i i Soldi 1« al numero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale - Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 77 — 25 settem. 78 importa fior. S e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia T~ \ ANNIVERSARIO IL RE GALANTUOMO Ricordo DELLA VITA DI VITTORIO EMANUELE Il lutto degli Italiani per la morte di re Vittorio Emanuele II fu così spontaneo, unanime e solenne che a ragione lo si è chiamato il plebiscito del dolore. In quei giorni di universale mestizia sembrava che fossero rìdesti i concordi entusiasmi del nostro risorgimento, e pensando alla gloria del morto Re e contemplando quel dolore di popolo non vi fu chi non si sentisse altero di essere italiano. Crediamo pertanto sia cosa utile raccogliere in una stessa pubblicazione i ricordi della vita del primo Re d'Italia,e quelli delle meste cerimonie con le quali si diede onoranza alla sua benedetta memoria. In quest'opera, il testo della quale è dovuto a valenti scrittori in cui sono raffigurate le scene più belle della fortunosa vita di Vittorio Emanuele e le più imponenti del lutto d'Italia, noi coordiniamo la biografia del Re, parecchie sue lettere inedite, le descrizioni dei funerali, poche belle poesie, e una ricca serie di vignette, lodata opera del bulino italiano. Non vi sarà, crediamo, famiglia italiana la quale non voglia con questo libro serbare un ricordo del nostro gran Re, e, in pari tempo., quasi ammaestramento ai nostri tìgli, una memoria del modo affettuoso e solenne col quale la moderna Italia onorava chi tanto aveva fatto per lei. Col dare a quest'opera il titolo del "Re galantuomo„ crediamo e-sprimere il concetto del nostro libro ; e gli Italiani che quel nome avevano dato a Lui quando era vivo, vedranno certo con intimo soddisfacimento, stampato quel titolo, si meritatamente avuto, su un libro che deve essere un ricordo perpetuo, uu omaggio letterario ed artistico sulla tomba di Vittorio Emanuele. Uscirà a dispense iu gran formato, ricche di splendide incisioni dei più rinomati artisti.— Centesimi 25 la dispensa. — Prezzo d'associazione all'opera completa Lire tre. — Per gli stati dell'Unione Postale Lire quattro. (Programma degli Editori Treves di Milano) PRODROMO *) DELLA STORIA DELL'ISTRIA (F. il N.o 25 gennaio e seg.ti) Alla sua morte seguì nella sedia patriarcale una vacanza di cinque anni, per non essere stata riconosciuta dal pontefice la nomina di Filippo. In quel frattempo institui-vansi anco nelle città istriane, al paro che nel resto d'Italia, i capitani del popolo, e com'era ben naturale cotesta autorità veniva disputandosi in Capodistria e Pola tra i due partiti patriarcale e popolare, nello stesso tempo che nuovi comuni istriani approfittavano della vacanza del patriarcato per darsi alla signoria de'Veneti. Così Umago nel 1269, Cittanova nel si pubblica ai 9 ed ai 25 1270 e S. Lorenzo nel 1271. E Pirano l'anno medesimo restringeva nel suo reggimento i poteri patriarcali e voleva veneto il podestà. Tuttociò irritava ognor più i partiti delle città di Pola e Capodistria, e in ambedue prevalse nuovamente il partito popolare. Mentre questo trascorreva nella prima ad atti atroci contro i Sergi fino ad ucciderli tutti mono un fanciullo, nella seconda si pronunciava la dedizione a Venezia, e se anco per allora non ebbe essa effetto non mancò d'essere un fatto di grande importanza per la provincia, siccome avvenuto nella sua capitale, ch'era altresì la città più influente, e che di fresco (1268) aveva dato nuovo esempio di vigoria col prendersi in protezione e custodia il comune di Buje. Tale era la condizione dell' Istria allorché Raimondo della Torre succedette nel marchesato e nella sedia patriarcale di Aquileja. (1273.) Uomo di spiriti marziali, educato nelle guerre di Lombardia, passò tosto alle aperte ostilità con grande imprevidenza e contro i Veneti e contro i comuni istriani loro soggetti ed alleati, nonché contro lo stesso Alberto conte d'Istria, che come dicemmo aspirava a sciogliersi da dipendenza. Ma avendo i Veneti agito vigorosamente sotto la condotta di Giacomo Contarini, una pace fu tosto conchiusa e con Alberto e con Venezia (1274). Questa pure era una di quelle paci rispondenti piuttosto a tregue, poiché firmata appena (1275) Alberto emancipò dal marchesato la contea d'Istria, e il patriarca incorse in nuove dissensioni con Venezia, (1276) vietando che da essa prendessero molti comuni istriani, come facevano, ? loro consoli e podestà. Tutto volgevasi ormai alla signoria di quella gran repubblica, e ciò appunto si avversava dal partito patriarcale, che sebben minore di gran lunga del tradizionale veneto-istriano aveva per sè le armi del patriarca, e il predominio in quegli anni nella città di Capodistria, fiacchi ausili non valevoli certo ad arrestare ciò eh' era voluto dalla necessità de' tempi, e dal voto delle popolazioni, nè potevano recare che un piccolo ritardo al compiersi dei destini della provincia, e questo medesimo a prezzo di sciagure e di sangue. Si collegarono col patriarca Capodistria, Trieste, Enrico di Pisino (soggiorno per qualche tempo dei conti d'Istria) e il conte Alberto, che si diceva allora di Gorizia per a-ver ceduto al detto Enrico in altro patto di famiglia la contea d'Istria. Capodistria, dominata dal partito patriarcale, muove contro Parenzo, tuttoché dedicata a Venezia, e il conte di Pisino assedia Montona, che in quel mentre s'era pure ai Veneti assoggettata. E andò tant'oltre l'arditezza, che si entrò in Venezia, e se ne rapirono per sorpresa le guardie de' porti. I Veneti mandano navi e militi contro Capodistria, la quale quantunque abbandonata dai conti di Gorizia e d'Istria, separatisi dalla Lega, si difende con galiardia (1279)e cede poi alle armi prevalenti di Iacopo Tiepolo dal lato di terra e a quelle di Marco Cornaro dal lato di ma- i_L Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore _ ( re. Dietro di ciò anche Capodistria ridonata al partito popolare, ch'era solo da pochi anni spodestato, fe' la sua dedizione a Venezia, e fu annoverata tra le sette città principali della repubblica. La sede marchesale passò allora a Pietrapelosa, e poi ad Albona. La guerra perdura contro Trieste soccorsa dal patriarca (1280); e i conti di Gorizia e d'Istria ritornano all'armi mentre tutte le città istriane manifestano apertamente di non voler che Venezia. Anzi Isola e S.Lorenzo al Leme si danno a quella signoria, e nell' altro S. Lorenzo vien posto veneto magi trato con autorità provinciale e col nome di Pa-sinatico, che restò poi sempre epiteto del luogo. Si conchiude bensì un' altra pace, in cui Trieste promette fedeltà e tributo a Venezia (1281). Ma in quella che Pirano si dedicava essa pure alla veneta repubblica, (1283) il patriarca Raimondo univasi nuovamente ai conti di Gorizia e d'Istria, alla stessa Trieste, nonché questa volta a Padova e a Treviso contro i Veneti e gì' Istriani. Si prende Capodistria e tosto i Veneti la riprendono. L'isola dinanzi al Timavo viene da questi occupata (1284) : così, tornate inutili le iniziative di accomodamento, (1286) Montecavo, Muggia, Moccò presso Trieste, stretta ella stessa d'.assedio l'anno seguente 1287 da Marino Morosini. Vi accorre il patriarca Raimondo col conte Alberto, che abbandona la Lega, e poi vi ritorna assieme ad Eurico di Pisino. I Veneti e gì' Istriani sono costretti a ritirarsi. I Triestini prendono Caorle (1289) e si spingono fino a Malamocco. Nè ad arrestare tutte queste ostilità vale l'intervento del pontefice Nicolò IV (1290) il quale mediante legato dà prin cipio ad un accordo che non ha effetto. Il patriarca infatti vuol trar profitto della guerra in cui si trova Venezia impegnata contro Genova, e persiste nelle ostilità, che riescono a fargli riportare nel 1290 una vittoria cor1 ro i Veneti e gl'Istriani. L'anno seguente tregua; e Muggia e Montecavo restituiti da V enezia, l'una al patriarca, e l'altra a Trieste. Questa durante la tregua e precisamente nel 1295 si affrancò da quel dominio de' propri Vescovi che venne più sopra ricordato e che si era mano mano ristretto specialmente nel 1236 e nel 1253. Così Trieste, governata a comune si trovò, quasi diremmo, anseatica. Rotta poi la tregua, venne ella nuovamente assediata dai Veneti, e nuovamente soccorsa da Alberto. Moriva intanto il Patriarca Raimondo, e Pietro Gerra succedutogli governava solo due anni, (1299) e veniva sostituito da Ottobano de' Rozzi vescovo di Padova (1302.) Questi voglioso di quiete si compromette di nuovo nel Pontefice (1304) e dopo lunghe proposte e modificazioni la pace resta conchiusa nel 1310: pace la quale dopo un secolo di guereggia-mento, fino dal principio del potere patriarcale, nulla fruttò allo stesso, che voleva pure estendersi. All'incontro un taleinfendimentopor.se opportunità alla potente ed accorta Venezia di aver un debole nemico da vincere e quindi di allargar ella propria signoria, L'UNIONE J CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. L'integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costanza ed energia, al vero, all' equità» alla moderatezza. — 26 Marzo 1860. — Muore il matematico Antonio Bordoni — (V. Illustrazione.) Questa idea di dominare estesamente nella terraferma veniva ora proseguita, da che il governo della repubblica aveva nel 1296 preso forma di pura aristocrazia colla famosa serrata del consiglio. Nè manco vi si prestavano i tempi. Se riguardiamo infatti il resto d'Italia, troviamo che precipitata la casa di Svevia con Corrado III e con suo figlio Corradino, vi si erano introdotti quelli Angioini che prepotenti in Napoli, non arrestarono la libertà vieppiù crescente delle altre provincie italiane, ed era succeduto nell'impero romano quel Rodolfo d'Ab-sburgo,iI quale per la ben calcolata sua politica di Germania trascurò l'Italia, con esempio seguito più o meno per due secoli dai suoi discendenti fino a Massimiliano e Carlo V. Se poi ci rifacciamo con le nostre considerazioni all'Istria ne avviene tosto di vedere come tutto collimasse a compiere la trasformazione del protettorato di Venezia in dominio, vale a dire e prepotenza di signori, e ulteriori guerre tra comuni e patriarca e conte, tra questo e patriarca, e tra l'uno e l'altro e Venezia, la quale per di più era incitata a ben istabilire nella nostra provincia il proprio governo anco dalle guerre con Genova. Proseguiamo ora a toccare di questi nuovi avvolgimenti. In Pola era tornata la famiglia de' Sergi a dominare, e in Trieste la famiglia dei Ranfi tentava di togliere al comune il governo : congiura che fu repressa con tale ferocia da ricordare le maggiori enormezze di quel tempo. Morto il patriarca Ottobono gli succede prima Gastone della Torre (1315) e poi Pagano della Torre (1319), guelfo di partito, quando s'era già da qualche tempo mutata nel patriarcato l'anterior politica ghibellina. Si trovò quindi subito da uu canto ili opposizione con Arrigo duca di Carintia e del Tirolo, ghibellino e tutore ch'era del conte d'Istria Giovanni Arrigo, figlio del già nominato Enrico, e dall'altro ebbe a lottare con nuove agitazioni nei comuni istriani. Mentre Barbana, spettante alla contea d'Istria, viene distrutta dai partigiani del patriarca, Pola gli si ribella e solo a breve quiete è ricondotta (1328). Rovigno rinnova la dedizione a Venezia (1330), e Pola esiliando i Sergi, riesce a compierla. (1331) Così pure Dignano ad altre terre minori. Per tal modo finita appena la guerra col conte di Carintia e del Tirolo, altra ne sosteneva il patriarca contro gli Istriani e i Veneti per le nuove dedizioni, e in questa collegavasi con Martino ed Alberto della Scala, capitani generali di Verona, Vicenza, Trevigi, Feltre e Belluno. Entrò egli bensì in Istria e prese il castello di Valle, ma tosto fu respinto da Giustinian Giustiniani, capitano della repubblica. Cessata anche questa guerra, mercè il vescovo di Cincordia, col riconoscimento del dominio veneto in Pola, Dignano e Valle (1332), si riprendevano le ostilità contro la contea d' Istria, in cui era succeduto Alberto III, cugino del detto Giovanni Arrigo. E quindi da una parte il patriarca Bertrando di S. Genesio, venuto dopo Pagano (1334), muove contro Pisino (1338), e dall'altra il conte occupa Duino (1341), ili un medesimo che quest'ultima va ad impegnarsi in altra guerra con Venezia pel castello di S. Lorenzo. E come ciò non bastasse, l'Istria veniva da prima depredata da una scorreria d'orde croate, e poi desolata nuovamente da pestilenza. Fu allora che Alberto III conte d'Istria, e Alberto IV conte di Gorizia, per ajutare il patriarca, destarono in Capodistria con un drappello di propri una sommossa, sotto sembianza di ristabilire il governo comunale. Ma tenne fermo il suo castello detto Castel-Leone, e venutivi i veneti (1348), condotti per mare da Pancrazio Giustiniani, e per terra da Marin Faliero, la città fu ripresa. 1 collegati che ora si uniscono ed ora si sciolgono a brevissimi intervalli, tornano nuovamente a dividersi, permanente com'era la causa delle scissioni così nella potenza di Venezia come nel volere dei comuni istriani, i quali uè di conti nè di patriarchi-marchesi voleano saperne. Si vede quindi il patriarca in guerra con gli stessi conti di Gorizia, unitisi a suo danno con molti nobili friulani. Ma recatosi nel Friuli fu colto da una banda di soldati di Gorizia, quando u-sciva co'suoi da Spilimbergo, e nella mischia restò ucciso. Egli pure come i suoi predecessori vide affrettarsi la dissoluzione del poter marchesale di Aquileja, e alla sua morte Venezia era già signora e del litorale d'Istria e di molte castella nell'interno. Succedevagli Nicolò figlio di Giovanni re di Boemia e fratello a quel Carlo, (1350) che fu anch'egli re di Boemia in appresso, e quindi imperatore IV di tal nome. Tosto insediato continuò la guerra contro il conte di Gorizia, alla quale aggiungeva esca il desiderio di rintuzzare la presa d'Albona, fatta da esso conte di Gorizia e da quello d'Istria di concerto, a quanto sembra, col duca d'Austria (1352). Si cerca nuovamente di sommuovere Capodistria; ma il tumulto è tosto sedato, e Venezia, visto il pericolo che le veniva dalle flotte genovesi, fa pace coi conti di Gorizia e d'Istria, essendone mediatore Francesco di Carrara signore di Padova. _ (Continua) Una lettera inedita DEL BESENGHI Ci è caro di poter qui pubblicare una lettera inedita del nostro Besen-ghi, inviataci dall'illustre letterato mons. Jacopo Bernardi col seguente scritto. ......una lettera che trovai fra quelle dirette al Paravia dai più ragguardevoli suoi contemporanei. La epistola, come cosa letteraria e biografica non è senza importanza. — Porto sempre nel core i giorni lietamente e profittevolmente trascorsi in codesta Città ospitale, ed ora mi si ridesta ad ogni tratto, e nelle conversazioni amiche e nella lettura frequente, la gratitudine che vivrà in me perennemente...... Venezia, 6 marzo 1878 Jacopo Bernardi Caro Amico, Desidero il parere vostro schiettissimo intorno la Canzone*) che vi mando. L'ho gittata giù come veniva non m'imaginando mai che si dovesse stampare, e ciò eh' è peggio col mio nome di fronte. Il modo onde ho u-sato il verbo consentire alla faccia 6 non so se sia di buon uso: vi dico che noi so, perchè scrivo di loco dove non ho libro alcuno da consultare. Ma maggiori dubbii mi tormentano riguardo alla strofa sesta. Preme il tempo è egli buon detto ? Altri monti, altri mari, e un immortale secolo ne aspetta. Non potrebbe talun credere che qui mi fosse caduto dalla penna uno sproposito di Grammatica? Altri monti, altri mari, secondo che a me e paruto, è una di quelle maniere elitiche o sospese, di che tanto si giova il linguaggio appassionato de1 poeti ; nè dee punto venir regolata da quell' aspetta che sussegue. E che ne dite di quel serri nell'autipenultimo verso della medesima strofa ? Di grazia buttatemi sulla carta due parole, che a voi costeranno manco che niente. E se non la vi paresse cosa al tutto ladra, passate la Canzono al Giornale Trivi-giano, e fatevi su le vostre osservazioni, e siano pur libere e franche, ch'io lo terrò a onore grandissimo e ve ne avrò obligo da non et