; nella «Nazione della dome- nica» (Trieste), 9 maggio 1920. 60. LuscHin v. Ebengreuth: Venetianische Anschlage auf Trie s t; in «Oesterreich, Zeitschrift fur Geschichte»; I Jahrg., Helft 4; Seidel & Sohn, Wien, 1917. Cronaca e notizie varie ^ Alla Societa di Minerva di Trieste 1'esimio scrittore veneziano Cesco Tomaselli addi 3 maggio lesse una sua bella conferenza «La montagna ed i suoi poeti ». * 11 giorno 5 maggio il prof. Bruno Coceancig tenne al Circolo giova-nile nazionalista una prolusione ad un ciclo di conferenze sui poeti di guerra. & La Societa di Minerva fece il giorno 10 maggio la commemorazione del poeta triestino Giuseppe Revere, che fu suo socio onorario. Vi parlo 1'illustre poeta toscano Angelo Orvieto, il qua!e per malattia non aveva potuto interve-nire alla solennita della traslazione delle ceneri del poeta nella sua terra natia. Assistettero alla cerimonia le autorita, i rappresentanti degli istituti di cultura e di varie associazioni cittadine, e gran numero di personalita intellettuali. * Nella celebrazione del sessantesimo anniversario della fondazione del-1'Istituto tecnico comunale di Trieste «G. Galilei» il discorso commemorativo fu tenuto dal prof. Enrico Rosman. * La Societa Adriatica di scienze naturali, diretta dal cav. prof. Mario Stenta, ricostitui la «Sezione di scienze fisiche e chimiche« gia fondata nel 1913. Furono chiamati a dirigerla i professori: Filippo Brunner, Mario Pi-cotti e Carlo Fabbri. * II giorno 15 maggio si tenne nella sala minore della Borsa il 59° Con-gresso generale della Societi Agraria di Trieste. * Nel fascicolo di maggio dellTllustrazIone delle tre Venezie, dedi-cato alle Feste di Padova per il VII Centenario deli'Universita, sono da notarsi fra 1'altro gli articoli di Emilio Bodrero, B. Morpurgo, Gilberto Voghera, Giovanni Ouarantotto e Ferdinando Pasini. * Memorabili furono le giornate 21, 22, 23 e 24 maggio, nelle quali i Reali visitarono Trieste e 1'Istria, ove 1'intiero popolo, senza distinzione di classi, spontaneamente con entusiasmo senza pari volle addimostrare ai suoi So-vrani, quanto esso li ami, quale affetto esso porti alla Madre patria. A Parenzo il giorno 24 i Reali ricevettero gli omaggi delle Autorita e delle Rappresentanze deli'Istria nella storica sala, dove la prima Dieta deli'Istria prodamo la sua italianita e la sua fede rispondendo con la parola «Nessuno» alTordine del Go-verno di Vienna d' inviare deputati al Parlamento austriaco. * Silvio Benco fu nominato da S. M. il Re Commendatore della Co-rona d'Italia per i suoi meriti quale scrittore e letterato. & Pier Gabriele Goidanich, da Lussinpiccolo, gia allievo del nostro Ginnasio-Liceo, professore aH'Universita di Bologna, fu eletto Accademico della Crusca, in riconoscimento dei suoi meriti e del valore della sua grammatica ita-liana, che 1'Accademia dichiaro «unico» testo autentico della grammatica della lingua italiana. 96 Addi 4 giugno il R. Ginnasio-Liceo « Carlo Combi» di Capodistria celebro la festa inaugurativa delle tre lapidi, murate nell'atrio deli'edificio, in memoria degli antichi alunni caduti nelle guerre del Risorgimento. Una lapide ricorda Leonardo D'Andri, morto a Custoza il 24 giugno 1866, una gli allievi che caddero nell' ultima guerra coinbattendo per la nostra liberazione, Mario Andrea Bratti, Carlo Cristofoletti, Angelo Della Santa, Fausto Filzi, Pio Riego Gambini, Antonio ed Egidio Grego, Umberto Lana, Antonio Parovel, Eugenio Rota, Nazario Sauro, Giuseppe Vidali ed Onorato Zustovich. La terza lapide contiene il proclama ai giovani Istriani, dettato da Pio Riego Gambini in Udine nel giugno 1915, e fu offerta al R. Ginnasio-Liceo da študenti e cittadini della Venezia Giulia. 96 In una sala del Senato a Roma il giorno 5 giugno fu stabilito di isti-tuire una Fondazione Graziadio Ascoli per onorare la memoria dell'insigne maestro. «Presso la Societa Filologica Romana viene istituito un premio Ascoli per lavori intorno alla lingua e ai dialetti italiani da assegnarsi a studiosi di qualsiasi nazionalita. Viene conferito ogni 5 anni». II giorno 19 giugno nel Ginnasio-Istituto Tecnico prov. «Gian Ri-italdo Carli» di Pisino furono scoperte due lapidi, che ricordano gli alunni caduti nella guerra di redenzione, e la fondazione deli' Istituto, soppresso du-rante la guerra e felicemente risorto dopo 1'avvenuta liberazione. 96 Addi 25 giugno 1'Istituto magistrale di Capodistria festeggio 1'inti-tolazione di esso al nome glorioso dell'eroe del mare, il capodistriano Nazario Sauro. Athenaeum, Studii Periodici di Lettcratura e Storia diretto dal Prof. Carlo Pascal. A. X. Fasc. II, aprile 1922: Ireneo Sanesi, Una lettera e un so-netto di Giuseppe Parini. -— Attilio Barbiera, II «De Oratore» nel codice Todino n.- 21 e nei Vaticani 1720, 3238. — Ezio Bolaffi, Uso, elemento logico e psicologico nella sintassi latina. — Comunicazioni e note: Giovanni Pesenti, L autore e la data del poema «Crisias». — Agostino Capelli, II cursus nelle prefazioni della Messa ambrosiana. — Notizie di Pubblicazioni. 96 Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di studii e documenti. A. XIII. Fasc. 1 e 2, gennaio-aprile 1922. — Paolo Guerrini, Per la storia deli'organiz-zazione ecclesiastica della diocesi di Brescia nel Medio Evo. Appunti e documenti inediti. — Giuseppe Bonelli, I documenti della cattura di G. Rosa. — Le cro-nache bresciane inedite dei sec. XV-XIX. Li 19 maggio cessava di vivere a Trieste Caterina Croatto Caprin, scrittrice e giornalista, vedova di Giuseppe Caprin, la quale dopo la morte del marito curo essa stessa 1'edizione dellultimo lavoro di lui "L Istria nobilissima" II giorno prima moriva a Venezia l illustre pittore istriano Pietro Fra-giacomo, nato a Pirano, allevato a Trieste, divenuto celebre a Venezia. Fu considerato in Italia ed all'estero uno dei piu grandi paesisti italiani moderni. Un pregevole dipinto suo, raffigurante il bacino di San Marco, si conserva qui a Capodistria nel gabinetto del Sindaco. Zara piange la perdita di uno dei suoi migliori figli, il Prof. Vitaliano Brunelli, che scrisse la storia della sua citta natale. Fervido patriotta e percio perseguitato dal governo austriaco, fu traslocato nel 1895 da Zara a Capodistria per castigo, trovo pero nel nostro Liceo quella simpatia e quella stima, ch' egli si meritava, in modo ch'egli sarebbe stato contento di rimanere nella nostra citta, se imperiosi interessi famigliari non lavessero costi etto ad adoperarsi per ottenere il ritorno in patria. Insegno a Capodistria un anno cattivandosi in si breve spazio di tempo tutto J'affetto dei colleghi e degli allievi, che ebbero campo di apprezzare in lui il vivo sentimento patriottico, le sue belle doti d' in-gegno, la sua bonta e la squisita gentilezza delFanimo suo. Con sincero e profondo dolore piangiamo la morte quasi repentina del cav. dott. Vittorio Scampicchio, avvenuta in Capodistria 18 del corr. luglio. Lo Scampicchio era stato per parecchi anni podesta di Albona, sua citta natale, e poi, trasferitosi a Trieste, aveva appartenuto a quel Consiglio municipale, mi-litando nelle file liberali. Figlio del patriotta Antonio, patriotta purissimo egli pure, fu perseguitato dall'Austria e, durante la guerra, internato. Avvenuta la redenzione, funse da vice Commissario distrettuale e da Commissario al Co-mune di Capodistria. Fu anche membro del Comitato promotore della rinascita di questa rivista. Con lui sparisce un istriano dell antico stampo, un italiano vero e provato, un cittadino e padre di famiglia esemplare. II nostro primo fascicolo (ci permettiamo di rilevarlo anche in pubblico) ha avuto un successo che ci ha lietamente sorpresi. A parte i rallegramenti dei singoli e i benevoli cenni di saluto rivoltici da tutta la stampa regionale, con piacere constatiamo che 1'articolo del dottor Antonio Suttora sulla Rivolta delti. r. reggimento n. 97 fu integralmente riprodotto dal «Piccolo della Sera«; che gli Echi leopardiani in una "barbara . del Carducci del nostro direttore Giovanni Quarantotto ricomparvero nella Minerva (rivista delle riviste) di Roma, n. 16 giugno 1922; che lo scritto deli'ing. Ernesto Dejak sull'^4re/?a di Pola fu riassunto dal Marzocco (Firenze), n. 11 giugno 1922. Stabilimento Tipografico Nazionale CARLO PRIORA - Capodistria