received: 2011-11-09 UDC 329.18:316.367.7(450.36)"19" original scientific article LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ DELLA VENEZIA GIULIA1 Marco REGLIA Via della Madonna del Mare, 2, 34124 Trieste, Italia e-mail: marco@canovella.it SINTESI L 'articolo propone una panoramica sulla repressione della mascolinità deviante per eccellenza: l'omosessualità. Partendo dall'approccio di origine mossiana che intreccia nazionalismo e mascolinità, il testo anticipa alcune considerazioni sull'approccio italiano alla virilità in un contesto, quello delle ex provincie asburgiche, che fino al 1920 individuava invece nel codice penale il suo principale strumento repressivo. La descrizione delle modalità di tutela della virilità fascista viene intrecciata con elementi emersi da fonti di recente acquisizione sia documentali che orali, che permettono di approfondire alcuni temi legati alla repressione delle diversità nel contesto del processo di nation building che caratterizza con particolare virulenza la Venezia Giulia. Parole chiave: fascismo, omosessualità, mascolinità, Venezia Giulia THE FASCIST IDEA OF MASCULINITY AND THE SUPPRESSION OF DEVIATIONS FROM ITS NORMS: THE ORIGINALITY OF VENEZIA GIULIA ABSTRACT The article offers an overview on the suppression of the par excellence form of deviant masculinity: homosexuality. Starting from the approach originating in George Mosse's theories that interwove the concepts of nationalism and masculinity, the text anticipates some considerations concerning the Italian approach to masculinity within a particular context; that of the former Habsburg provinces, which until 1920 employed its criminal code as its main instrument of repression. The description of the methods utilised by the Fascists for the preservation of their ideal of masculinity is intertwined with issues raised by the recently acquired documentary and oral sources, allowing a deeper insight into some topics related to the repression of diversity in the context of the nation-building processes that so strongly characterised the Venezia Giulia region. Key words: fascism, homosexuality, masculinity, Venezia Giulia 1 A tutela della privacy delle persone citate in funzione della sensibilita delle informazioni di cui al "Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici" della Repubblica italiana ed in armonia con l'art. 27 della direttiva n. 95/46/CE del Parlamento europeo, per le persone citate e stato usato un nome di fantasia e per le fonti di archivio si e omesso il fondo ed il numero della busta. Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... In Italia tra la Grande guerra e l'evoluzione dittatoriale non vi fu alcun intervallo socialdemocratico di tipo tedesco in grado di permettere una certa visibilité pubblica dell'omosessualità: il fascismo italiano arrivó al potere quasi subito dopo la fine del conflitto, senza alcuna soluzione di continuité tra i gruppi di commilitoni di ritorno dal fronte e la loro evoluzione nelle squadre dei fasci. Lo slancio innovativo del fascismo miró alla costruzione di una nuova Italia, in grado di riscattarsi dalle delusioni della Conferenza di pace di Parigi del 1919. Il bisogno di rilancio nazionale si concretizzó a livello interno nella costruzione dell'uomo nuovo, quello fascista, che amplificando le caratteristiche normative della virilité precedente, fu trasformato in un ideale nazionale. Uno dei controtipi (Mosse, 1997) all'uomo nuovo ideale fascista fu proprio l'omo-sessuale o meglio il pederasta come veniva definito durante il fascismo: l'impegno maggiore fu il celarne la presenza. La visibilité dell'omosessualità in Italia era confinata nell'ambito scientifico, del quale Cesare Lombroso fu un noto esponente. Scientificamente l'omosessualità veniva considerata la conseguenza di un arresto evolutivo oltre che una delle deviazioni patolo-giche di tipo degenerativo (Aldrich, 2007, 167-170). La teoria della degenerazione, che spiegava e giustificava le difficoltà di rinnovamento dell'uomo, era alla base dell'im-pegno di tutti gli stati nazionali all'approfondimento di tematiche la cui utilité per lo sviluppo della nazione, metteva in secondo ordine la scabrosité dei contenuti. In quanto stereotipiche, le caratteristiche ritenute negative dell'idealtipo e/o controtipo trovavano applicazione sia nei confronti del singolo individuo che in grandi gruppi sociali, nazioni incluse. Le attenzioni scientifiche alla sessualité deviata erano pertanto inserite in una più ampia ottica di igiene sociale della nazione. L'attenzione scientifica sul tema della devianza sessuale fu significativa anche prima della fascistizzazione della societé italiana. Nel 1922, ad esempio, fu data alle stampe una seconda edizione di Sesso e carattere di Otto Weininger, scritto nel 1903, a cura dei Fratelli Bocca di Torino (Weininger, 1922), a conferma dell'interesse sul tema ancor prima dell'avvento del fascismo al potere. Ancor oggi, delle numerose edizioni del testo di Weininger stampate nella prima meté del Novecento, un significativo numero di copie si trova nelle biblioteche di Trieste e Gorizia, comprese edizioni in lingua tedesca e tra di esse anche la prima del 1903. È questo un esempio di diffusione di idee in merito alla netta distinzione tra femminilité e mascolinité, al ruolo "naturalmente" subalterno della donna, in uno schema duale e ben definito o con le parole di Weininger: »Ad onta di tutte le forme intermedie, l'individuo è alla fine, l'una delle due cose: o uomo o donna« (Weininger, 1992, 122). Il solco è quello della mascolinité virile ideale analizzata da Mosse, modello probabilmente piut-tosto condiviso, almeno nelle famiglie più abbienti anche nei territori dell'ex Litorale austriaco. Eppure, nonostante queste ed altre pubblicazioni, durante il fascismo, l'omosessualité non era un tema di grande divulgazione. Come opportunamente scrive Emilio Gentile (Benadusi, 2005, VII-XVI), per una persona che viveva nel primo dopoguerra, non era facile capire cosa fosse l'omosessualité se non attraverso le voci popolari. Gentile, Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... parlando dell'edizione del 1929 dell'enciclopedia Treccani, riporta che l'omosessualità era inserita sotto la voce "Sessuologia" ed era posta dopo le perversioni sessuali. La difficoltà di conoscere un qualsiasi aspetto dell'omosessualità è confermata da quanto racconta Alfredo, nato a Trieste nel 1923, che si scopre omosessuale a circa 12 anni. Non appena ne fu conscio, questi andó ad indagare sull'omosessualità in biblioteca. All'epoca, racconta, bisognava esternare l'argomento di interesse per ricevere il volume della Treccani appropriato: chiese prima di "Omero" e poi, visto che il lemma omosessualità rimandava alla voce sessualità ne usó un altro. Cosi scopri cosa l'omosessualità era in termini ufficiali secondo l'edizione corrente (L'edizione del 1935 include l'omosessualità tra le perversioni) dell'enciclopedia italiana Treccani. La sete di conoscenza non portó ad Alfredo maggior tranquillità sulla diversità delle sue attrazioni che rimasero un segreto: per le sue prime esperienze sessuali passarono ancora diversi anni, fino a quando, diciannovenne, lontano dalla sua città, a Roma, ebbe il suo primo incontro con un uomo (Alfredo, 2010). La visibilità dei diversi orientamenti sessuali, indipendentemente da giudizi valoria-li, era prevalentemente relegata agli ambiti scientifici e, quando emergeva in opere di maggiore divulgazione, era comunque confinata in qualche paragrafo all'interno di altre voci, come nel caso della più importante, allora, Enciclopedia italiana. Per la maggior parte della popolazione era un argomento tabù o sconosciuto e di conseguenza, almeno in Italia, inesistente. Fu in questo contesto culturale che il fascismo elaboró un proprio modello di ma-scolinità che, seppur basato sulla virilità borghese, ne prendeva le distanze in particolare per l'enfasi dell'aggressività, in contrapposizione a quella borghesia dal "ventre molle", responsabile della vittoria mutilata. Fin dalle prime azioni delle squadre fasciste venne cosi amplificata la parte più guerriera del modello mascolino che portó a considerare la virilità un requisito talmente indispensabile da indurre il regime a lottare contro celibi, rammolliti e sedentari anche con frequenti allusioni alla pederastía, pur usando sempre un modello ideale di origine borghese. Non fu quindi casuale che l'aspetto più combattuto dell'omosessualità fu proprio la sua visibilità esteriore, femminilizzata, in antitesi radicale al machismo degli squadristi. Il regime fascista, grazie anche alla sua capacità innovativa nel campo dei nuovi sistemi di comunicazione, dette ulteriore slancio al valore dell'immagine quale strumento di costruzione del consenso. L'effeminatezza minava, se resa pubblica, la virilità di tutta la società fascista; poteva anche essere interpretata come un rifiuto al modello di società fascista e quindi come un rifiuto al regime (Dogliani, 1999). La sola conoscenza pubblica dell'omosessualità di una persona era considerata pari all'esibizione dell'effeminatezza. L'utilizzo degli strumenti di repressione poliziesca varati dal governo fascista nel 1931, ed in particolare il confino di polizia, avevano quale obiettivo primario il togliere dalla vista pubblica l'uomo non virile che dava sfoggio di sé o che semplicemente la voce pubblica considerava di dubbia virilità; ció supportava l'impegno pubblico del regime nel curare l'igiene nazionale. Un aspetto importante del rilancio della nuova Italia fascista fu la crescita demografica che, per attuarsi, aveva bisogno di dare valore alla famiglia nella quale uomo e donna avessero un ruolo chiaro, ed in particolare finalizzato alla Marco REGLIA: LA MASCOLINITÄ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÄ ... procreazione. L'omosessuale non aveva alcun ruolo in una societá del genere, anzi, la sua "esibizione pubblica" rischiava di minare la solidita della famiglia italiana. L'esibizione pubblica era un concetto elastico che poteva assumere valore anche basandosi solo su una delazione anonima. Di fatto, pero, il fascismo, nella difesa della virilitá si mosse nel solco giá tracciato dall'Italia liberale e cio emerge anche nelle si-militudini tra le stesure ed i relativi dibattiti dei primi codici penali dello stato italiano: il codice "Zanardelli" del 1889 ed il codice "Rocco" del 1931. IL CODICE "ZANARDELLI" ED IL DIBATTITO SULLA PENALIZZAZIONE DELL'OMOSESSUALITÄ L'unificazione dell'Italia nel 1870 porto all'unione anche di due diversi approcci nei confronti dell'omosessualitá: il nord piemontese ed il Lombardo veneto asburgico erano dotati di norme penali repressive dell'omosessualitá (al pari del Litorale austriaco), mentre nel sud della penisola, non vigeva alcuna norma del genere. Questo approccio rimase in vigore anche dopo l'avvento dello stato unitario, in quanto gli articoli del codice sardo relativi all'omosessualitá non vennero applicati nella parte meridionale del paese. Tale dualismo duro fino al 1889 con la promulgazione del nuovo codice "Zanardelli", che depenalizzo l'omosessualitá in tutta la penisola (Scurti, 2006). Il dibattito sull'inclusione o meno della repressione penale dell'omosessualitá fu ampio e si risolse a favore degli abolizionisti con l'idea che la non menzione potesse essere meno lesiva della possibile pubblicitá nel caso di processo. Questa e la tesi sostenuta anche da Giovanni Dall'Orto, storico e militante omosessuale, che utilizza la definizione "tolleranza repressiva" (Dall'Orto, 1988). La tolleranza repressiva (Benadusi, 2005, 145) si basava non solo sul sistema repressivo poliziesco ma anche su una struttura sociale a sua volta in grado di ridimensionare il fenomeno e di ricondurlo a livelli minimi di visibilitá: oltraggio, pestaggio, olio di ricino e derisione pubblica rendevano il lavoro del regime efficacemente amplificato. Mentre nel Regno d'Italia era giá all'opera la "tolleranza repressiva", nell'Impero asburgico, compreso l'ex litorale austriaco, vigeva fin dal 1852 una norma penale che prevedeva la detenzione da uno a cinque anni per coloro che commettevano atti di libidine contro natura. Sebbene i processi si svolgessero prevalentemente a porte chiuse, il coinvolgimento di diversi testimoni e le relative indagini non celavano il fenomeno. Le persone coinvolte in processi di questo tipo, mediamente 15 all'anno nella sola cittá di Trieste (ACS), nel caso di condanna venivano incarcerate nella prigione della stessa cittá in cui, una volta scontata la pena ritornavano libere. IL CODICE "ROCCO" Il codice penale che doveva mettere in pratica la visione fascista della costruzione del nuovo italiano non poteva non considerare anche l'omosessualitá, quale esempio di una mascolinitá decadente, quella mascolinitá che proprio il fascismo si era assunto il Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... compito di rigenerare. Il 24 dicembre 1925 inizió la riforma del codice penale con la delega al governo. In funzione al ruolo dello stato fascista quale supremo garante della moralità venne inserito nel progetto di codice un nuovo articolo contro le relazioni omosessuali. L'articolo si basava sullo scandalo pubblico ovvero sul danno sociale e politico che poteva derivare dal comportamento omosessuale. Per il fascismo il bene da tutelare era la "sanità fisica e morale della stirpe" e, pertanto, chi ostacolava la procreazione o la limitava era inevitabilmente un pericoloso nemico dello Stato. Ció nonostante, il 7 luglio 1928 la Commissione di redazione del codice decise di eliminarlo, pur senza alcuna impostazione benevola nei confronti dell'omosessualità. Gli argomenti furono simili a quelli considerati dallo Zanardelli in occasione del dibattito sul codice penale precedente: - la preoccupazione dell'immagine dell'Italia all'estero che rischiava di apparire meno maschia di quanto il regime voleva; - la possibilità di punire comunque l'omosessualità considerandola un'offesa al pub-blico pudore, pur non nominandola; - l'idea che la negazione dell'esistenza dell'omosessualità fosse la strategia migliore per evitare che tale comportamento si divulgasse. La strategia dell'occultamento rimaneva quindi in auge, in linea con l'immagine del regime quale regno della moralità. Tale strategia era corroborata dal lavoro di repres-sione dell'immoralità portato avanti dalle forze di polizia, con gli strumenti repressivi inseriti nel nuovo codice entrato in vigore il 1° luglio 1931, senza alcuna pena diretta contro l'omosessualità. La visione affatto tollerante della depenalizzazione emerge anche da questo commen-to redatto all'epoca della discussione del nuovo codice penale: "Si è notato che anche nei Paesi dove l'omosessualità è considerata come reato questa non solo permane, ma si circonda di una pericolosa aureola di pubblicità che contribuisce alla sua diffusione fra i predisposti e conduce non di rado ai più odiosi ricatti" (Dall'Orto, 1988). Il nuovo codice conteneva comunque un'ampia serie di norme a sostegno dell'igiene nazionale, inserite nel nuovo titolo dei delitti contro l'integrità e sanità della stirpe, che comprendeva articoli specifici contro l'aborto, il crimine di contagio di sifilide e di blenorragia, la procurata impotenza alla procreazione. L'attenzione quasi spasmodica del regime per la crescita demografica e la tutela dell'integrità e sanità della stirpe non era in contraddizione con la decisione di depena-lizzare l'omosessualità, né significava disinteresse dello Stato verso questi comporta-menti. Più semplicemente si era giunti alla conclusione che la strategia del silenzio, già adottata nel sistema liberale, fosse la maniera più efficace per reprimere la pederastia (Benadusi, 2005, 122). LA REPRESSIONE FASCISTA DELLA PEDERASTIA I principali strumenti giuridico amministrativi che il fascismo utilizzó contro tutti gli oppositori e anche contro gli omosessuali furono la diffida, l'ammonizione ed il confino, Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... ai quali vanno aggiunti il carcere ed il manicomio, destinati espressamente ad altri casi di devianza ma utilizzati quali forme più dure e/o definitive di repressione. La diffida rappresentava la sanzione più lieve che si limitava ad avvertire pubblica-mente il soggetto del suo comportamento criminoso e della possibilità, nel caso questo continuasse, di procedere all'uso di mezzi più coercitivi. Il Regolamento di attuazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza cosi recitava: "La diffida, di cui all'ultimo capoverso dell'art. 164 della legge, è fatta dal Questore alla presenza del diffidato. La persona da diffidare è invitata a presentarsi al Questore e, qualora non ottemperi all'invito nel termine assegnatole, è accompagnata dalla forza pubblica. Il Questore o un ufficiale di pubblica sicurezza da lui delegato, contesta al prevenuto i motivi che hanno dato luogo al provvedimento di diffida; gli ingiunge di mutare tenore di vita, e lo avverte che, in caso diverso, sarà denunciato senz'altro, per l'ammonizione, a termini di legge" (Regio Decreto, 1940, art. 34). La stessa lettura dell'articolo fa emergere la visione moralista alla base dell'azione della polizia: per l'omosessualità il mutamento del tenore di vita non poteva che comportare l'obbligo di rientrare nei ranghi della mascolinità fascista. La diffida, anticipava, a chi ne incorreva, la possibilità concreta dell'ammonizione, con l'aggiunta della possibile diffamazione pubblica; le persone diffidate venivano tenute d'occhio dalla polizia e di ció ne erano consci i diffidati. Nel caso delle persone omosessuali, l'essere richiama-ti pubblicamente in Questura determinava anche possibili pubblici sospetti sulla loro persona, e per coloro che proponevano un'immagine non troppo in linea con la virilità ufficiale, il sospetto di pederastia si innescava facilmente. L'ammonizione, invece, pur non determinando la reclusione, imponeva all'ammo-nito, per un periodo massimo di due anni, orari stabiliti per uscire e rientrare a casa, il divieto di frequentare locali pubblici ed il dovere di presentarsi quotidianamente in Questura. L'ammonizione era caratterizzata da un'ampia discrezione degli organi com-petenti dando un ruolo chiave alla diffamazione della voce pubblica quale fondamento portante dell'ammonizione: in pratica era il Questore a decidere se ammonire o meno una persona. Se a prima vista, questi provvedimenti possono sembrare non troppo duri, nel contesto del fascismo, essi rappresentavano l'etichettatura del regime di tutti coloro che appariva-no o erano fuori dai canoni del buon fascista. Per gli omosessuali il peso rappresentato dalla repressione governativa era inasprito dall'omofobia generalizzata che nella società italiana, supportata dalla morale cattolica, etichettando a sua volta il diverso, li isolava dal contesto sociale. Il confino rappresentó, invece, lo strumento più caratterizzante delle azioni del fascismo contro i devianti. Derivato dal "Domicilio coatto" del 1863 esso entró in vigore nel 1926 e, a differenza dell'istituto precedente, garantiva più ampio margine di discreziona-lità agli organi di polizia caratterizzandosi per l'ampia valenza politica del suo utilizzo: la pena detentiva, solitamente da scontare lontano dalla propria residenza, variava da uno a cinque anni. I casi accertati di persone inviate al confino in quanto accusate di pederastia, sono circa trecento, un numero sostanzialmente non elevato, se confrontato Marco REGLIA: LA MASCOLINITA FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITA ... con i confinati nel suo insieme (i soli confinati politici furono piu di diecimila) (Dal Pont, Carolini, 1983). Lo studio di Gianfranco Goretti propone complessivamente 326 ordinanze di confino per un totale di 317 persone confínate (Goretti, Giartosio, 2006, 261-265). Lorenzo Be-nadusi ne propone invece un numero leggermente diverso con una diversa distribuzione per province: "Dai documenti rinvenuti in Archivio centrale dello Stato risulta che le persone assegnate al confino comune furono circa 300; i fascicoli personali sono pero sfortunatamente solo 38. I circa 300 confinati comuni sono tuttavia solo una piccola parte rispetto al totale, ció si puó dedurre dal fatto che di questi 300 ben 196 erano i pederasti presenti nella sola estate del 1942 nelle isole di Ustica e Favignand' (Bena-dusi, 2005, 142). Relativamente alla Venezia Giulia, delle 196 persone presenti al confino nell'estate del 1942, 9 risultano provenire da Fiume, 6 da Pola e 1 da Udine (ACS-CP). Si ipotizza che il numero dei confinati di cui si ha notizia rappresenti solo una piccola parte delle persone effettivamente perseguitate (Goretti, Giartosio, 2006, 259), sia perché il confino non veniva usato sempre per tutti, sia per la carenza delle fonti storiche a disposizione. A supporto di questa ipotesi si portano i dati emersi da una ricerca ancora in fieri per la ex provincia di Fiume. A fronte di 9 confinati risultanti dai dati presenti in ACS, sono state individuate una trentina di persone che a vario titolo sono state indagate e/o condannate in merito alla loro presunta pederastía. Se questi dati fossero estensibili alle aree limitrofe ci si troverebbe di fronte ad un numero complessivamente ben piu significativo di persone coinvolte nella repressione fascista in quanto omosessuali, come ipotizzato anche da Goretti. Caratteristico di questi territori fu l'uso dell'espulsione dal Regno di cittadini stranie-ri: due cittadini jugoslavi ne subirono gli effetti; uno di essi conviveva con il suo com-pagno a Fiume durante l'apice del consenso popolare del fascismo (ARI-PR; ARI-QU). La repressione dell'omosessualitá in Italia non fu comunque omogenea e vario di intensitá zona per zona, a seconda della sensibilitá delle forze dell'ordine. A seguito della discrezionalitá che i provvedimenti di polizia assicuravano ai questori, infatti, il numero di confinati di cui si ha notizia se, considerato per provincia, varia dai 67 di Catania, seguito dai 32 di Venezia, 24 di Roma e di Vercelli fino a province dalle quali non risulta ufficialmente alcun confinato per pederastía (Goretti, Giartosio, 2006, 265). Catania rappresento il caso piu eclatante di repressione mirata ad eliminare le persone di dubbia virilitá dal territorio di una provincia italiana. Nel 1939 il questore Alfonso Molina, da poco nominato capo della locale questura, promosse due serie di retate ed altri arresti inviando al confino nel giro di qualche mese 45 persone (Goretti, Giartosio, 2006). La caratteristica della repressione catanese fu proprio il suo essere strutturata quale obiettivo primario dell'azione di polizia. Un aspetto del genere non sembra emergere dalle fonti analizzate in merito alla repressione della pederastia nelle province dell'ex Venezia Giulia dove i casi esaminati non sembrano legati ad una strategia unica. Un approccio simile a quello catanese puo forse aver caratterizzato l'attivitá delle questure di Venezia e Firenze o Roma, cittá d'arte e principali vetrine della cultura italica verso l'estero. In particolare Venezia fu meta di un certo turismo omosessuale Marco REGLIA: LA MASCOLINITÁ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITA ... anche prima del fascismo (Benadusi, 2005, 170), come si coglie ad esempio dal celebre "Morte a Venezia" di Thomas Mann. Un giovane omosessuale originario di Trieste fu inviato al confino di Polizia proprio da Venezia, ove, si era trasferito a sedici anni, in cerca di lavoro. Il suo nome risulta tra i pederasti al confino presenti nelle isole di Ustica e Favignana nel 1942: le fonti attualmente a disposizione permettono di conoscere il periodo del suo ritorno a Trieste nel maggio 1942, ma non la data precisa del suo arresto. Il caso di Otello (ACS) e stato individuato solo grazie all'utilizzo delle fonti orali (Giusto, 2009). LA CHIESA E LA SODOMIA La convivenza tra chiesa cattolica e stato fascista fu di collaborazione e di conflitto a seconda dei temi e dei momenti. Relativamente alla sessualitá e al suo naturale equilibrio, vi furono piu sintonie che contrasti. L'avvento del fascismo ridimensiono le pre-occupazioni della chiesa di fronte all'incalzare dei cambiamenti della morale in un'Italia che si incamminava verso la modernitá e verso una graduale secolarizzazione. Infatti il fascismo, pur essendo un concorrente della chiesa cattolica nel campo dell'educazione morale dei giovani e piu in generale di tutti i cittadini, condivideva i principi cattolici dell'importanza della famiglia, di una sessualitá "normale" eterosessuale e finalizzata alla procreazione. Sulla sessualitá e sull'omosessualitá la chiesa aveva a sua volta idee chiare sul rigido rapporto tra i sessi, base della famiglia sulla quale costruire una societá di pii e devoti. Il fascismo, invece, era maggiormente attratto dall'idea di una virilitá maschile dinamica e quasi esplosiva, non esclusivamente confinata entro le mura domestiche. Mussolini, al fine di ridimensionare le tensioni tra chiesa cattolica e regime, inevita-bilmente sorte a seguito del comune obiettivo di omogeneizzare le masse italiane, usava frequentemente il trinomio "Dio Patria Famiglia". Il rapporto con il potere vaticano fu sempre dialettico ma indubbiamente i punti di contatto furono diversi, in particolare sul modo di intendere la famiglia, con il ruolo perno del maschio per entrambi i poteri. Pur considerando il cattolicesimo come "una perniciosa dottrina di rinuncia e di umi-liazione che corrompeva e svirilizzava gli uomini ed i popolf (Benadusi, 2005, 90), il fascismo preferí delegare proprio alla chiesa il controllo della condotta sessuale dei cittadini non discostandosi dalla linea adottata dai governi italiani nel periodo liberale nei confronti della sessualitá deviante la cui repressione, anche allora, rimase esclusa dal codice penale Zanardelli. Ufficialmente la chiesa considerava l'omosessualitá un comportamento immorale da emendare nel foro sacramentale e un delitto da reprimere per legge (Benadusi, 2005, 96). Da questo punto di vista il diritto canonico, occupandosi di omosessualitá come causa possibile di scioglimento del vincolo matrimoniale (Benadusi, 2005, 97) proponeva un approccio analogo al codice civile asburgico in vigore nel regno di Ungheria (Barone, Gaetano, 1926, 23), compresa quindi la cittá di Fiume, in merito al divorzio. Chiesa e regime furono sempre e comunque poteri distinti con propria autonomia: il caso del sacerdote di Trieste, don Saverio (ACS; ARI), confinato nel 1938 con l'accusa di atti Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... di libidine nei confronti di un giovane quindicenne, conferma il dualismo dei poteri gerarchici della chiesa e dello stato fascista. RAPPORTI CHIESA REGIME: IL CONFINO DI UN MONSIGNORE Don Saverio, classe 1883, di madrelingua slovena, venne ordinato sacerdote nel 1907, per poi, ancora al tempo della Trieste imperiale, diventare parroco della chiesa all'interno dell'Ospedale civico della città. Fu attivamente impegnato nelle associazioni giovanili e nel 1927 fu nominato Cameriere d'onore in abito paonazzo. Don Saverio fu arrestato a Trieste nel dicembre del 1937 e rimase in carcere senza conoscerne i motivi per 16 giorni; la Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia si riuni a Trieste il 10 gennaio del 1938 e gli assegnó due anni di confino politico. Fu accusato di molestie sessuali nei confronti di un giovane paziente dell'ospedale civile di Trieste. Il sacerdote arrivé alle Tremiti alla fine di febbraio del '38 nonostante le pressioni dell'allora vescovo di Fiume mirate a confinarlo in terraferma. Già nella primavera dello stesso anno, don Saverio divenne membro della Commissione di disciplina della colonia penale, e come tale, assieme al Direttore della colonia e al medico, ebbe il ruolo di giudicare i suoi compagni di pena. L'assegnazione di tale incarico al sacerdote venne probabilmente decisa dal potere locale, forse dallo stesso Direttore della colonia, all'insaputa del Ministero. Infatti il nuovo Direttore della colonia nel luglio dello stesso anno, ne informó il Ministero dell'Interno: "Da parecchio tempo ilprete confinato don S., parroco provvisorio di san Nicola di Tremiti, fa parte della commissione di disciplina della colonia. La commissione di disciplina della quale fanno parte il Direttore e il medico è quella che infligge le punizioni. Sembra a molti - e pare allo stesso prete - una cosa assurda che un confinato debba far parte di una commissione e votare le punizioni per i suoi compagni di sventura" (ACS-MI). Nell'ottobre del 1938 il sacerdote venne "prosciolto" dal confino ed il Vaticano lo invió in un'altra diocesi, la parrocchia di Mattuglie, nei dintorni di Fiume. La locale Questura, non appena venuta a conoscenza del fatto, ne ipotizzó il controllo ed il pe-dinamento in considerazione del suo precedente ruolo di confinato e dei motivi che avevano portato a quel provvedimento. Con la fine del conflitto ed il passaggio della maggior parte dell'Istria alla Jugoslavia, don Saverio ritornó a Trieste dove si spense all'età di settanta anni. Questo caso, qui riportato in estrema sintesi, evidenzia un dualismo ed un'autonomia tra chiesa cattolica e regime e tra poteri centrali e poteri locali. La commissione per i provvedimenti di polizia di Trieste, indipendentemente dalla diocesi triestina, arrestó ed invió al confino un Monsignore. Le pressioni del potere religioso locale nella figura del vescovo di Fiume non riuscirono a mutare neanche la sua destinazione ma, non appena arrivato alla colonia, al sacerdote venne riservato un trattamento di riguardo. Il suo proscioglimento sembra essere stato deciso direttamente da Roma, ma non appena il sacerdote raggiunse la sua nuova diocesi, il potere fascista locale inizió ad indagare ancora sul suo conto. Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... Lo stesso don Saverio ipotizza nelle sue memorie difensive l'uso politico dell'accusa di omosessualità a suo carico intrecciando cosi la "pederastia" con le tensioni fascismo - chiesa della Venezia Giulia. L'USO POLITICO DELL'OMOSESSUALITÀ DURANTE IL FASCISMO L'accusa di omosessualità, vera o presunta, venne utilizzata con frequenza durante il fascismo, anche in virtù dell'immagine che il fascismo strutturó sulla virilità maschile. L'uso della diffamazione durante il fascismo fu corroborate anche dal blocco delle di-namiche politiche all'interno del partito unico che non permetteva altri tipi di sfogo per le tensioni di natura politica o di contrasto tra poteri. L'accusa di omosessualità inoltre non doveva per forza essere supportata da prove come avvenne, ad esempio, nel caso di Augusto Turati, uno dei dirigenti del PNF (Partito Nazionale Fascista) allontanato dal potere con il supporto di Roberto Farinacci (Benadusi, 2005, 242-254). L'omosessualità non era sempre automaticamente un argomento che portava alla diffamazione pubblica: era semmai una spada di Damocle che gravava su personaggi pubblici che poteva, ma non doveva per forza, essere usata. Un utilizzo di questo genere in una situazione analoga si puó individuare nella campagna diffamatoria strutturata da Hitler per giustificare l'eliminazione di Rohm. La sua omosessualità non fu mai nascosta, anzi, ma non incise sul suo potere nel terzo Reich, almeno fintanto che la sua figura non divenne scomoda su altri fronti (Consoli, 1991, 41-52). Un caso di utilizzo dell'accusa di pederastia a fini politici coinvolse invece il vice federale di Udine Antonio Bazzi: primo presidente del fascio di Udine egli partecipó alla marcia su Roma, fu combattente nella grande guerra ed il suo glorioso passato lo fece scalare i vari livelli del potere fascista locale. Nel 1941 la polizia era venuta a conoscenza della sua presunta omosessualità. In base ad una direttiva di Starace, spettava al PNF autorizzare ogni azione giudiziaria e pertanto le indagini furono sottratte alla polizia e condotte direttamente dal Federale. Nonostante le indagini confermassero le accuse di pederastia, il PNF udinese ritenne opportuno, per non ledere il buon nome del fascismo, di optare per un cambio di città, evitando provvedimenti disciplinan. La proposta locale non ebbe peró seguito e Bazzi fu radiato dal partito e mandato al confino per due anni proprio perché aveva "commesso azioni che ledono la sua figura morale"; "i testimoni raccontavano che il gerarca sentiva più trasporto per gli uomini che per le donne e durante gli incontri d'amore stava sotto e faceva la femmina" (Benadusi, 2005, 274). Bazzi si difese negando di essere un passivo, tentando cosi un recupero della sua mascolinità: l'S marzo 1941 fu condannato a due anni di confino mentre il giovane che aveva avuto rapporti sessuali con lui non subi alcun provvedimento, in quanto il suo ruolo attivo ridimensionava lo svirilimento delle sue azioni. Il ruolo sessuale passivo o ricettivo veniva considerato nell'Italia fascista come un chiaro sintomo di inversione sessuale, di abdicazione dal ruolo di maschio, dal quale veniva dedotto un approccio passivo alla vita nel suo insieme. Il ruolo sessuale attivo invece, seppur in un rapporto omosessuale, non per forza portava alla definizione di pederasta; il rapporto tra due uo-mini veniva letto con la logica del rapporto uomo donna: l'insertivo era frequentemente Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... considerato pur sempre un uomo (Goretti, Giartosio, 2006). Bazzi fu confinato a Varese dove fu prosciolto il 28 ottobre 1942 in occasione del ventennale della marcia su Roma. ALTRE FORME INDIRETTE DI REPRESSIONE: CARCERE E MANICOMIO Oltre ai provvedimenti di polizia era sempre possibile ricorrere a strumenti repressivi "tradizionali" come il carcere o ufficialmente non repressivi come il manicomio. Relativamente all'apparato giudiziario, era possibile perseguire le persone omoses-suali ricorrendo al codice penale che prevedeva il reato di atti osceni considerando tali: "gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore" (Regio Decreto, 1930, art. 130). I margini interpretativi insiti nel concetto di pudore davano alla giustizia la possibi-lità di definire il lecito e l'illecito nell'ambito della sessualità. Inevitabile il legame tra cultura e mentalité corrente nel contesto della sessualità normale e anormale che portava anche il sistema giudiziario a colpire, come fosse un reato, le manifestazioni pubbliche di mascolinità diverse dalla norma. Le sentenze contro i comportamenti omosessuali, seppur nell'ambito dell'oltraggio al pudore, avevano il compito o, comunque, sortivano l'effetto di rafforzare la condanna sociale dell'omosessualità (Benadusi, 2005, 188). Il carcere a sua volta poteva favorire i rapporti omosessuali tra i detenuti che conviveva-no mono sessualmente nelle prigioni. Questa fu una delle preoccupazioni delle forze dell'ordine che controllavano i carcerati con il timore della diffusione della pederastía: era la cosiddetta pederastia di compenso che sommandosi all'omosessualità congenita poteva far diffondere in maniera molto ampia la sessualità tra uomini. Un caso del genere si ritrova tra i fascicoli della questura di Fiume e riguarda un giovane carabiniere (ARI) che, radiato dall'arma per un'accusa di furto, si trovó ad essere accusato di diserzione dall'arma con conseguente perdita del lavoro e, dopo aver tentato anche di emigrare a Belgrado alla ricerca di un'occupazione, fu incarcerato. Dal 1929 inizió la sua peregrinazione tra gli istituti di pena e le lettere che invió ai direttori degli istituti ed al duce stesso parlano specificatamente delle violenze sessuali che ripetuta-mente subi dai suoi compagni di detenzione. Nel 1920 subi una condanna "per atti di libidine contro natura (Articolo 237 C.P.E.)" come riportato da una nota della Compagnia dei Carabinieri di Fiume che indagó sul suo conto durante l'anno 1929, condanna che forse diventó un'etichetta di pederastia, nell'ambito del mondo carcerario (ARI-QU). II manicomio sembra essere, a parere dell'attuale storiografia sulla repressione dell'omosessualità italiana, un tema ancora da approfondire anche in termini di fonti storiche. Sembra comunque che i casi di utilizzo del manicomio per rinchiudere le persone pubblicamente scomode come uomini e donne omosessuali non fossero molto rari (Benadusi, 2005, 126). La logica alla base dell'internamento della diversità sessuale era supportata dalla medicalizzazione della devianza, basata a sua volta sull'approccio scientifico a sostegno di valori morali, tipico della seconda metà dell'Ottocento. La psichiatria acquistava cosi valore scientifico ed insieme sociale: l'omosessualità veniva patologizzata "dandogli di volta in volta il marchio di malattia morale, di psicodegenerazione, di nevrosi sessuale, Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... di aberrazione del senso genetico" (Benadusi, 2005, 209). L'internamento in manicomio serviva quindi per isolare ed analizzare quelle persone la cui anomalia sessuale li portava a violare le norme morali considerate "naturali". La medicalizzazione permetteva di giustificare la repressione morale portandola ad un livello oggettivo, più difficilmente cri-ticabile: si allacciava inoltre alla visione igienica della società che andava migliorata sia curando che reprimendo quelle entità considerate estranee ed innaturali. In quest'ottica diventa significativo il ricovero manicomiale di alcune persone indagate per pederastia nella Venezia Giulia di cui emerge traccia nel casellario giudiziale, come assume inoltre importanza la storia di Gino, ricoverato per più di vent'anni nel manicomio di Gorizia ma che della sua omosessualità rifiuta di parlare (Gino, 2011). Gli omosessuali furono quindi una categoria di devianti, pericolosi, seppur difficil-mente classificabili come folli: rientravano comunque in quel vasto campo degli asociali per i quali "poliziotti, giudici e psichiatri, in fondo cooperavano tutti a stabilire il trat-tamento dei soggetti socialmente pericolosi" (Benadusi, 2005, 210). Durante il fascismo era inoltre in vigore la Legge Giolitti (Legge, 1904, n. 36) che prevedeva l'obbligo del ricovero in manicomio soltanto per alienati mentali pericolosi o che "riescano di pub-blico scandalo" (Benadusi, 2005, 211). Era quindi abbastanza facile il ricovero con la richiesta dei parenti, dei tutori o di "chiunque altro nell'interesse degli infermi o della società' (Benadusi, 2005, 211). Nei casi urgenti, inoltre, il ricovero poteva anche essere stabilito direttamente dalla Pubblica Sicurezza. Più che luogo di cura il manicomio diventava cosi uno strumento di allontanamento dalla società per tutti quei soggetti che non sembravano curabili, come appunto, gli omosessuali. CONCLUSIONI Lo studio della mascolinità ed in particolare della mascolinità deviante nell'area della Venezia Giulia rappresenta un approccio storico ancora da sviluppare; ció puó essere conseguenza della ancora scarsa attenzione sulla mascolinità da parte della storiografia italiana ma è indubbio che tale poca attenzione sia anche supportata dalla scarsità delle fonti archivistiche finora disponibili ed utilizzate. La recente individuazione di fonti documentali negli archivi provinciali dell'allora Regno di Italia, in parte ancora da esaminare, non permettono di proporre conclusioni definitive in questa sede. La traccia di ricerca seguita fino ad ora, nel solco dell'approccio mossiano sulla mascolinità, non è ancora in grado di individuare un nesso certo tra nation building e repressione della mascolinità deviante in queste aree. Emergono comunque, fin da ora, alcune linee guida presenti nella Venezia Giulia e che differenziano, in parte, la mascolinità di quest'area rispetto alle altre realtà finora trattate dalla storiografia italiana. Lo sviluppo del modello di mascolinità virile nella Venezia Giulia, nel corso dell'Ot-tocento sembra proporre un'idea di privacy che tende a nascondere in generale le proprie emozioni ed in particolare anche i sintomi di eventuali stimoli sentimentali e sessuali diversi dal modello dominante. Trieste sembra evidenziare questo approccio, tenuto conto della consistenza storica di un certo tessuto sociale omosessuale emerso dalle Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... fonti orali e della scarsa traccia di tale tessuto nelle fonti documentali anche relative alla repressione. Apparentemente in opposizione alla discrezionalità legata al controllo esteriore delle proprie pulsioni, la libertà di azione personale in un ambiente sociale fortemente secolarizzato come nelle città-porto di Fiume e Trieste, emerge significativamente. Il caso di un omosessuale fiumano che convive con un uomo durante il Venten-nio propone un contesto molto diverso da quello emerso nel medesimo periodo storico nella Sicilia studiata da Goretti. Questo conferma l'originalité delle aree della Venezia Giulia, che, inserite dal 1920 nel medesimo contesto normativo, propongono comporta-menti apparentemente antitetici. Ció puó ascriversi al ridimensionato ruolo di controllo sociale della chiesa, almeno in alcune parti della Venezia Giulia, anche nel solco di un approccio normativo precedente radicalmente diverso. La scelta del governo asburgico di normare la diversità sessuale ricorrendo al codice penale, puó aver limitato il ruolo della chiesa quale controllore sociale su questi temi, al contrario di quanto accaduto nel Regno d'Italia fin dalla sua costituzione. Anche da questo punto di vista, l'originalità dell'approccio asburgico, rispetto agli altri paesi a maggioranza cattolica, tenuto conto dell'ipotesi di Dall'Orto, lascia una traccia che sopravvive all'Impero stesso. Si confer-ma in tal caso l'importanza del contesto culturale sui temi della virilità, quale modello stratificato nel tempo, sul quale norme ed approcci repressivi diversi, si stratificano, portando a cambiamenti non sempre radicali e comunque piuttosto graduali. Relativamente al cambio di approccio sulla mascolinità deviante, l'arrivo del Regno d'Italia, pur nella sua versione fascista, portó in queste terre, un metodo di controllo apparentemente meno repressivo. Ma l'esame del solo ambito poliziesco e giuridico potrebbe non essere sufficiente ad una visione complessiva delle strategie a difesa del modello virile messe in campo nella Venezia Giulia. Finora sono state esaminate con un certo successo le fonti provenienti dagli archivi delle Prefetture e delle Questure delle ex provincie di Fiume e di Pola; quelle di Trieste e di Udine non hanno invece prodotto, al momento, esiti significativi. L'utilizzo in Italia, di un sistema repressivo di natura esclusivamente poliziesca ha determinato per lo storico la necessità di individuare le fonti relative alle indagini delle forze dell'ordine, fonti in genere di difficile reperibilità. Le vicissitudini determinate dallo spostamento del confine orientale italiano hanno comportato la presenza di fonti documentali di questo tipo negli archivi della Slovenia e della Croazia, permettendo cosi un approfondimento di difficile realizzazione in altre aree d'Italia. La sinergia dell'esame delle fonti del Ministero dell'Interno ed in particolare delle Prefetture presenti in ACS con quanto ancora conservato negli archivi locali, sembra proporre un quadro più variegato delle attenzioni nei confronti delle deviazioni dalla mascolinità: il caso delle espulsioni messe in atto a Fiume, ad esempio, mettono in luce come una devianza possa intrecciarsi con problematiche di confine e di rapporto tra nazionalità diverse. Allo studio della repressione, è stato associato, ove possibile, l'utilizzo delle fonti orali che hanno permesso di individuare anche una visione "positiva" della mascolinità deviante sia in termini di socialità tra le stesse persone omoses-suali che in termini di ruolo sociale dei devianti in rapporto alla società maggioritaria. Inoltre, proprio grazie a tali fonti, è stato possibile individuare fatti, finora sconosciuti, Marco REGLIA: LA MASCOLINITÀ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÀ ... come l'arresto e l'invio in Germania di tre persone omosessuali, durante il periodo di occupazione tedesco. L'utilizzo congiunto delle fonti locali e delle fonti nazionali (ACS) ha permesso inoltre di evidenziare le differenti dinamiche relazionali tra centri di potere locali e poteri nazionali come emerso nel caso del sacerdote triestino che, confinato nel 1938, propone un intreccio di relazioni tra potere politico, religioso e potere locale, centrale che, oltre a valere in un quadro complessivo, fa emergere significative ricadute sul contesto so-ciopolitico di questi territori. L'originalità della Venezia Giulia, territorio caratterizzato dal passaggio di quasi una decina di amministrazioni diverse durante il Novecento, si rivela quindi tale anche in relazione alla mascolinità ed ad un suo possibile legame con il processo di nation building, che in queste zone ha mostrato uno sviluppo fortemente conflittuale. Il passaggio da una struttura statuale di matrice cattolica che utilizza approcci repres-sivi più legati al protestantesimo, ad uno Stato ufficialmente laico che, peró, intreccia con il potere vaticano un rapporto di simbiosi sul controllo sociale e la presenza di una diffusa "religiosità" nazionale, hanno inciso in maniera significativa sulla percezione della mascolinità collettiva ed individuale, riproponendo in chiave locale, le dinamiche di conflitto sull'idealtipo e sul controtipo di matrice mossiana: dinamiche potenzialmente in grado di rappresentare un paradigma per l'intero sviluppo della mascolinità / nazio-nalismo, valido per un'area ben più ampia del territorio stesso. MOŠKOST V FAŠIZMU IN ZATIRANJE DEVIANTNOSTI: IZVIRNOST JULIJSKE KRAJINE Marco REGLIA Via della Madonna del Mare, 2, 34124 Trst, Italija e-mail: marco@canovella.it POVZETEK V kontekstu trditev Georgea Mossa na temo oblikovanja naroda in ideala moškosti iz 19. stoletja ta prispevek predlaga pristop k vprašanju moškosti v začetku dvajsetega stoletja s pregledom virov iz lokalnih arhivov, ki v zgodovinopisju še niso bili uporabljeni. Predmet te raziskave je ozemlje Julijske krajine, ki ga zaznamujeta razvoj izredno konflik-tnega nacionalizma in precej razvit koncept moškosti po meščanskem modelu. Raziskava obravnava prvo polovico dvajsetega stoletja, s poudarkom na obdobju fašističnega režima. Ideal moškosti, kakršen se je izoblikoval pod Mussolinijem, je bil postavljen na ozemlje, kjer je do leta 1919 prevladoval pristop varovanja moškosti, temelječ predvsem na pregonu in kaznovanju spolne deviantnosti. Italija predlaga drugačen pristop, in sicer z uporabo strategije, ki temelji bolj na družbenem nadzoru z veliko vlogo Katoliške cerkve. V podporo družbenega nadzora so tako tudi uvedli nove, inovativne sisteme za nadzor in zatiranje, ki jih je neposredno izvajala policija. Marco REGLIA: LA MASCOLINITÄ FASCISTA E LA REPRESSIONE DELLA SUA DEVIANZA: L'ORIGINALITÄ ... Osamitev je najbolj značilna fašistična metoda represije, ki se je uporabljala tudi za zatiranje odklonske moškosti. Redka literatura, ki je v zgodovinopisju na voljo na temo fašizma in homoseksualnosti, se osredotoča na vire, ki se nahajajo v osrednjem italijanskem državnem arhivu. Pristop, ki ga predlaga ta prispevek, se poslužuje tudi dokumentacije iz perifernih arhivov nekdanje Julijske krajine, pomaga pa si tudi z informacijami iz ustnih virov. Čeprav je preučevanje arhivov še v teku, se na primeru Julijske krajine že kažejo nekatere pomenljive specifike, ki bodo morda potrdile možnost, da predmet te raziskave postavimo za paradigmatičen primer razumevanja problematike odklonske moškosti v dvajsetem stoletju. Ključne besede: fašizem, homoseksualnost, moškost, Julijska krajina FONTI E BIBLIOGRAFIA ACS-CP - Archivio Centrale dello Stato, Roma, f. Confino politico (CP), fascicoli personali. ACS-MI - Archivio Centrale dello Stato (ACS), Roma, f. Ministero dell'Interno (MI), Divisione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione di Polizia - serie archivistica Confino di Polizia e confino speciale per i mafiosi. Alfredo (2010): NN, nato a Trieste nel 1923. Appunti dattiloscritti dell'intervista presso l'archivio personale dell'autore. ARI-PR - Državni Arhiv u Rijeci (ARI), f. Prefettura (PR), fascicoli personali. ARI-QU - ARI, f. Questura (QU), fascicoli personali. Barone, D., Gaetano, G. P. (eds.) (1926): Legislazione di Fiume. 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