476 Zakladi tisočletij. Zgodovina Slovenije od neandertalcev do Slovanov. D. Božič et al. Založba Modrijan. Znanstvenoraziskovalni center SAZU, Inštitut za arheologijo, Ljubljana 1999. ISBN 961-6183-68-0. 430 pages, 736 figures. Experts from leading scientific institutions, mainly from the Institute of Archaeology and the National Museum of Slovenia, contributed chapters to this book titled “The Treasures of Millennia”. All archaeological periods, from Paleolithic finds and sites to the settlement of the Slavs in what is now Slovenia, are presented. Scientific methods in archaeology are presented in the introduction by A. Pleterski, ancient sources by M. Šašel Kos, and the development of archaeology in Slovenia by J. Dular. Paleolithic and Mesolithic sites and finds are presented by I. Turk, while A. Velušček surveyed the Neolithic and Eneolithic periods. The Bronze and Iron Ages are presented by J. Dular and D. Božič. The Roman period is surveyed by J. Horvat, M. Šašel Kos and P. Kos, while the late Roman period is reviewed by R. Bratož and S. Ciglenečki. A. Pleterski and T. Knific present the early medieval period and the settlement of the Slavs. The book, written in Slovenian, is intended to be used by students and all others who are interested in knowing about the past of Slovenia. Barbara NADBATH Drago Svoljšak, Ana Pogačnik: Tolmin. Prazgodovinsko grobišče I. Katalog (The Prehistoric Cemetery I. Catalogue), 202 pp. e 101 tavv.; Prazgodovinsko grobišče I. Načrt grobišča (The Prehistoric Cemetery I. Plan of the Graves); Prazgodovinsko grobišče II. Razprave (The Prehistoric Cemetery II. Treatises), 139 pp. (figg. n.t.), con la participazione di Biba Teržan et al. Katalogi in monografije / Catalogi et Monographiae 34-35. Narodni muzej Slovenije, Ljubljana 2001-2002. L’imponente opera in due volumi redatti in sloveno e in inglese, completata da un terzo fascicolo che raccoglie le planimetrie delle tombe, è dedicata alla necropoli ad incinerazione scavata da Drago Svoljšak nell’alta valle dell’Isonzo (Soča) tra il 1965 e il 1970: si tratta di una pubblicazione molto attesa e di fondamentale importanza, che sarà certo salutata con interesse ed entusiasmo dagli studiosi, in particolare da quanti si occupano di protostoria dei territori dell’arco alpino orientale. Il lavoro è talmente ricco di dati, di spunti e di osservazioni stimolanti che non è possibile offrirne un resoconto completo e dettagliato rimanendo entro limiti di spazio ragionevoli. L’occasione di uno studio esauriente dei reperti, conservati nel Museo di Nova Gorica, è stata fornita nel 1997 dalla redazione di una tesi di laurea svolta sull’argomento da Ana Pogačnik presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Lubiana. Nel volume di catalogo sono illustrate, e collocate nei 78 quadranti in cui è suddivisa l’area, le 460 sepolture che costituiscono pressoché la totalità delle deposizioni; il quadro è completato dal materiale trovato fuori contesto. Grande attenzione viene prestata alla tipologia funeraria e al rituale: fatta eccezione per le prime nove unità, distrutte nel 1965 durante lo scavo delle fondazioni di una casa, per ciascuna tomba sono forniti dati esaurienti sulla struttura dei pozzetti, sulla presenza eventuale di lastre di copertura, sulla disposizione dei resti cremati e degli oggetti di corredo. Nelle nitide e accuratissime tavole, accanto ai disegni dei reperti, troviamo sempre la sezione e talvolta anche una piccola pianta della tomba, in scala 1:20. Com’è spiegato a p. 7 della premessa, non c’è corrispondenza tra la numerazione degli oggetti nel catalogo e i numeri con cui essi sono contrassegnati nelle tavole: sistema che impone al lettore una certa fatica. Il volume degli studi, oltre che ai due curatori dell’intera opera, è dovuto alla competenza di Biba Teržan e di vari specialisti. Da D. Svoljšak, che è autore dei primi due contributi specifici (The Archaeological Topography of Tolmin and the Immediate Vicinity, pp. 7-10, e The History of Research, 1 1-19), veniamo informati sulle caratteristiche del bacino di Tolmino, alla confluenza dell’Idrijca e della Bača con l’Isonzo, in facile connessione col sistema idrografico della Sava, e quindi col bacino di Lubiana, e con tutto il retroterra nordadriatico. Il cimitero di cremati si estendeva alla periferia nordoccidentale di Tolmino, oggi il maggiore centro della zona, costruito su uno sperone che domina la confluenza del torrente Tolminka con l’Isonzo, alla base del Kozlov rob: su quest’altura già il Marchesetti aveva congetturato che fosse localizzabile l’abitato antico. Lo studio di Ana Pogačnik (The Burial Ritual and the Analysis of the Grave Goods, pp. 21-84) ci offre innanzi tutto una serie di informazioni generali sulle tombe, tutte ad incinerazione e, con una sola eccezione (t. 231), senza urna, con pozzetto colmato dalle ossa combuste e dalla terra di rogo, fino a formare un cumulo, e coperto in genere da una o due lastre litiche, per lo più di calcare (fino ad un massimo di quattro), e più raramente da una o più grosse pietre, che dovevano servire anche da segnacoli. Segue, per classi (raggruppate in ornamenti, oggetti d’uso e attrezzi, armi, ceramica), l’analisi degli oggetti di corredo e dei doni votivi deposti sulle tombe - quindi non danneggiati dal fuoco del rogo -, a partire dalle fibule, l’ornamento meglio rappresentato e più uniformemente diffuso a Tolmino (ne sono state trovate ben 139, distribuite in 99 tombe), che nel periodo d’uso della necropoli costituisce il principale indicatore di deposizioni femminili, e a continuare con spilloni, l’equivalente della fibula nei sepolcri maschili (rappresentati da 121 esemplari), torques, armille, anelli digitali, pendagli, vaghi di collana, cerchielli, fusaiole, aghi, coltelli, cuspidi di lancia e, infine, ceramica. Per le varie classi di manufatti, come per gli aspetti del rituale funerario - numero di lastre, esistenza di circoli di pietre, ecc. -, oltre alle quantità, vengono fornite costantemente le percentuali delle presenze. A parte la ceramica, di cui non viene offerta un’analisi dettagliata, per ciascuna classe di oggetti l’autrice elabora una sua personale classificazione: così, ad esempio, le fibule vengono distinte in quattro grandi raggruppamenti - ad arco semplice, a staffa lunga, semilunate, ad occhiali -, e poi suddivise in tipi e varianti. Questo pur encomiabile sforzo di sistematizzazione suscita talora alcune perplessità per il modo in cui è stato formalizzato l’ordinamento gerarchico: sono stati in genere indicati come “tipi” gruppi di manufatti che nelle classificazioni correnti (ad es. nella serie dei Prähistorische Bronzefunde) corrispondono a “classi” o “famiglie”: così, ad esempio, tra gli spilloni, sotto la denominazione “Tipo II” sono riuniti insiemi disparati di oggetti il cui unico elemento comune è la “forma semplice” della testa (p. 42: simply formed head). Il caso forse più macroscopico è quello dei pendagli e degli elementi decorativi (pp. 62-65): i sei “tipi” che la Pogačnik distingue corrispondono piuttosto a “classi” di ornamenti molto eterogenei - pendagli, tubetti di lamina ripiegata e saltaleoni, catenelle, borchiette - ; il “tipo III” comprende “pendagli di varie forme” che l’autrice divide in quattro “varianti”: pendagli triangolari di lamina bronzea, pendagli formati da tre cerchielli, pendagli a cerchiello con un breve apice, pendagli a forma di spada corta o cuspide miniaturizzata. Oltre alla tipologia, ai dati sulla distribuzione areale e alle percentuali, la Pogačnik fornisce anche dati numerici sulle associazioni degli oggetti nelle tombe, rendendoli graficamente con tabelle nelle quali alcuni ideogrammi rappresentano simbolicamente le categorie (ad esempio, per indicare le combinazioni comprendenti uno o più spilloni viene usato il disegno dello spillone con testa a rotolo). Le scelte, che non vengono esplicitate dall’autrice, possono talora risultare alquanto fuorvianti, come si può constatare ad esempio, ancora una volta, nel caso dei pendagli, che sono rappresentati nelle tabelle dall’oggetto meno frequente e anche meno familiare tra tutti quelli della categoria: il pendaglio a forma di spada miniaturizzata, rinvenuto a Tolmino in un solo esemplare, fuori contesto (tav. 95: 8). Knjižne ocene in prikazi 477 Queste osservazioni non sminuiscono comunque l’importanza del lavoro: un’analisi interna molto proficua, ricca di preziose notazioni, che certamente darà ottimi frutti in futuri appro- fondimenti. Col contributo di Biba Teržan (Chronological Outline, pp. 85-102) si passa al livello successivo, quello dell’analisi cronologica e dell’inquadramento culturale. Come appariva già dagli studi preliminari condotti sull’argomento da vari studiosi a partire dagli anni ‘70, la necropoli di Tolmino si colloca in larga misura nelle fasi antiche dell’età del ferro, all’inizio della facies di S. Lucia/Most na Soči, di cui contribuisce a chiarire il processo di formazione. Preannunciando un più articolato lavoro della Pogačnik sull’argomento, la Teržan dichiara di volersi limitare in questa sede a offrire un “abbozzo provvisorio” della cronologia del complesso, fondandolo sui corredi più significativi. La studiosa prende in considerazione essenzialmente gli ornamenti di bronzo e incentra la sua analisi su spilloni e fibule, ossia gli ornamenti che, essendo per quest’epoca anche distintivi del sesso dei defunti, costituiscono i principali indicatori archeologici: essa dunque riprende e continua un tipo di ricerca iniziato da lei stessa, insieme a Neva Trampuž, ben trent’anni fa, quando aveva avanzato la sua proposta di scansione della facies di S. Lucia in due periodi, a loro volta suddivisi in fasi basate soprattutto sui cambiamenti osservati nella produzione di fibule (cfr. B. Teržan, N. Trampuž, Prispevek h kronologiji svetolucijske skupine / Contributo alla cronologia del gruppo preistorico di Santa Lucia, Arh. vest. 24, 1973, pp. 416-460). L’inizio dell’uso della necropoli di Tolmino viene datato alla fase Hallstatt B1 o al passaggio Ha B1-B2, ossia tra l’XI e il X secolo a.C., sulla base di alcuni corredi: tra i più antichi vi è quello della tomba n. 417, con spillone a testa biconica costolata, coltello di ferro e tazza carenata con alta ansa (vol. I, tav. 82). Le deposizioni proseguono poi fino al momento di transizione da Ha B3 a Ha C1 (VIII-VII sec.), corrispondente alla fase S. Lucia Ib. Per il momento più arcaico, caratterizzato da una molteplicità di elementi di varia provenienza e dall’uso precoce del ferro, i termini di confronto più significativi si rintracciano ovviamente nei Campi d’Urne di ambito pannonico e alpino sudorientale (Dobova e Ruše); sono però chiaramente avvertibili anche gl’influssi della facies dell’inoltrato Bronzo Finale dell’Italia padano-veneta: si veda ad es. la presenza di vari spilloni con testa cipolliforme e collo ingrossato e ritorto o decorato da incisioni (Tipo VI, variante 1a e 2a della Pogačnik, corrispondenti nella classificazione di Carancini al “tipo Marco” e tipi affini), che risultano diffusi tra il Veneto, la bassa Lombardia e il Trentino. Vale forse la pena di ricordare che anche nel contiguo territorio friulano, che in tutti i tempi ha rivestito un’importante funzione di tramite fra l’Italia padana e peninsulare e le Alpi orientali, sono stati individuati almeno due esemplari di questa classe di spilloni, conservati al Museo di Udine: di uno non è noto il luogo di ritrovamento; un altro proviene dal castelliere di Gradisca di Spilimbergo, nel Pordenonese, fondato al volgere del Bronzo Finale, cioè nell’epoca delle più antiche deposizioni di Tolmino. Altri tre spilloni di tipologie simili (inediti) sono stati rinvenuti a Redipuglia, un castelliere purtroppo mai indagato sistematicamente, situato sul basso Isonzo, in un punto nodale di collegamento tra il Friuli e il Carso e la cerchia di S. Lucia. È, questa, una fase di intensa circolazione di individui, di merci e di idee, estesa fino al bacino dell’Egeo, che coinvolge massicciamente le regioni dell’arco alpino orientale dal Veneto all’Istria e all’alto Isonzo: come nell’Italia peninsulare, anche nei nostri territori cominciano ad emergere fin da ora orizzonti culturali differenziati e identità etniche. Contatti analoghi a quelli documentati a Tolmino sono rilevabili nella necropoli di Brežec presso S. Canzian del Carso/Škocjan, la fiorente località protostorica situata a nord dell’Istria, il cui nome ritorna spesso nel contributo della Teržan per le sue numerose affinità con la cerchia culturale dell’alto Isonzo. Va peraltro sottolineato - com’è stato recentemente lumeggiato dalla stessa studiosa (cfr. An Outline of the Urnfield Culture Period in Slovenia, Arh. vest. 50, 1999, in particolare pp. 112- 113) - che, al di là delle somiglianze, spiegabili talora in base allo stesso tipo di contatti, nelle necropoli delle zone alpine di sud-est (e perfino tra quelle della zona di S. Canziano) si riscontra una straordinaria eterogeneità culturale: il che, pur con la cautela necessaria quando si istituiscono correlazioni tra cultura ed ethnos, può essere considerato indizio della coesistenza in un territorio relativamente limitato di svariati gruppi di genti, di diverse provenienze, ciascuno con le proprie tradizioni e peculiarità. Nel periodo di maggiore utilizzo della necropoli, corrispondente alle fasi antiche dell’età del ferro, ossia, in termini di cronologia calibrata, tra la metà del X e l’inizio dell’VIII secolo, risaltano ancora, tra i diversi altri aspetti, i rapporti con l’Italia padana: l’ampia circolazione di elementi riconducibili all’àmbito villanoviano, evidente con diversa intensità in tutto il territorio altoadriatico, è attestata a Tolmino soprattutto dalla presenza, in sepolture maschili, di determinate classi di spilloni (come ad es. quelli con testa conica e globetto, riuniti dal Carancini nel “tipo Porto S. Elpidio” e affini: cfr. il Tipo VIII della Pogačnik). Ancora una volta può forse risultare proficuo il confronto col Friuli, che in questo periodo gode di notevole prosperità e uniformità culturale e che, pur nell’àmbito di un’organizzazione di tipo tribale, comincia a manifestare qualche sintomo di complessità sociale: il fenomeno è segnalato dalla presenza nei pochissimi e purtroppo incompleti contesti funerari conosciuti - come S. Vito al Tagliamento (Pordenone) e Guarzo presso Talmassons (Udine) - di armi e altri oggetti di tipologia o forse addirittura di provenienza villanoviana legati alla sfera del prestigio (coltelli, rasoi, elementi di bardatura e anche ornamenti come fibule e spilloni), e dal ritrovamento sporadico di spade di tipo mediotirrenico appartenenti all’equipaggiamento del guerriero villanoviano, pervenute verosimilmente in seguito a scambio di doni. Nella prima età del ferro sembra dunque accentuarsi l’importanza della funzione di ponte svolta dal territorio friulano: idee, tipologie, manufatti e tecniche giungono dall’Italia villanoviana al Nord-Est e fino all’alto Isonzo sia da sud, con un itinerario che passa per Frattesina in Polesine, attraversa la Bassa friulana e poi si dirama, piegando verso nord all’altezza del castelliere di Redipuglia, sia da ovest, tramite la pista che certamente correva lungo la Pedemontana e altri percorsi di collegamento tra vallate alpine. Come sta apparendo con sempre maggior evidenza in Friuli [lo dimostrano i corredi funerari di Montereale Valcellina (Pordenone) o di Pozzuolo (Udine)], anche a Tolmino, nell’ultimo periodo d’uso della necropoli (tra VIII e VII sec.), gli aspetti culturali villanoviani vengono soppiantati da quelli peculiari del mondo atestino (ad es. spilloni a testa complessa, presenti anche a S. Lucia Ib). Risulta questa l’ultima fase d’uso del cimitero: la decadenza di Tolmino viene giustamente messa in rapporto dalla Teržan con la crescita demografica e la fioritura economica e culturale del vicino insediamento di S. Lucia. Chiudono il volume cinque importanti studi di carattere archeometrico e archeobiologico. Nel primo (The Source of the Stone Grave Covers at the Prehistoric Cemetery of Tolmin, pp. 103-105) T. Verbič tratta dei principali tipi di pietra usati per le lastre di copertura: il calcare, di gran lunga più comune, proveniente dal vicino villaggio di Volče (le “lastre da Modrea” del Marchesetti) e lo scisto, di facile reperimento nel circondario. Segue, a cura di Alojz Šercelj, l’analisi delle essenze individuate (Report on the Analysis of Charcoal, pp. 107-112), i cui dati potranno essere sfruttati sia per la ricostruzione dell’ambiente circostante sia per lo studio del rituale, grazie al significato simbolico dei diversi tipi di legno scelti per il rogo funebre. Dai risultati dello studio antropologico condotto da Cristina Ravedoni e Cristina Cattaneo (Le cremazioni di Tolmin. Analisi antropologica e paleopatologica, pp. 113-129, con tabelle riassuntive Knjižne ocene in prikazi 478 in sloveno e in italiano), si ricavano interessanti informazioni sulla combustione, che non doveva raggiungere temperature molto elevate, sul rituale - le tombe risultano tutte singole e la scarsità di resti cremati fa ritenere che venissero raccolte dal rogo solo “manciate simboliche” di ossa - e, in rarissimi casi, sul sesso e sull’età dei personaggi sepolti. Gli ultimi due contributi, di carattere archeozoologico, riguardano i resti ossei di animali, combusti (Silvia Di Martino, Resti ossei animali bruciati, p. 131) e non combusti (L. Bartosiewicz, Unburned animal remains in the cremation graves from Tolmin, pp. 133-135), interpretabili come porzioni di cibo offerte ai defunti o resti di banchetti funebri. Con la pubblicazione delle tombe di Tolmino gli archeologi sloveni ci offrono, in conclusione, un indispensabile strumento di lavoro, destinato a costituire un punto di riferimento irrinunciabile per la protostoria dell’arco alpino orientale ma anche a proporre problemi e a prospettare nuovi argomenti di ricerca. I due volumi 34 e 35 della serie dei Cataloghi e Monografie del Museo Nazionale di Lubiana si allineano con una tradizione ormai ben consolidata, che nel corso degli ultimi decenni ha fornito lavori fondamentali, come in genere sono le edizioni di importanti complessi di materiali, condotti in modo ineccepibile. Paola CÀSSOLA GUIDA Janez Dular, Irena Šavel, Sneža Tecco Hvala: Bronastodobno naselje Oloris pri Dolnjem Lakošu (Bronzezeitliche Siedlung Oloris bei Dolnji Lakoš). Opera Instituti Archaeologici Sloveniae 5, Ljubljana 2002. ISBN 961-6358-42-1. 228 str., 49 slik, 65 tabel, 5 priloge. 27 Jahre nach Beginn der ersten archäologischen Feldarbeiten wurde von den Ausgräbern ein detaillierter zweisprachiger (slowenisch und deutscher) Abschlussbericht über die langjährigen Forschungen in der bedeutenden spätbronzezeitlichen Siedlung Oloris bei Dolnji Lakoš im östlichen Teil des Prekmurjegebietes nahe der slowenisch-ungarischen Grenze präsentiert. Das Werk ist in zwei Teile gegliedert: Im ersten Teil wird von den drei Autoren Janez Dular, Irena Šavel und Sneža Tecco Hvala ein Überblick über den Verlauf der Forschungsarbeiten gegeben, die Befundlage eingehend erörtert und interpretiert sowie - gleichsam als Grundlage für Teil zwei der Arbeit - der Katalog der Funde und die Tafeln mit den Fundabbildungen vorgelegt. Janez Dular obliegt es dann im zweiten Teil, Dolnji Lakoš und die Jungbronzezeit zwischen der Mur und der Save einer eingehenden komparativen Untersuchung zu unterziehen. Im ersten einleitenden Kapitel des ersten Teils wird nach einem Abriss der geographischen und topographischen Situation der im Grundriss annähernd dreieckigen, leicht erhöht in einer heute verlandeten Flussschlinge der Mur gelegenen Siedlung, über den Verlauf der Forschungen im Gelände berichtet. Nach ersten Sondagegrabungen 1975 und größeren Sondagen 1977 wurden von 1981 bis 1985 jährlich gezielte Forschungsgrabungen vom Pokrajinski muzej Murska Sobota und dem Institut für Archäologie des Forschungszentrums der Slowenischen Akademie der Wissenschaften und Künste (ZRC SAZU) in Ljubljana durchgeführt. Diese Grabungen hatten zum Ziel, den Innenbereich der Siedlung, den umgebenden Graben und die Besiedlung des näheren Umfeldes systematisch zu erforschen. So erbrachten die Schnitte durch den Graben, dass die Siedlung von einem Holzzaun umgeben war, von dem sich noch Hölzer fanden, und dass sich Gebäude bis an den umzäunten Rand zogen. Eine Überraschung war der Fund eines Brunnens mit einer Holzkastenkonstruktion. Sondagen außerhalb der Siedlung wiesen Funde auch im weiteren Umfeld derselben nach, darunter auch äneolithische Reste. Hauptziel der Grabungen war aber die systematische Erforschung des Innenbereiches, der durch landwirtschaftliche Nutzung bereits Störungen aufwies. Trotz dieser Einschränkung und den für die Beobachtung von Verfärbungen eher ungünstigen geologischen Bedingungen konnten unter einer durchgehenden 0,2-0,3 Meter dicken vermischten Kulturschicht eine Reihe von Gruben, Öfen, Feuerstellen und vor allem Pfostenlöcher erfasst werden, die die Möglichkeit zu einer - wie die Autoren mehrmals betonen - hypothetischen Rekonstruktion von Hausgrundrissen und der Siedlungsstruktur boten. Unter Einbeziehung detailliert erfasster größerer Partien von Hüttenlehmresten, Resten um- und eingestürzter Wände, ließen sich Hausgrundrisse unter der Prämisse nachzeichnen, dass die Öfen bzw. Feuerstellen und Vorratsgruben stets im Hausinneren gelegen waren, dass die Gebäude Eckpfosten haben, die Spannweite der Frontwände fünf Meter und der Unterschied der Tiefen der Pfostenlöcher 0,15 Meter nicht überschreiten sollte. Insgesamt konnten lagemäßig so 13 Häuser rekonstruiert werden, die modellhaft eine regelhafte Struktur erkennen lassen. Alle 13 Grundrisse haben eine annähernd gleiche Größe sowie Ausrichtung und waren in der Mehrzahl mit leichter Abweichung in Nord-Süd Orientierung angelegt, in zwei Fällen Ost-West gerichtet (Haus 7 und 12). Allerdings deuten die ohne Kontext gelegenen Öfen P-307 und 308 sowie die Vorratsgrube J-308, die - gleichsam als Überbrückungslösung als Hofbereich angesprochen werden - bereits auf die Schwierigkeiten des Rekonstruktionsmodelles hin. Dennoch ist es nicht zu leugnen, dass die Siedlung offensichtlich einem Bebauungskonzept bzw. einer -struktur entspricht, für die Dular, Šavel und Tecco Hvala die wohl plausibelste Variante gewählt haben. Lediglich die Grundrisslösung von Haus 4 stört den Gesamteindruck empfindlich, weicht diese doch in ihrer Ausrichtung um gut 45° von allen anderen Gebäuden ab. Benachbarte Pfostenlöcher könnten eventuell eine „Nachjustierung” ermöglichen, die das Gebäude in seiner Lage dem Gesamtschema anpassen würde. Zweifelsohne mit Recht beschließen die Autoren den ersten Teil der Arbeit mit der Feststellung, dass die Siedlung bei Dolnji Lakoš planmäßig konzipiert war und der Raster der Bebauung sich die ganze Zeit über nicht wesentlich verändert hat. Der anschließende logisch gegliederte Fundkatalog ist, im Gegensatz zum Rest der Arbeit, nur in slowenischer Sprache verfasst. Dem Katalog folgen 65 Tafeln mit den Fundzeichnungen, die zum zweiten Teil der Arbeit überleiten. Es kann bereits vorweg- genommen werden, dass der von Janez Dular verfasste Materialauswertungsteil als absolute Grundlagenarbeit zur chronologischen und kulturgruppenmässigen Einordnung nicht nur der Funde aus Dolnji Lakoš, sondern überhaupt sämtlicher greifbarer, annähernd zeitgleicher Materialien aus Slowenien, bezeichnet werden kann. Basierend auf einer äußerst feinen Typologie der Randformen und der Fakturen unterscheidet Dular 13 Topftypen (L1-13), zehn Schüsselformen (S1-10), zwei Krugtypen (V1-2) und vier unterschiedliche Schalentypen (Sk1- 4). Nach der Aufzählung der Henkel- und Griffvarianten werden die unterschiedlichen Ornamentvarianten behandelt (applizierte, eingeritzte, eingedrückte Ornamente, Kannelierung und Facettierung). In einem ersten Schritt der Auswertung untersucht Dular die horizontalstratigaphische Verteilung einzelner Gruppen typologisch verwandter Formen, doch kommt er zu dem Ergebnis, dass eine derartige Analyse keine klaren oder sich gegenseitig ausschließenden typologischen Gruppen erkennen läßt und sich somit das bereits bei der stratigraphischen Untersuchung gewonnene Resultat einer zeitlich durchwegs homogenen Siedlung wiederholt. Auch die Überprüfung der Typenvergesellschaftung in vier geschlossenen Fundkomplexen belegt nur, dass die Mehrzahl der Gefäß- und Ornamentformen gemeinsam vorkommt. Demgemäß ist es nicht möglich, aus dem stratifizierten Fundmaterial eine typochronologische Abfolge des Materials und überhaupt der Siedlung an sich zu gewinnen. Im nächsten Schritt unterzieht Dular das Keramikmaterial aus der zeitgleichen großen Siedlung Rabelčja vas einem Vergleich mit den Typen aus Dolnji Lakoš. Auch in dieser Siedlung konnte das Keramikmaterial mit der stratigraphischen Methode nicht Knjižne ocene in prikazi