Iz knjižnice dr, Franca dr. Milka Kosa. DOH (T/ ['i-fO. In IL O MEMORIE Dl RODOLFO PICHLER Cameriere ď onore di S. S. I. R. Consigliere Scolastico e Direttore del Ginnasio Superiore di Trento Membre di varie Accademie scientifiche e letterarie. Trento BtaMinMHto Sipofzafico Si §iovanni $e,iiit 1882. gOpZHAiiSTVO 46961 A SUA ALTEZZA SERENISSIMA LA SIGNOKA PRINCIPESSA lISi 01 ffllOHMi iiJu ir 1ST NATA CONTESSA BELLA TOERE-HOFEE-VALSASSIM SIGNORA DI DDINO SAGRADO E SISTIANA DAMA DELL' ORDINE DELLA CROOE STELLATA E DAMA DI PALAZZO DI S. M. L'IMPERATRICE DECORATA DELL' ORDINE DELLA CASA PRINCIPESCA DI HOHENLOHE ECC. ECC. ECO. La liberale munificenza colla quale V. A. S. ha re-stihdto al suo antico splendore uno dei monumenti più pregiaii che s ammirino sulle spiaggie deïï Adria, il Castello di Duino, avrebbe ricJiiesto che altra penna, délia mia più diserta, ne avessefatto conoscere la somma imporianza, illustrata la storia, descritte le meraviglie profusevi daïï arte e dalla natura con si larga mano. Soinmo ar dire perianto è certamente il mio, di umi-liare a V. A. S. le notizie che raccolsi alla meglio intorno a questo famoso Castello ed alïeccelsa Famiglia di V. A., che h rende si chiaro da piîi di tre secoli Due ragioni perh mi rivfra^icano: da un lato il de-siderio di V. A. S., che non cada in dimenticanza quanto era conosciuto fin qui e quantù si potè ancora r invenir e di nuovo su questo argomento ; ' dalï'altro il saper e non essere l'indulgenza ï ultima delle virtîij,..che adornano l'animo squi-sitamente gentile délia Serenissima Castellana di Duino. Ma havvi un motivo anche più forte, che mi spinge a pubhlicare sotto gli auspicii delï A. V. S. questo qualsiasi lavoro: il dovere impostomi dalla gratitudine, di offrirle una testimonianza di sentito e profondo omaggio e di manifestarle in qualche guisa quanto viva rimanga scolpita nelï animo mio la memoria délia graziosa benevolenza dimostratami in ogni occasione da V. A. S. e dalla Nobilissima Sua Famiglia. Voglia dunque accettare questa mia puhblica profes-sione di rispetto ed ossequio e mi concéda l'alto onore di dirmi Trento, Maggio del 1882. di V. A. S. ^evotissimo, ohUigatissimo, umilissimo servo RQPOLFQ PIÇHLER. Al cortese Lettore. Quand'io venni la prima volta a Duino ed ebbi occasione ďammirare i preziosi cimelii che splendono nelle gallerie di quel castello; i marmi; le pergamene, le tele clie ne predicano la storia; gli avanzi grandiosi di età remotissime, clie rammentano le vicissitudini di tanti popoli e famiglie, rimasi meravigliato che nessuno ancora avesse avuto il pensiero di raccogliere le autentiche te-stimonianze dei docuraenti e le copiose notizie traman-date in ogni tempo dagli autori intorno allé cose di Duino. Nacque in me il desiderio ďistruirmene e vi at-tesi con sommo diletto; e coll'allargare le mie indagini di mano in mano che cresceva 1' attraenza dell' argomento, mi accorsi alla fine clťio stesso aveva messo insieme senza avvedermi un fascio di memorie, da poter servire air illustrázione di questa, come venne chiamata da qual-cuno, regina delle aniiche rdcche dell' Adria. 11 pubblicare siffatti studii ha un vantaggio ed un danno; vantaggio, perché ogni pietra che si porti all'edifizio délia storia generale, sia pur presa da una storia locale, pu5 dar argomento a rettificazioni ed ag-giunte; danno, perché moite uotizie, anzi che al comune dei lettori, giovano di preferenza a coloro che stanno più da vicino al luogo illustrate; ed altre ancot-a ri-guardano bensi le nobili imprese ďillustri persone e casati, ma tengono conto anche di fatti che i discendenti di quelle Famiglie amano di non ignorare, laddove per gli altri lianno minore importanza. Nasce quindi il pe-fiçolo di sviare i lettwi. S' aggiunge die, mentre io me ne stava tranquil-lamente compiendo queste memorie, venni dalle congiun-ture portato ad altre occupazioni, le quali m'hanno impe-dito di rivedere il lavoro e di farvi quelle aggiunte e cor-rezioni a cui mi avrebbe pôrto' il destro il potermi tenere a giorno di quanto altri avesse pubblicato in qxiesto frattempo. Sicchè, disperando ormai di trovar agio a fare di più, sono costretto di lasciare lo scritto qnal è, senza darvi 1'ultima mano. Ci5 non di meno havvi ben molto nella storia di Duino, die offre pascolo alia mente di ogni culta persona, e dii avrà la pazienza di scorrere queste pagine, vedrà die, fin dove il comporta 1'indole delle medesime, mi sono studiato di stancarlo il meno possibile. Il disor-dine stesso, almeno apparente, della prima parte, die forse taluno potra rimproverarmi, e il rompersi di alcune fila die si vedranno riannodate soltanto più tardi, se fu un po' di capricdo, serve pur anche a togliere la monotonia. Devo poi esprimere tutta la mia gratitudine a quei molti- eruditi- e gentili Signoři, die prestarono mano air opera mia col favorirmi d'ogni richiesta notizia, anzi col prevenirmi più volte ne'miei desiderii. Io avró occa-sione di rammentarli ái luoglii opportuni, ma singola-rissime grazie si spettano fin d'ora al Direttore dell'Ar-cliivio Imperiále di Vienna, il Consigliere Aulico Cav. Alfredo di Arneth, al Presidente on. della R. Accademia Araldica Italiana in Pisa, Cav. Giambattista di Crolla-lanza ed al costante sostenitore delle mie ricerclie, il dl, Dott. Vincenzo loppi di Udine. Spero in fine che, se v'lia prezzo dell'opera, dove ho detto male, i miei amici si sovverranno esservi fra le opere buone anche quell a di correggere gli erranti. ^ARTE PRIMA. 2Sr otizie o-enera-li. 1. Panorama d i Dnino. Cosi falim........ S'ain-e fra i temiji un libero caramino E clentro il grembo đell' età già spente Con alato pensier va pellegrino; E vede in vasta scena e genli ed opre, Chc d'ombre nebulose oblio ricopre. CiUadella. II Liuto. Si ) iniilo air aquilii suporba, eho dali' alto dolla rupo uativa domina coll' acuto siio sguardo lo circostaiiti regioiii, il Castello di Duiiio sigiioroggia sul mare o sul coiitinento, da moviggio a setteii-trioiie, dal solo clic sorgo al sol che tramoiita. Dalla cima délia sua torre tu vedi all' estromo orizzoiite quella luiiga catena di Alpi iievose, che dal Tricorno all' Albio soguauo il famoso confine supe-Tato dagli eroi della favola e diveuuto ucll' antico e medio temp o il varco del popoli, attratti alia conquista delle dovizioso coiitrado ď Ausonia. Sotto quei mouti cho si elevano come giganti, una serie di poggi e di vallate miuori, in cui si dirompe il Cai:so petroso, steu-dono due grandi ali, qui a toccare la bella pianura dei Veneti, là a couvertirsi in siuuosa penisola, ricca di citta e di porti, la quale dair Istri ebbe nome e fama. Sulle estreme poiidici di quelle ruvide roccie, alternate da qasi lussureggiauti, da verdi vigneti a terrazzo, da aridi pascoli, da distrutte boscaglie, sorgono lo antichissime citta di Egida (Giu-stinopoli 0 Capodistria), di Emonia (Cittauuova), di Parenzo, di Pieta Giulia (Pola), di Arupino (Rovigno), e piii chiara dell' altre iiel pill riposto seno dell' Adria la florida Tergeste, contro di questa îiicaiitevole sceua. Muiiicipio non certo'degli ultimi al tempo romano, Comune glorioso nell' evo di mezzo, seppe sottrarsi col gangue e col seniio de' suoi cittadini al giogo dell' alato leone, finchè, cre-sciuti i pericoli, spontanée si univa aile sorti gloriose dell' Austria, per diventarne 1' emporio più frequentato e più ricco. Di là il denso fumo dei mostri natanti e le goniiate vele dei legni minori sem-brano quasi tracciare una strada regale, clie per l'iuterminabile specchio deir onde conduce aile spiaggie remote dell' Oriente e deir Indie. Ma lungo i mutabili seni della costa, e a noi più vicina, una punta sopra 1' altre sporgente ferma lo sguardo dello spettatore ammirato. È quello il sito, dove il giudizio dell' uomo non avrebbe esitato a collocare il delizioso soggiorno della pace e della felicità. La natura ritrosa vinta e convertita dall' arte in uu Edeu ; quegli antri marini, cbe sembrano la sede di Teti e delle Nereid! ; quel parco superbo co' suoi ombrosi viali, co' suoi boschetti di eterna verzura; le limpide fontane e le aiuole olezzanti di quei giardini; quella rocca di stile normanno, che nelle sue aule maestose rac-coglie dalle quattro parti del mondo gli oggotti piii rari e preziosi ; in fine quella incantovole vista suli' acque, che si confondono col-r azzurro del cielo, onde a ragiono quel sito voile appellarsi di Mi-ramar... tutto sembrava sorridere al munifico Sire, che portato un giorno ill trionfo sul piegbevole dorso dell' onde, s' avviava festante ûltre r Ocoano ail' aequisto di nuovo dominio. — Ma, abime !.... non passarono moite lune e quell' onde medesime lo riportarono nella bara; e fraiigeiidosi meste alio scoglio della sua regia, quasi eco pietosa ripeterono ail' attonita Europa una inaudita catastrofe!... Ad altre glorie, ad altre roviue è chiamata la nostra at-tcnzioue. Dove 1' ultimo raggio dell' astro diurno bacia morendo le venete pianure seminate di castella e borgate, io veggo elevarsi la torre ď aiitichissimo tempio. Era quello l'estremo confine del dominio romano, quando i suoi colonisti vi avevano nel 182 a. C. pian-tate le loro aquile vincitrici; onde la città voile cbiamarsi Aqidleia Diktati i suoi termini fino aile Giulie, questa seconda Roma di- ■ L'insegna dell' aquila che portava quella città, dlnota quai fu l'opi-nione nel medio tempo interno all'origine del nome A''Aquiîeia, como che altri lo derivi da Aquilo, dal flume ^^MiZio, o dalP accolta delle acque (aquilegium) per cui abbiamo anche la forma Aquilegia e in antichi sigilli Aquilegis (Vedi Asquini, Centottanta iwmini illustri del Friuli). Il dotto orientalista Perva-noglù (Archeogr. Triestino n. s. Vol. V. pag. 415) vi scorge 1' aquila che rapisce Ganimede identificato con Beleno, dio protettore d'Aquiloia. veuue stazione prediletta di Cesari e Consoli, che odificaiirlovi templi e palagi e ornandola di ville suiituose, di circhi, ď acquedotti 0 di terme, la condussero a gareggiare colle delizie della capitale. Ne le infestazioui doi Marcomanni e dei Quadi, nè gli as-sedii 0 le conquiste dei Massimini, dei Costantiiii, dei Giuliani, dei Tcodosii; nè le devastazioni ď Alarico, dei Vaudali e degli Alani riuscirono per ben cinque secoli ad atterrarla, fincliè non venue il Flagella di Dio, distruttore di cinquecento città, a calpe-starne col piede insultatore le fumanti ruine. Caduto l'antemuralo ď Italia, nou doveva andar molto che anche 1' Impero occidentalo rimanesse annientato. Ma da quelle macerie fumanti, come dali' eccidio di Troia, ecco una schiera di profughi accorrere con .altre genti alla marina e, trasportati i suoi lari su più sicuri lidi, dar origine alla fortu-nata più clie millenaria Repubblica, dominatrice dei mari. E a nuovi destini era cbiamata anclie Aquileia. Fino đai tempi apostolici Ermacora convertito da Marco Evangelista e consacrato da Pietro Apostolo, v'inalzava l'invitto vessillo délia croce; il sangue dei martiri sparso innanzi ail'are esecrate di Beleno diventa anche qui la féconda semeňte di nuovi fedeh. Quindi va cresceudo di mano in mano im''Aquileia cristiana, quantunque lo scisma ne separi il Pa-triarcato di Grado, che resta fomite di lunghe rivalita. Viuta ma non abbattata dalle nuove incursioni degli Eruli e Rugii, dei Goti e dei Longobardi, barbariche orde, che a guisa di cavalloni marini si accalcaiio le une sulF altre, fiuo agli Ungheri predatoi'i di templi e di chiostri, Aquileia risorge a grandezza novella. La distruzione del dominio longobardico segna, in seguito al goveruo feudale di Carlo Magno, il principio di quelle donazioni, immunità, e privi-legi, che, gradatamente crescendo sotto gli Ottoni e gl' Imperatori seguenti, pongono il fondamento al principato sovrauo de' suoi Patriarchi. Sommo splendore vi apportano il grande Popone che inalza il magnifico tempio tuttora esistente, Sigeardo arricchito dai doni di Arrigo IV. e il generoso Uldarico I. degli Eppenstein. Stendesi quindi il temporale dominio dei Patriarchi nell' antico ducato del Eriuli, nel marchesato dell' Istria, nella Carniola, nella Carinzia, nel Trivigiano, su quel di Padova e di Bergamo, nel mentre che la metropoli ecclesiastica aquileiese, prima in Italia dopo Roma, conta sotto di se non meno di sedici vescovadi. Ma tanta grandezza è appena giunta al suo apice, che già colla morte del Patriarca Eaimondo della Torre déclina all'occaso. Seguonó tempi doi più fortuuosi: guerre incessaiiti coi iiemici limi-trofi; íitroci ribellioni dei battaglieri vassalli; discordie intestine eho distruggono ogni prosperita. Stretto in casa e fuori da tanti uemici, spossato dalla lotta, esausto negli erarii^ tradito da rovinose al-leanze, si discioglie finalmente il debole Principato e diventa facile preda délia veneta dominazione. Un' apparenza di ristretto dominio rimasto al Patriarca an-cora qualcbe anno, è simile all' ultimo raggio di luce clie debolmente rischiara una tomba deserta. Oggi delF antica Aquileia si potrebbe quasi ripetere: Etiam periere ruinae, e "Polve đivenne quel che parve eterno,,. 2. I Torriani in Milano. La scena che abbiamo contemplata è cosi vaga, tante fu-rono le memorie destatesi nella nostra mente ail' atto di ammirarla, cbe per poco abbiamo dimenticato il luogo, onde prendemmo le mosse. Ma il Castello di Duino non ha purito nulla da raccontare? Le sue mura secolari, le sue venerande ruine sono forse mute, o non dicono alto, che anche sovr' esse la storia deve avere scol-pite incancellabili orme? Fra i numerosi volumi vetusti e moderni che parlarono e parlano di queste piaggie, non .havveno alcuno, che non rammenti ad ogni tratto Duino. Lo storico ed il geografo; il poeta non meno che il naturalista, l'indigeno qaanto il forestiero se n' occuparono sempre cou predilezione. Ma la storia ordinata del Castello di Duino, che noi pei primi qui tentiamo raccogliere, va anzi tutto congiunta con quella ď Aquileia, la quale per l'antico e per gran parte del medio tempo forma il centré delle regioni circostanti, soggette più o meno a quella metropoli. Non è quindi possibile ragionare di Duino durante quelle età, senza frammettervi del continuo il nome ď Aquileia. Di mano in mano pero che va impallidendo quell' astro, i nuovi che sorgono, attraggono a se anche Duino. Deir evo antico soffra il lettore che gli narriamo le tradi-zioni e gli avvenimenti storici in luogo piii acconcio; qui giova osservare, che i Patriarch! Torriani ď Aquileia formano I'anello di congiunzione cogli attuali Castellani di Duino. Le immagini che peudouo dalle pareti dellc sue sale, richiamano alla memoria l'aii-tichissima e fra 1' altro nobilissima Casa dei délia Torre dl Val-sassina, Signoři un tempo di Milano, che trasportarono col Patriarca Eaimondo la loro sede anclie in queste regioui. Superflue è per me, che non mi sono proposto di acrivere per disteso la loro storia, r addurre e vagliare tutto quelle che dicono i cronisti intoruo alla origine délia Prosapia Torriana, seguendo il vezzo di tessere fantastične genealogie, non provate da sicuri document!, per accrescervi lustre. Mi conteuto percio di riferire una delle tradizioni più divulgate dalle cronache milanesi, seconde le quali quidam vir illustris ex stivpe regum Franciae descendit; qui accepta uxore de Biirgundia, liaerede iïlius magnae dignitatis, quae usque liodie dicitur de la Turre, super doiem vadens, diciits est Dominus de la Turre. Ji!a) isto duo gemelli fraires descenderunf, qui transactis Alpibus, ingrcssi sunt Lonibardiam. Tune in Valsassina quidam Comes nomine Tatius dominabatur, cui erant duo filiae nubiles, quas istis duobus tradidit in uxores. Moriuo Tatio, M, licet essent Comités ratione uxovum, nomen tamen suum, scilicet de la Turre, semper redinuerunt. Su questo tema seguono le varianti dei diversi autori. Fra i documenti più antichi délia famiglia devono annove-rarsi quelli scolpiti in marmo e coniati in métallo; e sono gli avanzi degli edificii sparsi per la Valsassina, i monumenti non integri d i Chiaravalle presse Milano, le tombe esistite nelle cliiese milanesi, le cui memorie ci vengono tramandate dagli scrittori; il sarcofago del Patriarca Gastone eretto in Santa Croce a Firenzo e poi tra-sportato neir atrio attiguo; il muto ' sepolcreto di St. Ambrogio nella basilica d'Aquileia; in fine le monete dei Patriarchi Torriani \ Tutte queste prove storiche non risalgono più in su del secolo XIII, salvo forse gli avanzi degli stemmi Torriani délia Valsassina, cbe si tengono per anteriori. Anche i documenti scritti dell' Archivio di Duino, per cio che spetta ai délia Torre, cominciano soltanto nel 1200. Con tutto cio F araldica ha motivi ď ammettere che le ' Muto, perché senza inscrizioni, ma parlano gli emblemi e la memoria postavi dal canonico conte Michale đella Torre; vedi Epigrafi, N. 11 e 42. II Sig. Alessandro Claricini illustro ultimamente (Gorizia 1879) un genuflessorio Torriano in legno venuto d'Aquileia, che dovrebbe anch'esso appartenere ad un' età molto remota. ^ Del Patr. Gastone pero non se ne trovano, e neppure dei Torriani Signoři di Milano. Una medaglia in bronzo colla epigrafe Ecclesia restitutaex alto, dal Valvasone e dal Palladio si ascrive al Patr. Lodovico della Torre, ma altri con più fonđamento la credono del Patr. Lodovico Mezzarota. armi torriaiic sioiio del sccolo XÍI '. Noi i;e riprocluciamo qui fedelmciitc alcuuo doi porsouaggi più illustri. Fig. f. ffl Fig. II. Fig. III. Fig. IV. [Tnuuj n n Sv) i li M Le duG pvime (fig. L e II.) sono delle monete di Raimondo della Torre, Patriarca ď Aquileia (1273-1298). La terza (fig. III.) trovasi scolpita in marmo cogli altri emblemi Torriani e cou quelle della credenza di St. Ambrogio sopra la tomba dei due Podestà del popolo di Milano, Martino e Filippo della Torro morti, quegli liel 1263, questi uel 1265 ^ La quarta (fig. IV) è tolta dalle monete del Patriarca aquileiese Pagano della Torre (1319-1334). La ' Serva ađ orientarci su questo argomento l'osservazione ď un dot-tissimo araldista: "Che i veri stemmi, scrive egli, abbiano avuto origine soltaiito nel corso del sccolo XII e non in tempi più remoti, coma volevano far credere specialniente i vecchi libri dei tornei, è ora noto a tutti coloro, che s'occupano dello studio dei suggelli e đell'armi. Sanno del pari tutti gli amatori dell'an-tiquaria, che le armi più antiche ci vennero conservate quasi esclusivamente nei suggelli delle diverse schiatte, il che accresce il loro pregio e dà alio studio della sfragistica la vera importanza ed attraenza. Le armi dei secoli XII e XIII, scolpite in pietra o in legno o colorate, sono, corn' è noto, rarissime,,. F. K., Bas HohenlohiseUe Stammwappen, Wirttembergische Vierteljahreshefte 1881, pag. 5. ' Yedi Epigrafi, N. 8. torre o i gigli^ per lo piíi astati e disposti a croce di St. Andrea^ sono cortamente della primissima età ai'aldica; il leone è quello che chiaraasi di Valsassina. Dapprima le diverse imprese appari-scono in campi separati; le monete del Patriarca Pagano comiu-ciano ad unire in un solo la toi're ed i gigli astati, che ora sono radicati, ora a forma di scettro; privi dell' asta sono quelli clie, secondo il Litta iiancheggiano la torre in qualche luogo della Valsassina. Dei colori è difficile dare iudicazioni, dappoichè anche nolle tombe di Cliiaravalle quelli che tuttora si veggono, sono fat-tura di secoli posteriori. Gli storici parlano tanto di torre rossa in campo ď argoiito, come si voggono nell' impresa moderna, quanto di torre ď argento in campo rosso, quale portavasi da Guido della Torre al principio del secolo XIV i gigli sono ordinariamente d'oro in campo azzurro. Venuti in uso i cimieri, visi aggiunse la colomba col motto: TranquiUitas Lasciando pertanto alia fede dei cronisti i fasti torriani più anťichi, teniamoci alla luce che comincia a spargersi siille loro goste da circa mezzo il secolo XII in poi. La storia dei della Torre è compendiata nella breve ed espressiva sentenza scolpita un tempo sulla tomba di Jacopo Antonio della Torre: Fortunae varii casus, Martisque tumulius Inter Tiin-itos Anguiferosque patent. Dalla rivalità fra i Torriani e gli anguiferi Visconti dipesei-o le prospéré e le avverse fortune delle due famiglie. Dietro ciascuna delle due antesignane venute a duello stava accampato un formi-dabile esorcito. Sostennero i della Torre il partito del popolo e per lo più dei Guelfi; furono i Visconti a capo dei nobili; e dai Ghi-bollini ottennero aiuto pel finale trionfo. Ma la splendida munifi-conza e la jiobiltà delle imprese Torriane, corne che informate aile ardenti passioni di quella ferrea età, terranno viva anche in mezzo ' Famiglie celébri italiane. ' Foglio 10 del Baliluineo. Il dotto Coramendatore Damiam Muoni a cni mi sento particolarmente tenuto perinnumerevoli cortesie da lui riccvute, nel suo Cenno genealogico sulla famiglia lorriani da Mendrisio cita parecchi document], dai quali deduce che il mentovato Guido della Torre è il capostipite dei Torriani trapiantati e tuttora fiorenti a Mendrisio nel Cantone Ticino; ramo che, secondo l'osservazione dell'illustre autore, sebbene a^rertito dal Litta, venne da esso in parte troncato verso la fine del secolo XV, per volgere Ja sua at-tenzione agli altri Torriani. ^ Dicono chs Napo della Torre prendcsse per divisa : Kaec dextra inihi testis et ensis; che Guido, per mostrare che non temeva l'Iniperatore Enrico VII gridasse: Invisus quem tu tibi fingis, et esse nihil moror;àk& Giorgio della Torre avcsse per motto : armis concurrimt arma coacte; e cosî via. aile loro sventure la memoria gloriosa di quella Famiglia. La mano clie dipiiise a Duiuo gli aiitichi Signoři ciella Torre, seutiva l'ardua opbra a cui s' accingeva '. Quegli ampii paludamenti, il berretto e le insegne ducali, le superbe bardature dei destriori e gli altri emblemi cbe circoudano quei personaggi, sono beusi indizio délia potenza dol Casato ; ma noa ci danno un concetto dell' indole propria, cbe doveva distinguerli I'uuo dall'altro. Erano da. ritrarsi le forme atleticbe delF illustre íiglio di Eriprando, Martino il Gigante^ Signore di Valsassina, obe mori nel 1147 per la fede cristiana sotto le mura ď Antiocbia nel sè-guito del terzo Corrado. Doveva dipingersi al vero il maestoso sembiante del muniíico Pagauo I procreate dal Martire, cbe, eletto due volte console del popolo milanese, riedificava quella infelice città uguagliata al suolo dal Barbarossa (1167) e la restituiva a novella prosperita di quel Pagano cbe Padova circondava di mura, la arriccbiva di ponti ed edificii, dava mano all'erezione del cbiostro di Santa Giustina; laonde per eura del Conte Carlo Ferdinande di Tburn e Taxis ebbe nel 1778 posto ďonore nel Prato della Valle fra le statue degli uomini illustri di quella città Erano da ricordarsi le geste di Mariino II, emulo della gloria paterna, il quale, com-'posti i dissidi delle città lombarde e, messe alla prova il sue va-lore, liberava un' altra volta Milano dali' armi dei Gbibellini. Ma eccoci innanzi aile effigie dei due Jacopi, L e II. íiglio l'uno, l'altro uipote di Martino il Gigante, e venuto cou Pagano II. ' Non tutti, per essere ritratti al naturale, poterouo aver posto nel-l'Aula dei Cavalieri, ma possono vedersi in altre stanze. ^ Piacemi qui far menzione délia classica epopea del Massi : La Lega lombarda, in cui Pagano è doscritto corne il Groffredo delP impresa contro il Barbarossa. L'Italia . :....... Degnissimo si sceglie il Torriano L'incarco a sostener di Capitano. Pagan de'Torriani in pria raccolse Anime forti di Pontida al tempio ; Sostenne il veccMo ReginalJo e volse Le città sonnolente al chiaro esempio ; Voce sovrana al giuramento sciolse Contro colui che di Milan fe' scempio ; Consol due volte della patria terra, Più dei seggi curuli amb la guerra. Quanto grazioso non è l'episodio đi Ginevra figlia di Pagano, che viene impalmata a Giulio di Verona, il più gentile dei trovatori, dei cavalieri il piîi destro Che di liuto e ď acciar fosse maestro. ^ Vedi Epigrafl, N. 6 e 39. dalla Valsassina a fermare sua stabile sede in Milano. Pagano IL uscito da Jacopo I. è quelle clie mirasi nella Sala dei Cavalieri, quasi ill atto dl calpestare coll' unghie ferrate del suo destriero i nobili incatenati del partite coutrario « i soggetti comuni della Lombardia. lofelice pensiero del pittore, cbe meglio non seppe ri-trarne la cresciuta potenza e diede origine ai piíi strani racconti, quasi obe I'agano fosse state il tiranno ed nccisore dei propri figli, laddove questi, assai numerosi, formano le diverse linee, cbe dopo le disfatte di Lombardia andarono a stabilirsi Jielle diverse parti ď Italia e di Germania. Nou v' ha dubbio che Pagano II. sia state une dei più preclari della prosapia Torriana. Chiamato dapprima a reggere Brescia ed altre città, Pagano dimorava nella sua si-gnoria di Valsassina, allorcbè i Milanesi battuti dai Ghibellini si rifuggirono presso di lui e vi trovarono le più gonerose ed umane accoglienze: egli curarne le ferite; egli provvederli di vettovaglie e dcnaro; egli farsi tutto a tutti. Tornati allé armi o veiidicatisi della sconfitta di Cortenova, (1237) i Milanesi elessero Pagano della Torre a Capitano del Popolo ' in segno di gratitudine pei ricevuti beneficii. E qui il Torriano ebbe nuova occasione di mostrar il suo animo grande. Impercioccbè essendo il Gonsiglio discorde sul partito di uscire contre quei di Pavia, che infestavano il territorio milanese, il popolo non si mosse. Uscirono i nobili e presso Ginestre ebbero I'll Maggie 1241 una grave sconfitta, cpH'uccisione e la prigionia di molti. A tal nuova Pagano, raccolto il popolo, sorprese senza indugio i Pavesi, che respinti sin sotto le mura della loro città, erbbero a gran merce di potor ottenere la pace ^ Ma col crescere della sua potenza crebbe altresi la rivalita dei partiti; laonde Pagano fu indotto alia determinazione funesta pei suoi successori, di bandire 600 nobili capitanati da Guglielmo do' Soresini; il che fu fomento di nuovi odii e diede ai vinti 1' opportunità di cercarsi alleanze fra le repubbliche ghibelline. Pagano intanto veniva nel 1241 con pubblici onori accompagiiato alia tomba di Chiaravalle, fra r universale compianto del popolo milanese ^ ' Si sa quanto le repubbliche, anche quando erano rette da un solo, odiassero titoli che involgevano I'idea di assolnto domiuio; pero si usarono anche in Milano frasi eufemistiche, quali di Capitano, Protettore del Popolo, Anziano della Credenza ed altri. ^ Se Pagano I. inspiré il poeta, Pagano II. offri acconcio soggetto al pittore nel qnadro ad olio di Carlo Belgioioso rappresentante il Ton-iano che dona la liberta al Re Enzo fatto prigioniero dai Milanesi. II farlo Vicario imperiále di Rodolfo I. è un anacronismo. = Vedi Epigrafí, N. 7. Una ricoiiciliazione venue tcntata fra i capi đei due partitL al tempo cli Martino III, nipote di Pagano II, la oui immagino con quella del fratello Filippo, per avere il pittore infreiiati i suoi voli fantastici, è riuscita mcglio dell'altre. Anello ď unione doveva essore la sorella di Paolo di Soresina, fidanzata a Pagano;, ma poté nucvamente I'ira piii che I'aifetto, di che i nobili umiliati e dispersi obbero per allora cagione di pentirsi. Intanto Martino, vinto nel 1259 ancbe Ezzelino a Cassano o liberata I'ltalia dal più sangui-nario tiranno, veniva proclamato il Grande e il Padre délia Patria, accrescendo cosi di giorno in giorno la sua riputazione. Egli fu cbe abbelli la città di Milano di superbi edificii e ď intere con-trade; ma sopra tutto memorabili restano anche oggi i canali del Ticino derivati da lui iiell' ubertosa pianura e nella città, fonte perenne di riccbezza e di prosperita per le contrade Lombarde. Tanto sicuro stimavasi Martino in quel tempo del suo po-tere, cbe emulando i tratti generosi de' suoi maggiori, voile egli medesirao darne un nuovo esempio. Teneva egli prigioni gran numero di nobili milanesi, sui quali il consiglio aveva pronunciata sentenza di morte. Martino abborrendo di tinger le mani nel sangue de' suoi rivali, mandolli a confine, come aveva fatto Pagano. Ma era ormai giunta l'ora del grande conflitto fra Torriani e "Visconti. Le prime origini di questa guerra sono da cercarsi nella morte dell'Arcivescovo milanese Leone da Perego, la cui sede divenne il pomo délia discordia. Eigettato Uberto da Settala e r Arciprete di Monza Raimondo délia Torre, il Papa Urbano IV eleggeva a nuovo Arcivescovo di Milano Ottone Visconti. Di qua le ire dei Torriani, che impedendo ad Ottone colla violenza del-1' armi di entrar nella sedo, attirarono sulla città il pontificio in-terdetto. Intanto moriva Martino e nel 1263 seguivalo nel dominio il fratello Filippo, che nomossi Signore perpetuo del papalo, mentre con lui si univano Como, Novarra, Lodi, Bergamo e Vorcelli. Al suo tempo la calata in Italia di Carlo d'Angiô produsse quel grande rivolgimento, pel quale riíiorirono le speranzo đei Guelfi. In Milano il suo esercito era accolto splendidamente; nè contente di cio, voile Filippo munirlo d'aiuti e di vettovaglie per facihtargli il passaggio attraverso le fitte spade dei Ghibellini. Anche i Bresciani stanchi del Marchese Pelavicino entrarono con Filippo in accordi secreti; ma quando egli muoveva per liberarli, gli venne meno la vita, dopo appena di:\e anni di signoria; e le sue spoglio ricevevano nel 1265 _ 13 -L wv oiiorifica sepoltura fra gli altri Torriaiii uel Monastero di Chia-ravalle '. Di fronte al famoso Pagaiio II. sta il ritratto di Napo o Napoleone I. siio figlio; jiè questo è senza motivo, perché iutoruo a lui conceiitrausi ora le vicessitudiui della famiglia Torriaiia. I íigli di Pagano II. souo quelli che diedero origine aile diverse linee della Casa, e dalla fiamma di guerra che al loro tempo s' accese viene altresi la loro disporsioiie. Fra questi, per la parte che pre-sero alla lotta, vanno principalmente ricordati con Napo, Francesco I, Raimondo I, Ca verna e Pagano III; Ermanno od Alemauno sembra ecclissarsi uel cielo lombardo, ma tanto più fulgido sorge il suQ astro in altre regioni, doiide i suoi nepoti verraiino ad illu-strare più tardi per be]i tre secoli il castello di Duino. Napo della Torre uomo destro ed accorto, valoroso, di belle forme, franco e semphce, di principesca splendidezza uei tovnei, nelle gi ostre, nelle corti bandite, era al colmo della sua gloria e stava per fondare sotto forme repubblicane una sovrauità assoluta. Milano, interdetta già da quattro anni, otteneva per gli uffici del-r Angioino 1' assoluzioue: Corradino degli Hoheustaufenj favorito beiisi dai Torriani, ma troppo' pericoloso amicu, se fosse riuscito nella moditata impresa, lasciava sul palco la testa (1268). IIB. Gregorio X, Teobaldo Viscouti di Piacenza, accolto suntuosamente da Napo neH'andare e nel venire dal Coucilio di Lione, trasferiva Eaimondo suo fratello dalla Sede di Como al Patriarcato d'Aquileia, I'Arci-vescovo Viscouti nou osava entrar iu Milano Bodolfo d'Absburgo ossequiato da Napo couie Re ď Italia e di Roma, 1' aveva create suo Vicario imperiále; ospiti suoi furono fra gli altri Margherita di Borgogna, che andava iu Siciha a sposa di Re Carlo, Filippo III. di Fr.'iiicia, qaaudo tonio dall' Oriente colle spoglie di S. Luigi suo padre, ed Odoardo I. Re d'Inghilterra, che armava cavaliere suo fratello Caverna, come Francesco ora state armato da Carlo ď Anglo. Cumo, Lodi, Vercelli, Bergamo, Novarra da lui dipendevauo; Brescia gli usciva incontro recaiido in mano rami d'ulivo: tutto cospirava ad eaaltarlo e a reiidere prospéra la sua fortuna: eppure Napo uoii era trauquillo; uu funeste presentimento lo agitava. Un anno dopo I'elezione di Napo, (1266) Pagano IIL suo fratello. Podesta di Vercelli, cadova miscramentc trucidato dalla ' Vedi Epigr. N. 8. ' n che secoiido alcuui scrittori diede motivo al Beato Gregorio di riunovare la scomunica fazione contraria. Barbara ne fu la yendetta dei Milanesi, condotti da Emberra del Balzo, i quali scanuarono cinquantadue aderenti degli uccisori. A quell'annunzio si dice che Napo esclamasse: ahl che il sanffue dî qiiesli innocenti tornerà sul capo de miei figlîuoli. non solo sopra i suoi iîgli, sopra lai stesso e gli altri parenti quel sangue dovea riversarsi. La fede de' suoi aderenti comincia a ba-lenare: in Lodi i Yestarini lo insultano pubblicamente, nè la pu-nizione inflitta a Sozzino di quella casa, cbe venue fatto prigione, ed a' suoi figli, che furono uccisi, potè certamente servire a rin-forzare il suo partito. Litanto anche Como, dopo dieci auni di soggezione, si ribella; a lei si uniscono altre famiglie potenti a' danui di Napo. Payia résisté aile milizie di Cesare venute in soccorso dei Torriaui ed aile forze lombarde con quelli collegate. Finalmeute nel 1276 esce in campo anche TArcivescovo Ottoue Visconti. Tut-tavolta parecchi fatti d'arme riescono ancora favorevoli ai Torriani, i quali, ebbri délia vittoria e crudelmente vendicativi, mozzano il capo a trentaquattro prigioni, uou risparmiaudo nè il Conte di Laugusco, Capitano dell'Arcivescovo, nè Teobaldo, nipote d'Ottouo e padre dell'astutissimo Matteo Visconti. Nuovi scontri diventauo iutauto i lugubri presagi délia battaglia di Desio, die nel 21 Geu-iiaio dell'anno seguente (1277) porto una totale scoufitta ai Torriaui. Non meno di sessanta membri di quella casa vi avevano combattuto da eroi; Francesco rimase morto; Caverna e Napo međašimo, che Ottoue salvava dalle mani di Riccardo di Lomello, Corrado Mosca suo figlio, Guido figlio di Francesco, Errecco e Lombarde nati da Alemaimo, scontano nell'orrida gabbia di Baradello le receuti sevizie. La essa periscouo miserameiite Napo, Caveriia e Lombarde; gli altri devono aile nuove vicissitudiui délia guerra la loro liberazione. Litanto la volubile plebe di Milano pone a sacco i palagi Torriani, e, senza avvedersi che inalza al potere un tiranno, acclama Ottone Visconti suo perpetuo Signore. Questo lu il tragico fine del potentissimo Napo, su cui l'in-fida sorte aveva versati i suoi favori a piene mani, per farlo rui-nare tanto più basso nel baratro d'inaudita calamità. Ma non per questo i Torriaui caddero ď animo; a domarli non valsero nè la nuova scoufitta di Vaprio (1281), luogo sempre funesto alla loro schiatta, nè la varia fortuna dell' altre imprese tentate dapprima da Gastoue, figlio di Napo, e dal Patriarca Raimondo, poi da Corrado Mosca e da Guido. Dopo un quarto di secolo essi ricuperarouo la perduta signoria di Milano, dove intanto era morto l'Arcivescovo Ottone, e Matteo Visconte da popolare tumulto era stato espulso. Guido della Torre, cMamato il Ricco ' per aiitonomasia, ■ Teniva alla sua volta acclamato nel 1302 Signore perpeiuo, meutre Ga-stoiie, íiglio di Corrado Mosca succedeva ad Ottone Visconti nella cattedra arciyescovile. Guido, giuuto all'apice della sua graiidezza, tratto cou auimo geueroso i suoi nemici, e, sprezzando le suggestioui di quelli, clie l'aizzavauo coutro Matteo Visconti, lasciollo vivere in pace nel suo ritiro di Kogarola. Se uon che ben disse un autore, che discordia Turrianorum fuit ruina Turrianorum. Intanto che reguava la pace coi nemici, s'accese la guerra fra parenti; i due poteri supremi, r ecclesiastico ed il civile, uniti nelle mani Torriane, anzi che ser-virsi di vicendevole appoggio, vennero in collisione fra loro. Gastoue accusato da Guido di tendere insidie alla sua vita, fu da lui im-prigionato ; di che Milano rimase interdetta, Guido fulminato ď anatema. Essendosi Pagano della Torre, Yescovo a quei giorni di Padova, frammesso nel dissídio con altri amici e parenti, Gastone venne bensi liberate, ma dovette andare a confine. Non ultima cagione fu questa, che affrettb la calata di Arrigo VII in Italia. L'Imperatore soggiornato in Asti dae mesi, benchè titubante, s'avanzô sopra Milano, per istigazione del vecchio Matteo Visconto, che, alzando la destra: »Signore, gli disse, questa mano ti puô dare e ti pub togliere Milano«. Troppa ragioiie aveva'Guido, capo della parte guelfa, cui s' erano uniti i Fiorentini, di restare turbato ali'avauzarsi di Cesare iii compagnia dol-Visconti, dietro il quale stáváno i Ghibellini. E nou' poteva tornargli gradito, che dalle mani deirArcivescovo Gastoue della Torre, riconciliato con Matteo, egli ricevesse nel 1311 la corona ďltalia Ma incerto del favore del popolo, dovette acconciarsi allé congiunture ed usci incontro ali' Imperatore con mal celato dispctto. Vero è, eho il Lussemburghese protestava di voler essere amico di tutti; ma i Guelfi dicevano, ch' egli non accoglieva se non Ghibellini; i Ghibellini che non voleva vedere che Guelii; il che uon impediva aU'Allighieri, di cou-cepire di lui 'le piii liete speranze. Intanto Arrigo, facendo da arbitre, costringeva le due fa' Molto egli aveva accresciuto il suo lustro collo sposare donna Bo-Jiasonte di Langusco, dovizioso casato pavese. Corrado veniva sepolto con pompa regale a S. Francesco di Milano. ' Non in Monza, ma a Milano, non la corona di ferro, che si disse nascosta dai Torriani, ma una ď acciaio, lavorata a foggia di due rami ď alloro intrccciati. miglie rivali a forzata ricouciliazioiie, la quale fruttô ai Viscoiiti la sigiioria, l'estrema rovina ai Torriaiii. Qui in fatti si pare tutta la perfidia dell'astuto e simulato Viscoute, il quale, veduto decli-nare il favore, clie 1' Imperatore s' era dapprima acquistato in Italia, entrava con sottil orditura in accordi secreti coi Torriani, per ten-tare la riscossa. Ma non si tosto in Milano si venue al conflitto, Galeazzo suo figlio uuissi ai Tedeschi contro i Torriani, 1 quali rimasero battuti e dispersi. In questo frattempo l'innocente Matteo struggevasji in proteste di lealtà e di devozione verso l'Imperatore. Da quel giorno la riteutata sorte dell' armi cesso in Lom-bardia di sorridere ai délia ïorre. Parecchi membri délia famiglia e i più illustri dei Guelfi rimasero uccisi o prigioni. Potè Ber-trando del Poggotto, legato del Papa, tentare la liberazioue dei cercerati; poterouo i Fiorentini muovere in soccorso dei loro alleati, potè anche invocarsi 1' aiuto di Federico ď Austria, eletto Re dei Romaui, e Pagauo délia Torre, allora già Patriarca d'Aquileia, predicare la crociata contro i Yiscouti; potè Matteo Visconti, sempre fiero ed avveduto, iinire la vita eretico e scomunicato ail' ctà di novaut'anui; poterono^in line nel 1323 unire le loro forze Raimondo di Cardoua, Arrigo di Fiaudra e Simone délia Torre, iiglio di Guido; — ma da Galeazzo e Marco Visconti, soccorsi da Lodovico il Ba-varo, rimasero sconlitti a Vaprio, e Simone stesso vi perdette la vita. Ciô avveniva nel febbraio del 1324, cbe segna il termine délia siguoria Torriana. Staiico di narrare tante lotte e tumulti guerreschi prima di aprire la stanza dove si accolgono le immaglni dei quattro Pa-triarchi Torriani, chiedo ail'indulgente lettore di volermi accompa-gnare in un pacifico eremo. Quante volte in mezzo aile strepitose faccende ed agitazioni délia vita non abbiamo sentito noi pure il bisogno di cercare una stanza solinga che 1' animo ci sollevi ad altra sfera! Forse vi cercammo una stilla di balsamo pol nostro cuore ulcerato, forse una speranza più pnra délia terrena; forse un'amore che meglio contenti i nostri desiderii insaziabili di félicita. E chi sa che allora l'aspotto sereno e tranquillo ď nn umile monaco non sia giunta huo a destare la nostra invidia. Perciô sotto quelle ruvide lane si uasconde non mono l'uomo volgare che r illustre patrizio; e se a quello le privazioni c i disagi riescono men duri, tanto più ammirasi quest!, che dandol'addio a quanto allieta la vita dei grandi, trova compense a tutto in una breve e squallida cella, che gli apporta ht pace. Qiiosta pace trovava nol Monastero degli Ercmitaiii in Ac[uila il Beato Antonio della Torre, disceso in quiuta generazioue da Corrado Mosca, figlio di Napo. Venuto alla luce in Milano nel 1424, dove vivevano i suoi genitori Francesco della Torre ed Agnese Contessa di Guastalla, Antonio corse per la via della santità cou quel medesimo ardore, che spinse i suoi antenati per la via della gloria. In lui corne in loro trovossi quella grandezza ď animo, che tutti ereditarono dal loro avo Martino, il crociato ed il martire. Ma conscio che l'umiltà è fondameuto ď ogni piíi eccelsa virtù, Antonio tenue sempře studiosamente celatc le opero straordinarie della sua-santità, che rifulsero sul candelabro soltanto alla sua morte, avve-nuta nel 1494. Ond' è che il Pontefice Clemento XIII per culto immemorabile lo ascrisse al catalogo dei Beati.' Le sue rcliquie si riposero nella Ghiesa di Santa Lucia, presso il Monastero che fu per tauti anni la sede della sua operosa carità e dove Dio si rese mirabile nel suo Santo por istupendi prodigi. Voglia quello spirito eletto continuare la sua protezione alla illustre Prosapia clie ha segnEito la vita del Beato Antonio della Torre fra le piíi belle glorie della sua Casa Erede dull'umiltà di Antojiio fu il Cardinale Mkhele della Torre^Và. cui effigie nella Sala dei Gavalieri non va dimenticata. Discese anch'egli dalla stirpe di Napo diflïisasi in Udine, Viccnza, Padova, Cremona, Ascoli o Macenita. Mi duolo di non potermi disten-dere a narrare per singolo le prestantissime qualità che I'adornavano, di cui furono testimonio per piii auni Talma Città, e quella di Perugia, che Michele resse come legato; ma principalmente i segnalati servigi ch' egli rese alla Chiesa dopo che, assunto da Paolo IV al Vescovado di Cenoda, sedette fra i Padri del Concilie di Trento e fu spedito alle Corti di Enrico II e di Carlo IX di Francia, finchè da Gregorio XIII fu insignito della romana porpora. U.n solo tratto della sua ~vita è sufficiente a mostrare chi era Michele della Torre, Morto Gregorio XIII, e conosciutosi che sopra ' Vedi Giambattista Cotta — Vita del Beato Antonio della Torre — Aquila 1730. Non meno di cinquantadue autori parlarono più o meno distesa-mente di questo Beato. ' Archivio, di Duino, Carteggio di Raimondo Paolo della Torre ed Apogr. A. pag. 228 e segg. Fa meravigjia che il dotto Barone de Ililbner nella sua opera 8ixste-Quint, abbia omesso o, se si vuole, appena toccato di volo a pag. 203 del vol. I. questo importante episodic del Conclave, da cui usci eletto Sisto V. Del reste si potrebbero tenere come inesatte le notizie concordi su questo punto fo.ruiteci dal Lampugnano, dal Cicarelli, dal Platina, Vite dei Pontefici, Sisto 7 e da altri, se non le confermassero i documenti di Duino. 11 Cardinale di Ceaeda potevano timrsi i voti dei suoi coiifratolli rac-colti in Conclave per l'elezioue del nuovo Poiitofice, Michele ando temporeggiando e differendo quauto potè la sua veiiuta a Homa, tutto che chiamatovi piit Yolte iii gran diligenza. E quando in fine gli fu forza otbedire, si mosse con tanta lentezza, che arrivato iiî Ancona su galea veneziana, intese ivi l'elezioue di Sisto V. Degue di ricordanza saranno sempre le parole clie gli uscirono del cuore in quell'occasioue; perocchè alzando lebraccia verso il cielo, csclamb giubilando: Dio sia lodatol andro fur di nuovo a goder e in pace là cella del mio Veseo vat o '. 3. I Patrîarchi Torriani in Aquileia. a) RAIMONDO. Niente è nuovo sotto il sole. La caduta delle più grandi potenze è uno spettacolo, a cui le generazioni umane assistono da oltre cinquanta secoli; ne poteva sperare il principato ď Aquileia d'andare esento da questa legge delle mutabili sorti terrene. Ma se volgiamo il pensiero a studiarne le origini, l'incremento e la decadenza, dovremo convenire che il Patriarca Raimondo délia Torre segna, per cosi dire, il vertice délia parabola, dopo il quale non c' è più ascensione, ma principia l'inevitabile discesa, lenta dap-prima, quindi sempre più rapida. Stendevasi al suo tempo la signoria ď Aquileia dalla Stiria e dalla Carintia al Mare Adriatico, dalla Liburnia aile rive, del Tagliamento; il paese avviavasi a pro-sperità: cresceva l'agiatezza délia provincia; le leggi e le istitu-zioni patrie comiuciavano a diffondere la loro salutare influenza sugli ordinamenti civili. Ma i nemici perpetui, interni ed esterni, che senza riposo travagliavano il Patriarcato, facevano sentire il bisogno d'un braccio vigoroso e di senno avveduto per contenerli. Benchè non sempre secondati dalla fortuna, non mancarono nè r uno ne 1' altro nei suoi venticinque anni di governo, al Patriarca Raimondo, »Principe splendido fra i più splendidi, religiose fra i »più religiosi; non superbo nella grandezza, non basso nell'avver-»sità; temperate negli affetti, grave uelle deliberazioni, paziente ' A Michele dalla Torre l'Archivio Duinese deve un Manoscritto del Valvasone, che gli dediča le vite dei qiiattro Patriarchi Torriani. — Qiianto ail'illustre Cardinale fosse cara l'urailtà scorgesi anche dalla semplice JEpigrafe che voile incisa sulla sua tomba. Vedi Epigr. N. 20. » lícilo fatiche, virilo propugnatore clei cliritti della Chiesa e dol »Priiicipato«, come lo dipiuso il suo panegirista Maucantonio Nixîo-lotti; »cil'era state accolto da tutti come costellazione salutare, »e corne tinico Padre della Patria«, come soggiuuge Giovanni Can-dido ne'- suoi Commentarii d'Aquileia; uomo in breve cho tenue in onore iion meno lo scettro che il pastorale, e grande mostrossi vuoi come Principe vuoi come Poutefice. CM ponga mente, che nolle vene di Raimondo scorreva il sangue di Pagano II, ch' egli er^ fratello di Napo, vinto alla bat-taglia di Desio, e che la Famiglia Torriana capitanava la fazione dei Guelfi, troverà naturali, se non giustificate sotť ogni rispetto, due cose: 1' una che del suo potere siasi giovato per soccorere piii volte-la causa Torriana sui piani lombardi, quantuiique non abbia avuto il conforto di vedere prima della sua morte la siguoria di Milano ricuperata da Guido; l'altra che lo spirito guelfo sia stato portata cón lui nel Friuli, dove prima dominavano i Ghibellini; ond' è che nello stato ď Aquileia trovarono sicuro rifugio non puro gran numero di famiglie guelfe dell' alta e media Italia, ma prin-cipalmente i suoi numerosi nipoti, che, perduta Milano, elessero qui una riuova patria '. Con sè recarono le loro ricchezze, le gloriose meinorie della loro potenza e quell' insigne valore che, deposta gra-datamente la ruvida scorza dsll' età del ferro, impiegarono cou tanta Iode in servizio dello Stato e della Chiesa. Raimondo della Torre venue trasferito da Como alla sede d'Aquileia nel dicembre del 1273 ^ Ed è da ammirare che il suo animo battagliero abbia saputo fin da principio cedere ai liguafdi deir assennata pohtica e della moderazione. Coi Veneti e coi Goriziani prima ancora ď entrare in Aquileia avviô pra-tiche di accomodamento nelle questioni rimaste insolute sotto il suo antecessore. 1 Goriziani principalmente, non contenti dei danni recati al Friuli, avevano caricato il Patriarca Gregorio di Monte- ' Quindi l'accusa di nepotismo data a Raimondo. I nomi Torriani che compariscono in Friuli, nel Goriziauo, e negli altri paosi liinitrofi al tempo di Raimondo e nei secoli seguenti, si trovano sparsi nelle opere di tutti gli storici del Litorale; chi 11 brama raccolti insieme, puô consultare non meno gli storici Torriani che alcuni scrittori moderni, quail il Blanchi, Bel preteso soggiorno di Dante in Udine, il Kandler, Indicazioni per riconoscere le cose storiche del Litorale e il Barone Czôrnig, Bas Land Gôrz und Gradišča. ' Tutti i suoi biografi si compiacciono di descrivere, henchè con qual-che variajnte, la splendida Cortç che accompagnollo nel suo ingresso : cinquanta gentiluomini milanesi in ricchissime assise con altrettanti cavalieri: dugento scudieri a cavallo, settecento pedoni e mille dugento cavalli ecc. ecc. longo đi sfregi iimilianti e tinte le mani uel sangue del suo Vice-ciomiiio. Nè poteva aspettausi che Alberto II di Gorizia cangiasse il suo vezzo col mutare del Patriarca; opd'e che a malgrado di continue pacificazioni, iiascevauo sempre nuove rotture ^ e queste si perfide, che i Goriziani non dabitarono nè di ribellare a Rai-mondo le città dell' Istria, nè di rapirgli Tolmino col tradimento, nè di entrare in secreti accordi con Ottone Visconti, intanto che Raimondo trattava con Rodolfo d'Absburgo di nuovi soccorsi per un' impresa di comune vautaggio. E qui mostrasi il louganime senuo di Raimondo, il quale, impegnato iii aspra guerra coi Veneziani, troppo ben comprendeva quauto importasse aver dalla sua il Conte Alberto di Gorizia. Dis-simulando perciô le tante cagioni di malcontento ché gli dava l'iniido alloato e vassallo, Raimondo teneva l'occhio fisso alla sua impresa, senza lasciarsi da altro rimuovere. Quasi undici anni duro la guerra coi Veneti, che mal soffrivano di dividere il possesso dell' Istria col Patriarca e coi Conti di Gorizia. Gloriosa resterà sempre 1' eroica difesa dei Triestini collcgati col Patriarca, e la moderazione mostrata da loro, quando al sopravvenire di Raimondo con un numero di cavalli e di fanti per quel tempo straordinario, i Veneziani, abbandonato r assedio, si diedero a fuga precipitosa. Lasciati i tripudii ed il sacco del campo nemico, i Triestini si diedero tosto ad inseguirli fin sotto Malamoçco, spargendo il terrore sulle venete coste. La guerra fini va nel 1292 coll'intervento del Pontefice Nicolô IV; ob-bligaronsi i Veneziani ad un annuo tributo verso il Patriarca, cou-servando le terre occupate al conchiudere délia pace. I sacrificii ingenti e. volonterosi di uomini e di denari, che sopportô il parlamente friulano ogni quai volta Raimondo vi ebbe _ ricorso per le sue spedizioni guerresche, fanno fede non pure del suo amor patrio ma délia sua devozione verso il principe, che di questi aiuti si valse anche a rinnovare piîi volte la guerra di Lombardia Ma le lunghe assenze del Patriarca non furono senza danno per la pace interna, turbata da frequcnti ribellioni dei feudatarii, I baroni friulani facevansi guerra accanita fra loro: odii profond! ardevano fra i Savorgnano e i Gucagna; fra i Manzano e i Gramogliano; i Signoři da Castello e gli Zuccola; e il paese ' Belle pretensioni d'Alberto di Gorizia sopra Cormons sarà pifi ac-concio parlare nella storia dei Duiiiati. si divise in due fazioni, che terminarouo in aperta guerra civile. Ma quando Raimondo muoveva a punire i colpevoli, questi sape-vauo collegarsi contro di lui corne contro comune uemico. Matteo e Giovanni Villalta posti al bando per le loro ladronerie si sol-levarono, e unitisi ai Caminesi, ai Prata, ai Polcenigo ed altri ca-stellani, misero la provincia barbaramente a ferro ed a fiioco. Lo stesso facevano molti comuni che aspiravano alla loro indipendenza: altri frattanto, corne i Duinati, conducevano la vita dei facinorosi per conto proprio ; altri ancora negavano di ricouoscere la signoria patriarcale, corne fece Mainardo di Gorizia, il quale fitigeva d'igno-rare che il Duca Uldarico di Carinzia avesse donato alla Chiesa ď Aquileia la città di Lubiana con gran parte délia Carniola. Fra tutti gl' indocili feudatarii, i Conti di Gorizia ail' oriente, ail' occi-dente Gerardo da Camino, rimasero sempre i più formidabili. In sî gravi distrette non ven ne mai meno ne la fermezza ne r infaticabile energia di Kaimondo délia Torre; il quale usando ora la condiscendenza, ora la forza delF armi, seppe ridonare al paese quella pace che fra tanti elementi di guerra era possibile, e consegui quanto i suoi successor! non valsero ad ottenere. Ma tali vantaggi non sono da ascrivere al solo valor mi-litare ed alla politica avvedutezza di Raimondo, il quale forse commise anch' egli piii d'an errore e per principe ecclesiastico amo la guerra in patria e fuori più del dovere. Molto valsero ad ac-crescergli autorita quell'animo liberale e quelle virtîi ereditate dagli avi, che ad alto principe s'addicono; per cui lasciô scolpite nella storia ď Aquileia profonde traccie ď animo generoso, di rettitudine, di sapienza civile e di pietà religiosa. Non v' ha, sf puo dire, luogo del patriarcato, che non ricordi Raimondo : la basilica ď Aquileia ch' egli rivendicava dalle rovině d'un tremuoto; il palazzo di Popone da lui ingrandito ed abbellito; uno nuovo edificato in Monfalcone; le mura di cui citcondô Tolmezzo ed Udine, ampliata da lui e in più guise beneficata i ristauri di S. Vito al Tagliamento; il lastrico di Cividale, cosa quasi iiiaudita al suo tempo; le stráde ď Aquileia rifatte; i canali e i pozzi scavati; il castello di Suffumbergo ridotto a soggiorno estivo dei Patriarchi; le case ordinate pel nuovo capi-tolo dei canonici ď Udine; infine tante chiese e conventi che alla sua liberalità devono la loro origine, non sono che una parte di ' Il dono del dazii ch' egli fece ad Udine sarebbe stato un compenso per i disastri sofferti da quel cittadini quando, lo segnirono nelle sue imprese di Lombardia. quello che ancora esiste o ci è stato tramaiiđato intoriiO alla sua munificeuza. Quauto vasti fossero i suoi concepimeiiti, si šcorge dal disegno ch' egli ebbe, ďinalzare una iiuova città sulla strada che ďoltremonti conduce in Italia, col nome di Milan-JRaimondo. Quivi egli -piaiito una croce, professaudo di »erigere quel monumento in onore della Vergine e dei sauti Patroni Ermacora e Fortunate, per lo stato ed onorevolezza della Chiesa ď Aquileia«. Ma il nome stesso designate da lui per quel luogo, ci manifesta il dolore profonde elle lo travagliô senza posa per la perdita amara della sua patria. Neppur dopo morte gli parve di peter .trovar pace, se non dormiva air ombra del Protettore di Milano S. Ambrogio, in cui onore eresse nel tempio ď Aquileia la cappella mortuaria della sua famiglia Con quanta sollecitudine il Patriarca Eaimondo attendesse alla prosperita del sue Stato, dimostrano non poche delle savissime leggi pubblicate da lui in concorso col parlamente. Molto egli si adoperô e ail' incremento dei comuni, ed alla liberazione dei' servi e ad iugentilire i costumi : il che si vide in parecchie occasioni di nozze illustri, ed in ispecie quando Arrigo Conte di Gorizia sposo una discendeute di Casa Torriana dal lato di madré \ Sembra, essere quella la congiuntura lu cui il Conte Arrigo fu armato cavaliere con altri gentiluomini friukni e tedeschi dalle mani di Raimondo. Ma ciô che torna a massima Iode di questo insigne prelato, fu lo zelo pastoralo pel gregge aile sue cure commesso. L'esempiq della sua grande pieta e della sua vita specchiata, che mosse ta-luno a dargli il titolo di Beato, rifulge tanto più splendido in un' età di si violente passioni, la quale isteriliva la delicata pianta se non della fede, della morale cristiana. A questa provvide Raimondo con sin nodi provincial!, iutesi mighorare 1 costumi e a ridestare il fervore religiose, assopito in mezzo allé guerre ed allé civili discordie. Egli stesso seppe accendere tanto ardore di sautità, che molte personoi come osserva il Nicoletti, lasciato il mondo, si consacrarono al servizio di Dio sotto le regole d'Agostino, di Domenico e di Francesco. La diocesi fu posta sotto i patroni Ermacora e Fortunate, e la disciplina ecclesiastica, tanto anch' essa scaduta, fu fatta rifio-rire con istatuti e costituzioni che per lungo tempo si conservarono quali norme sapienti non meno civili che religiose. ' Vedi Epigr. N. 43. » Beatrice, sorella di Gala, era figlia di Gerardo da Camino e' di' Ca-terina della Torre. - â3 - Nel 1.299 spegnevasi in Udine la -vita di questo magnanimo Patriarca, il quale pol tempo e le congiunture iu cui visse, rispleiide iiella storia del principato aquileiese come ùno degli astri maggiori, e iu quella délia Famiglia Torriaua corne colui ch.e 1' avviava ad uu avvonire più prospère sopra nuovo seiitiero l) GASTONE. Altra volta m' è occorso notare che il pittore o i pittori dei ritratti Torriaui esisteuti a Duiao, maie risposero al loro as-suuto. Quando veggo quei Patriarchi del secolo XIII e XIV tutti in atteggiameuto consimile e vestiti del medesimo omato del Cardinale Michelo che visse iiel XVI, compreudo bensî il tempo in cui furon dipinti, (la fine del cinquecento), e 1' ossequio in cui furono sempre dappoi tenuti quei quadri ricordati da parecchi scrittori"; ma non ammiro il genio che presiedette al lavoro. Indarno e a Duino e neir Episcopio ď Udine io tento iuspirarmi alla vista di quelle immagini, indarno vi cerco uu tipo ideale che risponda aile improse dol person aggio che rappresentauo. Secondo per ordine ď ctà dopo Raimondo viene il figlio di Corrado Mosca, Qaslone délia Torre^ che noi vedemmo col divino Poeta alla corte del settimo Arrigo, quando colle sue mani gh poneva sul capo la corona ďItalia. Indicammo colà le cagioni che poterono unire in concordia uomini di bandiere tanto diverse e seminare la dissensione fra stretti pa-renti e fautori dolla medesima causa ^ Ma I'aver implorato I'aiuto di Cesare, come già prima del Papa, e 1' essersi avvicinato a Matteo Visconti iu quelle congiunture che furono da noi descritte, non sono fondamento bastevolo a giustiiicare 1' accusa lanciata da qualche scrittore coutro Gastone, ch' egli nutrisse fin da principio un odio impkcabile contre Guido della Torre, e questo essere stato il mo-yente a tendergh insidie. Con cio non s' accorda la lode del Papa Giovanni XXII, il quale nell'atto con cui elegge Gastone a Patriarca d'Aquileia, lo prcdica liberali scientia fraediium, morum honestale decorum, dlscretionis el consilii maturitate corispicuum, et aliis claris viriutibus insignitum. Qaanto debole fosse il legame fra Gastone e U vecchio Visconte, si scorge da quello che avvenne alia caduta; di Guido. Da Matteo dipendeva appianare la via a Gastone di ' _ ' Vcdi Epigrafi, N. 10. — Molte altre particolarità del governo di Raimondo si rifeiiranno a luogo opportuno. " Vedi pag. 15 e 16. torňare alla sua sede milanese; ma uli Visconti e un Torriano non potevano più dimorare fra le medesime mura. Perciô Gastone rifuggissi iu Avignone e ad istanza di Roberto di Napoli, alleato ed amico dei Torriani, ottenne la sua traslazione ad Aquileia nel dicembre del 131.6 Fu detto di lui a ragione cTie morï principe sema senlire r amaritudine del principato. Conciossiachè dopo un interregno di due anni, Gastone fu eletto per provvedere aile tante calamità da cui era travagliata la Provincia Aquileiese. Ottobono de'Râzzi suc antecessore poueva fine ad- un burrascoso pontificato nel gennaio del 1315 6 la non invidiabile eredità doveva raccogliersi da Gastone; una congiura di parecchi nobili e città collegate aveva tentato ď impedire ogni nuova elezione, chiunque fosse riuscito Patriarca; Arrigo II di Gorizia, stato già tre volte capitano generale délia provincia in sede vacante, resisteva a dimettersi dal pbtere, dopo seguita l'elezione, e negava di restituire i.luoghi e i diritti da lui occupati. Da Avignone il Patriarca fece ufficii pressant; presso Arrigo e richiamossi ail' animo religioso di Beatrice, moglie del conte; il Papa elesse a tutori e difensori dei diritti patriarcali il SUD Legato Bertrando dal Poggetto e gli Arcivescovi di Milano e Ravenna. Intanto Rinaldo fratollo di Gastone, corcô quai Vicario Patriarcale di paciiicare la terra e ď accomodare le coso alla meglio. Sollecitô quindi il Patriarca a venire senza îndugio in persona, raccogliendo a stento nell' esausta provincia tanto denaro che bastasse pel viaggio. Gastone per marc avviossi alla volta di Napoli, dove cbiamavalo la gratitudine verso quel Re e la politica délia sua Casa. Fermatosi alcun tempo presso Roberto, flnalmente si dispose a venire in Friuli. Ma passata Firenze, il cavallo iinpeu-nato rovesciollo miseramento d'arcione e Gastone ricoudotto a graa fatica in quolla città, vi cessava di vivere nell'agosto del 1318. Un prezioso avello di bianco marmo ýedevasi un tempo a Firenze nolla cinta del coro di Santa Croce, o nella Cappella dei Serristori; deinolita quella, il sarcofago ' fu trasportato nell'atrio sopra i gradini che scendono alla Cappella dei Pazzi. Vuolsi ' che prima un' iscrizione vi ricordasse il nome di Gastone oggi il monumento è muto e nou porta ote gli emblemi Torriani sor-montati da bassi rilievi rappreseùtaiiti la fede del Patriarca, dï ' D'Aquileia, Gastone fu prima cauonico e decanoflnoal 1308, qiiando fu promosso ail'Arcivescovado di Milano. ' Vedi Epigrafi N. 12, come anclic N. 11, e 13, ricongiungorsi un gionio col suo- Ređentore. Funesta riusciva "Fi-reiize anche ad un suo nipote délia linea duinese, che parimente vi trorava la morte, senza rivedere la patria '. c) PAGANO. Tutta r amaritudine del priiicipato fu raccolta da Pagano, immediato successore di Gastoue. Suo padre Caverua, uno dei figli di Pagano II, e morto, siccome fu detto, nella prigione di Baradello, fu quegli che diëde origine alla linea dei Torriani ve-ronesi, celebrata in due carmi dal Fracastoro. Le insolite prerogative di Pagauo non ebbero libero campo di fars! pienamente conoscere in mezzo aile miuuziose ed opprimenti cure del suo travagliato govorno; ma i lampi, che ne tralucono ad ogni tratto, sono tanto piîi vivi, quanto piii fosche le ombre che li cir-condano. Quell' oriuolo da tasca ch' egli tiene in mano, quasi a saggio délia perfezione a cui fu portato al suo tempo siffatto mec-canismo, non è che un indizio délia munifica protezioue conceduta da lui, poverissimo fra i principi ď allora, aile arti ed allé lettere, e della generosa ospitalità che trovavano anche uell' episcopio di Padova da lui eretto, i cultori dell' arti gentiU \ La sua conoscenza coir errante Ghibellino sembra doversi cercare a Milano, dove tro-vossi il della Torre alla venuta .di Arrigo VII; ne puo destar me-raviglia la credenza, che Dante siasi nuovamente iucontrato con lui nel Friuli, tutto che centro di Guelfi, in una stagione di tauto mutabili alleaiize, e di personaU amicizie, nou sempře od unica-mente connosse colla politica Certo è che la sua dottrina fu tenuta in grandissime onore da' suoi contemporanei; di che fanno fade i suoi atti nella reggenza dell'Archigiiínasio Patavino, le lodi di Bonifazio VIII nella Bolla della sua elezione a Vescovo di Padova, e la grande istanza con cui Glemente V invitavalo al Con-cilio di Vienna, per giovarsi de' suoi lumi e consigli. ' II coute Giovanui Filippo I. della Torre, di cui si parlera nella Parte terza. ' Parecchi poeti lo celebrarono nei loro carmi: non senza merito è un componimento latino di Fra Pace di Ferrara, riportato dal Larapugnani, che dedica a lui la narrazione della caduta di Matteo Yisconti in un tempo in cui la sorte sorrideva ai Torriani. ' Torneremo piít di' proposito su questo disputato argomento in luogo più acconcio. ÎMa plil elle la sçienza vaiuio iii lui encomîate le virtù epi-scopali, a cui Pagano dovette la sua esaltazione. Imperocchè dopo ď essere stato promosso da parroco di Pozzuolo a caiionico, de-cauo e tesoriere ď Aquileia, nel 1301, alla morte di Pietro Gerra, la maggiorauza di quel capitolo avevalo eletto a Patriarca, siccome celui, che non tanto per la sua nobile origine e le numerose ade-renze, quanto pei proprii meriti erasi conciliato grandissime amore e venerazione. Ma peichè non era riuscita unanime la sua ele-zione, e il sue competitore, Ottone ď Ortemburgo, rappresentava i principii politici del partito contrario, sembrô al Pontefi.ce miglior consiglio dirimere la questione promovendo a Patriarca Ottobono de'Razzi, Vescovo allora di Padova, sostituendogli Pagano in quel vescovato. Quivi rifulse per sedici anni la sua prudenza nel, ri-comporre la pace fra i cittadini e lo zelo nel ricondurre la disciplina fra gli ordini sacri '. Un ultimo segno ď affetto ebbe da lui la diocesi padovana nelle feste solenni per la traslazione di Antonio il Taumaturgo, allé quali venne pure ad assistere il Patriarca Pagano Ma non deve sorprenderci il vedere un Torriano di quel tempo, quautunque Vescovo, brandira più volte anclie la spada. Nel 1308, estinto 1' Estense Azzo VIII, signore di Ferrara, la re-pubblica veneta erasi mossa ad occupare quella città'a danno délia Chiesa Eomana. Pagano in nome del Legato del Papa intimo a Venezia 1'anatema quindi armossi egli. medesimo per ingrossare le file dell'esercito pontificio % .che mise in rotta i Ve-neziani. Padova vide Pagano difendere intrepidamente le sue mura assalite da Can Grande délia Scala; e, benchè prive ď effetto, un nuovo rinforzo contre lo Scaligero vi mandava il Patriarca Pagano dal Friuli nel 1319. Un . campo più vasto si aperse a Pagano, quando venue promosso da Padova alla sede aquileiese. Le condizioni politiche del ' Fu allresi acerrimo propugnatore de' suoi diritti, specialmente nel-1' occasione del Cojioilio Provinciale d'Aquileia, in cui offeso per non essergli stato assegnato il primo poste dopo il Patriarca, se n'appellô al Ponteiice. Vedl Indice del Bianchi, Aquileia 31 gennaio 1307. Sullavenuta di S. Antonio di Padova anche a Gorizia e nell'Istria, vedi la sua biografia, scritta dal P. Angelico di Vicenza. ' Ancor oggi si ricordano a Venezia gl'immensi danni soiferti in quella occasione, e la congiura di Baiamonte Tiepolo che ne seguiva nel 1309. Il Lampugnano ascrive invece questa impresa a Gastone allora ar-civescovo di Milano. Friuli esigevaiio eho alla morte đi Gastoue non s'iudugiasse a maiidarvi il successoro,- perciô il Pontefice, che a sè aveva ri-sorvato il crearlo, mandovvi intauto Pagano uel 1318 quale am-ministratore patriarcale; e poco appresso segnava la sua elezioue dofipitiva, in cui s' accordarono e il desiderio del capitolo e i di-segni del Papa. Anche in mezzo aile perenni inquietudini del suc govern G, Pagano ben lungi dall' obbliare i doveri del sacro suo ministère, mostrossi quel prelato sollecito, che i mali vedeva e tentava di togliere, per quauto il conseutiva la tristezza dei tempi. E cio si vide non pure quando scoppiava lo scisma prodotto da Lodovico il Bavaro, che, quantunque in generale maleviso, trovô aderenti anche fra il clero udinese; ma particolarmente nolla cro-ciata dovutasi predicare contra gli alpigiani di Caporeto, i quali dati ancora aile superstizioni idolâtre, přestáváno culto divino agli alberi ed aile fonti, in quel paese tauto copiose. Funeste oltre modo riuscirono anche sotto Pagano le intestine discordie, e le predonerie a cui s' abbandonavano quei castellani; cessata era la pubblica sicurezza, il commercio rimaueva arrenato, deserte le strade che conducevano nell' interno délia Germania, impossibile ogni progresse civile e morale délia provincia. Anche fra il clero la-mentavansi le yiziose abitudini e i rozzi costumi, dai quaU i laici traevano esempio al mal fare; frequenti erano le rivalita fra ca-pitoli 6 comuui; umiliaute la condizione in cui si teneva una parte dei sudditi vincolata alla gleba. Il Patriarca non indugiô a por mano aile salutevoli riforme ecclesiastiche e civili; qui cou canoni conciliari attese al riordinamento délia disciplina; là cou provvide istituzioni, talora colla forza, represse i soprusi; di grande rigore die'prova nel 1320, condanuando alla morte da venti ribelli, in una sollevazione di GhibelUni scoppiata ad Udine. Ma r esempio vivo ď un santo, più ď ogni altro spediente, poteva influire a ridestare nel popolo la religione assopita. Di questo si valse Pagano, decretando onori solenni ail' umile mouaco dei frati minori, Odorico di ^íillanova presse Pordenone. La vita di questo Beato fu spesa peregrinando nell' Asia fiuo al Cataio ed ail' ludie in cerca di anime da condurre alla fede. Tornato in patria, descrisse i suoi viaggi e narrô cose tanto meravigliose, che in queir età parvero sogni. Cessato di vivere uel 1331 in odore di santo, Pagano onorollo di monumento suntuosb nella chiesa del suo Ordine e al trasporto délia sua salma invito anche la contessa Beatrice di Gorizia. "Ne contento di cib voile il délia Torre ini- ziare il processo đella sua beatiíicazioiie, đi cui pero non gli fu dato vedere la fine prima đella sua morte Singolaro contrapposto aile miseranđe condizioni del Friuli formavano la vita specchiata di Pagauo e il concorso purauche di akune favorevoli congiunture, sotto le quali egli entrava al go-verno del suo principáte; il perché a lui più che ad altri sareb-besi creduto peter presagire giorni più fortunati. La grande ri-putazione, di cui già godeva Pagauo, era sostenuta dai numerosi membri délia sua famiglia, ricchi di beni o ď aderenze o sollevati aile pill ragguard^evoli caricbe civili ed ecclesiaticbe. Altri vennero cou lui di Padova insieme con molti fuorusciti, che servirono a crescergli lustro e ad aumentare la forza del partito guelfo. Molto doveva sperarsi dall' essere Pagano stretto in parentela coi conti goriziaiii e dall' amiclievole corrispondenza cou Federico ď Austria; fiualmente lo stesso valore personale ch' egli avea mostrato e la sua attinenza col re Roberto di Napoli potevano conciliargli fra i suoi sempře maggiore riverenza. Ciô non di meno le difficoltà colle quali ebbe a lottare, erano tante, che poco potevano valergli questi vantaggi. A ragione il denaro vien chiamato il nerbo délia guerra, e questo, mentre non gli mancô mai la guerra, gli fece sempre difetto, inceppando cosi i suoi disegni e le sue imprese. Abbiamo già toccate le sue spedizioni in Lombardia, dove la speranza di riconquistare il per-duto dominio Torriano e di giovare alla causa dei Guelfi, veniva accresciuta dalle censure lanciate al Visconte, e dalla formida-bile oste raccolta contro di lui. Ma sei anni di assenza dalla sua sede non portarono giovamento nè alla duplice causa da lui di-fesa, nè al Friuli abbandonato in preda all'anarchia, che 1'abate Giovanni di Rosazzo, suo vicario generale, e il suo fido congiunto e consighere Einaldo délia Torre, fratello del defunto Patriarca Gastone, non ebbero forza a domare. Ma di quanto s'impoveriva il Patriarcato, di tanto e di molto più s'arricchivano i signoři di Gorizia. A questi fino alla investitura di Pagano, che avvenne soltanto nel 1320, spettavano le entrate del principáte, per essersi eletto il conte di Gorizia capi-tano generale durante la vacanza della sede. Con un gravoso con-vegno, che a Pagano costo immensi sacrificii e al conte goriziano fino air estinzione del debito fruttava il pegao di molta parte delle ' Vedi il Nicoletti e il Valvasone nella vita cli Pagano della Torre, terre patriarcali, ottenne Pagano che Arrigo II dcponesse la carica. Âltri debiti il Patriarca aveva contratti anche prima di venire iu Friuli colla Sauta Sede, e rimasto iiidietro coi pagamenti, incorse più volte uelle censurej talchè fu costretto a vendere si-iianche la sua biblioteca e la sua mitra preziosa. In condizioni siffatte rimase il Patriarcato per tutti i quat-tordici auni, uei quali lo resse Pagano, fra guerre ed intestine per-turbazioni, che, tranne qualchebreve intervalle, durarono sino alla sua morte. Il parlamento medesimo, quantunque non gli negasse l'appoggio nelle riforme délia provincia, nel sedare le turbolenze e neir accordargli i sussidii occorrenti, tenace ne' suoi diritti mi-rava a limitarne il potere e spesso riformava le sue deliberazioni. Questa interiore debolezza dello Stato rendeva tanto più audaci i suoi nemici, intesi ognora ad ingrandirsi a spese del Patriarcato, E nemici ve n'aveva da per tutto: qui i couti goriziani che di quando in quando rinnovavauo le antiche contese, e non di rado orano aiutati dal Duca Arrigo di Carinzia loro parente. Là i Ca-minesi che sempre tornavano allé inimicizie pel feudo di Meduna, senza nulla badare all' alleanze e al parentado conchiuso fra Leo-nardina, nipote di Pagano, e Tolberto figlio di Rizzardo da Camino; più lontano gli Scaligei'i e il partito ghibellino, minaccia perpetua del Patriarcato. Il che non impedi tuttavolta a Pagano un anno prima délia sua morte ď entrare in lega con essi, per iscioglierla tosto ed unirsi colla contessa di Gorizia contro di loro. Dove perô il potere del Patriarca non solo s' indeboliva, ma andava ognor più decadendo, era nell' Istria, assalita dai Veneti. Riuscito vano r apprestato soccorso, fu mestieri a Pagano venire a patti, cedeudo alla repubblica grau parte délia costa, con Pola, Castello di Valle e più tardi Rovigno. Il Patriarca infermo sentiva già appressarsi la morte, quando il conte di Yeglia, unitosi a parecchi nobili del Friuli ed al conte ď Ortemburgo, quantunque Belingeria, nipote di Pagano, avesse sposato Mai nardo di quel casato, invase le terre ď Aquileia e a gran fatica fu arrestato innanzi aile mura di Udine. La pace che ne segui fu 1' ultima couchiusa da Pagano, conciossiachè il mese appresso nella notte del 18 Dicembre 1332 egli cessava di vivero. La salma sacrilegamente profanata dai ladroni, che la spogliarono degli oggetti preziosi, lasciandola ignuda sulla via, fu trasportata da Udine in Aquileia nella Cappella di S. Ambrogio, dove Pagano trovô iinalmente la pace, insieme con Rinaldo délia Torre, che di poco 1' avea preceduto uel sepolcro. Pagauo fu principe valoroso, magiiaiiimo, liberale quant' al-ti'i mai del suo sangiie: seppe come suo zio Raimoudo coltivar la pieta auclie sotto 1' usbergo : visse incontarainato frammozzo alia generale corruzione; 1'avversa fortuna nou fece che accrescere i suoi meriti e la gratitudine che gli deve la patria friulana d) LODOVICO. II breve governo di soli sei aiini tenuto da Lodovico della Torre, beuclie appartenga al tempo del decadimento, rimane scritto nella storia aquileiese com' uuo dei piii gloriosi. Iniperciocchè T av-versario col quale Lodovico ebbe a lottare, fu formidabile nan solo a cagione della sua potenza, ma per la vastità dei disegni a cui diede mano il suo genio e che in parte vide compiti nel brevis-simo tempo del suo glorioso dominio. Fu questi il Duca Rodolfo IV d'Absburgo, successore di Alberto II; e la vittoria riportata dal Torriano sopra di lui, fu altresi vittoria contro 1 più indocili feu-datarii della proviucia friulana, indarno combattuti dai Patriarchi antecedenti. Yero è che nella Stiria, nella Carinzia e nella Car-niola, appartenenti a Rodolfo, i feudi della Chiesa d'Aquileia an-daron perduti; ma questo danno trovo abbondante compense nella diga opposta ai vasti disegni del Duca animoso. Consiglio improv-vido sarebbe stato mantener quei diritti col mettere in forse 1' esi-stenza del rimanente; portare I'incendio nella casa altrui, invece d'estinguerlo nella propria. Una guerra difensiva entro i confini del suo principato era ormai la sola possibile; e in questa Lodovico della Torre riportava il finale triojifo. I Patriarchi Torriani che lo precedettero, mirando ad un tempo al ricupero del dominio in Milano e alia difesa della pro-vincia che governarono in tempi cosi burrascosi, dispersero le lore forze; il che fu cagione che uno degli intenti ando fallito, I'altro si raggiunse a stento e non sempře. Lodovico, libero dall' una di queste cure, poté dell' altra occuparsi con tanto maggiore vigoria; e dall'antica costanza di propositi, propria della sua stirpe, attinse le forze per non restare atterrito della lotta ineguale a cui s' av-venturava. II Patri area Lodovico appartiene alia linea Torriana venuta a Duino, la quale discese da Alemanno figlio di Pagauo II Suo ' Vedi Epigrafi, N. 14. » Yedi Tavola II. padre, Raîmoiiclo II, fu procreato dall' iiifelico Lombardo, perito jiella carcere di Baradello dopo la battaglia di Desio. Yenuta la sua Famiglia in Friuli, quivi Lodovico s'avvib al sacerdozio, ed csseiido cauouico di Cividale, ebbe occasione di prestarsi ai servigi del Patriarca Pagauo iu parecchie missioni presso la corte ď Avignone. A queste egli dovette nel 1347 la sua esaltazioue al ve-scovado di Trieste, donde Clemente VI trasferivalo tre auni dopo aile sedi prima di Olenos, poi di Corone, per giovarsi dell' opera sua iu altri incariclii di rilievo. Finalniente uel 1359, rimasta vacante la cattedra Aquileiese, ventisetť auni dopo Pagauo, vi saliva Lodovico per volontà ď iniioceuzo VL Quanto opportuua fosse la scelta avvenuta, si vide ben presto. Çoufinanti col Patriarcato, dopo la morte di Arrigo di Carinzia, erano divenuti da quella parte gli Austriaci; nel Friuli stesso essi tene-vano Pordenone. Questo contatto non poteva restare senza conse-guenze. Corn' avvocati d'Aquileia s'erauo sempre fatti valere i conti di Gorizia. Ma l'assassiuio del Patriarca Bertrando, che attrasso r esecrazione anclie sopra i Goriziaui, porse occasione ad Alberto II ď Austria di entrare nel Friuli per or dine di Carlo IV di Lussem-burgo, a farvi la parte del pacificatore. Sostituita la sua influenza a quella dei Goriziani, egli potè tirare a sè pareccM luogKi délia proviucia; il uuovo Patriarca Nicolô di Boemia aveva do vu to ac-couciarsi aile sue esigenze, ed è naturale cbe il Duca Rodolfo, successore d'Alberto, cercasse tosto di trarue il massimo vantaggio. Travide Lodovico i suoi disegiii, diretti da prima a liberare i molti vassalli d'Aquilcia, cbc.stavano negli stati austriaci, dalla sog-gezione del Patriarca. Nè passô gran tempo che si venne a contesa anche iu Friuli, dove Rodolfo contava gran numero di partigiani. Il, Torriauo non era ancora partito ď Avignone, che per mezzo dçl Papa Innocenzo VI cercb far valere i suoi diritti e contro Rodolfo 0 contro il conte di Gorizia, chiedendo la restituzione di quanto spettava al Patriarcato. Venuto nel Friuli, si condussc in persona presso Rodolfo, affine di togliere i motivi ď alterco. i\ía uuove G gravi discordie nascevano nell' auno seguente iu Friuli, fra i piíi furti adoreuti del Duca Rodolfo e i sudditi ligi al Patriarca. Cividale assaliva il castello dei Varmo, parenti dei signoři di Spilimbergo. Questi ultimi, creature di Rodolfo, visto che Lodovico tardava a punire gli aggressori, mossero aile rappresaglie e la guerra ebbe principle. Federico délia casa degli Auffeustein, i quali, rotta la fedo al Patriarca, s'erano dichiarati vassalli di Rodolfo, s'affretto d'uuirsi co'suoi ai ribolli fi-iulaiii; alla fine deir agosto 1361 arrivarouo a Cormoiis anche i Dachi Rodolfo e Federico. Maiizauo e Butrio cadouo in loro potere; 1' abate di Ro-sazzo 11 segue; ma venuti sotto le mura di Udine, si trovano iugannati nella speranza di prenderla per sorpresa Prima di fare nuovi tentativi, era necessario clie il Duca Rodolfo si con-giungesse coll' Auffensteiu; ma intanto Lodovico nel settembre del 1361 s' era iudotto a chiedere uii armistizio, che lo pose alla balia di Rodolfo, e segnô il momento piii disastroso del suo go-verno. La pace doveva conchiudersi a Vienna e Lodovico coii-dursi colà cou ostaggi, promettendo di staro aile decisioui dell'Imperatore. Mentr' egli muoveva a quella volta, il Duca Rodolfo profittô del tempo, per istringere accordi coi naturali nemici dol Patriarcato. Andô difilato a Venezia, che lieta dei danni del Pa-triarca, e sperando aver in Rodolfo un buon alleato ne' suoi disegni sulla terra ferma, 1' accolse colle più splendide feste. Di là Rodolfo venne a Gorizia, per conchiudervi patti di parentela, che gli as-sicurassero la futura successioue a quella contea e per istrin-gersi in lega contro Lodovico. Intanto il Patriarca separate da' suoi, venne sostenuto iii prigione soffrendo sfregi umilianti ne meglio se la passavano i due ostaggi che, fuggiti nel Friuli, venuero anche minacciati di morte. Rodolfo infatti, venuto a Vienna, invece di occuparsi a concludere la pace col Patriarca, apprestava nuove guerre, es-seiido frattanto andato in rotta coll' Imperatore. Ma le città del Friuli indigiiate délia cattività di Lodovico, avevano ripigiiate le armi e, strappato Butrio e Manzano ai Goriziani, vennero a porre r assedio a Germons. Quindi entrata 1' este ucl territorio del coûte, trascorse fino a Duino, commettendo saccheggi e rapine, finchè da Vintero di Duino e da Uldarico di Reifemberga fu costretta a ritirarsi, lasciando indietro gran numero di morti ed abbaudonando i prigioni alla vendetta delle donne del Carso. Rodolfo, che, come dicemmo, era occupato nella sua spedizione contro la Boemia, si rivolse al Re Lodovico dell'Ungheria, per ottenere una tregua; e ' In qiiesta occasione vuolsi a torto che il Patiiarca coniasse la mc-daglia coinmemorativa di cui ho parlato alla pag. 7. " L'archivio di Duino conserva una copia da antico libro di Giu-lio Savorgnano, che ricorda moite particolarità dalla prigionia sofferta dal Patriarca Lodovico; sono documenti che potrebbero rettificare alcune asserzioni di Alfonso Huber nella sua Geschichte des Herzogs Budolf von Oesterreich. questa venue cóuchiusa fra i sudditi ď ambe le parti colla me-diazioiie di Francesco di Carrara. La pace e la liberazione del Patriarca seguivano uel 1362 ; Lodovico dovette cedere i feudi che teneva nelle provincie austriache; le altre durissime condizioni imposte da Eodolfo furono caucellate ad Agram dal Re ďUiíglieria. Ma qui comiucia a decliiiare la fortuna del Duca Rodolfo e a risorgere quella di Lodovico. Molto avea quegli otteuuto col-I'indurre Margberita Maultascb a fargli la cessione del Tirolo; con cio il suo ardito e grandiose disegno di unire al dominio au-striaco il Tirolo, Gorizia, la Boemia e l'Ungheria e di formare uuo Stato indipendènte dall' Impero era cominciato ad attuarsi. Ma la cessione del Tirolo aveva gravemento offeso Maiuardo YÍI di Gorizia, già ijidigiiato perché Eodolfo, dopo d'avergli chiesta la figlia Caterina per suo fratello Leopoldo, 1' aveva rifiutata, strin-gendo accordi di parentado con Barnabo Visconti. Quiudi è clie se gli altri conti goriziaui si portarouo in pace 1' ingiuria, Maiuardo invece si strinse in lega col Patriarca e col Duca Stefano di Baviera, al cui figlio promise la ripudiata sua figlia. Aucbe Francesco di Carrara vedeva di mal auimo aumentarsi la potenza di Rodolfo in Tirolo, ed era già iu rotta con lui per la Valsugaua e per le coufiuanti città di Feltre e Belluno. Accedette egli pure alla lega col Patriarca, e questo contribui alla vittoria finale di Lodovico. I La iiuova guerra erasi iucominciata un anno appena dopo coiickiusa la pacc, dicendo Rodolfo che i patti di Vienna non erauo stati osservati. Cou lui s'uuirouo molti dei feudatarii pa-triarcali, in ispecie i signoři di Spilimbergo, che primeggiarouo uuovamente per le loro scorrerie e devastazioni. Il Patriarca li puni ordinando rappresaglie coiitro di lore; ma crescendo sempre più l'ardire dei medesimi, il Carrarese non indugiô a mandare a Lodovico gli aiuti promessi, e la guerra prese proporzioni sempre maggiori. Francesco Savorgnano, generale del Patriarca, dévasta le terre degli Spilimbergo e distrugge i forti castelli ď Uruspergo o di Zuccola; quindi venuto a formale battaglia, sconfigge ncl 1364 presse Fagagna l'esercito avversario coudotto da Gualtieri Bertoldo di Spilimbergo. Una mediazione oûerta dai Veneziani vien riget-tata, ed il 10 geiinaio del 1365 resta decisa la sorte dell' armi presso S. Pellegrino. Gli Spilimbergo vengono privati di tutti i loro possedimenti ad eccezione del loro avito castell-o. Pordeuoue asse-diata dai patriarcal! è prossima a cadere, i vassalli ribelli sono 4 - 3i - fissoggoitati. Vane riuscirouo anche le trattative đi pace tentate dal Re ď Uugheria. Eodolfo iiitanto s'avviava in persona a Milano fra mille pericoli, per ottenere nuovi aiuti dal Visconte, ma vi tro-vava invece una morte immatura non ancora compiuti i ventisei anni ď età, dopo setť anni di glorioso principato nell' Austria, la quale del suo genio serba ancor oggi i più insigni monumenti. Se fosse vissuto di pill, nou v' ha duhbio che avrebbe portato il suo dominical più alto splendore. Lodovico délia Torre sopravvisse poche settimane al suo av-versario e discendeva nella tomba nel 1365, avendo raggiunto l'apice délia sua fortuna. Dalla Cappella Torriana in Aquileia le sue fredde ceneri assistevano al solenne ingresso del successore, onorato da tutti i principi confinanti e dai vassalli del suo Ducato, perché forte 0 glorioso glielo aveva tramandato il Patriarca Lodovico '. 4. Dairisonzo al Timavo. Tempo è ď abbandonare le mura atterrate e gl' infranti avanzi délia veneranda città d'Aquileia, su cui iinora le tele Tor-riane avevano fissata la nostra attenzione. La via che ci conduce a Duino nasconde invidiosa gli avanzi délia grandezza romana. Sopra quei ruderi abbandonati cresce ora la vite, appoggiandosi air olmo colle sue verdi ghirlande, e il bifolco incurante spuntô piii volte il suo aratro su quelle mutilate reliquie, mentre "a pascer l'erba L'avido armento il pastorel vi mena,,. Ma eccoci al passo del cerulo Sonzio (Isonzo), che per piíi secoli partecipava aile sorti delV illustre metropoli. Aile sue rive le barbare orde del settentrione vennero a dissetarsi; sopra un ponte di botti passollo il feroce Massimino, per trovare la morte sotto Aquileia; Teodorico trionfava aile sue sponde di Odoacre; i Tur-chi più fiate mutarono in sangue quell' aequo da loro chiamate il Fiume bianco. Di uuovo 1 suoi gorghi servirono di tomba ai ca-daveri dei combattenti nelle guerre dei Veneziani cogl'Imperiali e in quelle dell'Austria colle rapaci aquile délia Gallia; qui ebbe fine la lotta ingaggiata a'nostri giorni pel possesso del Veneto. ' Vedi Epigrafi, N. 15. Sulla sponda sinistra dell'Isonzo, in uno dei siti piii rideiiti che fossero creati dalla natura, sorge la città di Gorhîa, già sede doi Garni Celti, occupata noll' otà di mezzo dai Longobardi e dai Franchi, posseduta in seguito dai Patriarchi, finchè vennero a sta-bilirvisi gli Eppensteiu e dope di lore i siguori di Lurii e di Pu-sterthal. Essi che presero il titolo di conti di Gorizia, furono i prepo-tenti vassalli ed avvocati del debole Patriarcato già da noi mentovati. Nou per fortuna di guerra, sibbene per utili alleanze, la loro po-tenza venue sempře piíi dilatandosi; e uel momento più florido il loro dominie stendevasi dall' Adriatico all' Eno, dalla Croazia al Friuli; di loro alcuno inalzossi fino alla corona ducale e reale. Il maggior lustre ebbe Gorizia da Arrigo II, l'amico dei signoři di Duino, uniti cou lui in tutte le sue imprese. Ma la morte ď Arrigo segna il decadimento di quel domiuio quattro volte secolare, che sotto rultimo conte si riduce ad un'ombra. Delia sua debolezza si valse la repubblica veneta, la quale, distrutto il principátů dei Patriarchi, erasi resa padroua del Friuli. Senza punto curarsi delle impotenti proteste del conte, essa inal-zava nella contea di Gorizia parecchi castelli, sotto specie di op-porli aile invasioni turchesche. Sorse in tal modo ail' Isonzo la cittadella, che dal suo governatore Giovanni Emo voile appellarsi à''Emopoli, come che in fatto siasi chiamata Gradišča. Suonata l'estrema ora di vita pel conte Leonardo, Gorizia per vicendevoli patti di successione passo nel 1500 alla Casa Austriaca; e intorno a Gradišća concentrossi ripetutamente la lotta fra i due confinanti succeduti ai Patriarchi ed ai vecchi conti goriziani. Caddero, è vero, nel 1508 non solo Gorizia, ma Trieste e Duino e gli altri castelli del Carso in potere dei Veneti, ma Gradišča andô loro perduta per sempře. Moite vittime illustri mietè la guerra del se-colo seguente, che sebbené chiamata degli Uscocchi, qui prese il nome particolare di gradiscana. Perirono in essa i due generali supremi Giustiniani e Trauttmannsdorf, e i non meno valorosi Au-tonini e Daniele Francol. Yi presoro parte da un lato Giovanni de Medici, il conte di Nassau e il principe d'Esté; dall'altro il conte Dampierre, il célébré Wallenstein e lo spagnuolo Maradas; ma l'esito non corrispose a tanto apparato di forze e la pace che si conchiuse diede origine ad una serie di questioni senza fine. Perduta Gradišča, i Veueziani, opponendosi indarno gli Au-striaci, eressero la fortezza di Palmanova e a tradimento s'impa-dronirono di quella di Marano. L' Austria intanto formava del territorio cli Gradišča uiia nuova contea, ora nuita ed oř separata da quella di Gorizia, e rimasta per molti aniii in mano dei principi d'Eggeuberg. Quíyí ebbe sede e gloria la linea Torriana di Duino, di cui le tombe, in gran parte distrutte dai Francesi, ricordavano i iiomi piii illustri. E dt vero non bavvi nelle due contee punto importante, vuoi nelle città, vuoi nel contado, in cui non sieno state scolpite le armi Torriane. Fino dal secolo XVI i délia Torre acqui-starono anche la deliziosa Sagrado, che troviamo sul n ostro sen-tiero, passato I'lsonzq, quasi di fronte a Gradišča. Il bel fiume che Ïambe il piede di quella collina e s' affatica indefesso intorno ai mulini délia signoria; il mare al meriggio cbe ancora una volta da lontano saluta i signoři di Duino e Sagrado; le carniche Alpi biancheggianti, a settentrione, che si confondono colle nubi, e fiual-mente l'immensa veneta pianura che si stende dinanzi colle sue mille torri e villaggi e città, offrono certamente ail' occhio di chi si affaccia ai veroni del castello di Sagrado un quadro dei più pittoreschi. Nè per guerra, nè per trattati, avvenne mai che un lembo di territorio sulla riva sinistra dell'Isonzo cessasse di appartenere alla repubblica veneta; è questo 1' agro di Monfalcone ' par cui dobbiamo passare nel venire a Duino. La sua postura in mezzo agli stati austriaci diede frequenti motivi di collisione non solo fra i due governi, ma coi signoři confinanti e principalmente con quei di Duino e Sagrado che lo circondano grandissimo tratto al-r intorno. Monfalcone, che, secondo alcuni, sarebbe l'antica città di Puciolis, fu già municipio di qualche importanza sotto il dominio romano; gli avauzi délia rocca soprastante danno argomento di dispute ai dotti, se quelle mura fossero erette da Teodorico. Nelle età di mezzo i conti goriziani contarono in Monfalcone qualche vassallo, sebbene formasse parte dello stato aquileiese, onde fu abbellito dai Patriarchi di parecchie fabbriche; il palazzo costruitovi da Raimondo délia Torre rovino nel 1737. La piccola città è lodata per amene colline, pianure feraci ed abbondanza di acque; ne cresce 1 van-taggi la comunicazione col mare non molto distante. Chi si pone alla vedetta sulla torre di Duino, puô seguire coll' occhio fino a ' Ronchi, che si trova su quella via, è célébré per le moite aiitichità ivi e nei dintorni scoperte : monumenti, iscrizioni, colonne ed altri avanzi del ricchi Romani d'Aquileia. Vedi Kandler, JDiscorso sul Timavo 1864, e Berini, Indagini sullo stato del limaoo 1826. Ma non sembra vero che là fosse il fa-moso ponte distrutto dagli Aquileiesi per impedire il passaggio a Massimino, del quale fa parola Erođiano, Trieste i coiivogli che muovono da Monfalcone luiigo la gvigia striscia della via ferrata; e cosi lenta gli sembra quolla celere corsa, eho vorrebbe đivorare il lungo tratto coll'ali del fulmiue o colle penne non homini datis. Célébré divenne la terra di Monfalcone pel faste romano e per le terme sorgenti a due miglia da quel castello, verso il Ti-mavo. Le tante orde di popoli barbari, che passando di là distrus-sero quanto trovarono, e la natura stessa che l'ampio lago converti in malsana palude, ci permettono appena ď immaginarci la ma-guifica scena di ville e di palagi che si specchiavauo un giorno su queir onde, e il lieto aggirarsi di barche e i convegni festevoli dei ricchi patrizii, che dei bagni e tepidarii di Monfalcone forma-vano le loro delizie in mezzo agli ozii estivi. Le guarigioni ottenute d a quelle sorgenti erano tanto meravigliose, che la credenza vol-gare vi attribuiva origini arcane sapevasi di certo, che le bocche delle caverne onde uscivan le fonti, erano guardate da genii ma-lefici; aile porte interiori di métallo vegliavano gli špiriti avernali. I guariti manifestavano intanto la loro pietà agli dei coll' erigere in loro onore tempU e colonne e lapidi commemorative. Spetta al Pretore Francesco Nani il merito di avere nel secolo XV rimesso in onore quelle terme, che dopo il tempo romano erano quasi ca-dute in oblivione. 6, Il Timavo. Siamo iinalmente sul suolo di Duino. Il suo confine è se-gnato dal Locavez, fiumicello che solca la palude nel mezzo, e serve con altre fonti ad irrigare le risaie della signoria di Duino. Quando la palude era ancora coperta dall'acque, ne sorgevano fuori due isole chiamate da Plinio Insulae clarae 1' una presse le terme, 1' altra prossima al Locavez, le quali, stando sugli spaldi di Duino, si distinguono ancor oggi molto bene, come due monti-celli depressi. Vuolsi che un tempo fossero congiunte da un ponte, ' Essendo le fonti in comitnicazione col mare, seguono 1' alta e la bassa marea. Una pompa a vapore toglie orail bisogno di aspettare il coimo dell'acque per farne uso. ' Mist. Nat. L. II, C. 3; L. Ill, c. 26. di cui Marin Saiiudo dice ď aver tro vate le vostigie. Do v' oggi I'iiidustre mano per cento e cento canali conduce lo aequo ad irri-gare quei fertili campi di riso, c' era il Lacus Timavi con tre sbocchi nel mare, ed il suo porto accoglieva le flotte romane. Il lungo e profonde canale che univa il porto col mare, era indicate ai navigant! da un faro, eretto sopra piccolo isolotto. Al tempo del Patriarca Raimoiido délia Torre i Veneziani, che tutto potevaiio e tutto ardivano sul mare, per non avervi chi seriamente lore lo contendesse, s'impadronirono del faro e vi eressero un baluardo chiamato Belforte, chiudendo a catena 1' entrata; e qui restô se-gnato il confine del Dogado. Alcune traccie del sito rimangono anco al présente e il Valvasone nel secolo XVI assicurava d'avorne vedute le rovině. Quanto impaccio desse quel forte ai Duinati, ve-dremo più tardi. Le mutazioni di suolo, di abitatori, di confini politici ed ecclesiastici, che s'incontrano al punto dove siamo arrivati, e gli avvenimenti del tempo moderno ed antico, che iu quel luogo si concentrauo, sono di tanta importanza, che non è meraviglia, se non v' ha quasi classico alcuno, che in verso od in prosa non abbia celebrate il ïimavo intrecciando il mito alla storia, la finzione alla verità. Ne poeti soltanto ed istorici, ma e geografi e naturalisti se n' occuparono, dandoceiie i piîi minuti ragguagli. A questi tennero dietro gli innumerevoli scrittori delle stagioni mediane e moderne, che trattano le questioni archeologiche e ci danno dottissime ipotesi e spiegazioni geologiche, fisiche, idro-grafiche, sulle origini, sul corso e sulle bocche del fiume; tanto che il Timavo è salito ad una celebrita da compararsi coi più ri-nomati fiumi del mondo \ Se non che iu mezzo aile varie vicissitudini che rierapiono lo spazio di tanti secoli, potè bon conservarsi immutato il nome del fiume, ma quasi fosse anche il Timavo uii' istituzione umana, o un eroe mortale, fini egli pure ad addormentarsi placidamente ' Timavo chiamavansi iu antico tiitte le acque superioři ađ Aquileia dal lato đi levante, Di questo una parte formava il Lacus Timavi. ^ Perciô fu invontata la derivazione Rreca da xináw, quasi volesse dire fiume glorioso-, altri la fanno venire daU'eti-usco e vogliono che indichi il gran volume d'acqua uscente dagli scogli; altri fiualmcnte dal gaelico e lo spiegano per acqua che sgorga dalle pietre forato. Vedi fra i moderni specialmente il Berini e il Kandler, nelle opere già citate. — Per le altre notizie seguenti è pure da consultare il Filiasi : Memorie storiche đei Veneti primi e secundi 1811. I risultati delle sue indagini fiirono raccolti nelia classica opera di S. E. }1 Barone Carlo Czôrnig: Bas Land Crôrz und Gradišča vol. I. 1873. sugli allori mietuti, e dormira finchè imovi secoli non portino con sè nuove vicende. Per conoscere intera la storia del Timavo e i fatti mera-vigliosi che avvennero allé sue sponde, fa duopo che risaliamo al tempo della favola. A1 Timavo gli Eneti fondarono il loro famoso equile ed eressero un tempio al iracio Diomede, dedicandogli un sacro luco ; ovvero ana schiera di Greci Etolici sotto Giapide nel loro I'itorno da Troia, spinti dalle burrasche fino aile sue foci, ri-cordarono con quel tempio il Diomede elolko, 1' eroe della guerra troiana, perito sulle coste dell' Apulia, e fondai'ono 1' equile coi cavalli recati con sè iielle navi. Diomede stesso dedica tempio e luco alia Diana etolica e ne promuove il culto. Mille trecento e pill anni prima dell' era volgare, gli Argonauti fuggendo dalla Colchide col vello ď oro, giunti col loro legno lungo I'Eusino e fino a Nauporto presse 1' odierna Lubiana, valicarouo 1' alpe portando sulle spalle o trascinando su maccbine la nave sino all' Adriatico ed al Timavo, alia cui fonte Castore figlio di Leda e di Giove abbeverava il suo destriero '. Medea vi segue il fuggiasco Giasone, intanto cbe i Colcbi per ordine del re Aeta dan loro la caccia per ricondurli coi rubati tesori allé foci del Fasi; dal trucidato Absirto prcndono nome le isole Absirti del Quarnaro o, come vo-glioiio altri, del Lacus Timavi; come da quella maga e forse dea dei sepolcri, è appellata la collina di Medea presso Gormons ^ Ancbe gli Euganei assalgouo Giasone nel seno Diomedeo presso il Timavo ed egli deve la sua vittoria a Glauco, il quale spor-gendo il capo dall' onde, lo anima a continuare la pugiia. Nuovi templi e sacri boschotti si dedicano da Giasone all' argiva Giu-none cbe si identifica con Medea. Anteiiore finalmente, caduta Troia, con una schiera di Frigi, di Troiani e di altri Eneti, passa a grave stento fra i feroci Illirii e Liburni, superando le difficili fonti del Timavo; di là s'avvia a scacciare gli Euganei e ad as-sicurare il trionfo degli Eneti nella città di Padova. Questa è la gloria invidiata da Enea ad Antenore, e questa offre al poeta di ' Et tu Ledaeo felix Aquileia Timavo-, Hie, itbi septenas Cyllarus hausit aquas. Marziale Epigr. I, 88. ^ Medea sarebbe il sito, dove i Galii v.^nuti dalla Carinzia nel 186 a. C. fabbi-icarono una borgata. II nome secondo uu'antica iscrizione dovrebbe essere state Meteia. Vcdi Czoniig: Die Stadt der Gallier bei Aquileia, mc-moria inserita nelle Mittheiluugen der k. k. geogr. Gesellscbaft 1872. pag. 49 e segg. — Cfr. Archeogr. Triest. n. s. V. pag. 410. Mantova occasione đi đescrivere coii uiia stupenđa'onomatopea il fragorc đolP acque sonanti del Timavo, il quale, erompendo dalle profonde caverne, si gitta per nove bocche nell' Adriatico ...................e pare Che porti guerra, non tribute al mare ^ L'enfasi con cui parla Virgilio delle rigonfie bocche del Timavo, le quali, anche oggidi navigabili, mettono in movimonto il gran mulino americano di S. Giovanni, giustifica 1' asserzione che le acque del Timavo, chiamato la fonte del mare, insieme con quelle del Po rendessero dolci per lungo tratto le onde dell'Adriatico. Nove secondo il Marone, sette secondo Marziale e Strabone, erano que-ste bocche, le quali dovevano in parte cercarsi nel Lacus Timavi. Dopo un alto rimbombo nell'interno del monte, rigurgitavauo pei fori dei sassi e precipitavano al mare cou tanto impeto, che si accavalcavano l'une sull'altre, diffondendo pei campi il flutto sonore. Nel nostro tempo le bocche a S. Giovanni non sono che tre; e quella soltanto ch'è piîi vicina a Duino, inonda talora la vecchia strada, ricordando da lunge l'imponente, ma esagerato spettacolo delle antiche stagioni " Altri prodigi ricorda la favola di quell'acque e délia selva sacra soprastaute, dedicata a Giunbne o a Diana. Tanta era la pace in quelle foreste, che i lapi feroci vivevano in dolce amistà coi timidi agnelli: le onde del íiume cosi fredde, da generare la morte; pesci non vi potevano vivere ma per le sue sponde ag-giravansi i coccodrilU e gli alligatori, innocui essi pure: l'età dell'oro. Quantunque la storia più antica del Timavo sia ravvolta nelle tenebre, havvi perô qualche barlume, il quale ci guida a scor- ' Eneide I, 242 e segg. Antenor potidt, mcdm elapsus Achivis, Illyricos jpenetrare sinus, atque intima tutus Régna Lyburnorum et fontem superare Timavi, TJnde per ora novem, vasto cum murmure montis. It mare froruptum et pelago premit arva sonanti. Molto bene distingue Virgilio le fonti, il corso sotterraneo nei monti e la foce (ora novem) del Timavo, che, nascendo all'Albio, dopo alcun tratto s'asconde nelle grotte del Carso e ricomparisce a S. Giovanni per gittarsi di là nel mare. " È singolare il caso clie un fiume intero, sebbene di non lungo corso, bagni le terre di un solo padrone, come il Timavo quelle délia Principessa di Hohenlohe. " Qiiando il tempo si volge alla pioggia, vi si prendono grosse e sa-poritissime anguille; a'tempi andati, dove l'acqua mescolavasi col mare, erano celebri i Iranzini (Lupus laneus. Perca punctata L.) divenuti oggi più rari. gere nella favola le vostigie dol viaggio fatto da un popolo longe aniiquissimus, come lo chiama Strabone, đella stirpe paflagonica, detto degli Eneti. Spiuti dalle emigrazioiii dei Cimmerii, essi veii-]iGro per la Tracia e 1'Illiria nell'intimo seno dell'Adria e presso il Timavo; di là si avanzarono fiiio al Po e, cacciati gli etruschi Euganei, posero la loro sede nel paese intorno a Padova, che forse da loro trasse la prima origine. Monumeuto del loro primo soggioruo al Timavo rimase il tempio del tracio Diomede, gran domatore ed allevatore di razze equine. Con questo sarebbesi confuso il Diomede etoUco, noto dai poomi di Omero, il quale pervenne fine al veneto estuario. Dalla Tracia pertanto, ove fu trasportato dall'Asia Minore, sarebbesi diffuso fino al Timavo e poi nella provincia di Padova 1' allevamento dei cavalli e dei muli. Che al Timavo venisse introdotto da Dionisio di Siracusa, sem-bra essersi male creduto, per avere interpretato erroneameute un passo di Strabone. Celebri intanto divennero i corsieri del Timavo, sino noi giuochi Olimpici, e il costume di simili corse, conservato anche nolle varie città del Friuli e del Veneto, deve k sua origine al medesimo popolo che al Timavo istituiva il primo equile. Questo ci spiega porche iiei secoli seguenti e quaudo i Torriani veu-iiero a Duino, 1' equile medesimo siasi mantenuto in fama ed in fiore. Mercati di cavalli s'usavano e s'usano tutt'oggi in parecchie borgate e città della Venezia, e, come a Duino, si collegano colla festa del Santo titolarc. E di vero al luogo del tempio di Diomede, surse al Timavo nell'êra cristiana il tempio di S. Giovanni Battista, patrono della parocchia duinese; e nella sua festa si continua a tenere il mercato di cavalli; ultima memoria di questa istituzione al Timavo. L'arrive degli Argonauti aile foci di questo fiume supposto nel 1360 a. C. puo essere un viaggio d'andaci avventurieri della schiatta dei Minii, la quale, sparsa nella Tessalia, nella Beozia e ueir Argolide, era esperta nelF arti nettunie, del navigare e del domare i destrieri. Strabone ne segue le traccie dall'antico Capo Giasone pressa Darazzo, lungo le coste della Dalmazia e dell'Istria sin qua, dove dice essere esistiti i duo luchi di Giunone argiva ed etolica; e nell'uno e nell'altro epiteto si allude alia Grecia. Con Antenore iinalmente e co'suoi Frigii e Troiani sembra che nel 1280 a. C. migrassero per I'occidente altri Eneti, seguendo la via tenuta dai primi, non senza incontrar resistenza nella Li-burnia e nell'Illiria; superate le fonti del Timavo si sarebbero con-giunti coi loro fratelli, di oui Antenore, per averne rassodato il 5 domînio, điveuiie iii^sèguito nella memoria dei posteri 1' unico duce ed eroG '. Il Timavo servi quindi di limite fra Veneti ed Istri, fin-chè Tina schiera di Galli, calati dalle Carniche Alpi venne a stabilirsi non luiigi da quel fiume. Ma i Romani chiamati in soccorso dai Veneti, temeudo queste invasioni, costrinsero 1 Galli a rivalicare i monti e per assicurare il confine, fu dedotta la colonia ď Aquileia. Segiiô allora il Timavo la divisioue fra Romani ed Istri, che pero diventarouo per la repubblica una continua minaccia. Conveiiiva sfrattare anche questi e spingere i baluardi ď Italia fino aile Giulie. La lotta decisiva fu ingaggiata nel 180 a. G. sotto il console delle Gallie Aulo Manlio Vulsone Imperciocchè questi desideroso di trionfi, ma pur temendo 1' accusa ď essere uscito di proprio arbitrio délia provincia assegnatagli, raccolse a consiglio i suoi tribuni, e mentre alcuni opinavano do-versi tosto muover le insegne, per impedire ai nemici di raccogliere le loro forze, ed altri volevano se ne iuterrogasse il senato, vinse la sentenza di rompere gl'iudugi. Il console, partito ď Aquileia, pose gli alloggiamenti al lago del Timavo; seguillo il duumviro G. Furio cou dieci navi, ed altre onerarie cariche di vettovaglie. Di là il navilio, seconde la descrizione di Livio confrontate colla posizione del luoghi, sarebbe venuto ad ancorarsi nel seno di Sistiana frattanto che Manlio si avanzava colle sue legioni, poneudo gli ac-campamenti a cinquo miglia dal mare, forse nell' odierno Vallone. Quivi fece pure portare le vettovaglie condotte nelle navi. Fra il rampo ed il mare fu mandata un'avanguardia, la quale a cagione délia nebbia e dei colli iiiterposti non s' avvide che Garmelo, luo-gotenente del re Epulo, gli stava da presso, spiando le messe dei Romani e intento a profittare dell'occasione per piombare improvviso ' Tito Livio, L. L ^ Ivi, L. XLI. Per i commcnti e le varianti vedi specialraente Ireneo della Croce, Storia di Trieste L. I, e. 8-11. Jissendo uii avvenimento seguito presso Duino, di cui la memoria rimaiic aneor viva, senibra opportnno narrarlo per disteso dietro la descrizione di Livit). ® Sistiana non si nomina aneora da Livio : piîi tardi tro vasi 6Vsiřia»iím e Sistilianum, che alcuni non so con quanta probabilita, derivano a sistendo, perché là fermossi l'esercito romano. Sestian in lingua slovena significlierebbe con-colonista ted. Mitansiedler. II P. Ireneo op. cit. pag. 588 illustra un sigillo del medio cvo, coll'iscrjzione: Sistilianum, Pahlicae, Castiliar, Mare, certos dant mild fines, cioè determinano i confini di Trieste. Che a Sistiana seguisse il combaltimento apparirebbe auche dalla cronaca citata dal P. Ireneo pag. 41 e dallo Scussa pag. 17; ma alcuni passi di Livio, a dir vero, alquanto oscuri, non permettono di asserirlo con certezza. sopra di loro. Ma tosto che i raggi del sole ebbero diradate le iiebbie, i legionari! atterriti al vedersi dinanzi 11 iiemico e stimaii-dolo pili iiumeroso che non era, con gran tumulto fuggirono al campo, spargeudo anche là il piíi grande spaveiito. Non si udiva che un grido: al mare^ al mare; tutti si precipitarono a quel la volta, dqve anche il console, dopo ď avere indarno tentato di ri-chiamare i fuggenti, fu costretto a. seguirli. Rimase indietro con tre manipoli il solo tribuno M. Licinio Strabone, il quale, assalito dagli Istri mentre con coraggio romano esortava i militi alla pugna, non cesso di combattere, fiuchè non rimase trafitto co' suoi dalle spade nemiche. I vincitori, impadronitisi delle vettovaglie, si diedero in preda alla crapula, senza più curarsi ď inseguire il nemico. E per essere meno assueti a quei cibi ed a quei vini, se n' empirono fuor di misura. Intanto i Romani facevano irruzione aile navi, e con tanta foga, che ne nacque un vero combattimento, volendo ognuno essere fra i primi a salirvi. Moite barche per il peso soverchio pericolarono di affondarsi, e il console dovette dar ordine di sco-stare la flotta dalla spiaggia. Fatta una rassegiia, appena mille dugento si trovarono fra tanta moltitadine, avere ancora le armi. Fu duopo chiamare dalla terza legione il presidio dei Galli e, ri-composto, l'ordine, cominciossi finalmente a sentire l'oiita di quolla fuga ignominiosa. Il campo perduto venne preso ď assalto : degli Istri disfatti dal vino ed impotenti a resistere, quelli che ancora reggevansi in piedi, si diedero a fuga precipitosa; la maggior parte passarono dal sonno alla morte. Il re temulento, perduti Jion meno di otto mila dei suoi, iu posto sopra un destriero e a grande fa-tica riusci a sottrarsi da quella carnificina. Fra i vincitori n'erano periti quattrocento; i più non nella riconquista del campo, sibbene nella fuga del mattino. Indicibile fu in Roma- il terrore, quando s'intese la fuga deir esercito di Manlio, la quale, dipinta coi colori délia paura, crasi convertita in una totale disfatta. Il perche tosto ordinossi uua leva straovdiiiaria di militi non soltauto in città, ma in tutta r Italia, con ordine all' altro console, M. Giunio Bruto, di affrettarsi al soccorso. Ma questi, giunto che fa in Aquileia, potè assicurare il senato, che 1' esercito era iucolume. Intanto gl' Istri, udito l'arrivo doir altro console con nuovo esercito, si ritirarono e si dispersero nelle loro città e castella. L' anno appresso, 179 a. C., vennero eletti consoli C. Claudio Pulcro e T. Sempronio Gracco; e nella divisione delle provincie - u — toccb a Claudio qiiolla dell'Istria. Poco prima ch'egli arrivasse cola vestito dolle iiisegne di console, i due proconsoli^ Giuuio e Manlio, usciti dai quartier! inveruali d'Aquileia, avevano data una imova rotta agi' Istri e posto l'assedio alla fortezza di Nesazio, dove s' erano rifuggiti i principi degl' Istri, insiemo col re Epulo. Claudio coudusse ail' assedio due nuove legioui e licenziato l'eser-cito autico co' suoi capitaui, si diede tosto ad oppugnare la rocca. Con opera di molti giorni deviô il iiume, che, passaudo dinanzi aile mura, dava grande impaccio agli oppugnatori, nel mentre che provvedeva ď acqua gli assediati. Parve cio un miracolo a quei barbari, i quali pero, piuttosto che piegarsi. alla pace, sotto gli occlii dei Eomani scannarono le mogli e i íigliuoli, precipitandoli dalle mura. Fra i pianti e gli ululati di quegli infelici i Romani superarono i valli; e quando Epulo dal tumulto dei fuggitivi fu reso accorto clie la rocca era presa, di sua mano squarciossi il petto col ferro, per non cader vivo in potere dei nemici; gli altri furono presi od uccisi. Conquistaronsi in sèguito i due castelli di Mutila e di Faveria; molti nemici vennero condotti in ischiavitù; gli autori délia guerra, battiiti colle vergbe, perdettero il capo sotto la scure. Colla morte di Epulo e colla conquista delle tre rocche principali fini la guerra, mentre tutto ' il paose, dati gli ostaggi richiesti, si assoggetto alla dizione romana. Tanto importante ap-parve quella conquista, per cui fu aperto ai Romani il passaggio iieirilliria e uella Dalmazia, che fu cantata da Ostio come una delle pill celebri imprese romane Dilatato in tal guisa il confine oltro il Timavo fino aile Giulie, Aquileia divenne il centro di nuove imprese contro i popoli feroci che abitavano aile spalle degl'Istri. Dal Monte Re fino all'Al-bio si munirono le Alpi di vallo miirato, sperando chiudere il passo aile orde che stavano per riversarsi da ogni parte sopra 1' Italia. Dall'alto dei monti sino aile spiaggie del mare si eressero torri e castelli, 0 si munirono i già esistenti % per servire a presidio delle vie ed a comunicaziono col centro. Acconcio sopra gli altri fu cer-tamente il sito di Duino, comunque allora si chiamasse, per inal-zarvi un propugnacolo fra terra e mare, che tutti dominasse i dintorni, e che da Aquileia non meno che dall' Istria, dalle catene ' Hostius, De hello Histriano, in Macrob. de Saturn. ; il poema è perduto. ^ Vedine numerati alcuni dal Kandler, Discorso sul Timavo, pag. 18. Del tempo dei Garni erano i castelli i borghi inalzati nell'Istria soprailuoghi più eminent!. clei monti setteutrioiiali, como da quelle di levante, si offrisse ugual-mente alio sgiiardo. Gol fuoco di notte, di gioriio col fumo giuu-gevauo e partivano i segnali dalle più lontaiie stazioiii fino ad Aquileia, per destare 1' allarme e mettere ali' erta. Aucora nel se-colo decimo quiiito, al tempo deli' iucursioiii tiirchesche, vedesi iu questi luoghí seguito uii tal uso, e noti sono i cosi detti Graitfeuer (Kreutzfeuer) che s'accendevauo sulle diverse torri ed alture '. Nel 1866 servirono un'ultima volta a questo scopo gli spaldi di Duino, dove furoiio eretti segnali per indicare i movimenti della flotta italiana, quando avesse tentato uno sbarco in quei paraggi ^ • Nei tempi di mezzo il Timavo, o più veramente il Locavez, sognô cou qualchG iuterruzioiio il confine fra Longobardi e Bizan-tini: l'imperio di Carlo Magno si estese fino al fiume Risano iiel-ristria; col formarsi dello stato ecclesiastico aquileiese, il Timavo diveiine il limite del feudo che i dinasti di Duino tenevano in parte dal Patriarca; poi fra la signoria di Duino e il territorio veneto, come anche al di ď oggi fin là si stendono i possessi della nobile Castellana. Del medio eva ricordasi specialmente, che quando Autari, re dei Longobardi, a mezzo il secolo sesto tentô assoggettarsi l'Istria, fu mandate contre di quella grosso eser-cito comandato da Evino duca di Trento; il quale arrivato al Timavo, mise a ferro ed a fuoco il territorio verso Trieste, finchè questa riusci a liberarsi dall' invasione con grossa somma di de-naro. Nel 737 il Patriarca Callisto, fatto prigioniero dal longo-bardo Pemmone duca del Friuli, per essersi insediato ,in Cividale cacciandone il Vcscovo Amatore, venue chiuso nel castello di Ponzio 0 Pucino ^ presso il Timavo, e di là corse pericolo ď essere gittato nel mare; il che fu motivo che Pemmone venisse poi dal Re Luitprando destituito. Al Timavo nel 1112 Engelberto usurpàtore del marche-sato deir Istria, venue a battaglia con Arrigo di Eppensteiu duca di Carintia e col fratello di lui Uldarico I, Patriarca ď Aquileia, riportando in premio della sua ribellione una parte dell' usurpato paese sotto il titolo di contea. Nella guerra del Patriarca Lodovico della Torre col Duca Rodolfo ď Austria fu già ricordata la rotta che vi toccarono i Friulani. Dei fatti ď arme avvenuti in tempi meno remeti presso il Timavo avremo da far menzione più tardi. ' Archeografo ïriestino d. s. Vol. III pag. 62. Veggasi in proposito il célébré processo del Persano. 3 Pontiům lo chiama Paolo Diacoiio VI, 50 ; su di che tornerenjo a, raponare nel capitolo che tyatta Oastel Pucino, Sopra le bocche risoiianti del íiumo, lađdove i Torriaiii eb-bero Uli loro palazzo sorgeva ali'êra romana uu suiituoso iVw/eo 0 templo delle Ninfe-, edificii di simil geuere amavaiio quei fastosi si-g[iori di erigere presso le fouti e lo terme, oriiaudoli ď archi, di statue, di colonnati, di giardiiii e di quaato altro la rafňiiatezza del lusso sapeva suggerire, per reiidere aggradevoli sifatti ritrovi. E certo quel luogo doveva essere uno dei piii deliziosi: diuauzi il maguifico spettacolo dell' acque souanti, che erompevaiio dal monte per get-tarsi con onde vorticose nel mare; da un lato i tompli délia Spe-rauza Augusta e di Diomede; qui la vista sul porto e sul lago del Timavo, là selve lussureggianti, con opacchi viali e cippi marmorei e monumenti; e inûne 1' andare e venire délia gonte per la Via Gemîna, cbe, bipartendosi, volgeva da una parte verso le Pannonie, congiuiigeva dall' altra le Alpi e l'Istria con Aquileia ". 6. S. Giovanni al Timavo. a) IL TEMPIO. Cbe i Romani non lungi dal Timavo avessero eretto uu santuario alla Speranza Aiigusta, confermasi anche dalle tre pietre votive dedicate a quella dea, che per una buona ventura rimasero salve dalla distruzione e veggonsi addossate alla parte esterna del presbitero nella chiesa odierna di S. Giovanni presso il Timavo Puo darsi che altre ancora ue esistano, le quali abbiano l'iscri-zione vôlta ail' interno, giacchè apparisce che i costruttori, col toglierne lo sporto e i fregi a colpi di scalpello, non se ne servi-rono che di materiale da fabbrica, incastonandole a caso dove e come stimarouo meglio. Dell'antica esistenza del santuario non si vuole quindi dubitare; incerto rimaue quello che asseriscono pa-recchi indagatori, che i Romani abbiano convertito nel delubro délia dea Speranza il tempio di Diomede al Timavo, laddove altri vorrebbero che quella dea si vénérasse alquanto più discosto, presso le terme di Monfalcoue \ Il Berini invece è d'avviso che il tempio di Diomede fosse presso il porto Cavana, e che altro al Timavo se ' La strada passava sotto le sue vôlte e anche'oggi la processione del Corpus Domini tienc quella medesima via. ^ La strada romana che dal Timavo verso Monfalcoue tenevasi alla Costa del lago, aveya un ponte presso l'odierno stagno di Pietrarossa di cui si scoi-gono ancora alciine rovině. ' Vedi Epigrafi, N. 1. * P. e. il Kandler, Discorso sul Timavo, ne đedicasse alla dea Sperauza; stima perciô che quel fabbricato quadrangolare segnato dalla tavola Peutingeriaiia presse al Timave sia la chiestra apparteneiite al saiituario délia Sperauza Augusta, ove trovavano ricette i concorrenti alla viciiia termale, potendo essi passare in barca dall' uno ail' altro di quel luoghi '. Certo è che quando i Cristiani poterono uscire dalle cata-combe e professare liberamente la loro religione, sul luogo del tempio pagaiio presso il Timavo surse uii tempio cristiano; e dopo che S. Benedetto ebbe introdotto in occidente la yita mouastica, ebbevi là un cenobio, che contasi fra i piíi antichi e veneraudi del Friuli. Vogliono che il santuario sorgesse fino dal secolo quarto deir Era Tolgare; ma notizie non se ne cominciano ad avere cho nel sesto o nel settimo. corne yedremo piîi iniianzi. Gli scavi fatti pochi anni addietro per allargare il présente cimitero, inducono a credere, il convento essere stato nella parte méridionale délia chiesa % non sopra il Ninfeo, dove fu collocato dal Kandler. Altri ruderi che il medesimo dotto archeologo asserisce aver veduti nella sua gioviiiezza % gli diedero occasione a congetturare dalla loro forma esagoua, che oltre la chiesa esistesse un battistero. Pur troppo un incendio dei secoli scorsi, che distrusse l'archivio délia paroc-chia, non lasciando indietro. che un libro mezzo abbrustolito, ci ha sottratti preziosi document!, i quali avrebbero gettato gran luce sopra questo punto. L'archivio di Duino conserva una semplice copia, tratta, come vi è notáto, da uii corale délia chiesa del Timavo, su cui S. Giovanni Damasceno avrebbe scritto di sua mano un avve-nimeuto da ricordarsi più iniianzi. Il documento, mancante ď au-tenticità, serve piii a confoiidere che a rischiarare le idee; cio non di meno di ogfii indizio che si rinvieue deve tenersi conto, lasciando al dimani la cui'a di spiegare ciô che non comprendesi oggi. Stando a questo scritto, al tempo del Damasceno, cioè nell'ottavo secolo, la chiesa al Timavo nomavasi S. Giovanni aile tombe ed era di piccole dimensioni; ■pcragrans dic'egli, aà S. Joannem in Tumbis Foroiulli ' Indagini sullo stato del Timavo e delle sue adiacenze, pag. 7 e45; ma la sua opiniono che il tempio di Diomede fosse più distante dalle foci del Timavo, non sembra combinare col noto passo di Strabone. Geogr. L. V, c. II : 'Ev avrô) ù'i to7 fíV/íii rov 'A()'(iiov /.ai itfjov rov Jw/íijrfovi; èdriv à^tov ftvijfiijí, ro Tifíavov (sic) }.i.uéva yàii ě/ei xai à'i.doç tvn(te7iéi-, xai TTf/j/aç f noraftiov vôaroç evOvi rijir Oákartaí íxnÍ7irovro(;, TiXarel xal paOeï notafià. ' Vi si rinvennero le spartizioni delle celle; ed è il medesimo sito, dove stava anche la casa arcidiaconale. ' Ycdi il Gioi-nale "L'Istria,, nel quale il Kandler parla con grande pređilezione più volte délia chiesa di S. Giovanni al Timavo. penes parvam capellam wxta aquariim cursus; iiè vogliíímo per ora fermarci a considerare la somiglianza delle diverse forme in Tumhin, in Tuha, de TuMno de Tyhein ecc. Ma sopravenuero intanto le nnmerose iucursioni di Slavi, di Avari, di Ungheri e ď altri po-poli e dalle loro devastazioui non. riinasero imniuni neppure la chiesa e il cenobio di S. Giovanni. Devesi quindi alla munificenza di parecchi Patriarch! ď Aquileia 1' avare piii volte rinnovato quel santuario, finchè Uldarico I, che resse il patriarcato dal 1085 al 1121, sul principio del duodecimo secolo lo fece risorgere più grandiose di prima. Voile inoltre Uldarico costituirgli una dote e, quando vi consacrô l'altare di S. Croce, gli donava altresi la parocchia Marcelliana ' con dieci colonie (masi) restituitegli da Mainardo di Gorizia m loco qui Orfuwin dicitur, e dieci altre avute dal mar-chese Engelberto in riparazione dei sacrilegii ed incendii commessi dalle sue genti nelle cliiese délia Carniola l Nuove devastazioni portarono con sè le ripetute incursioni turcliesche del secolo decimo quinto: e corne da queste non si sottrasse neppure il castello di Duiuo, ancor meno è da tenere che salva ne rimanesse la chiesa di S. Giovanni. A queste pertanto è da ascrivere la ricostruzione del tempio fatta dai signoři di Walsee, che vedremo succedere nel possesso di Duiuo agli antichi baroui Duinati. Dei Walsee non esiste che l'abside sopra disegno che s' av-vicina al gotico; se fosse stato compito, il tempio sarebbe divenuto uno dei piii maestosi délia provincia. La pietra squadrata, di cui si fece uso, e i tre cippi dedicati alla Speranza Augusta, manife-stano l'origine di quel materiale, tolto dai templi romani; il perché ben si puô dire te saxa loquuntur. Ma oltré 1 sassi, ne parlano anche gli uomini, e fra questi Marin Sanudo nel suo . Itinerario stampato nel 1487. > Nel mezzo délia chiesa giace una lapide coll arma dei Reichenburg scolpita in basso rilievo e contornata da caratteri gotici che ricordano essersi ivi deposti nel 1430 il nobile Giorgio de Reichenburg e nel 1444 la nobile donna Marta degli Ungnad moglie di Giovanni di Reichenburg, Capilanii tune temporis in Tuha. Di Giovanni de Reichenburg ci è noto da parecchi documenti es- ' Antica matrice délia parocchia di Monfalcone, che porta il nome dal suo restauratore Marcelliano Arcivescovo d'Aquileia (485-500). ' Arch. di Duino, copia di diploma forse del 1121 riportato per di-steso in quelle del Patriarca Bertoldo. » Yedi Epigrafi, N. 16. ser egli stato capitano dei Walsee iii Duiuo; e pero diceiidosi nelFepi-tafiio, ch' egli fu capitano tunc iemporis in Tuba, si vede che per Tuba iiitendevasi Duiuo, poicliè uuo solo era il capitauato e questo prese il nome da Duiuo, non mai da S. Giovanni, che vi rimase incorporato per la violenza dei Duiuati '. Ma un nodo difficile a scio-gliere si présenta in questo luogo. Il corpo délia chiesa distinguesi dal presbitero dei Walsee non pure per il disegno, poicbè non sono che tre mura liscie sormontate dal tetto colla travatura ail'interno scoperta; ma anche pel materiale, che alcuiii pezzi sculti di rozzo lavoro, distribuiti qua e là ail' esterno, c' indurrebbero a tenere del tempo di Udalrico Patriarca o dei secoli a quello più vicini. Sem-brerebbe pertauto che i Walsee, la cui chiesa dal Sanudo pel nuovo coro Tien chiamata nuova, a cagione délia loro estinzione sieno stati impediti dal demolire il restante e dal ricostruirlo, con-tinuando il disegno dell'abside: a ciô siamo indotti anche dal monumente del Reichenburg, che è délia loro età e non trovasi nel coro, sibbene uella navata. Ma in vece appreudiamo dall'iscrizione che stà air esterno sopra la porta maggiore , che al tempo del capitano imperiále di Dnino Giovanni Hofor (Hovar) venue qui costruita nel 1519 una chiesa in onore di S. Oiovunni Baitista Sono quindi ď avviso che la chiesa sia stata soltanto restaurata, vogliasi pure radicalmente, dagli Hofer; e di ciô potrebbero esser indizio le traccie troppo visibili di finestre e di porte che vennero chiuse e di nuovi fori che fnrono aperti; le finestre délia navata spettanti al mare vennero messe in armonia collo stile di quelle del coro. Nuove ed importanti aggiunte vi fecero i Torriani. La torre delle campane cominciata forse prima, fu compita nel 1642 sotto Giovanni Filippo délia Torre, che a quel tempo era capitano pi-gnoratario di Duino Gongiunti colla chiesa dal lato méridionale erano un sepolcreto ed uua cappella Torriana, fondata sullo scorcio del secolo XVII c dedicata alla gloriosa Vergine di Loreto Sul ' È già stiito avvurtito clio dicevasi Tuba o Tnbiium promiscuameiite. Vedremo più iniiaiwi onde venga il uome di Đuinu. "" Vedi Epigrafi, N. 19. ® Strana è la locuzione di quosta epigrafe anche purciô, die secondo la raedesima dovrebbe ci-edersi, cho ap )eua uel 1519 abbia cominciato ad esi-stero una chiesa di S. Giovanni in que site, contro le rolazioni c i monumenti storici più indubitati. Vedi Epigrafi, N. 29. ' Il fondatore Filippo Giacomo Delia Torre ordina nelsuotestamento del 13 maggio 1704, cho sia in perpetuo illuminata e vi istituisce una messa per ogni sabato, coll'obbligo di recitarvi anche le Litanie Laiiretane. priiicîpio di (luesto secolo essa venue abbattuta dal conte Rai-mondo IX délia Torre, per rifarla -attigua alla chiesa di Sagrado Al conte Filippo Giacomo délia Torre, figlio del mentovato Giovan Filippo, è dovuto anche 1' altar maggiore, ricco di marrai, se non di ottimo gusto, clae venue per suo ordine uel 1722 fatto eseguiro da suo figlio Luigi ^ Monumento di pietà non meno obe di va-lentia uel trattare il pennello è la bella tela dell' Immaoolata Con-cezione dipiuta sopra un altare laterale dall' ultima Torrlana di Duino, la Principessa di Hohenlobe. Da alcune isćrizioni di cui resta memoria, si raccoglie cbe pareccbi arcidiaconi e parocbi ebbero onorifica sepoltura in S. Giovanni; fra questi anche un Leopoldo délia Torre, mancato ai vivi nel 1712. Ed era ben giusto cbe un monumento, per quanto modesto, 0 cbe vedesi addossato alla parete esterna, attestasse la gratitudine délia paroccbia ail' ultimo decano defunto, il compianto Monsignore Stefano Dobak, le cai opere e virtù rimarranno scolpite per lungo tempo nella memoria e nel cuore dei posteri. Di altre persone illu-stri, deposte un tempo a S. Giovanni, v' banuo parimente memorie e sopra tutto merita ricordanza la moglie del célébré Mattia Hofer, Lucrezia dei conti ď Arcb, rapita da morte in giovauissima età, senza prole mascbile bj LA BADIA. Le vicendo dell'abbazia annessa in autico al tempio di S. Giovanni, sono strettamente congiuute cou quelle di altro rinomato cenobio esistito per molti secoli presso Aquileia. È questo il mo-nastero di Beligna, la cui fondazione sembra doversi ascrivere a Marcelliano Arcivescovo ď Aquileia sullo scorcio del quinto secolo, nel sito dell'antico tempio di Beleno \ Abbiamo più addietro par- ' Vedi Epigrafi, N. 41. ^ Testamentů di Luigi đella Torre 7 maggio 1722. ' Vedi Epigrafi, N. 23. ' Dio del sole protettore ď Aquileia, del culto celtico e carnico fram-misto allé tradizioni orientali di Bel, Baal, Abelio ecc., in cui i Romani, acco-glitori di tutti i eulti, riconobbero il loro Apollo. Stava questo nume in gran-dissima riputazione, come scorgesi dal passo d'Erodiano (1-8): Bcleii voeaiit indigenae, magnaqiie cum religione colimt, Apollinem interprétantes. Cfr. Per-vanoglCi, Aquileia prima dei Momani nell'Archeogr. Triest. n. s. vol. V pag. 409 e scgg. lato ' delle đevastazioni avvoiiute a S. Giovanni dol Timavo per lo incursioni barbariclie ripetute più volte dal seicento al mille ; ondo iiisiome coi santuarii fu doviito abbandouarsi aucbe il coiivento. Ma il Patriarca Popone, piii sollecito per quello di Beligua, pari-meute devastato dalla rabbia ostile, »cov\sid.eraudo cbe quella terra, »quantunque i corpi dei Martiri Jie fossero stati asportati, era »del loro sangue cospersa, nel restituire quei corpi alia loro pristina »sede, con approvazione di parecclii Vescovi suffraganei, del clero »e del popolo«, donava al convento il territorio beliuiese insieme colla corte di Fagagna e colle due ville di Medaua e Viscone ^ Ri-pristinata pertanto la badia di Beligiia, quella di S. Giovanni ter-mino a diveutaruo una dipeudeuza; perocckè i\el medesimo secolo sotto i Patriarchi Arrigo (1077-1084) e Federico II (1084-1085) fii a quella aggregata; il cbe, forse ancora nel 1085 veniva con-fermato dal successore immediato di Federico, Uldarico I. della casa degli Eppenstein. Dal suo diplonaa ^ apprendiamo che la chiesa di S. Giovanni o il suo monastero, un tempo uominatissimo, giixcevano deserti sui loro ruderi e soggetli a servitù laicale. Perciô ogli doua la chiesa cou tutto il suo territorio fino a Valcatino, insieme colle ville di Malchina e Sella " ail'abate Giovanni di Be-ligna, coir obbligo di tenervi alcuni monaci pel servizio divino e perche serva di rifugio a quei di Beligiia contro 1' aria malsana del loro convento ^ Ricostruita la chiesa di S. Giovanni, il medesimo Patriarca Uldarico nel farle i ricchi donativi che abbiamo indicati più addietro ricorda un' altra volta che il regime ne spetta air abate di Beligna. Approvossi nuovamente dai Patriarchi 1' unione di S. Giovanni alla badia di Beligna, tanto sotto 1' abate Richero, a mezzo il duodecimo secolo quanto sotto 1' abate Leonardo nel 1213; ' Pag. 48. ^ Archiv, di Duiuo, copia. Il privilegio di Popone consimto per ve-tustà è coufermato e riportato per iiitero in quello del Patriarca Bertoldo. ^ Le copie venule fino a noi ne omisero la data- ma cleve essevc an-toriore a quello del 1121 citato a pag. 48; vuolsi del 1112, e puô essere, perché nel 1113, prohahilmente nello scavare le fondamenta del nuovo tempio ordinato da Uldarico, scoprironsi le reliquie sotterrate a S. Giovanni. Il Kandler lo crederebbe del 1085. ^ Mavhivje e forse Opacjeseîo (villa o colonia dell' abbate). M ipsis monachis, quoniam BelUnee locus infirmas est, irruetitium erjritiidinwm aligiiocl sit ad teiiipus refugium. La medesiraa sorte toccô più tardi, col formarsi delle paludi, aile regioni di S. Giovanni. " Vedi pag. 48. ' Antonio lopiň, Dell'Abhazia di S. Martino cMla Beligna Udine, 1867. clove il Nicolotti osserva, cio essersi fatto dal Patri area Volchero ' coil illustre e religiose giudizio, acciocche la Beligiia e S. Giovanni, luoghi di nguale venerazione appresso i gentili, essendo stato I'uno consacrato ad Apolline e I'altro a Diomede, sotto il rito cristiano risplendessero, sg non di pari bellezza, almeno di pari fortuna, raccomandati alia cura della piii santa e della più esemplare religione. Un'ultima volta il Patriarca Bertoldo rinnovava all'abate Vecellone i privilegi accordati a Beligna ed a S. Giovanni da' suoi predecessori Popone ed Uldarico, e vi concorse a quanto sembra I'approvazione di Papa Gregorio ^ Iiitaiito il numero dei monad, forse per 1' aria insalubre, ando sempre piii assottigliandosi; quindi è clie 1'abate Mattia nel 1321, per non lasciare deserta la chiesa di S. Giovanni, vi mandava a reggerne la plebania un certo Giovanni di Ghevia V Alcun tempo appresso Floriamondo di Cergneu, lasciato il convento dei Dome-nicani di Cividale, e vestito probabilmente I'abito dei Benedettini, dai quali dipendeva S. Giovanni, ne assunse la paroccbia, iincbè egli stesso veniva create abate di Beligna Nel 1344 vi era pievano un Uldarico, il quale entra come testimonio in un atto dei signoři di Duino Col mancare dei conventual! andarono crescendo ogni di piii le pretension! degli avvocati di S. Giovanni, che erano quei potenti signoři di Duino, a cui sembra alludere anche il diploma di Uldarico L, dove si lamenta della servitù laicale a cui undo sog-(jetta la chiesa. Non è di questo luogo il parlarne; cio soltanto fin d'ora osserviamo, che essendo i beni e il patronate di S. Giovanni ' Sedctte in Aqnileia đal 1204 al 1218. Egli è quell'illustre Patriarca, poeta, cavaliere, crociato, morto in odore đi santità, che venue chiamato ad estin-giiere gli odii mortali nati da una festa trevigiana nel 1214. Un castello d'amore 0 dell'onestà, corne chiamavasi in altre parti ď Italia, guardato dalle più nobili donzelle, doveva espugnarsi dai giovani cavalieri: le armi erano rose, gigli, viole, anipolle di balsamo. Le teste delle donzelle erano difese da corone ed ornamenti di crisoliti, giacinti, topazii ed altre gemme preziose. Incerta duré la pugna per lungo tempo ; quando una brigata di Veneziani, scalate le mura, cercô pe-netrar nel castello; i Padovani gelosi li seguirono dappresso e, lacerato il ves-sillo di S. Marco, convertirono il giuoco in sanguinosa battaglia. La festa divenne motivo di guerre e di odii fra Treviso e Padova da un lato o Venezia dall'altro, assopiti a grande stento nel 1217 da Volchero, delegate a ciô dal Papa Onorio IIL ^ Vedi i diplomi citati. Bertoldo fu Patriarca dal 1218 al 1251. I diplomi sembrano essere del 1243. Arch, di Duino, Copia. Intoramna 4 giugno.......nianca Panno. ' Antonio loppi op. cit. ^ lvi. '' Cvd. Dipl. iMr. e BaccoUa Bianchi, 1344, 23 scttcmbre, Udiue. venuti in mano doi Duinati, uii po' alla volta la badia đi Boligna riinasG spogliata đi tutti gli acquistati pnvilegi o dii'itti, tranne la dogana dol mercato aunualo di S. Giovanui, passata più tardi al capitolo d'Aquileia, quiudi agli Hofer ed ai Torriani, e fiualmeute alla Camera Austriaca. C). LA PAROCCHIA. Oltre gli abati di Beligiia e i sigaori di Duiiio, trovasi uu torzo, che per più secoli osercitô diritti sopra S. Giovanni del Ti-mavo: il capifolo di Trieste. Cio avveniva, perche un tempo i pos-sossi di S. Giovanni giacevano in parte su terra di S. Giusto,'; quindi spettava corne censo ai canouici trieatini, cioè di S. Giusto, la metà dell' offerta clie facevasi a S. Giovanni nella festa del Pa-tvouo, iuterteiieudo quel gioïuo alla Messa soleiuie, uua parte del capitolo. Da questo tributo durato iiuo alio scorcio del secolo XV, deduce il Kandler che, se anticamente S. Giovanni appartenne alla diocesi d'Aquileia, dev' essore passato più tardi a quella di Trieste e che torno forse alla giurisdizione primitiva, quando il Carso, dal-r Isonzo fino a Fiume, venne da Corrado Imperatore donato alla Chiesa d'Aquileia. Vorisimile gli sembra che nel 1028, allorchè Capodistria fu data alla Ckiesa tviestina, questa cédasse ad Aqui-Icia la parocchia di S. Giovanni, conservando F offerta predetta come diritto di ricognizione dell' autica maternita ^ L'incendio deir archivio parocchiale ci toglie di approfondire auche siffatta questione; ma qualche dubbio sulla congettura del Kandler non piio a meno di sorgere, quando si legge l'atto di confinaziojio fra Trieste e Duino del 1139 e il diploma più addietro citato del Pa-triarcâ TJldaïico il quale dice cb.e più ^olte i snov prcdecessori, i quali vi esercitarono giurisdizione, ristaurarono la chiesa di S. Giovanni cadente per votustà; il che, se 1' asserto del Kandler fosse vero, sarebbe piuttosto toccato ai Vescovi triestini. Accertato non rimane quiudi se non il censo spettaute ai canonici di Trieste. ' Aixh. di Trieste. Atto di confiuazione fra Dnino e Trieste del 20 giiigno 1139: quaedam pars Ecclesiae Sancti Johannis cle Tuba iacet super terrain Bancti Izisti. Sembra die alliidasi aWaYalle diSistiana, cheper qiialclie tempo, 0 giustamente o iiigiiistamente, appartenue al territorio triestino. Vedi gli articoli dell'"Istria„ sopra la cliiesa di S. Giovanni. L'offerta straordinaria nel gioruo del santo Patrono della parocchia si continua anche oggi pei bisogni della chiesa. 3 Yedi pag. 48. — M — Il mcđesimo sig, Kancller .è d'avviso, che fiiio dal secolo XI S. Giovamii fosse parocchia', beiichè ia altro luogo ' egli indichi il 1188 corne l'auno dell' asserta sua erezione. Noi ricordamino che al priucipio del secolo XII il Patriarca Uldarico donava a S. Giovanni al Timavo la Plebe Marcelliana il perché non è improbabile che a quel tempo ed anche prima S. Giovanni fosse chiesa di raugo più elevato e che perciô ad essa siasi potuto incorporare la Marcelliana. 11 plebano di S. Giovanni sarà stato da principio sem-plice rappresentaute, anche amovibile, del Monastero; in sèguito sarà diveutato stabile, cioè vero paroco, perb con dipendenza dalla Beligna, che lo eleggeva e vi mandava uno de' suoi, come s' è potuto vedere dai tre esempi recati piii addietro ^ È auche noto, che la parocchia, siccome una delle più illustri ed antiche, venue in progresse di tempo iualzata al grado di Arcidiaconato, cioè senza vescovo e capitolo proprio, ma cou estesa giurisdizione sopra gran tratto del Carso. Nei mutamenti posteriori e a noi più vicini se ne costitui un Decanato, con sede nel soppresso convento dei Padri Serviti di Duino; ma sarebbe un errore il credere che Duino e S. Giovanni formassero e formino parocchie distinto \ Dal Monastero délia Beligna i diritti sulla parocchia si vedouo passare ne' suoi avvogari, i signoři di Duino, e convertirsi sotto i Walsee loro successori in gius patronate; oltre un prete Tommaso, fu paroco sotto di loro il uobile Giorgio Obernburger, collegato con essi nella sanguinosa contesa col capitolo triestino per l'elezione dei parochi del Carso. Passô quindi il patronato nei duchi ď Austria e finalmente nei Torriani- e negli Hohenlohe ' Inclicazioni per riconoscere le cose storiehe del Litorale. Confroutati i diversi passi del líandler su questo punto sembra ch' egli non se ii-i sia formata un'idea précisa e stabile. Ricordo di passaggio aver egli ammesse duo chiese al Timavo: una dei ceiiobiti, l'altra délia plebania (la esagona dov'era secondo lui il battistero): ma quantunque tentato di seguirlo su questa via, pareccMe ragioni nii consigliarono a rinunciarvi. ^ Vedi pag. 48. ' Vedi pag. 52. " Perciô il Kandler, nelle sue Inclicanioni ecc. s' è espresso iuesatta-meute, dicendo ail'anno 1188: erezione (asserta) délia parocchia di Duino-, doveva dire di S. Giovanni, per non indurre in abbaglio. La chiesa di Duino fu inalzata appena ncl 1591 per uso dei Serviti, non délia parocchia; e aucor oggi S. Giovanni continua ad essere la chiesa parocchiale, dove si compiono le mag-giori solennità. Quindi è che le nozze illustri, di cui parleremo più innanzi, furono celebrate a 3. Giovanni. ^ Arch, di Duino, Sezione Gose ecclesiastiche. Il giuspalronato, secondo inventario giudiziale del 1849, si stende inoltre sulle VicariediNabresina, lamiano. Sella, Oppacchiasella, Brestovizza, Goreansca, Mauchigna, S. Pollay, Sgonico (ora parocchia), Zella, ïomai, Scoppa, Crainavass, Stiore, Marzana, Gabria, Novavilla, Sliuna, Samotorza e la cappella di Sjstiana. d) LE RELIQUIE. Uu avveiiiinento degno di menzione seguito a S. Giovauiii morita qui ď esserc narrato e discusso. Coiiciossiachè raeiitre da un canto il fatto non puo mettersi in diibbio, le circostanze clie r accompagnavouo, offrono dall' altro ampia materia a svariatissime coiigetture. È nota la somma yenerazione, in cui si tennero le reliquie dei santi nell' età di fede viva, quale fu la mediana. Si puo dire che iconoclasti ' e crociate per opposte vie avevano servito ad ac-crescere questa venoraziono, fondata del resto nolla natura stessa dell'uomo, il quale è poitato a venerare tutto ciô che gli rimaiio delle persone amate. Che se A egregie cose i forti aiiimi accendono L'urue dei forti, quanto più, allorchè iu queste urne riposiiio gli eroi corouati dell' aureola di santità! Perciô il Cristianesimo fin dalla culla raccolse con sommo rispetto le ossa dei inartiri e, celebrando sopra di esse i suoi misteři, professô cou questo in pari tempo la fede nella comuuione dei santi, nella ricompeusa celeste e nella risurrezioue, lusigni erano le reliquie che veneravansi nella chiesa di S. Giovanni. Accadde quindi che, ail' occasioue ď un grande peri-colo, affinchè nou restassero soggette a profanazione, venissero na-scoste con tanta roligiosità e insieme cou tanta fretta e secretezza, che, passato il pericolo, non fu piii possibile riuveuirle. Dopo molti secoli il prezioso tesoro fu scoperto, cou somma esultanza di quel medesimo Patriarca Uldarico, del quale abbiamo descritta la mu-nificenza verso il tempio di S. Giovanni. Una epigrafe scolpita sopra tre lapidi di marmo greco, for-manti 1' area dellô reliquie, e poste oggi dietro 1' altar maggiore, tramaudo ai posteri 1' avvenimento délia loro iuveuzioue Narra essa, che sulla fine dell'auno 1113, il gioruo di S. Luca, (18 otto-bre) al piissimo abate Giovranni apparve nel souno uu uomo di aspetto venerando, il quale gli diede ordiiie di togliere i Santi chiusi sotterra e di riporli in luogo piîi degno. Tosto 1' abate esegui ' Non è bisogiio di notare, che gl'iconoclasti e loro seguaci non sela pigliarono soltanto contro le immagini dei Santi, ma anche contre le loro reliquie. ' Vedi Epigrafi, N, 5. -sell comaiiđo e, fatta una fossa, vi rinchiuse le reliquie dei Santi. Erano questi Giovanni il Battista e Giovanni 1' Apostolo, i Santi Stefane e Biagio, Giorgio e Lorenzo. Nascosto aveva quel sacro deposito il chiaro Germano, affine di sottrarlo al furore del re degli Ungheri, senza che per cinquecento e forse piíi anni si sapesse in qual parte le ospa fossero state locate, finchè per le preci e le lacrime del virtuoso Pontefice Uldarico vennero felicemente scoperte. Ma donde veni vano queste reliquie? Un qualche lume da-rebbe a questa dimauda la già citata testimoniauza di S. Giovanni Damasceno ', se a quel documento potessimo prestar fede. Egli ci dice, che, essendo mandate dall' Imperatore Teodosio ail' Isola di Greta per combattervi un falso Profeta spacciatosi per Mosè, nella uotte in cui fermossi presso la piccola cappella di S. Giovanni, il patrizio Conete, figlio délia sorelfa di S. Martino, e Filippo dell'Isola fauese nella Dalmazia e Simone.....discepolo di S. Girolamo Stri- doneuse, cou Fucrione vescovo lugduiiense e Vinceuzo prete dolla Gallia e molti altri fnggiaschi, fatta una fossa sotto 1' altare vi seppellirono le ossa di quei Beati, che porta vano seco ins'eme coi loro tesoi-i, e che poi vengono specificati col ripetere l'iscrizione rammentata. A questi fuggiaschi sarebbero dunquo dovute le pre-dette reliquie, nascoste da loro sotto 1' altare. Vennero esse sotter-rate di nuovo dal chiaro Germano e rinveuute dal piissimo abate Giovanni, per le preci del Patriarca Uldarico. Ma alcijne brevi ri-flessioni bastano a farci vedere quanta confusione regni iu tutte queste iiotizie. Il Damasceno viveva uel secolo VIII e l'Imperatore Teodosio, di cd si parla, sarebbe quindi il terzo di quel nome, che sedette sul trono di Gostantinopoli ncl 716. Vero è che ammettono alcuni cssere vissuto il Damasceno al tempo del primo Teodosio, (379-395). Allora starebbe la uotizia intorno al discepolo di S. Girolamo ve-nuto a S. Giovanni; ma tutto cio non s'accorda colla vita del Damasceno, che gli storici ricordano quale consigliere del califfo di Damasco, e che quindi non poteva essere vissuto prima che Maometto predicasse la sua dottriua e che i suoi successor! sta-bihssero a Damasco la loro sede. Tutto quello portante che do-vrebbe raccogliersi da questo documento si è, che fino dal secolo ottavo cioè dal tempo di S. Giovanni di Damasco, sarebbesi parlato ' Vedi pag. 48. Il Damasceno stesso scrisse sul culto đelle immagini e delle reliquie nel suo trattato De Fide orthodoxa, L. IV, fli queste famose reliquie. Ma supposto errato quel iiome, e che invece si trattasse di persoiie vissute ai tempi di S. Girolamo o poco appresso, risaliremmo iiivece alia fine del secolo quarto o al quiuto, ill cui per coiiseguente sarebbe già esistita al Timavo una piccola cappella di S. Giovanni. Crescerebbe la probabilita che le reliquie mentovate si trovassero al Timavo prima del Damascene, dicendosi nell'iscrizione sopra indicata, che uel 1113 erano già passati cinquecento e fovse più anni, dacche le reliquie erano state ' sepolte. Ma anche questa notizia puo dirsi esatta? Se il compositore deir epigrafe iiitende davvero parlare degli Ungheri, le reliquie non sarebbero rimaste nascoste per oltre cinquecent'anni. Perocchè gli Ungheri non comparvero qui prima del 900, nel qual tempo si segnalarono per odio feroce del Cristianesimo, colla distruzione delle chiese e dei cenobii di S. Giovanni, di Cervignano, di Beligna, di Sesto e ď altri. A questo dubbio risponde il Liruti ', osservando che r essere nell' epigrafe mentovato il ferocissimo re Unghero, non puo dar motivo a credere ad una incursione del decimo secolo. Ei-salendo essa a cinquecent' anni innanzi, intende signiiicarci il tempo delle distruzioni fatte in Friuli da Cacano, comandante degli Ungheri od Unni. Venne quindi, a cagione del verso e seconde la maniera ď esprimersi di quel tempo, «usata la voce sinonima di Ungheri per indicare gli Unni o gli Avari. Il Kandler poi mentre in un luogo ascrive anch' egli alia discesa degli Avari, avvenuta nel 615, il nascondimento delle reliquie, vuole in un altro che 1'iscrizione alluda al tempo ď Attila (452), il quale pero non è noto precisamente per quai via calasse in Italia, altri stimando bonsi che venisse per Emona e pel solito varco dell' Alpi Giuhe ed altri per la Dalmazia e Trieste, ma altri ancora facendolo discendere dal Predil. Ch' egli passasse presse il Timavo, ne darebbe qualche indizio la tradiziene del cosi dette Palazzo ďAttila, che il popelo, come vedremo, cello ca in Valcatiiio, presse la riva sinistra del íiume. La piíi volte mentovata epigrafe ci dà anche il neme di colui che avrebbe nascoste le reliquie; se questo Germana fesse 1'abate di S. Giovanni o di Beligna, avremmo trovato un ueme di più iiella serie dei rettori di quelle badie; ma le sole parole del-r iscrizione, anche quando vegliansi mettere in qualche relaziono col verse che dà il neme di Abate a Giovanni, scopritore delle reliquie, ' Liruti III, pag. 177 non ci permettoiio di farne una sicura illazione e non escludono la possibilità che qualche altra illustre persona siasi data que-sta cura. Da tutto quelle che abbiamo ragionato, si vedc adunque che r epigrafe, a malgrado délia sua prolissità, almeno per noi, è tutť altro che chiara, e non che tacere sull' origine delle reli-quie con tanta pietà e per tauti secoli venerate in S. Giovanni, ci lascia in dubbio anche stil vero tempo in cui vennero nascoste, e sul modo del loro scoprimento. Mentre ci narra da una parte una visione avuta dali' abate Giovanni, in sèguito alla quale le reliquie sarebbero state dissotterrate per nuovamente riporle in una fossa, ci fa sapere dall' altra che lo scoprimento si deve aile lacrime amare ed allé limosiiie del virtuosissimo Patriarca Uldarico. Quello che risulta da tutto il complesso è, che la me-moria delle reliquie nascoste fu tramandata di secolo in secolo; che del tempo e delle congiunture in cui veniiero sotterrate gli scopritori non sapevano rendersi esatta ragione, e che forse nello scavarfi le fondamenta per erigere il nuovo tempio ordinato da Uldarico, vennero rinvenute fra le macerie. Ma da quel tempo le reliquie vi sono rimaste fino al di ď oggi; e la pietà dei popoli e dei principi verso le medesime, auzi che scemare, venne col tempo piuttosto crescendo. Nel 1576 la moglie deir Arciduca Carlo, al quale appartenevano le provincie meridionali dell' Austria, si condusse con grande pompa alla chiesa di S. Giovanni, accompagiiata dal capitano di Duino Mattia Hofer, per venerarle devotamente, ed otteneva dal Vicario del Patriarca Giovanni Grimani alcuni frammenti delle medesiine, avendo divi-sato di collocarle nella chiesa da costruirsi per la salute dell' anima sua e di quella di suo marito '. Da tempo immemorabile per tener viva la memoria del loro felice rinvenimento, fu introdotto il costume di portarle solennemeute iu processione, coll' intervento del clero e del popolo di tutte le chiese filiali, nel giorno sacro al Battista; e a queste si uni da età del pari antichissima an che la reliquia della Santa Croco, forse da quando il Patriarca Uldarico consacrava in S. Giovanni I'altare di Santa Croce. Insomma esse furono e sono, se ci è lecito esprimerci in forma pagana, il sacro Palladio della parocchia. ' Arch, di Duino, Sez. Ecclesiast. Decreto al pievano di S. Giovanni 1576. e) L'EVANGELARIO. Colle reliquie di S. Giovanni sembra collogarsi un altro pre-zioso cimelio, il quale parimente sarebbe state per qualche tempo dcposto in quella chiesa. Ma 1' argomento ch' io tocco avendo iu ogui tempo destato vivissimo interesse, mi costringe a prendere lo mosse un po' piii da lungi. Narra la tradizione, che 1' Evangelista, S. Marco, quando veune a spargere la Buona Novella fra gli Aquileiesi, approdasse in un luogo solitario di quelle spiaggie, indicate ancor oggi da una cappella, e, fermata quivi la sua stanza, vi scrivesse il suo Van-gelo. Venne quindi tenuto dalle età posteriori che in Aquileia ri-manesse il Vtingelo scritto dalla mano di quell'Evangelista. S. Marco, come abbiamo dal Libro di S. Girolamo, De scriftoribus Ecclesiasticis, dettô il suo volume a Roma, alio scopo che servisse per i Gentili, come quelle di S. Matteo doveva servire agli Ebrei. A Roma il Vangelo di S. Marco fu approvato dall' Apo-stolo Pietro e da Piotro, sul cui racconto venne composte, fu date a leggere alla Chiesa, come autentica scrittura. Sebbene ebreo di nascita, come apparisce anche dalla sua maniera di scrivere, è opinione comune ' che S. Marco componesse il suo testo in greco, per essere quella hngua familiare noti meno agli Ebrei che ai Gentili. S. Marco avrà quindi non già composto 1' originale in Aquileia, ma portato colà il suo Vangelo, come portollo in Alessandria, e puè aver ne donata una copia al B. Ermacora, insediato da lui nella cattedra neo eretta,- il che riusciva molto opportune iu questo nuovo centre délia diffusione del Cristianesimo, tante frequentato dai forestieri. Nè sembra probabile che in quel tempo 1'Evangelista ne facesse egli medesimo una traduzione latina in Aquileia, o che, dopo ď avero scritto a Roma il suo Vangelo in latino, dimorando in Aquileia, come suona un'altra tradizione, lo traducesse in greco l ' Dicn comune, perché p. e. il Baronio segiùto da non pochi dei moderni, opina che presentando Marco il suo Vangelo segnatamente ai Romani, si servisse délia loro lingua e dei caratteri latini. Questa opinione fondasi dal Baronio, suli'autorita del Sirleto, nelP esanie critico del testo greco, che si ri-velerebbe per versione dal latino. ' Befevtiir traditione magis, quam antiqiiorum certo testimonio, ipsu-met Mareim Evangelium simm, quad Romae latine scripserat, cum postea Aquileiae moraretur, in graecum transtidisse, ipsumque origincde dicitur, Aqui-leiae assei-vatum, Venetias demim traslatum esse. Spondano, Ann. Eccl. anno 45 n. 13 citato dallo Scussa, Storia Corografica di Trieste pag. 28. Comuiique sia, pavagonata la tradiziono coi fatti, trovasi cssero osistito ed osistore tíittora realmonte uu Vaiigelo di S. Marco chc in antico fu custodito aoche in Aquileia. Ma qiiesto Vaugelo ossorviamo anzitutto clie non è greco, e quando pure 1' originale fosse stato scritto in latino, portaiido i caratteri unciali romani del quarto 0 quinto secolo, non puo essore scritto dalla maiio di S. Marco, aiiche se egli avesse doiata una copia del suo Vangelo al Vescovo ď Aquileia. S' aggiunge che uniti vi erano i tre Vaiigeli di Matteo, Luca e Giovanni. Piíi probabile sembra qui udi 1' opinione, che quando S. Girolamo, attratto dalla pieta del clero aquileiese dimoro, per qualche tempo in quella metropoli, facesse egli medesimo il dono ď una copia del proprio Evangelario all' amico suo, il B. Cro-mazio, ArcivescoTO ď Aquileia. Che fosse dono di quell'insigne Dot-tore della Chiesa, il quale in parte tradusse egli medesimo in latino e in parte corresse le traduzioni anteriori dei Libri Santi, si de-durrebbe anche dal Prologo che vi va unito, diretto al Ponteílce S. Damaso, per ordine del quale egli imprese quell' arduo lavoro cotanto lodato da S. Agostiuo. L' equivoco poi ď aver tenuto quel libro per dono di S. Marco, deve, come ben osserva anche il Kan-dler ' essere nato da ciô, che in memoria del primo propagatore della fede cristiana in Aquileia, quel Vangelo, staccato dagli altri tre, venue messo in preziosa custodia, la quale con una parte del testo oggi trovasi nel tesoro della Basilica Marciana in Venezia Quanto radicata fosse nel medio evo 1' opiuioue che il Vaugelo di S. Marco custodito in Aquileia fosse di sua propria mano, avremo occasione di vedere fra breve; ma toruando dopo queste necessarie premesse alia chiesa di S. Giovanni, hannovi indizii per dover credere, che ivi o separatamente o insiemo colle sacre reliquie mentovate venisse nascosto anche 1' Evangelario Aquileiese, od al- ' Istria, Anno V. ^ lo ebbi agio di esaminarla : sono due lastre ď argeiito dorato con figure a rilievo, di cui la superiore fregiata come 1'inferiors dello stemma di Aquileia, sembra rappresentare S. Marco seduto in cattedra, die catecliizza col libro del suo Vangelo, portato da un angelo, il B. Ermacora inginocchiato iuuanzi a lui; l'inferiore, divisa in due campi, porta nelP uno la Crociiissione, nell' altro forse S. Pietro in atto di consacrare Ermacora e di consegnargli il pastorale. La lastra inferiore porta anche lo stemma del Patriarca Kaimondo délia Torrre, che perô non sembra asservi stato in origine. Il vedervi il libro del Vangelo, puô appunto alludere alla credenza, che Marco consegnasse ad Emacora il suo Vangelo. — I quaderni di Praga e di Oividale, dove pure conservas! una parte dell' Evangelario, concordano fra loro per la forma e per i caratteri, nè discordano da quelli della Marciana, sebbene più guasti dal tempo e dall' uraido e perciô conservati fra doppio cristallo. mono il Vaiigclo di S. Marco. Abbiamo già parlato del documeiito attribuito a S. Giovanni Damasceno dal quale risulterebbe che fra i profughi venuti al Timavo per seppellirvi le ossa di parecchi Beati insieme con altri tesori^ è iiominato uu Simone discepolo di S. Girolamo Stridoneuse. InYei\ta,to di sana pianta, per quanto ino-satto, uou posso credere quel documento; io vi vedo piuttosto una confusione di fatti, cbe forse attengono a tempi separati fra loro; onď è cbe un discepolo di S. Girolamo, se anche non porto seco precisamente le reliquie descritte, poteva cercare di mettere in salvo fra' suoi tesori, certo ecclesiastici, gli scritti del suo grande maestro. Ma quai attineuza egli avesse con Aquileia e se quindi gli scvitti di Girolamo fossero 1' Eva^gelario doiiato a quella chiesa, non si potrebbe dire, se uu altro indizio non ci venisse in soccorso a raffermare il primo: quello cioè, che nei tanti trasporti, trafuga-meiiti, depredazioni di reliquie di Sauti e di oggetti preziosi, in mezzo aile notizie più contraddicenti, le quali prováno la somma venerazione in che si tenevano quei sacri tesori, comparisce co-stautomente anche 1' Evangelario. Nè questi trasporti si restriusero aile sole oceasioui meutovate diaiizi pavlando delle reliquie, ma si ripeterono più volte e a S. Giovanni e in Grado e in Gividale e in altri luoghi duranti le incursioni barbariche e le guerre intestine. La veuuta di questo discepolo dello Stridonense a S. Giovanni servirebbe anche a corroborare una terza opiuioue sostenuta da alcuiii, i quali credono che iu- origine 1' Evangelario si troviisse nel famoso chiostro di S. Giovanni e che nascosto colle reliquie al tempo dell' incursione degli Avari, fosse poi dal Patriarca Uldarico portato a Beligna, donde al tempo dei Patriarchi Torriani pervenne al capitolo ď Aquileia. Ma per vedere quanto le notizie pugniuo le une coll' altre, basta osservare che i dominatori del ducato del Friuli, cominciando dai Longobardi sotto Alboino, ossia dal 568, fino a Carlo Magno vi apposero il loro uome, facendo beusi menzione che una volta il codice esisteva nellabadia del Timavo, ma con cib stesso dimostrando impossibile che potesse in quella stagione essere nascosto sotto le macerie délia chiesa di S. Giovanni. Trattato ex professe, o almeno esaurito, non fu mai questo ' Vedi pag. 56. ' Anche dopo Carlo Magiio continuarono gl' imperatori a segnarvi il loro nome iino alP ultimo Francesco II. argomento da alcuuo dei tanti scrittori che ne parlarouo i più si restringono a copiarsi l'ua l'altro, uoii senza contrađdizioni. A noi basta aver indicata la probabilita che l'Evaugelario abbia attineuza anche col chiostro di S. Giovanni ; ma giacchè sull' origine e primitiva sede di questo veneratissimo codice sembra non potersi venire in chiaro, vogliamo piuttosto parlar anche noi délia sorte toccata al medesimo nelle età più vicine aile nostre, delle quali abbiamo te-stimonianze piii certe. Quando sedeva sulla Cattedra ď Aquileia il Patriarca Nicolô di Boemia (1350-1358), fratello naturale dell'Imperatore Carlo IV, avvenne che quest'ultimo nel suo viaggio in Italia, fosse da Nicolô splendidameute ospitato in Udine, e che come omaggio piii caro e douo più prezioso desiderasse aver dal fratello e dal capitolo Aquileiese due quaderni del Vaugelo'di S. Marco, teiiendo, seconde la tradi-zione costante, ess ere quelle il medesimo che fu già scritto dalla mano del Santo. Cio risulta dali' attestazioiie autentica fatta dal Lussemburghese in quella occasioiie sopra il codice stesso, di cui venne spedita una copia anche ail'ambasciatore cesareo presse la repubblica veneta, il conte Francesco délia Terre, il quale di questo argomento dovette occuparsi per le ragioni che tosto addurremo. »lo Carlo IV ecc., dice l'attestazione, vidi il libro dei Vaii-geli posseduto dal Patriarca e dalla Chiosa ď Aquileia, scritto fer intero di mano del B. Marco dal j'rincipio alla fine in sette quaderni; il quai libre fu conservato nella suddetta chiesa dal B. Er-macora e dalla Chiesa aquileiese fine ad oggi, avendolo il B. Er-macora ricevuto dal B. Marco; quell' Ermacora che dal B. Pietro per resignazione ed iutercessioae di S. Marco ebbe 1'episcopate ď Aquileia. Di questo libre, dietro preghiera fattaue al Patriarca ed al capitolo, otteimi i preseuti due ultimi quaderiii« (dal cap. XII versetto 20, fino alla fine). Taie e tanta fu la venerazione dell' Imperatore pel dono prezioso, che ordiiió di far rilegare il volume in oro e iu perle del valor e di duemila ducati; e intanto lo mandô incontanente col mezzo del conte Ludovico degli Hohenlohe ail'Arcivescovo e capitolo di Praga, sua residenza, dando ordine a tutto il clero délia città di muovergli incontro solennemente, per riceverlo in cousegna. Ogni anno pol nel giorno délia Pasqua di Risurrezione il libro doveva ' Scrissero sulP Evangelario il Riibeis, Bernardo Montfaucon, Giusto Foutanini, dai quali raccolsero le notizie gli scrittori più recenti, portarsi in processione; e dal cauonico điacoiio assistonte alla Messa pontificale spettava di leggere da quello il brano evangelico del giorno, che è al capitolo XVI. I quaderni rimanenti del Vangelo Marciauo nel 1420, in cui i Veuoziaui diveiiuero padxoui del Friuli, trovavansi in Cividalc insieme con quelli' degli altri tre Evangelisti. Il che saputosi dal Screnissimo Dominio, che nell' 828 aveva già con pia frode traspor-tato ď Alessandria a Vonezia le reliquie stesse del Santo Evangelista, si voile avere dai canonici di Cividale anche il Vangelo di quel Santo Protettore della repubblica, »sapendo noi di scienza certa, come scrive il Doge Tommaso Mocenigo, che è scritto di propria mano dal glorioso Evangelista«. E il capitolo preudendo alla lèttera le parole del principe, gl' iiiviô i quaderni di quel Vangelo, salvando per sè gli altri tre Vangèli formanti il resto dell'Evangelario. 11 Palladio si distende quindi a narrarci le solennissime feste colle quali venne ricevuto a Veuezia il sacro codice Vediamo pertanto continuarsi anche qui almeno in parte la tradizione, che codesto Vangelo fosse precisamente scritto da S. Marco, sebbene latino e formante parte di tutto uu Evangelario. Questo fu il motive eho iuđusse l'Arciđuca Ferdinande ď Austria a tentare per mezzo dell' ambasciatore cesareo Francesco dolla Torre di riunire i quaderni di Praga con quelli di Venezia, facendo uf-ficii presso la repubblica, affinchè volesse cederli all' Austria. II tentative com' era ď aspettarsi, non pote riuscire, per la somma ve-ucrazione in cui tenevasi a Venezia tutto cio che si riferiva al sue Santo Protettore. Scrivova già S. Pier Damiano, parlando del corpo del B. Marco, non esservi gemma per quanto preziosa, che para-gonar si potesse a quella gemma celeste: incomparahUis enhn iste t/iesawnis vibrantium metallorum supergreditur genera^ cuncta gcm-mariim coruscantium superat ornamenta. Il che lo induceva a scla-mare: Tu feliso es el nimium heata Venetia, quam ad hoc, iit pre-tiosum corporis siii ihesaiirum tib i commendaret, (Marcus) elegit. La medesinia venerazione doveva pertanto aversi anche al suo Vangelo, quando tenevasi che fosse scritto dalla mano di Marco medesimo. Perciô r ambasciatore Torriano dopo le prime prati che rifiutossi di compi-omettere la dignità deli'Arciduca cou una dimanda che i Veueziani avrebbero sicuramente respinta. Alludeva altresi alio stato di deperimento in cui già allora trovavasi il codice, tau to ' Parte II, pag. 9. che il canonico custode, richiesto pei* lettera di Roma da Coriielio dalla Pietra se fosse greco o latino, rispose essere scritto iii greco, laddove le poche lettere ancora visibili, poste sotto la lente, non ci lasciano dubbio cbe souo iuvece latine. Riferiva poi il legato cesareo, indotto iti errore dallo stemma Torriano ouď è fregiata la custodia, che il codice era stato donato al Serenissimo Domiiiio Veneto da uno dei Patriarchi della sua Famiglia In questa guisa la grande venerazione che s' ebbe e che continua ad aversi per questo storico e prezioso Evangelario, fu oagione non solo del suo frequente tramutamento di sede, ma di smem-bramento altresi, pel quale ancor oggi convioiie cercarne lo varie parti in Venezia, Cividale e Praga. S. Giovanni al Timavo, che ora abbaudoniamo per proseguire la nostra via verso Duino, iion ne conserva che la remiuiscenza. 7. Castel Pucino. Chi percorre le verdi sponde del Timavo ed arrivato alla foce, si volge verso Duino, a]izi che trovarsi davanti ad una molle spiaggia, resta sorpreso da subitaneo mutamento di scena e dai ru vidi scogli del Carso, i quali stendendosi dentro al mare e di mano in mano elevandosi, formano quei ciglioni, dove più dove meuo dirupati, su cui torreggiauo i due castelli di Duino. Ma in mezzo ad essi apronsi alcuue fertilissime baie, delle quali Sistiana al lato orientale délia costa è la più ampia. Quivi il suolo discen'-dendo gradatameute a guisa di scaglioûi ď anfiteatro, tutti coperti di biade, di viti, ď alberi fruttiferi ď ogni specie, al fondo si ap-piana dolcemente a ricevere i baci dell' onda tranquilla, che nel ritirarsi lascia scoperta la bianca arena. Questo delizioso sog-giorno di pace fu eletto nel secolo scorso a sua dimora da un proavo della nobile Signora di Duino e Sistiana, il quale vi eresse una villa ed una chiesa, a passare in quella i suoi ultimi anni di vita e trovare in questa un tranquille riposo dopo la morte \ Vuolsi che il seno di Sistiana, confine altrá volta fra la signoria di Duino e il territorio di Trieste, fosse anch' esso porto ' Arch, di Duino, Kelazioni del barone Francesco della Torre amba-sciatore cesareo a Venezia. » Vedi Epigrafi, N. 38. romano; il che verrebbe coiifermato dalla uarrazioiie di Livîo sulla battaglia ira gl' Istri e i Romani e da parecchie vestigie rimaste. Fino all'altro di quella baia offriva sicuro recesso ai pescatori e nutriva quelle ostriche prelibate, di cui la contessa Eleonora délia Torre nel secolo decimo sesto facevix ogiù anno a Natale gradito présenté ail'impératrice Eleonora sua congiunta '. Oggi la pesca-gione è distrutta per 1' andare e venire coutinuo di barche da carico rimorcbiate in Imiga iila dai piroscati, cbe portano dalle cave di pietra di Sistiana un largo tribute all' ampliamento del porto di Trieste. Non meno animate doveva essere un tempo il seno di mare cbe trovasi al lato occidentale di Duiuo, verso la foce del Timavo. La sua forma gli valse il Jiome di Val-Catino, corrotto dalla lingua del popolo in Bocadin, come cbe altri soglia ancbe appellarlo Val-Catena. Quivi pure un declivio a semicerchio, aperto al mezzo giorno e ventilato. dali'alito della tepida marina, mentre resta cbiuso ai buffi glaciali del settentrioue, offriva condizioni sommamente accouce ad educarvi le piante piii clette. Doveva pertanto partecipare della medesima fertilita cbe si riscontra in tutta la costa dal Timavo a Sistiana, dove appena si apra un seno e la natura sia aiutata dall'arte, come lo mostra ancbe adesso l'industria del suo possessore. Valcatino era continato a sera da un poggio messo a cul-tura presso la riviera lussureggiante del Timavo e a mattina dal folto bosco di lecci, cbe dal suo cupo colore veune cbiamato Ni-griniano, e Cernizza ancor oggi appellasi dagli Sloveni. Lo scoglio cbë~^ insîïïïïËir^cr un tratto nell' acque e divide la baia. in due, portava a cavaliere una rôcca costrutta di pietra squadrata, di cui si veggono tuttodî le traccie; non molti anni fa lasciava ancora scorgere le celle e gli scompartimenti inferiori. Nella parte piii bassa, vicino alla marina, il villano ruppo sovente col vomere i musaici o pavimenti dei fabbricati sottostanti al castello. Dome-sticbe suppellettili, frammenti di vasi vinařil, di urne cinerarie, monete romane si contiauano a scavaro tutto ail' intorno; in un punto della spiaggia furono rinvenuti sepolti sette scbeletri coricati uno presso 1' altro, di statura assai vantaggiosa; ed erano ancora ben conservât!, ma possono essere di tempi meno anticbi. Al di sopra di Valcatino, fin verso la strada veccbia di ' Arch, cli Duiuo, Lettcre dell'impératrice Elcouora, inoglie di Ferdinande III alia contessa Torriana. S. Giovanni il poggio che oggi non serve se non a pascolo, termina a sottentrione cou una muraglia cli mezzo miglio, formata dallo scoglio scalpellato e segnato ancora di traccie di muratura; al piede. vi corre una specie di fossa. Tutti questi indizii portano a conchiudere, che Valcatino e le sue viciiiaiize fossero abitati e muiiiti; che la hellezza niedesima del sito, in prossimità del mare e del Timavo, formasse un' at-traente dimora; che il seno ed il colle toccante il fiume, quantunque sassosi, dovessero essere messi a cultura, corne in parte sono anche al présente. Ma corne chiamavasi il castello di Valcatino? La voce del popolo addita quel luogo come puiito ď impor-tanti avvenimenti, ma non risale col suo racconto oltre i tempi deir invasione dei barbari. Essa collega Valcatino col nome del ferocissimo condottiere degli Unni e viiole che quella rôcca fosse detta il Palazzo di Attila^ o perche quivi egli compisse le sue solite devastazioni, o perché vi si fosse trattenuto alcuu tempo; e la viva memoria délia sua venuta dev' esser quella che fece andare in di-menticanza fra il volgo la denominazione primitiva délia rôcca. Ma il suo nome sembra essersi conservato nolle scritture. Avvisano i dotti che, se il castello fu célébré al tempo romano, non rimancsse deserto neppur dopo Attila, e dal nome che portava noll' età di mezzo, deducono quale fosse 1' antico. Pare di fatti che a quel sito alluda il joasso di Paolo Diacono ', dove ci racconta che Pemmoue, duca del Friuli, ricordato piîi addietro nel 737 chiuse nel castello di Pontiům sul mare il Patriarca Callisto. Il sopravvenire di nuove genti ha storpiati i nomi dei luoghi in maniera, da non po-tersi talora più riconoscere, e noi vedremo a quali metamorfosi sia andato soggctto anche quelle di Duino. Perciô il Viviani nella sua traduzione dello storico longobardo nota la probabilita ď un errorc commesso dall'amanuense ueU'avere scritto Ponťmm per Pucinum, errore tanto più credibile, in quanto che il Muratori nell'opera di Paolo Diacono legge sinanche Nolium. Lo stesso è avvenuto prima, délia voce Uvxvavov^ che Plinio fa corrispoudere a Pucinum, leggendosi nei diversi codici Praicianum, Praicianum, Paraeiypianum ed altre varianti. Quando poi aggiungansi a ciô le devastazioni commesse dai barbari, che distrussero templi e castelli e palagi e ' De (jeaiis Longobardorum L. VI c. 51. ' Vedi i)ag. 45. ridussero le più belle culture a sterili lande, riuscirebbe ancor meuo possibile riconoscere il sito denominato Pontiům o Pucinum, so al tempo ed aile iucursioiii devastatrici doi barbari non avosse rcsistito una forza superiore: quella délia natura. Lo scoglio di Valcatino continua aucor al présente a rimanero sospeso sopra il mare; e dalla storia di Paolo Diacono sappiamo che Pemmone voleva precipitare Callisto dall'alto délia rôcca nel mare sotto-staňte. Non puô quindi confondersi Pontiům o Pucinum cou Pu-oioh's, qualora questo, come si vuole, iudichi il nome antico di Moufalcone ; perocchè ancbe nei tempi di Pemmone era dal mare troppo discosto. Che se invece Puciolis fosse stato una villa presso il Timavo. nou già sopra lo fonti di quel fiume, dove sorgeva un ninfeo, ma nelle sue circostanze sarebbe a mio avviso da cercarsi il sito, per identificarlo con Pontiům e Pucinum. Dicendosi pero che Puciolis fu distrutto dai Longobardi nel 588, e rammeutandosi Pontiům uel 737, havvi un motivo di più per non confondere l'uno coir altro, a malgrado délia somiglianza del nome. Dunque Pontiům e Pucinum, anche seconde il giudizio del Viviani, dovrebbero identiiicarsi; ma Pontiům, por quelle che ne scrive lo storico longobardo, deve cercarsi sopra uno scoglio che pende sul mare. Ora dalla mia descrizione di Valcatino messa a confronto col célébré passe di Plinio, riportato e commentate da tutti gli autori che parlarono di Pucino, dovrebbe potersi inferire ancora piii chiaramente, che Pucino era in Valcatino. »Livia, dic'egli, 0, secondo altri testi, Giulia, mogli e ď Augusto, asseriva ch' ella era arrivata agli ottauta due anni délia sua vita, per aver bevuto sempře non ď altro vino, che del Pucino. Nasce questo vino là dove il Mare Adriatico fa un seno, poco lungi dal foute Timavo, m un poggio di masso, dove perviene 1' alito del mare, il quale ne matura poche anfore; e non c' è altro vino migliore per le medicine. Questo io crederei, sia quel vino, che i Greci, celebrandolo cou meravigliose lodi, chiamarono Pittano (Preciano) del Golfo Adriatico« ' Livia (Iulia) Augusta LXXXII annos vitae Pucino retulit acceptas vino, non alio usa. Oignituf in sinu Aclriatici maris, non procul a Timavo fonte, saxeo colle, maritimo adflatu paucas coquente amplwrasnec aliud aptiua meclicamentis indicatur. Hoc esse crediderim, quod Graeci célébrantes miris lau-dibus, Pyctanon (Praecianum) appellaverunt ex Adriatico si)tu. Hist. Nat. L. XIV c. 6. Al L. Ill c. 18, il moclesimo Pliuio scrive: Carnorum haec regio,iitnctaque lapijdum: amnis Timavus, castellum noUle vino Pucinum: Tergestinus sinus, colonia Tergeste XXIII M. pass, ah Aquileia. Fra Aqiiileia c Trieste sul JMare Adriatico lo ponc anche Tolomeo, Dujiquo la cara Livia (lulia era divenuta anch' essa), terza moglie ď Augusto, fatta già vecchierella e dimoraudo iii Aquiloia, coufortava il suo stomaco dolicato col Vino Pucino; a questo ascrisse la prolungazioue della sua vita fiiio alla rispettabile età đi ottaii-tadue auni. Mi rammento cli' io stosso alcun tempo addietro assaporai un prezioso liquore di quasi uu secolo, imbaudito allé meuse della Serenissima Castellana di Duino, il quale veniva se non propria-mente da Valcatino, da uii vignoto un trar ďarco di là discosto. E sebbene io non abbia gustato il Falerno o il centenne Cecuba ď Oi-azio, tengo per fermo clie nou la cedesse a quel nettare. Nasceva il Pucino nel seno del Mare Adriatico, a brève distanza (non frocul) dal fonte del Timavo, sopra un colle sassoso ; e il tepido alito del mare servira a maturarlo; ma poche erano le anfore cbe se ne potevano empire. Fra tutti i luoghi désignât! corne il sito dell'antico Eucino, quai altro mai lia piii diritto di Valcatino e del suo colle sassoso di chiamarsi a breve distanza dalla fonte del Timavo? ' Forse Pro-seco? Ma quello ne dista ben dieci o dodici miglia romane; ed ormai vuolsi accertato che Proseco è 1' antico Avesica doi Celti ^ Cbe se 1' odierno Proseco b.a qualche lontana assonanza con Pucino, Avesica non ne ha quasi punto. Forse Grignano presso Miramar? Ma quello è aucora piii discosto dal Timavo, e Plinio in quel caso avrebbe detto piuttosto: non lungi da Ter geste. Vero è che lo Scussa ' parla piii volte del Monte Pucino, di cui Grignano è indicate da lui come il primo colle. Il Kandler pero continuando r opera dello Scussa, ci dà le diverse altezze dei monti circondanti Trieste; ma mentre pur nomina auche il colle di Grignano, di un Monte Pucino non fa parola \ Sembra che anche il Rapicio pensasse al Monte Pucino dello Scussa, quando colla sua lira esaltô il yino generoso di quel nome, dicendo: Te colimus, Pucine pater, cui Livia quondam Retulit acceijtos annos et tempora vitae. Muneris id, Pucine, tui, gwi ů,wm ardua montis ' Qualunqne concetto possa aversi interno all'estensione ed al vario sito delle numerose anticlie fonti o per meglic ■ dire sbocclii del Timavo nel mare, quelle di S. Giovanni sono le sole che combinano colle descrizioni di Plinio e degli altri scrittori. ^ Vcdi la memoria del Buttazzoni: Di Avesica Romana, V odierno Proseco, nelPArcheografo Triestino n. s. vol. Il, pag. 22 e segg. ® Storia cronografica di Trieste, pag. 117, 121. Ivi, pag. 261 e segg. Saxa colis rupesque alias et Ia.pi(iis oras, Longe alios tructiis virtiite et lauđibus auteis. ' etc. Il vino pucino che crosce anche stigU ardid sassi del monte c sidle aile rupi, dove appena vi ha traccia đi vegetazione! Eppure il Ra-picio doveva aver sotto gli occhi il passo di Pliuio, quaudo ci parla anche delFimperati-ice Livia. Meiio scusabile ancora sembrami esser stato colui che dettô r iscrizione illustrativa al dipiuto del Dali' Acqua, che vedesi nel castello di Miramar. Il quadro rappresenta la buona Augusta eho assiste ad un baccanale campestre e porta l'ambigua epigrafe: luli'i Augusti Pucino vino; nec alio usa, vitiferos colles Grinianos invisit. A quale scopo furono messe iusieme quelle due idee disparate di Giulia che non beve se non il vino pucino e di Giulia che visita i vitiferi coUi di Grignano? Negli autori non mi riusci di trovare quel passo composto in tal modo; e finchè alcuno non me lo additi, devo tenere che siasi voluto gittar polvere negli occhi al colto pubblico con parole di Plinio e proprie, abboracciate insieme, affine di far credere che a Grignano presse Trieste nascesse la vite pucina. Lo scambio di Grignano con Nigriniano, ch' è il bosco presse Valcatino, è tante più facile ad avvenire, dappoichè Nigriniano, Cornizza, Schwarzwald e simili voci sinonime possono agevolmente ripetersi in diverse località, che offrano condizioni consimili; serva ad esempio Cernagora, il Montenegro, che ha fratelli omonimi in rcgioni disparatissime e fine in Moravia. Schwarzenegg, da noi poco discosto, sarebbesi parimente chiamato un tempo Nigriniano. Se dunque Valcatino ha anch' esso il sue Nigriniano che lo circonda % e noi vedremo quanto era esteso in antice; se presse di quelle si combinano molto megho che a Grignano tante parti-colarità indicate da Plinio; se infine l'impératrice Livia avesse avuto il desiderio molto commendevole di visitare i vitiferi colli dove nasceva il sue vino prediletto, ci pare che i suoi lettighieri potevano risparmiarsi il disagio di portarla fin quasi a Trieste. ' Histria, v. 40 e segg. ^ Il ch. Dott. de Mavchesetti ia una sua dotta memoria testé pubbli-cata: Bel sito dell'antico Castello Pucino e del vino che vicresceva. (Archeogr. Triest. n. s. Vol. V, pag. 430 e segg.) fu il primo ad avvertire l'aiialogia fra Pucinum 0 Pyctanoii e le voci pix, picea, Ttevxtj e loro derivati. Di qui egli congettura acutamente che Piicinum possa cosi chiamarsi, per essere i clivi dei nostri monti stati coperti di conifere. Un' altra sua ipotesi si riferisce, anzi che al luogo, al vino in esso prodotto, il quale potrebbe avere un tal nome o per Dell'opiiiione che trasporta Puciuo fiuo nell'Istria a Pedeiia, come fece 1' UglielUo od a Pisino, corne fecero altri, ogni sano lettore mi dispensa di ragioiiare, quaiido iiè Proseco nè Griguano per la loro distauza dal Timavo s'accordaiio col passo di Pliiiio. A maturare il vino pucino serviva il tepido alito del mare ; ma quauto quest' alito è piii viciuo, tanto maggiore è l'azione che esercita; e nessuno vorrà certo negare che se le colline inferiori di Proseco sono accarezzate dall'aure marine, i luoghi più alti vengono invece iiagellati dai venti boreali ed aquilonari. Che cosa dovremo poi dire se questo tepido acre avesse dovuto trasportarsi fino aile ardue cime del monte coltivate od abitate dal Padre Pucino ! Val-catino al contrario, mentre resta mirabilmente difeso dalla Cernizza e dalla conca stessa, onde prende il nome, accoglie a perfetto mez-zogiorno il riflesso dell' onde e il soffio tepeiite che spira dalla marina. Ma poche erano le anfore, che potevano empirsi di questo prezioso liquore. Paragonisi ora l'esteusioue di Proseco, Contbvello ed altri siti, poi si dica dove meglio si veriiichi anche questa con-dizione. Nel medio tempo non meno di cento orne di vino Proseco erano riservate al solo Duca Leopoldo III, pei patti di dedizioue fatti da Trieste nel 1382, e la sua Casa non era F unica privile-giata che avesse diritto di berne; anche i signoři di Duino avevano colà le loro vigne, che diedero origine a serii conflitti coi Triestini; i Triestini stessi avranno amato umettarsi talora il gorguzzole con queir aureo nettare; nè oggi la quantità del medesimo è punto dimi-nuita. Quanto sia perciô priva di fondamento un'altra opinione, che sotto il nome collettivo di Pucino voile comprendere, oltre Proseco, anche S. Croce e Grignano, non è chi non veda. Se a' nostri giorni lo Sciampagna ed altri vini consimili allagano tutta 1'Europa, col vino pucino non sembra che la Livia Augusta, abbastanza egoista, avrebbe permesso di operare questo miracolo. Dissi 1' aureo nettare di Proseco, ed eccoci ad un ultimo essere stato nero corne la pece, o per avere somigliato al vino picato. Le ra-gioni che appoggiano l'una e l'altra opinione, sono certamente di peso e ma-nifestano l'erudizione del diligentissimo investigatore. Ma quando non il luogo dal vino, sibbene il vino dal luogo avesse riccvuto il suo nome, svolgendo il concetto del nob. de Marchesetti in altra forma, potrebbe forse ammettersi die non già le conifere, le quali qui non mostrano d'aver allipato, ma la fosca o picea tinta dei lecci avesse data la denominazione a Pucino ed a Nigriniano. E se inoltre si osservi 1' analogia, forsc ancora piii stretta, fra nv/.ovóí; e Pucinum, surgerebbe I'idea che anche AnWa, foltezza e spessensa della Cernizza siasi preso argomento a denominare quella regione. Ma di etimologie basta cosi. ' Italia sac. Vol. Y. pag. 469. inđizio che non sembra permettere la confusione di Proseco con Pucino. Il P. Ireneo délia Croce per amore a Trieste, di cui tes-seva la storia, si lasciô facilmente trasportare dalle opinioiii di Vol-faugo Lazio ' e di Abramo Ortelio % per identiíicare Pucino con Proseco. Ma il dotto storiografo non pose attenzione cbe, mentro ogli con molti altri dipinge il vino Proseco colore di Umpido oro, Plinio invece cbiama 1'uva pucina fra tutte nerissima: pucina omnium nigerrhna' E certo anche oggi non è per 1' oscuro B,e-fosco che vada particolarmente lodata la costiera di Proseco, laddove invece quel vino nei pressi duinesi si trova da ogni parte. Perció ancbe Volfango Lazio, il testimonio autorevole del P. Ireneo, se intese parlare del Refosco, ove disse cbe a Proseco particolarmento jiasce ottimo vino Refolio (et ubi optimum RefoUum vinum praecipice ProseccMi nascitur), avrebbe aggiunta al passo citato un'inesat-tezza di piu. Se poi intese la Ribolla, sarebbe anch' egli fra coloro cbe credono essere stato il Pucino un vino bianco. Ma dove l'illustre storico triestino ba particolarmente or-rato, è nella descrizione doll' aridità cb' egli attribuiva al suolo cbe v' ba dal Timavo a Dnino. Quel poco cbe fin qui ne abbiamo discorso, basterebbo a dimostrare la falsità di tale asserzione; ma noi avremo opportunità di ragionarne ancbe meglio nel se-guente capitolo. Non è quindi meraviglia cbe al P. Ireneo con-traddica una scbiera grandissima di scrittori, i quali per la troppa distanza di Proseco, di Grigiiano e, piii cbe mai, di Pisino e Pe-dena dal Timavo, cercauo Pucino a Duino. Oltre il Liruti ed il Filiasi, il quale pero contraddice in un luogo a cib cbe ba detto in un altro, pugnano per Duino special-mente il Cluerio fra i meno recenti, e 1' ab. Berini fra quelli che per la loro vicinanza a Duino, banno potuto informarsene con maggiore accuratezza II Cluerio, contro cui se la prende il ' De Rep. Rom. L. XII, sect. 5, c. 2: Si nostris temporibus sitimi municipiaque species, occurrunt Monsfalconum et partus Lisontii fliminis, Timavus Jiiwius cum suis fontibus, Bivinum (Diiinum) et Prosecchiim, atgue toto isto Utore vineta sunt electissima, et ubi optimum Befolium yinum;prae-cipue Prosecchii nascitur, quod dubio procul Pucinum illud Plinii fuit. Questi dice: Prosecho, olim Pucinum; hic vina a Plinio tantopere laudata. Cosi parkiio anche il Valvasor, II, 4, pag. 607 cd altri. » Hist. Nat. L. XIV, 3. Cosi si legge nel testo di Gio. Rubeo Bernardino e fratelli Vercellesi, štampate uel 1507. Vero è che altri, come guello edito a Venezia dali' Antonelli nel 1844, dicono invece di pucina, picina. Toccano il medesimo argomento Leonardo Alberti; Descrieione del-VItalia pag. 442; il Dizionario delle sette lingue s. v. Pucinim-, Zanon, Let-tere, vol. Ill P. I. pag. 99 e seg.; Muratori, Annali ďItalia all'anno 737; Asquini, Il Territorio di Monfalcone e parecchi altri. Padre Ireneo, è bensi in errore, quaiido ammette che Tybein e Duino vengano da Ti-wein e Du-vmo, perche alludono al vino preUhato della vite pucina. Ma pero sente anch' egli, che Proseco è troppo discosto dal Timavo; perciô soggiuuse: et» hoc igitur intervallo (la distanza di Proseco dal Timavo) simulque ex vini argumento Pucinum castellum eundem puto esse locum, qui vulgo Castel Duino Italis vocatur Anche il Berini pensa al castello di Duiuo e crede che la vite pucina si coltivasse nel seuo di Si-stiana Avendo fermata la sua attenzioue sulla Tavola Peutin-goriana al sito, dove vieue additata la foute del Timavo, egli prese da principio quel grandiose edificio quadrangolare a due torri e diverse porte per quel Pucino, dove avrebbe abitato il liberto incaricato délia sorveglianza delle viti pucine, non potendo iiidursi ď andar in cerca di Puciuo fino al lontano Proseco. Più tardi terminô a persuadersi * che Puciuo altro non era, se non il castello di Duino, perché in vicinanza di Sistiana, -»in oui solo si combinano le circostanze indicate da Plinio, di essere un colle sassoso« ecc. ecc. E qui ripete essere verosimile che Puciuo, ossia r odierno castello di Duino, fosse la residenza del liberto iucari-cato da Livia della direzione di quei vigneti. Crede perô il Berini col P. Ireueo, che il suolo fra il Timavo e Duino sia inetto alla coltivazione, e per questo motivo trasporta la vite pucina a Sistiana. Quantunque gli scrittori citati e i molti altri che sarebbero da aggiungere, rigettata 1' opiuioue del P. Ireneo, trasportiuo Pucino a Duino, essi sono perô ancora iuesatti o troppo vaghi nell' indicare il vero sito dell'agro duinese, ove si coltivava la vite pucina. II Berini crede che sia Sistiana; ma quella, anzi che un saxeus collis come lo descrive Plinio, è piuttosto uu seno od una valle, e maturerebbe non già poche, ma moite anfore di vino, laddove il naturalista romano dice espressamente paucas coquente amphoras. Gli altri non sappiamo se intendano che il vino .di Livia nasccsse precisamente presso il castello deir odierno Duino, ovvero nel suo territorio. Quando intendano il territorio, non sarebbe difficile che si combinassero col ' Ital L. II, c. 20. Indagini sullo stato del Timcmo e delle sue adiaeenze, pag. 7. ® Tabula Itineraria Feutingieriana, carta delle vie romane, eopiata nel 1265 clai monaci di Colmar e scoperta da Celtes a Worms nel 1507; essa venne quindi nelle mani di Peutinger, da cui porta il nome, ed era trovasi nella Biblioteca di Gorte a Vienna. ' Ivi, pag. 39, nota d. mio pensiero, cercanđo il vero sito in Valcatino e sul suo petroso promontorio; ove peusino iiivece allé immediate circostanze del castello daincse, sembra restar dubbio, se abbiaiio colto nel segno, preciso. Impei'ciocchè è bensi vero che anche là il Patriarca Callisto avrebbe potuto precipitarsi nel mare sottostante, e là pure havvi una pendice fra i due castelli, in cui si verificano le condizioni di suolo e di dima descritte da Plinio; laonde poteva prosperarvi rigogliosamente la vite pucina. Sappiamo di più, che ivi fino al principio di questo secolo la vite fu coltivata; pero ancor oggi quolla costiera è nomata la Vigna. Ma d'altra parte la torre romana, intorno a cui è fabbricato il moderno castello, deve avere ser-vito agli usi della stazione militare, la quale nou facilmente avrebbe dato agio di attendere cosi da presso allé pacificho occupazioni del vignaiuolo; e il liberto di Livia non è probabilo che abitasse jíoppure nel sito del castello vecchio, il quale non conserva alcuna reminiscenza romana, ma solo oggetti delle stagioni di mezzo. Il sito poi è non solo un seno, anzi che un colle, ma cosi ristretto, che anche le poche anfore di vino rioordato da Plinio, quando non si voglia esagerare, si sarebbero a fatica potute raccogliero. Fin d'ora pero io devo qui in fine oppormi ail'errore, che Duino e Pucino, se possono essere il medesimo sito, sieno anche il medc-simo nome; di che in altro capitolo cercherô fare la dimostrazione. L'unico archeologo che abbia esaminato con accuratezza la Valle Catina, è il Dottor Pietro Kandler ed a lui non sono sfuggite le traccie, per le quah si puô stabilire cou qualche pro-babilità esser ivi esistita la rôcca di Pucino. Io non so qua] opi-nione egli avesse intorno al seno Diomedeo, di cui parlano i classici e che secondo la loro descrizione potrebbe parimente corrispondere al seno di Valcatino. Certo è che anche questo fatto, qualora si verificasse, servirebbe a rinforzare le nostre congetture intorno a Pucino. Il Kandler asserisce ď aver ossorvato in Valcatino le opere artificial! per farne ridotto di navi, e le ampie rovině certainente di quel Cas/ello Pucino, dal quale venue il nome al celebratissimo liquore di Livia. »Quel -promontorio, dice altrove il medesimo Kandler, e notisi la voce che corrisponde al saxeo colle di Plinio, quel fro-montorio che al lato dol cauale del Timavo più prossimo a Duino s' avanza verso la Cernizza ed al porto di Valcatino, è terreno ferace di frutta nobilissime, qui nasceva la vite pucina«. ' Vedi il suo Discorso sul Timaco. Ma quaudo al castello di Valcatino, délia cui esistonza in romotissimi tempi non sembra potcrsi dubitare, voglia negarsi la dcnominazione di Pucino, quai altra appellazione dunque gli spetta? Gli autori che vanno in traccia di Pucino a Proseco e nel terri-torio medesimo di Duino, non ce le dicono, perche di Valcatino non si sono occupati. Se vi avessero posto attenzione, massima-mente allorquando le vestigie di quel castello, che oggi son quasi sparite, erano meglio conservate, puô darsi che anch' essi avreb-bero modificato il loro giudizio. Fino a nuovi studii pertanto il Pucinum dei Komani e forse il Pyctanon dei Greci e il Pontiům dei Longobardi restera sequestrate in Valcatino. Da Pucino puô aver ricevuto il nome tutta la regione duinese, finchè mia schiatta di feudatarii, venuti dàl Friuh e fabbricata la rôcca antica o riat-tatala col nome di Duino, fece dimenticare l'antico Pucinum. Nè si puo qui in fine ammettere, come voliéro alcuni, che in mezzo aile folte antichissime boscaglie di questi contorni, le quali ingombravano tutta la parte non messa a cultura, sorgesse un tempo la città di Segeste '. Ma affrettiamoci finalmente di abbandonare il fertile, se non dilettevole campo delle congetture, che intorno a tutti 1 luoghi del celebrato Timavo ci hanno trattenuti si a lungo; e poichè il balsamo pucinose ha dato argomento a taute discussioni, ristoriamoci, non potendo fare di meglio, almen col pensiero di quell'ambrosia, che il poeta infulato di Trieste Andrea Rapicio, cosi prosegue a cantare : Tu mihi, seu canibus lepores, seu fallere visco Argntas cupiam volucres, seu littore curvo Allicei-e incautos praetensa in retia pisces, Omne genus studii securacque otia vitae Siigei'is, atque aninnim perdulci pascis amore! 8. La Flora Duinese. Quanto maie s' apponeva il P. Ireneo délia Croce, allorchè, parlando del suolo che circonda Duino, s'indusse a credere che vi manchi quasi la vegetazione, j->er essere noto a tutti che nel sua distretto ed anche qualche miglio lonlano non ritrovansi che aspris- ' La costiera più ruvida e che présenta minori traccie di antica vegetazione, è quella che stendesi fra Duino e Sistiana; ma gli avanzi di fab-bricati ivi rimasti non sono che le batterie erette nel 1809 contro i Francesi. Dal tedesco Schame il volgo continua a chiamare quel luogo le sanse. simi scoffli e piefre m ianta ahhondanza clie pare quel monte vna sol fietra ! ' Son poche le piaggie più rideiiti ed ubevtose di quelle che s' aproiio luiigo la sua costa; rado è che s'iucoutri, auco iu più fertile suolo, una vegetazione piîi lussureggiante, di quella folta boscaglia di lecci e di carpiui, clie ancor oggi è rimasta! Verissimo è che la mano dévastatrice dell' uomo ha la-sciato anche a Duino le vaste sue orme. Si accusarono del danno lo guerre; ma il bosco délia Cernizza, come ben osserva anche il Kandler, è là per dimostrare che nè Unni, nè Goti, uè Turchi, nè Veneziani, nè GaUi avrebbero impedito agli alberi di ripullulare. Nou la natura sassosa, non l'impeto dei venti, non la regnante siccità sarebbero serviti di ostacolo al rinnovarsi di vigorosa ve-getazione, se le improvvide leggi che permisero il taglio sregolato delle piante e la legnazione anche contre i ripetuti reclami dei possessori di Duino, e l'avido armento condotto a pascervi da piii avidi bifolchi, non avessero cooperato a far gitto di questa ricchezza, presidio ed ornamento del Carso ^ Scomparvero i celebri luchi dei colli soprastanti al ïimavo; scomparvero i pingui paschi delle vivaci puledre che rendevano fecondo 1' equile diomedeo; scomparvero i vigneti che diedero fama mondiale a Pucino; abbandonata giace una parte del suolo dui-nese; ma da pertutto rimangono le traccie dell'antica cultura. Non sono ancora due secoli, seconde che ci ai^preudono le carte topografiche esistenti nell' archivio di Duino, che anche il bosco Nigriano, ossia délia Cernizza, copriva lunghissimo tratto àella regione Duinese, avendo un' estensione tripla dell' attuale, contornata di muraglia a secco, quale usasi per i campi ridotti a cultura; onde spesso era visitato ancora ncl secolo scorso dai lupi cervieri. Questo fu che indusse il conte Raimondo IX délia Torre a circondare di solido ed alto muro quel tratto di bosco, il quale forma oggi il Parco dei cervL Fuori di quelle la parte che è guardata da mui'aglia, va facendo ogni anno rapidi progressi e si avvia a formare un nuovo folto bosco di lecci e di carpini; laddove la parte abbandonata dimostra bensi quelle che fu in aniico, per non essere ancora interamente divelte le radici degli alberi, ma non présenta che bassi sterpi e cespugli sparsi, con-tinuamente tormentati dagli animali e dagli uomiui. 11 reste è ri' Pag. 440 e segg. Avvertano perô i botanici non doversi immaginare tutto il Carso coperto di folti boschi ad alto fusto, come sarebbero quoi di Germania. flotto a cultura g vi prosperano ottimameute i doni di Pomona, di Cerere e di Lieo, come nell' altre parti. Ma per couoscere meglic la riccliezza délia vegetazioue duineso, entriamo auzi tutto nel parco, il quale per moite proprieta si distingue da eguv altro, o meglic, è l'uiiico nel sue geiiere. Air eiitrarvi non si puô a meno di rammeutaro la splendida de-scrizione che fa Stazic del bosco di Diana ': .......antica selva SQi'ge Di robusta vecchiezza, a cul mai ramo Tronco non fu, nè "vi pénétra il sole. Nulla in lei puote il vento e di sue frondi Noto noa la privô nè Borea, spiiito Co' fređdi fiati délia gelid' Orsa. Un placido riposo entro vi régna, E il profonde silenzio un ozïoso Orror vi serba, e dell'esclusa luce Appena v' entra un tremulo barlume. Nè senza Numc è il bosco : di Latona Sacro è alla figlia, e la celeste imago In ogni pianta è impressa e la nasconde Tra le sanť ombre sue la selva annosa. Che anclie il parco di Duino sia sacro a Diana venatrice, il lettore si sarà già avveduto, avendolo noi appellate Parco dei cervi. E di vero vi prosperanc ottimameute le dame, le quali uoii essendo una gran parte dell' anno atterrite dai cacciatori, si ren-dono coai mansuete, da accostarsi ai visitatori. La mancanza di foiiti perb obbliga ad aver gran cura del lore grazioso abbeveratoio e, dove mauchiiio le pioggie, dev' essere nutrito con acqua impor-tata. A ripararsi dai rigori invernali i cervi s' adagiano sotte le tettoie ed anco nelle stanze délia casa dol cacciatore, al présenté abbandonata, dove al momente délia pastura se ne trovano sempře a terme, quasi fossero là a decoro di quel piazzale, ornate di statue allusive alla cacoia. Spesso i cervi sou visitati dalle lepri, cbe per aleuni fori del muro hanno libero acoesso nel parco. Se i cervi dividano il pasto amichevolmente cou lore, non vel sa-prei dire: certo è che spesso devono intendersela anche colle volpi, e se non se la intendeno, peggio per lore. Che le caccie, col diradarsi dei boschi e col crescere dei cacciatori, siensi rese di mano in mano sempře meno abboudanti, ' Tebaide L. VI, v. 423 e segg. è ben naturale. Tuttavia quelle riservate della signoria di Duiiio, so non offrono la quautità di selvaggina ď altre volte, danuo qualclie compeuso colla loro varietà. Il mare e le risaie portano il tributo di anàtre e di beccacce palustri; le pernici, le quaglie, i cotorni, le beccacce montane, .oltre le lepri e piii raramente i ca-prioli, attraggono gli amatori della caccia sui sassi appuntiti dei colli ; diletteyole al sommo è il tiro dei palombi selvatici, i quali, essendo il Carso abbondaute di antri e di spelonche, dove trovansi i piii begli esemplari di stalattiti, riempiono in gran numero quei profondi recessi e vi prolificano tutto 1' anno. Meno perseguitati, ma tanto più importuni, vivono nei fori del Carso il gufo e gli altri uccellacci notturui, quasi in residenza di loro diritto. Intorjio agli scogli di Duino svolazzano roteando in ampie spire certi falchetti del color gridellino e delle roccie ove s'annidauo, i quali, beuckè ladri quant' altri mai, trovano protezione presse r eccolsa Castellana, cbo li dice calunniati a torto e si compiaco di vederli da' suoi veroni fare, graziosamente equilibrati nell' aria, le loro largbe vôlte intorno alla rôcca. La scena è vie maggior-ineute allietata dal canto dei merli e degli usignuoli della sotto-posta pendice e da quello del passero, che solitario dimora sui tetti del castello. Ma per tornare al parco, esso conta un' estensione di qua-ranta iugeri, ossia circa venti tre ettari. Dalla rotonda che v' ba nel mezzo, circondata da gruppi di lecci piîi folti od antichi, par-tono a modo di raggi concentrici tanti viali, in cui l'occbio si perde. Dicesi quindi quel centro la stella del parco, a cui mette anche una via sottorranea con antri spaziosi esplorati annt fa, ma poi richiusi. Il viale maggiore che dalla porta del parco conduce in retta linea fino al maro, finisce in un ridotto muuito con vallo e feritoie, dove nell' ultime guerre venue piantata una batteria di cannoni a difesa della costa. Quivi la vista del castello di Duino, che sembra elevarsi da una folta selva, è una delle più incautevoli, come che una delle mono osservate. Ma se queste cose toccano anche il volgare, alio studiose della natura apresi un campo assai piii importante, quand' egli ri-volga .la mente alla famiglia svariatissima degli alberi e delle piante, che formano del parco di Duino una cosa affatto speciále. Famiglia tanto più d'ammirarsi, quanto piii aride e uudo è lo scoglio bian-cheggiante, su cui alligna, non permettendovi i cervi il crescere delPerbe e il coprirsi di quello strato, fecondo di piante minori,^ che almeiio sotto gli alberi a foglia caduca naturalmente si for-merebbe. Vuolsi quindi spiegare una vegetazione si fitta e rigo-gliosa coir ammettere cbe le radiči degli alberi in tempo di piena arrivino fino ai filoiii dell'acqua del Timavo che jiercorrono gli strati inferiori della rupe calcarea '. Or bene, da suolo cosi sterile in apparenza, sorgono quelle piaiite secolari, allé quali s' acconcia alia lettera la descrizione teste riferita, di antica selva di robusta veccMezza, a cui mai ramo tronco non fu, a differenza di quelle che avvenne al di fuori. Sono specialmente le piante a foglia perpetua, quelle che, esigendo clima pliž mite, allignano tanto vigorose in questa plaga marina esposta al mezzogiorno, mentre non reggerebbero nelle parti più setten-trionali e negli altipiani del Carso. Re della selva èl'eZce (Quercus Ilex di Linneo), del quale componesi il parco nella massima parte; e le sue chiome vetuste ed oscure gli danno quell' aspetto severe, che lo fece chiamare la Cernizza 0 Nigriniano. Primo fra tutti l'illustre botanice Gio. Antonio Scopoli vi notava inoltre quella specie particolare del carp ino bianco, che egli e dietro di lui i botanici tutti distinsero dal comune Caripinus hetulus e da altri col nome di Carpinus Didnensis. Ma anche il carpino nero, Ostrya latifolia (Scop.), vi abbonda insieme cell' Acer monspessuîanum, il Prunus mahaleb, il Ehus Coiinus e le Phillyreae latifolia e media. Ma quello che forma una rarità particolarmente ammirata, è un esemplare colossale di ierehinto o pistacchio selvatico piii volte secolare (Pislacia Therehintus di Lin.) che domina»» come gigante sngli altri della sua specie, crescenti e nel parco e presso Duino e a Sistiana. La sua forma fu fatta delineare dal cav. Tommasini, per riportarne l'immagine nell'opuscolo sopra citato. È biforcato a quaranta centimetri da terra e se da un lato la vegetazione non fosse impedita da altre piante, la sua ampia corona sarebbe ancora piîi sorprendente. AU' ombra inapprezzata di questo rarissime ornamente del parco vengono gl'inconscii cervi a dissetarsi e si me-l'avigliano di trovarvi sempre importuni visitatori. Ancora piii favorevoli alla vegetazione sono le condizioni climatiche sulla costiera fra i due castelli, nuovo ed antico, di Duino. È quella la pendice privilegiata dalla natura, che ancor oggi chiamasi la Vigna e dove, come dicemmo, non è improbabile che ' Vedi Tommasini, Oenni storici e fisici sulla selvicoUura delV agro Triestino, pag, 24. parimonto prospérasse la vite pucina. Ivi lo speccliio dell'oncle, il riverbero del sole, il tepore delPacqua marina e il riparo completo dalle bufere del settentrione e dell'oriente permettevauo ancora nel secolo XV al capitano dei Walsee, Giovanni de Reichenburg già mentovato ' di tenervi in gran copia gli agrumi, di cui faceva lucroso commercio. E in vero la posizione è cosi felice, che vi cre-scono rigogliose non pure le piante più delicate dei climi meri-dionali, quali non si riscontrano nei circostanti territorii, ma anche alcune specie tutto affatto particolari di questo sito. Oltre il leccio e l'ulivo, si osserva fra quei ciglioni l'alloro, il mirto, il laurotino, il ginepro a baccbe rosse, la smilace, la rosa sempře viva, che abbelliscono la pendice di perenne verdura. Vi sono la ceniauria carstiana o, corne meglio la chiama il Tommasini, centauria car-stiensis, distinta dalla centauria cristata del Carso rimanente. Fra r innumerevole quantità ď alberi ed arbusti a foglia caduca attrag-gono l'occhio i graziosi ed olezzanti fiiori del cappero, (Capparis spinosa), di cui son coperte le muraglie e i torrioni del castello. In primavera si veggono le roccie sottoposte verso il mare vestirsi delle piii belle violeciocche gialle, rosse, purpuree, violacee con tutte le altre gradazioni di tinte, disseminatevi da natura, che i botanici raccolgono con avidità nei loro erbarii, quale memoria dei colori smaglianti, con cui s'adornano le vaghe ninfe délia corte di Flora sugli »asprissimi scogli« duinesi, dal P. Ireneo cotauto sprezzati. Per completare il quadro délia rara famiglia di piante ali-mentate dal suolo e dal sole di Duino, non dobbiamo dimenticare il melagrano^ il quale sopra le foci del Timavo cresce a cespugli pei dirupi e i gioghi anche piii alti, la liquirizia che, per essore, come osserva il cav. Tommasini, indigena délia Sicilia, délia Spagna, délia Grecia e degh altri paesi piii caldi, è da tenersi introdotta dai monaci di S. Giovanni. Il Filiasi loda i famosi pomi e le pere che altra volta crescevano a Duino, e che forse sarebbero le bat-tiane, ricercate e pagate a caro prezzo fino in Roma l Havvi inoltre una rara specie di graminacea, la gandinia fragilis, la qaale indarno cercasi altrove in questi contorni, meutre forma bell' or-uamento dei prati lungo il Timavo presso la Valle Catina. Fu già notato dal Berini che lo Scopoli aveva osservato sui sassi e sui tronchi dei legni contigui all'acqua del Timavo un bellissimo musco, ' Vedi pag. 48. ^ 3Iem. stor. dell'Istria V, pag. 307. ^ Op. citat. pag. 57. detto Fontinale capillacea, del colore dell'iiliva marcia, colle foglio' disposte alla rinftisa, il quale cresce in tempo delle pioggie in-vernali e fruttifica iii primavera. L'algologia finalmeiite ha ricevuto bell' iiicremento dallo studio delle moite rare specie ď alglie marine ohé vegetano nelle acque e fra le scogliere di Duino, le quali, raccolte dal sig. Fer-dinaudo Hauk, Teniiero illustrate dal Prof. Zanardini nella sua opera sulle Alglie delV Adriatico '. Le moite cose che, dopo d'aver favellato del regno vegetale, si potrebbero aggiuugere intorno al regno minerale ed animale, iutorno alia geologia ed alia geografia fisica di questo territorio, sono già state ampiameute trattate da tanti illustri geografi e geologi c naturalist], che soverchio sarebbe il ripeterle. Noto soltaiito che-il clima di Duino va giustameute lodato aiicbe per la sua salu-brità. Tranne i momenti in cui soffia la Bora fra setteutrione e les'aute, esso offre un soggiorno dei più aggradevoli, nè mai la temperatura vi si pu5 dire eccessiva; la neve quasi non si conosce 0 air estate si leva ď ordinario un leggero vento maestrale atto a temperare gli ardori; la sera poi è rallegrata da una deliziosa brezza del mare. Quindi è che le malattie epidemiche e contagiose non vengono a funestare Duiuo col loro alito letale. Vero è perô che ad allontanare il morbo asiatico molto contribuirono le cure e le liberalità principesche délia Famiglia Hohenlohe. Salutarissimi sono i bagni del bacino duinese, per la mescolanza dell' acqaa marina con quelle di varie sorgenti nascoste che iiltrauo dalle roccie, e cûll'onde del Timavo Grazioso è il continue apparire e sparire del castello Tor-riano in mezzo a scena tanto svariata, da qualunque parte alcuno rivolga i suoi passi verso Duino. Chi lo mira venendo da Trieste, lo vede dapprima elevarsi dal mare come sopra trono regale; di là lo accompagna col guardo fin dietro Miramar, dove fra i sinuosi avvolgimenti delle vie lo perde di vista per lungo tratto; piii grande riapparisce il castello presse il viadotto délia ferrovia, che attraversa la strada maestra. Scomparso di nuovo, alio svoltp di Sistiana comiucia a farsi iniiauzi gradatameiite con uii'apparizione tutto ' Deploro clie non mi sia giunta a tempo una Memoria sulla flora e sulla fauna duinese promessami dal chiaro cultore delle scienze naturali signor Alfredo Breindl, la quale avrebbe arriccMto questo capitolo di molte ed important! aggiunte. Vedi r Opera del ch. Cav. Goracuchi: X>ifl Adria unci Hire Kiisten pag. 177. siiigolare. Quasi veiiisse dal firmaineiito a posarsi sopva lo scoglio, tu prima osservi un'orifiamma isolata svolazzante uell'azzurro del cielo; sotto questa iiasce e va allungaiidosi uii'alta e solida torre; adagio adagio va cingeudola allMutorno un ampio bastione colle sue lunette e batterie; quindi sorgono le pun te del vallo inferiore, il vallo in-tero, i torrioni, la terza cinta, i coiitroforti; fiiialmente le mura délia borgata, cbe, venuti più vicino, tornano a nasconderci un'ultima volta ill ordine iiiverso tutto il castello. Chi invece vieae da Monfalcone, lo crederebbe ora circondato da nuda scogliera, ora erotto in mezzo a fitta boscaglia, secoudo il continuo ondeggiar- del terreiio. Più fantastico ancora doVeva presentarsi il castello, quaudo il monte sovrastante, cbe assai spiccato si vede dalla pianura friulana, era coperto dell'autica sua selva; ma per coutemplarlo in tutta la sua grandiosa maestà, conviene venire a Duiuo dalla parte del mare. E quanto bene non fa, dopo di essere calati colla via ferrata dagli aridi giogbi alpini del Carso, 11 deliziarsi a Duino in questi vaglii prospetti; vedere il dilatarsi gradatamente dell' orizzoute e il suc-cedere agli aspri monti le forme più miti delle colline che ci an-nunziano 1' ampia distesa della veneta pianura, e finalmente con-templare innanzi a sè in tutta la sua maestà 1'immense spazio del pelago Adriatico, dove 1' occbio non tro va più confine! 9. Il castello antico di Duino. Quaudo noi coutempliamo quell' arduo e minaccioso scoglio, sfidatore dell' onde e delle procelle, il quale da tre lati si protende a picco nel mare, senza aprir adito di salirvi da alcuna parte a chi non avesse le ali, dobbiamo certamente convenire che tutto air intoruo nessun altro luogo poteva immagiuarsi più acconcio di quella dirupata penisola, per fondarvi nelle remote età un'iuespu-gnabile rôcca. Oggi le mutato condizioni sociali e l'arto della guerra spa-ventosamente progredita si ridono di siiïatti propugnacoli; ouď è che le mura si atterrano, spariscono i baluardi, e i signoři amauo piuttosto ricrearsi dalle noie cittadine uelle ville superbe fra parchi ombrosi ed aluene verzure. Quindi si cerca la comoda pianura o l'aprica collina; altri amano il bosco ferace di selvaggina, altri il mar fortunoso, o il limpido lago o la placida riviera. Non cosi 10 nelle stagioiii in cui surse questa rôcca, quando ogni vicino poteva essere uii nemico, le popolazioui dividevansi in partiti, le scorrerie di feroci invasori devastavano le campagne e le fiequeuti aggressioiii esigevaiio solide mura e tiirriti bastioni, da trovarvi riparo colle persone e cogli averi. Nè fu certameute 1' agiatezza e 1' eleganza o 1' ampiezza deir aule e delle corti quella che cercossi dal potenti baroni co-struttori del castello; le sue dimensioui, volute anche dalla natura del sito, sono ristrettissime, come sono in tutti i castelli più antichi, i quali soltanto col volgere dei secoli acquistarono proporzioni più ampie cou quella irregolarità che ne forma una nota speciále. Uno solo era il peusiero dominante: difeudersi dall' assalitore ed offen-derlo nel modo piii efficace. E l'uno non meno che l'altro riusciva qui mirabilmente. Quando pure la scalata per mare fosse stata possibile ad un'altezza di ottantadue piedi, superato lo scoglio, cominciavano i munimenti con islancio si ardito e baluardi si forti, da rendere inutile ogni tentative d'assalto; tanto felicemente poteva qui cospirare 1' arte colla natura. I sistemi délia difesa di quel tempo e i ben conservati ru-deri del castello ci inducono a credere che anche là, per quanto il permetteva l'irregolarità dello scoglio, la forma fosse rettangolare e fiancheggiata da torri. Le cortine coronate di merli, dove cadeva opportune, erano sostenute da arcate che si appoggiavauo al muro uaturale délia roccia; altrove piombavano invece verticali sulla repente scogliera: un' areata assai pittoresca si vede ancora dal lato settentrionale délia rôcca. Cou queste costruzioni sui precipizii secondanti lo sporgere e il rientrara delle rupi e l'irregolare ab-bassarsi ed alzarsi delle mede.sime, i lati guardanti il mare non avevano a temere aggressioni e potovano tenore in rispetto qua-lunque naviglio osasse accostarvisi. Non fa quindi meraviglia che i Veneziani stessi sullo scorcio del secolo XIV abbiano indaruo oppugnata la cittadella duinese, difficile a prendersi anche per fame. Dalla cisterna che ancor vi rimane e dalle cantine scavate nel masso si vede quanto bene era provvedato pei viveri; se poi è vero quanto narra la fama, in caso disperato eravi ancora un'uscita sotterranoa. Nulla pertanto mancava nè alla difesa nè ai bisogni délia rôcca disposta a parecchi piani, essendovi siu la cappella, in cui, dopo la ruggine di tanti secoli, veggonsi ancora le traccie ď antiche pitture a colori vivissimi. Sulle vestigie del torrione rimasto e degli altri ruderi non sarebbo impossibile a qualche iminagiuoso avcheoíilo risuscitare il castello cou quell' ainoie biz-zarro e porseveraiite e con quell' ingentissima spesa, con cui il ri-spettabilc geiitiluomo inglese Giovanni Temple Leader rifoce quello cli Vincigliata presso Firenze '. La strettisgima lingua di terra, ch.e a guisa di ponte con-giungeva la descritta rôcca colla scogliera opposta, era 1' unico punto, che potesse dirsi vulnerabile. Qui non poteva che I'arte supplire al difetto della natura. Laonde con baluardi avanzati, con feritoie più íitte e con altri rnezzi che suggeriva 1' ingegno, avranno cercato ď opporre valida difesa alia macchine degli assalitori. Ma quando non fosse riuscita la scalata o T apertura ď una breccia, sempře difficilissima aucbe in quel punto, il penetrar uella rôcca per r unica sua entrata diventava quasi impossibile. Questa infatti metteva in un basso e buio andito, scavato da un canto nel masso, fiancheggiato dall' altro dalla muraglia del torrione che scendeva diritta sullo scoglio. Era quindi agevole non solo barricare 1'in-gresso, ma difenderlo con poche forze contro gli assalitori, i quali per r angustia del passo non potevano penetrarvi che ad uno ad uno. Se adunque i Turchi, un secolo dopo 1' assedio posto al castello dai Veneziani, riuscirono a penetrarvi, cosa del reste non accertata, sarebbe segno che, abbandonato il castello antico, la vera difesa siasi concentrata nel castello nuovo, edificato in quel frat-tempo. Ma è probabilc che il fuoco dei Turchi distruggesse sol-tanto la borgata munita, che sorgeva presso al castel vecchio. La csistenza di quella risulta dal diligente esame fatto sul luogo. Tutta la lunga ed irregolare costiera che dalla parte del mare, cominciando dalla cittadella, va fino al termine dello scoglio sopra il porto, offre traccie di solide murature; e costruzioni non meno ardite si levavano dal lato opposto. Ivi si son rinvenute diverse qualità di monete patriarcali e avanzi infranti di rozze sculture. Là ristrettezza medesima del castello fa già supporre da sè, che esso non fosse isolato e che la numerosa famiglia ď uomini ď arme e di servizio, da cui erano circoudati quei facinorosi dinasti, se dimorava anche intorno alla torre romana che serve d'appoggio al castello dei Walsec-Torriani, in gran parte dovesse perb con-centrarsi intorno alla rôcca dei Duinati ^ L' una e 1' altro sem' Vedi l'opuscolo: Il Castello di Vincigliata e i smi contonii, Firenze 1871. ^ Bôcca dei Duinati è il castello antico finora descritto ; ma quando si dice in genere Castello di Duino, s'intendo il moderno, dei Walsee e del l'orriani. brano essere stati iii qualclie coiigiuiizione fra loro fino da tempi remoti; e quaudo i Duiuati sullo scorcio del secolo XIV e i Walsee sui primordii del XV coiniiiciaroiio a munirsi iiitoriio alla torre romana, terminando ad abbandonare un po' alla volta la sede primitiva, i due castelli si distinsero per lungo tempo col nome di castel vecchio o basso e di castel nuovo od alto. La prima distiuzione fra 1' uno e 1' altro trovasi nel 1363, sotto Ugone VI di Duiiio, in un conveguo fra lui e un certo Leonardo Vrass, il quale o per averlo avuto in pegno su deiiari prestati 0 per altri motivi, cbe non si conoscono, vi vaiitava diritti '. Suo figlio Giovanni rinnovava nel 1385 il componimento con Ugone di Duino, rinunciando a tutte le pretensioni del padre e sue sulla rôcca inferiore di Duino, sulle saline, sui magazzini del sale, siigli ulivi e sopra una casa esistente da presso Appalesasi dunque da questi duo atti, cbe fino dal tempo di Ugone VI di Duino, se jion prima, fu data mano alla costruzione del castello nuovo, e clie impropriameute quest' ultimo vion detto castello dei Walsee, suc-ceduti ai signoři di Duino poco dopo Ugone VI. La felice posizione dolla rôcca antica apparisce anche dalle spedite e facili comunicazioni ch' essa offriva non mono per terra cbe per mare. Quella baia naturale a cui, dove s'interna verso terra, poteva discendersi per la borgata attigua, messa in comu-nicazione colla rôcca, se ]ion è il porto cbe spesso trovasi men-tovato con quello di Sistiana, di Cédas e di Grignano, dava perô ricetto aile fuste ed ai legni corsari dei Duiuati, cli'essi facevauo venire da Fiume. Il porto venue in sèguito ampliato con una forte diga; e sotto il provvido governo di Maria Teresa acquistô una certa importanza, dando anche alla dogana imperiále una buona entrata, finchè a' nostri giorni 1' apertura délia ferrovia lo rese quasi deserto, con grave danno délia popolazione di Duino. L' età délia rôcca dei Duînati non potrebbe indicarsi. Noi sappiamo soltanto da quando quei dinasti compariscono col nome di Signoři di Duino in questo luogo; ma non ci è noto se prima di loro altri feudatarii e baroni 1' abitassero e se a questi o a quelli deb-basi la costruzione, se non dolla rôcca, di una dimora su quello ' Atto iraperfetto di iiotaio igiioto ď Aqiiileia nell'Aixli. not. cli Uđine comunicatomi cortesemcnte dal Dott. Vincenzo Joppi, in data 1363, 22 Octo-bris: Duinum vetus. Presentibus venerabili Patre D. D. Zanino Dei gratis abate S. Marie da Barbano, Domino Leonardo Vras, domino dicti loci de Duino.... manca il resto. ' Arch. Imp. di Vienna 1385, 7 aprile, Lubiana (orig.) scoglio. Rifercnđosi la prima pergameiia che abbiamo intorno ai Duiuati al 1139 e coiitenendo essa un compromesso cli coiifina-zione fra Trieste c Dui no, è da ammottere che essi vv abitassero molto prima, cioè fin dal secolo uudecimo, nou già dal duodecimo come ammettesi comunemeute. 11 gradato abbandono del castello antico, cagionato dalle mutazioni doi tempi, dai daiini sofferti e dall' angustia stessa dello spazio, porto seco aucbe il gradato suo deperimeiito. Ci6 avveniva fra il secolo XV e XVII, dopo del quale uon parlasi più di casiel veccliio e castel uuovo. I secoli posteriori andarono Jeiitameiitc preparaudo qiiella venerauda ruina, a cui non fa estranea la mano stessa dei terrazzani, iiiichè la nobile sua proprietavia attuale si acciuse a salvarlo nou solo dal tempo, ma ancbe dai profauatori, col chiuderne 1' ingresso e ristaurarlo. I fisici ebbero agio ancora sullo scorcio del cinquecento di osservare uell'antico castello di Duiuo un fenomeno, per il quale anche dopo il suo abbandono esso sali iu riuomauza presse le accademie scientificbe ď Europa. L' elettricità del fulmine uon fu ignota nè ai popoli orieutali delV antico tempo, uè a quelli dell' oc-cidente, fra i quali gli Etruscbi conobbero sino l'arte di evocare come dicevano, ossia di attrarre l'elettricità delle nubi '. Certo dalle moderne appjicazioni delle teorie dell'elettricità rimasero beu lontani gli scienziati delle età anteriori. Tuttavolta appuuto perché molti fenomeni elettrici tre secoli fa riuscivano inesplicabili e non si conosceya la relazioiie che avevano fra loro, dobbiamo tanto più ammirare l'ingegno di chi dall'osservazione del caso avvenuto a Duino, seppe tosto trarre una pratica utilita, inventando se nou^ un parafulmine, un annunciafore del fulmine. Era costume, anche dopo l'erezione del nuovo castello, che la guardia posta presso il torrione délia rôcca antica, all' avvici-iiarsi d'una procolla ne desse T avviso a quelli ch'erano per mare 0 sparsi nei campi, affinchè potessero sottrarsi a tempo al pericolo, riparando alla spiaggia ed aile case. L' allarme si dava col tirare un filo di ferro, che sta?a in comunicazione colla campana del castello. Avvenne un giorno che, al momeiito di prossima burrasca, la guardia toccasse per caso colla punta délia sua alabarda il filo indicate, dal quale tosto si sprigionô una fulgida e lunga scintilla. Questa osservazione bastô, perche un monaco del vicino cenobio ' Filiasi, I Veneti primi e seconđi, Yo). IV, pag. 47. đei Serviti, foiidato poco prima dal coiite Raimoiido VI dalla Torre, studiandovi sopra, inventasse il suo annunciaiore del fulmine. Coii-sisteva questo in una, e più tardi corne áembra, iix due spranghe di ferro appuntite e decussate ', che stavauo sul bastione più alto del castello moderno. Ogni quai volta il tempo preparavasi a bur-rasca, l'alabardiore vi accostava la lancia, e quando vi appariva una spiga luceute o un fascio di fuoco, egli dava mano alla corda délia campana, per annunciare il pericolo. Neir arcMvio, ora disperso, dei Padri Serviti di Duino doveva avervi la relazione di quel fatto in una lettera del P. Imperati. La riportarono puro il Toaldo nel suo Saggio di Meteorologia, il P. Costa Domenicano nella sua Mineralogia, il Gerardis nella Pre-fazione ail' Eneide di Virgilio fatta in dialetto friulano dal Busiz (Bosizio) e specialmente il Dott. Fortunato Bianchini di Udine, che rendeva conto dello strano fenomeno all'Accademia di Parigi il 16 dicembre 1763 ^ Di là se ne sparse la notizia nell'altre accademie, non senza subire notabili variazioni ed aggiunte le quali indus-sero il conte Antonio Asquini a dimostrare nella sua lettera "-inti-tolata La Giardiniei^a suonatrice 'che la spranga adoperata a Duino per attirare l'olettricità dell' aria non vi esisteva da tempi immemorabili, e meno che mai che fosse spranga etrusca. A' nostri giorni quel medesimo bronze, il quale per tanti anui servi ail' annunzio di-fiere burrasche, sebbene corroso dalla lunga età, continua ancora a segnAre co' suoi lenti rintocchi l'im-passibile avvicendarsi dell'ore, fra le procelle délia vita 10. Ricerche sull'origine del nome „Duino". Moite questioni sonosi ripetutamente sollevate intorno ail'origine del nome ■!>DidnoCrj te xs (xal) aylaeírj (âyXaty) èxsxaavo, 'Hqoç (^Q(oç) àovEÏvoç (Aovlvoç) àyàxXtzoç (áyáxXsiTog), èvd-àâs xlrs (xElraO, Kô[.i7jç /Lièv Kavvmv navevôéf.iovoç {navsvSatfxovoç) FaXautjg. Quegli che per ogui sapiouza e vouustà era celebro, L'eroe Duino, sommamente illustre, qui giace; Del contado dei Cauni, uella oiiDiiiameute felice Galazia. Ai due lati del marmo scorgesi il monogramma che com-peudia i duo nomi del Salvatore: l(7]ffovg) XP (camg), risultando evidonto 1' I e il P o sotte di essi il X a modo di croce; trattasi pertaiito di lapide cristiana. Quauto air età del mouumeuto, maiicaudovi l'iudicazioue deir anno, conviene desumerla dalla forma delle lettere e dall' uso già iiidicato, di scrivere corne si prouuuziava e corne in parte si pronuiizia tuttora dai Greci moderni (e per ai, c per ei, e per couverso ei per i); onde sembra potersi iiiferire che 1' epigrafe ap-partonga al tempo fra il uouo e il dècimo secolo. Vero è che uel 1830, al tempo dolla scoperta del marmo, i dotti che ue parla-rono ' r avrebbero inveco collocata fra il quinto e il settimo secolo; illustrata non l'hanno, e quindi è impossibiie valutare le loro ragioui. Da principio, quand' io era ancora incerto sull' età délia lapide, rimasi altresi in forse, se la Galazia in essa rammentata dovesse prendersi per la proviucia di quel nome nell'Asia Minore, OYvero por la Gallia; se quiudi Kavvmv stesse per Kavvímv, non senza scambio délia provincia, appartenendo i Gauiiii non alla Galazia, ma alla Caria. E spiacevami in vero che il nostro eroe Duino potesse appartenere ad una città che iii antico lev6 di sè ' Sento il gradito dovere di soggiungere che a completarne la lezione mi soccorse l'aiuto e l'approvazione dell'enidito elleiiista commendatore Giovanni Dott. Vcludo, Prefetto délia Marciana, il quale sciolse alcuni miei dubbii e mi fu largo anche di parecehie utilissime osservazioni; quindi è che potei procedere tanto più sicuramente nella interpretazioue dell' epigrafe e nelle mie doduzioni. Sccondo il carteggio citato dell'Arch, di Duino. ben triste fama. Ma parecchie consiđerazioni đilegiiaroiio ben presto ogni dubbio. Havvi anzitutto nella Gallia, e precisamente nell' alta Linguadoca, diocesi di Carcassoue, iina piccola città, chiamata Cannes, la qual desinenza ci risveglia I'idea del plurale e giusti-fica quiudi la terminazione greca del marmo, tù Kavva, twv Kavvœv. Montré poi in Grecia. e in Asia è difficile trovare un nome che somigli a quello di Duino, al setteutrione e particolarmente all' oc-cidente ď Europa quel nome, con qualcbe affisso variante che lo precede, non è punto insolito. Che anzi al tempo, in cui poniamo r epigrafe, nella Provenza confinante colla Linguadoca trovavasi alia corte di quel duca, Ugo Re ď Italia, un Il-duino suo parente, il quale da Ugo venne eletto vescovo, prima di Tongres, poi di Verona, e finalmente arcivescovo di Milano A quella stessa corte e nel medesimo tempo trovavasi il giovane Te-duino, che il Re deve aver tenuto in alta stima pel suo valore, poiche lo scelso a campione in un jgiudizio di Dio, quando, adombrato della po-tenza che andava acquistando suo fratello uteri no, il duca Lam-berto di Toscana, voile provare con un duello, ch' egli non di-scendeva con lui dalla medesima madre Berta. La vittoria fu di Lamberto ed Ugo, per vendicarsene, gli fece barbaramente estrarre gli occhi \ Noto è il nome di Ar-duino; fra quelli che lo por-tarono, e furono molti, primeggiano uno dei capi dei Normanni che si stabihrono in Italia al principio dell' undecimo secolo, e il marchese ď Ivrea, che nella medesima stagione cercô usurpare la-corona lombarda ^. E-duino, o Edvino s'appellano parecchi Ro ď Inghilterra; e 1' epopea nordica célébra Orlwin come uno dei precipui eroi della Gudrun. Senza parlare di Audoino, padre di Alboino primo Re longobardo in Italia, di Aldoino, abate in Islanda nel novecento, e di tanti altri che vi si potrebbero aggiungere, osserviamo soltanto che anche nel Friuli, dove trovossi il monumente deir eroe Duino, il suo nome non comparisce isolato. Un Zuino è rammentato presso Tarcento in una scrittura del 1260 dopo di lui trovasi un Duino, vescovo del dominio veneto; e nel ' Muratori, Annali ď Italia, all'anno 931. " Ivi, all'anno medesimo. Di Tediiino parla anclie il Giambullari. ' Un Giovanni Arduinofu uno degl'ingepi più bizzarri del secolo XVII, il quale fra I'altre sostenne non essere 1'Eueide di Virgilio se non il parto d'un Benedettino del secolo XIII. Maestro ;Arduino dell 300, è noto come archi-tetto e scultore. Ditiweji fu un pittore d'Anversa. Ma qui si passa già dai nomi-proprii a quelli di famiglia. ^ Manzano, Annali del FrkiU, 1192 un abbate rli Boligna cliiamavasi Orháno '. Otliwin, Otuino, morto alla fine del secolo decimo, è il capostipite dei conti go-riziani. K età délia lapide; il mouogramma di Cristo clie vi è scol-pito; il trovarsi nella Gallia un sito nomato Cannes, e il ripetersi quivi il nome di Duino, bencbè modificato da qualche prefisso,' ci sembrano dunque argomenti abbastanza forti per indurci a credere che il nostro eroe sia vanuto nel ducato del Friuli dalla Gallia, non già dalla Galazia. Potrebbe inoltre tenersi clie anch' egli non fosse estraneo alla corte ď Ugo di Provenza e cou lui: sia passato in Italia, como vi passarono Ilduino e Teduino. Ghe fosse in grande estimazione anche per la sua non ordinaria cultura, risulta dal marmo stesso; ma da quello apparisce altresi la sua alta condi-zione, senza la quale non avrebbe potuto intitolarsi ^'çco?. Héros è nomato p. e. dallo storico Liutprando Teobaldo marcliese di Spoleto e Camerino ^ e non più cbe Domnus cbiamasi lo stesso Re Ugo ne' suoi diplomi ■ Ma chi era veramente questo célébré Duino? Come e perché venne a morire nel Friuli? Fu forse parente ď Ilduino o di Teduino? Finchè non si trovino nuovi documenti, non si possouo arrischiare supposizioni e precipitare risposte a siffatti quesiti. Osserviamo perô che, se egli avesse relazione col re Ugo, del quale gran numero dei Duinati, e precisamente i più illustri, come ve-dremo, portano il nome, e conoscendosi le donazioni dal re Ugo al Patriarca ď Aquileia ed ai Vescovi di Trieste e Parenzo, nou sarebbe impossibile che del medesimo Re, come tanti altri baroni, avesse sentiti i beneficii in queste provincie anclie 1' eroe Duino. Ma lasciando per ora da parte siffatte congetture, ci preme piuttosto rispondere ad un' altra troppo onesta dimanda del lettore : per qual ragione cioè 1' importantissima epigrafe, che a Duino si riferisce, sia stata scolpita nell' idioma greco ? Se guardiamo la lingua del Friuli, nou era certamente 1' elle-nica quella che vi si parlava. Noi vediamo dapprima mescolarsi relemente celtico a quello degli Euganei, degli Eneti e dei Romani; e formarsi quindi quel sermone rustico, nel quale predicava nel secolo quarto il Vescovo Fortunaziano ; poi, colla caduta deÍF im' loppi, Dell' Ahbagia di S. Martino délia Belligna, pag. 7. ' L. II, c. 18, Theobaldiis Heros quidam, in-oxima Begi Hitgoni affi-nitate coniunctus. ' Jluratori, 1. c. pero ď occidente, il rustico venire a coiitatto colle altre liugue iioolatiue e loiigolDardiclie ; influirvi quindi il veneziauo, il tedesco, 10 slaTO. Nou era dunque il greco la lingua del paese. Ma quando s' ammetta che 1' eroe Duino veniva dalla Gallia, la cosa diventa piana, perctè tutta quella parte era seniinata di colonie elleniche. Greco parlavasi nella Provenza e Jiella Linguadoca, greco sinanco alia corte di Carlo il Galvo. Con tanta diffusione di quella lingua ancora iiel uouo e decimo secolo, qual meraviglia, clie trovisi una lapide greca posta ad uno clie di là proveniva e la quale puo riferirsi appunto a quel tempo? Clie se,. come si voile, ma come non credo, il marmo ascende fino- air età dal quinto al settimo secolo, in cui i Bizantiui dal lato orientale arrivavano fin presso al Friuli circondandolo all' iiitorno, e dal lato méridionale erano padroni dell'Esarcato e della bassa Italia; se aiizi la lapide non fosse che del tempo di Carlo Magno, in cui le nostre region! marittime cessarono ď appartenere al do-minio di Costantinopoli, iieppure in quel caso potremmo stupire che ad uno il quale veniva dalla Gallia, ed era persona chiarissima per iscionza e dottrina, sia stato posto un monumente greco in paose, se non greco, contermine al greco. Ma eccoci ad una uuova dimanda: come poteva questo iiome di personale convertirsi in locale? Le antiche famiglie del Friuli provengono specialmente dai Longohardi, dai Franchi a loro succeduti, dai Germani stabilitisi là sotto i Patriarchi del partito imperiále, e dagf Itahani che se-guirono i Patriarchi guelfi. Che se i baroni colà stabiliti si denomi-naroiio spesso dai castolli che eressero, havvi altrosi il caso inverso, di molti castelli che prosero a chiamarsi dalle famiglie o da altri uomi personali, come Vipulzano dai Vipelsbach, Spilimbergo dai Spielenberg, Arispergo dagli Auersperg, Partistagno dai Partenstein e va dicendo. Cosi puô essore avvenuto dcU'eroe Duino per la cele-brità stessa del suo nome. Da lui puô tenersi che sia stato appellato 11 castello di Zidns, come piíi comunetneiite si disse nel dialetto friulano, o di Zuino, di Zugino e di Duino, come è chiamato in parecchi documenti, i quali pel loro conteste non si přestáno assolutamente ad essere riferiti, come voile taluno, al castello di questo nome che noi andiamo illustrando '. E che dall'eroe Duino ' P. e. le attestazioui relative al possosso cli' ebboro gli Strasoldo delle tori'o e del castello di Duino iiol XIV e XV secolo, per vendita di Ugo di Daino, per concossione delPImperatore Sigismondo e per pegno otteniito dai Vcueziaui. Noi ue riparleremo più diffusamcnte la altri capitoli. preuđesse nome il castello di Zuiiio, pub dedursi in primo luogo dal vedere che precisameute in quei pressi fu trovata la lapide da uoi pubblicata, distando Zuins pochissimo da Castello di Porpeto, che è la villa dei coqti Frangipane. In seconde luogo ciô pu6 infe-rirsi dal fatto, che i Duinati furono per più secoli padroni di Zuino e noi ne recheremo in sèguito le prove; 1' eroe Duino puo quindi aver dato il suo nome non solo a Zuino, ma anche a Duino, sia direttamente, venendo egli stesso in riva ail' Adriatico, sia, com' è piii probabile, indirettamente e in età posteriore, per mezzo di quei signoři che qui vennero ad assidersi trasportandovi dal Friuli il suo nome. Ma poichè in questa ricerca stà inclusa quella pure suir origine del castello di Duino e dei Duinati ce n'occupe-remo quando parlerassi di quella famiglia. Per ora ci basta osservare che non havvi bisogno nè di derivare il nome di Duino da appellazioni anteriori, nè di prenderlo a prestito dagli Slavi o dai Tedeschi o da altri, ma che, abban-douate tutte le altre talora ingegnose, talora stirate ed anche ridicole congetture, colla scorta délia lapide felicemente scoperta, possiamo indicare con maggiore probabilita di dove possa aver tratto origine il nome di Duino. 11. Il castello odierno di Duino. a) I SUOI MUNIMENTI. Quai era cinque secoli fa, taie apparisce al présente il castello moderno di Duino a chi, passato il massiccio portoile del Borgo, sormontato dall' armi Torriane, s'affaccia a contemplarlo '. La medesima severa maestà lo circonda; le stesse mura gli fanno baluardo; lo incorona quella medesima vetustissima torre, alla quale sono addossatc le eccelse opere di difesa che promet-tono di mantenersi intatte e di contemplare il sole ancora per molti secoli. Nulla al di fuori invita a francare quelle soglie temute; e quando nelle notti tempestose, all'improvviso apparire d'un raggio lunare fra le squarciate nubi, le ombre gigantesche degli spaldi ' In un vecchio tosto di geografia, usato nelle scuole sotto Giuseppe II, iiisegnavasi chc Duiuo era una ciířá sul Mare Adriatico (erne Stadt am aâ,ria-tisçhen Meere). duinesî progettanđosi all' iiitorno, sembrano iiitimare al vianđaiite đi non accostarsi, 1' iramaginazione ci trasporta involontariamente a quel tempi, in cui il castello, minaccioso per armi ed armati, da' suoi bastioni incuteva rispetto a quanti avessero osato assalirlo. L' arte progredita delle difese, specialmeute dopo 1' iutrodu-zione delle artiglierie, e le continue feroci incursioni dei Turchi, furouo quelle che suggerirono sullo scorcio del secolo XIV di costruire sopra i ruderi, come vuolsi, di anticlie mura romane, dove a molte miglia aU'intorno non si trova a piombo sul mare sito piíi elevato che domini ad un tempo i due elementi, un nuovo castello. Da questo è circondata la torre due volte millenaria, come apparisce non pure dalla pietra squadrata della medesima e dal sue cemento, ridotto al presente più duro della selce, ma e dalla lapide in marmo dedicata al divo Diocleziano, riiivenutavi da presso alcuui anni fa e da tutte le memorie rimaste. Sul fine dell'evo medio e al principio del moderno questa torre, divisa in piani, servi di carcere ai prigionieri che facevansi nelle continue guerre coi con-finanti; i massicci cardini che ancora si vedono allé strette aperture, dimostrano la gelosia con oui sotto ferrate duplici porte si custodivano quei carcerati, e il ""Breve pertugio dentro della muda,, serviva piuttosto ad accrescerne I'orrore, che a diradarne le tenebre; anzi gli ultimi piaui erano affatto ciechi. Seconde la tradizione vi esistevauo aiiche trabocchetti e una traccia di pozzo, rinvenuta air esterno fra la torro e gli spaldi, avvaloro la credonza, che ivi si calassero giii i prigionieri destinati a perire di fame. La spianata che v' ha dentro le mura del borgo duinese, era in antico occupata anch' essa da case, non permettendo la condizione dei tempi ď abitare all' aperto. Chiusa oggi da mura e da cancelli, essa prose il nome di Gorizzutta e uel mezzo vi sorge un modesto monumente eretto nel 1834 dal colonnello di cavalleria, conte Raimondo della Torre, a' suoi prodi commilitoni caduti sul campo dell'onore uelle guerre contro Napoleone I Fiancheggiano la Gorizzuta da una parte I'ex convento dei PP. Serviti e la chiesa ' Vedi l'epîgrafe N. 3. Vero è che alcuni đubitano di tanta vetustà, ma la lapide accennata e la storia del dominio romano in qiiesti luoghi e degli ediflcii erettivi rende il supposto non poco probabile. La posizioue di Duino fu in ogni tempo importante e più che mai nell'autico. ^ Vedi Epigrafi N. 44. dello Spirito Santo, dali' altra il yasto eclificio ci'rcoiidato di torri, che serve per 1' ammiiiistrazioiie délia signoria. Attigue soiio le scuderie, le rimesse, i granai, le cantine. Ma 1' occhio non ha teinpo di fermjirsi su tutto questo, attratto com'è dagl'imponenti ba-luardi del castello. Un' ampia fossa diíesa da antemurale ne forma la prima cinta, cavalcata già dal ponte levatoio, là dove è il primo ingresso alla rôcca. Segue quindi una seconda mura merlata ' con un grosso bastione posto alla fine verso sera per diíesa dell' en-trata. Di là prolungavasi la mura lunghesso il' lato ď occidente fino al portale, guardato da nuova opera di difesâ. AU' estremità del medesimo un altro bastione, convertito oggi in grazioso terrazzo, terminava i guernimenti senza uopo di congiungersi cogli spaldi eretti a meriggio, per dominarvi il mare. Sguernito di antemuTale era ed è anche oggi il lato che volge ad oriente, siccome quello che per le sue grosse muraglie e le roccie inacessibili ed altissime non offriva modo ď avvicinarsi al castello. Ma la vera difesa terrestre contro le nuove macchine di guerra fu il terzo baluardo a settentrione, sotte il quale un' altra profonda fossa contiene anco'ra le celle- ad uso di prigioni, servite fino al 1848 alla giurisdizione che esercitavano i Torriani nella signoria di Duino. Il baluardo' è formato da un terrapieno, con un' ampia mezzaluna nel centro, e sopravanza come altissimo gradino gli altri controforti, dominando tutta la via da Sistiana al Timavo. Munito di batterie, come il latđ opposto che guarda sul mare % mostrô nel secolo XVI di saper tenere in rispetto numerose forze ď assedianti, ma dovette soc-combere con Gorizia e Trieste alla prevalenza dell'esercito regolare dei Veneziani. Sopra tutte queste fortificazioni leva il capo superbo la piii volte mentovata torre romana, alta sul livello dell' acque dugento e quaranta piedi Al lavoro di questi forti erano obbligati per turno i sndditi della signoria : laonde non fa meraviglia che si potessero compiere opere grandiose anche con poca spesa. Nè le cure della difesa potevano trascurarsi dai castellani, i quali, da principio per proprio- ' I merli del castello souo guelfi, quali erauo i ïorriani ; solo qua é là osservansi alcuni avanzi di merli gMbelliiii di tempi, la cui questa differenza non aveva più significazione politioa. ^ Oggi non vi sono che due piccoli caniioni délia prima repubblica francese, messidoro anno 2 e vendemiaire anno 3, che servono per le solennità pubbliche e di faniiglia. ® Metri 76 secondo la misurazione favoritami dal ch. Ingegnere Dottor Luigi Buzi. intéressé siccome signoři assoluti, più tarcli anche per quello del principe, provvedevano alla sicurezza propria in mezzo aile tante guerriglie in oui si trovarouo impegnati, e a quella del territorio che era loro affidato corne capitani. Cresceva la responsabilità délia difesa, per essere il castello al confine con altro Stato, il dominio veneto, fra il quale e F Austria dal 1500 in poi le armi certo per lungo tempo non posarouo. Molto fu fatto sotto i Torriani, padroni délia signoria e capitani del principe: perciô abbiamo chiamato il nuovo castello del Walsee-Torriani. Ma i tempi mutati e l'intro-duzione di eserciti permanenti li sollevè di mano in mano dal bisogna di difendere il castello in tempo di guerra con forze proprio. Passato il cancello di ferro presso 1' antico ponte levatoio, la .scena si muta: l'edera pacifica e la vite-rampicaute che tappez-zano le muraglie fino al tetto lungo tutto il passaggio conducente all'ingresso, e quel Salve ospitale che, segnato a spessi chiovi sopra il portale, saluta il forestiero, ci fauuo obbliare la paurosa impres-sione avuta nell'accostarci a quelle mura. Dal lato del mare l'an-tica cinta forma un parapetto a pilastri e statue, su cui cresce spontanea la Centauria CarsUensis propria di Duino, e che un giorno, quando si eseguisca il disegno meditato, condurrà per una scalea ad un parco veramente storico. Avrà esso nel centro il masso peninsulare, chiamato lo Scoglio di Dante; ali ne forme-ranno l'antico e il moderno castello. La famosa piaggia più addietro descritta, colle sue piante perennemente verdeggianti, co' suoi om-brosi viali, coi due seni in cui accoglie le aure e le acque marine, cogli antichi ruderi di iabbriche ivi esistite, col bagno eretto al suo piede, rallegrata dal canto soave de' suoi tanti usiguuoli, offrirà anche in mezzo agli ardori più intensi dalla stagione estiva uno dei più graditi e più poetici soggiorni.. Bon a ragione chiamerassi il Parco di Dante, perche, se è vera la tradizione, quello fu im-presso dalle sue orme. immortali, quando, accolto con gran festa đai Duinati, venue ad assidersi sullo scoglio pittoresco che da lui porta il nome. A lui insieme col lauro che vi cresce, la nobile signora délia rôcca duinese voile consacrare anche il canto seguente, affinchè ne tramandi la memoria ai futuri. UN' ORA MEMORANDA A DUINO. Quella torre che da secoli Immutabile vedetta. Dalla sua superba vetta Guarda fiso alla marina, Quasi augello đi rapina, . Che alla pređa intento stà: Non misura sol lo spazio Col niarmoreo ciglio imnioto : Ma ď antico tempo ignoto In sul bronzo irrugiuito Batte 1' ore ali' infinito, Batte sempře e mai ristà. Batte l'ore al sol più fulgiđo, Quando uu gaudio è la natura, E di mezzo a notte oscura, Quando il mare s'arrovella E non lucica una Stella E non naviga il nocchier. Sempre segna le fuggevoli Ore tutte ad una ad una In lor labile fortuna. Con lo squillo irrevocato; Sia temuto o desiato, Sia lugubre o lusiughier. Quante volte fu quel sonito Al raggiar d'un nuovo giorno Il segnal di guerra intorno! Quante volte a stanca sera Fu di pace la foriera L'ora estrema cbe suonb!.. Ma quai fu quell'ora armonica Che s\V AUissimo Poeta Ecbeggiô per Tonda cheta, Allorchè peregrinando Dalla cieca patria in bando, Su quel scoglio si fermô? E di là con mente fei'vida, Rivolauđo al bel paese Strazïato in rie contese, Guardô a Pola ed al Quarnaro Che lo serra in flutto amaro Dove bagua i smossi avel? Forse fu quel tocco flebile, Ch' esortando alla preghiera Pei fratelli in altra sfera, Il suo spirito credente Avviô i)el regno ardente, Pel purgante insiuo al ciel;... E d'abisso immensurabile Inalzato a somma altura, A quel Sol che mai si fura, Air amor ch'ogni altro avauza, Colse in seno alla speranza La corona della feM — Ed intanto quello scoglio, Grià sgabello all'Alligliiero, Di tal orma conscio e altero, Eternato dall' Errante... Sfida I'onda, che spumante Gli ricade vinta al pie'! bj IL CORTILE. Ma eccoci alia soglja maestosa del castello, ornata degli stemnii rlella Torre-Holieulohe. Uii briviclo misterioso torna ad assa-lirci, contemplando a sinistra la grossa muraglia che dicesi uascon-dere una discesa segreta ai sottorraiiei. Al cnpo rimbombo che dauno i iiostri passi, il peiisioro si porta ai tauti misteři teiiebrosi compiti fra quell' ombre paurose dagli autichi castellaui e presta credulo ascolto alia tradizione, che prolunga quelle buie caverne sino al castello diroccato e di là li mette in comunicazione con quelle del parco. II TÔlto sotto oui si passa per entrar nella corte, è un traforo dell' antico bastione, il quale come ultimo ridotto entro le mura, serviva d'unica porta e d'estrema difesa, contro chi, superati i valli, avesse voluto penetrare nel quadrilatero della rocca. Sotto questo vestibolo il nostro occhio s'ari-esta a contem-plare le smisurate corna di bufalo, di bisonte, ď antilope, di stam-becco distribuite a disegno sulle pareti, e che potrebbero narrarci le mirabili cose dei paesi lontani dell' Indie, dell' Australia e deir America, onde venuero sin qua sulla celebre Novara, quando questa negli anni 1857-59 fece il periplo del mondo. La corte del castello alta, 164 piedi o metri 49 sopra lo specchio deU'oiide, preserita un imponente spettacolo. A settentrione due lati della gran torre sporgenti ad aiigolo nel cortile, che ram-mentano le vittorie dei Cesari romani suli' Istria e sul. Carso sino allé cime dell'Alpi; quindi le massiccie arcate della loggia terrena sotto cui s' accoglievauo i cavalieri, per uscire allé battaglie od ai tornei; da presso il terrazzo sul quale il castellano arringava le sue milizie e più tardi compiva gli atti di giurisdizione e di giuspa-tronato nel mezzo la fenice degli Hohenlohe sopra alto cippo ' II CO. Gio. Batta della Torre, padre della Principessa di Hohenlohe, 'fu P ultimo che da quel terrazzo 'presentô al clero ed al popolo con analoghi ,discorsi i parrocM e benefiziati da lui eletti come patrono. cil'condato di edora o di frondi; tutto aU'iiitoïno con ordinp disor-diiiato distribuiti stiidiosameiite fra massi di tuffo i piíi bcgli esemplari di stalattiti raccolte uelle caverne del Carso e che s' ac-cordauo mirabilmente, non pure colla severità del castello, ma coi dintorni di Duino. Quando poi le tiepide aure di primavera ride-stano la iiatura dal sonno invernale, ecco ammantarsi con vago contraste tutte le muraglie di fresca verzura, formando graziosi festoni intorno allé vôlto degli archi e vestendo dei piii bei corti-iiaggi le finestre; montre dal musco dei massi sorgbno a migliaia le piante ed i íiori più vaghi, che mutano la scena quasi per in-canto in odoroso giardino. Con b^l pensi ero la loggia terrena fu decor ata degli stemmi gentilizii che ricordano i diversi signoři e possessor! non meno del vecchio, che del nuovo castello. È la storia di Duino narrata in iscorcio su poche, ma importantissime pagine, la quale offre occa-sione di riandare le vicende di tante illustri famiglie e degli Stati in cui vissero per lo spazio di quasi nove secoli. Questa fu che m'inspire il pensiero di scrivere le disadorne pagine che presento al lettore, lieto se altri, più val ente di me, v orra compiere un'opera pari alla fama di questo, che a ragione si conta fra i più rino-mati castelli. Anche la cappella che dà sul cortile, è un brano di storia, almeno delle diocesi ^ cui fu successivamente soggetta a cagione degli avvenuti rivolgimenti politici. Sebbene sia da tenerla contem-poranea all'erezione del castello, non abbiamo pero documenti che ne parlino esplicitamente prima degli Hofer, capitani pignoratarii di Duino. Sotto di loro il 29 luglio 1543 la chiesetta venne consa-crata dal célébré Vescovo di Trieste Pietro Bonomo, in onore délia B. V. Non esistendo ancora a quel tempo la chiesa attuale di Duino nè quella di Sistiana, non è meraviglia che la cappella di Duino fosse pubblica e consacrata, con servizio di sacerdote proprio ; dovendo sussidiare la parrocchiale di S. Giovanni'^al Timavo. Ma pubblica rimase anche dopo, fino ad oggi, benchè dentro le mura del castello. Avendo sofferto per vetustà, venne riedificata "fe ridotta in forma più nobile dal conte Luigi délia Torre, signore di Duino, e dedicata a Sant' Anna, ricevendo nuova consacrazione il 12 luglio 1700 dall'altro Vescovo Triestino di bella fama, Çriovanni Francesco Miller, delegate a cio dal Nunzio Apostolico di Vienna. Strano in vero sembra a prima giunta quest'incarico dato dal Nunzio ad un Vescovo d'altra diocesi, mentre Duino apparteneva a quella d'Aquileia. Ma è đa rammeutare che lo rivalita fra 1'Austria e la Ropubblica veneta impeclirono per secoli al Patriarca residente in Udine di metter piede iiella sua vera sedo ď Aquileia, posta nel territorio austriaco. L' arcidiacouo, vicario patriarcale di Gorizia, e il clero délia proviiicia trovavano mille difficoltà nel comuuicare col loro Ordinario, onď è che il Nuuzio vi osercitava la giurisdizione e per lo funzioni vescovili, qufile la coiisacrazioue delle chiese, delegava or r une or l'altro dei Vescovi coniinanti, Siffatta deplorabile con-dizione di C0S6, danoosissinia alla disciplina ecclesiastica, duro fino al 1751, essendo riuscito vano ogni tentative fatto in questo frat-tempo di rimediarvi. Sotte Maria ïeresa si venue fiualinente, corne è noto, ad un accordo, pel quale il Papa, sciolto il Patriarcato ď Aquileia, creô due iiuove Arcidiocesi, quella ď Udine nel dominio veneto e quella di Gorizia nell' austriaco. L'accordo venne celebrate da un dipinto allegorico di Placide Costanzi, umiliate al Papa dal Cardinale Orsini L'elegante chiesetta che ha un bell'altare di marmi sva-riati con tela moderna del Guadagnini, rappreseutante S. Anua e la Vergine, venne nuevamente ristaurata dalla Principcssa d'Hohen-lohe; gli arredi dell'altare seno tutti in argento; le pareti decorate di buoni quadri ad olio e di ricerdi di Terra Santa e di Roma; parecchi parati antichi hanno pregie pei ricami, per le ricche stoffe e per l'arme terriana ripertatavi in rilievo; in grande venerazione sono l'immagine della santa vergine Valburga, Protettrice della Casa Torriana, e le reliquic che si cojiservaiio nol sacrario in teche ď argento di fine lavoro. Alia cappella mettone due tribune ad uso della Famiglia e degli ospiti. Quattro scale principali danno 1' adito dal cortile ai diversi corpi irregolari del castello; una è la nobile che conduce ai grandi appartamenti ed ai piaui riservati della Famiglia; la seconda accede air ala destinata eggi ai forestieri, e che in antice formava I'appar-tameuto ď estate, messo a stuccature,, dorature e pitture, quasi iuteramente distrutte dal tempo; grazioso è particolarmente un camerino di cui furene ancora ricuperati i dipinti raffiguranti in ' Fotografia neU'arch. di Duino. II dipinto rappresenta 11 Papa assise sul trono con appiedi la Pace che invita I'Allemagna e la Repnbblica Veneta ad accostarsi. Presse al tiono stanno due cherici recanti ciascuno una mitra ed una croce arcivescovile astata, allusive alio due Arcidiocesi erette di nuovo. Conipiono il quadro la Giustizia e la Keligione, al di sopra delle quali oam-peggia sotto forma di colomba lo Spirito Santo in atto d'illuminare coi raggi della sufi luce il Pontefice. La prospettiva mostra da. lontano il Mare A-di'iatico, tanti međaglioni, coiitornàti ď arabeschi e da putti, la vita del giovanetto Giuseppe, íiglio di Giacobbe. Per la terza scala, parto interna e parte esterna, si monta alla torre; la quarta, scavata nel vivo masse, discende ai bastioni di mare, alti dall'acque 155 piedi e fabbricati sopra rocce dirupate di mirabile effetto par la loro formazione. Scale secrete s'incontrano da per tutto; alcune piii antiche furono otturate, ed ostruiti rimasero altri segreti passaggi e stanze, finora non abbastanza esplorate, che avevano anche comu-nicazione coll' esterno. Prima ď abbandonare il cortile, ricco di tante storiche me-morie, una conviene ancora indicarne, délia quale non esistono più che il nome, la tradizione e le lettere morte dei documenti; voglio dire la sala ď armî, chiamata 'di solito 1' arsenale. Il forestiere che visita il castello di Duino resta a ragione meravigliato quando, chiedendo dell' armeria, si vede condotto in un' ampia sala terrena costruita a vôlto, che di sala ď arrai ha certamente 1' a-spetto, ma che di queste non porta più traccia. E dove sono dunque le armi ? Visitate il Louvre ed altre gallerie francesi ar-ricchite al tempo del primo impero delle spoglie di tante concul-cate provincie, ed esse più che altri potranno rendervene ragione. Disperse per sempře- rimasero le balestre e le freccie che dovevano esistervi dei primissimi tempi dei Duinati; disperse le alabarde le mazze ferrate, gli spadoni a due mani; gli scudi, gli elmi i ca-schetti; disperse le maglie, i giachi, le corazze, le panciere delle diverse età; e venendo a stagioni più vicine, gli archibugi, gli schioppi, le spingarde, le colubrinc, i mortai, i cannoni e tutte le altre armi da fuoco, raccolte qui fiiio alio scorcio del secolo scorso in tanta varieta da poter formare una piccola storia dell' armi. Perô una îamosa armatura restô salva dalla rapina: quella di Nicolô délia Torre generale imperiále al tempo delle guerre turchescho e capitano di Gradišća, di cui 1' Imperatore ď Austria Francesco I. venuto a visitare Duino, ricordava con somma lode le imprese, com-piacendosi che le sue armi, tinte le tante volte del sangue nemico, sieno rimaste a Vienna insieme con quelle dei più illustri guerrieri Per lunghi anni quella sala, spoglia del suo decoro, rimase abbandonata nel suo squallore, iinchè la nobile proprietaria del castello, seguendo una delle sue più felici inspirazioni, diede opera a convertirla in un ridotto che meritorebbe appellarsi la grotla delle ' Arch, di Duino; Lïbro Confessore del conte Raimondo IX della Torre. fate. Era la sera del primo settembre 1873, quando per oiiorare un' ospite augusta, che la storia ricorderà cou venerazione od affetto, veuiva inaugurata soleiiiiemeute la nuova sala. La sfarzosa illumiiiazione rifletteva i suoi raggi sulle vôlte architettouiche delle muraglie cou si vivo splendore che sembravano seminate di fulgi-dissime stelle; i cristalli ialiai od opachi, ma sempre brillauti, formati da miuutissima polvere di stalattiti, davauo sembianza di quella via che tempestata di astri, venue chiamata la lattea: diamanti maggiori, sparsi in grau copia alla rinfusa sulle arcuate pareti, poteano prendersi per le costellazioni clie trapuutano il manto délia notte; altri in linee contiiiuate segnavauo i contorni degli archi, facendoli spiccare dal fondo, o uniti simmetricamente, riempivano i vani a graziosi disegni. Ad ogni muover di passo, imove luci ti accompagnavano, ťinseguivano, ti precedevano, s'in-crociavauo. Quando iinalmeute l'occliio, non mai stanco di ammi-rare questo svariato spettacolo, se ne staccava cou pena, nuovi peregriiii oggetti attraevaiio 1' attenzione: sulle marmoree ta vole, infisse nelle pareti, sul lucido pavimento, sulle muraglie stesse ve-devansi disposti i piîi pregiati tributi offert! dall' Indie e dalle isole transatlantiche, quali in piaute rarissime e fiori, quali in bianchi ramosi coralli, quali nelle più vaghe cojichiglie che sa formare la Tritonia consorte sotto i vitrei gorghi dell'Oceano. Nè mancavano alla festa le montane oreadi coi loro doni, fra cui due guglie superbe di marmo nero del Carso, i pivi bei saggi di petrefatti che offra la paleontologia dell' Alpi vicine e un immense avoltoio dalla Çardegna che ad ali spiegate sembra spiccare il volo dalla rupe nati va. L' arte s' aggiungeva alla natura, nell' abbellire la sala di graziosi lampadarii in vetro di Murano antichi e moderni e di specchi moltiplicanti i riverbori, utiico modo ď illuminazione che s' addicesse a quel luogo. Ma ď un mirabile effetto riusci special-mente lo stemma gentilizio delle due famiglie Hohenlohe-della Torre, lavoro perfetto dello scultore duinese Francesco Pezzicar, di cui dovremo ancora parlare. Circondato del manto e sormontato dalla corona principesca, esso si eleva in fondo délia sala, come un trionfo, su due gradini di musaico poggianti sopra il camino lu marmo rosso, il quale ci rammenta gli antichi tempi, allorchè i cavalieri fra le tazze spumanti e il suono del huto e il canto dei menestrelli, passavauo le lunghe serate ď in ver no accanto al fuoco, celebrando le imprese del Re Arturo e del paladino di Roncisvalle. Dcscrivere i veroni decorati di stofíe cinesi che danno l'a- spetto đi vctri fiiiamente cblorati, e parlaro clelle altre uobili sup-pellettili che abbelliscono la sala, stimo cosa superfiua; solo credo poter affermare a ragioiie che opera più faiitastica, in armonia colla natura del luogo, non era possibile immaginare. 11 castello è provveduto ď eccellente e freschissima acqua potabile, distribuita nel cortile in tre ampie cisterne; cd è bello r aspetto ď un delfine di marmo fra i niassi verdeggianti, cbe nel tempo di pioggia versa a torrenti le acque raccolte dai canali, dentro un bacino. Ma quanto decoro non aggiungerebbe a tutto il recinto un vivo zampillo ď acqua saliente, cbe venisse ad inaf-fiare quelle verzure. Se ne formo il disegiio, ma sottoposto ad csame, fu giudicato ď impossibile attuazione. Yuolsi cbe tutte le acque del Carso veugano dall'Albio e sieno emissarii di gran de-positi in esso nascosti. Esse camminano in gran parte sotterranee, corne vanno i filoni delle montagne; un ramo dei principali vei-so Duino e Sagrado, 1' altro nella direzione del Monte Maggiore nel-r Istria. Quello di Duino, cbe forma il Timavo, corre sotterranee per la vallata che stà a settentrione di Nabresina; poscia volge fra il vecchio castello di Sistiana e Yisule e, passando poco lon-tano da Duino, forma iînalmente le ricche sorgenti che sono al mare. Ora Duino è un masso rovesciato, che in parte non ha stratificazioni, e quelle cbe vi sono, stanno in direzione opposta alio scolo delle acque; il masso poi è perpendicolare, da non lasciar aperto alcun varco aile acque; appena sulla piaggia che scende al mare fra i due castelli esse trovano un passaggio, come si vede dalla sorgente cbe zampilla presse la casetta del bagno. Un foro adunque che venisse fatto nel masso di Duino non porterebbe ad acqua saliente; bisognerebbe condurvi l'acqua sotterranea per mezzo di canali, prendendola da lontano con ingentissima spesa, la quale non sarebbe giustificata se non nel caso che il castello mancasse di cisterne. c) 6LI APPARTAMENTl INTERIORI. Dalla loggia terrena mette aile stanze nobili del castello una scala a spira ovale, di disegno Palladiano, che per la sua leggerezza ed eleganza, congiunta alla massima sobdità, viene tenuta in somme pregio dagli architetti. I gradini e gli ampii ripiani, in-ïissi da una parte nel muro, aiïatto liberi dall'altra, sembrano cam-pati nell'aria; tanta fu Tarte con cui venne sciolto quell'arduo - loë - problema cli statica. Cresce il pregio alla scala la sua liinghezzá, destinata a coiigiungere insieme i sel piajii delle due ali a difife-renti altezze, clio vi mettono capo. Vaghissimo è Y aspetto che s' oiïrc a chi staudo ncl foiido contempli quella bolla voluta sino alia sommità, corouata da un dipinto allegorico della Gloria, montre le pareti sono ornate degli emblemi della Pace e della Guerra, quasi per additare la saiita che a quella Gloria conduce. Nessuna forma di scala meglio si conveniva a mascberare air occbio r irregolarità dei diversi piani congiunti con si accorta simmetria; irregolarità propria degli autichi castelli, le cui parti son fabbricate iu tempi diversi e con diversi disegni. I^vani dei compartimenti della scala sono riempiuti da trofei portanti ciascuno I'impresa delle ultime famiglie imparentate coglL Hobenlobe-della Torre a gradi ascendenti: e sono Flirstenberg, Brigido, Reviczky, Gumpemberg, Lowenstein e Strasoldo. Ed ora entriamo nell' appartamento inferiore. La sala di aspetto è ornata di ritratti di famiglia, ove spicca quello del men-tovato generale Nicolô della Torre, che per le sue forme atletiche, chiuse iu ferrea armatura, ci rammenta il capostipite della Casa, Martino il Gigante. Nel sofíitto tra nubi rosate campeggia l'arma Hohenlohe sostenuta da genii. Nobilissima è la stanza attigua, che porta il nome dell' Imperatore Leopoldo L Quivi il Monarca soggiornô nel 1660, quando con isplendido sèguito venne a visitare i Torriani di Duino, legati alla sua cortc per la parentela di ambedue le famiglie coi Gon-zaga '. Il soffitto, di squisitissima stuccatura vcnoziana ad alto rilievo, raccoglie in cornice adatta l'apoteosi di Leopoldo dipinta nel mezzo. Le pareti portano celebri tele tutte di argomento sacro, del Giambellino, del Maratta, del Pollidoro, di Cima da Conegliano, di Gherardo dalle Notti e di altri illustri pittori specialmente délia scuola itahana. Vero è che un Andrea del Sarto e un Lazzarini non vi sono che in copia; ma copia fatta dalla valente mano della signora medesima del castello. De' suoi dipinti sono ornate le chiese di Duino, di S. Giovanni al Timavo, di S. Apollinare a Venezia, oltre che varii Istituti; e parecchi ancora ne scontreremo per via, nel percorrere le sale della sua residenza. Moite pregiate porcellaue chinesi e stipi intarsiati sono accon-ciamente distribuiti sui dorati mobiU della stanza, la cui tappez- ' Dovremo toccar çiuesto puiito più diffusaraente in altvo luogo. 1 3 zeria, per quauto ricca, ci passa iuosservata, quauAo non sappiasi che in gran parte è opera di due illustri principesse, le zie deirin-felice Luigi XVI, Maria Adelaide e Vittoria Luisa: triste ma pre-ziosa memoria del loro esilio, di cui fecero douo ail' avo délia Priucipessa ď Hoheiilolie, il conte Pompoo Brigido. Non meno cari sono per questa due busti, l'uno scolpito dal veneziauo Ferrari rappreseutante la sorella di S. A., contessa Raimondina Thunn-Hoheusteiu rapita all'amore délia famigiia sul iior degli aiiiii; l'altro coir effigie doll'arciduchessa Beatrice d'Esté, délia cui intima con-fidenza si onorava la geuitrice délia Priucipessa. Prima d'uscire délia stanza giova affacciarsi al verone, che solo iu tutto il castello, per essere collocato ad uno svolto, uuisce iusieme le due superbe prospcttive sul mare, dal le-yare del sole fino al tramouto. Non v'ha pennello che possa adequar sulla tela quel magico quadro, uè penua che osi descriverlo. Nell'antisala dei conviti comiucia ad aversi uu saggio délia preziosa raccolta iu ceramica fatta cou intelligente e pazieutissima perseverauza dalla padrona del luogo. Qui, dove l'occhio uon è distratto da altri oggetti, poichè fino la lampada pendente dal sof-fitto è di antica maiolica, si ha tutto l'agio di contemplare le peregrine e vétusté porcellane viennesi e del Giappone disposte a piramidi sulle pareti e sullo credenziere. Nelle altre stanze le sto-viglie audrauno variaudo a seconda del gusto delle medesime. Perciô nella sala sogucnto, destinata ai banchetti, si voggono invece 1 boc-cali e i piatti di Montelupo, commisti aile tazze, ai calici, ai bacili, aile brocche portanti alcune le armi e le imprese doll' Impero ger-manico. Altri scaffali recano argenterie e vasellami di diversi tempi délia Francia e dell' Inghilterra. La stanza è uello stile del rina-scimento, e in generale fu couservata con istudio 1' improuta del tempo, in cui il castello fu acquistato dai Torriani, beuchè interamento riattato dalla loro disccudente. iVIolta Iode spetta iu questo al signor Angelo Sala, decoratore milanese, che seppe com-prendere e seguire con valente maestria i concetti délia castel-lana. Conoscendo molto bene gli cffetti délia, luce e delle tiute e sapendo appropriare ail' indole dei diversi locali i suoi disegni, dipinse qui il soffitto a lacunari che servono a nasconderne ail' occhio la irregolarità, tutta propria di queste stanze. Di grande, illusionc sono i finti bassirilievi che fasciano la coruice, rappre-sejitanti scene di caccia ed animali. Disegno del Sala sono pure le mensole, le credenziere, la stufa di maiolica, le sedie ad alto đosso e quant'altro ađorna la stanza; tranne 1' orologio commesso alb fabbriche clella Selva nora, celebri per i loro iiitagli in leguo, imitaoti il geuere antico. Esso porta nel modesiino tempo il tipo flclla selva onde yiene, specialmento nel fogliamo e negli auimali sparsivi a capriccio. In alto spicca la fenico degli HohenloliG. Di scuola íiamminga e tutti del međašimo autore,\ Van Kessel, sono i dieci quadri, cbe qui si trovano al loro vero posto, come quelli cbe stuzzicano il palato colle più gbiotte e delicate vivando del suolo, dell'-aria e deU'acque. Ancbe in questa sala ospitale ci accompagna e si accoglie in tre grandi veduto lo spettacolo del mare, bello specialmento quando è illuminate dalla luce del sole occidente; dali'uno dei balconi si presentano ai commensali le sinuose coste istriane, dal soguente 1' anfiteatro triestino seminato di ville e di palagi fino alla sua sommità, dal terzo lo scoglio fiorito di Miramar e le lineo pittorescbe delle roccie cbe circondano la baia di Sistiana. E percbè mcglio si possano contemplare queste prospettive, uno storico telo-scopio stà sempře pronto pei riguardanti sul suo postamente; storico percbè donate al generale Giuseppe della Torre dal celebre am-miraglio, "Che tronca fe'la trïonfata nave Del maggior pino e si scavo la bara" '. Un sentimente di religiosa pieta e mestizia c'invade quando entriamo nel gabinetto attiguo, cbe fu già abitato da S. A. S. il com-pianto Principe Egone Carlo d'Hobenlohe. Tutto ricbiama qui la mo-moria di quel valoroso non meno cbe franco cavaliere cristiano, dall'armi cb'egli impugnava nelle battaglie, alia deveta tribuna da cui, affranto dallo iiifermità, assisteva ai divini misteři; dai dipinti cbe rappresentano le gloriose geste de' suoi avi, a quelli cbe ram-mentano i suoi affetti domestici. Primeggiano fra questi i ritratti dei suoi figli eseguiti dalla Principessa; non va dimenticata fra quelli V effigie del maresciallo Luigi Gioaccbino ď Hobenlobe, cbe fu doppia- ' mente cara al principe e percbè d'une dei più illustri personaggi del suo casato, e percbè donatogli dall'augusta ducbessa d'Angoulême, sotto la cui dinastia il maresciallo aveva militato. Nè meno dolce è la memoria del principe Alessandro ď Hobenlobe, già ca- ' È noto eho il Nelson, preso P Onoife ai Franoesi, dell'albero maestro si compose la propria bara, che sempro dappoi voile portare con sè. iioiiico di Grativaraclino, poi voscovo di Sardica, morto iiel 1849 ill concctto di santo, per la sua grande pieta o por le iiumorose guarigioni operate ancora in vita e propalate dai medici piîi in-creduli, mentre cgli colla massima umiltà ccrcava di tenerle cekte. La stanza in istile moresco stà in armonia con tutto I'iu-sieme e specialniente col grazioso fanale a forma di stella, che pende dalle dorate stuccature del soffitto. Eifacciamoci ora sui nostri passi fino alla scala, per salire al compartimente del lato opposto. Quivi ci si présenta anzi tutto e ci colpisce la suntuosa galleria dei quadri, che a ragioue ha formate e forma cura pre-cipua della Sereiiissima Signora del luogo. Quella immensa varieta di oggetti tanto bene distribuiti e lumeggiati ugualmente da sette fiuestre; il soffitto a leggiadri disegiii, cui sovrasta lo stemma geii-tilizio dei Torriani; le cinque portiere che promettono iiitrodurci.a vedere nuove meraviglie; quelle sfoiido che fiaisce il quadro a guisa ď elegante scenario; tutto serve ad accrescere 1' effetto di un luogo cosi incantevole. Fra le tele di scuola veneziana, per non parlare dei Cara-vaggio, dei due Palma, dei Morone ed altri molti, dobbiamo par-ticolarmente notare il grandioso quadro che porta il nome del Tintoretto, rappresentaute 1' ingresso al palazzo ducale della Sere-nissima Morosina Morosini, moglie del Doge Marino Grimani. Esso merita la nostra attenzione si per lo studio postovi dal pittore nell' animare quella sceiia, di migliaia di persone, coi più smagiiaiiti colori e nello sfoggiare con istorica fedeltà coi piii ricchi panneggia-meuti; si perche a lato della dogaressa è la castellaiia di Duino, Ludovica Hoier, moglie di Raimondo VI della Torre, iiisieme colla bellissima sua sorella Chiara Orsa; persouaggi che nella storia di Duino occupano importantissimo posto. Questo solenne spettacolo, dato sulla piii bella piazza del mondo e al quale convennero am-miratori da tutte le parti ď Italia, offerse occasione all' artista non solo di ritrarre quella magnifica sala che ha per soffitto la vôlta del cielo, ma di aggiungervi un tratto del canal grande seminato di ricche galleggianti, che circondano il legno regale del Bucintoro. E poichè da. quaranť anni una simile festa nou s'era più veduta, se ne voile tramandare ai posteri la memoria colla tavolozza di lacopo Robusti e colla penna del cronista di corte, il quale descrisse la festa nei più minuti particolari. Tanto il quadro, quanto il manoscritto ' ricordano como una moraviglia sorpreudonte il Portico Argonmuico^ vascollo trionfale »il più stupeiido et il più bello eho si fosse veduto già mai;« autore ue fu Viiicenzo Scamozzi, o l'opéra sua coi nomi dei quaranta patrizii Veneziani che gliela commisero è riprodotta a parte iu un rame, clie puo vedersi sotto il quadro doscritto., Quella che prevale nella galleria è la scuola fiaminga ed olaudese, fra oui, per conoscerne il pregio, basta ricordare i uomi del Eembraudt, del Van-Platten, del Wouwermann, Everardo Vau-Aelst, Francesco Vaii-Mieris, Dirk Van-Borghem, Vau der Velde, Gilbert Heemskerk, Luca d'Olauda ed altri molti. Storicameiite importanti sono due ritratti di scuola ale-manna, rappresentanti Federico III, e Massimiliano I, dei quali r uno divenue per cessione dei Walsee proprietario di Duino, r altro entrava uella signoria délia contea di Gorizia ail' estinguersi di quei conti. In questa galleria continua la copiosissima raccolta di maio-licbe, porcellane e cristalli fatta dalla Principessa; molti portauo r arma Torriaua, altri quella degli Holaenlobe, ed uno quella délia Gouzaga, moglie di Ferdinande III, e madré per affetto di Eleonora Gonzaga sposata a Gian Filippo délia Torre. L' occhio è partico-larmento attratto dai vaghissimi gruppi di statuette in porcellana 0 da altri fini lavori distribuiti su mensolette di vetro veneziano, come pure dalle figure in rilievo dei fratelli délia Robbia. Aggiungiamo a tutto questo i cassettoni e le sedie ď antico intaglio, gli stipi intarsia,ti in avorio, i forzieri per le doti delle donzelle veneziane, i lampadarii di cristallo foggiati in tutte le guise, il superbo orologio ed altro antiche suppellettili di ottimo gusto, disposte cou si calcolata economia di spazio, da poterne facilmente ornare moite altre sale; ed auguriamo ai visitatori di queste opere artisticbe di poterie contemplare di notte, illuminate dalle innume-rabili facelle da cui sono intermezzate, perche la memoria ne rosti loro scolpita per luiighi anni. Due stanze da letto a cui dà accesso la galleria, meritano la nostra attenzione non solo per la loro ricchezza e il buon gusto ' Codice clella Marciana, di cui copia nell'arch. di Duino, Sez. Rai-mondo VI. Ha per titolo: Bescrizione delî'inçjresso nel Palaizo Ducale délia Serenissima Ilorosina Morosini, moglie del Ďoge Marino Grimani 1597, con la cerimonia délia Bosa ď oro benedetta, mandatale in dono dal Somino Pontefice. con cui soppe docorarlo il Sala meutovato, ma particolarmento pei nobili ed augusti ospiti clae hauno piîi volte albergati iu antichi 0 nuovi tempi. Segue quindi la sala estiva di rispetto délia famiglia, i cui divani e sedili bizzarramènte disposti, si přestáno ai piccoli crocchi, vuoi per il giuoco, vuoi per conversare o per leggere; ma se alcuno ama meglio la musica, ecco 1' arpa ed il cembalo che lo invitano uella parte più riposta presso i veroni. Vero ridotto di famiglia, dove coi presenti sembrauo conversare i parenti e gli amici lontani effigiati a pastello, ad olio, a matita, a fotograiia. Molto risalto danno le pareti di tinta oscura ai preziosi intagli di parecchie coruici, agli immensi vassoi veneziani di rame battuto e finamente istoriati, aile fresclie piante raccolte in soccliiolli antichi del me-desimo gusto e lavoro, ai candelabri e bracciali, agli specchi, agli stipi, aile stbffe peregrine e a tanti storici o curiosi oggetti quivi raccolti. Air entrare in questa stanza oguuno sembra pensare: qui si stà bene; ed uno vi stà bene davvero, quando abbia la fortuna ď essere ammesso ail' intimità di cosi nobile e cortese famiglia. L' artista non abbandonerà la stanza senza coutemplare partico-larmente quattro pastelli délia Rosalba, nei quali sono effigiati Francesco di Lorena con Maria Teresa ed altri membri delF augusta Casa imperiále. Ma che dire dell' annesso terrazzo, il quale, di baluardo contre i nemici, fu convertito iu uno dei più pacifici e deliziosi ritrovi che si possano immaginare! Sotto quei verdi, che a modo padiglione il ricoprono, stendesi in pensili aiuole tutto lungo le mura un olezzante giardino, contornato da gruppi di piante gra-ziosamente disposte; nel mezzo un ampio bacino, formate di belle conchiglie marine e di massi di finissime concrezioni calcari, ricrea la vista coi fiori più venusti che offrano le diverse regioni. Ai piedi dol terrazzo si stende la baia, trasportandoci quasi sotto il cielo di Napeli, quando, al tramonto del sole, la scena del mare ripete sull' onde il magnifico e sempre nuovo spettacolo del cielo, che a grado a grado con luci e tinte ognora cangianti, prima di fuoco, purpuree da poi e quindi ď oro e ď argento, termina nel bruno uniforme^ délia placida notte trapunta di stelle, e c' invita a solenni pensieri! Nelle sere deliziose ď estate, al sorvenire délia brezza notturna, l'occhio non pu6 staccarsi dalla striscia che rivor-bera la luna scintillante in mezzo all'onde increspate, e l'orecchio racuoglie avidamente i canti dei pescatori sparsi a centinaia pel golfo a rianimare il quaclro sileuzioso della notte. A questa sceua s' inspira^ono quei carmi soavi del Tramonto, dell' Ora di notte, della Brezza del mare, dell' Alga marina, della Stella cadente, della Perla, del Presenlimento, della Rimembrama, della Ch-oce, della Bisposta ad un amico, e taute altre geiitili creazioni poe-ticlie ' già pubblicate colla štampa; quivi è specialuaeiite, che la mesta camena del mare sfogava il suo cuore, trafitto dalP amara perdita del marito, con quel dolce e flebile canto dell' ULTIMO SUONO DELL'ARPA. 0 voce flebile Del mio strumento, Con ineffabile Duol ti rammento : Eidesto il palpito Del sovvenir. Di luna languiđa A' mesti rai ' Ei fu per 1' ultimo Cbe ti toccai, Sotto un ciel limpido In riva al mar. — 0 suona, suonami, (Ei disse allora); La notte è placida, Già tace l'ôra, Sol l'eco al fremito Risponderà. E r arpa Ei trassemi Là sul verone, Chiedendo supplice Quella canzone, Che più simpatica SCeudeagli al cor. E pronto e docile Al suo desio Dell' arpa il murmure Soave uscio, Quai meglio trarnelo Sapea la man. E già lievissima Si disperdea ' Versi di Teresa principessa Holicnlolio, Eoma, 1868. La Perla fu anche posta in musica da Ircmceseo Lisst e dall'avvocato torinese Sebastiana Molinv. «... w La nota tremula Siilla marea, Lieve bacianđola Col suo sospir... Quando nel fervido Dell' armonia La corda ruppcsi Dell' arpa mia, E in voce stridula Il suon troncô. Ella fu r ultima Melode espressa... Il morbo colselo La nette stessa... E con lui querula L'arpa ammutl. Oh ! irrevocabile Delia mia cetra Per sempře estintasi Toce nell' etra, Ma non mai tacita Dentro il pensier ! Cola concentrasi Tntto il passato, Clie in ogni palpito Del cuor piagato E in ogni fremito Rivive ancor ! Rispettiamo il doloro che è sacro; e iiitaato che l'oco del-r opposta rupe ripete le ultime note del ílebile metro, ritiriamoci nella stanza che segue. ^ Questa è la Biblioteca, la quale, col suo aspetto elegante ma serio, è.veramente fatta per raccogliere lo spirito. Nel mezzo quel-r ampio tavoliore con gran lucerna a riparo c' invita a sedervi a nostro beir agio, di giorno e di notte, a consultare il catalogo e le schede dell' opere clie produce ogni novella luce del giorno, a scorrere gli opuscoli, ad ammirare le grandiose fotografie di questo e di parecchi altri illustri castelli, a leggere i giornali nostrani c ď oltralpi. Due lati della stanza nascondono all' occhio cbe nol crederebbe, in alti e ben costrutti armadii da seimila volumi, divisi in sezioni secondo le svariate materie. Vengono prima le diverse letterature moderne ed antiche con pregiate e rare edizioni, quali le Bodoniane, il Dante illustrate dal Dore, la traduzione del Plu-tarco édita nel 1510, di cui una copia esiste a Lisbona o in poche altre bibliotccho privilegiate, le opero complete cli Virgilio impresse dall'Hoberger a Norimberga iiel 1492, gli scritti oratorii di Cicerone ordinati dal Miuuziano e štampati nel 1498. Seguono le se-zioni scientifiche di matematica, fisica, astronomia, medicina, storia e va dicendo. Ma quelle che iioii si facilmeute trovansi unite in biblioteca privata in tauta copia, sono le opere più scelte dei geografi dei varii tempi, quelle di statistica, di viaggi e di studii consimili. Ne potrà far meraviglia che la storia dei della Torre si trovi in sezione a parte, Cominciando dalla Genealogia Torriana del Flaccbio, venuta in fama più per il lusso della sua edizione, che per istorica verità e giù discendendo per quante opere furono scritte e štampate su quésto tema fecondo in tempi remeti e moderni. Dico štampate e scritie, perché i molti manoscritti inediti raccolti da lunga. età vanno ricordati particolarmente. Ma la storia dell'illustre Famigha vuol essere documeatata; e perô vi formano appendice i documenti dell' archivio collocato in altra parte, del cui otdinamento si resero benemeriti Raimondo VI della Torre fin dal secolo XVI e nel se-guente suo nipote Francesco Uldarico, non meno che i fratelH Raimondo IX e Giuseppe II al principio del secolo prosente, coa-diuvati dal dotto canonico di Cividale îïichele della Torre l DegH studii genealogici fatti dal conte Giuseppe sopra le crouache, le biografie e i documenti dell' archivio si conservano alcune tavole di molto pregio. Sotto la sua direzione fu cominciata dal napoletano Saverio Marotta una storia dei Torriani, che per la morte del conte non venne portata a compimento. Anche 1' archivio duinese ebbe le sue vicende. La parte che riguarda gli antichi signoři di Duino, molto di quello che s'attiene ai Walsee, loro successori, ed ai capitani imperiali anteriori agli Hofer, subi la sorte degli archivii di Gorizia, di Trieste e ď altre parti, che sotto Massimiliano I. per le vicende di guerra furono dovute salvarsi negli archivii di Vienna e di Graz. Un qualche compenso ne formano i regesti e le copie raccolte da quei due archivii, non meno che da quelU di Venczia e di Udine o presso i privati; molto potè e potrà ancora trarsi auche dagli archivii ' lisiste nell'archivio il carteggio avuto (lai Torriani di Duiuo col Placchio di Brusselles, con una seňe di confiitazioni di iiiianto egli, stipendiato a ciô, asseriva. ' Deirattuale riordinamento ebbe occasioue d'occuparsi anche P autore di qucste memorie, che, sostenuto dal largo dispendio della Principessa Hohen-lohe, potè anche rinvenire buon numero di documenti dispersi in passato per inciiria. di Trieste e Gorizia, dove- T asportazioiie si esegui assai irrego-larmente. La breve occupazioiie del castello di Dtiiiio, fatta dai Vene-ziaui iiel 1508, nou rimase seuza vaiitaggio per questo archivio, che di quel tempo conserva parecclii atti e diplomi riuniti in una sezione speciále. Col venire a Ddno degli Hofer e poi dei Torriaiii, comincia il nuovo archivio; ma sarebbe un anticipare la loro storia, se qui volessi imprendere F enumerazione di qnauto li riguarda. Dalle numerose citazioni che dovrô farne in sèguito, sarà facile formarsene un concetto. Nessuno degli illustri visitatori di questo castello abbandona la Biblioteca, seuza lasciare scritto il sue nome neirj.Zi)o dei fore-stierî, aggiuugeudovi spesso qualche bella seiiteuza od altre parole G versi che mauifestino la sua amicizia per la famiglia principesca 0 la sua ammirazioue per le cose vedute. Saliti alcuni gradini, ci troviamo in un elegante gabiuetto délia Principessa, che in breve spazio raccoglie altre memorie délia famiglia, e lavori délia moderna scuola veueziana, quale del Lipa-riui, stato già maestro di S. A., un bel quadro del Borsato, tanto pill pregevole per essere le sue opere divenute ormai rare, ritratti di Felice Schiavoni, parecclii begli scbizzi e studii délia Principessa medesima e moite altre cose ď arte che ci è impossibile noverare ad uua ad uua. Un' apertura a ribalta sul pavimento délia biblioteca cou-duce agli spaventosi solkrranei di cui tanto si occupa la tradiziojie. Ma è tempo di aprire i battenti délia Gran Sala dei Cavalier i. Il maguifîco aspetto ch'cssa offre, quando il sole, penetraudo attraverso le seriche cortine, tinge in roseo colore tutti gli oggetti, non è viuto che dalla brillante illumiuazioue notturua, compartita in beir ordiuc luiigo le pareti e diffusa ncl mezzo dagli antichi lampadarii in cristallo pendeuti dal soffitto. Su questo, raccolte da una corona ď alloro, il valente pittore fece spiccare iu finto mu-saico le armi dei Principi Hohenlohe secop.do il loro albero genea-logico, fin dovc esse si congiuiigono cou quelle dei délia Torre. E fu giusto pensiero, conciossiachè, montre dalle pareti peudouo le grandiose immagini Torriaue che ]i-oi contemplammo fia da principio, doveva in emblema ed iu iscorcio rappresentavsi 1' origine e la di-sceudeiiza anclfc dell' altro ceppo, oude uacque la fusioue delle due illustri famiglie. Perciô ai due lati estremi del soffitto si ripete la medesima idea in quei due cavalieri che vestiti délia pieua armatura^ đall'alto deirarcione spiegarío al veiito gli steiiclardi clelle due case. E poiclie i della Torre portano anche lo stemma e il nome degli Hofer, dovevano trovar posto nella sala eziaiidio le effigie di questi. Vi spicca specialmente quella di Mattia, iiou solo per 1' alta fama in cui venne, ma perche il suo ritratto eseguito dopo la sua morte è opera deir immortale pennello del Vau-Dyk. Sua figlia Clara fu anche più fortuuata: in rima ce ne tramaudè la memoria Cornelio Frangipane, il quale, quasi novello Petrarca, compose un intero canzo-niere per celebrarne le lodi; in tela ne ritrasse le sembianze il pittore di Carlo V e principe délia scuola veneziana, Tiziano Ve-cellio. Che il dipinto délia sala duinese sia una copia dal quadro di quel sommo maestro, tutto l'insieme dà motivo a dubitare; ma copia pregiata di altro ritratto è quella di sua sorella Ludovica, in cui di bel nuovo s' ammira la mano dell' ultima sua discendente, la Principessa ď Hohenlobe. Ambedue le sorelle vedemmo già rap-prescntate uel quadro stori co del Tintoretto. Lo sfondo della sala è formate d'un ampi.o camino di marmo noro, circondato dall' una e dall' altra parte ď armadii ď antico intaglio. Su quosti, fia candelabri di cristallo, stanno il busto di S. A. il Principe Egone ď Hohenlohe, marito della castellana, .e quelle di S. E. il conte Giovanni Battista della Torre, padre della medesima; quello eseguito in Roma in tersissimo marmo di Carrara dal già mento?ato scultore duinese Francesco Pezzicar, del cui valore ebbe nuovo saggio 1' esposizione mondiale di Filadeliia; scol-pito questo dal Bernardi a Veùezia nel 1840. Ma dov' è il busto di Colei che col suo genio risuscitava, si pu6 dir dalle ceneri, la magnificenza di questo castello? Speriamo che la sua modestia non ponga piii oltre impedimento a riparare a questa involontaria omissione. La storia degli eccelsi Principi ď Hohenlohe trova in quest'aula due ricordi di rilievo; l'uuo è il loro medagliere che accoglie le monete e medaglie ď oro e ď argento coniate sotto il lovo domiuio, e descritte uell' opora Archiv far Hohenlohische Gescliîèlite stampata in isplendida edizione in folio. Lo stipo stesso che porta ordinate cronologicamonto le monete in quattro compar-timenti, merita ď essere osservato per la sua eleganza e ricchezza, non meno che por i suoi emblemi. L' altro monumente è un gruppo collocate nel posto ď onore in mezzo alla sala, rappresontante la famiglia Hohenlohe a' piedi del Protettore e Patrono del suo principáte, l'Arcangelo S. Michele. Al ben inteso concepimeiito rispose la i^erfetta csecuzione, dovuta . ancli' essa al più volte lodato signor Pezzicar. L'attoggiamcuto devoto délia statua genuflessa accolta in ricco manto; la luce di paradise clie brilla dal volte deir angele vincitore del nemice infernale; il portamento di tutta la persona die, sicura de' suoi trionii, affida la sua protetta di non temere; la figura stessa di Lucifero che, fra i trattí délia sua sataiiica deformità, porta ancora le traccie dell' antiche meravigliose fattezze; il tutto unito in gruppo tanto simmetrico, dimostra quanto r artista abbia studiato di ritrarre quella perfezione ideale di che furono maestri gli antichi. Al medagliere degli Hobenlohe fa riscontro quelle del Pa-triarcbi d'Aquileia, pagina cbe ci rivela tante vicende non solo di quel principato ecclesiastico, ma specialmente dei Patriarchi Tor-riani, certo non ultimi nella serie di quei dominatori. Riscontro al gruppo del Pizzicar forma, come lavoro ď arte, un corale del 1438, che poggia sopra le ali distese ď un aquila dorata, antica forse quanto il corale. Le miniature finite di scuola toscana che adornano questo codice, lo pongono nella classe di quelli délia Laurenziana e délia Cattedrale Senese; cresce pregio al disegno ed alla scrittura la perfetta conservazione dei colori, e la splendidezza dell' oro che, con arte oggi perduta, vi folgoreggia come se fosse fattura di ieri. Altri capi d'arte ed imitazioni moderne di suçpellettili antiche scavate a Pompei, a Roma, nell' Etruria, formane ornamenti se-condarii dell' aula. Il prospetto ch' ella offre, da una parte, délia gran terre romana, dali' altra, dei ruderi délia rôcca duinate, i due più grandiosi e più vetusti monumenti del castello, meritava che in questo sacrario ď arti e di gloriose memorie, venissero con gelosa venerazione custodite anche le due pagine più antiche délia sua storia scolpite in marmo: la lapide sacra al divo Diocleziano e quella su cui per la prima volta è rammemorato il nome di Duino L'una vedesi fra due leoni di marmo sotto l'ampio camino délia sala; riposa 1' altra sopra un elegante uffusto di ferro dorato, messa in modo da poterla volgere e studiare da ogni parte. ' Vecli il cap. 10. 12, Le tradizioni Duinesi. Sediamo ora per alcuni istanti sui ricclii divaui o, se più vi piace, sulle anticlie cassepanche fregiate dell' armi Torriaue, per osservare anche una volta il complesso armonico di questa sala. I ritratti clie ci restauo ancora a ricordare, ci daiino argomento a continuare il filo interrotto délia storia duinese, rifacendoci fiiio ai tempi dei 2)rimitivi abitatori del castello. 11 popolo si piace di contare e talora di cantare la storia a suo modo. Per lui la narrazioue non ha .attraenza, se non si uiiisce il fantastico al meraviglioso ; egli ama le scene pietose od atroci, che gli riempiano 1' animo di compassione o di terrore. Dei nomi lion troppo si cura; meno del nesso degli avveiiiraeuti, e meiio ancora délia cronologia, affastellaudo 1' antico col nuovo, cio che va dopo cou cio che precede. È quel facile e scorrevole modo di raccontare, fecoudo di avveutare, che tramanda le leggende di bocca in bocca, di generazione iii generazioiie, specialmente nelle lunghe sere ď inverno, quando la vecchierella accanto al fuoco fa peiidere dal labbro facondo gli atteiiti nipoti. Ogni bocca ed ogni generazione vi aggiunge del suo, onde nascono le variazioni sul medesimo tema, che ' contiuuano siuchè il novellista od il roman-ziere ne sceveri quello che meglio s' attaglia al suo scopo, od in qualche caso piii fortunate ua poeta, le prenda ad argomento dello sue ballate, imprimendovi il suggello di stabile forma. Da queste mescolanze del vero col false, del probabile coll' im-possibile, iiacquero anche le tradizioni duinesi. Ad esse è nota la battaglia fra Romani ed Istri da noi narrata, la fuga di quelli uel porto di Sistiaiia, la nebbia che questi teneva celati e la loro finale sconfitta '. Di Attila conservano poco più che il nome ed il sito dov' egh avrebbe fatto dimora Taiito piii s'occupano di quel signore di Duino, presse il quale avrebbe trovato ricetto ospitale il Divino Poeta. I piíi dotti sanno dirci, che molti passi delle sue Cantiche qui ebbero origine. Dal pauroso spettacolo del vento boreale che combatte collo scirocco e sconvolge dali'imo le onde dell'Adria, ' Vedi pag. 42 e segg. = Vedi pag. 60, egli avebbe attinto quella superba finzioue dei peccatori carnali agitati da crudelissimi veuti: I' veniii in loco ď ogni luce muto Che muggliia come fa mar per tempesta, Se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, clie mai non resta, Mena gli spirti con la sna rapina; Voltando e percotendo gli molesta. E come gli stornei ne portan l'ali, , Nel freddo tempo a schiera larga e picna, Cosî quel fiato gli špiriti mali; Di qua, di là, di giù, di su gli mena: Nulla speranza gli conforta mai Non che di posa, ma di minor pena. Altre volte ossi sanuo che 1' Alighieri, assiso sopra la roccia a oui si diede il suo uome, stava le lunghe ore tacituriio e inedi-taboodo, col viso appoggiato alla mano, coH'occhio fiso suU'azzurro e trauquillo spcccbio dell' onde, e seguendo la direzioue dei lontani lidi dov' era la patria che 1' avea ripudiato, Godi, sclamava con amara ironia, Godi, Firenze, poi che sei si grande, Che per mare e per terra batti l'aie E per r inferno il nome tuo si spande. Da questo medesimo intreccio dalla favola colla storia fu indotto il pittore a ritrarci il valoroso e potente Pagano II délia Torre in atto di calpcstare coll' unghia ferrata del suo destrioro i suoi proprii figliuoli; e se 1'atteggiamento di quell'incognito cavaliere Torriano, che gli vieno appresso non ci dice di piii, subentra la tradizione a narrarci le sue prepotenze e i patti conchiusi col diavolo, per virtíi del quale cavalcando un giorno suli' onde del mare, venne fino all' Isonzo e," šalita a ritroso la corrente del fiume, ad un tratto spari nè ricomparve mai piíi. Non sarebbe abbastanza attraente la storia ď antico castello, se mancasse délia parte obbligata delle leggende. Una delle piii diffuse è quella délia Dama hianca o délia Donna di sasso che, esposta in varie guise, fu cantata da molti, mentro il masso esi-stente presso 1' antica ruina sul mare, e che c' illude colle sue sembianze di donna coperta di ampio, candido velo, venne ritratto più volte a matita e in colori Fra tutte le poesie che si haniio su questo argomento, piacemi trascrivere quella dell'attuale signora di Duino. LA DAMA BI&NCA. Anlica sloria narra cosi. Carrer. Dell'azzun-a marina alla sponda, AU' estrcmo clell' Adria sospiro, Ove P onda s'incontra con 1' onda Del Timavo fuggente nel mar, Sorge torvo ed altero uno scoglio Coronato d'antica raina, Quasi ancora, ç[aal desposta in soglio, Terra e cielo volesse sfidar. E sul dorso dell'arida rupe Tntto è fosco, scosceso ed informe; AJl'intorno s'aggiran le upùpe, Di caverna cercandovi un sen. Ma, quai Candida nube nel cielo. Bianco un sasso dal fondo si sta cca; Donna par, ricoverta d'un velo, Che abbracciata alla rôcca si tien. E il noccliiero clie a notte già bruna Passa sotto a quell'ombra furtivo, In sul remo \c forze raguna; Yoga, voga, divora il sentier, E non alza lo sguardo a quel lato. Ma la mano solleva alla fronte, Imprimcndovi il scguo sacrato, Affidandosi al trino poter. Cliè, a fantasma simile, sospesa Sulla volta del vano sporgcnte Già gli sembra quell'ombra, distesa Sovra il lotto del mare, piombar. Ivi un dî, come ancor lo ridice Di rucondito tempo il mistero, Voile un Sir la sua donna infelice Da quel picco nell'imo gittar.... Ma la donna dal petto afiannoso Volse al cielo acutissimo un grido... Ed il cielo, che udillo pietoso, Qnella donna in quel sasso impietri. ' II masso distingues! molto bene al lato destro della veduta di Duino premessa a queste memorie. Un bell' acquarello ne fece ultimamente il valente pennello del sig. Seeks di Bolzano. Chi si fosse quel Sire ferocc, Chi la donna del misero fato, Nemmen 1' eco lo dice in sua voce, Che con essa nel sasso ammuti. La leggenda continua a raccontare clie, quando s' avvicina la duodecima ora della notte, la meschina, fatta redi viva, si stacca dal masso, aleggiando lievemente iutorno al verone dell' aula che forma i due lati del castello. Tre volte apparisce e sparisce; poi penetrando invisibile per le cliiuse imposte, col lene fruscio delle gonue ci rende appeua avvertiti del suo lungo e vano aggirarsi per la stanza in cerca ď una culla: la culla, ove un tempo vagi va il parto diletto delle sue viscere. Sospirosa e piangente sul fare dell' alba ella si dilegua e, dal dolore nuovamente impietrita, immobile rimane sulla roccia. Altra leggenda è quella delle Dm sorelle, la quale per essere meno conosciuta, fu fortuna che venisse rivendicata dall' oblivione dalla medesima Principessa castellana di Duino; essa ha qualche somiglianza colla precedente, tuttavolta stimo di non ometterla: LE DUE SOREJLIxE. Dell'alta costa — al pie' giacenti, In nivea tinta, — quai per incanto, Quasi fantasmi — dal mar sporgenti, Vedi due massi — l'un I'altro accanto Sbattuti e rosi — dall'onde felle; Sono due scogli — e fur sorelle. Antica voce — narra, die a sera Ognor tornando, — due giovanette Lievi moveano — sulla riviera, Il mar fissando — mute c solette. Eran si bianche — eran si belle! Nè mai disgiuute; — eran sorelle. Qual fu la speme, — quale il desio Sempře deluso — che in loro ardea? Che avvinte insieme — su quel pendio All'orlo estremo — ahi, le traça? Noto al mar forse — ed aile stelle Eva il mistero — dello sorelle. Ma un di che furo — all'irta sponda, Sempre aspettando — chi non venia, Un nembo surse — e giù nell'onda ' Si voggono presso la cosla di Sistiana. Insk'in travolte — se le rapia! Giacquero immote — le poverelle Unite sempře, — perché sorelle. Eđ ora, quando — il firmamente Palliclo fassi — e il sol s'adima, Nel mar tuífandosi — gîà sonnolento, Delle dne rupi — sulPardua cima Brillan ceriielee — doppie fiamnielle; Sono gli špiriti — delle sorelle. Deposto il remo, — il pio noccliero, Con gli occM fisi — e ai lumi intcnti, Volge pietoso — il suo pensiero Alla memoria — delle innocenti, Pace pregando — allé sorelle; In vita e in morte — sempře gcmclle. Ma quai improvviso tumulto agita tutto il castello! Ecco apparir di loiitano, iiivolta fra densa nube di polvere, una luuga schiera di armati, che scôrta dalla vedotta, desta 1' allarme fra gli atterriti difoiisori. Da ogiii parte si accorre aile mura: iutaiito perb clie più calda forvo la miícliia, il tradimonto s' impadrouisce del ponte; c il vincitoro fattasi strada fra il saiigue e la strage, planta il suo vessillo in vetta alla torre. Il castellano, caduto vivo in sua balia, vien sostcnuto prigiouiero. Ma brove è il tripudio di quella feroce masuada: mentre il capitauo, circondato da' suoi scberani, s' abbandona fra colmi bic-chieri ad un' orgia selvaggia, un alto grido lo ricbiama spaventato al balcone, dondo vodo il suo prigioniero, fuggito al mare pel sot-terraneo, mandargli uii beffardo saluto, promettendogli aspra vendetta cbe fra pochi si compie crudelissima. È in quel sotterraiieo medesimo che si svolge una scena lagrimanda e pietosa. Neri tappeti vestono a gramaglia uua funerea cappella; in mezzo, fra la pallida luce dci cento doppieri, una morta fanciulla giace distesa sul cataletto. Una turba di guer-l'ieri, sparsi a gruppi intorno aile robuste colonne sosteuenti la vôlta, assiste sbigottita aile meste preci chc mormora a bassa voce il sacerdote; e più d'uno col dosso délia mano callosa asciuga furtive una lacrima, che suo malgrado gli spuuta sul ciglio. Finita la prece, piîi non si ode in mezzo a quel sepolcrale silenzio se non il singulto di uu uomo, il cui volto da' suoi compagiii non fu mai veduto scoperto. Delizia ed amore di tutti i festevoli ritrovi, dove passava I 5 sotto iiome e spoglie mentite, quell' uomo sconosciuto e misterioso era ad un tempo il terrors del Carso e delF Istria; e si narravano a bassa voce le aggressioni e le piraterie più atroci, ch' egli andava commetteudo per terra e per mare. Uii gioriio i suoi masuadieri, corseggiando fra Grado e Trieste, aveyauo senza conoscerla uccisa una nobile fanciulk, sorella della sua fidauzata. Questa, udita la uuova impazzi pel dolore. Pallida e straluuata, colla chioma di-sciolta, la donna s' aggira per le stanze di Duino, ed ora con flebile accento chiama la morta sorella, ora s' avventa furiosa contro le ancelle atterrite o spumando di rabbia, colla scarna mano e col-I'unghie acute si lacera a brani le vesti, si strappa a cioccbe i capelli. Quante volte 1' alba la sorprose poggiata al verone, immobile e fredda come il marmo del davanzale, colle pupille fisse sul mare! Quante volte, rifiutando ostinata ogni cibo e bevanda, sarebbesi precipitata nell' onde, se una mano crudelmente pietosa non l'avesse trattenuta. Alcune lune appresso uu assassino stava per essere condotto al supplizio. I giudici, iiicerti s' egli fosse veramente il corcato ma-snadiero, lo fecero passare sotto gli occbi della pazza. Lotario! sclamo l'infelicissiina donzella. No, Giovanni Sbogarl risponde egli; 0 la fancialla cade estinta a' suoi piedi '. Neppure le vôlte sotterranee del castello antico sono senza lacrimc. Seguata in fronte dal suggello della prossima morte, ma con angelico sorriso sul labbro, un' altra fanciulla sul fior degli anni si tiene accosciata sopra duro giaciglio. Stà presso di lei una fida compagna, clio fra mal compressi siughiozzi ne asciuga i sudori letali. Da cinque mesi quella poveretta soffre rassegiiata il martirio di si orrida tomba, dacchè il signoro del luogo, fattala rapire dai suoi scheraui, indariio tento colle più lusiugbiere promesse e colle più crude minaccie di renderla infedcle al suo fidanzato. Un tozzo di pane ammuftito e una vena ď acqua fangosa, che geme dalla roccia, furono il suo nutrimento; suo conforto una croce che le pende dal collo. Ma fuori del carcere aveva vegliato su lei la fida ancella; la quale venutane in cerca nel covo stesso del suo car' Nou feci che il compenJio d'un iji'olisso romanzo fraucese di Carlo Nodier che, trovato in Duiuo luogo opportuiio per la sua azione, particolar-mente pei suoi prctesi amplissimi sottorranui, vi accojiciô un avvenimento troppo moderno, infioraudolo delle più iuverisimili avventure. I couoscitori della let-teratura francese non hanuo bisoguo che io loro rammenti essere state il Nodier uno dei fondatori della souola romantica in Francia. Fra le sue novelle roman-tiche le più note sono IŽ Fittore di Salisburgo, Stella, Smarra o i demoni della notte, Teresa Auhert e i suoi raccouti e ballate. uefice, attraverso una fessura che dava luce alia tana, era riuscita a scoi^ririie le traccie. Sfidaiido i perigli di notte tempestosa, sopra schifo leggero, tanto s' adopera, che approda alio scoglio e su per lo punte s' inerpica sino alia fessura, la quale, allargata da lei con isforzi supremi, le dà accesso alla prigigiie. Di oho avrertito lo sposo, con improvviso assalto vola a far vendetta del tiranno e a liberare la prigioniera. Troppo tardi! Fra le braccia amorevoli deir ancella pochi istaiiti prima ell' era volata al ciolo. Spesso gli antri non men che le sale dell' antico castello furono visitati da spettri paurosi, alcuni, come 1' orahva di Banco, in'sembianto di larve che inottevauo terrore ai viventi; altri coi pugnali intrisi di sangue e colle vesti stracciate, onde apparivano le larghe ferite che gli avevano uccisi; altri vaganti in cerca dei tesori da essi nascosti; altri spintivi dall'amoro del loco natio, cho ancho morti non sapevano abbandonare. Pero i dinasti duinesi cercavano di cacciare queste ubbie fra le mense e i simposii, conditi da festovoli e schcrzosi racconti fram-mezzati dai suoni e dai canti. Se la spada e 1' usbergo e il san-guinoso ludo di Marte formavano la predilezione di questi signoři, non meno amate erano alla loro corte le arti cavalleresche e gentih; i trovatori e i menestrelli che venivano a rallegrare quei lieti con-vegni di dame e di cavalieri vi trovavano sempře ospitale ricetto. La venuta di Dante a Duino non sarebbe isolata; di altri poeti vi avrebbe ricordo, i quali coi Duinati erano stretti in amicizia. Fra i Duinati stessi vorrebbe alcuno annoverare ' quell' Ermanno, poeta amante dello scherzo e del riso, da cui 1' autore della Wiener-Meerfahrt ^ dice ď aver avuto il soggetto del suo giocoso racconto. Cosi di fatti egli si esprime nella lingua ď allora: Also hât verrihtet mích von Deioen hurgraf Herman. der nie schanđen mal gewan an schentlicher missetat cler sagte mir điz maere u. s. w. Che r argomento stesso del racconto, il quale in origine, collo débité varianti, muove da Atenec \ potesse particolarmente ' Se I'opinione sia fondata, esamineremo in altro luogo. - Ber Wiener Meerfahrt von den Ireudenleeren. Ediz. nuoviss. del Lanibel: Erz. abl. Schwanke. Lipsia 1872, pagr. 211. ^ Deiimosopb. 2, 5, dove Timeo di Tauromenio, storico Siciliano ascrive l'avveiitura agli Agrigontini. allottare un abitatore delle piaggie marine, si piio veder facilmeute; Sedeva un giorno in Vienna ď Austria una compagnia di amici sopra un terrazzo, dove i colmi boccali non facevano difetto. Venuta ]a sera, allorquando il generoso lir^uore aveva già riscaldati i cervelli, uno di loro propose una crociata per mare. Alia bella proposta tutti applaudirono e con gran premura fecero recare cibo e bevanda in abbondanza per la traversata. Fra canti e lieti ragionamenti era venuta la mezzanotte; e già tutti cređevano đ'essere montati sulla nave, che a gonfie vele portar li doveva in Palestina. Poi clie i fumi dei vini cominciarono a farli anche traballare sulle gambe, parve loro che il legno, agitato dai flutti e dai venti, stesse per naufragare, laonde con voti e calde preci si raccomandavauo a tutti i santi del cielo. E mentre atterriti si guardano intorno cercando salute, ecco cbe veggono uno dei loro compagni, piii degli altri disfatto, giacere sotto una panoa. Quello s'immaginano essere un pellegrino morto; a cagiono di lui essersi sollevata la fiera tempesta. In mare, in mare U feccatorel gridasi da ogni lato, e tosto, senza obe giovino proteste o preghiere, lo gittano dal balcone sulla via, dove per la caduta si fiacca le braccia e le gambe. Esultanti oltre modo per 1' insperata salvezza, i crociati danno mano ai biccbieri e schiamazzando e cioncando tatto il resto della notte, arrivano air alba. Qui i vicini, noiati di quollo scalporo, vengono in frotta a far loro rimproveri; essi di contro a narrare le avventure passate, la sofferta burrasca, la morte del pellegrino gittato a pasto dei pešci. Quando Dio voile, tornarono finalmente in se; intanto i parenti o gli amici accorrono in soccorso di quel misero precipitato dalla íine-stra, e coll' aiuto dei piíi assonnati si ricompone la pace col paga-mento ď una pena di cento libbre. Se non che, consultando le serie pagine della storia, aile pietose leggende del popelo ed aile scherzose invenzioni dei cantori e poeti è tempo omai di sostituire la nuda realtà dei fatti. Scarse ed incerte saranno le prime notizie ; di mano in mano la tela andrà allargandosi ; le persone e gli avvenimenti acquist'eranno contorni sempre piîi precisi; 1' orizzonte si farà ognora piii ampio; non sarà 23ÍÚ una storia solamente locale, ma s'intreccierà a quella delle provincie vicine, degli Stati maggiori; e in tutto abbraccierà un periodo di quasi ottocenť anni. L' ordine delle successioni nel dominio della signoria di Duino porta di ragionar anzitutto dei signoři di questo nome, che primi appariscono aver abitato il castello; la loro dominazion.e, durata intorno a tre secoli, cade nella seconda metá del medio evo ed è una fedele immagine del tempo agitato in ciii vissero. Nè più tranquilla, auzi piii fiera sara la dizioiie dei Walsee, che ab-braccia lo spazio di circa ottaiiť auni. A lore succedono i Serenissimi Duchi Austriaci, i quali maudano a Duiiio i loro capitani. Fra questi sommamente preclari si rendoEO gli Hofer, e ricco ď avvenimenti si mostrerà il secolo di Mattia, ultimo di quella illustre famiglia. Degne di ricordanza saranno le imprese dei Torriaui succeduti agli Hofer, e la loro storia offrira una serie ď uomini verameute iiisigiii onde si bella fama acqdstb non meno il castello che I'in-clito loro casato. Di essi e dei loro avi, risalendo fino al capostipite Alemanno, omessi gli altri rami che non hanno attinenza con Duino, dovremo narrare le varie vicende partitamenté. E quando questa nobile stirpe, che già da tre secoli risiede nel castello di Duino, declinerà all' occaso, sorgeranno dalle sue ceneri nuovi rampolli ď antica famiglia, che porta scritto nel suo blasone: Ex flammis clarior. ^ARTE Seconda. IDai primi a-Toitatori đ.el castello đ.i ^-u-ino fir3.o ai Torria-ni. Sfr- - A. I SIGNOŘI Dl PUINO 1139 -1399. ---- Del passato in son va rapida La mia niente, e cerca e interroga Una storia che già fu. Balzofiore. 1. I primi Diiinati. Signoři di Duino (Herren von Tybeiu) possono in senso lato appellarsi tutti i casati clie nel corao dei secoli tennero successi-yamente la signoria di Duino, dai più antichi baroni di questo nome, sino agli attuali proprietarii, i Conti della Torre e i Principi Hohenlohe. Ma fra tutti questi i primi che, a quanto sappiamo, vennero ad assidersi sulla rôcca duinose, detti anche i di Duino 0 Duinati (von Tybein o Tybeiner) sono coloro, ai quali tale deno-minazione spetta iu senso proprio. E di vero questo era 1' unico predicato ch' essi portassero, o tutť al più vi aggiungevano talora quelle di signoři di Primano, di Senosezza o ď altri castelli; il che, non avvertito, puô ingenerar confusione e farli prendere per altra stirpe. In breve, per essi Duino era uome di famiglia, come nou fu pei loro successori. Coi Duinati comincia per la regione duinese, comuuque questa si cbiamasse dapprima, una storia meno sconnessa; comincia la storia di Duino. Gli avvenimenti che precedettero la venuta dei Duinati allé spiaggie dell' Adriatico, furono da noi toccati qua e là, dove r occasione ce ue porse il destro. Commentammo anzitutto le narrazioni favolose che si ranuodano intovno al Timavo; indi- 16 cammo i primi abitatori d i questa classica terra da noi conosciuti ; vedemmo die, datisi i Veueti in potere del Romani, questi trovaroiio iiecessario difeudere i loro confiai dai popoli dell'Alpi Carniche e fondossi Aquileia; all'oriente del Timavo furono soggiogati gl'Istriani e il dominio romano dilatossi fino aile Oiulîe Duino fu quindi terra romana e la 9ua torre vuolsi fabbri-cata dalle legioui della repubblica. Da quelle venue probabilmente munito anche Pucinum uella Valle Catina. Dilatatosi il cristiauesimo, al formarsi del patriarcato ď Aquileia, sursero il santuario e il monastero di S. Giovanni sui ruderi di templi pagani. Poco prima della permanente divisione dell' Impero (395) Teodosio rafferma il suo dominio, scoufiggendo non loutano da Duino r esercito dell' usurpatore Eugeuio. Comincia dappoi 1' irru-zione dei barbari: passa e ripassa Alarico (402-408), passa il Fkgello di Dio (452), cbe forse si forma a Pucino ; passa Ođoacre che dà il crollo all' Impero occidentale (476); passa Tedorico, che vince Odoacre ail' Isonzo (489) a Verona, all' Adda o lo uccide a Ravenna, rimanendo signore dell' Italia fin oltre aile Giulie (493). Egli non distrugge, ma edifica e ristaura; edifica, come si crede, anche la rôcca di Monfalcone o ristaura il castello romano del territorio duinese. Al tempo di Giustiniano, Belisario e Narsete conquistano il paese (555), che va a formar parte doll' Impero Orientale sotto 1' esarcato di Ravenna. I Longobardi nel loro pas-saggio (568) per venire in Italia, lasciaiio anche nel territorio duinese le traccie delle loro devastazioni; Duino pero resta soggetto ai Bizantini, dopo che anche il Duca Evidino od Evino di Trento s' è ritirato, viuto dalla potenza dell' oro. Ma il confine del Timavo non sembra guardato con rigore dai lontani imperatori ď Oriente; ond'è che il duca Pommono tienc prigioniero nell'intime spiaggie del-r Adriatico il Patriarca Callisto E quando Astolfo, re dei Longobardi, pone fine ail' Esarcato (752), anche 1' agro di Duino cade in suo potere; nè vale ai Greci una breve rioccupazione a raffer-marne loro il possesso, perocchè bon presto anche Duino passa sotto la domiiiazioue di Carlo Magiio, che assicui'a da quella parte il confine dell'impero coll'istituzioue della marca del Friuli (790) e pone il fondamento alla dominazione dei Patriarchi. ' Di Giuîio Cesare rimase famoso il nome in pareccliie parti di queste rcgioui: basta ricordare Forum Iiilii (Cividale), la Vallis luUa, Itilium Oar-nicum, e rinscri/ioiie scolpita nello scoglio sulla via clie conduce inCarinzia: C. lîilius Caesar liane viam inviam rotahilem fecit. '' Vedi pag. 45. In questo frattempo un altro popolo comparisce nella storia, }\ quale fino dal 580 comincia ad a\er attineuza con Duino. Gli Slavi, abbandonate le loro sedi lungo il Danubio, s' erano iiiol-trati a ritroso della Drava e della Sava, dopo che i Longobardi crano partiti per 1' Italia. Occiipata la Carinzia e la Carniola, essi. progredirono sempre più innanzi; e quindi la Carsia, il Gori-ziaiio ed il Friuli furono da loro invasi con occupazione dove più dove mono fortunata. Anche a Duino 1' elemento primitive restô in gran parte assorbito da loro; i quali intanto per opera di S. Paolino Patriarca, 1' amico di Carlo Magno, s' erano convcrtiti al Gristi anesimo. Dopo lo sfasciamento doll' impero dei Carolingi, i paesi oriental! confinanti col ducato del Friuli tennero per Berengario, il quale, a malgrado dei disastri so£ferti nel 900 per 1' invasione degli Ungheri, col su o valore avrebbe potato rendere felici i suoi popoli, se non finiva assassinate (924). Al tempo ď Ugo di Pro-venza noi vedemmo noa solo arricchirsi i Patriarchi ed i Vescovi di Trieste di nuove donazioni, ma venire con lui in Italia parecchi baroni. Fummo quindi tentati di congetturare che fra questi si trovasse anche 1' eroe Duino, il quale da Ugo potrebbe ossere stato beneficato nel Friuli. Zuino ne ricorda il nome e la lapide da noi commentata indicherebbe il luogo della sua sepoltura. Da lui puô aver preso a chiamarsi tanto il castello o la torre di Zuino, quanto il casato dei signoři di Duino, ed essi, o Duino mcdesimo essere partiti dal Friuli, per trasportarsi in questa nuova sede, che pas-sava gradatamente sotte la dominazione dei Patriarchi d'Aquileia. Il castello di Valcatino, se pure da Attila fu rispettato, non è improbabile che venisse distrutto dagli Ungheri ; restava la torre romana, che non temeva ď assalti, ma che non era fatta per abi-tarvi. Nessun sito pertanto meglio si prestava ai Duinati per ista-bilirvi una nuova stanza ed un sicuro rifugio contro le incursioni barbariche, quanto lo scoglio inaccessibile su cui venue fondata la loro rôcca. A malgrado dei loro possedimenti a Duino e nel Friuli, la loro potenza puo essere stata per lungo tratto di tempo ristretta, onde si spiega che nella loro storia primitiva, già per se troppo incerta per mancanza di memorie, il nome dei Duinati chiaramente non comparisce. Ma pure havvi qua e là qualche indizio che ac-cenna alla vetustà della famiglia, come fra breve vedremmo. L' opinione che i Duinati provengano dal Friuli, è già stata espvessa da altro i uvesti gatore, il chiarissimo dottor Vincenzo loppi, che vernie alla sua đcđuzione per altra via. Egli parte cla una lettora scritta dal Bini ncl 1749 al marchese Pompeo Frangipane nella quale il dotto monsignor arciprete tocca di quell' Ausfrito di Beunîa che, aspiranđo šino al reame longobarđo, fu vinto a Verona, dove mori crudelmeiite acoiecato. Ausfrito si conta pel capostipite della casa di Eagogiia; da quella si diramarono, secondo il Bini, tante famiglie, ora estinte, di feudatarii che si trapiantarono in Osopo, Brauhno, Forgaria, Flagogna, Pinzano, Zegliacco, Socchieve, Susans ed altri luoghi; ne discendono pure i Toppo ed i Brazzacco, oltre il fecondo ramo dei Villalta, già inaridito, e che produsse i due casati di Caporiaco e di Castello \ Ora queste notizie con molto accorgimento sono messe in relazione dal dott. loppi con una sen-tenza arbitrale del 1313, che egli riporta ed illustra nell'Archeo-grafo Triestino ^ Nella lite insorta fra Eodolfo (II) di Duino e nipoti dair una e i Villalta dali'altra parte, dispongono gli arbitri, che i Duinati sieno veri amici ed affini dei Villalta e cosi i Villalta dei Duinati; che la tonuta di Zuino deva appartenere a questi ultimi in quell' estensione, in cui già la possedettero Federico di Caporiaco e Detalmo di Villalta; le aggiunte che Detalmo ei suoi figli avessero fatte per compera da altri che non fosse Federico di Caporiaco, sieno pagate dai Duinati. I beni di Caporiaco, della Carnia, di Tarcento e Ziviano e tutti gli altri su cui vcrteva ancora litigio, si assegnano ai Villalta. Da questo arbitrate il sig. loppi deduce eho dunque aile famiglie discendenti dallo stipite di Ragogna indicate dal Bini, devono aggiungersi anche i Duino, siccome quelli che vengono di-chiarati affinî dei Villalta. Soggiunge altresi che il gruppo di famiglie derivanti da quella di Ragogna portava l'insegna di una o più fascie azzurre 0 nere in fondo ď argento o vicevorsa : nuovo indizio che puô condurci a conoscere' i casati venuti da questo stipite. Anche av-vicinato alla lapide mortuaria scoperta presso Zuino, questo arbitrate serve ad avvalorare il supposto che Zuino appartenesse ai Duinati iino ab antico, e che per questa ragione venisse aggiudicato dagli arbitri ai signoři di Duino, laddove ai Caporiaco si aggiu-dicarono le antiche terre di quella famiglia. D' altro canto le mutue ' Estratta dalla collezione dei documeuti friulani dell' ab. Pirona e stampata in TJdine nel 1863. "-Ivi, pag. 22 e segg. Nuova serie, Vol. I, pag. 194. Essa porta la data del 1813, 14 maggio, Villanova. pretensioni đei Caporiaco sui beni đei Duinali, e đei Duinati su quelli clei Caporiaco, alludono esse pure alla pareutela clie cloveva intercedere fra le due famiglie. C incontriamo pertanto nella couclusione, che i Duinati possano essere venuti a Duino dal Friuli; ma ck' essi deriviao dal casato di Ragogna, non oserei aucora afferraare. II Bini puo aver avuto le sue ragioni per nou annoverarli fra i discendeuti di Au-sfrito di Reunia. E quautuuque nou si voglia negare clie i mari-taggi amavano stringers! fra membri délia medesima stirpe, affine di tener unita la casa e gli aviti possessi, certo è pero cbe nella commentata sentenza si parla non di consanguineità, ma soltanto di affinité^ la quale puô esser nata fra famiglie di stirpi affatto diverse. Il possesso di certi beni, come ad esempio di Porpeto, nel quale, come diremo in altro luogo, si ravvisa una certa promiscuità fra le due famiglie, puô esser nato per compere, per cessioni, per doti, le quali ammettevauo anche la conversioiie in terreni ed immobili. In breve, possono essor venute ad incontrarsi intorno ad un medesimo sito due stirpi differenti. Arma dei Signoři di Duino. Questa diversità scorgesi anche nelle loro armi; e sebbene un sicuro argomento per dirimere la questione non possa desu-mersi neppure da questa differenza, conviene pero notarla. L' im-presa dei Duinati è una fascia rotta ď argento in campo rosso; v' ha quindi più dissomigliaiiza che somiglianza con quella dei di-sceudeiiti dai Ragogna. L'intero stemma geiitilizio dei signoři di Duino trovasi descritto in un diploma del 1399, su oui dovremo ragionare più a lungo in altro luogo. Consiste in uno scudo antico incliuato di rosso, alla fascia rotta e spostata d'argeiito; sormou-tata da un elmo di torneo ď oro, posto in profilo e circondato di camaglio nero, foderato d'argento. Ha per cimiero un cappello pira-midale di nero, rivoltato e bottonato ď argento, come puo vedersi anche in alcune lapidi sepolcrali. Il cimiero di Ugone VI di Duino, siccome quello che è piuttosto personale e perciô mutabile, ha invece un semivolo spiegato di nero, spaccato di rosso, armeggiato dello scudo. Non si pub in fine lasciar giacere dimenticato nel suo se-polcro r eroe Duino, senza pensare ad una connessione genealogica fra lui e i Duino posteriori, la quale perciô escluderebbe la genealogica connessione coi Ragogna. Eispetto al tempo in cui i Duinati vennero a Duino, io mi contentai ď esprimere vagamente l'avviso, non cssere impossibile che 0 sotto r eroe (domnus) Duino stesso, nel decimo secolo, o più probabilmente sotto i suoi discendenti nell' undecimo avvenisse il tramutamento dal Frinli. Il sig. Delia Bona ' parla ď un luogo chiamato Dauniano, che i tre fratelli longobardi Erfo, Auto e Marco donarono al monastère di Sesto nol 762; questo luogo egli stima poter essere Duino; ma l'età remota e tutto il conteste danno motivo a dubitare délia sua opinioue. Nel Friuli hannovi Ziviano ed altri luoghi di ugual desinenza, che più facilmente s' accomodauo a Dauniano. Vogliono altri, fra cui 1' Almanacco di Fiume che i Pa-triarchi ď Aquiloia abbiano investiti i signoři di Duino dei feudi del Carso nel 11.39; sembrano quindi ammettere che da quel tempo dati la loro venuta a Duino; ma questa da un documento del medesimo anno, che dovremo esaminare, apparisce auteriore. Il dott. Kandler ' vi assegna 1' anno 1112, allorchè Engel-berto, usurpatore dell' Istria, fu vinto al Timavo dal Patriarca Ul-darico I. degli Eppenstein e da suo fratello Arrigo, duca di Carinzia. TJldarico ricostruiva la veneranda chiesa di S. Giovanni e la dotava con terre in loco qui Ortuwin dicitur; g stimando il Kandler che ' Strenna d-onologica, pag. 20. ' Annata 1859-60, negli Annali di Fiume. "Jstria,, passim, per i guasti recati dal marchese Eiigolberto ai dominii délia Chiesa aquileiese Uldarico ottenesso il Carso da Duino a Sesana sup-pone che i Duinati- sieuo venuti a Duino in questa congiuntura. Ma i Duinati potevano trqvarsi a Duino anche prima sotto gli Eppenstein, che ebbero la signoria del Goriziano fiuo al 1090 0 forse fino al 1122. E di vero in quest'ultimo anuo, iu cui segui la morte del mento vato Arrigo duca di Carinzia, troverebbesi ri-cordato fra 1 suci lasciti al cognato Ottocaro, marchese di Stiria, auche il nome di Duino. Ne sembra che qui deva scambiarsi Duino (Tybein) con Tiven o Tiffen della Carinzia, poichè ivi risiedeva fino dal 1096 il conte Valfrado di Treffen e Tiffen È vero che in sèguito Duino apparisce feudo aquileiese e come tale fu ricono-sciuto pill volte dai Duinati; tuttavolta dai documenti uon risulta chiaro se v' abbiano avuto diritti i soli Patriarchi, o meno ancora se i Patriarchi abbiano avuti questi diritti prima del 1112. Pero v'hanno anche altre ragioni per credere che a Duino si trovassero i signoři di quel nomo prima del tempo indicate dal Kandler. Appunto nel 1112 il Patriarca Udalrico già si lamenta che S. Giovanni sia soggetto a servitii laicale; e quantunque questi laici possano essere auche altri, vedremo perè con quanta perti-nacia i signoři di Duino pretesero costituirsi protettori ed avvocati di quella chiesa. Aggiungasi che alla donazione fatta dal Pčitriarca Uldarico al tempio di S. Giovanni nel 1121, assiste come testimonio un Wodesalchus, nome che vedremo ripetersi in questo secolo nella genealogia dei Duino; e se a loro appartiene, indica la reputazione in cui era ormai pervenuta la famiglia. Ma di grande importanza è inoltre la questione ch' ebbero i Duinati fino dal 11B9 con Trieste per i confini fra i due territorii, dalla quale dobbiamo dedurre che il loro possesso doveva essere di data piii antica. II compromesso avvenuto in quell' anno tocca delle contese che sursero fra il comune di Trieste e il signor Dieltamo di Duino per la vicende-vole violazione del territorio contermine; dichiara essersi lo due parti di comune consenso compromesse in Diotimaro o Dietmaro Vescovo triestino, ed aver quiiidi Ripaldo Procuratore del comune colla testimoniaiiza di dodici uomini probi definito il litigio e sta' Vedi pag. 48. ' Tangl, sngli Eppenstein, Archiv, fiir Kunde osterr. GescMchtsquellen. = Apografi antichi del comune di Trieste, 20 giiigno 1139. II docu-mento leggesi per disteso nella cosi detta EaccoZfa Coníí (Çonfini) pag. 4 e segg. biliti i coiifiui. È in questo medesimo atto che vioiio chiiirito, una parte délia chiesa di S. Giovanni essere posta sopra la terra .di S. Giusto, forse per mettere un freno ad altre usurpazioni dei signoři di Duiuo, di quel santuario fin dal principio straordina-riamente devoti. Ora il litigio e il componimento avvenuto iiel 1139 accennano ad una signoria non più bambina, ma già adulta; i dodici testimoni dovevauo certamente attestare corne stavano le cose per lo passato fra i due litiganti; le vicendevoli rappresaglie e il compromesso nel Vescovo indicano a quai potere sarebbero ormai giunti i Duinati in quel tempo. Questi sono gl' indizii cbe m'in-ducouo a credere che i signoři di Duino si trovassero cola prima del 1112. Ma col 1139 e col citato Dîeltamo o Detalmo, abbandonate le congetture, possiamo dire di essere giunti sul terreno délia storia, comunque nel secolo duodecimo le notizie dei Duinati sieno aucora assai scarse ed ancbe il compromesso indicato non si trovi che in copia. I nomi che s'incontrano in questa prima età dopo Detalmo, sono quelli ď un Vuldarico di Tivines (?) ministeriale, testimonio nel 1154 ad un mandate di procura; di un Volscalsco (I) di Duino^ nel 1158 e nel 1161; e di Stefano (I) di Duino^ testimonio in due sciitture del 1166 '. Questi due ultimi, seconde la genea-logia del Bini, sono fratelli e figli di Detalmo. Di .Stefano L si conoscono la moglie Adehnota e quattro figli: Conone, Volscalco (II), Arrigo (I) ed Vgone (Ij. Corne già Detalmo co' Triestini, cosi Adelmota nel 1188 ebbe litigio con Gislero abate di Moggio per beni donati a quella badia da Vei'nero di Carisacco, sui qnali essa accampava diritti. Nel medesimo anno essa ed il marito, a nome anche dei iigli, vejigono a transazione con Vittimaro abate di Be-ligna pel feudo délia villa di Mellareto; e 1'accordo resta dal Pa-triarca Goffredo confermato. Il nome di Volscalco, secondo fra i figli di Stefano, ripetesi alio spirare di questo secolo in una ma-numissione fatta dal conte Arrigo di Matrai, dove Volscalco com-parisce quai teste \ Sui primordii del mille dugento Volscalco è pure testimonio in un accordo fra il conte Engelberto III di Gorizia e il convento di Milstadt nella Carinzia % di cui Engelberto era ' Vedi fra gli altri il citato Delia Bona, Rodolfo Coronini, ITentamen chron. e la collezione del Bini. ^ ArcMvio Imperiále đi Vienna XVI Kal. Sept. 1197 (orig.) ® Ivi, 1201, 30 novembre Villaco (orig.) avvogaro, e nel 1238 giura con altri, in qualità di miuisteriale del Patriarca Bertoldo, la lega die questi stringeva col c onte Mainardo di Gorizia coiituo gli abitauti di Giustinopoli (Capo ď Istria) venuti in discordia col Patriarca per i tributi e per I'elezione del podesta. Un' iiltima volta comparisce Volscalco nel 1244 fra i testi-moni ď un' investitura concessa da Uldarico Vescovo di Trieste al conte Mainardo di Gorizia Nel 1252 Volscalco piii non viveva, come si apprende da un documento di quell'anno il quale inoltre ci fa sapere clie Volscalco ebbe uii iiglio per noine Blagrlno e dimo-stra che i Duinati, oltre la considerazione in cui stavano e presso il Patriarca, di cui Volscalco era ministeriale, e presso i conti Gori-ziani, avevauo già cominciato a preiider parte anche allé cose della Carinzia e delle provincie ď oltremouti. jVJeglio peró lo vedremo parlando dBi fratolli di Volscalco e segnatamente ď Ugone I, il quai nome, ercditario iiolla famiglia, accadde clie si portasse quasi sempro da quelli che sopra gli altri si segnalarono. D' ora innanzi i signoři di Duino si vedouc fregiati anclio del titolo di milites o di cavalieri Che se più tardi taluno dei Duinati viene chiamato conte, non è che un equivoco od un'inesattezza che trovasi e presso gli scrittori o in parecchi documenti, ma non mai nei diplomi. Fra i fratelh di Volscalco II, Arrigo L non trovasi piii mentovato; Conone o Corrado (Ghuno) occupa nel 1206 il primo luogo fra i testimoni in una dichiarazione del Vescovo Gualtiero di Gurk, che il conte Eugelberto di Gorizia ha donato parecchie terre alla sua chiesa e ritoriia in altri atti del 1223 Ugone I, quarto figlio di Stefano, dovcva parimonte essere ministeriale dei conti di Gorizia, dappoichè nel 1224 assiste ad una donazione fatta da loro a Sauta Maria ď Aquileia ° e sappiamo che in simili atti intervenivauo i ministeriali. Dai documenti addotti scorgcsi che sul principio i Duino furono ministeriali anche del Patriarca; ma siffatto legamo con quella corte non semhra essere stato per lungo tempo gradito ai Duinati, i quali, poco amanti di soggeziono o por lo più avversi al ' Ivi, 1288, 13 gennaio (oi-ig.) Yedi Notizblatt, hist. Classe der Wiener Akademie, VII; 282. ^ NotiM. c. s. Vil, 329, a. 1244, 3 dicombre. Mukawe (Mocco?). " Arch. Imp. di Vienna 1252, 21 dicembre (orig.), dove Ermamio conte ď Ortcmburgo si fa mallevadorc presso Filippo eletto Aroivescovo di Salisburgo per lina somma iiuitiiata da Biagrino del fit Volscalco di Duino. Arch, di Graz, Strassburgo nolla Carinzia, 1206... (copia). ^ Sommarii del jS'icololti comunicatinii gontihneiite dal dott. V. loppi. " Arch. not. di Udino. Patriarca dal quale, come indicammo, ricoiiobbero il feudo di Duîiio, si couteiitavauo di cio clie uoa potovaiio omettere, cioè di scguirlo in guerra e di prestargli il prescritto omaggio; ma venue il tempo in oui si sottrassero auche a questo. Esercitavauo pero i loro diritti d'iufeudare e subiufeudare; il perché iutorno ad essi veuue for-maudosi uua corte di fedeli e vassalli, la quale col procedere dell' età si fece sempre più ragguardevole. Alcuiii dei vassalli duiuati otteii-nero essi pure, oltre gli sproni, cospicuo cariche sotto i Duchi ď Austria, fra cui auclie il capitauato di Trieste, ch' era stato tenuto pel primo nel 1382 dal loro siguore, Ugone VI di Duino. Dei Duiuati furouo essi burgravii, capitaui, dazLarii nelle diverse loro citta e castelli; parecchi ufficiali (Dieuer) erauo occupati nelle giurisdizioni o ffariti dei Duino, ed in altri incarichi, specialmente a Fiume, che i Duiuati tenevano dai Vescovi di Pola. Fu questo feudo »di Scliiavonia« clie rese ancora più potente la famiglia; impei'ciocchè congiuiigendosi cogli altri tenimenti dei Duiuati, for-mava con essi un vasto territorio, munito di castelli, che dal Quar-uero stondevasi in semicercliio sino a Duino. Ma auche di Fiume ai tempi dei Duiuati le notizie sono tanto scarse, che appena qua e là ci è possibile trovarne qualche indicazione, ne v' ha iudizio sicuro del tempo in cui essi acquistaroiio quel feudo. Negli anni che precodettero il 1224 Ugone I. di Duino trovossi involto in uuove contese con Trieste per la solita cagione dei conflui, che si ripcte fin quasi a' nostri giorni. L' arbitrate del 1139 non servi a sopire i litigi; vi furouo rappresagUe, si sparse sangue; vennero fatti prigiouieri dalFuuae dall'altra parte. Final-mente nel 1223, portata la lite innanzi al Vescovo di Trieste, piacque allé due parti ricorrere al solito spedieute che suggeriva la condizione dei tempi e di rimettore la cosa a nuovi arbitri. Questi decisero spettare ad Ugone tutto ciô ch' egli e i smi mag-giori tenevano ah antiquis temporihus e sempro fin qui possedettero Neir una e uell' altra sentouza il confine si ravvisa ancora nou lungi dal porto di Sistiana. Il vedere stringersi un accordo fra i Triestiui e il solo Ugojie, benchè fossero vivi per lo meno gli altri due fratelli Vol' Codice Dipl. Istr. 1223, 6 novembre đa apografo antico triestino. Clie le parti sieno ricorse al Vescovo di Trieste jjcrchèvi sottostesse la baronia di Duino, corne avvisa il Kandler, abbisogiia ancora di prova: nella sentenza antecedente il Vcscovo fu scelto a giudice di comune consenso sopra terra di S. Giusto giaceva, per quel che sappiamo, soltanto una parte dalla chiesa di S. Giovanni, e per quella era naturale che vi entrasse anche il Vescovo triestino. scalco II e Couone, c' induce a credere che Ugone a Duiiio rap-preseiitasse più particolarmente la famiglia. Perô 1' ordine con cui souo indicati i fratelli, non permette di affermare ch' egli fosse il primogeuito. I beni talvolta sembrano essere stati divisi fra le diverse linee dei Duinati, ma con successione in famiglia; le donne jion ricevevano che la dote, potevano perô ereditare dalla madré. Ma Ugone I. anche in altre congiunture si vedo primeggiare. Amelrico di Rumberg facendo la vita del predone nella bassa Gia-pidia, già da gran tempo vessava gli abitantl di quella contrada con ogni genere di soperchierie o di rapine. Stretto d'assedio dalle ■genti del Patriarca Bertoldo e del conto di Gorizia, si arrende nel 1223, promettendo sommessione e risarcimento dei danni recati. Mallevadore delle sue promesse fu con Brisa di Ragogna, Ugone di Duino '. Dopo il 1224 Ugone L non è piii mentovato. 2. Rodoifo I. La storia dei signoři di Duino è un ritratto fedele dei torbidi tempi in cui vissero. Lo Stato dei Patriarchi da cui dipendevano i Duinati, conseguita la sua indipendenza, ebbe ail' esterno tanti nemici, quanti erano i dominii confinanti; nell' interno durô 'una lotta quasi continua. I comuni non pensavano che ad aumentare le loro franchigie, i baroni senza freno e senza disciplina, erano avvezzi a conoscere soltanto il diritto délia spada; fra i due una popolazione poco meno che schiava, in balia dei signoři. Tuttavolta anche fra i castellani v' ebbero parecchie famiglie che illustrarono grandemente la patria e che divennero sempře più stimate e potenti. La medesima indole riscontrasi nei signoři di Duino: se la ten-denza a renders! indipeiidenti spinse alcuni di loro ai ftitti piîi temerarii ed atroci, altri invece si resero chiari per imprese caval-leresche degne di molto encomio; sugli uni e sugli altri influi la vicina Gorizia, di cui i Duino furono per lungo tempo lancie spezzate: la loro politica è quella dei Goriziani, dove souo gli uni, si trovano gli altri, iinchè, portati sempre più in alto, cell'unirsi air Austria, i Duinati si liberarono dalla dipendenza non meno del Patriarca che di Gorizia e salirono ail' apice délia loro grandezza. Questa è in breve la storia, che discendiamo a narrare. ' Manzano, Annali del Friidi a. 1223, clal Nicoletti, Vita del Vatr, Bertoldo, Parecchi iiidizii, ma non più clae inclizii, m' inducono ad ammetterë col Biui, che iiglio d'Ugono 1. di Duino fosse Bodolfo I. Neir anno e giorno medesimo 21 dicembre 1252, in cui' Ermanno ď Ortemburgo faceva sicurtà per Biagrino di Duino costituivansi mallevadori di Rodolfo I, forse suo cugino, i due potent! cavalieri Rodolfo e Colone di - Eas della Carinzia, benchè r anno appresso fossero extra gratiam domini nostri Filippo di Salisburgo cinque giorni appresso ' Rodolfo stesso con Uldarico ed Ugone di Reifemberga, vassalli di Gorizia, e Schwarzmann di Cormono prometteva cou giui-amento al medesimo Arcivescovo Filippo, di liberaro pel mercordi delle ceneri i beni della chiesa di Salisburgo, i quali erano stati impegnati ad Arrigo di Scherfenberg per quattrocento marche; conformava il documento anche il conte di Gorizia. Con Biagrino era dunque implicate anche. Rodolfo I. nelle cose non solo di Gorizia, ma e di Salisburgo e della Carinzia. Non è quindi impjobabile che i Duino militassero per Mainardo di Gorizia, quando questi decise di porre impedimento ai disegui di Filippo, iiglio del duca Bernardo di Carinzia. Eletto nel 1246 Arcivescovo di Salisburgo, non otteime l'approvazione di Roma, come quegli che, poco chiamato a portare uiia mitra, aveva dila-pidati i suoi beni in una vita di lusso e di piaceri. Durante, la vacanza del Ducato austriaco, Filippo, profittando dell' occasione aveva cercato tirare a sè una parte della Stiria. A questo decise ď opporsi Mainardo di Gorizia; il Salisburgo venue occupato dalle sue genti; i feudi di quella chiesa si distribuirono ai laici; e quan-tunque il conte Alberto del Tirolo caduto prigione, fosse costretto a farsi riscattare da Mainardo di Gorizia che diede in ostaggio i proprii figli, pure per qualche anno i Goriziani conservarono il possesso dei luoghi occupati. ■ Ma le aderenze di Rodolfo I. coi Goriziani risaltauo anche megho nella questione ch' ebbe Mainardo III con Gebardo conté di Hirschberg per la divisione dell' 5redità del mentovato Alberto IV del Tirolo. Questi aveva lasciate dietro di sè due figlie, Funa ma-ritata in Gebardo, 1' altra in Mainardo; quindi surse la contesa sull' eredità; e tanto nella pace quaiito nella divisione seguita inter' Vedi pag. 137. ^ Arch. Imp. 1262, 21 dicembre, Gmlinđ (orig.) ' Ivi, 1252, 26 dicembre (orig.) Fra i Duinati e qnelli đi Eeifemborga vi avevano buone relazioni: nel 1307 interviene Rodolfo II di Duino quai primo arbitre in una grave contesa fra Uldarico di Reifemberga ed Arrigo di Graland, tirolese, vassallo del duca di Carinzia. — Ivi 1307, 31 marzo Gorizia (orig.) venue Rođolfo di Duino. L'atto đivisorio in cui è testimonio Rodolfo, venue suggellato dal Vescovo di Frisinga e dal coûte Gebardo '. Se non che la comuuanza ď interessi era di tempo piii autico, poiche il modo di peusare dei Duinati guari non differiva da qiiello dei couti Goriziani. E noto con quanta ostinazioue e fortuna questi ultimi cercarouo appropriarsi coll' avvogheria auche il capitauato della Chiesa ď Aquileia, dichiarandosi quasi protot-tori nati della medesima. Nè aile vessazioni ed ai fatti atroci, com-messi da siffatti protettori e dai loro adereuti, poterono servire di compense i servigi reali, prestati talora in difficili cougiuuture, "e le ricche donazioui largite per rimedio dell' anima a chiese e mouasteri. Non dissiraile è la politica dei Duinati, per cio che riguarda il protettorato di S. Giovanni al Timavo. Da princip io sembrauo aver divise le loro pretensioui coi couti goriziani, dai quali, come dicommo, il Patriarca Uldarico ricupero in Duino alcuni beni donati da lui a quel tempio. Nou addiceudosi ai mouaci esercitarvi i diritti 'baronali, i Duinati avevano un buon pretesto per venir loro in soccorso, quantunque il Patriarca cercasse ogui via di liberare la chiesa dáli' ingerenza dei laici. Molto offesl dovettero restare i Duiuati, allorchè uel 1243 il Patriarca Bertoldo rinnovava agli abati di Beligua i privilogi di superiorità sopra S. Giovauui, accor-dati loro dai suoi autecessori ^ Che se per allora Rodolfo di Duino dovette portarsi in pace quella decisione, il couflitto divenue tanto piii aspro in sèguito e servi ad avvalorare la credenza del popolo, che dalla violenta occupazioue dei beni di S. Giovanni sia derivata la subitanea estinzione ď una famiglia cosi poteute, quauď era appena arrivata al fastigio della sua grandezza. Non erauo trascorsi tre anai, che 1' abate Vecellone di Beligua protestava solennemente contro gh usurpatori dei diritti della badia; e quelli che uominatamente egli denunciava, erauo i signoři di Duino, per essersi usurpata 1' avvogheria sopra i possessi di S. Giovanni del Carso- ^ Nel 1252 sombra che Rodolfo I. accampasse pretensioui anche su terre della badia di Rosazzo. Gi6 nou ostaňte il buon accordo non fa turbato e nel 1256 avvenue una nuova investi' Arch. Imp. 1254, 10 novembre, Meran (orig.) ' Arch, cli Duino, III Kal. Nov. 1243, Aquileia (copia). ^ Museo di Udine, EaccoUa BiancU 1246, 7 febbraio Aquileia, dal-I'Aroh. capitoiare. tura del Patriarca Gregorio di Montelongo ai Duinati, i quali riconobbero di teiiere dalla Chiesa ď Aquileia i castelli di Duino, di Primano ' e forse di Soiiosezza ^ Ma nuove qiiestioiii ogni tratto ripullulavaiio ; già da luiiga pezza le depredazioni di Rodolfo reiidevano mal sicure le vie; am-monito, aveva risposto con ingiurie ed offese al Patriarca ed a' suoi ufiiciali. Finalmente, profittaudo di sicura occasioiie, Rodolfo pose le mani addosso al nipote medosimo dol Patriarca e lo fece sue prigioniero. Era tempo di venire al castigo; Gregorio, avviato alla volta delF Istria, dove lo chiamava la disobbedienza di quei comuni, fece alto colla sua gente innanzi alla rôcca di Duino, poneudo quivi il suo accampamento. Vedendo quell' apparato di forze, Rodolfo, anzi che opporre una pericolosa resistenza, stimô piii prudente venire alla resa. Presentatosi a Gregorio, promise con giuramento di assog-gettarsi al suo signore e di eseguire quant' egli avrebbe stabilito ^ Che la fermata dol Montelongo sotto Duino sia durata qualche giorno, possiamo dedurre dal vederlo qui occupato anche delle cose deir Istria, ricevendo ambasciate e messaggi di quel comuni Se le promesse di Rodolfo sieno state sincere non sappiamo; ci tenta perô a dubitarne l'intrinsichezza coi Goriziani e la cougiuntura favorevole che gli offrivano le contese di questi con Gregorio, di trar vendetta dell' umiliazione sofferta. Percio non oseremmo affer-mare che egli se ne stesse in disparte, allorchè il conte Alberto di Gorizia, assalito di notte il Patriarca, lo condusse con gravissimo insulto a Gorizia; o quando, andato a vuoto un nuovo assalto, i suoi aderenti uccisero Alberto di Colle, Vescovo di Concordia e Vicedomino del Montelongo. Troppo scarsi sono fia qui i documenti dei Duinati; e benchè i nomi che incontriamo nella seconda meta del secolo decimoterzo sieno molti, riesce impossibile, non che darne sicure notizie, comporne una genealogia continuata. Che sullo stemma del Bini non sia da fare assegnamento, raccogliamo e dalla sua incertezza in generale e dalle sue lacune e dai manifesti errori deir ultima parte. Per non costruir oggi un castello che dovessimo demolire dimani, contentiamoci di addurre sempHcemente questi ' Arch. cap. di Udine, 1256, 12 giugno iol. I, doc. dal 1200 al 1342 in copia. ' Lucifer, pag. 413. ^ Mnseo di Udine, BaccoUa Bianchi, 1257, 8 niarzo, in ccostris ante Duinum (copia). " Ivi. nomí Uli đopo 1' altro, aggiungeiiđovi le poche notizie che iiitonio ai medesimi abbiamo potuto raccogliere. Nel 1249 Uldarico di Tevino, se pure è uu Duinate, entra corne testimonio in un atto dell'imperatore Federico II, cbe con-ferma ai ministeriali dolla Stiria i castelli del duca Ottocaro '. Ad uu compromesso fra 1' eletto Patriarca Gregorio e il conte di Gorizia intervieiie Stefano II di Duino Trovansi uominati dal conte Manzaiio un Ougliehno ed JJlvino di Duino; quest' ultimo investe ď un feudo Ottone di Yipacco Vicardo è rammentato nel 1301 dai sommarii del Nicoletti, come fratello di Rodolfo (I) ; ma il Bini lo pone nel 1314 fra i íigli di Ugone, cbe non saprei se fosse il primo o il secondo di questo nome. Più recenti sono Vgone II, Federico e forse uu Arrigo II, dei quali avremo a par-lare piti distesamente nel prossimo capitolo, Volfango, qualora non sia stato confuso con un Yolňngo, burgravio dei Duinati a Duino, potrebbe cssere il padre di Nassinguerra; altrove perb il Nassin-guerra vieu fatto iiglio di Arrigo (II), il che per quello che no diremo, mi sombra improbabile, quando Arrigo non fosse stato sposato duo volte \ Ennanno od Arminio, di cui si rammenta un iiglio GiuUno, potrebbe essere quollo che ha dato F argomento al poemetto délia Wiener 31eerfalirt ma chiamandosi anch'egli come un Arrigo di questo tempo Burgravio di Dewin, ci lascia incerti se appartenga al castello delF Adriatico od a quello délia Misnia. Moite cose importanti si possono divinare da queste brevi indicazioni: ma se i documenti in geyerale poco ci dicono già per sè stcssi e, benchè ingombrati talvolta ď interminabili formole nota-rili, ci costringono a leggere il rimanente fra le lince, tanto più ci sforzano ad aguzzaro l'ingeguo, quando sono si scarsi. Da questi siamo indotti a tonere che nel secolo degli ultimi Hohenstaufeu, di Ottocaro di Bocmia, di Rodolfo ď Absburgo, i Duino non solo sieno stati a contatto cou questi principi, ma li abbiamo seguiti iielle loro imprese e nei loro Stati; si circondano di vassalli, ten-go uo in pregio lo arti cavalleresche; ma restano talmente in ombra, che non è possibile proseguirne le traccie. Due soli nomi emergono ' Arch. prov. di Graz, 1249, 20 aprile Cormons (copia). ' Arcli. Imp. l'25'>, 12 maggio, Cividalc (orig.) ' Annali del FriuU, a. 1287. < Vedi Manzano, op. cit. a. 1313 dove è detto che Nassinglierrafiglio ď Enrico di Buino rinnova col Vescovo Kodolfo di Trieste un'investitura a Michele Ranfo ed a Gregorio Basilic. ^ Vedi pag. 123. fra loro e a qnosti dobbiamo toiiorci, por giuđi&arc aiiclie degli altri: l'uuo è Ugouo II, V altro è forse il mentovato Arrigo II, i quali por 1' età si direbbero figli o uipoti ambidue di Rodolfo I. 3. Ugone II ed Arrigo II. Siamo alla caduta degli Hohoiistaufen. Alla sede d'Aquileia era veirato il belligero Gregorio di Montolongo, dal quale comincia iiel Friuli il predomiiiio dei Guelfi, sostouuti dappoi dai Patriarchi Torriani. Il principato si rende sempre piîi iiidipendente dall'Im-pero, ma glieue mauca altresi 1' appoggio. Grandi lotte ebbe Gregorio coi coiiti di Gorizia, i quali, appeua conchiuso uii convegno col Patriarca rispctto ai due castelli di Lucinico e Cormons, vero pomo délia discordia, erauo poscia per iiuove vicendevoli iiicol-pazioni tornati aile violenze, finite coll' ignominiosa cattura del Patriarca. Di questa favorevole occasione per introraottorsi nell' iiisorto litigio profittô siiianco Ottocaro II Rc di Boemia, il quale cercava iii Italia uu appoggio coutro ]' Imporo. Gliejio porgeva il pretesto r esser egli, come principe dell' Austria, vassallo del Patriarca pel feudo di Pordenone, e sotto specie di protezione attese a costituirsi arbitre negli affari del patriarcato. Gregorio ricupero la sua libertà, ma 1' anno appresso rimaneva assassinate il Vescovo Alberto suo Vicedomino. In questo frattenipo i signoři di Duino si veggeno entrare non solo nelle cose dol Goriziauo ma in quelle eziandio délia Carinzia e della Stiria; di Rodolfo I, di Biagrino e di Uldarico s' è già parlato '. Ugono II, corne uno dei grandi ministerial! della corte di Gorizia, si fece mallevadore con altri cavalieri, che il conte Mainardo IV starebbe alla sojitonza ai'bitrale da pronunciarsi fra lui e il Patriarca assiste 1' anno appresso alla conveuzione fra il Patriarca e il conte Alberto II e viene eletto fra gli arbitri del 1271 nelle contese clie si continuarono fra Mainardo od Alberto di Gorizia ed il capitolo ď Aquileia dopo la morte di Gregorio di Monteloiigo \ I Vcđi la l'ag. prcceclento. Arch. Imp. 1265, 5 giugno, apucl villain ilo Cormono iiixta forum, (orig.) lvi, 1266, 14 fehbraio, apud civitatem in palatio patriarchali (orig.) lvi, 1271, 2 aprile, ante ecclesiam S. Marie de Medea (orig.) Havvi prima, nel 1269, un altro concordio, dove Ugone è testimonio. a La questioiio pel ćastello đi Cormons, come pure per Gemona, rinuovossi quando il Patriarca Raimoudo della Torre, successe a Gregorio, dopo oltre quattr' anni die la sede era rimasta vacante. Raimondo, desiderando la pace, cerco da pi'incipio sopire le diÉfe-renze coi Goriziaui. Nei ripetuti couvegni di Gividale Mberto di Gorizia è accompagnato da Ugone, ch' entra fra i mallevadori dei patti da conchiudersi Ma soltanto uell' anno seguente 1275 si puo venire ad uu compromesso I In questo si deplorano anzitutto le guerre, le stragi, gl' incendii, i saccheggi avvenuti per la discordia fra il Patriarca, il conte Alberto di Gorizia e le città di Capodi-stria e di Pirano. A togliere i dissensi, il conte Alberto promette consegnare il castello di Cormons ai nobili signoři Monfiorito di Pola ed Ugone di Duiuo e rimane stabilito che questi si alterne-ranno mensualmente nella custodia delle due torri poste a difesa del castello; le loro genti saranno pagate dalle due parti litiganti. Promette quindi il conte Alberto di presentarsi in giudizio a Cam-poformio innanzi al Patriarca per sè, per i liberi, vassalli e mini-steriali del Friuli, e di rispondore ď ogni diritto che il Patriarca od alcuno de' suoi soggetti possa vaatare sul detto castello ; ma sara libero a ciascuna delle due parti appellarsi dalla sentenza, quando se ne sentisse gravata. Ugone di Duiuo e il Monfiorito giurano sui santi Vangeli di custodire fedelmente il castello di Cormons, finchè sia fatta piena giustizia, e di consegnarlo soltanto a colui che verra giudicato avervi diritto. Concorrono alia promessa anche i ministerial! dell' una e dell' altra parte e i rappresentanti di Capodistria, che assisteranno Monfiorito di Pola ed Ugone di Duino contro il Patriarca ed il conte di Gorizia e contro chiunque ardisse molestarli nell' ufficio assunto di custodire la rôcca fino alla decisione della lite. — Sul fatto di Gemona il Patriarca elegge ad arbitre per la sua parte il milanese Rainerio di Pirovano suo cappellano, e il conte Alberto il signor Odorico di Reifemberga, con piena podesta di portar sentenza sulla commutazione del detto luogo, asseguaudo uu giusto compenso al conte Alberto. — II Patriarca consegna a Monfiorito ed Ugone la sentenza pronunciata per lo passato dal duca di Carinzia, la quale, appena decisa la controversia di Cormons, dovrà irrevocabilmente essere distrutta. — Rispetto alia cattura del defunto Patriarca Gregorio ed allé ingiurie ' „Istria", atto del 1274, 5 agosto, Gividale; Manzauo, Annali del Friuli, anno suddetto. ' Arch. Imp. 1275, quarto die exeunte februarii, Gividale (orig.) 18 tecategli dal conte đi Gorizia, dalla città di Capodistria e daî loro coadiutori e fautori, e per converso sulle offese e danni portati dal Patriarca al coûte di Gorizia èd a' suoi aderenti, il Patriarca elegge ad arbitro Goffredo délia Torre, suo marchese uell' Istria, e il conte vi delega il signor Arrigo di Pisino. Porrà il Patriarca ogni studio e darà opera efficace per ottenere dalla S. Sede che il conte di Gorizia ed i suoi seguaci vengano liberati dal vincolo deir incorsa scomuuica; le' cose tolte durante la tregua dovranno restituirsi; i prigionieri riinettersi in libertà; per V esecuzioiie di cio il Patriarca elegge Nicolô di Butrio pel Friuli e Nassinguerra di Pola per l'Istria; il conte v' incarica nel Friuli Alberto di Gifin-stan (sic), ueir Istria Arrigo di Pisino. Affine di adempiere piena-meute il trattato, si aggiunge in fine il mandato di Capodistria a' suoi procurator!, del 12 febbraio di quell' anno, confermato dal marchese dell'Istria, il mentovato Goffredo della Torre. Nel 1277 usci finalmente la sentenza, clie aggiudicava Cornions ai conti di Gorizia; ma non per questo cessavano le questioni che si estendevano anche a parecchi altri luoghi controversi. Quindi è che Arrigo di Pisino ed Ugone di Duino a nome del conte Alberto di Gorizia vennero a nuove trattatiye coi delegati del Patriarca; e la pace almeno per alloxa si concludeva, accordando le parti che sia ď Aquileia la piena giurisdizione dal ponte di pietra tra Monfalcone e S. Giovanni fino all' Isonzo e da questo fino al mare; abbia invece il conte il tanto disputato castello di Cormons con altri luoghi a settentrionc '. Il Patriarca Raimondo aveva ac-cordato 1' assenso di distruggere, secondo il compromesso del 1275, la sentenza antecedente pronunziata dal duca Uldarico di Carinzia ; 'perciô Ugone di Duino col mezzo di Teodorico di Mimihano ordi-nava ai fratelli Glizesio, Nassinguerra e Sergio di Pola di conse^ gnare al messo del Patriarca la detta sejitenza, già depositata in mano di Ugone e del defunto Monfiovito di Pbla ^ -Dai documenti arrecati è dunque agevole il comprendere quanta parte prendesse Ugone in tutti questi litigi e il credito ch' era andato acquistando. Intanto i Veneziani, che già sotto il Montelongo avevano soffiato nel fuoco, eccitando l'Istria alla rivolta, mettevano colà a pericolo non meno il dominio dei Patriarchi che quello dei conti Goriziani. L'atteggiamento della Repûbblica, ' Manzano, Annali del Friuli, a. 1277. Arch. Imp. 1281, 26 maržo, apud civitatem Austriae in domo fra-trnm minorum (orig.) meglio che le trattative passate e le paci conchiuse, servi, almeuo nel primo tempo, a ravviciiiare gli animi đei coiitendenti. Ma la guerra commessa al male fido alleato Alberto II di Gorizia, intanto che il Patriarca era occupato in quella di Lombardia, conducevasi con lauguore e coa vantaggio dei Veneziatii. la quel montre Ugoue di Duino, non dissimile da Rodolfo II, infestava le vie, conside-randosi dai signoři di Duino la strada fra Monfalcone e il confine di Trieste come loro proprietà; i mercanti erano quindi obbligati a fare sosta a Duino, ď onde non partivano senza pagare gravis-sime taglie e gabelle. Molti e gravi erano stati i lamenti del Patriarca e contre i Goriziani e contro i Duinati; con tutto ciô, incalzando la guerra, convenue venire ad accordi coi conti di Gorizia e définir la questione anche con Duino, per assicurare al commercio una via di tanta importanza, al principe le non meno importanti gabelle e pedaggi, alla spedizione dell' Istria una diretta comunicazione col Friuli. Patriarca e Duinati di comune consenso si comprorùisero in Gerardo da Camino ed in Mainardo di Gorizia; la sentenza fu favorevole al primo, riconoscendo i suoi diritti su quella strada ed intimando ai Duino di lasciare in pace i pas-seggieri Ripresa la guerra dell'Istria cou più fervore, presse Monfalcone fu fatta la splendida rassegna dell' ingente esercito alleato raccolto da ogni parte; comparvero là col loro vessillo le genti di Guglielmo ed Ugone II di Duino; e tosto fu mosso il campo, con prospéra sorte, a liberare Trieste dal duro assedio dei Veneziani Ma tornato Eaimondo in Lombardia, ecco congiurarsi di nuovo a' suoi danni i conti di Gorizia secondati dai signoři di Duino. Ugone serviva di testimonio alla promessa del conte Giovanni di Veglia, di venire in aiuto ad Alberto di Gorizia nella sua impresa deir Istria e del Friuli impresa che consistette nell' assalire le genti del Patriarca e nel trarre a sè le terre istriane ď Albona, Fianona e Pinguente. Simili violenze rinnovaronsi negli anni che seguirono, quando i da Camino invasero lo Stato di Eaimondo, unendosi ai castellani ribelli del Patriarca; altrettanto facevano i Veneti ed i Goriziani nell' Istria. In questa guerra generale di nemici interni ed esterni apparve il valore dell' imperterrito Pa' Thesaurus Ecclesiae Aquileiensis, pag. 11. = Aixh. Imp. 1287, 8 giugno (orig.) Ivi, 1292, 25 novembre, Gorizia (orig.) triarca Raimonđo délia Torre, il quale un clopo 1' alfcro li seppe con energica difensiva abbattere e ridurre all' obbedieuza. Che Ugone II continuasse, anzi vie piîi dilatasse le attinonze délia sua famiglia nelle regioui ď oltralpi, si raccoglie da parecchi atti di questo tempo. Nel 1288 egli è tostimonio nella rinunoia d'Offo di Emberberg al castello di Trucbsen che dava il nome alla casa illustre degli Sponbeim-Lavantthal, vassalla del conte Bernardo di Carinzia. Gli Emberberg erano nobili délia Stiria e delP Austria, scalchi e coppieri di quei ducbi ; Offo stesso, cbe pos-sedette Truchsen dal 1278 al 1288,^ era ministeriale délia Chiesa di Gurk. L'attinenza ď Ugone cogli Sternberg, conti immediati dell' Impero, apparisce da una lettera feudale dei medesimi, cui Ugone serve parimente di testimonio l A quale inij^resa in Italia sembri alludere un altro documento, in cui è detto che Ottone di Vinchenstain (Finhenstein) perdeva la vita nel veuire in soccorso al Duinate (dem Dcweiner), indicheremo piii innanzi. Il nipote del Finkenstein, Dietmaro di Weissenecb, istituisce un anniversario per la morte del medesimo, nel monastero di Viktring L' atto è per noi importante, perche ci dimostra non solo la relazione dei Duinati coi noMles milites de Vinchenstain, ma perche vi troviamo il primo punto di contatto coi piii potenti cavalieri délia valle del Lavant, i signoři di Weisseneck, divenuti dappoi strettissimi parenti dei baroni di Duino. Se il predicato di Tuffen, Teuffen, Teoffen, Tiuphen (invece di Diwen, Thebein, Tybein) che accompagna il nome di Ugone, nome tradizionale dei Duinati, non c' induce in errore, e se non deve invece scriversi Tiffen, che è castello délia Carinzia appartenuto ai conti di Treffen, Ugone avrebbe occupato anche qualche carica nella Stiria, sotto il duca Rodolfo, e ci sembra po-terlo ammettere, perche la famiglia Gonewitz che tosto nomineremo, continua anche più tardi a dipendere, come vassalla, dai Duinati. Nel 1304 Ugone di Tuffen è testimonio nell' approvazione che il duca Rodolfo di Stiria impartisce ad Alberto di Zirico per una venđita al giudice di Marburgo \ Come capitano del Seonthal con-ferma uno strumento, con cui Leopoldo di Gonewitz risarcisce i danni recati al monastero di Seiz, ed altro accomodamento fra il ' Ivi, 1288, 4 febbraio, Lubiana (orig.) Ivi, 1285, 31 marzo, Greiffenberg (orig.) 3 L'originale in data 1306, 11 novembre, esiste nell'arch. délia Societa storica di Klagenfurt; copia a Graz. Arch. prov. di Graz, 1304, 28 aprile, Indenhurg (copia). -Gonewitz e il coiivento per contese di confine Leopoldo di Go-■iiewitz cousegna ancte allé monache di Studeuitz una lettera di pegno munita del suggello del suo signore di Tiuphen ma il sug-gello che avrebbe sciolta la questione, è appunto quelle che manca. Fino dal 1301 sembra cbe Ugone esercitasse 1'avvogheria del mo-nastero di Seiz, poichè in quell' anno assiste alla donazione che vi fa Marquardo detto Lupo di pareccbie colonie e nel seguente il duca Rodolfo di Stiria ordina fiUeli suo Hugoni de Tuffen, di non molestare la certosa di Seiz nel possesso ď alcune terre assegnatele con sentenza giudiziale Ma r anello cbe congiunse i Duinati colle regioni oltramon-tane, erano sempre i conti di. Gorizia. Ugone assiste ai molti atti dei medesimi che riguardano quei paesi, come son o il compromesso di Alberto di Gorizia con Rodolfo eletto Arcivescovo di Salisburgo ° e le obbligazioni che assume Ottone di Muntparis cbn Arrigo di Gorizia, di assisterlo colle sue geuti e co' suoi beni contro 1' Ortem-burgo ed altri Dei Muntparis, vassalli per la loro rocca del Vescovo di Gurk, sappiamo che furono schiatta assai ragguardevole, con grandi possessi, non solo nella Cariuzia, ma e nella Carniola e nella Stiria. Fra questi ed i Duino, se il nome non ci induce anche qui in errore, venne contratta cognazione, avendo Caterina di Dewein, forse figlia ď Ugone II, sposato Uldarico di Muntparis; coll'assenso del Vescovo gurcense il marito le assegnava quai dono mattutino metà del castello di quel nome E non è quindi meraviglia, che Ugone stesso, come diremo, pigliasse in moglie una contessa di ,quelle regioni. Altri atti solenni, a cui interviens Ugone H pei conti di Gorizia, sono la cessions che fanno i conti Alberto ed Arrigo suo figlio al monastero di Santa Maria ď Aquileia, dei loro diritti su Pontiniaco, Begliano, Casellis ed altre terre e la malleveria as-sunta dopo la morte del Patriarca Gera insieme col figlio Rodolfo II .delle promesse del conte Arrigo, quando gli venga affidato il capi- •' Ivi, 1306, 9 e 17 marzo (copia). ' Ivi, 1306, U aprile (oríg.) » Ivi, 1301, 10 aprile Seii; (orig. ma qui pure mancano i suggelli.) •• Ivi, 1302 ('?), 19 giugno, Graz (originale parimente guastato). 5 Arch. Imp. 1285, 81 marzo, Greiffenberg (orig.) ® Ivi, 1301, 5 agosto, Cremaun (o Cormoni?) orig. ' Orig. nell'arch. vesc. đi Strasburgo, copia in quello di Graz; 1334, 25 maggio, Nassenfuss. ® Arch, đi Duino, Apografi, đalle fonti uđinesi, 1286, 5 maggio, TJn- grispach. tanate generale ď Aquileia '. Nei torbiđi stessi nati durante 1' in-terreguo, Ugone trovavasi fra i capitaui del Goriziauo, che com-battevauo pei castellaiii contre 1' Ortembui:go campione delle comunitá friulaue ^ Ma 1' unione dei Duinati coi Goriziani sarebbe stata cementata ancbe da una lontana parentela, di cui dovremo fra breve parlare. A questo punto, per la ragione che tosto vedremo, siamo portati a dover nuovamente toccare della chiesa di S. Giovanni. I Duino, a malgrado delle ripetute protestazioni in contrario fatte dagli abati di Beligna, s' erano già dichiarati patroni ed avvogari di quel tempio e di quella badia. In qual modo essi interpretassero questi diritti, comunque acquistati, si raccoglie dal contegno di Ugone II. Morto 1' abate Bonifazio, egli insorse, dichiarando spettargli il diritto di prendere possesso del monastero e dei beni rimasti va-canti. A nulla valsero le nuove proteste di Pagano, abate di Beligna, e contro il diritto ď avvogheria e contro quello ď occupare i beni donati dai Patriarchi a' suoi antecessor]. Ugone tenue fermo ed eseguí, senza curarsi ď altro, i suoi divisameiiti, prendendo possesso dei beni. Veduto inutile ogni tentative di conciliazione, 1'abate appellossi alla Santa Sede, ed il Ponteíice Nicolô IV con bolla del 12 aprile 1289 delegô Bartolomeo Querini, Vescovo di Castello in Venezia, ad esaminare e decidere la controversia. Ingiungeva il Papa che le due parti dovessero sottomettersi alla sentenza del suo delegate, sotto pena delle censure ecclesiastiche; vietava pero al Querini di lanciare la scomunica contro Ugone o ď interdire le sue terre, senza ricevere speciále mandate ^ Ghe cosa venisse deciso, non ci è noto; sappiamo soltanto che i beni, se non di diritto, rimasero di fatto in mano dei signoři di Duino e clie questi un secolo dopo furono solennemente riconosciuti patroni, non che di S. Giovanni, anche di Beligna. Quattro o cinque anni prima che la controversia per S. Giovanni venisse portata innanzi al Pontefice, celebraronsi in quel tempio solenni sponsali, fra Ghiara Eufemia, figlia del conte Alberto II di Gorizia ed Andrea duca di Slavonia, terzo di questo nome come re ďUngheria. Essi vennero fatti per procura; il ducà fu rappresentato da Albertino Mauroceno suo parente " e da Marino ' Arch. prov. đi Graz, 1301, 29 giugno, Sant'Ođorico (copia). " Cod. dipl. Frangipane, 1301, 24 liiglio. ' God. dipl. Istr. che riporta la bolla da fonti non originali đ'Udine; nella BaecoUa Bianclii il documento trovasi parimente in copia sotto 1' anno 1290. Il Re Andrea nasceva, com'è noto, da Tommasina Morosini. Pasqualigo; per Alberto přestáváno giuraménto Ugoiie di Buiiio e lacopo di Eagogiia Anciie di queste promesse di matrimonio le sorti ci sorto igiíote; da alcuiii iudizii s' iiiferirebbe che Eufemia terminasse in un monastero; altri dico.no invece avér ella sposato Alberto di Hobenburg Lasciando ad altri di sciogliere il nodo, giova piuttosto soddisfare ad un' onesta curiosità dei lettori, indi-cando le usanze di quel tempo in siííatte occasioni Le feste nuziali, come le altre feste e pubblicbe e private, celebravansi ancbe in queste regioni con tanto splendore, cbo sotto il Patriarca Bertraudo fu necessario ricorrere a leggi suntuarie, affine ď iiifrenarne il lusso e lo scialacquo. I nobili andavano a gara chi spendesse di piíi e i conti di Gorizia, amanti del fasto, furono cagione che molti cavalieri profondessero in occasione di spettacoli somme si enormi, da essere costretti a vendere interi tenimenti e villaggi. Ancbe i Duinati, venuti in fama di eccellenti neir arti cavallerescbe, seguivano 1' andazzo del tempo e s' ingol-farono in ingentissimi debiti. Non andrà molto che li vedremo alienare gli aviti possessi del Friali in parte per pagare i loro creditor!, come che moite altre cagioni v' abbiano influito e poco ap--presso il loro patrimonio sia cresciuto a dismisura. II perché a lůuno meglio che a Kodolfo, íiglio di Ugone II e a Federico di Duino ^ uniti con Carlo di Pisino, credette Arrigo di Gorizia di ■affidare 1' ordinamento delle magnifiche giostre e tornei che si tennero nel 1312, dopo che il conte ebbe pacificato il Friuli scon-volto da lunga discordia. Quanto aile feste nuziali, ecco in quai modo, con parec-chie varianti, ci vengono descritte. Le bandiere, i preziosi tappeti, i verdeggianti festoni di cui s' ornavano le torri e lo mura del castello, e l'incessante mar-tellare délia campana attraevano da lontano fino dali' alba le co-mitive numerose dei terrazzani. Sotto le eccheggianti vôlte délia rôcca e nelle sale spleiididamente addobbate raccoglievansi i cavalieri e le dame vestite di stoffe peregrine, che lasciavano vedere le ricche pelli di vaio e di zibellino ond' erano federate, co' Arch. Imp. Contralto notarile 1286, 6 giugiio, in ecclesia S. Joliannis de Duyno (orig.) " Vedi Czôrnig, op. cit. pag. 526. ' Se ne discone variamente dal Manzano e dal Kandler. " Non si deve confondere, corne già avvertimnio, il vedere Federico cliiamarsi di Primano anzi che di Buino, castelli tutti e duc délia medesinia signoria. perte đi veli trapunti in oro e profumati, cariclie di vezzi đi perle e đi gioielli. Ordiuavasi quindi il corteo che conduceva gli sposi alla cMesa; e qui riuova occasione di sfoggiare in cavalli e bar-dature superbe. Lungo la via facevano ala i sudditi e coloni, le cosi dette masnate dei servi, levando al passaggio dei loro signoři alte grida di gioia e ď augurii. Col rito ecclesiastico univasi la seguatura del ôontratto nu-ziale, a cui preudevano parte i parenti degli sposi, quasi a gua-reutigia délia dote, dell' ammontar délia quale gli storici ricordano esempi numerosi. Una delle doti piîi cospicue è quella di 20,000 marche ' data a Beatrice figlia di Caterina délia Torre ' e di Ge-rardo da Camino, sposata ad Arrigo II di Gorizia. Oltre a cio la fidanzata riceveva tre vesti: di seta 1'una, l'altra đi velluto, la terza di panno scarlatto; un vezzo di perle, una collana ď oro, un servo ed una ancella. La donazione del matlino (Morgengabe) introdotta dalla Germania, consisteva in parecchie terre o colonie, i cosi detti mas/, od altri beni stabili e talora anche in denaro. Singolare è il présente che facevasi alla sposa alio smontare di sella, detto perciô dismontadura. Consisteva anch' esso in un servo o in una ancella, cui s' aggiungeva dai coloni dipendenti con simbolica signiiicazione una giovenca col vitello lattante, una pelliccia, un letto ed un cuscino di piuma. Allé nozze la sposa portava. una delle tre vesti indicate, listata di panno scarlatto o ď altro colore una ghirlanda in-trecciata di perle ornava il candido velo del capo; la collana e gli altri gioielli sceudevano sugl' increspati finissimi liui del petto. Lo sposo vestiva un giustacuore di broccato o di velluto, man-tello foderato di pelli preziose, berretto a forma di mitra; dalla ricca cintura pendeva il pugnale dalla tersa lama e dalla cesel-lata impugnatura; nè vi mancava il lungo spadone. Tornata la comitiv^ al castello, imbandivasi il suiituoso con-vito con danze protratte fino a tarda notte; Nel dimani seguivano il torneo e la glostra, entro steccato affollatissimo di popolo, plau-dente allé prove di destrezza e di forza che davano quei cavalieri. Non so se fino a quel tempo risalga 1' usanza che osservasi ' 0 come vuulsi đa altri 26.000. II Manzano, Compendio di Storia friulana pag. 74 le calcola pari a 681,000 L. I. e col ragguaglio della moneta ď allora a quella ď oggi corrisponderebbero a parecchi milioni. " Caterina nasceva da Zonfredo della Torre ed era nipote del Pa-triarca Pagano. ' Questa foggia osservasi anche oggi fra i terrieri di Trieste. al cli ď oggi fra la geiite del coiitado di Duiiio. Certo è chc qui pure i servi dei masi dijiendevano dall'arbitrio del loro signore, che, discendendo dal castello, veniva a passare in rassegua i garzoni e le douzelle e dispoiieva a placito suo dei connubii. Ma per toccare del costume odieruo, il quale h.a grau so-miglianza con quello dei Bretoni, quando lo sposo va a preudere la sua fidauzata, il padre si fa alla porta délia casa, chiedendogli che cosa egli cerchi. Ho perduta la mia colomba, gli rispoude questi, r avreste voi veduta ? e intanto gli mostra una penna indicandogli il colore délia desiderata colomba. Qui il futuro suocero gli conduce innanzi una donna anziana fra le piii brutte che si trovino uel villaggio. Questa, osserva il giovane sempre garbato, sarà stata una volta al suo giro, oggi non è quella che cerco. Viene quindi una bambina e poi un' altra ed indi un' altra; ed egli, quasi altro Profeta Samuele, che ad uno ad uno rifiutó gli undici figli di Isai, finchè gli presentarono Davidde, è bella dice, ma non è ancora il suo tempo. Finalmente gli conducono innanzi la sposa. La colomba trovata s'asside fi-a due maritate sopra un carro tirato da buoi, clio conduce anche il corredo in due cassa-panche antiche. Nel mezzo v' ha un bel cuscino foderato di bianchi lini, tenuti insieme da rosei nodi di seta; davanti, in un paniere, una gallina circondata di verdi frasche, simbolo délia madré futura. La iidanzata prende una verga e segna una croce innanzi al carro, poi getta in aria la verga, esclamando: tulto a gloria di Dio; ed il couvoglio fra il giubilo délia comitiva, fra concerti musicali e gli spari dei mortaretti s'avvia alla chiesa per la benedizione nuziale. Giunti alla casa dello sposo, il padre di questo, tenendo in mauo una zara di maiolica antica, dimanda alla sua volta chi sia questa giovine: lo sposo rispoude: è la nuova fig lia che ti conduco. Il suocero allora le fa le mille lietissime accoglieuze, dicendo che, non come ancella, ma come amata figliuola egli 1' accetta entro le sue soglie. Quindi, messo in sul grave, la esorta ail' ubbidienza, air amor del marito e dei figli ed implora sopra di lei le celesti benedizioni. Poi le dà a bere fuori délia zara, entro la quale la sposa getta una moneta ď argento. Preso il possesso délia casa, segue il convito ai parenti ed agli amici; perô la sposa attende a servire, senza assidersi al desco, quasi ad iniziarsi ne' suoi nuovi doveri. — Ma è tempo di tornare ai Duinati. Un grande servizio rese Ugone nel medesimo anno 1286 aï signoři di Gorizia, quaudo nacquero dissonsioni fra i due fratelli Maiiiardo IV ed Alberto II. Alla guerra di Ottqcaro II di Boemia con Rodolfo I. ď Absburgo decisa sui campi délia March, 1 due fratelli Goriziani non avevano mancato di prender parte iusieme coi signoři di Duino, conibattendo con gran valore per la causa di Rodolfo. Di ch.e Mainardo, inalzato dall' Imperatore a Principe del-rimpero, uel 1286 veime altresi retribuito col ducato délia Carinzia. Questo aumento di potere doveva per poco riuscire funesto ai coiiti goriziani coll' accendere la guerra iu famiglia. E di vero Mainardo nel prender possesso del nuovo ducato pretese che Alberto facesse atto di soggezione verso di lui, per un feudo che quegli possedeva nella Carinzia, e glie ne chiedesse 1' investitura. Alberto ostinato si riiiutava ad umiliarsi al fratello, cou cui aveva diviso il dominio nella Gorizia; e se finalmente piegossi alla necessità, affinchè Mainardo non lo privasse del feudo e ne investisse il proprio iigliuolo, molto vi contribui Ugone di Duino, il quale datasi ogni cura per sopire la questione con Giuliano di Seeburg, 1' indusse a deporre le armi ed a riconciliarsi col fratello. Quantunque al principio del trecento, sotto il debole Pa-triarca Ottobono de' Razzi più che Ugone II, fosse Rodolfo II suo figlio, quello che prese parte aile sevizie barbariche del Babanico, cognato del conte di Gorizia, del Villalta, del Fontebono, del Pie-trapelosa e d'altri, non manca egli pure di essere qua e là nomi-nato con Federico di Duino, che risiedeva nel castello di Primano. E sembra che qui sia venuto in soccorso ď Ugone quell' Ottone di Finkenstein rammentato di sopra, quando contro il Patriarca nel 1305 si collegarono Rizzardo da Gamiuo, 1 castellani del Friuli, il conte di Gorizia, Mainardo ď Ortemburgo, Azzo marchese ď Este e il duca di Carinzia. Ma quantunque fra i signoři di Gorizia e i Duino, loro iidi ministri, vi avesse fin qui buonissimo accorde, una dissensione improvvisa fra Arrigo II, succeduto nel 1303 ad Alberto II, ed Ugone venue a turbare questa alleanza, ed Ugone cadde in aperta disgrazia. Quale che fosse il motivo di questa rottura, a noi sconosciuto ', la lotta fra i due era troppo disuguale. Ugone trovavasi di fronte, come al più ambizioso, cosi al piîi potente ed illustre dei conti di Gorizia, il quale, appcna venuto al potere, volse ' Sembra che Ugone iioji abbia voluto riconoscere i Goriziani come alti domini đ'una parte đe'suoi posscssi friulani. le sue mire cou felice successo a coiisolidare il suo predomitiio nel Patriarcato, e di là col valore a colla prudenza si agevolô la strada a conquistaro in nome dell' Imperatore anclie Trevigi. Ugone dovette piegarsi a patti umilianti. Con atto del 1308 ' il conte Arrigo prometteva di accogliere nuovamente nella sua grazia il suo fedele Ugone di Duino aile condizioni seguenti: Ugone rinuncia ad ogni inimicizia contre il conte ed i suoi eredi, e promette con giuramento ď obbedirgli per l'avveuire. Va a confine nel suo castello di Pi-imano che più non abbandonerà, e dove suo figlio Rodolfo lo provvederà di vitto e vestito, di cavalli e servitii e di quant' altro gli sia bisognevole; i suoi servi e dipendenti preste-ranno obbedienza a Rodolfo. Ugone non vendorà nè impegnerà terre 0 castelli 0 servi senza licenza del conte Arrigo e del proprio figlio Rodolfo; questi pure avrà bisogno del consenso del padre per ogni alienazione. Dei feudi ed altri beni paterni viene dal cente inve-stito Rodolfo, dope la rinuncia fattane da Ugone. Restano pero riservati i diritti che spettano ai figli ď Arrigo (III) fratello di Rodolfo, i quali venuti in maggiore età, non devone rimanere dise-redati, e del pari i diriti di sua sorella, corne le è stato promesso. A favore di questi ultimi Ugone rassegnerà anche i feudi ch' ei tiene da altri signoři e chiederà ne sia investito Rodolfo. Padre e figlio devono infine impegnarsi colla vita e coi beni nel servigio del conte. Fra i testimoni diall' atto si trovano Vulfingo, il capitano dei Luinati in Duino nominato più addietro; Goiïredo di Guteneck il quale parimente non sembra appartenere alla famiglia, giacchè più tardi i Guteneck trovansi vassalli dei Duino; il posto secon-dario che occupa fra i molti altri testimoni Fedrighino di Primano, e il diminutive che indica un Federico iuniore, non ci permettono di prenderlo pel Duinate Federico (di Primano) più volte rammentato. Doimo che viene da ultimo, è un ufficiale ď Ugone che ancora incontreremo. Sorprende che in questo strumento, tra i figli ď Ugone sieuo mentovati soltanto Rodolfo II, Arrigo III ed una loro sorella. Ma v' ha motive a credere che aleuni sieno nati più tardi. Delia figlia che non si nomina, parleremo tosto; quanto alla proie ď Arrigo III, esplicitamente non si ricorda che Rodolfo III, di cui ragioneremo a suo luogo. Dal giorno in cui Ugone II venue confinato a Primano, deve ' Arch. Imp. 1308, 20 maggio, villa di Neuhaus (orig.) credersi che la sua stella si a tramontata per sempře e che quauto avvenne gli anni seguenti, apparteiiga ad TJgoiie IV, chiamato nei documenti coutemporanei XJgone il giovane. Se gli scritti ov' è ri-cordato Vgone dî Teitffen possono riferirsi ad un Duinate, Ugone II avrebbe avuta in moglie una confessa Margherita, il cui casato pero è omesso. Ella è mentovata in una lettera feudale del duca Federico ď Austria, il quale investe Uldarico di Seuneck, di pa-recchie terre, case e torri in Seuneck, Osterwitz, nel Seontlial, Schleineck e Liebenstein, comperate da Ugone di Teuffen e da sua moglie contessa Margherita '. Più sicure sono le notizie che ab-biamo intorno ail' altra moglie ď Ugone II, cbiamata Stel o Ste-lichia ^ Essa viveva ancora nel 1374; il perché quando Ugone la sposô de?' esser stato negli anni più proretti; quell' Anna poi che si nomina corne figlia di lei, nasce probabilmente da altro padre. Nel 1334 la contessa Beatrice di Gorizia e suo figlio Giovanni Arrigo concedono a Stelichia di Duino ed a'suai figli trecento marche, da aggiuugersi ad altra somma per la quale ei'ano State impegnate ai Duinati le ville di Rodnik ed Hulbe sul Carso. Con cio dichiara Beatrice di rimunerare i Duino pei servigi prestati alla sua casa e di risarcirli dei danni per essa sofferti Ma la proie ď Ugone de?'essere stata numerosa: Modolfo II ed Arrigo /i7 furono già mentovati; la figlia il cui nome è omesso nel-r atto di confinazione del padre, puor essere Agnese, monaca nel 1318 \ ovvero Caterina, che nel 1334, vedemmo sposarsi ad Uldarico di Muntparis; restano ancora Vgone /F, Giovanni, forse anche Nicolo, ma certamente Giorgio, che è quelle da cui derivano gli ultimi Duinati. Ma prima di parlare di loro, conviene che ci rifacciamo indietro ď uji passo, per ragionare di quell' Ârrigo di Dewin, il quale se appartenesse ai Duinati, sarebbe il secondo di questo nome e per il tempo in cui visse dovrebbe tenersi fratello o cugino di Ugone II. Per conoscere meglio le cose che lo riguardano, è duopo richiamarsi alla mente un breve, ma importante tratto di storia. È noto che, estintasi con Federico il Guerriero la linea ' Arch. prov. di Graz, 1308, 22 apríle, Graz. (copia.) ' Arch. Imp. Testamente cli Ugone (VI) di Duino, 1374, 24 giugno: noi lo vedreino a suo luogo. ^ lvi, 1334, 21 settembré, Castello di Gorízia (Orig.) Spogli clei notai friulani del dott. Yincenzo loppi. maschile đei Babemberg, ducM d'Austria e đi Stiria, Ottocaro mar-chese di Moravia, poi re di Boemia, nel 1251 ne aveva profittaťo per farsi prestare omaggio'da quelle due provincie. Ma un forte partito di nobili stiriani, capitanati da Ditmaro di Weisseneck, av-versava quel re ed era disposto di darsi alla Baviera ; s'intese quindi con Bela IV re ď Ungheria, e mosse guerra con lui ad Ottocaro. Per amore di pace il Papa nel 1254 indusse Ottocaro a rinunziare alla Stiria; ma non andó molto che quei nobili, mal-contenti anche degli Ungheresi, ricorsero al re di Boemia. Intanto che questi indugiava a venire, si volsero aiicbe ai baroni dell' Aústria, e coir aiuto particolarmente del conte Corrado di Hardegg, signore immédiate dell' Impero, si liberarono in pochi giorni dalla domi-nazione ungherese. Sopravvenne Ottocaro co'suoi e con numerosi adereuti. Fra questi non ultimo il duca Uldarico di Carinzia, se-guito da altri baroni. Nella battaglia di Kerssenbruiin combattuta alia March il 13 luglio 1260, 1' esercito di Bela, venuto alia ri-scossa, rimase interamente sconfitto, lasciando Ottocaro padrone della Stiria. Acquistata nel 1269 anche la Carinzia e la Carniola per la morte di suo cugiuo il duca Uldarico, il dominie di Ottocaro stendevasi a quei di dai piani della Boemia fino al Patriarcato ď Aquileia; ed egli era diventato il principe più ragguardevole della Germania, finchè perdette corona e vita contro Rodolfo ď Absburgo. Intanto, pochi giorni prima della battaglia di Kerssenbrunn, i due aiiimosi fratelli Ottone e Corrado di Hardegg, ultimi della lore famiglia, trasportati dall' ardor della pugna erano periti in un insidioso attacco degli Ungheri presso Laa. Ottone lascio dietro di sè la giovane sposa Vilbirga di Helfenstein, e Corrado Eufemia ď Oi'temburgo. Ora, mentre Eufemia, o piuttosto, come si crede sua figlia d'ugual nome, maritavasi ad Alberto II di Gorizia, Vilbirga fu ncl 1262 da re Ottocaro impalmata ad Arrigo burgravio di Dewin, da lui sommamente favorito. E se questo burgravio è un Duinate, per mezzo dei nuovi matrimonii delle due vedove Hardegg sarebbe nata una lontana parentela fra quelli di Gorizia e di Duino, come indicammo piii addietro '. In quanta stima fosse il burgravio di Dewin presso la corte del re, si vede anche da una donazione ď Ottocaro, in cui Arrigo di Dewin trovasi segnato fra Vedi pag. 150. i testimoni immediatamente dopo i principi del sangue e prima degli altri grandi Creato coûte di Hardegg ed elévato alla piíi alta nobiltà, délia provincia, Arrigo ebbe altresi ouorevoli incarichi, quali di giudice proTinaiale dell' Austria ed avvogaro délia cMesa di Lilien-feld. Ma la sua vita speguevasi nel 1270 in giovanissima età ed uno de' suoi ultimi atti fu la dotazione del moiiastero di Meylan. La sua vedova passava a terze nozze con Bertoldo di Rabenswald. Ora questo Arrigo burgravio di Dewin, conte di Hardegg, sulla fede particolarmeute del sig. Federico Firnbaber % fu tenuta fin qui costantemente com' uno délia dinastia duinate, argomen-tandosi cb' egli venisse al campo di Laa presse il re Ottocaro in compagnia del duca Uldarico di Carinzia, raccomandatogli forse dal conte Mainardo di Gorizia. Ma contro il Firnbaber ed altri cbe seguirono la sua opi-nione, levossi ultimamente il sig. Giovanni Wendrinsky *, il quale stima cbe il citato Arrigo discenda invece dai burgravii di Dewin délia Misnia. Dimostrato con documenti cbe nella Misnia trovasi fine dal 1253 un Arrigo, egli crede molto più probabile cbe questi e non un Duinate venisse ail' accampamento di Laa, accompa-gnando il margravio délia Misnia cogiiato ď Ottocaro. Cio egli deduce anzitutto dalla stretta attinenza ď Arrigo col detto margravio, cui serve di testimonio in pareccbie scritture ^ E mentro a Duino, cosi egli ragiona, in quel tempo non trovasi alcun Arrigo, quello délia Misnia nel 1256, pooo prima del 1260 (in cui seguiva la battaglia di Kerssenbrunn) comparisce nella sua patria; vi torna nel 1264 in cui non si rammenta nell'Austria; e dal 1265 in poi nella Misnia piii non appare. Questo ragionamento ba per sè il vantaggio délia dimostrata esistenza ď un Arrigo di Dewin nella ' Kurz, Gesch. Oesterreichs unter OttoJcar, II. pag. 173 e seg. in data 1260, fine di giugno al campo di Laa. ^ Nel 1271 la contessa Vilbirga conferma la donazione di tre vigne al conveuto di Meylan fata dal suo d^mto marito (Font. Mer. Austr. II vol. I. pag 125). Il Wendrinsky segna corne data délia sua morte il 23 dicembre 1270, nel quale si ha una sua donazione pel oaso di morte al convento di Meylan. " Heinrich von Hardeck, Burggraf von Duino, nell'Arch. f. ôsterr. Geschichtscqullen 1849, vol. IL Heinrich, Burggraf von Dewin iind Graf von Hardegg, nei Blatter des Vereins fiir Landeskunde von Niederrôsterreich a. XI, 30 dicembre 1877. ^ 1253 e 1256. Henricus bUrgravius iunior de Dewin testimonio-del margravio di Misnia; 1264, Arrigo burgravio diDeivin testiraoïùo âel medesimo e del burgravio Corrado ď Altemburgo (Mittheil. des Gesch, Vereins des Oster-landes VI, S. 313). Misnia e quindi della probaMle sua venuta a Laa col margravio cli quel paese; ma 1'ultima osservazioiie si lascia auche ritorcere a favore ď uu Arrigo Duiuate, che potrebbe uoii comparire a Duiiio, perché trasportatosi in Austria. Anche il chiamarsi burgravio puô certa^ mente corroborare la manifestata opinione; ciô non ostaňte bur-gravii si chiamano con pari frequenza i castellani o custodi della rocca dei Duinati e non è facile asserire con certezza che qual-cuno, il quale si nomina corne burgrayio di Duino, non sia appar-tenuto alla famiglia stessa dei signoři di Duino. Arrigo altrove si chiama inesattamente conte di Debein e di Thebein, invece che di Hardegg e il titolo di conte, sebbene con pari inesattezza, vien dato pure ai Duinati; onde nasce 1' idea, che per essere il conte Arrigo della loro stirpe, siasi trasportato il titolo anche sopra gli altri l Un altro argomento desume 1'autore dal suggello dei Dewin. lo rispetto molto 1' araldica e me ne sono giovato in altra occa-sione, per isciogliere un quesito importante iutorno ai Duinati Pero in questo caso 1' araldica mi pare insufficiente a dirimere la questione, perché 1' arma dei Dewin il contradittore non la riporta e il suggello di Arrigo non ha che 1' elmo co' suoi mutabili acces-sorii. Vero è che anche su questo egli si fonda per osservare col AVippert, che appunto i giovani cavalieri della Turingia o della Misnia erano quelli che non solevano portare nel loro suggello altro che 1' elmo; chiama percio un errore quello del Firnhaber, il quale prese gli altri ornamejiti come maniera italiana, anzi che germanica. Ma resta ancora a dimostrare che questo costume fosse esclusivo della Turingia, e frattanto col solo cimiero di Arrigo è malagevole paragonare l'intero blasone dei Duinati, di cui 1' autore rosta sinanco iiicerto se rappresenti una sídla, ovvero la fascia rotta di rosso in campo ď argento da noi descritta. Se non che lasciando da parte F impresa delle due case e tenendoci ai soli cimieri, unico punto possibile di confronte, abbiamo già osservato in altro luogo che quello dei Duinati non è sempre il medesimo e potè quindi variare anche nel suggello di Arrigo. Quauto alla Stella di cui parla il Wendrinsky, appoggiato alla non troppo sicura testimonianza del Valvasor, un che di simile si osserva sem- ' Vcdi i regcsti del Wendrinsky 1312, 6, XII, Retz e 1270, 23 Aprile Gars. ^ Noi lo vedremo in altro luogo di queste memorie. ' Una questione geneaîogica sid Signoři di Duino e sui Walsee, Gior-nale araldico di Pisa n. s. a. II. 1878 pag. 247 e segg. Yedi pag. 134. plicemente aggmnto alla solita iinprésá dei Duiiiati iii un suggello ď Ugone di Duino conservato iiell' archivio di Venezia, montre gli altri non 1' hanuo. L' arma presents degli Hardegg, sebbené non mancassi di procacciarmela, non puo servirci all' uopo, perche oggi non si chiamano piíi Hardegg-Dewin. Un' ultimo punto clie potrebbe favorire 1' opinione del Wen-drinsky, si riferisce ad Ermanno di Dewin, cbe parimente puo tenersi per discendente della famiglia ď oltralpi. Noi 1' abbiamo rammentato parlando del poemetto scherzoso intitolato la Wiener-Meerfahrt '. In esso il poeta dice averne ricevuto il soggetto dal hurgravio Erraanno di Dewen, ed un Ermanno il Weudrinsky asserisce avervi fra i burgravii della Misnia, quantunque manchi di addurne la prova, e nou si sappia quindi neppure di qual tempo si tratti. Del rimanente aucbe su questo potrebbe ripetersi. r osservazione già fatta intorna al titolo di burgravii e, trattandosi ď un' avventura tutta di mare, sembra più naturale ascriverne l'in-venzione ad un Duinate che sul mare dominava dalla sua rôcca. Troppo incerte, sebbene ingegnose, sono alcune altre suppo-sizioni deir autore per addentrarvici di proposito; come allorcbè, parlando di feudi concessi in Austria da Ottocaro, dice cbe a queste concessioni contribuiva ancke 1' essere i nuovi investiti in parentela colle famiglie estinte, e cbe Arrigo di Dcwin sposando la vedova Hardegg aveva acquistata una specie di diritto eredi-tario a quella contea independentemente dalle relazioni anteriori della sua famiglia coW Austria^ le quali 1' autore promotte di far conoscere in appresso. Se non clie in appresso io non trovo indicate se non due cose, le quali possono aver connessione coll' argo-mento : la prima, che Arrigo nel 1267 aveva possedimenti proprii neir Austria, ma il Wendrinsky confessa di non sapere se sieno ereditati, e quiiidi di veccbia data, o comperati di fresco; la seconda cbe, attese le antiche molteplici attinenze della Tnringia coll' Austria, devono molti nobili turiugi aver preso servigio in Austria ed acquistati colà possessi e diguità; ma se fra questi entrino i burgravii della Misnia parimente non ce lo sa dire. Noteremo iuvece che pareccbie osservazioni aggiunte dal-r autore a rincalzo del suo argomento, sono inesatt e ed altre ser-vono a tenere in bilico la bilancia, senza risolvere la questione. Egli mostra di credere cbe i soli burgravii della Misuia si ' Vedi pag. 123. chiamassero di JDewin, dove che iiiyece uegli archivii di Vienna e di Graz havvi non piccolo numero di document!, in oui anche i signoři di Duiao non si chiamano solo di Tyhein, di Tywein, di Duwinum e di Duinum, com' egli asserisce, ma precisamente di Dewin e di Dewyn, oltre clie di Dewine, di Dewlno e di Tewino; anzi sono queste le forme piii usuali del secolo decimoterzo, in cui viveva il disputato Arrigo. Nè il contesto di siffatte autenticlie scritture puô lasciar dubbio che vi si tratti di quei signoři che furono soggetti a Gorizia ed Aquileia '. L'opinione del Valvasor, riportata da lui, che il nome Tywein venga dal buon vino di Pro-seco, non merita neppur che ce ne occupiamo; noteremo invece che TJiebein e Debeln, voci ascrittc ai sigiiori délia Misnia, sono molto più vicine a Tybein (Dybein) ' e che, chiamandosi Dewin anche i signoři di Dnino, quei prédicat!, non meno che Dkven, possono rife-rirsi promiscuamente agli uni ed agli altri. L' autore sembra iiioltro supporre che i signoři di Duino non venissero a contatto cou famiglie nobili austriache, prima che s'imparentassero coi Wâlsee a mezzo il scguente secolo. La vera vita dei Diiii\ati e le loro non iuterrotto aspirazioni sono invece al di là dellc alpi, dove contraggono amicizie e parentele colle piii iliustri famiglie, finchè arrivano a sottrarsi per sempře al do-miuio avversato doi Patriarchi ď Aquileia. Dice che nessuna fonte ci nomina un Arrigo signore di Duino o che solo intorno al 1268 ricordasi dal Kandler un Rodolfo di Duino. Se intende restringere la sua molto vaga asserzione ail' unico tempo iii cui parlasi del disputato Arrigo, potremo anche concodorglielo; dappoichè non vo-gliamo supporre che l'Arrigo di Duino mentovato per la prima volta nel 1188 ^ sebbeiie allora apparisca minorenne, vivesse fino al 1270 e sposasse la giovane Vilbirga di Hclfenstein. Glielo con-cediamo perô con riserva, perche ď un altro Arrigo alla meta del ' P. e. 1197, 19 agosto, Volscalco di Deiutree testimoiiio del conte Mai-nardo di Gorizia; 1201, 30 novembre Villaco, Volscalsco cZe Dcíkmi testimonio del conte Engelberto di Gorizia; 1206, Strasburgo délia Carinzia, Cononé de Dewin in un atto ira Gualtieri Vescovo di Gurk ed Engelberto di Gorizia; 1252, 21 dicembre Gmund, Biagrino figlio di Volscalco di Dewin-, 1249, 20 aprile Cormons, Ulricus de Tewino in un documento di Federico II; 1254,10 novembre Meran, Eodolfo di Deiuino testimonio pel conte Mainardo di Gorizia; 1266, 14-febbraio, Gividale, Ugo de Deioino mallevadore in una conveuzione fra il Pa-triarca e il conte di Gorizia; 1297, 5 gennaio, Ugo iun. àiDewyn fa una ven-dita ecc. ecc. ^ Vedi i regesti del Wendrinski, 1270, 23 aprile. Gars; 1312, 6, XII, Retz. » Vedi png. 136, secolo deciinoterzo havvi più di un indizio '. Ma se V autore volle con cio asserire die nella dinastia dei Duinati non havvi alcun Arrigo nè prima iiè dopo quel tempo, troppo grave sarebbe 1' er-rore, come apparisce dal nostro stemma genealogico e dai docu-menti liuora citati ed appunto perche questo nome non è iitiovo fra i signoři di Duino, conviene andare a rilento iielF escludere le possibilité ch' esistesse un Arrigo fra il 1260 e il 1270. Siamo in una età in cui, corne si disse, i documenti di Duino difettano as-sai, ma se ne possono scoprire di nuovi; intanto anche quelli che abbiamo, dimostrano erronea 1' altra opinione, che a mezzo il secolo decimo terzo non ci abbià che un solo Rodolfo di Duino Molta sospicione ď inesatte'zza ci desta il vedere che il Gabelencz, citato dali' autore, introduce un Ugo di Dewyn nella genealogia dei burgravii della Misnia. II nome di JJgone non lo trovo ripetuto in alcun altro luogo, nh nel brano del Gabelencz, che pure tanti membri ci annovera della famiglia turingia, nè del Wendriiisky, il quale si diede cura di comporne uno schema genealogico. Ugone è invece il nome tradizionale che più frequente de-gli altri incontrasi nella dinastia duinate; la forma Dewyn poi è per r appunto adoperata ď un Ugone, sebbene ď altro tempo Tanto è difficile con queste omonimie distinguere una famigUa dair altra ! L' autore ci rammenta in fine il testamente del duca Ul-darico di Carinzia, in cui è testimonio il conte Arrigo di Hardegg Non sarebbe dunque tanto strana 1' ipotesi del Firnhaber, che ha messo in relazione un Arrigo duinate con quel principe confinante, quando anche più tardi, benchè in altre regioni e in altre con-giunture lo vedremo ancora nel sèguito. del medesimo, come Arrigo della Misnia fu seguace del margravio del suo paese. E cio tanto meno quando si consideri che la Carinzia è la prima pro-vincia oltremonti con cui ebbero commercio i Duinati Nè il nome dunque di Arrigo, nè l'aggiunto di Dew'm, nè quelle di hurgravio e neppure il suggello descritto e le altre os-servazioni fatte dall' erudito contraddittore, sono argomenti cosi perentorii, che distruggano appieno le ragioni contrarie. Una prova ' Vedi pag. 143, nota 4. » Vedi pag. 155. ' Vedi pag. 139 e segg. e tutta la storia di Ugone II. < Vedi pag. 161, nota 1 in fine. ^ Fra i suoi regesti, 1268, 4, XII Podiebrad. " Vedi pag. 186 e segg. o spec. pag. 143 e 148 e segg. sícura, che tolga ogni cíubbio, potrà aversí quaiiclo sia climostrato che veramente col margravio della Misnia trovossi al campo cli Laa anche il burgravio turingio, come 1'autore si affatica cli render credibile. Ma un ultimo puiito sommamente importante, nou toccato dal Wendrinsky, đobbiamo toccarlo noi. Egli nou ha riflettuto che, mentre Vilbirga di Helfeusteiu, vedova di Ottoiie di Hardegg mari-tavasi ad Arrigo burgravio di Dewin, la vedova dell'altro Hardegg striugeva contratto di conuubio o per sè o per la figlia coi conti di Gorizia; e noi vedemmo parlando di Ugone II ' quanto intima fosse a quel tempo 1' alleanza fra i Duiuati e quei conti, oncle pub esser avvenuto che ambedue quelle case s' imparentassero colle clue vedove superstiti dei conti Hardegg. Con tutto cib le nuove e dotte indagini del signor Wendrinsky hanno un gran pregio, e se non valgouo, almeno per ora, a stabilire con certezza, che Arrigo di Hardegg deva. cancellarsi, com' egli opina, dalla famiglia dei signoři di Duino, per ascriverlo ai burgravii della Misnia, c' impongono pero il dovere di sospendere il giudizio, iinchè nuovi studii abbiano messa in chiaro la verità. Nella contea di Gorizia gli Hardeck si trovano parecchie volte; sul fine del secolo decimo quarto Utelda di Maetsch, vedova di Mainardo VII di Gorizia, sposa in seconde nozze Giovanni burgravio di Maidburg e conte di Hardeck; iiel 1436 Michele di Hardeck, burgravio di Magdeburg, giudica in una causa di Arrigo IV di Gorizia; egli od un suo omonimo è testimonio nel 1472 della vendita che fa Kamberto di Walsee all' Imperatore Federico III del castello di Duino; il medesimo trovasi in un documento del 1478, attinente ad una questione del conte Giovanni della Torre ma quello, su cui dovremo ragionare piii a lungo, è il cosi detto coníe di Duino,' citato dal Verci negli anni 1390 e 1391, che fa-cilmente appartiene alia medesima famiglia. 4. Rodolfo II. Dai documenti che citammo nella storia ď Ugone II, sembra potersi raccogliere, che Rodolfo II sia stato il suo primogënito: a lui fu' data 1' investitura dei feudi, quando il padre cadde iu disgrazia del conte di Gorizia; egli è il primo che vien nominate ' Vedi spec. pag. 149 e seg. ' Museo cli Gorizia (orig.) nelle scritture; laddove i suoi fratelli non compariscono che molto più tardi. Non dissomigliaute dal primo Eodolfo per le violonze commesse, lo supera nell' atrocità delle medesirae e diventa vero modello della cavalleria dei predoni, yivendo in lotta continua coi Patriarchi, coi loro ufíiciali, coi monasteri. All' abate di Beligna egli rapiva, non so in qual anno, 1' avvogheria di Pieris. Sotto il Patriarca Kaimondo fu compagiio fedele del padre nella guerra generale ch' erasi mossa contro di quello, facendo causa comune coi castellani del Friuli e cogli altri nemici del patriarcato. 'Riu-sciva pero Kaimondo anche qui nella sua politica ď isolare i suoi nemici e di costringerli per tal modo a deporre le armi; nel 1296 Bertolosso di Manzano pronietteva solennemente al Patriarca di separarsi da Ugone di Duino e da Bodolfo suo figlio^ cessando dalla guerra clie quelli movevano al loro signore '. L'anno appresso Rodolfo, essendosi sottomesso, veniva in Cividale liberate,dalla sco-munica incorsa insieme co' suoi scudieri, o prometteva con giura-mento di stare ai mandati della Chiesa ^ Ma furono parole; e peggio avvenne quando, morto il Patriarca Raimondo, gli successe, dopo il Gora, Ottobono de' Razzi. In onta allé promesse fatte ed allé assoluzioni ottenute, Rodolfo infieri più di prima. Inviso gli era particolarmente il cividalese Musato, Gastaldo di Monfalcone, col quale, siccome confinante, i motivi di contraste devono essere stati piti freqaenti; un bel giorno, montre questi trovavasi alla caccia, Rodolfô lo assale improvviso e lo stende morto sul suolo Ancbe più atroci furono i fatti a cui Rodolfo diedo mano due anni appresso. Contro il Patriarca fino dal 1305 eransi congiurati un nugolo di nemici: vi primeggiavano, come vedemmo, il conte' Arrigo di Gorizia, Azzo ď Este, Rizzardo da Camino, seguiti da gran numero di castellani. Nell' interesse del conte goriziano, oltre cbe proprio, operava Nicolô di Butrio, il quale, essendo in guerra co'suoi parenti, sorprese di notte il ca-stello di Butrio, diede il sacco ed il fuoco alla borgata e costrinse le misere donne esterrefatte e quasi ignude a salvarsi in mezzo ' Museo di Udine, RaccoUa Bianchi, 1296, 24- agosto, Udine (copia). ' Arch. not. di Udine, 1297, 17 maggio, Cividale. Dnus Bernardws Givitatensis Decanus, auctoritate sibi concessa in hac parte mr Bevduni Patrem Beymundum Dei gratia Patriarcham Aquilegensem, B. Imdulphum filimn Dni TJyonis de Duyno a vinculo excomunicationis, quo ajfectus tenebatur, cum sex suis chinappis (ted. Knappen) et scutiferis absolvit, quia ante absolutionem iuraverunt stare mandatis JEcclesie. (Gio. di Cividale not.) ' Manzano, Annali del Friuli, 1304 4 settombre. aile teiiebre cou fuga precipitosa. Impresa cosi bella e felice animô il conte a tentarne di nuove. Unitisi quindi cou "Nicolb Rodolfo di Duiiio 6 Giovanni di Vilîalta veunero essi colle loro masnade sopra il borgo di Trivignauo, commettendovi ogiii généra di atro-cità; degli abitanti parte si arresero, altri poterono a stento trafu-garsi e nascondersi; ciiiquanta vittime infelici, cbe s'erano rifuggite ufilla chiesa di S. Teodoro, donne per lo piii e fanciulli, vi rimasero soffocate dal fumo ed abbrustolite dalle iiamme; alcuni che si precipitarono dalle finestre, rimasero sfracellati. Simili barbarie si commisero nelle ville di Premeriacco ed Orsoria e si continuarono fino al 1309, non senza cke anche gli altri signoři di Duino vi prendessero parte. Stava bene che Kodolfo II, come persona grata dopo siffatte imprese, venisse spedito nel 1308 coi nunzii ď Ar-rigo II di Gorizia al Patriarca, affine di cbiedere pel conte la carica ambita di capitano generale délia provincia la dimanda era ac-compagnata da grandi minaccie e promesse; minaccie e promesse che il conte seppe mantenere appuntino. In queir anno medesimo il padre di Eodolfo era stato, come vedemmo, confinato a Primano e dei feudi rimaueva investito Ro-dolfo, il quale, dopo avere si bene sorvito il conte di Gorizia, deve essergli stato molto accetto. Oon tutto ciô il conte Arrigo non di-menticava il couveguo conchiuso coi Duinati nel 1308, pel quale senza il suo assenso TJgone II non poteva ne vendere ne impeguar terre o beni di sorta; onď è che nel 1312, sebbene i Duinati rico-jioscessero il feudo di Fiume non dal conte di Gorizia, ma dai Vescovi di Pola, probabilmeute a nome di Ugone gU fu porta pre-ghiera da Rodolfo di Duino, da Nassiiiguerra suo cugino (fratruelis), da Matteo, giudice di Fiume, e da Vulfingo, capitano di Duino, di concedere a Nicolb Alberti di Venezia tutti i dazii di Fiume per sei anni. Bodolfo promette al conte in presenza e coll' assenso che dà Nassinguerra per sè, per suo figlio Ugolino (Ugone III) e suoi eredi, di non impedire la riscossione di quoi dazii, e il giudice di Fiume col capitano di Duino giurano anch' essi al conte che, se Rodolfo e i subi parenti fossero per mancare alla promessa, ammi-nistrerebbero pel conte stesso la città di Fiume ed il castello di Duino e lui solo ricouoscerebbero per signore Dovrebbe credersi ' Ivi, 10 e 21 febbraio 1306. ^ Ivi, a. 1308. » Arch. Imp. 1312, 10 settembre, Civiđale in camera dommi comitis Goritie (orig.) che cio sia stato fatto iiell' interesse dell' Alberti, quale creditore dei Duiuati: not lo deduciarao dal riscontro con altra uotizia, se-condo la quale Ugone U avrebbe contratto a Venezia un grossis-simo prestito. Trovasi infatti negli atti veneti ' che Ugone di Duino nel 1304 spediva a Venezia il già nominate Matteo, giudice di Fiume, per ottenere da quella Repubblica non solo alleanza di tuon vicinato, ma la somma a quel tempo ingentissima di 8000 lire, che egli assicurava sopra i dazii della sua città di Fiume. La Repubblica, come vedremo in altro esempio cousimile, faceva che mutui siffatti venissero assunti da qualche cittadino private. E qui non possiamo non deplorare che le dispersioni avvenute negli ar-chivii di Fiume, ci privino quasi ď ogni notizia intorno al governo del Duinati in quella città. Nell'anno seguente, 1313, cade il compromesso da noi ram-mentato altrove pel quale si aggiudicava a Rodolfo II ed a'suoi nipoti il possesso di Zuino nel Friuli. A questa decisione perb il conte di Gorizia non apparisce aver preso parte; ne si pub prestar fede ad altra notizia riferita dal Palladio al medesimo anno. Sap-piamo che, surta ' questione fra il Patriarca Ottobouo de' Razzi e il conte Arrigo di Gorizia per alcune terre che questi teneva oc-cupate, il Patriarca con poca avvedutezza strinse contro di lui una lega col duca ď Austria, con Padova e Trevigi. Venutosi allé armi, narrano il Verci ed altri storici che gli Austriaci tentarono occu-pare Tolmino, ma furono prevonuti da Arrigo. Ottobono, dopo aspet-tati indarno i soccorsi degli alleati, fu costretto a conchiudere una pace per lui dannosissima. Ci racconta invece il Palladio ^ che, scoppiata la guerra, doveva il duca ď Austria sotto il comando del Vescovo di Gurk inviare le sue genti a presidio del castello di Duino, guardato per il Patriarca da Ottobone sue nipote; che saputosi cib dal conte di Gorizia, corse egli il decimo giorno di settembre all' assedio di quel castello, il quale, combattuto per alcuni giorni e non isperando soccorso, se gli rese il 6 ottobre, salva la vita e la liberta dei difensori. Che poi, lasciatovi a guardia Paolo Boiano, il conte di Gorizia si volse contro Udine. — Da nessun documente apparisce neppure un lontano sentore di questo fatto; dei Duinati, del loro capitano non si fa parola; a malgrado del-r ingerenza acquistata dal conte Arrigo negli affari di Duino, i ' Vedi la raccolta del Prof. Ljubic a. 1304. ' Vedi pag. 132. ' Stork del Friuli, Parte I, pag. 294, signoři fiel castello rimanevano sempře i Duinati, i quali uon avreb-bero potuto sostetiere una parte tanto passiva, da non entrare per nulla iu una disputa fra il Patriarca ed il. Goriziauo in casa lore, e da lasciarsi linanche mettere a guardia del loro castello un fo-restiero. Laoade, omesse moite altre riflessioni, uon si puô credere se non, che il Palladio abbia scambiato Duino con Tolmina; il che va notato fin ď ora, per non lasciarsi indurre in errore anche da altre sue asserzioni che dovremo allegare. Ma finalmente venne il giorno del rendicoiito anche per Rodolfo II, il quale dalla connessione dei fatti deve dedursi essero stato nel 1314 côlto da grave malattia, ed indotto a far testa-mento; poi o si rivolse a migliori pensieri, o riraase infermo per il resto délia sua vita; pei-occhè da indubbie testimonianze racco-gliamo ch' egli visse ancor lungo tempo; ma il suo nome uon com-parisce più se non nei contratti di famiglia o nelle investiture. Con atto del 5 gennaio 1314, dettato alio scriba dominorum de Duyno, egli riconosce e déplora il maie che ha fatto, e cercando ripararvi dov' è ancora possibile, impone a Nassingaerra ed Ugone di Duino, suoi nipoti, di riuunciare ail'avvogheria di Pieris {Villa de Pétris que in theutonico Stayndorf appellaturj e di restituire il mal tolto a Mattia, abate del monastero di Beligna Questi da parte sua rimette a Rodolfo i danui sofferti e gli concede 1' im-plorato perdono. Dalle diverse scritture da noi riportate, scorgesi che Rodolfo II uon ebbe figliuoli; ma esse non ci spiegauo per quai motivo gli altri Duinati che troviamo nel patto del 1308 fra Ugone II e il Conte di Gorizia, più uon si ricordino e si trovino in vece di loro nominati o Nassinguorra e suo figlio Ugolino, o i nipoti in genere. In quella del 1312 Nassinguerra è detto cugino (fratruelis) di Rodolfo; ed essendo documento attendibile, a questo credo do-vermi attenere nell'indicare la parentela; il testamente che li chiama nipoti jion è che una copia frammentaria; e 1' atto com-promessario del 1313, non accenuando chi sieno questi nipoti, po-trebbe inteuder altri che non Ugolino e suo padre Nassinguerra, 0 prender la voco nel lato seuso che si usava a quel tempo. Ma poiqhè di Rodolfo II non abbiamo altri fatti da nar-rare, toccheremo di lui dove sarà da far parola de' suoi fratelli,. coi quali viene in sèguito nominate. ' Frammento pubblicato dal Cod. Dipl. Istr. 1314, 5 gennaio, in damo, ante poríam- castri Duyni (copia délia collez. Pirona.) 5. Ugone IV. Nè đi Nassinguerra ne đi Ugolino .suo figlio (Ugone III), viene più fatta meuzione. Vero è che quanto siamo per esporre interno ad Ugone IV, ci lascia incerti a quale degli Ugoni sia da ascriyersi e se dobbiamo tenere che Ugone II, dopo confinato a Primano, abbia potato in sèguito ricuperare talmente la grazia del conte di Goi'izia, da tornare al suo fianco. Ciô non ostaňte, mancando ngni indizio per asserirlo, inclinerei a credere che ormai trattisi di Ugone IV, il quale, seconde le poche notizie ge-nealogiche trovate nei documenti, dovrebbe essere suo figlio. Âbbiamo anzi tutto un atto notarile di Simouutto da Tar-cento, in cui Ugone fer sè e per i suoi fratelli e consanguinei si accorda con Giovanni figlio del fu Federico ed altri signoři di Castello, per eleggere ad arbitre il comune amico Pileo da Prata jielle contese avvenute per una masnata di servi ed altri diritti controversi '. Non possiamo ammettere che nel 1317 fosse Ugone II quello che fece co suoi fratelli il dette contratto, perche, tranne Federico, se pure fu suo fratello, gli altri più non si rammentano dopo il 1300. Ugone III neppure, perché mai vien ricordato che avesse fratelli. Dunque crederemmo che fosse Ugone IV e che suoi fratelli sieno i figli di Ugone II ^ Altrove a dir vero siamo. iudotti a prenderlo per loro cugino; ma non vi corrispondono le altre indicazioni. Il nome di Vghezze, che vien dato ad Ugone IV, non porta difficoltà; è un distintivo da altro Ugone, corne Ugolino è un diminutive, che si adopera finchè vive un Ugone seniore; cosi tro-viamo Rudlein (Eodolfino) Ànderlein (Andreotto) e simili, i quali, morti i più vecchi, si chiamano Rudolf ed Andre. Stimo pertauto essere sempre il medesimo Ugone IV quello che dicesi ora UgJiezze^ ora Ugone il giovane, ora Ugolino, ora semplicemente Ugo ed Ugone-, lo stimo figlio di Ugone II; stimo ascrivere a lui quello che sono per narrare. Nel 1297 Ugone IV era già sposato cbn una Matilde, il cui casato è omesso; lo afferma un contratto, in cui Ugone iuniore (Haug der jungere) e Matilde sua moglie vendono a Guglielmo ' Dali'Arch. not. di Udine, 1317, 21 luglio Gorizia. ^ Vedi pag. 156, di Eotenpuhele uua villa ed altri beni in Wage, preseiifci Arrigo duca di Carinzia e 1' abate Arrigo di Liittich Parecchie investiture si notano nel Thesaurus Ecclesiae Aquileiensis, come che seiiza data, conferite a lui o ad altro suc omonimo, fra le quali le dogane, le decime e la giurisdizioue di Arispergo, di Los, di Cliirchnitz, di Vipacco e ď altri luoghi ^ Ma quelle che ci fa vedere anche Ugone, come gli altri membri délia sua famiglia, oc-cupato nelle cose ď oltremonti, è un documento, dov' egli assiste come primo testimonio ad una couveuzione fra 1' abate di Obern-burg e i conti di Heunburg, avvogari del Tuonastero, per i danni e la prigionia da quello sofferti I conti- di Heunburg, signoři di ricche possessioni nella Carinzia, nella Stiria e nella Carniola, erano la prima schiatta dalla Carinzia, dopo i conti principeschi, ed avevano estesissima influenza. E poichè Ugone IV è uno dei più illustri e piii culti cavalieri di casa Duino, non fa meraviglia vederlo a contatto anche con loro. Se non che, meno violento per indole di Eodolfo II, e vôlto a cose più alte, doveva Ugone trovare specialmente nelle imprese del conte Arrigo II di Gorizia la vera palestra da esercitarvi il suo valore. L' energica attività del conte goriziano erasi mostrata, ap-pena conseguita la carica ambita di capitano generale d'Aquileia; e a malgrado délia guerra del 1313 contre il Patriarca Ottobono da noi rammentata \ Arrigo II aveva dato segni non meno di valore che di fermezza, nel reprimere le intestine fazioni. In questi avveuimenti comincia ad apparire Ugone IV come ministeriale ď Arrigo e sembra che egli lo accompagnasse auche quando il conte si condusse con isplendido sèguito a Pisa, dove trovavasi già dal 1312 r Imperatore occupato dell'impresa di Napoli. Quivi è che il goriziano, entrato in grazia délia corte imperiále, si preparô il terreno a nuove e piti vaste imprese. Can Grande délia Scala, sostegno dei Ghibellini, nutriva grandi disegni suir Italia orientale, che divisava di assoggettarsi. Sui comuni di Padova e di Trevigi gravava il dominio dei Carraresi e dei da ' Arch. Imp, 1297, 5 genuaio (orig.) ' Koliilo G, no. 667, pag. 253; rotulo H, no. 795, pag. 275;rotuloO, 110. 987, pag. 304. ^ Arch. Imp. 1319, 22 fehbraio Prassberg. (orig.) — Ugone viene anche eletto esecutore dell'ultima volontà di Norico di Mimiliano in Muggia in un testamento che apresi nel 1324. Arch. gen. di Venezia, Corn memo riali, Vol. II N. 402-1324, 20 febbraio, Muggia. ^ Vedi pag. 166. Camlno. Fra gli iiltimi Guacello, che parimeiite favoriva gl' Impe-rlali, meditando di unirsi alio Scaligero ed al conte di Gorizia, era stato -cacciato da Trevigi, che prodamo la sua iiidipendenza. Ma il conte di Gorizia, uscito in campo a nome d'Arrigo VII contro i Trevigiani e i Padovani, dopo parecchi scontri felici, otteiine clie i Trevigiani si assoggettassero ail'Imperatore. E fu Ugone di Duino, che giurô la pace nel 1314 insieme con altri ministeriali a nome del conte Arrigo '. Ciô diede occasione alio Scaligero di proseguire i suoi divi-samenti. Nel 1317 venne sopra Padova in compagnia del conte di Gorizia; perô la città, animata dal suo Vescovo Pagano délia Torre, resistette non solo con grande valore a' suoi assalti, ma strinse imova lega con Trevigi, alla quale accedeva anche Rinaldo délia Torre, vicario ď Aquileia, coll' autorita del Patriarca Gastone suo fratello. Can Grande credette meglio ď accomodarsi coi Padovani, e fatto accogliere dai cittadini lacopo da Carrara suo amico, si rivolse contro Trevigi. Nel novembre del 1318 Uguccione délia Fagiuola tontava sorprendere la città a tradimento; scoperta la trama, veniva protiigato. Allora lo Scaligero ianito al conte di Gorizia ed a Guacello da Camino, procedette ail' assedio regolare délia città. Stretta dalla fame, Trevigi non trovo altro spedieate, che di eleggersi a protettore Federico il Belle, duca ď Austria che, eletto anch' egli Imperatore dopo la morte ď Arrigo VII, contendeva con Lodovico il Bavaro per la corona. Viste mutarsi le sorti, Can grande gettossi dal partito del Bavaro ed a Soncino si fece proclamare capo délia lega ghibellina. Frattanto Guacello non si stava dali' occupare Sacile e Caneva, batteva i Trevigiani alla Piave, assediava Conegliano e devastava il paese tutto ail' intorno. Ma il conte Arrigo di Gorizia ottenne da Federico il Bello, suo parente ed amico, l'incarico di rappre-sentarlo a Trevigi, non senza grave offesa di quegli abitanti che sospettarono mandarsi il conte goriziano per assoggettare la città al suo assoluto dominio. Se non che, montre essi deliberarono ď accomodarsi col Camiiiese o collo Scaligero, il conte di Gorizia fece i suoi apprestamenti per eseguire 1' occupazione. Fra le milizie ac-corse sotto le sue insegne trovossi fra i primi Ugone di Duino cum quatuor equitibus galeatis et quatuor balîstreriis et cura centum peditibus e insieme con lui sembra esser venuto anche Federico ' Arch. Imp. doc. del 1314-, 6 e 12 ajmle (orig.) Buo zio '. Esseiiđo ormai imposaibile cli resistere, non rimase ai Trevigiani altro partito, die di venire ad accordi; e fii pattuito, che il conte goriziano non entrasse in città, se prima tutto il ter-ritorio non restava sgomberato dai nemici. Il che venne fatfco ad Arrigo con molta fortuna: Conegliano, Ceneda e gli altri luogW in breve tempo caddero in suo potere; il 19 giugno del 1319 il conte entrava in città accompagnato da Ugone di Dnino e da Federico de Sdavonia, dove fu ricevnto con gran festa ed onore. Non è an cor tempo d i narrare il' sègnito di questa impresa compita sotto Padova, alla quale vedremo prender parte Uldarico di Walsee; qui dobbiamo restringerci a quanto avveniva in Friuli ed ai fatti cb.e riguardano il Duinate. Ma prima diciamo qaalclie cosa anche delle sue attinenze con altre regioni e persone di quel tempo, dalle quali apprenderemo a meglio conoscere 1' indole di Ugone IV. Ck' egli entrasse 1' anno 1313 nella famosa congiura di Marco Ranfo, intesa a restituire in Trieste il dominio comitale dei Vescovi col togliere alla città le acquistate franchigie, è una ben intesa íinzione poetica, la. quale oiîre campo ad un bell' intreccio nella lodata tragedia di quel nome ma non ha fondamento sto-rico. Altra invenzione fantastica è quella che ascrive ad Ugone o ad un suo omonimo 1' avventura délia Dama bianca impietrita sopra lo scoglio di Dui 110. Qualche fondamento maggiore ha in vece la tradizione, che a quel tempo Duino sia stato visitato dall'Alighieri. lo mi guardero bene dal confutare 1' opinione del Bianchi, il quale stima impossibile il soggiorno del fiero Ghibellino presse l'acerrimo sostenitore dei Guelfi, Pagano délia Torre nè certo prenderô la difesa dei sassi e delle grotte derise da lui cou si amara ironia, e che anche a Duino portano il nome àeW altissimo Poeta; non recherô neppure i nomi autorevoii di tanti scrittori che da lui dissentono. La profonda critica, colla quale ragiona il Bianchi, esige da chi vuol confutarlo, non già poche righe, ma un dotto volume pari al suo. Osservo. soltanto che Gastone délia Torre non meno ' Quello che vedemmo risiedere in Primano e di cui ci è occorso too-care qua e là. Tanto Ugone quanto Federico vengono da scrittori veneti con nome generico chiamati de Sdhlavonia, Ugone perô dicesi anche espressamente de Buyno. Vedi la Cronachetta di Liberale da Levada : De jjrodííioree Tarvisii. Del ch. Avvocato Dott. Luigi Cambon, verso il quale ho un debito di particolare riconoscenza, per essere stato da lui introdotto nell'Archivio di Trieste, e guidato con tanta cortesia nelle mie ricerche. ® Vedi l'opéra citata, Del preteso soggiorno di Dante in Udine ecc. che Pa,gano appariscoiio aver coiiosciuto Dante in Lombardia ed in Asti alla' corte di Arrigo YII in un momonto di singolari contrast! ď interessi, per cui una parte della famiglia Torriana e Dante me-desiino avevano riposto in Cesare le loro speranze. I due partiti si gepararono poi più inaspriti che per lo innanzi; ma sarebbe forse la prima volta clie due capitani o due nemici politici si combattono ad oltranza, senza rompere per questo un' amicizia privata? Havvi nel divino Poema o in altri scritti di Dante una sola parola acerba contro Pagano? E questi non era certo persona da risparmiarsi dal partito contrario. Ma posta pure come verità storica l'impossibilità di un nuovo incontro fra Dante e Pagano, neppure col libro del Bianchi si puo dedurre dalF impossibilità, che l'Alighieri fosse ospite di Pagano, anche quella, ch' egli venisse accolto nel castello di Duino, il quale e sotto il padre e sotto gli zii ď Ugone serba ricordo di splendide feste ivi tenute e di liete accoglienze fatte a cavalieri e poeti. Non era Ugone IV di quei rozzi uomini ď arme che furono Rodolfo II e qualche altro Duinate. Egli era in relazione colle piii illustri famiglie ď oltralpe e condusse gran parte della sua vita in Italia; le sue attinenze erano specialinente coi Veneziani, con Padova e Trevigi, che molto infiuirono sulla cultura anche delFriuli; Arrigo II di Gorizia, di cui Ugone IV rimase costante seguace, è lodato come il più splendido principe della sua casa. Certo che, dove non trovansi documenti a provare un fatto, non restano che congetture; ma anche queste hannb un valore e quando pure non vogliano prendersi dalla tradizione, sempre rispettabile, purchè rettamente interpretata, nel caso nostro possiamo poggiarle anche su altri indizii. Ugone tenne anch' egli dapprima dai Ghibellini, e non fu nemico di Lodovico il Bavaro se non per transitorio interesse. Dante descrive quel punto dell' Istria che doveva maggior-mente attrarlo, con una verità, quale non puo esprimersi se non da chi lo vide e non solamente lo vide, ma seppe sul luogo stesso trame una similitudine ed una pittura da pennello sovrano '. Dopo il 1313 elessero stanza in Trieste tante famiglie ghibelline, che a ' Si corne ađ Arli, ove '1 Rodano stagna, Si corne a Pola pressa ciel Quarnaro, Che Italia chiude e j siioi termini bagna, Fanno i sepolcri tutto il loco varo; Cosi facevan quivi d'ogni parte, Salvo che '1 modo v'era piii amaro. Inferno IX, 112 e scgg. Dante furono compagne ď esilio e di srentura: fra gli altri gli Agolanti che erano in relazione coll' Alighieri. La loro casa dicesi essere stata a Riborgo, vicino a quella che fu poi abitazioue del P. Ireneo della Croce; e quivi avrebbe soggiornato an che Dante. Se da Trieste egli si spinse fino a Pola, Duino non era certamente luogo tanto ignobile, ne tanto fuori della vista, da non attirare tosto gli sguardi dell' Alighieri ed iiivogliarlo a Todere piii da vicino quel castello, che da Trieste si preseuta cosi maestoso dall' alto del suo scoglio. — Poiche non meno di sette città si disputarono il vanto ď aver dati i natali al cieco vate Meonio, sarà, spero, scu-sabile anche Duino, se tenta vendicarsi 1'onore piii modesto, d'aver ospitato fra le sue mura il divino Poeta. Ma lungi da ardite as-serzioni, mi contento ď osservare che, montre aleggia tutto aH' in-torno in queste regioni la fama della venuta di Dante, fa meraviglia non essersi ancora trovato fra tanti elettissimi ingegni che vanno illustrando la storia triestina, chi di proposito si occupasse della questions, s' egli abbia davvero visitati i lidi istriani. La signoria di Duino, coniinando col mare, trovavasi natu-ralmente a contatto colla illustre e potente Repubblica che del-l'Adria s'era proclamata regina. Già fino dal 1234 abbiamo veduto i Veneziani distruggere il faro che additava 1' imboccatura del porto al Timavo e, convertitolo iu luogo munito, chiamarlo Belforte; fin là giungeva il loro dominio. Colla forza se ii' erano impadroniti e colla forza vi si mantennero, chiudendo sinanco a lor beneplacito 1' ingresso del porto colle catene. Sotto Ugone IV non trovasi che Duino fosse peranco provveduto di legni da tenore aperta la comunicazione con Fiume, situato al lato opposto del dominio dei Duinati. C erano pero le barche pacifiche, le quali servivano al trasporto degli uomini e delle derrate lungo la Costa, conducevano le merci al mercato di S. Giovanni, span-devansi pel golfo alla pesca e facevano capo al porto del Timavo destinato alio spaccio del pesce. Ma i comandanti di Belforte, gante di pasta tutť altro che arrendevole, vi facevano da padroni. Il perché le querele per le molestie ch' essi davano ai sudditi di Duino ed ai forestieri, quando eutravano ed uscivano del porto, e le risse che ne seguivano erano molto frequenti. Di questo ser-vaggio di navigaziono imposto dai Veneti, se tutti si lamentavano, ueppure i Duinati erano contenti. Fin dove giungevano le loro forze, cercavano farsi giustizia da sè, specialmente colle rappre-saglie 0 coll'impedire che dal mercato di S. Giovanni si traspor- tassero vettovaglie a Belforte; e più ď uua volta si veime a sérii coiiflitti ed ingiurie anche fra Ugoiie IV o quel comandante. Ma finalmente le cose giunsero a tale, clie Ugoue, buon amico nel resto dei Veneti per la relazioiie con Arrigo II di Gorizia, nel 1323 si vide costretto a muoverne formale querela presso la Repub-blica, mandandovi come suo rappresentante quel cavaliere Doimo di Fiume, il quale con suo figlio Giovanni trovasi più volte citato ira i più cospicui ufficiali dei Duinati. Accusavasi il comandante di Belforte di turbare particolarmente la celebre fiera di S. Giovanni; lui taglieggiare i passanti ed impedire la pescagione, lui visitare le barche e vessarne la gente; lui non permettere che i vignaiuoli si conducessero per acqua ai lore lavori; lui molestare sinanco la famiglia Duinate, quando per diporto o per divozione andava per mare al tempio ed al porto del Timavo '. Sembra che questi richiami, bencbe aucbe Ugone avesse i suoi torti, ab-biano trovato ascolto, conciossiachè la buona concordia sotto di lui non rimase turbata, laddove più tardi le ostilità fra Veneziani e Duinati divennero acerrime. Anzi ancora in quell' anno Ugone, essendo in dissidio con quei di Parenzo, ricorse alia mediazione della Eepubblica, per aver un paciere cbe mettesse fine alia lite e per istringere accordi di buona vicinanza. II senato si diede premura ď affidarne 1' in carico a Nicolô Malipiero, il quale, an-dando podesta a Montona, poteva sul luogo assestare le cose. Tanto bene se 1' intendeva anzi Ugone colla Signoria, che chiese anche di stringere parentado in Venezia, trattandosi forse di dar moglie a suo figlio Ugone V. In pari tempo le strettezze econo-miche, in cui trovossi anche Ugone, lo spinsero a chiedere un nuovo prestito, come aveva fatto Ugone II nel 1304, impegnando le gabelle di Fiume. Alia prima dimanda il governo veneziano rispose che gli si lasciasse tempo a pensarvi e a trattare; quanto al denaro, vedrebbe di trovarne presso i privati I Che la casa di Duino fosse avvezza a vivere splendida-mente e a spender molto, si vede dal narrato fin qui e si vedrà anche meglio più innanzi. Percio non ci sorprendono i debiti con-tratti in ogni tempo dai Duinati, pei quali più volte furono spinti a ricorrere anche ai banchieri ebrei, pagando altissimi censi. Ugone IV particolarmente deve aver mantenuto un sèguito nume- ' Arch. gen. di Venezia, Commemor. Vol. 11, doc. 159. Ivi, Vol. I, doc. 246. i'oso ed una corte ragguardevole Delia sua munificenza ci è prova 1' erezione délia chiesa e il monastero degli Agostiniani in Fiume, compiti poi piii tardi, nel 1408, da Rainberto di Walsee. Fu questa la stazione prediletta dell' una e dell' altra famiglia, le cui ceneri in parte riposavauo in quegli avelli. L' atto di. foiidazione del 1315 è andato perduto, ma è ricordato dal Bauzer colle seguenti parole: Flumine S. Viii... coenobmm 8. Augustini eremitis auapicatur (sic) feriur Hugo de Duino dominus, cui coenohio supremam manuhi imposuerat Riiperius (sic) de Walsa. Fundationis db Hugone con-ceptae^ tabulae dispanoerunt-. Ruperti etiam memorato anno (1408) confecta fimdatio temporis iniuria vitium contraxerat, quam funda-tionem a Ferdinanda I. Augusto innovatam inferius trademus '. Tutti questi particolari servono a dimostrarci sempra piíi, che Ugone IV seppe elevarsi al di sopra degli altri del suo casato, per una cultura e politozza di costumi e per una generosita che fu effetto, oltre che ď indole meno aspra, della societa con cui ebbe a trattare. In grande concetto lo tennero sempre e Federico il Bello, da cui, dopo 1' occupazione di Trevigi, venae creato anche capitano di Conegliauo % e i conti di Gorizia, che in tempi sca-brosi affidarono a lui la somma delle cose. Alia morte inopinata di Arrigo II conte di Gorizia, il duca di Carinzia, ex re di Boemia, ebbe la tutela del minorenne Giovanni Arrigo: contutrice e loggonte dolla contea divenne la vedova contessa Beatrice. Ugone IV che avova portato il funesto annunzio di quella morte, venne eletto a sosteiiere le voci dell'infante Giovanni Arrigo, sostituito per acclamazione dai Trevigiani al padre suo nella reggenza del comune, in gratitudine verso la casa di Gorizia e per timore dello Scaligero. Trovasi'quindi Ugone IV nel 1323 portare il titolo non usato nei tempi ordinarii, di capitano generale della contea di Gorizia e della terra di Trevigi % e di là íiuo al 1328 assiste Beatrice nelle sue varie vicende e contese in Gorizia, a Trevigi e nel Friuli. I Goriziani, per cominciare da questi, veduto il lore governo cadere nelle mani di una donna, e forse malcontenti dall'assenza di Beatrice che, per fare cosa grata a Trevigi, erasi colà condotta ' Lil). VIII, cap. 6. Kandler, Indicazioni ecc. a. Vilb-. Annali di Fiume, lU'll'Almaiiacoo fiiimauo del 1859-60, mcdesimo amio. '' Cio apparisce dai Commemoriali veneti, dagli spogli dei notari ď Udine. ® In una investitura data a Federico di Savorgnano 11 26 ottobre ] 324 a Rosazzo; Baecolta JBianchi, Amuili del Manzano, Palladio, pag. 315. insieme col suo pupillo, cominciarono a tumultuare. A Gorizia era rimasto Ugoue sprovveduto di forzo; scrisse quindi il 27 giugno del 1325 alia contessa, avvertendola prepararsi una ribellione contro di lei, e che egli coji Arrigo di Peuma e cogli altri fedeli cerca-rono tosto provvedere alia difesa; ma avervi bisogno di pronti soccorsi. Volesse percio itiviai'gli tutti i cavalieri armati, di cui poteva disporre, con almeno quattrocento fanti; essere facile unir questa gente dai diversi distretti e terre della marca trevigiana. Ma air istanza di Beatrice i savii del comune di Trevigi risposero dimostrando l'impossibilità di mandare ad Ugone I'aiuto richiesto Fu duopo ricorrere al duca di Carinzia, intanto che Beatrice, con-sigliata anche dai Trevigiani, affrettossi a tornare a Gorizia, la-sciando la custodia di Trevigi al podesta Giuliano Malvezzi ed al capitano di S. Martino Giacomo di Cormons. Ma appena quietati i movimenti sediziosi del Goriziano, ecco sorgerue altri a Trevigi, lacerata da discordia intestina. I savii diedero alia contessa autorita di provvedere cogli anziani alia sicurezza della città; a ricomporre le cose venne maudato Ugone, munito di patenti del duca di Carinzia e di Beatrice. Giunto a Trevigi, cangio tosto il capitano del castello di S. Martino, sostituendovi Gerardo di Pólcenigo. Cercô quindi di dare provvedimenti per quietare le dissensioni ma intanto Bavari e Boemi, Austriaci e Carintiani sotto il duca tutore prendevano in-gerenza nei negozii di quel comune, con offesa non meno della contessa che della città, la quale rifiutossi di riconoscere il nuovo vicario. Finalmente nel 1329 1' incuria del duca di Carinzia, il quale per la sua deb^olezza si vide fuggir di mano non meno il regno di Boemia, che la città di Padova, die^e buon giuoco alio Scaligero, e la marca trevigiana, mancatile i soccorsi implorati, dovette a lui assoggettarsi. Il conte Giovanni Arrigo perdette in tal guisa quella ricca provincia, il cui vicariate sotto suo padre aveva servito a Gorizia di tanto onore e vantaggio. Ugone perô era mancato un anno prima. Non meglio andavano le cose del Friuli. Il Patriarca Pa-gano della Torre, forse per aver indugiato a concedere le investiture chieste da Beatrice pel suo íiglio minorenne, era in rotta con Gorizia; questa ricorse agli aiuti del duca di Carinzia e ' Verci, Storia dolla Marca Triv. Vol. IX pag. 64. " Palladio, op. cit. Parte I. pag. 316. ď Ottone ď Austria. Grave era in pari tempo il conílitto fra 6e-mona e Gorizia pel transito delle merci che di Germania venivano in Italia. Anche Ugone di Duino, per sostonere le ragioui di Gorizia, avutoue ordine dal duca di Cariuzia, s' era dato a scorrere colle sue genti il territorio patriarcale, nè melto ando oke i Ge-monesi gli si fecero incontro. Le file s' ingrossavaiio ogni giorno e i danni e i disordini minacciavano di farsi sempre piii gravi, in-tanto che le trattative ď accomodamento fra il Patriarca e Gorizia si traevauo in lungo. Nel 1326 Pagano, assente per le guerre di Lombardia, chiese anche la restituzione del castello d'Arispergo ', i cui redditi, siccome vedemmo erano goduti da Ugone di Duino, e intanto mandava ordine da Piacenza ď impedire allé genti gori-ziane il passaggio per il Friuli, scrivendo al gastaldo di Meduna ď aver inteso come Gorrado ď Auffonstein ed Ugone di Duino for-tificavano la lin'ea délia Livenza, per assicurare il passo délia Meduna a' loro cavalieri e pedoni con pregiudizio délia Chiesa ď Aquileia. Dovere i terrazzani opporsi a questi conati, negando ai nemici ogni sorta di vettovaglie. Simili ordini rinnovavansi da Udiue iiel segueuto dicembro L' auno appresso si vennc ad un qualcho accordo fra Gorizia o il Patriarca; in esso fu stabilita anche la restituzione ď Arispergo; ma fu piuttosto tregua che pace. In questo frattempo il tutore di Giovanni Arrigo di Gorizia aveva assognato ad Ugone di Duino 1' annuo stipendie di dugento marche, quai capitauo délia contoa, del Carso, dell' Istria e del Friuli, col risar-cimento dolle spese sostenute nelle diverse guerre. Accumulavasi pure sopra di lui F amministraziono dei beni allodiali teuuti dai conti di Gorizia \ Come capitano di quella contea, spedivagli anche Trieste i suoi messi per trattare con lui d'amicizia e concordia. Di questo petero e délia somma fiducia riposta in Ugone dalla corte goriziana, lo vediamo far uso un'ultima volta neU'anuo estremo délia sua vita 1328, invadendo insietne col signore di Pie-trapelosa il territorio patriarcale dell' Istria. Perô nel suo testamente Ugouc aveva ordinato ad Odorico di Cucagua, ad Alberto di Prata ed a Grilando di risarcire quei danni coi proprii beui. Il che non essendosi eseguito, fu dato ordine dal parlamento rac' Museo d'Ucline Baccolta Bianchi, 1326, 9 novembre, Udine. - Pag. 169. » Museo ď Udine 1326, 26 ottobre, Piaceuza; 8 dicem1)re, Udine. < Arcb. Imp. 1328, 18 maggio, Gries. (orig.) Cod. Dipl. Istr. dai Schatsi-kammerMcher di Graz, Tom. I, pag. 661. colto dal Patriarca di maudar Jiuiizii a Gorizia due caiionici eletti dal eapitolo ď Aquileia, per ottenere il risarcimento Con questo Ugoue di Duiiio il Palladio vuole estiiita la linea maschile dei Duiuati; egli avrebbe lasciata dopo di se un' unica íiglia ereditiera, accasata con Ramberto di Walsee, e in tal modo il castello di Duino cogli altri beni ď Ugone sarebbero passati a quella famiglia ^ Quanto qui pure il Palladio s' inganni, risulterà dal sèguito di questa storia. Intanto da quello che abbiamo potuto raccogliere intorno ad Ugone IV, apparisce non solo corae la casa di Duino sotto di lui andasse crescendo sempre piîi in grandezza e potere, ma corne egli sia stato altresi uno dei cavalieri piii chiari délia medesima, avendo saputo svestirsi anche in mezzo alla guerra di quella ruvidezza che incontrammo fra gli altri Duinati. 6. Giorgio. Di Giorgio, signore di Duino, abbiamo un dato sicuro a cui attenerci, essendo egli più volte ramm.entato uei documenti come íiglio di Ugone: e questo dal confronte delle scritture apparisce non poter essere altri che Ugone IL Ma il tempo in cui si parl.a di lui, dimostra ch' egli deve essere degli ultimi figli del detto Ugone, nati dalla seconda moglie. Nel 1334 il Nobilis et potens vir ]J. Georius Dominus de Uuyno ricevova dal Patriarca Bertrando 1' investitura dei feudi antichi retti e leglttimi o legali, che diceva di avore o tenere dai suoi antenati, per se e suoi eredi, dalla Chiesa ď Aquileia, prestando giuramento di fedeltà e vassallaggio m lingua iheuionica e col-l'obbligo di dare in iscritto i feudi che aveva dalla predetta Chiesa ^ Non ci reca sorpresa che Giorgio prestasse il giuramento in lingua tedesca, sapendo quante attinenze avovano i Duinati coi paesi ď oltre monti, ed essendoci noto di Giorgio in ispecie, ch' egU fin là, intanto che Ugoue IV, portato dagli avvenimenti, prendeva parte aile cose ď Italia, era stato occupato nelle guerre délia Boemia e deir Ungheria ai servigi dei duchi austriaci. Anche fra 1 conti di Gorizia ve n'ebbe qualcuno che non sapeva l'italiano; Alberto II, ' Palladio, op. cit. Parte I. pag. 321 e seg. ' Op. cit Parte I, pag. 322. ' Da copia coutemporanea in quadenio in porgamena, esisteiite ora uell'arch. prov. di Gřraz, 1334, 27 novembre, Cividalo, morto nel 1303 parla va un tal liuguaggio barbaro ed aspro, eho ave?a bisogno ď interprete per intenclersi col vicino Friuli e coi Veneziani. Notiamo piuttosto, per quelle che diremo dappoi, 1' ob-bligo assuiito da Giorgio di Duino, di dare in iscritto un eleiico dei feudi aquileiesi, che gli furono conferiti. Un' altra investitura cioè dol castello di Coslach e délia torre di Cholnitz, ebbe Giorgio nel 1342 dal medesimo Patriarca Bertrando, in comune con suo fratello Rodolfo II e con Ugolino (Ugone V) figlio dol fu Ughozza od Ugone IV '. Giorgio e Rodolfo ijello strumento notarile vengono esprossamente chiamati figli di Ugone (II); Ugolino è detto loro comobrino, ondo verrebbe che Ughezze suo padre od Ugone IV, sarebbe non fratello, ma cugino di Giorgio e Eodolfo ; so non che questo sembra contraddire al documento del 1317 '' dove si parla di fratelli, non di eugini. I primi avvenimenti in Friuli che si riforiscono a Giorgio di Duino, coincidono colle agitazioni suscitate al tempo del Patriarca Bertrando di Gimies. Fra i piíi fieri oppositori con cui ebbe a lottare quel pontefice, inalzato dalla Chiesa dopo la sua uccisione all'onore degli altari, fu Rizzardo Novello da Camino, cho pero, debellato a S. Vito, poco appresso venne a morte. Intanto mancava di vita auche Arrigo di Garinzia, il quale, col vendere ai conti goriziaiii il feudo patriarcale di Venzone, aveva lesi i diritti dell'alto domino. Percib Bertrando si mosse a ricuperare quella terra, vincendo i Goriziani presso Osoppo. Di là i dispersi nemici si rifuggirono nel castello di Braulino; ma assaliti fin dentro i loro ripari, dovettero nel 1336 arrendersi a discrezione. Tanta importauza fu data ad un tale trionfo, riportato non pure sui signoři di Gorizia,'ma sugli indo-cili feudatarii alleati con quelli, che il Patriarca, appose le insegne dei vinti nella chiesa' maggiore di Udine e,, premiati con munifi-cenza i piíi valorosi del suo esercito, voile anche perennare la memoria del fatto con una festa alinuale, detta in sèguito la pro-cessione dei BrmiUni 11 suo decreto venne confermato dal Patriarca Lodovico della Torre nel 1364. La guerra pero rinnovavasi nel 1340, e fu in quell' occasione che il Patriarca, assediando Go-rizia, per timore ď una sorpresa, celebro la Messa del S. Natale in piena armatura sotto gl'indumenti pontificali; onde si dice ve- ' Arch. Imp. 1342, 25 giugno, Cividale, (orig.) = Vedi pag. 168. » Mnseo di Udine, Raccolta BiancU, 1337, 24 agosto, Cividale (copia). inito il costume cli dare in quella notte nello cattedrali di Udiiio e di Gorizia la benedizione colla spada. Fra i seguaci dei Goriziani vinti a Brauliuo rimasero pri-gionieri Giorgio e Nicolb di Duino, il quai ultimo fu forse fratello di Giorgio. Poco tempo imiaiizi Giorgio aveva aucora assistito come testimonio in una collazione di feudi del Patriarca Bertrando ai conti di Gorizia. Nei patti couchiusi tre giorni dopo la resa di Braulino, Giorgio viene esplicitamente chiamato capitano délia contea di Gorizia Come tale puó darsi ch' egli entrasse negli avveni-menti degli anni addietro, massime negli affari di Trevigi, quando 10 Scaligero ordiiíava al Podesta di quel comune ď informare sulle rappresaglie avvenute nel Friuli, di cui si lamentavano tanto il YÍcario ď Aquileia, quanto la contessa Beatrice di Gorizia ed allorchè il medesimo vicario e conservatore ď Aquileia protestava contro la consegna delle rendite patriarcali alla contessa, per servira alla difesa del Friuli assalito dal Caminese La carica stessa occupata da Giorgio di Gorizia è indizio che egli era succeduto ad Ugoue IV nella fiducia che ponevano i Goriziani nei Duinati. Ma ora trattavasi ď ottenere la liberazione dalla prigionia. 11 27 agosto del 133G Giorgio del fu XJgone di Duino, inginocchiato innanzi al Patriarca Bertrando insieme con Uldarico di Eeifem-berga, con Simone del fu Arrigo, burgravio di Gorizia \ e Federico di Vichimberga, giura di restar in prigione, salva la persona. Ma in pari tem.po sopra sicurtà gli viene promessa la liberazione fra quattro mesi. Qualora nel frattempo nou seguano accordi, Giorgio dichiara che tornerebbe in ostaggio per due mesi, scorsi i quali senza che fosse conclusa la pace, continuerebbe la sua detenzione. Era dunque Giorgio, come capitano di Gorizia, uuo dei principali ostaggi, a cui si teneva il Patriarca, per aver sicurezza che i Goriziani non rinnovassero le ostilità. Nicolô di Dnino e Volizia di Pisino furono invece liberati dopo il terzo mese, diotro promessa di tornare a costituirsi in febbraio, di non prender le armi contro la Chiesa ď Aquileia e di darne avviso quando altri congiurasse a' danni della medesima ^ Giorgio dimesso dal carcere nell' anno seguente, ' Eaccolta Bianchi, God. Dipl. Istr. Cod. Frangipane, 1336, 27 agosto, campo sotto Braulino. ' Yerci, Storia della Marca Trivigiana, 1334, 7 aprile, Padova. ® Ivi, medesimo anno, 4 luglio, Udine. ^ Da non contondersi coi conti di Gorizia; ne tratteremo nuovainente quando si parlerà dei Torriani. Cod. dipl. Istr. 1336, 27 novembre, Udine, AttidiGubertino da Novate, proraetteva una seconda volta cli đarsi in mano al Patriarca, qualora non fosse avvanuta la pace fra le due parti '. Ma dopo cinque mesi uasce una mutazione improvvisa, ina-spettata. Il Patriarca si riconcilia pienamente coi Duinati e stringe con lore un intimo accorde di pace, di buona amicizia g di difesa rociproca. Giorgio si stacca dai Goriziani e succédé fra loro la guerra. In sèguito cessano quasi interamente le attinenze fra Go-rizia e Duino. Quale sia stato il vero motivo di questo inopinato cambiameuto, è difficile indicare, qualora anclie qui, come forse al tempo d'Ugone II, i Duinati non abbiano rifiutato di riconoscere la loro dipendenza di vassallaggio dai Goriziani, gelosi dei Pa-tviarchi \ Rechiamo intanto il tenore del uuovo accordo. Giorgio del fa Ugone, cavallere di Duino, per se e per i suoi fratelli Ro-dolfo e Giovanni, come pure per Vgolino, figlio del fu Vgliezza di Duino suo consobrino e per i suoi dipendenti giura e promette a Bertrando, cbe egli e i suoi parenti saranno in perpetuo fedeli al Patriarca ed alia Cbiesa ď Aquileia e serviranno ad essi in ogni evento e contro ognuuo con tutte le forze di cui potranno disporre. Dall' altro lato il Patriarca promette a Giorgio ed ai suoi cou-giunti di difenderli, mantenerli e soccorrerli nelle persone e nei beni, secondo il poter suo e della Chiesa ď Aquileia. Se Giorgio e gli altri Duinati nel servizio dei Patriarchi avessero a soffrire qualche danno, vien promesso di risarcirli; la camera patriarcale pagherà inoltre ai signoři di Duino ogni anno la somma di mille libbre di piccoli veronesi, metá nella festa di S. Giorgio, metá in quella di Tutti i Santi. Il Patriarca finalmente s' impegna di far sancire questi patti dal capitolo ď Aquileia e dal parlamento generale dei prelati, dei nobili e dei comuni friulani; intanto li giu-rano e li ratificano' i signoři che sottoscrivono l'atto: fra Gilberte abate Mosacense, fra Gelardo (Gagliardo da Salvagnacco) abate Belignese, i cavalieri Ettore di Savorgnano, Bregogna di Spilim-bergo, Gerardo di Cucanea, Filippo do Portis; inoltre Arrigo, Os-salco e Fraucesco di Strasoldo, Nicolo e Giovanni di Castello, Ni-colussio di Villalta, Simonetto di Cucanea, Francesco di Manzano, ' Manzano, Annali del FriuU, 1337, 16 luglio, Udine, đalla vita đi Bťrtrando di M. Flono. ' Dai conti di Gorizia i Diiinati, come si disse a pag. 154, ricevevano l'investiUira di una parte del beni del Friuli. Giovanni di Rivai'otta, Simone đi Castellario, Arrigo di Garnia, Endnote e Nicolo di Udine '. Atto piu solenne, di maggiore intimità e di più grande van-taggio per la casa di Duino non poteva conchiudersi fra i PatriarcM e i Duinati; esso forma il più vivo coutrasto con quello clie avvenne neppure trenť anni dopo sotto Ugone VI, iiglio di Giorgio. Intanto dal 1337 in poi la maggior parte dei sigaori di Duino, mutata in nimicizia la buTDua relazione colla corte goriziana, combattono contro la medesima, prima sotto le insegne del Patriarca, poi sotto quelle dei ducbi ď Austria. Percio il loro territorio nel sèguito della guerra da noi indicata fra il Patriarca ed i Goriziani % venne iavaso dalle genti della contea unite a quelle del conte di Veglia; di là quelle bande non partirono se nou ■ quando si rivolsero di-rettamente contro il Friuli. Se ne lamenta il Patriarca medesimo in una lettera al decauo del capitolo ď Aquileia, nella quale egli, poco prima d'essere colpito dal ferro assassino, riassume i fatti seguiti durante il suo principato. Frocessu vero ternporis, dice Ber-trando. Cornes Gorille fultwi potentia Comitum Vegle aggressus est He guerra fidelem nostrum et Ecdesie Aquilegensis Georgium de Duino, et finaliter faotis treguis inter eos, idem cames cum magna fotentia aggressus est terram noslram ^ Quanto ai conti di Veglia, la ruggine che avevano cou loro i Duinati era d'antica data, per r occupazione che quelli avevano fatta della terra di Fiume; e soltauto sotto il iiglio di Giorgio di Duino si venue a compouimeuto. Un ultimo atto di Giorgio che, dopd il concordio del 1337, ïimase fedele aile promesse, fu una vendita fatta nel 1343, alla quale fra 1' altre ragioni puô aver contribuito l'inimicizia coi Goriziani. La vendita risulta da uno strumento notarile, in cui Giorgio, assistito da Domenico, notaio e famigliare dei signoři di Duino e da Giovanni, figlio del piíi volte rammentato cavahere Doimo di Fiume, a nome suo e di suo fratello Rodolfo (II) e di Ugheue^suo con~ sangidneo (Ugone V), per mille libbre di piccoli veneti, in presenza ' Museo udinese, BaccoUa 1337, 22 dicembre, Aquileia; tratto dalP originale esistente nella biblioteca di S. Daniele. ' Vedi pag. 179. ' Palladio, lac. cit. pag. 350. ' Nel 1339, 8 maggio, Udine, trovasi hiwece corne scriba dojnini Georii de Duijno Uldarino di Pleyburg, che assiste qiial testimonio in una contesa ira il paroco Nioolô do Gohetz e Nicolô de Veyteustayn. Museo di Udine, Quaderni di Gubertino da Novate, III, 29. del PaU'iarca Berirando ' cede ad Ariigo di Strasoldo, che tratta per suo figlio Giovanni, le tre ville di Zuino, Foruelli e Proseico, colla giurisdizioue (garito), l'avvogheria, íitti, redditi, pesche, caccie, rivatici, colonie (masi), campi, prati, selve, boschi e tutti gli altri ouori e diritti dipeiidenti da quei possessi, proprio per proprio, feudo per feudo Ma questa vendita per la morte di Giorgio, av-veuuta in quei di, dov' essere stata annullata; senza di che non poteva, come vedremo, farsi pochi giorni dopo ai Savorgnano. A1 medesimo Arrigo di Strasoldo del fu Gabriele, Ugone V (Vgo quondam Dgo de Duyno) avrebbe in quel medesimo tempo venduta per 600 marche anche la sua parte di Duino, che probabilmente era invece Zuino. L' originale di questo documeuto io non lo vidi e credo non 1' abbiano veduto neppure quei molti scrittori che ne parlano, contentandosi di citare la collezione del Bini, il quale lo avrebbe preso dali' Archivio capitolare di Udine ^ Ma per vedere quanta confusione vi regni, basta notare che il Nicoletti ne' suoi sommarii chiama i due Strasoldo: Henriais quondam Gabrielis de JJu'ino, e il medesimo Bini inserisce seuz'altro Eurico e Gabriele nella sua tavola genealogica dei Duinati. II fatto è che nella vendita posteriore di Zuino Ugone era ancora in possesso dei l?eni dclla Carsia, a cui appartoiieva anche Duino. Ma riservandoci di ragionare di nuovo su queste impor-tauti alienazioni, ripetiamo intoruo a Giorgio di Duino, che prima di prender parte agli avvenimenti del Friuli, egli aveva mihtato nolle guerre ch' ebbero i duchi ď Austria, nell' Uugheria, nella Boemia ed in altre regioiii. Ne fa parola suo figlio Ugone VI ill una ricevuta di denari che gU dovevauo i duchi per questi ser-vigi prestati da Giorgio \ I particolari non li sappiamo; ma citan-dosi i duchi Alberto II e suo fratello Ottone, siccome quelli sotto cui Giorgio aveva combattuto, siamo trasportati ad uu tempo gra-vido di avvenimenti segnalati, che fruttarono all' Austria duo nuove provincie. 11 duca Ottone, assalendo dapprima in aperta guerra suo fratello Federico il Bello, s' era impadronito dei beiii familiari della Svevia. Quiudi collegatosi nel 1330 coll' altro fratello Alberto II, e ' II cIiG i)u6 far crcdere di diibbio diritto l'alto dominio che occampa-vaiio i Goriziaiii sullo terre che i Duinati teuevauo nel Friuli. ^ Museo ď Udine, Collezione Bianehi, 1343, 16 dicembre, Udiue. Gu-bertino da Novate, (orig.) = Vol. 71, daU'Arch. Cap. di Udine, 1343, 31 dicembre, Antonio q. Francesco di Cividale. Arch. Imp. 1367, 24 Uiglio, Graz, (orig.) col re Giovanni đi Boemia, costrinse Lodovico il Bavaro a sospen-dere le sue ostilità contro 1' Austria. Conchiusa con lui la pace ad Hagenau (1330), i due fratelli Alberto ed Ottone col trattato se-creto ď Augusta si posero apertameute dalla sua parte contro la casa boema, per impedire che il Tirolo pel matrimonio di Mar-gherita Maultasch col iiglio del re di Boemia, venisse ad ingran-dire la^potenza dei Lussenburgo. Moriva intanto nel 1335 il padre di Margherita, Arrigo duca di Carinzia, quel medesimo che vedemmo assumere la tutela del conte di Gorizia. Di questa morte profittô r Imperatore, per togliere a Margherita il privilégié concessole di succedere nei feudi paterni della Carinzia e del Tirolo; dichiarolli vacanti e n' investi i due duchi austriaci. Questi pero non entra-roao in possesso se non della Carinzia e della Carniola, essendosi la nobiltà tirolese dichiarata per la Maultasch. Si venne quindi ■«alla guerra fra il re di Boemia collegato coll'Ungheria, e i duchi ď Austria. Ma essendosi questi frattanto nuovameute inimicati col-r Imperatore, perduto il suo appoggio, furono costretti nel 1336 a conchiudere la pace in Enus, per la quale la Carinzia rimase air Austria ed il Tirolo fu cesso a Margherita. Questa importante provincia venne poi com' è noto, acquistata dal duca Rodolfo IV iiel 1363. Col prender parte a tutte queste guerre, Gioi'gio di Duino si strinse ognor piii colla casa ď Absburgo e colle famiglie più illustri délia nobiltà austriaca, fra cui primeggiavano i Weisseneck ed i Pettau. Di quest' ultima casa fu Caterina moglie di Giorgio, la quale, morto lui, maritossi in seconde nozze ad Ertneido di Weisseneck. Siffatti legami ci spiegano non pure il motivo pel quale Giorgio al suo ritorno dalla Germania prestava al Patriarca il giuramcnto in lingua tedesca, ma anche l'entratura ch'ebbe suo hglio coi duchi ď Austria seguenti, Alberto III e Leopoldo III, figli ď Alberto II, e la rinuncia ch' egli poi fece ail' obbedienza verso il patriarcato. Ma prima ci resta ancora a parlare degli altri Duinati di questo tempo. 7. Rodolfo III ed Ugone V. Neir atto di pace conchiuso 1' anno 1308 fra il conte Arrigo II di Gorizia ed Ugone II di Duino ' rammeutasi fra i fratelli ' Vedi pag. 155. di questo e di Rodolfo II, anche Arrigo III, clie a quel tempo aveva parecchi iigli ancora minoreuni. E in età minore, tranne Rodolfo III, sembrano anche mancati di vita, poichè sebbene Arrigo III apparisca aver tenuto la sua sede a Fiume, a cui andava congiunto il castello di Vepriuaz, la troppa distanza che v' ha da Rodolfo III, nou ci permette di credere che fosse sua sorella quella Magnijica Betta di Duino, di cui ragioueremo a suo luogo. Fra i íigli di Arrigo III non ci vien nominato che Rodolfo (III); di lui si fa esplicita menzione in una lettera del 1348, in cui Arrigo di Duiuo et HoJulphus eius films si raccomandauo al Patriarca Bertrando, perché voglia adoperarsi di prolungare la loro tregua coi Triestini dal prossimo Natale di N. S. fino a quello dell' anno segueute. »Perocchè, prosegue lo scritto, Voi sapete che per S. Martino abbiamo tregua col conte di Gorizia. Tuttavolta, se voi aveste già ordinate queste tregue, siamo pronti ad eseguire quanto Voi c' imporrete, seconde che possa meglio convenire all' onor Vostro« '. I fatti speciali a cui s' allude con queste parole non li conosciamo; si scorgo pem che Arrigo e Rodolfo coHtinuavano uelle loro ini-micizie coi Goriziaui anche dopo la morte di Giorgio, e tenevano invece dal Patriarca. Anzi la sommessioue ch' ebbe Rodolfo a quel principe fu tale, che lo indusse già fiuo dal 1339 a prestargli servigi mini-steriah. II caso è iiotevole, perché i Duiuati e per desiderio d'in-dipendenza e per avversione al dominio ď Aquileia, di rado o quasi mai si acconciarono a simili ufficii. Aveva il Patriarca in animo ď indurre il comune di Conegliano a mettersi sotto la sua prote-zione La lettera che gli scrisse, affidolla a Rodolfo di Duino, che si condusse a Conegliano a capo ď una ambascieria formata di Federico di Savorgnano, di Gerardo di Cucagna, di Galvano di Maniaco e di Francesco Boiani. Accolti i messi con grande onore, e tenuto consigho, fu deliberate di acconsentire all'invito. Laonde si stesero tosto i patti e si elessero i procuratori incaricati ad ottenere da feertrando e dal parlamente friulano la ratifica delle promesse rocate a Coneghano da' suoi nunzii Puo darsi che anche nell'investitura dei feudi aquileiesi data ad un Rodolfo di Duiuo uel 1343, prima aucora che Giorgio ' Museo di Udine, Baccolta BiancU, 1348, 6 dicerabre, Fiume, (orig.) ' Verci, Storia della Marca Trivigiana, vol. XI, pag. 149; 1339, 4 giugno, Sacile. ' Ivi, detto anno, 9 luglio, Conegliano. morisse, si tratti di Rodulfo 111, sebbeiie vivesse aiicora Rodolfo II fratello di Giorgio '. Ma se questo è iucerto, vorremmo almeiio credere che a lui apparteiigaiio alcuiii atti posteriori. Nel 1346 Rodolfo ed Ugoue (V) di Duiiio coiifessano un loro dobito di 29 marcho di buoiia moneta veneziana verso un certo Volpino, e gli daiino in pegno alcune terre di Kraindorf ^ Nel 1354 Nicolô di Versa rassegna parecchi beni, uelle mani di Rodolfo, che ne iûveste Tommasio figlio di Anzilo, ebreo di Gorizia Chi sieno precisamente i signoři di Duino, i quali il 6 luglio 1343 dauno un' investitura ai signoři di Ragogna, dal Codice Frangipane che ue parla, non apparisce. 11 sèguito délia storia di Rodolfo III, del cui padre Ar-rigo 111 più non si parla, non puô separarsi da quella di Ugone V, figlio di Ugone IV, che corne il padro, chiamasi ora Ughezze, ora Ugolino ed ora semplicemente Ugo ed Ugone. Di Giorgio e di Rodolfo II, come già vedemmo, Ugone V è detto consobrino; ma r incertezza di siffatti vocaboli adoperati in questo tempo e le ra-gioni addotte piii addietro non ci permettono di dire con precisione se egli fosse figlio di un loro cugino, ovvero di un loro fratello. Nella sua politica Ugone V scostossi affatto da' suoi parenti, a mal grado che anch' egli avesse giurato il patto del 1337 col Patriarca Bortrando \ AU'amicizia ch'egli aveva coi Villalta, sembra doversi ascrivere F aver egli uel 1344 prostato mano aile violenze dei Cividalesi e dei signoři ch' eransi uniti in lega contro il loro legittimo principe. Avendo il Patriarca dovuto procedere cou tutto il rigore coutro i rivoltosi vassalli o massime contro i Villalta, terminô anche Ugone ad essere fatto prigioniero. Rimesso in libertà provvisoria, Ugone quondam Ughezze di Duino, come è detto nello strumento promette al Patriarca innanzi ai testimoni Uldarico pievano di S. Giovanni, Luigi di Garlevario délia Torre ed xile-manno detto Fiixel, capitano dei Duinati a Duino, di ricostituirsi dinanzi a lui nell' ottava del S. Natale e di non partire senza la sua licenza. Ogni quai volta il Patriarca lo richiami di nuovo, sarà pronto a venire entro quattro giorni dalla chiamata, sotto pena di mille marche ď argento, per le quali obbliga i suoi heni. Dov' è ' 1343, ly gunnaio, Moiifalcoiie. Luttere iiicclite del Biui, vol.'III, pag. 125. ^ Arch. Imp. 1346, 25 gennaio, Duinn (orig.) Delia Bona, Strenna cronologica, 1354, 2 maggio, Cividale. ^ Vedi pag. 181. ^ Haccolta Bianchi, 1344, 28 settembrc, Udine, da Gubertino da Novate. da notare cbe già fino dal 5 gennaio 1344 egli aveva coll'assenso de' suoi parenti alienata la maggior parte dei beni cTie possede^ano i Duinati nel Friuli, i quali possess! sarebbero stati i primi colpiti. L' anno appresso Bertrando, xhe in Udine, cagione della guerra, trovava il suo niaggiore sostegno, coiisegnollo colà alla cu-stodia di Nicolussio degli Andrioti e di Maffeo Cassiiio, sotto pena del loro capo e dei loro beni se lo lasciassero fuggire '. Tanto rigore veniva mitigato il giorno appresso, permettendo il Patriarca cho JJgoiie consoguisso la liberta provvisOTia, a patto di ritornare in ostaggio il 29 settembre e di non allontanarsi, quando non ne avesse ottennta nuova licenza. Nel frattempo egli doveva restar sempře pronto a ricoraparire entro otto giorni dalla citazione; mancaudo, la pena vorrobbe raddoppiata Le nuove pene di cui fu colpito Ugone- nel 1345 ci fatino sospettare che, corao egli aveva infranta la convenzione del 1337, avesse pure dimenticate le promesse del 1344, 0 ad ogni modo egli venne considerate come ne-mico abbastanza pericoloso ed uomo da non potersene fidare. Nel 1350 la congiura ordita contro Bertrando compiva il meditate assassinio del Patriarca. Non v' ha pero alcun indizio che Ugone V od altri Duinati vi prendessero parte. Agitatissime erano intanto le cose anche nell'Istria. Troppi erano i padroni di quella penisola, perché potessero starsene in-sieme pacificamente. Fra questi primeggiava la Repubblica veneta, cui premeva rimaner sola nella signoria di tutta la terra. Aquileia, Trieste, Gorizia e piii tardi anche 1' Austria male potevano difen-dersi contro chi, tenendo il dominio dei mari, accerchiavali tutto air intorno. Duino pure, cho possedeva le terre iiumane, trovavasi ognora minacciato da quella potenza. Le liti per violazione di ter-ritorio sorgevano ad ogni tratto e difficile sarebbe indicare a chi spettasse ogni volta la ragione od il torto. Aspra lotta nacque fra il conte goriziano ed i Veneti pel castello di S. Lorenzo, tributario dell'uno, degli altri suddito. Ruberie, rappresaglie, tumulti anda-vano avvicendandosi; e parte vi prendevano non meno i sudditi del Patriarca, che quelli di Duino. Alberto IV di Gorizia v' intervenue in persona; lo stesso fecero Ugone e Rodolfo di Duino Essendo Alberto nel 1344 rimasto prigione, la soverchia mitezza con cui fu trattato frutto ai provveditori délia Repubblica una ' Ivi, 1345, 2 gennaio, Udine. ' Ivi, 1345, 3 gennaio, Udine. ' Arch. gen. di Yeiiezia, Conmemoricdi, Vol. IV, doc. II e segg. grossa taglia. Finalmente il 21 agosto deirauno stesso poté venirsi ad una coiivenzione fra il doge Andréa Dandolo e il conte Alberto. Giurata poscia la pace fra le due parti, fu stabilita la domolizione ď alcuni castelli, le cui terre perô rimasero sotto la protezione del conte, aveudo egli promesso di non dare aiuto ai nemici del doge. Dalla pace furono esclusi gli autori dei latrocinii che avevano dato origine alla guerra; i prigionieri dovevano lasciarsi in libertà; le offese perdonarsi a vicenda, salvo le ruberie commesse nel tempo délia tregua, sulle quali riservavasi il doge ď istituire un processo. Altro componimento nasceva il di 11 aprile 1345 fra Venezia ed Aquileia, pei danni da questa recati alla Repiibblica Rodolfo di Duino dev' essere stato fra quelli che vennero esclusi dalla pace; anche Ugone nel tempo libère dalla prigionia del Patriarca e forse prima e dopo, deve aver secondato il cugino nelle sue imprese dell' Istria, poichè nel 1347 essendo stati fatti prigioni, ambidue vennero condotti a Venezia. Tante furono le cautele prese contre Ugone, il cornes JDuyni qui damnificaverat nostras fideles % che gli venne asseguato per carcere il forte di S. Giorgio: siconservetur in S. Georgio, ut non possit evadere de fortilitio; aveva baleuato nella sua fede verso 1' Austria, vuoi perché alcuni avevano tenuto dal Patriarca, vuoi perché un partito agognasse sottrarsi ad ogni do' Arch. Imp. 1389, 27 8'i"gno, Vienna (orig.) È anche riportato nella lingua originalè Archeografo n. s. Vol. I, pag. 269. II vero protettore di Ugone VI fu il Duca Leopoldo III, ma qucsti era niorto alia battaglia di Sempach nel 1386. minio, austriaco, o veneto od aquileiese che fosse ; nè questo punto di storia è talmente chiarito, da poter asserire che, o per desiderio di perfetta indipeiidenza o per istudio di parte o per malconteuto del nuovo governo non si dovesse, come dicemmo, temere qualclie nuova sommossa. 11 perche già íino dal 1385 serabra che Ugone pensasse di munire Trieste validamente. L' altra opiuione del oh. Buttazzoni, che la fortezza dovesse servire anche a difesa dei possossi duinati, poichè non avrebbe altrimenti Ugone offerte al principe di aggiungere V occorrente coi proprii denari (il rescritto veramente dice: di fahhrkare il castello a propria spesa e denaro, il che è melto piíi), puô aver il suo lato vero, purchè il Duinate non mirasse eziandio a rassodare sempre più il suo potere, in guisa da cominciare a dar ombra a chi glielo aveva non pure conferito, ma esteso anche sull'lstria, sulla Carsia e sulla Cariiiola, délia quale parimente, come apparisce da una serie di documenti, egli era stato create capitano. Il Duca Alberto lodo bensi Ugone per i suoi servigi ; gli commise, anzi sembra averlo pregato, di costruire il castello; ma quanto a pagarne le spese, vi provvide egli medesimo e guardossi dall'accettare l'offerta del di Duino. Ed Ugono dev' essersene punto, non avendo voluto da quel giorno in poi donargli neppure un quattrino. Nella sua ultima dispo-sizione codicillare egli ricorda espressamente,. che per quella fab-brica il Duca Alberto gh resta va ancora debitore di tremila fiorini. Del rimanente, essendo l'usurpazione di Trieste, di cui venne accagionato il signore di Duino, in istretta attinenza colla guerra che arse nel Friuli contro il Patriarca ď Alençon, giova darne alcune notizie, per meglio conoscere la parte che vi prese anche Ugone VI. d) La guerra civile del Friuli. Il Patriarca Filippo ď Alençon segna il principio di quella rapida dissoluzione, a cui fu condotto lo Stato ecclesiastico aqui-leiese, già indebolitô dalle sanguinose lotte interior!, tomate poi a vantaggio délia signoria di Venezia. Due motivi resero invisa 1'elezione dell'Alençon a Patriarca: r una, ch' egli era cardinale, e pareva ai Friulani che sotte questa dignità piii elevata soffrisse 1' autorita del Patriarca ; l'altra, che la sede gli era stata conferita in commenda, senz' obbligo di residenza. Non era propriamente la persona che odiavasi; quantunque come francese poco potosse couoscere i costumi e le condizioni del Friuli ; spiaceva la novità che stava per iiitrodursi. E il popolo avvezzo ad avere un principe Patriarca indipendente, circondato dalla sua corte, iuteso a governare lo Stato in persona, quando di tutto questo fosse stato private, sentiva ferirsi nell' intimo, quasi ďumi-liazione inílitta immeritamente. Ma forse le cose sarobbero potute acconciarsi, ove nou fosse insorta anche Fantiča gelosia fra Udine e Cividale, fomentata dair interesse che avevano i vicini di approfittare della discordia. La vera capitale onde traeva il suo nome lo Stato ď Aquileia, s' era dovuta abbandonare da lungo tempo, e i Patriarchi avendo trasferita la loro stanza in Udine, furono piíi volte accusati di par-zialità, per i favori concessi' a quella città, che in fatto s'era inal-zata a metropoli. Nel nuovo ordine di cose Cividale, l'antica sede dei duchi del Friuli, sperava pur sempře di guadagnare; e pero fece una lega in favore del nuovo principe; ma gli Udinesi ve ne contrapposero un' altra sotto il nome di fedele unione. Aderirono ad Udine tutti i castellani e comuni malcontenti, ai quali s' uni anche Trieste mandando ad Udine buon soccorso di cavalli e di fanti. Dietro 1' unione stava collo Scaligero la Repubblica di Venezia, ingerendosi nella contesa quando piíi, qaando meno aper-tamente. Coi Cividalesi e Gemonesi, o col partito delF Alcnçon, venue ad unirsi Francesco da Carrara, intento come Venezia, al vantaggio proprio, e sostenuto dal conte di Gorizia, da Giovan Galeazzo Vi-sconti, signore di Milano, e dal re ďUngheria. La tenzone důro micidiale quasi per setť anni, finche il Patriarca tolse il motivo principale della discordia col rinunciare alla commenda. Ugone di Duino fu in rotta con Cividale íino dal luglio del 1381, nel qual anno corse ai danni di quel territorio colle genti che il Duca Leopoldo aveva lasciate indietro al suo partir di Trevigi Non andô molto ch' egli ebbe occasione di rendere agli Udinesi a prezzo della scomunica un importante servigio. Simone de'Gavardi, arcidiacono di Capodistria, aveva ordita in Manzano una cospirazione e distribuite le parti ai congiurati. Uno dei capi doveva trovar modo d'introdurre in Udine dugento cavalli ed otto- ' Palladio, parte I, pag. 399, che numera tutti i membri della Unione e della lega. Manzano, Annáli del Friuli, ad annum; la notizia è presa dal Nicoletti, che scambia il Duinate col Walsee, chiamandolo Ugone di Valsa sit/nore di Duino. 'cento fanti, per metterla a scompiglio ed a sacco '. L' atteiitato fu scoperto a tempo per la rivelazioiie di niolti complici, i c[uali si confessarono corrotti dal deaaro deli' arcidiacouo II Gavardi pero riusci a salvarsi colla fuga; ma giunto a Trevigi, cadde nelle maiii di Ugone, il quale ď accordo col comune di Udine che ave-vagli spediti i suoi messi il sostenne in rigorosa prigione. Quanto Udine apprezzasse il favore ed i servigi del Diiiuate, si vide nelle accoglieuze fattegli sulla proposta di Federico Savorgnano \ capi-tano della città, ncll' aprile dell' anno seguente \ Dovendo Ugone convenire in Udine col cardinale Ravennate Pileo di Prata, fa de-liberato in consiglio ch' egli si ricevesse fostosamente; otto spettabili cittadini eletti a cio gli porgessero grazie a nome del capitauo e del consiglio per quello che aveva fatto rispetto all'arcidiacono di Capodistria, che per amore della cbmunità udinese egli aveva posto in carcere ed ancora teneva in custodia; doverglisi fare il présenté di cinquauta staia di grauo, di quattro carri di iieno e di uii bigoncio di buon vino terrauo Del Gavardi ci è ancora noto che, venuto in sèguito nella terra di Belluno, vi invaso a tvadimento la rocca di Plettore; ma quivi pure terminb ad essere catturato e fini i suoi giorni in una torre del castello di Belluno, lasciando erede di tutto il suo il capitolo di quella città, che gli coucedeva sepoltura nella cattedrale '. Col cardinale Pileo di Prata ® il signore di Duino trovavasl in buona corrispondenza; e quando quegli per amore della sua patria, straziata dalla civile discordia, venne a tentarvi un compo-nimento, nacque un accordo con lui per la vendita di Morsano, che 11 cardinale comperava dal Duinate. Tre anni più tardi, forse quando Ugone meditava la costruzione del castello di Trieste, il ' Palladio, parte I, pag. 402. ^ Museo di Udine Baccolta Bianchi, agli anni 1381 e 1382 (orig.) ' Baccolta Bianchi, i ottobre, 1381 (orig.) ^ Le attinenze di Ugone con Federico di Savorgnano, chiamato impro-priamente suo cognato, furono esposte a pag. 189, nota 4. ^ Hortis, GiovanniBoccacci e Pileo da Praia-, docum. del 18 aprile 1382. ® Sulla corrispondenza di Ugone con Udine in questa congiuntura credo che darebbe luce ancLe una lettera del medesimo spedita da Previo (Prem?) il 5 ottobre 1382 al Savorgnano citato ed ai rettori di Udine. Essa dovrebbe trovarsi nella Marciana fra i manoscritti del Foatanini, ma io non son riuscito a rinvenirla. ' Miari, Gronaca Bellunese. ® Conosciuto per la sua dottrina, come mecenáte dei letterati, e per ■ avere generosamente dotato il Collegio Pratense per la gioventù friulana che accorreva ajl'miiversità di Padova. Mori al principio del quattrocento. cardinale lo sovveniie anche di denaro, creando procuratore Nicolô di Prampergo per prestargli duemila fiorini '. Nel giugno 1382 Pileo di Prata erasi condotto a Gorizia, quiudi con quel conte ed altri signoři s'avviava a Gemona per le trattative di pace. Udine vi aveva mandati i proprii nunzii, che furoiio Eiz-zardo dl Valvasone, Doimo di Castello e Nicolô Manino; ma o per r aderenza col cardinale o per quella parte che il Duinate aveva presa fin là ai negozii friulani come rettore di Trevigi e di Trieste, sembra ch' egli pure iutervenisse al convegno di Gemona. Fiiio dal maggio antecedente quel comune aveva presa la deliberazione di togliere dalla sua chiesa non- pure le bandiere del conte di Gorizia, per non funestarne l'accoglimento festivo colla memoria di sconfitte altra volta avute da lore, ma anche quelle del signore di Duino ^ Le negoziazioni riuscirono ad una tregua e nulla più; perche sebbene Cividale ed Udine inclinassero alla pace, i castellani continuavano a fare una guerra di devastazione. Nuovo componi-mento propose nel 1384 il Carrarese, allettato da larghe promesse del Patriarca; ma questo interessato sperimento non fece che ren-dere più intima 1' alleanza degli Udinesi coi Yeneziani e collo Sca-ligero. Lungo ed ancora piii fiero di prima fa il sèguito délia guerra, a cessare la quale il Pontefice indarno spedi nel 1386 anche-il Patriarca Ferdinando di Gerusalemme. Quietavansi finalmeiite le discordie, allorquando colla rinuncia del cardinale ď Alençon venue a sedere sul trono ď Aquileia, illustrate da tanti grandi e virtuosi Pontefici, un Patriarca che fu la disgrazia de' suoi popoli e la vit-tima del loro furore. Il ricomporsi dell' ordine nella città di Trieste affidata al Duino; forse 1' essersi prima Ugone trovato a Gemona con uomini seriamente occupati a comporre 1 dissidii; forse anche l'animo dei Duchi austriaci aliéné dal crearsi nuovi imbarazzi in Trieste stessa lacerata dalla discordia, col fomentar quella guerra ^ e finalmente le nuove incombenze affidate ad Ugone anche nella Carniola; tutti questi motivi devono aver inflaito ad allontanare il signore di Duino sempre piii dal centre dell' agitazione, vedendo che ormai poco gli restava a temere dal Patriarca e da' suoi aderenti. La sua incli- ' Vedi BaccoUa Bianchi, a. 1382 3 luglio (copia) e l'opéra sopradtata del Dott. Hortis pag. 60 e seg. ' Liruti, Notizie di Gemona citate dal Dott. Hortis op. cit. pag. 35. ' Furono perô gli Udinesi quelli che a Leopoldo Ilf prestarono sicura scorta, quand'egli nel-1383. passava per il Friuli. iiazione alla pace si scorge anche dal desiderio manifestato di ricon-ciliarsi colla Chiesa, liberandosi dalla scomunica iiicorsa per la cattura del Gavardi, e dalla concordia ch' egli strinse col Vescovo di Trieste Arrigo di Wildenstein. Fu questi clie, per commissione del Pontefice, nel 1385 sciolse Ugone in Cividale stessa, che per lui sarebbe stata terra nemica, dalle censure eccLesiastiche '. In quel medesimo anno Ugone di Duino sarebbe sinanco stato in guerra con uno dei comuni che tenevano dagli Udinesi; ma noi incliniamo a crederla piuttosto una questiona privata, la quale colla guerra civile del Friuli non abbia attinenza. II comune di Monfalcone, confinante colla signoria duinese, per ridurre all' ob-bedienza Bertoldo di Pretto ed altri suoi aderenti, trovossi involto in un litigio col signore di Duino. Questi, stretto ď assedio il capi-tano di quella rôcca, Egidio Egidii, e devastate tutto aH'intorno il distretto, costrinse i Monfalconesi a risarcire Bertoldo e gli altri, dei beni che avevano loro confiscati ^ L' anno 1388, quando uel patriarcato ď Aquileia stava per ristabilirsi la quiete, vi vonne anche Ugone di Duino a nome del Duca Alberto ď Austria, per trattare col vicario secolare del nuovo principe intorno allé condizioni di Pordenone % di cui il signore di Duino teneva il capitanato fino dal 1386 \ Nè ciô impediva che il Duinate 1' anno seguente, si trovasse in contese nell' Istria coi sudditi ď Aquileia ^ Fra coloro che presoro parte alia guerra civile del Friuli e seguirono anzi il medesimo partitd,, due dei più potenti signoři vennero noii molto dopo ad aperta rottura fra loro: Carrarese e Visconti. Gian Galeazzo Visconti, nomiiiato conte di Virtii, dopo ch' ebbe fatto perire Barnabo suo zio, era siffattamente cresciuto in ambizione ed in potenza, che minacciava di voler trarre a sè gran parte ď Italia. Verona, espulsi gli Scaligeri, Padova liberata dai Carraresi, erano cadute nel 1388 in suo petere; nella media Italia egli contava molti amici spontanei o forzati, pronti ad aiu-tarlo nelle sue guerre contro Bologna e Firenze. Ma Francesco Novello da Carrara non si diede per vinto, e condottosi in persona dal Duca di Baviera, ebbe da lui buon tierbo di cavalli e di fanti ' Baccolta Bianchi, 1385, 22 gennaio, Cividale. ' Manzano, Annali del Friuli, a. 1385, dal Nicoletti. Ivi. Atti di Giovanni de Ai-liottis, notaio di Pordenone; Arch. not. di Udiiie. ' Manzano, ojj. cit., dal Nicoletti, che qui ci štampa un Ugo ď Evino di Duino. per ricuporare la sua sigiioria. Sorpreso il presidio di Padova, i cittadini stessi, mutato animo, apersero le porte al Carrarese, che dopo alcun tempo s' impadroniva anche della cittadella e quindi s' univa agli altri iiemici del Viscoiiti, finche iiel 1392 le ostilità rimasero sospese da una tregua che avrebbe dovuto durare trenťauiii. In questii avvenimenti, il Verci intreccia il nome e le imprese auclie del conte di Duino '. Narra egli che il Duca Ste-fano II di Baviera, avendo già in pronto 1' esercito per venire in aiuto del Carrarese, »mando subito il conte di Duino suo nipote in Italia con trecento lance a cavallo bene in ordine, ed egli lo segui poscia senza dimora con seimila cavalli di buoni uomini ď arme. Il conte di Duino passô la Piave a Sprisiano e il Sile a Settimo, e cou sollecito viaggio giunse a Padova a' tre di luglio (1390) senza arrecare il minimo danno a' luoghi del Trivigiano per cui passô«. E poco dopo prosegue »Per battere il conte di Virtii da tutti i lati, iinchè giungeva in Italia Carlo Visconti ňgliuolo di Barnabo % andato oltre monti ad assoldar genti, spedirono i col-legati verso Soncino il conte di Duino cou cinquecento lance«. Mi risparmio di addurre tutti i documonti da cui il Verci tolse queste notizie, nei quali è nominato costantemente il Cornes de Duyno Che i signoři di Duino si chiamino conti, non è cosa nuova in questo tempo; gli storici e cronisti e le stesse ducali venete cadono del continue in questa inesattezza. Fin qui dunque nulla si opporrebbs all' ipotesi, che i fatti narrati appartengano ad un Duinate. Ma troppi altri argomcnti escludono questa supposizione. II conte di Duino viene chiamato nipote del Duca di Baviera; scr-viva a quello, non ai Duchi ďAustria; veniva dalla Germania; o ad ogni modo il nome del conte di Duino Jion è indicate neppure nei sei documenti arrecati dal Verci. Dali' altro lato Ugone di Duino già vecchio, nel settembre del 1390 fece il suo ultimo co-dicillo e probabilmente mori ancora in quell' anno, laddove nei documenti citati si continua a far menzione del conte di Duino anche nel 1391. Altri Duinati, tranne i íigli di Ugone VI in età ancor minorenue, a quel tempo non v' erano; e iiessuna parentela ' Storia della Marea trivigiana, Vol. XVII pag. 127 e segg. ^ Ivi pag. 132. ' Carlo Visconti era fratello di ïaclclea, moglie cli Stefano II di Baviera, che ricevette anche dai Fiorentini ottanta niila fiorini per iscendere in Italia. Maddalena altra figlia di Barnabô maritossi al Duca Federico di Baviera-Landshut; ed Elisabetta ad Ernesto Duca di Baviera-Monaco. * Sono riportati dal Verci sotte i numeri dal 1926, al 1932. csisteva fra loro e i Duchi di Bavi era. Neppure ad uu Walsce è da pcnsare, porcliè ííiio all' estiiizione della linea mascliile dei Duino, nessun Walsee ebbe la sigtioria di questo iiome e nou poté quindi assumerne il predicato. Ma chi era aduuque questo Comes Duyni? Con sicarezza non si potrebbe dirlo, ed io mi rostringo ad osservare cke i conti di Hardeck, discendenti da Arrigo di Dewin, continuarono a chia-marsi Burgravii di Dewin '. Sappiamo iuoltre che Giovanni fratello d i Stefane II di Baviera e fondatore della linea di Monaco, sposo Caterina, figlia della prima moglie di Maiuardo VII coûte di Go-rizia La seconda moglie di Maiuardo, Utelda di Maetsch, morto lni, maritossi in Giovanni burgravio di Maidburg (Dewiu) e conte di Hardeck. Dunque Caterina, íigliastra di Utelda, aveva una čerta parentela cogli Hardeck, parentela che si estese auche a Stefano e Giovanni Duchi di Baviera; ed è cosa nota in quanta ampiezza di seuso si adoperassero le voci cte si riferivauo a parentela. Non è quindi impossibile cke il Comes Duyni citato dal Verci nell' im-presa di Padova fosse un Hardeck-Dewin ; ma qui sembrami inutile il tornare sulla questione, se questo conte discendessc dai Dewiu della Misnia o dai Duino dell'Adriafcico. e) Potenza dj Ugone VI. L'autorità ed il potere che ando di mano in mano acquistando Ugone VI di Duino dopo la sua dedizione all'Austria, manifestasi chiaramente da quanto di lui siamo venuti esponendo fin qui. Non parhamo, come di cosa secondaria, di avversarii o di emuh da lul superati o di contese con potenti signoři e dinasti, delle quali spar-samente si trovano indicazioni, come allorchè il Duca Alberto III in un giudizio di nobili, tenutosi a Vienna, decideva a favore di Ugoùe il litigio che Ertuido di Traun aveva sosteuuto in duello contro di lui e che, rimanendo sconfitto, non ebbe il coraggio di difeu-dere in giudizio, onde segui che fu condannato in contumacia o quando dopo lunga amistà cogli illustri conti Ermanno e Guglielmo di Cilla, questi si unirono in lega sessenne con Giovanni Vescovo ' Vedi pag. 103. ' Luigi Morero, Lc grand Dictionaire historique, Y o]. U, pa.g. ISO e seg. ' Arch. Imp. 1374, 1 ottobre, Vienna (orig.) Lichnowsky, Gesčliichte des Hanses Habshwg IV, Keg. no. 1186. Non so se invece di JîarfeZ đi Traun deva leggersi Hansel, chc t'n uno dei capitani venuti in soccorso di Trieste nel 1379. ài Gui'ck, por combattei'o coiitro Ugoiie '. Quello che uotasi è, che i Duchi ď Austria si valsoro di Ugone VI in tutti i negozii cisal-piiii e a lui affidarono il governo dello loro provincie dell' Austria anteriore e dell' Italia. Trovasi quindi il Dui nate alla reggenza délia marca di ■ Trevigi, del feude di Pordenone, délia città di Trieste, délia contea Istriana ed oltre monti del ducato délia Carniola Di tanta parte délia Carsia, che dal Timavo non inter-rotta giungeva fino al Quarnero, essendo egli il signore, colla sua dediziouG ail' Austria ue aveva formate 1' anello da uuire insieme r Istria colla Carniola; o perô le congiuuture stesse reclamavauo che Ugone VI no fosse il reggitore, dopo che dell'unione egli era stato il principale strumeuto. ' Ma r acquisto di tante terre e castolli e di si important! città, quali Trieste e Fiume, per cui fu steso il dominio dell'Austria fino air Adria, esigeva che da quei Duchi il Duinate venisse libe-ralmente ricompensato. Massimo guiderdone furouo certamonte per lui la iiducia ch' egli godeva e gli ouorevoli incarichi ricevuti; oude il sue uome suonava potente e riverito non meno in patria che fuori, Anzi tutto perô cominciarono i principi austriaci dal pre-miare i servigi suoi, e quelli prestati dal padre e dal padrigao nelle guerre passate della Boemia, dell' Ungheria e dol Goriziano. Scoppiata quella coi Veneti per la città di Trieste, ouovi patti e compensi accordaronsi al di Duino. Ma dopo che Leopoldo III s'era mosso alla couquista di Trevigi, le ingenti somme prestategli da Ugone e i nuovi servigi che gli furono resi dal cavaliere di Duino negU auni scguenti, accrebbcro siffattaraente i crediti del Duinate, che il suo patrimonio divenne veraraente principesco. Il graude spe-diente proprio del tempo, a cui ricorsero anche i Duchi, fu quello dei pegni. Fra questi fino dal 1373 troviamo l'importante rôcca già mentovata di Karlsperg i castelli stiriani e cariuziani di Win' Aixh. Imp. 1387, 29 maggio, Weiteiistein (orig.) Ugone fu insiemo col conte Ermanno di Cilla ed Arrigo di Eauchenstein tutore dei figli d'Ertncido di Pettau (Arch. Imp. 1385, 22 febbraio Radskerburg, orig.) e per la eredità di questi ultimi erano iiati molti litigi. ' Ivi, 1380, 3. gennaio, Graz (orig.) " Apparisce capitano della Carniola dal 1383 al 138S-, Staatsangeiger 1383. — Arch. Imp. 1385, 13 settembre, Graz ; 15 dicembre Graz; 1386, 5 feb-braio Villaco ; 1388, 22 febbraio; 27 aprile; 19 e 22 giiigno; 2 settembre. — Arch. prov. di Graz, 1386, 21 gennaio; 1387, 20 febbraio. — iVotoôZaii, Duyni 20 mai'cii senza indicazione dell'anno, in cui Ugone si chia,mà Carntolae mar-chio ac Tergeste eapitaneus. ' Arch. Imp. 1373, 5 maggio e 6 giugno. È inutile avvertire che cito sempre douumcnti originali. dischgvatz, đi Kolu e rli Seldenhofeii, ch' erano stati impegnati act Ugoiio dal Duca Rodolfo e quindi, sotto Alberto e Leopoldo, furoiio da lui definitivameute acquistati per compera '. Per oltre 15,000 fioriiii Leopoldo gl' impegnava 1' Istria colla coutea di Pisino per 9000 libbre la rocca e la signoria di Bleiburg parimente comperata ill sèguito da Ugone %• quindi i oastelli di Gunitz, di Guteiistciii, di Wildenstein e di Rechperg, col borgo e la vallo detta in der Kappellen, tutti posti nella Carinzia e rimasti vacauti per la misera fiue ed estiuzioue degli Auffeiisteiii \ Segue il pegno di Vinkeii-stein, delizioso castello presso il lago di Faak nella Carinzia qucllo di Mernberg già da uoi ricordato, quello di Frauenburg e qualclie altro. Molti stabili e fondi ricevette il signore di Duino a titolo feudale; altri feudi vennero comperati da lui medesimo od oreditati dalla sua casa. Fra questi ultinii si contano particolarmeute le grandi teimte e i castelli di Eybeinswald, Statenberg, Gonewitz e Freudenberg nella Stiria, che Anna di Wilthaus, raoglie di Ugoue, eredito dal fratello Rodolfo, seconde i patti ereditarii del 1376, ossondo Rodolfo maricato di vita senza eredi Investiture doi Ducbi ď Austria sono parccchie decime, ville, e colonie iii Vipacco ed altri luoghi vicini la villa di S. Viiicenzo nell'Istria quella di Korb presso Pordenone, vacata per la morte del signore da Prata Fra le compere di beni feudali, di cui Ugone fa parimente investito, oltre alcuno case in Windischgratz trovansi tutti i possûssi ď Uldarico di Liechtenstein di Murau, ciambellano délia Stiria e maresciallo dolla Carinzia ", e meta dol castello di Cor-sano neir Istria, avuto dai Krotendorf ' Arch. Imp. 1374, 4 febbvaio, Vienna. ^ Ivi, 1380, 3 gennaio, Graz. 3 Ivi, 1388, 19 gingno. ' Ivi, 1380, 3 fcbbraio, Vienna; 1381, 6 aprile, Lichnowsky, op. cit. IV, Ecg. no. 1572. ® Vedi il đoc. đi nota 3. " Arch. Imp. 1385, 1 ottobre e 16 dicembre, Graz. L'investitura si fa ad Anna e ad Ugono. Pel patto ereditario vedi pag. 194. Gonewitz non era tntto libero, pcroiô Ugone combinava con Leopoldo di Gonewitz una permuta, e ne investi qnindi uno do' suoi fedeli, Giovanni di Zekorn (Arch. Imp. 1386, 22 dicembre: Arch. prov. di Graz, 1386, 6 settembre). ' Arch. Imp. 1377, 26 giugno, Vienna. ® Ivi, 1385, 8 maggio, Graz. » Ivi, 1385, 15 dicembre, Graz. Ivi, 1383, 23 febbraio. " Ivi, 1386, 5 febbraio, Villaco. " Ivi, 1388, 22 febbraio e 22 settembre, Vienna; 1389, 17 febbraio. Ma poicliè le coucessioni austriache m' hanno gradatameute portato a parlare degl' irameasi possessi aggiunti cla Ugone VI cli Duino al palrimonio avito, cliàmo aiiclie di altri suoi acqiiisti al-inoiio un saggio, chè il farue una enumerazione compléta sarebbe eovercMo. ■ L'ebreo Musch e sua moglie Piiidel impognauo ad Ugone la loro casa uella città di Marburgo per 500 fiorini Settanta masi e due decime gl' impegna Federico di Topplach ^ Ottone d i Arlsperg gli vende tutte le sue ville e terreni, cioè la villa di Vin-dogotschacb. e quella di Ringberg; la corte di Grisacb colla giuri-sdizione su tutto il villaggio, le ville di Ossredek, di lomlacb ed altri terreni incolti Andrea d' Orobono cede a Popolino di Wei-xenstein, luogotenente di Ugone a Trieste, quai procuratore del Duinate, tutti i diritti che ha sulle decanie e nelle masse poste nella villa di Proseco \ Uldarico di Liechtenstein di Vriesach, ed Ottone di Liechtenstein vendono al loro cognato Ugone parecchi terreni presse Eybinswald ^ Bernardo di Ladendorf ed Elisabetta sua moglie, figlia del defunto Ramberto di Glaneck, vengono a componimento col Duinate e gli rinunciano T eredità di Guglielmo di Glaneck Corrado délia illustre stirpe del Merjiberg nella Stiria, vende ad Ugone la sua casa di Mernberg, 1' orto c sedici campi Uldarico e Tommaso di S. Lamberto le ville di Dobrones e di Posek Guglielmo e Giovanni di Stegberg due case e corte con sega in Laib presse S. Giovanni Gregorio di Dornberg rinuncia ad Ugone i diritti di Rasch il parroco di Gonewitz lo elegge a suo avvogaro Ervorto di Tor riconosce Ugone per domino feu-dale Da Corrado, abate del célébré monastero di S. Paolo nella valle di Lavant, Ugone riceve 1' investitura délia corte di Mernberg e delle sue adiacenze Ugone e suo figlio Ramberfo riconoscono ' Arch. Imp. 1375, 23 đicembre. ^ Ivi, 1367, 5 agosto. ' Ivi, 1380, 2 febbraio. Cod. Dipl. Istr. 1383, 12 đicembre, Trieste. ■'■' Arch. Imp. 1385, 5 đicembre. ® Ivi, 1386, 6 ottobre. I Glaneck delJa Carinzia provengono daKamberto figlio đi Eođolfo đi Ras. Ultimi di questi è il nominato Guglielmo. ' Ivi, 1387, 2 gennaio. ' Ivi, 1388, 22 gennaio. " Ivi, 1388, 22 giugno. Ivi, 1389, 3 gennaio. ' ' Arch. prov. di Graz 1389, 6 gennaio (copia). Ivi, 1389, 12 marzo; 1390, 30 gennaio (copia). Arch. Imp. 1390, 3 gennaio dalla međesima badia 1' usufrutto delle terre di Virst e presse la Virsijig, cou tutti gli altri diritti goduti prima dagli Scherfenberg '. Che r amministrazioue di tutta questa facoltà esigesse un numero grande d'ufficiali soggetti ad Ugone, s'iutende da sè; alcuni dei più fedeli, posti come capitani nei diversi castclli, si conoscono dai documenti e massime dalle disposizioni testamentarie del Dui-liate. A questi suoi fidi, per essere impegnato in tanti negozii pnb-blici e privati, egli aveva donata la sua intera fiducia anche Belle cose di maggior momento. Vediamo a modo ď esempio, ebe degli affari del comune di Fiume , Ugone VI, corne i suoi antecessori, poco si occupava di persona e rare è che anche al suo tempo s'in-contri qualche notizia csservi il Duinate intcrvenuto. Avvertimmo pero, che molti documenti sono andati dispersi e perduti. Gerti diritti di signoria è naturale che Ugone riservasse a sè solo, come quando nel 1384 egli avvisava il suo capitano ed i giudici di Fiume, ď aver liberate Nicolô Venozzi, abitante di quella città, ab omnibus collectis, factionihus et avgariis, diverse specie di contri-buzioni a cui erano obbligati i cittadini ^ Lo stesso fecero dope di lui i Walsee suoi successori. Come i Duchi ď Austria ricorsero ad Ugone VI per denari, cosi anch' egli dal suo canto e per la medesima cagione ricorse ad altri, fra cui iîgurano specialmente i banchieri ebrei, lezzerli, avo di Musch; il marito di certa Pindel di Marburgo; Afidor di Voits-berg; Nachum di Windischgratz; Passkol »il quale col suo vero nome israelitico è chiamato Pezzach«, di Trieste ed altri; il censo era di circa il dodici per cento Altre non lievi somme egli tro-vasi aver prese a mutno, oltre che dal cardinale Pileo di Prata, dal Duca stesso Alberto ď Austria, da Ermanno di Eckenstein; dai fratelli Nicolô e Giovanni di Drachenberg; da Quirino Antolinich, suo doganiere di Fiume »e suo servo fedelo«; dal conte Ivano di Pernstein e va dicendo ^ Mediatori e mallevadori di queste pre-stanze e de' suoi contratti in generale sono sempře i più íidi délia sua corte, Popolino di Weixenstein, Erardo, lacopo, o Federico di ' Arch. Imp. 1390, 20 maggio. ^ Ivi, 1384, 19 agosto, Fiume. » Arch. Imp. 1361, 20 maggio; 1373, 22 novembre; 1878, 3 febbraio, Vienna; 1381, 15 novembre; 1385, 5 febbraio ed 11 novembre; 1378, 4 maggio; 1385, 2 gennaio; 1366, 25 gennaio, Trieste. ^ Ivi, 1379, 5 novembre, Senosezza; 1388, 27 aprile e documenti citati iúnaiizi. Trapp, Giovanni di Zekorn, suo vassallo, Ermanno di Rosenberg, Ernesto di Lobing. Da questa serie di notizie giova raccogliere ancora un fatto, il quale, per quel cbo diremo piii iunanzi, non va passato in silenzio. Non piccolo era il numero delle cliiese e monaster! esistenti nolle vaste signorie di Ugone VI; ma il suo contegno in quello che ri-guardava strettamente le cose ecclesiastiche non fu aggressivo. Quanto egli in un tempo, nel quale lo scisma ď Occidente rendeva pill crude le ire di parte, fece per motivi politici contro qualcuno del clero e particolarmente contro i Patriarchi, principi ad un tempo ecclesiastici e civili, sembra volesse farselo perdonare colla sua sommessione alia Chiesa in cib obe aile cose politiche non s' at-teneva. NeH'anno 1366, non ostaňte la dcfezione del signore di Duino dalla Chiesa ď Aquileia, la più perfetta armonia regnava fra lui e r abate di Eeligna, soggetto al Patriarca. Cessata da lunga età ogni contesa sui beni di S. Giovanni al Timavo, che rimasero ai Duinati, il cenobio beliniese toneva in grande onore la baronia di Duino come sua protettrice, e 1' abate Matteo della Torre ricono-sceva formalmente il cavaliere Ugone di Duino e suoi eredi quali avvogari iiati ed oreditarii dol monastoro di Bcligna. L'atto veniva anche munito del suggello del vicario vescovile di Trieste, Gastellino della Torre '. Non pure pacific!, ma ossequiosi mostraronsi Ugone di Duino e suo padrigno Eftnoido di Woissejieck verso il Vescovo e il capitolo triestino rispetto allé pievi_della Garsia, che diedero poi motive a sanguinosi conflitti sotto i Walsee, eredi dei Duinati. Ertueido con tutto il rispetto chiese nel 1355, so il chiericato di S. Pietro di "^rnova spetti al Vescovo od al capitolo. Ugone in-tercedeva pel vicario di Catena, qualche anno appresso, perché non fosse aggravate il suo censo dopo 1' incendio che aveva dan-neggiato il patrimonio di quella chiesa; da Trevigi supphcava i canonici di voler condonare al suo capitano in Primano, Uldarico di Arensperg, il quartese^ di Tarnova; sommessa commendazione faceva per Giovanni vicario di Gassona, restate debitore del censo. Di somma importanza è in tine la preghiera fatta con tutto F af-fetto, che si volesse promuovere Pietro suo cappellano a vicario ' Arch. Imp. 1366, 24 giugno, S. Giovanni presso Duino (orig.). délia cKiesa di Povira, mostrando cou ciô il Duiiio quanto alicno egli fosse dal preteiidere il diritto ď elezioue Eguale buon accordo manifestasi fra Ugone VI e il capitolo di Fiume: iiel 1371, egli, il signore dalla città, eleggeva di pieiio conseuso di quei canonici tre sacerdoti, perche riferissero sulla questione dei diritti del capitolo e délia pievanata di Fiume ^ In Fiume stesso i lavori del mouastero e délia chiesa degli Agosti-niani, eretti per la liberalità di Ugono II, venivaiio da Ugoné VI contiuuati cou amore, e quivi egli pure desiderô si ripouessero le sue ossa accanto a' suoi autenati Anche di pie fondazioni fatte da Ugone trovasi negli atti qualche indicazioue. L' abate di S. Lamberto nella Carniola dichia-rava uel 1388 cbe il nobile signore Vgone di Didno, capitano délia Carniola aveva fondata per se una Messa iiella chiesa di N. D. di Zell \ Altri legati pii egli lasciava morendo al monastero di Fiume, alla chiesa di Prauueck; alcune foudazioiii egli coufermava corne tutore dei siguori di Pettau nel couveiito di quei minoriti Per i suoi pupiUi veune ad amichevoli accordi coll'Arcivescqvo Pel-legrino di Salisburgo rispctto al castello di Pettau, fcudo di quella Chiesa, che per Taddietro era stato ceduto al re Bela d'Ungheria Solo col mouastero di S. Paolo uella Carinzia troviamo Ugone VI in coutese; lamentavausi quei monaci che il cavaliere Ugone di Vidno avcsse iuvasi cou altri signoři i loro diritti sni beui di quella badia; e le querele furoao portate iino alla corto del Pon-tetice Gregorio XI. Nel 1375 aucora iu data ď Avignoue, sebbene fino dal geniuiio di queli' anuo egli fosse veuuto a Roma, il Papa dclegô il preposto di Gurk ad esaminare la lite, daudogli facoltà di deciderla di proprio arbitrio Ma auche qui la pace, nou che composta, veune suggollata colle investiture di cui abbiamo parlato più addietro Raccoglicudo ora le fila, i documeuti autorevoli da noi riferiti ' Siamo dubitori ail'c.ruditissimo cav. Attilio Ilortis di aver pubblicati qucsti documeuti dcll'Archivio eapitolare tricstino nella sua Opeia. : Bocumenti risgiiardanti la storia di Trieste e dei Waîsee; pag. 1 e segg. '' 1371, 10 niarzo, Fiume; copia clic trasse il Fontanini dalla Colle-zione Concina in S. Daniele del Friuli. " Si vedrà dal suc codicilio. Avcli. prov. di Gi'az, 1388, 5 aprile, S. Lamberto (copia). 5 Ivi, 13HC, 12 marzo; 1387, 20 maggio (copie). " Ivi, 1387 (copia). ' Ivi, 1375, 15 maggio, Avignoue (copia). " Vedi pag. 220. nou ci lasciaiio đubbio che Ugoue VI di Duino sia stato il piii illustre, il pill poteute, il più riverito cavaliere délia sua casa e clie ad un dominio quasi dinastico abbia unito lo spleudore d'iugeutissimo patrimonio. La vastità de' suoi tenimeuti estesi per tauti acquisti di castelli e borgate nella Stiria, nella Carinzia, uella Carniola; le amicizie e pareutele colle più uobili famiglie non meno dell' Austria che dell'Impero e dell'Italia; le città ed i corauni che gli professavano gratitudine ed ossoquio; la rinomanza ch.'egli erasi acquistata in taute regioni di cui moderava le sorti; 1' autorita in fine ch'egli godeva presso i suoi principi e gli onori e gl'incarichi a lui affidati, tutto prometteva un avvenire sempre piii spleiidido a lui ed a' suoi discendenti. Ma il Policrate di Duino o nou pensô di gettare dall' alto délia sua rôcca 1' anello propiziatore dell' invi-diosa fortuna, o quell' onde sdegnose che ne flagellano il piede, rigettarono il suo tribute alla riva. La casa di Duino era appena giunta air apico délia sua grandezza, allorchè inopinatamente ri-mase cstinta. 9. Estinzione délia casa Duinate. Ugone VI di Duino dettô il suo ultimo codicillo 1' 11 set-tembre 1390; l'atto più prossimo che ne parla come dofunto, è del 23 settembre 1391; ma se la sua morte avvenne fra il 1390 e il 1391, la data précisa délia mcdesima non ci è nota '. Finchè Ugone VI non ebbe figli, e questi non ebbe che dalla sua seconda moglie Anna di Wilthaus, fu naturale ch' egli disponesse délia sua eredità a favore de' suoi fratollastri, e che poi la dividesse anche fra i Walsee, fratelli délia sua prima' moglio, allorchè uno dei Weisseneck, Guglielmo, mori senza prole, ed il superstite Giorgio si ridusse ad aver bisogno di tutela ^ Perciô ncl suo testamente del 1374, fatto a beneficio di questi eredi non naturali, Ugone lascia a suo fratellastro G-iorgio di Weisseneck le città, i castelli e ter-ritorii di Primano, Guteneck, S. Vito di Fiume e Gastua; inoltre le rôcche di Veprinaz e Moschenizze, ma coll' espressa condiziqne che delle rendite di quest' ultime devauo godere 1' usufrutto, loro ' Ud atto che si riferisce a lui piii probabilniente che a suo figlio omonimo, morto ciel pari prima ciel 1400, viene riportato dull'Indice Bianchi sotto il 21 febbraio 1400; ma iii realtà è senza data e l'crrore viene chiarito dai documenti originali di Vienna. ^ Ciô non pertauto Giorgio continua anche dopo a sottoscriversi con Ugone in parecchi atti (vcdi pag. 193) e gli si lascia facoltà di tcstare. vita durante sua ava Stel o Stelichia (meine An Frau Stel) ed Anna figlia della medesima. Giorgio e i beui lasciatigli sono affi-dati dal testatore per sei aiini alia cura, amministrazione e sor-vegliaiiza del proprio cognato Rodolfo di Waltse e de' suoi fratelli. Quando Giorgio muoia senza prole maschile, non potrà disporre de' suoi beni che a favore dei Walsee. A questi il Duinate lascia i suoi castelli di Duino e Senosezza cou tutta la signoria eke v'ap-partiene, e quelli ch' ebbe in pegno dai Duchi ď Austria, che sono i castelli di Karlsberg, Windischgratz e Frauenburg. Li beneiica inoltre di tutti gli oggetti prgziosi e gioielli che trovansi in Duino e Senosezza Poichè abbiamo nomiuato il castello di Veprinaz, è questo il luogo di tornare a quella Betta di Duino rammentata da noi più addietro ^ Ne parla il P. Mariano nella sua Austria sacra prendendo la. notizia dal notaio iiumano Ortensio Rastelli, il quale alia sua volta dice di averla da nota esistente in un libro del capitolo di Fiume. Anno lá06 (cosi la nota), die XV menais Nov.embris ohiit Domina Betta soror Duinalis et sepulta fuit in Cappella S. Georgii Fluminis iuxta, oltare; que domina dotavit Capituhim cum Cappella S. Marie in Veprinaz et suis bonis liheris. Ancora oggidi vengono celebrate nel duomo di Fiume esequie annuali e solenni in suf-fragio della Magnifica Donna Elisahetta di, Duino, che intorno al tempo mentovato donava al capitolo iiumano parecchi fondi in Veprinaz. La tradizione poi, che sempre si piace di adornare i fatti anche meno important!, narra che in antico abitava nel castello di Veprinaz una doviziOsa, bellissima contessa, la quale,- fabbri-catavi la chiesa di Santa Maria, vi fece collocare una statua della Vergine colle proprie sembianze; e perché 1'occhio non rimanesse distratto dal mirare quel volto, non voile che avesse fra le braccia il bambino. La bella castellana crcdesi essere štata appunto l'Eli-sabetta di Duino. Il tempo in cui essa mori non esclude la pos-sibilità che fosse una sorella di Ugone VI; ma se sia venuta a Veprinaz dopo la morte della Stel e di Anna accennaté nel testa-mento del Duinate, e quale sia il motivo che Ugone in questo e nei posteriori non la nomina; se fosse la vedova dello Scherfenberg o del Lichtenstein mentovati più addietro, ovvero se Anna figlia della " Arch. Imi). 1374, 24 giugno. ' Vedi pag. 185. ' Yol. V, pag. 53. Devo alla cortesia del signor consigliere aulico Kobler iiuanto riguarfa qucsta signora di Duino. Štel, portasse anche il nome ď Elisabetta; corne potesse dis'porre dei beni di Veprinaz contro il costume délia casa duinate che aile donne dava soltauto una dote in denaro; queste e moite altre di-mande che potrebbero farsi, diventano inutili, finchè non ci soccor-rano nuovi documenti. Delia Stel e di Anna ci manca del pari ogni ulteriore notizia. Avendo intanto Ugone VI sposata Anna di Wilthaus, da cui ebbe oltre due femmine anche due maschi, su questi natural-meute doveva cadere la sua eredità. Con tutto cib nëppure nel suo nuovo testamento il Duino dimenticossi dei Walsee; e data la morte dei figli in età minorenne, voile che i suoi cognati, non le proprie iiglie, gli succedessero. Nella sua scheda testameutaria del 1385, allorquando anche Giorgio di Weisseneck era venuto a morire, Ugone VI confessa che dopo riflessione matura e sul consiglio dei suoi amici ', essendo sâno di corpo e a piena cogiiizioue di quanto faceva, ha raccomandato e raccomanda a' suoi cari cognati Rodolfo, Rambcrto e Federico fratelli di WaUsée i figli che ha prcsejitemeute 0 potrebbe ancora avere in futuro, con tutte le sostanze e beni che lascierà dopo di se, comunque si chianlino o nulla eccettuato. 1 Walsee predetti dovranno tenerli ed amministrarli con fedeltà, siccome coloro in cui fra tutti i suoi parenti ripone la maggiore fiducia; e ciô finchè i suoi figliuoli, arrivati ail'-età maggiore pos-sano fare da sè. Vuole che le figlie nel contrar matrimouio přendáno consiglio da' suoi parenti e che ciascuna riceva non più di quattro mila fioriiii di dote, rinunziando a tutto il rimanente in favore dei loro fratelli, seconda il dir'Uto feudale e civile di guisa che le altre sostanze restino ai figli. jSe quesli morissero ■prima di essere maggiorenni, iiitle le sostanze che lascieranno dopo di sè, nulla eccettuaio, dovranno andare ai predetti suoi cognati Rodolfo, Ramberto e Federico fratelli di Walsee ed ai loro eredi. Dispone altresi che quando, prima di morire, figli e sostanze fossero da lui •affidati particolarmente ad un solo de' suoi cognati Walsee, questi unicamente, seuza contraddizioiie degli altri due deva ricevere tutto iu tutela. Nel caso contrario intende che rimauga fermo quanto sulla detta tutela ha già stabilito. Dovranno inoltre i tutori ese- ' Furono forse quelli che suggellarono cou lui il testamento: il cognato Giovanni di Liechtenstein, il "suo caro amico,, Arrigo di Rauchenstein, tutore con lui e col conte Ermanno di Cilla dei Pettau, e il suo fedele e vassallo Giovanni di Zekorn. ^ Nel l'riuli la legge cscludente le figlie dall'eredità paterna in caso di morte intestata, venne abrogata nel 1.S71 dal Patriarca Marquardo. guire quant' altro egli fosse ancora per disporre a vantaggio del-r anima sua e delle persone clie intende beneficare, e teiiere inal-terato il resto che ha stabilito '. Complemento di quest' atto e in piena armoiiia col medesimo è la disposizione che Ugone VI detto nel 1390, la quale iiou fa-cendo piii parola ď istituzione ď erede, deve coiisiderarsi come un codicillo. E di vero tenendosi alio riserve espresse nel testamento, il Duinate elegge a tutore uuo solo dei tre Walsee, pensa all' anima sua e lascia parecchi legati a' suoi amici e fedeli. Havvi pero una aggiunta rispetto alia moglie, di cui trova spediente mettere in sodo i diritti e doveri di fronte ai íigli ed ai Walsee. Dichiara pertanto Ugone anzitutto di voler essere deposto dopo la sua morte nel suo sepolcro presso gli Agostiniani nella sua città di S. Vito di Fiume. Raccomanda quindi la sua cara moglie Anna-, i suoi íigli a tutte le sue sostanze, comunque s' ap-pellino e dovunque si trovino, città, castelli, borgate, beni di suolo e sudditi, al cognato Rodolfo di Waltse, maresciallo del Duca Alberto neir Austria, fino al tempo in cui i íigli saraniio diventati maggiorenni. Tutti i castellani delle sue rocche e città, e tutti i sog-getti ed ufficiali presteranno omaggio, giuramento ed obbedienza a suo cognato in nome de' suoi íigli. In tutto quello che il Walsee fosse per disporre, dovrà attenersi al consiglio de' suoi ufficiali (meiner diner) sigiiori Giovanni di Zekorn, Ermanno di Guteneck, lacopo Trapp ed Ernesto Lobing I Stabilisée che quando sua moglie sia disposta a dipendere dal Walsee e a rimanere coi figli, il cognato deva averne tutta la cura e darle quaiito le è uecessario; ma se preferisce di starsene a sè, spetterà al Walsee consegnarle quanto le appartiene secondo i contratti; tuttavolta i castelli e teni-menti di Gonewitz, Freudenberg, Stiitenberg ed Eybeinswald ' non doversele rilasciare, se prima non paghi a' suoi figli il deuaro di loro spettanza che Ugone ha consumato. Al medesimo Walsee il Duinate affida la tutela de' suoi nipoti, signoři di Pettau. Quanto ai tremila tiorini che soiio in matio di sua moglie, duemila vuole che restino a lei; gli altri mille verranno dati al monaster o di Fiume, secondo il volere de' suoi antenati e suo. Altro legato pio egli lascia alia chiesa di S. Sigismondo presso Prauneck, e benefica quindi i ' Arch. Imp. Testamento del 1385, 30 agosto. ' Vedi pag. 221 e sag. ' Sono i feudi che Anna eredito da suo fratell o Rodolfo e di cui Ugone con lei ricevette 1'investitura, come notammo a pag. 219. suoi fedeli Giorgio Auersperg, Giovanni di Zekorn, Ermanno di Guteneck, lacopo Trap, Ernesto Lobing^ ' e Nicolô di Tolmino. Vengono iinalmente enuinerati i suoi crediti, uno dei quali verso il Duca Alberto ď Austria, di circa tremila fiorini, spesi per la città ed il castello di Trieste. Ghiude Ugone col rammentare a Rodolfo di Walsee. il dovere ch' egli ta, di mostrarsegli fedele col prendersi cura di sua moglie, dei figli, del suo dominio e de' suoi soggetti, beneficando altresi i suoi servi che per tanti anni gli prestarouo con tanto àffetto i loro servigi Figli superstiti, nati come indicammo, da Anna di Wilthaus, Ugone VI ne lascio quattro. Uno di quest!, Bamherto, ci occorse nominarlo in uno strumento del 1390 e dei maschi egli dovrebbe essere il maggiore. L' altro è Ugolino od Ugone VII che, dopo la morte del padre, sulla domanda del tutore Rodolfo di Walsee in-sieme con suo fratello Ramberto ottenne da Alberto III Duca ď Austria i feudi paterni. Soggiunge il diploma ď investitura che, giunti air età maggiore, i due fratelli potrauno in persona ricevere, pos-sedere e godere i feudi predetti \ Figlie ď Ugone VI se ne cono-scono parimente due: Caterina ed Anna. Ma prima di parlare di questi ultimi Duinati e della loro estiuzione, stimo necessario scio-gliere alcuni dubbii su parecchi nomi di questo tempo, ai quali pure s'annette 1' aggiunto di Duino., come che alia schiatta dei signoři di Duino non possano appartenere. I diplomi dei Duchi ď Austria, dove parlano dei castelli, signorie od altri beni allodiali, ovvero dei feudi e pegni posseduti dai Duinati, non fanno mai parola se non di Ugone (VI) e de' suoi figliuoli; a questi dunque, per non parlar delle donne, restringevasi la famiglia dei Duino. In sèguito non si scorge fatta menzione se non dei Walsee, come succeduti ail' eredità duinate. Ugone VI non tro-vasi avere avuto altri pareuti, da quelli in fuori che abbiamo no-minati. Della sua eredità anzitutto egli dispone a favore de' suoi fratellastri e dei Walsee; poi dei proprii figli già noti, e in man-canza di questi, non di consanguinei, ma nuovamente de' suoi co- ' I Zeclcorn sono esplicitamente chiamati cavalieri e lacopo Trap fu due volte capitaiio di Trieste. Se Lobing e Lobnik, più tarđi Lobming, famiglia nobile della Stiria e della Carinzia sieno lo stesso, non saprei dire. ^ Arch. Imp. 1390, 11 settembre. Vi pendono 1 suggelli di Ugone, del conte Arrigo di Montfort, del signor Uldarico Payr e di lacopo Trap. ® Vedi pag. 220. * Arch. Imp. -1391, 23 settembre, Vienna. Lichnowsky, op. cit. IV, Keg. no. 2257. gnati Walsee. Il suo iiome stesso uei document! ufficiali è sempre accompagnato dagli epiteti di Signore, Cavaliere, Onorabile, Nobile^ strenuns vir e va dicoudo. Le persone invece che nomineremo, prima di tutto non trovansi in alcuu documento ufficiale, ma solo in istrumenti privati o nelle non troppo fedeli narrazloni dei cronisti; iuoltre, eccetto un' unica volta, si dicono purameute e semplice-mente N. di Duino, Sono anche persone i cui nomi uniti ad altri talora molto triviali, indarno si cercano ripetuti nella gcnealogia di signoři di Duino. E noto in fine il costume di chiamar le persone volgari col nome proprio e cou quello del sito délia loro dimora. Ciô posto, sembra che già a priori tutte queste persone debbano escludersi dalla famiglia di Duino, tranne i casi dove nacque uno scambio di nomi. Ma esaminate anche meglio le notizie che se n' hanno e i documenti in cui appariscono, la nostra deduzione resta vie mag-giormente confermata. Discendiamo pertanto ad indicare questi nomi. Nella guerra del Duca Rodolfo IV ď Austria col Patriarca Lodovico délia Torre, le genti di quest' ultimo vennero sconfitte da Uldarico di Reifemberga e da Virdero di Duino ' ; la notizia è data dagli storici friulani senza appoggio di alcun documento; ma es-sondo in un tempo nel quale i documenti non iscarseggiano più come per lo innanzi, questo nome isolato va accolto con grande riserbo; poteva fra l'altre Vintero essere il castellano cui stava commessa la rôcca duinese. Ne maggior fedc merita la notizia del Nicoletti, che quell' Ugone di Duino il quale sotto il Patriarca Giovanni di Moravia trovavasi in lotta cogl' Istriani % fosse figlio ď Ilvino. Era figlio di Giorgio e figliastro di Ertneido di Weis-seneck; era in breve Ugone VI. E non altri che Ugone VI fu certamente quel Giovanni o Hans von Tybeln Hauptmann von Karairin (sic) citato nel 1385 dalla gencalogia del Bini, dalle Jndicazioni del Kandler e da altri, dove lo sbaglio di Hans per Haug (Ugone) e di Karairin per Krain (Carniola) è manifesto. Giovanni di Duino, zio d'UgoheVI che entra nella convenzione del 1337 fra i Duinati ed il Patriarca Bcrtrando \ difficilmente sarà stato vivo nel 1385, e in ogni caso non poteva essere capitaiio délia Carniola, dove dal 1383 al 1388 • Vedi pag. 32. '' Vedi pag. 215, nota 5. ^ Yedi pag. 181. sappiamo aver coperta quella carica suo nipote Ugone VI Chi possa essere il Comes Duyni citato dal Verci nella guerra del Carrarese con Gian Galeazzo Visconti, abbiamo già espresso il nostro aTviso in altro luogo Nel 1405 un Mix o Mixe di Duino dà in pegno a sua cognato Federico di Raunach ed a sua moglie Gertrude alcunc terre in Ga-bria, e concorre all'atto 1'altro cognato di Mix, Volfingo Rascbauer Nel seguente novembre Volfingo, figlio di Mix e Caterina sua moglie impegnano alcuni fondi in Satria, Werriach e Brestovizza al loro cognato, il predetto Federico di Rauiiach; e all' atto assiste nuo-vamente il Rascbauer con Lupino der Gánslein, capitano di Duino \ Nel 1411 Volfingo di Duino figlio di Mix contrae un debito di poche marche col Raunach e I'obbligazione viene convalidata dallo zio Federico di Toplacb ^ Poi Caterina moglie di Volfingo di Duino, figlia di Giovanni Harrer vende una terra in Mangenspurg a Margherita Liebenstein priora in Michelstetten; suggellano il contratto Marchetto Stupplein, Pirss di Aych e Linardo Igger Basti osservare che tutti questi contratti privati sono posteriori air estinzione della linea maschile di Ugone VI, e che i contraenti non ebbero parte alia sua eredità, passata nei Walsee, come fra breve dimostreremo ; che il nome citato di Volfingo comparisce spesso fra i castellani che tenevano i Duinati ed i Walsee nelle loro signorie; che specialmente i Raunach sono indicati più volte come capitani di Fiume; che quindi quei contratti dovevano essere fra gente di ugual condizione, cotne si vede anche dalla qualità di alcuni testimoni che vi assistono; che le somme stesse mutuate accennano a patrimonio angusto, per credere che l'apposto di Duino indichi soltauto persone dipendenti dalla signoria di quel nome. Il solo Mix trovasi nominato fino dal tempo di Ugone VI quai testimouio in un contratto del 1373, dofo i piíi volte ricordati Giovanni Zekorn ed Alberto Fiixel ufficiali del Duinate Havvi, è vero, un altro Mixe di questo tempo, ma appartenendo alla famigha dei Weixenstein o Weitenstein, neppur egli era un Duinate. Esso fu vicecapitano dei Walsee a Trieste, come Popolino di Weiten- ' Vedi pag. 318. ' Vedi pag. 217. ' Arch. Imp. 1405, 16 maggio. ' Ivi 1405, 11 novembre. ® Ivi, 1411, 17 marzo. « Ivi, 14U, 2 agosto. ' Yedi pag. 189 nota 4. steiu h prima capitano ď Ugoiie in Wiudischgratz e poi suo luo-gotenente in Trieste. Altre scritture friuale parlaiio di un Bernardo e di suo figlio Andrea di Dumo. Nel 1389 il paroco di S. Martino presSo Wiudischgrátz vende al con rento di Mernberg par il mantenimento ď una sua sorella alcune terre, il cui possesso viene assicurato al monastère dal grazioso signore {gnadiger Herr) Bernardo di Duino Suo figlio, detto soltanto Andrea di Duino, trovasi dopo il castellano di Duino Alberto Fiixel quale testimonio nel contratto con cui Giovan^îi Vrass ' cede al signor Ugone di Duino i diritti che 0 per pegno o per altro motive vantava la famiglia Vrass sul castello inferiore di Duino Nello stesso giorno Giovanni Vrass assiste con Alberto Fiixel ad un contratto, in cui Andrea, figlio di Bernardo di Du/no, parimente nominate senz' altro epiteto onori-fico, assioura sopra alcuni fondi la dote di sessanta marche venete, assegnate a sua moglie Margberita Pircber dal signor Ugone di Duino,- e promette che morendo senza figli, la dote tornerà ad Ugone ed a' suoi eredi Il- trovarsi Andrea di Duino nel documente antećedente posposto al castellano dei Duinati; la tenue dote di sessanta marche assegnata da Ugone VI alla moglie di lui, di pověro e non nobile casato, laddove una Duinate iion riceveva meno di 4000 fiorini; 1' obbligo délia restituzione nel caso che manchi la proie, alla famiglia dei Duino, con cui si distingue l'una dair altra e mostrasi che Andrea non aveva parte al retaggio di quei baroni, ci fanno parimente vedere che Bernardo e suo figlio Andrea, come che il loro cognome sia omesso, erano anch' essi al pari degli altri indicati di sopra clienti od ufficiali délia illustre famiglia Duinate, e corne il Vrass, che certamente non era Duinate, dice-vansi di Du!no, perche abitanti di quella signoria; il che non esclude che fossero di famiglia abbastanza stimata, quando il paroco di S. Martino, pel bénéficié che riceveva da Bernardo, stimô di peter largbeggiare nei titoli. Sbarazzatici di tutti questi nomi che a prima fronte pro-ducono qualche confusione, vediamo che cosa avvenne alla morte ' Arch. prov. di Graz, 1389, 26 novembre (copia da maiioscritto). ' Vedi pag. 84. Vrass e Vraz (Fraz), famiglia nobile carintiana dovrebbe osscre ]o stesso. Un laiíziJo Vrass de Duino inferiùri trovasi negli atti di Alessio d'Attimis, Arch. not. di Udinc a. 1400, e vien chiamato nobiîis vir. S'intende che essendo Vrass, non era Duinate. ' Arch. Imp. 1385, 7 aprile, Lubiana. Ivi, medesima data. del più chiaro cavaliere che illustrasse la nobile casata di Duino. II primo fatto è la discordia iiata fra il tutore dei minorenni o la loro madré; discordia la quale Ugoue YI nel suo codicillo eraai studiato colle sue raccomandazioni di preyenire. Nel codicillo stesso pero ci fu r appiglio, mentre Rodolfo di Walsee aveva la facoltà di mettere una restrizioue ai diritti che aveva Anna di Wilthaus sulle quattro rocche ereditate dal proprio fratello '. Anna invece poteva dichiarar arbitrarie queste limitazioni impostele dal marito, Per finire il piato, convenne ricorrere agli arbitri. i quali furonO scelti fra la più elevata aristocrazia, e finalmente anche al Duca Alberto III Composte le cose su questi castelli di Gonewitz, Freudenberg, Stetenberg ed Eybeinswald, la vedoya di Ugone "VI pote disporne per modo, che una parte pervenne anche allé figlie. La morte della Wilthaus dev' essere avvenuta prima dello spirare del secolo; un ultimo atto che a lei si riferisce, è del 1396, quando essendo mancato anche il Duca Alberto III, suo uipote Guglielmo, figlio di Leopoldo III, in qualità di avvocato della badia di S. Paolo nella Cariuzia, dava il suo assenso che Uldarico di Walsse com-perasse da Anna vedova di. TJgone di Duino e da suoi figli il diritto sulla casa di Mernberg spettaute a quel monastero ed im-pegnata ai Dui nati ^ Anche Ramherto che con qualche fondamento abbiamo sup-posto il primogenito della Wilthaus, cessa di nominarsi espressa-mente dopo il 1391, e precedette senza dubbio nella tomba suo fratello Ugolino, poichè in un diploma del 1399 la linea maschile dei Duinati vedosi estinta al morire di quest' ultimo. Pero nomi-uandosi uel documento del 1396 teste citato i figli - di Anna in plurale, e non potendo supporsi che vi sieno comprese le figlie diseredate, si puo con qualche probabilita inferirne, che in quel-r anno Eamberto fosse ancor vivo; e a piii forte ragione nel 1393, che è la data ď una quietanza in cui Arminio. di Kellersberg confessa di aver ricevuto dal tutore dei figli di Ugone di Duino la somma dovuta- a lui ed a' suoi commilitoni per il servizio di due mesi prestato ancora a Treviso al Duinate ' Vedi pag. 227 nota 3. ' Arch, Imp. due atti in data di Vienna, 139B, 21 gennaio.- ' Ivi, altri due documenti del Z 393, 23 gennaio, Vienna. ^ Ivi,. 1396, 19 marzo, Vienna. Vedemmo che ]a casa di Mernberg fu conceduta ad Ugone ed a' suoi eredi; ma sopra Mernberg era assicurata la controdote della Wilthaus; perci6 concorrono alia vendita la madre e i figli. » Ivi, 1393, 20 settembre, Vienna. L' ultima speranza délia stirpe di Duiuo, al morir di Ram-berto, era dunque riposta in Ugolino od Ugoiie VII, dopo il quale non rimanevano clie due femmine. Ma questi pure yide crudelmente troncarsi il filo de' suoi giorni sul íiore degli auni, prima ď uscire di tutela, giacchè non risulta ch.' egli abbia fatto testamento '. Ancbe il modo délia sua morte immatura rimane incerto. Il Valvasor, appoggiandosi al Bauzer, dice: »Dappoichè questo ' casato (dei Duinati) rimase estinto, ottennero la signoria di Duino con parecchie altre i signoři di Walsee o Valsa, come confermano le seguenti. parole del P. M. Bautscber: Anno 1400 male extinctis D. D. de Tybein, seu de Duino, investitur Raimpertus de Walsee de bonis eorum Duino, Senosetz, Guetenegger (sic) etc.« ^ In un diploma del Duca Guglielmo ď Austria dell' auno 1399, che tosto recheremo per disteso, havvi un' altra frase che taluno sottilizzando potrebbe prendere per allusione ad una mala morte; dicendosi ivi che Ugolino del fu Ugoiio di Duino, abbia pur iroppo terminato colla morte {mit dem tode lay der sey abgegangen). L' opiuiono che iuvalse è quindi che Ugone VII sia stato assassinato ^ Ma quauto al Bauzer, a cui il Valvasor attribuisce il problematice male emtinctis, consultato 1' apografo delle sue narrazioni esistento nell' archivio triestiuo, le parole che vi si riferiscono suoiiaiio cosi; »Flumiuis oppidum, Castua, Vepriiiacium et Moscheniza vici feruntur quondam fuisse iisci Pollensis Ecclesiae, collati fiduciae dynastarum Duinen-sium, quorum ultimus memoratur Hugo, qui anno Christi 1385 fertur datus praeses Carniolae, quo mortuo ad annum salutis 1400, dynasta de Walsa memoratur iustitutus de Duino, de Gueteneco, de Flumine, Castua, Veprinacio, Moscheniza castellis«. Puô darsi che il passo citato dal Valvasor trovisi in qualche altra parte o in qualche altro manoscritto ; qui intauto la disputata frase non c' è, e trattandosi di cosa di rilievo, farebbe meraviglia che, dove si porgeva occasione di rammentare questo particolare, il Bauzer lo passasse sotto silenzio, quasi che egli parlasse a contcmporanei, del medesimo già informati. Ma dobbiamo inoltre notare che, se la frase maie extinctis esiste, quella forma plurale si riferirebbe ai Duinati in genere, non già al solo Ugolino. Potrebbe quindi sup-porsi che tanto il Bauzer, quanto il diploma di Guglielmo, abbiauo ' Vedi la disposizione del padre nel testamento del 1385, pag. 226. ' Parte 111, Lib. XI, pag. 608. ^ Ancho il Kandler sembra in questo aver seguîto le troppo vaghe notizie del Banuer e del Valvasor. semplicemente iiiteso di deplorare 1' iiiopiiiata estinzione d^ una faraiglia cosi potente, appunto al momento dolla sua maggiore graii-dezza, coll' esserle rapite da morte immatura le due uuiche spe-rauze su oui la casa ancora s'appoggiava. Nè le parole del Bauzer, nè quelle del diploma, iu mancanza ď altre prove, valgouo ancora a stabilire la realtà dell' assassinio che vuolsi commosso su Ugo-lino; eiioii che ingiurioso, sommameiite avventato sarebbe il sospetto che vi entrassero i Walsee, corne parte iiiteressata. Del restante il Bauzer si mostra maie informato in alcuni particolari, p. e. laddove rammenta corne ultimo dei dinasti duinesi queir Ugone che nel 1385 dicesi essere stato dato alla Carniola come governatore, e dove soggiunge che mori circa 1' anno 1400. È di Ugolino che la morte avvenne intorno al 1399. Avveratosi quindi il caso contemplato dal testamentů ď Ugone VI, che i suoi íigli morissero prima ď essere maggiorenni, i baroni di Walsee raccolsero 1' eredità dei Duinati. E succeduti nei beni di questi, i Walsee desiderarono portarne anche le insegne goutilizie. Alla dimanda che ne fece l'extutore dei Duino, Rodolfo di Walsee, il principe austriaco rispose col seguento diploma: »Noi Guglielmo, per la grazia di Dio Duca dell' Austria, della Stiria, della Carinzia e della Carniola, Conte del Tirolo ecc. confessiamo per Noi e per i Nostri fratelli ed eredi, che venne da noi il Nostro fedele e caro Rodolfo di Walsse, Nostro maggiordomo, e ci espose come suo ni^ote ' Ugolino di Duino, figlio del defunto Ugone, abbia pur troppo termiuato colla morte. Quindi ci chiese umilmeute, che per grazia speciále volessimo degnarci di conce-dergli lo scudo e 1' elmo del predetto di Duiuo, ora rimasto vacante ; il quale è uno scudo di rosso con fascia, rotta ď argento, e sopra I' elmo un cappdlo di zibellino con rovescio ď ermclUno e bottone ď argento I Laoiide avendo Noi considerati i molti, fedeli ed utili servigi, che il detto Nostro maggiordomo da lunga pezza ci ha prestati e ci presta e deve prestarci ancora, col présenté docu-mento gli abbiamo concesso e gli coucediamo per grazia speciále la predetta arma, scudo ed elmo, colla scieuza di cio che vogliamo ' Ôheim, col doppio senso cli zio e nipote; ma anche nipote di Rodolfo di Walsee fii Ugolino soltanto in senso lato, perché figlio della Wilthaus, non délia Walsee. Non è se non la connussione dei fatti che serve a riscliiararci queste continue ambiguità delle voci. ^ Das ist ain scliilU von keel mit ainer gerbrocJmen vasschen von silber und auf dem hellm ain huit von zabel mit ainem sturtg von hermyn und auf dem huit ain knopff von Silber. Vedi pag. 133 e seg. e possiamo con questo concedergli; di modo cho egli e i suoi eredi possaiio portare ď ora iiuianzi la dotta arma, scudo ed elmo, iielle cose di cavalleria di giuoco e di serio, secondo 1' uso e il diritto di feudo e civile. Dato in Graz, iiel venerdi dopo S. Diouigi (10 ottobre) 1' anuo dopo la uascita di Cristo mille trecento e no-vaiita nove« '. Le armi delle due case vennero quindi abbiuate, come fan fede i sepolcri dei Walsee posteriori. Anche intorno all' eredità lasciata dai signoři di Duino il Bauzer nei luoghi riportati di sopra si esprime assai inesattamente. Fauno lo stesso gli annali di Fiume ; anzi secondo i medesimi I'in-vestitm-a di tutto sarebbe stata conferita ai Walsee dal Duca Guglielmo Gonviene invece distinguere le sostanze ď Ugone VI in varie specie: v' erano i feudi istriani della Cbicsçi di Pola e i feudi transalpini dei Ducbi ď Austria; altri possedimenti erano pi-gnoratizii e dovevaiio o comperarsi o restituirsi quando i Duchi avessero soddisfatto il debito; altri ancora erano allodiali d'antico e di nuovo acquisto; sopra tutto v'era Duino colla corona dei castelli del Carso cbe i Duinati fino ad Ugone Vl riconobbero di tenere dalla Cbiesa. ď Aquileia. Ora 1' investitura del 1400 di cui tutti parlano, ma cbe sara difficile rinvenire fra le disperse carte di Fiume, si riferisce ai feudi di Pola, cioè la città e i castelli fiumani pero resta dubbio se Ugone stesso abbia riconosciuto quel feudo. I feudi austriaci avevano parimente bisogno di nuovo conferimento, ed è probabile cbe, essendo in gran parte compere di Ugotie VI, venissero ai Walsee confermati, sebbene in partico-lare non lo sappiamo cbe di quello di Senosezza. Duino e gli altri territorii del Carso, considerati ormai come allodii; i beni liberi e forse temporariamente i pegni austriaci passarano ai Walsee per le disposizioni del Duinate. Rispetto a quest'ultima parte ďeredità i Walsee dinanzi ai Duchi ď Austria si trovavano nell' identica posizione dei Duinati, e non avevano bisogno se non di chiedere il rinnovamento dei privilegi concessi ad Ugone VI nel 1366, quando ' Arch. Imp. di Vienna. Aîmanacco di Fiume a. 1399. ' Nell' Opuscolo in onore del Piccolomini, il Kandler nomina il Vescovo Guido che avrebbe data la nuova investitura ai Walsee. ^ Della contea di Pisino e dei castelli di Piemonte e di Freyen v'avrebbe nel 1407 una concessione speciále dell'Austria a Ramberto di Walsee. Pisino veniva riouperato dali'Imperatore Federico III nel I47I. Vedi T Opuscolo citato e le Jndieamni del Kandler. questi, riuunciata 1' ubbidieuza ad Aquileia, veime a mettersi sotto la protezioiie dell'Austria. E tale è la dimanda fatta da Kamberto di Walsee dopo la morte de' suci fratelli Rodolfo e Federico. Giova qui trascrivere la coucessioiie ottenuta dal serenissimo Duca Ernesto, succeduto nel 1411, dopo la mancauza de' suoi fratelli Ga-glielmo e Leopoldo IV, nel possesso délia Stiria della Garinzia e della Caruiola, mentre Federico aveva ottenuto il Tirolo. »Noi Ernesto, per la grazia di Dio Arciduca ď Austria ecc. dichiariamo colla preseute che, presentatosi a Noi il Nostro caro e fedele Bamberio di Walsse, maggiordomo del caro Nostro Cugino Alberto Duca ď Austria ecc. e capitauo dell' Euno superiore, ci rese ostensible un diploma coi suggelli dei defunti eccelsi Principi Duca Alberto Nostro caro Cugino e Duca Leopoldo Nostro caro Padre, ai quali Dio voglia usare misericordia, e che da verbo a verbo è del seguente tenore. (È il diploma del 1366 riferito da noi a pag. 195 e seg.) Ci chiese quindi umilmente cbe Ci degnassimo di confermarlo colla Nostra grazia, polchè i castelli e i heni del noini-nato JJgone di Duino a lui erano pervenuti ed egli ne era in possesso. Avendo noi presa in esame la sua devota preghiera e beni-gnamente considerati i fedeli servigi prestati da lui ne'tempi andati ai Nostri anteq^essori Cugini e Fratelli di felice memoria, e quelli clie tuttavia egli presta a Noi e al Nostro già nominate Cugino Duca Alberto, gli abbiamo colla presente per grazia spéciale e con potere e degnazione di Principe confermato e ratificato il trascritto diploma, confermiamo e ratifichiamo anche di piena scienza in forza di questo rescritto quello che è da confer m are e ratificare; e ci6 in guisa, che intendiamo potere il suddetto di Wallssee godere del soprascritto diploma, coi beni ed apparteuenze che dal nominato di Duino gli sono pervenuti; restando il privilégié da parola in parola mantenuto e in pLeno vigore, e colla coudizione che il di Walsse stesso e i suoi eredi e successori devano prestare obbe-dienza e servigio a Noi, a' Nostri eredi e successori colle dette fortezze, città, castelli e signorie. (Segue 1' or dine a tutte le magistrature di riconoscere ed osservare il diploma). Dato in Neustadt, il martedi dopo la conversione di S. Paolo (25 gennaio) dell'anno mille quattrocento e diciotto dopo Cristo« '. ' Arch. Imp. trascrizione ufficiale in pergamena fatta a preghiera di Volfango di Walsee da Luea Preposito di S. Floriano all'Enns in data di S. Flo-riano 1452, 11 ottobre, e confermata dal notaio imperials Valentino Walther. Cfr. Lichnowsky, op. cit. V. Reg. no. 1770. Scorgesi anche da questo diploma del Duca Ernesto, che r iudicato Ramberto di Walsee, fratello di Federico e di Rodolfo (1' extutore del Duinati), è il vero successore ed erede di Ugone VI, siccome quello, in cui si continuo la schiatta dei Walsee ancora per tutto il secolo decimo quinto. E questo avveniva per ano dei due nuovi matrimonii fra la casa di Ugone e quella dei Walsee. Di Ugone VI rimanevano ancora le due figlie; Anna, nubile iiiio al marzo 1401, avrebbe sposato in quel medesimo anno Rodolfo di Walsee, ma certamente accasossi nel 1404 con Eberardo di Kappellen il cui avo, der lange Kappellen conduceva la retro-guardia nella famosa battaglia al Marchfeld, onde resto decisa la sorte fra Rodolfo I. ď Absburgo ed Ottocaro di Boemia. A-bbiamo veduto che anche Ugone VI possedeva terreni nella valle in der Kappellen, e di là venne forse la conoscenza con quella famiglia. Nel 1404 Eberardo di Kappellen assegna a sua moglie Anna, figlia del fu Ugone di Duino, la quale gli aveva portata la dote di 4000 fiorini, la controdote di fiorini 6000, assicurati sul castello di Steiereck, e vi aggiunge 375 libbre qual dono mattutino ^ L'assi-curazione viene approvata da Giorgio Vescovo di Passavia, da cui dipende il feudo di Steiereck ^ Caterina invece fu sposata dap-prima in Leutoldo dei Meissau, gran copiere dell' Austria. Già neir anno 1371 Ugone VI aveva prestato malleveria ad Eidenrico di Meissau a favore de' suci cognati Ottone ed Uldarico di Liechtenstein per la dote di Anna, figlia di Stefano di Meissau, e de-funta moglie del predetto Uldarico La relazione rinnovossi quindi fra i figli delle due case. Abbiamo il coatratto nuziale in cui Leutoldo di Meissau aggiunge ai 4000 fiorini di dote portatigli da Caterina sua moglie, figlia del defunto Ugone di Duino, uu dono mattutino di fiorini 6000, dandole in pegno coH'assonso dei Duchi ' Che fino al marzo 1401 Anna fosse ancor nubile, si raccoglie dal coutratto originale esistente uell'Arch. Imp. del 1401, 21 marzo, Bleiburg, che tosto citeremo. Ma che ancora in quell'anno ella si fosse sposata all'extutore Kodolfo di Walsee apparirebbe dal Notizenblatt di K. Akademie der Wis-senschaften, II, 305, che riporta 11 seguente documento: 1401, 3, XII, Graz: II Duca Guglielmo ď Austria conferma una convenzione fra Rodolfo di Walsee e Leutoldo di Meissau rappresentante di sua moglie Caterina, iiglia ď Ugone di Duino, intorno al castello di Eibiswald; Eodolfo rimane in possesso del castello sua vita durante; dopo la sua morte metá andrà a Caterina, e I'altra metá a sua sorella Anna, che ha per marito Bodolfo di Walsee (welche Rudolf von Wallsee inne hat). Ma il documento riferito dal NotigenMatt soltanto in estratto non ci lascia senza qualche dubbio. ^ Arch. Imp. 1404, 16 febbraio. Ivi, 1404, 28 giugno, Passavia. * Ivi, 1B71, 29 settembre, Vienna. ■austriaci i diritti e le reiidite di^ laydhof, pogiio dell' Austria '. Nata questione anche sul castello di Freudenberg, uiio dei quattro divisi da Anna di Wilthaus fra i figli e le figlie, Giovanni Vescovo di Gurk conferma la convenzione seguita fra il marilo di Caterina e Rodolfo di Walsee, in forza délia quale quest' ultimo sua vita durante rimaue in possesso del disputato castello; morto lui, una metá andrà a Caterina, I'altra ad Anna sorella di lei ancor nubile Intanto pero nello spazio di appena quattro anni moriváno e I'extutore Eodolfo di Walsee e il marito di Caterina; del 1404 è il contratto con cui Caterina di Duino, vedova del Signor Leutoldo di Meissau affitta per sei anni ad Ottone di Meissau le rendite di laydhof, su cui il marito le aveva assicurata la dote Fu allora che forse per suggellare la concordia e togliere per sempre ogni altro motivo a dissidii, venne combinato il nuovo matrimonio fra Caterina di Duino e Ramberto di Walsee, fratello dell' extutore e di Federico. Questa unione doveva essere tanto piii desiderata, in quanto che nè dalla parte delle due sorelle di Duino, nè da quella dei tre fratelli Walsee fin là s' erano avuti figliuoli e stava già per estinguersi anche la schiatta dei Walsee. Cosi la stirpe di questi ultimi fu salva ancora per tre generazioni. 11 matrimonio di Caterina di Duino con Eamberto di Walsee è confermato da due documenti : neir uno, del 1406, Guglielmo ď Austria approva che Caterina figlla di IJgone di Duino abbia daio a Ramberto di Walsee suo marito la sua metá del castello di Eybeinswald nell'altro 1'Arciduca Ernesto ď Austria conforma il testamento con cui Caterina figlia ď Vgone di Duino lascia erede dell' intero castello ď Eybeinswald suo marito Ramberto di Walsee onde si potrebbe raccogliere che Anna morisse dopo 1' anno 1406 e Caterina intorno al 1418, dopo essere venuta in possesso deH'iutero castello di Eybeinswald. Altri invece la credono morta nel 1427 superstite ella lasciava un figlio omonimo del marito Ramberto, che continué, come dicemmo, la schiatta dei Walsee ancora per tutto il secolo. E in Fiume, nella ' Arch. Imp. 1400, 29 settembre. Ivi, 1401, 21 marzo, Bleiburg. Abbiarao già veduto nella pagina antecedente nota 1, ehe simile questione e divisione avvenne nel medesimo anno alcuni mesi dopo rispetto al castello di Eybeinswald. ^ Ivi, 1404, 14 settembre. ^ Datato da Vienna 1406, 6 Juglio; vedi il Notigenblatt della K. Akademie der Wissenscbaften 185], pag. 381. = Notizenblatt, II, 309; 1418, 27, I, Neustadt. " Almanacco fiumano; Kandler, Indicamni ecc. a. 1427 ed altri. tomba degli avi, dicesi sepolta anche quest' ultima íiglia del célébré Ugone VI ed ultima discendento dei signoři di Duino. Chi a' giorni uostri volesse investigare nella chiesa di S. Gi-rolamo in Fiume, se qualche monumente vi rimanga ďuna dinastia che per tre secoli rese famoso il castello di Duino, non vi tro-verebbe che una lapide sepolcrale di marmo nero affatto liscia, in cui, sebbene non molto antica, a stento si rileva la segueiite iscrizione: Monumentum 1.1. D. D. Hiigonis de Tybino Et Haimperfi de Valse huius Coenobii fandatorum. Ma questa epigrafe, che vuole soltanto conservare la memoria di chi fondava e di chi compiva il cenobio, Ugone II ed il Walsee, e non rammenta nè Ugone YI uè gli altri Duinati, molto probabilmente ivi sepolti, si vede che non è 1' originaria. Le antiche lapidi del sepolcreto Duinate, corrose dal tempo, credonsi rimosse nel 176G, quaudo fu ristaurata ed ampliata la chiesa. Una se ne ricorda dal Valvasor, il quale dice che presso 1' altar maggiore nella tomba dei Duinati sono sepolti due fratelli Walsee, e che la lapide ne porta scolpite le immagini. Inesatto è pure il dipinto fatto eseguire nel 1710, il quale dovrebbe rappresentare in tela le armi gentilizie dei Duino e dei Walsee '. Le altre memorie del monastero di S. Girolamo nella sua soppvessione del 1788 sparirono di là e gli avanzi di quei documenti si conservano nella capitale dell' Ungheria. Tanto più superbe torreggiano sopra l'alto scoglio di Duino, quale grandiose monumento dei baroni Duinati, le secolari pitto-resche reliquie del loro antico castello. ' Vedile riprodotte dal cav. di Crollatanza op. cit. pag. 142. Seconde r cpigi-afe incisa nella cornice, nel 1408 sarebbe tomato al raondo un Ugone di Duino, per fondarc il convento insieme con Rambcrto di Walsee. L'inesatta ospressione devt' alludere soltanto al compimento dato nel 1408 all'opera del Duinate, comnientando malamente 1'epigrafe della odierna lapide. B. I W A L 8 E E 1399-1472. --m-- I- 1 primi Walsee. Se i signoři di Duino per tre secoli tennero in fama il ca-stello del loro nome colle svariate imprese, a cui presero parte di qua e di là dalle Alpi, coll' ampiezza dei loro tenimenti e colle cospicue aderenze che si procacciarono; i baroni di Walsee loro successori emergono piii pei loro fasti anteriori alia venuta a Duino, e per quanto operarono rell' Impero e nelF Austria. Larglie orme lasciarono bensi anche a Duino, ma soltanto del loro spirito bat-tagliero sopra un campo, dove i loro antecessori mostraronsi per lo pill amanti della pace e della concordia, le attiuenze cioè colla città e colla chiesa tricstina. I Walsee non erano famiglia indigena di queste regioni, e se già in Austria, come stranieri, destarono sposso r invidia e la gelosia, qui piii cbe altrove la politica aggressiva, a cui s' attennero, doveva riuscire malevisa. Aggiuugevausi le condi-zioni infelici di quel tempo travagliato dallo scisma, che alla guerra dei Walsee col Vescovo e col capitolo triestino diedero maggior asprezza e risalto. Trattar di proposito intorno ai Walsee non ispetta a me. Dei signoři di Duino nessuno aveva peranco data una relazione seguita e connessa ed è per questo che m' accinsi a farne un primo tentative, ingegnandomi di mettere insieme le notizie édité ed inedite che a loro si riferiscono, raggruppate intorno ad uno schema genealogico certamente imperfetto e in moite parti ancora incerto, ma almeno più ampio degli anteriori e qua e là rettificato. ' La più estesa è quella del bar. Czornig, nella più volte lodata sua opera Bas Land Gôrz und Gradišča, e va đa pag. 639 a 644. Sui Walsee iiivece tajite sono le opere, che sarebbe portar acqua al mare il ripetere clistesamonte cio che altri iie scrisse. Quello pero ch' io trovo notevole, è che alcuni dubitano deir attinenza dei Walsee colla prosapia dei Mels Alboria, Prodo-lone e Colloredo, beuchè sia sostenuta da autorevoli scrittori, i quali fauno disceiidere dai due fratelli Arrigo ed Eliabordo, figli ď Alboue, due stirpi, 1' uua dei Waldsee iu Germania, 1' altra dei Mels iu Italia. D' accordo souo tutti soltauto uel maiidare a confine fra lé leggeude quauto si narra dei Walsee anterior! ad Albone, risaleudo cou poetiche tradizioui tiuo allé nebbie del secolo quarto ed asseguando alia famiglia per sede originaria il castello di Hei-ligeiïberg, apparteuente oggi alia priiicipesca stirpe dei Fiirsteuberg. I Walsee, venuti dalla Svevia nell' Austria quando 1' otten-nero i conti ď Absburgo (1282), salirono quivi ben presto a tauta importanza, che difficilmente v' ebbe altra faoiiglia, la quale potesse cou loro competei-e per ceuso, per potenza e per inilusso '. Perciô sotto Alberto I, figlio dell' Imperatore Rodolfo, scoppiava fra i nobili doir Austria utia rivolta, provocata in grau parte dali' aderenza di Eberardo, Avrigo, Uldarico e Federico di Walsee alla persona del Duca. Fra le coudizioui poste dai rivoltosi per tornare ail" obbe-dieuza ď Alberto, fu quella di cacciare del ducato gli stranieri e nomiiiatameute i Walsee. Aveudo il Duca accouseutito ad ogni altra richiesta, fuorchè ail' espulsione degli Svevi, i ribelli diedero di piglio aile armi. Ma Alberto dimostrô fin ď allora colla sua fer-mezza, che il futuro viucitore del re di Germania non si lasciava intimoriro da quattro facinorosi vassalli. Prima di venire a batta-glia, r un dopo 1' altro tornaroiio ail' obbedieuza e da quel tempo i Walsee primeggiaroao in Austria per ben due secoli, come con-siglieri e maggiordomi di quei principi e come capitani e marescialli iu varie provincie; di là ebbero occasione di calare in Italia. Questo avveune dapprima nella guerra cominciata a narrarsi da iioi, quando ragionavamo di Ugone IV di Duino ^ Tendendo Padova e Trevigi a liberarsi dal giogo degli Scaligeri e dei Cami-nesi, l'ultima di queste città col darsi a Federico il Bello, era stata Occupata da Arrigo II di Gorizia, che quivi condusse Ugone lY il Duinate. Ugual bisogno di protezioue senti Padova, contro cui s' era ' Narra una cronaca contemporanea, che i Walsee erano venuti scàlei nell'Austria, dove ben presto divcnnero grandi e potenti siguori. È naturalmente un'amplificazione oratoria dei loro iiemici. ' Vedi pag. 169 e segg. rivolta ť ira dello Scaligero. 11 perche Arrigo di Gorizía cerco sor-prendere Can Grande all'impensata; ma fallitogli il colpo e temendo il furore del Veronese, chiese in gran premura soccorso a' suoi alleati del Friuli e ď oltre monti. Uldarico di Walsee s' era già segnalato fra gli altri membri della sua famiglia, nou meno pel suo valore, clie per la devozione alia casa ď Absburgo. E di vero, scoppiata jiel 1307 la contesa pel trono di Boemia fra Ai-rigo di Carinzia ed i Duchi austriaci Rodolfo e Federico, Uldarico di Walsee, capitauo della Stiria, aveva invasa insieme coll' Arcivcscovo Corrado di Sa-lisburgo la Carinzia, teneudone occupati molti luoghi. Se non che I'assassinio dell'Imperatore Alberto I. (1 maggio 1308) tolse all'Austria il suo sostegno ed Arrigo di- Carinzia rimase padrone della Boemia. Nuova sommossa scoppiava in Austria nel 1310 coutro Federico il Bello, e questa volta i nobili erano spalleggiati dai Duchi della bassa Baviera. Uldarico accorse co' suoi Stiriani tanto in Austria quanto nclla Baviera. 1 sollevati dell' Austria furono seve-ramente puniti; la guerra coi Bavari durb con vaiia fortuna fino air aprile del 131J.. Nel 1313 nacque dissidio per la tutela dei giovaiii principi della Baviera; ed essendosi volta una parte a Federico ď Austria, Uldarico di Walsee fu mandate iusieme col mare-sciallo di Pilichdorf contro la Baviera all'Isar, mentre Federico e suo fratello, il Duca Leopoldo, dovevano congiungersi con lui. Ma prima che ciô avvenisse, Lodovico il Bavaro, coperto da nebbia autuimale, assali gli Austriaci a Gammelsdorf; e beuchè questi con sommo valore si difendessero, dovettero ritirarsi con gravi perdite. Federico ď Austria e Lodovico il Bavaro conchiusero pel momento la pace; ma nello stesso anno scoppiô la lotta per la corona germauica. Uldarico ed Arrigo di Walsee trovaronsi quindi nella prima linea ď attacco, allorchè il 24 settembre 1322 fa data da Federico I'iii-fulice battagUa di Miihldorf, dalla quale si dice che i Walsee r avessero sconsigliato. Anche alia chiamata del conte di Gorizia, fra la cui casa ed i Walsee fu contratta alleanza di parentela Uldarico non indugiô a rispondere; e comunque gli storici narrino variamente i particolari della sua impresa sotto Padova, se ne raccoglie pero che il Walsee fece dapprima le parti di arbitro nella questione; ma essendosi frattanto rotta la tregua, Uldarico nel 1320 mosse da Padova iii- ' Col matrimonio di Uldarico (figlio ?) di Walsee con Cateriua, nata da Alberto IV di Gorizia. contro alio Scaligero, il quale lo assali con tanto impeto, die il Walsee, a malgrado di valorosa difesa, trovossi in grave pericolo. Finalmente sopravvenute le geiiti del Goriziaiio, I'esercito di Caiie fu messo in fuga e lo Scaligero stesso sarebbe rimasto prigione, se non avesse trovata una giumenta da scambiare col sue cavallo, stanco dalla battaglia. Questa impresa del Goriziano e del Walsee è ricordata dai versi dal padovano Albertino. Mussato, laddove numerando le genti collegate, egli dice: Et videt Eoas ados, Germanaqiie signa, Goricos, Sclavosque leves, Tyrolas et Istros, Valsenosque équités, quos longo Stiria tractii Miserat Ulrico ciipidos parere potenti. Uldarico era state creato vicario imperiále di Padova-fino dal 5 gennaio 1320; e tanta lu la lode de' suoi egregi fatti, che meritossi il nome di Vldarico il Grande. Arma del Walsee. Le monete couiate da Uldarico nel tempo del suo vicariato ' portaiio ancb' esse iiell' esergo lo scudo dei Walsee, il quale corri- di Duino. Se no trovano nel Museo di Padova; impronte e copie nell'arch. sponđe a quello dei loro suggelli; rappreseiitano essi uno scudo aiitico ed inclinato di nero, alia fascia ď argento. Elmo di torneo posto in profilo circoiidato di camaglio. Cimiero un'aquila di uero imbeocata, coronata e membrata ď oro, liiiguata di rosso, a graii semivolo di nero caricato ď una fascia ď argento; altri ciniieri portano semplicemente un semivolo. Nuova occasione di venire in Italia ebbero i Walsee nel 1350, quando in Friuli veniva proditoriamente ucciso il Patriarca Bertrando. II parlamente, escluso il conte di Gorizia indirettamente implicate neir uccisione, affido la tutola dello Stato ad Alberto II Duca ď Austria, al quale anche Carlo IV Imperatore commise la pacificazione délia provincia. Con Federico e Corrado degli Auf-fenstein discese pure un altro Uldarico di Walsee, il quale, po-nendo gli scrittori la morte di Uldarico il Grande nel 1329, deve essere un figlio ď ugaal nome. Questi venuto con forte esercito ad occupare il Fi'iuli superiore, vi rimase iinchè 1' elezioue del nuovo Patriarca, Nicolo fratello di Carlo IV, indeboli nel principato 1'influenza degli Austriaci confinanti. Fra gli altri membri della casa di Walsee che si dicono venuti in Italia, trovansi pure Arrigo ' e Rodolfo. Anche queste discese di qua dai-monti devono avere age-volato il contatto dei Walsee coi Duinati. I Pettau ed i Liechtenstein furono parenti degli uni e degli altri; stretta colleganza avevano con ambidue i casati i Meiísau ed i Kappellen. D' altro lato gh avi di Ugone VI di Duino ed egli stesso, col darsi all'Austria e coir acquisto di beni in quelle regioni, se n' erano amicate le principali famiglie, quali i Weisseneck, i conti di Cilia, i conti di Holstein i Rauchenstein, i Montfort ed altri ; il perche non è meraviglia che finalmente Ugone stringesse amistà particolare anche coi Walsee, sposando Anna di quel casato. Arrigo di Walsee, forse il cugino ď Anna, assisteva nel 1385 quai testimonio alla pace con-chiusa da Ugone con Ermanno di Cilla ed Arrigo di Rauchenstein nella contesa per la tutela dei figli di Ertneido di Pettau '; Uldarico di Walsee dopo una lite avuta col Rauchenstein e con Ugone tutori dei Pettau e parenti pure ď Uldarico, rinuncia per 2500 libbre viennesi ail' eredità della madré In parecchi altri atti i Walsee ' Vedi pag. 191. ■ Nel 1380 Ugdne oon Rodolfo di Walsee e le loro mogli fauno mal-leveria per il conte Arrigo di Hotstein. Arch. Imp. detto anno, 22 maggio (orig.) ' Ivi, 1385, 22 febbraio, Radkersburg (orig.) ^ Arch. prov. di Graz, 1385, 14 luglio, (orig.) compaviscono come testimoiii e suggellaiio i docuinenti ďUgoiie. Noh era pertaiito la semplice parentela, ma una lunga amicizia coi Walsee, quella che in fine iudusse Ugone a farli suoi eredi, pensando a lore sinanche uel caso ď estinzione della sua famiglia. Niuno in fatti meglic di lore avrebbe potuto col proprio lustro accrescere quelle della oasa Duinate. Ma che i Walsee fossero per tonere una via dalla sua.affatto diversa, probabilmeute Ugoue Jion aveva preveduto. 2. Attínenze dei Walsee duinesi col Friull. Nou ai Walsee, come già osservammo ', ma agli ultimi Duiiiati deve ascriversi la ricostruzione del castello di Duino in-torno all' antica torre romana. La nobile corte di fedeli e di vassalli da cui era circondato Ugone VI, le moite amicizio coi grandi del-r Austria, da lui parecchie volte ospitati; il lusso sempre maggiore che cominciô a spiegare; gli avvenimenti stessi che intorno a lui si ranuodano, il numeroso assembramento di milizie, massime al tempo della guerra coi Veneziani, il bisogiio di munirsi più solida-mente contro i loro assalti, ci fanuo comprendere quanto naturale fosse il pensiero di costruirsi una residenza che a tutti questi bisogni meglio rispondesse. Ma se Ugone VI, proseguendo 1' opera de' suoi padri, avrà coudotto i lavori molto innanzi, non meno alo,cremente devono avervi atteso i Walsee; e perche questi l'antico castello nou abitarouo, l'antico chiamossi dei Duinati, il nuovo dei Walsee. Perô nè dei Walsee nè dei Duinati havvi una pietra anche sola nel nuovo castello che li ricordi; il che dimostra gl'immensi lavori che vi hanno fatti dopo di loro i capitani austriaci ed i conti della Torre. Non è pero da credere, che i Walsee, ognora occupati delle cose deir Austria, e possessori di Tastissime signorie e castelli in altre parti, tenessero ferma stanza a Duino; cio non facevauo uep-pure i Duinati ed Ugone VI in modo spéciale dovette di là per lunghi tratti di tempo rimaner assente. In Duino e negli altri loro castelli e città essi tenevano i loro castellani ed ufficiali; laonde pill volte si trovano rammentati un Volíingo o un Volvino, un Siulingo, un Michele ed altri sonza indicazione del loro casato; ' Yecli pag. 84, Giorgio Payer, i due Fiixel Ermamio cd Alberto, Nicolo Vanvez, Giorgio Muol, Nixe Ebersteiner '; a Fiume lacopo Rauuacher, a Windischgratz Popolino di Weisenstein. Quaiito fossero cari ad Ugone VI i suoi più alti ufficiali, Giorgio Auersperg, Giovanni di Zekorn, lacopo Trap, Ernesto Lobing, 1' abbiamo già veduto ne' suoi testamenti. Anche la famiglia dei Mindorf fu devotissima ad am-bidue i casati. Nel 1410 Giovanni di Mindorf capitano di Duino, trovasi sposato con Caterina del fu nobile Egidio di Borgo di Ponte, cividalese \ Giorgio di Mindorf confessa nel 1430 che il fu Ram-berto di Walsee aveva conferiti a suo fratello , Giovanni ed eredi parecchi feudi, ma che morto Giovanni, li aveva dichiarati vacanti. Nata su cio questione, Federico di Ratt, capitano di Duino e giu-dice feudale dei Walsee, avergliene aggiudicata una parte situata in Duino ed in Guteneck; ma poi essersi venuto a transazione ^ Oltre il Ratt ed il Mindorf sono capitani di Duino sotto i Walsee Odorioo e Nicolo Taurincher, Giovanni Onz, Uldarico Tauger, Giovanni di Welsegg, che più tardi fu capitano anche di Trieste; m,a particolarmente quel Giovanni di Reichenburg già da noi rammen-tato, che fu luogotenente dei Walsee per tutti i loro dominii cisal-pini. A lui successe nel 1451 Nicolè de Foramine (Luogar), che poi ebbe il medesimo incarico sotto Federico III Imperatore. Dell'uno ' e deir altro avremo ancor molto a discorrere. Tommaso Elacher sotto i Walsee è capitano di Senosezza, di Duino sotto 1' Imperatore; Giovanni Obernburger di Primano, lacopo e Martino Raunacher di Fiume; Gasparo Fiirst di Castua; ma sarebbe inutile rammen-tarli tutti, e ci contentiamo di questi per la parte che presero negli avvenimenti che narreremo. Nuova e più ampia costruzione eseguirono i Walsee, come vedemmo, anche del tcmpio di S. Giovanni al Timavo \ Quantunque i beni di quella chiesa fossero in gran parte passati in mano dei signoři di Duino e quindi dei Walsee, il monastero di Beligna con-tinuava ad esercitare i suoi diritti sulla célébré iiera che tenevasi ' Quest'ultimo comparisce con Corrađo Putiger, consigliere đi Rođolfo đi Walsee, in una tregua fatta per interposizione del Walsee da Giovanni Trachemberger e Corrado burgravio di lama con Mario Storlato, capitano di Raspurch pel domiiiio veneto. Senosezza 25 ottobre 1397 (Arch, di Venezia, Commemoriali vol. IX, c. 35). ^ Arch. not. di Udine, anno suddetto. ^ Arch. Imp, 1430, 23 marzo. ■■ In Lubiana fondarono una commenda teutonica, passata poi col loro patrimonio ncll'Imperatore Federico III. Kandler, Indiccmoni; Annali di Fiume a. 1408. a S. Giovanni il 24 di giugno. J\ía i Walsee come si appropiiaron® 1' offerta die facevasi in quel giorno, tentarono pure di togliere alia badia beliuiese auche quest' ultimo avanzo della sua proprieta, ye ]ion cHe questa volta fecero male i lor conti. Nol 1389 il Pon-tcfice Bonifacio IX uui la badia di Beligna al conveuto udinese dei Celestini; poco dopo la diede in commenda al canonico laco-pino del Torso, clie fu più tardi cardinale. Il Patriarca. Antonio Panciera lo avversava, per essere forse, durante lo scisma, del partito contrario; onde egli ebbe bisogno che Bonifazio IX lo rac-comandasse alia protezione dei comuni di Udine e di Gemona Di siffatta condizioue di cose credette potersi giovaro il capitano duinese dei Walsee, I'alemanno Nicolo Taurincher, per togliere laco-piiio del Torso la gabella dolla fiera di S. Giovanni. Questi si I'ivolse nuovamente al Papa, accusando il Taurincher d'aver violati i diritti del monastero di Beligna super ceria muta in festo et fer tres dies ante et post festům nativitatis S. Jo. Baptae in mercato seu nun-dinis, quae celehrari solení in die praedicti festi prope Ecc.lam S.ti Joannis in Tuba alias dicti de Carsis, nec non super certis pecuniariim summis ac argento et auro lahorato ac non lahoraio ac eliatn aliis.... quae in dictis mercato scu nwidinis et Ecc.la of-fcrri, et pro muta exlgi consueverunt, ncc non de non nullis afficti-bus, fructibus el proventibus, ac etiam massariis, livellariis et cen-suariis diclo Monasterio solvendis. Accusavalo inoltro d'avcre colic minaccie e colla violcnza scacciati i suoi messi e procuratori; ma specialmente ď aver fatto rapire sacrilegamcnte dalF altare della cbiesa di S. Giovanni le offerte solite farsi in quel giorno: et quod est deter lus, de altar i dlctae Ecc.lae oblationes ex'igi et aufferi fecit, sacrilegium comitendo. II Papa per mezzo del suo delegate alia causa, Bertrando de Arnassano, lanciô contro il Taurincher uu monitorio, citandolo sotto gravi pene a comparire in giudizio ; e vcnendo dichiarato che il Taurincher era uomo diffamato e violento, per cui non era possibile aver adito al suo castello, la citazione fu affissa iiei soliti luoghi di Roma ed alia porta della chiesa ď Aqui-Icia Comunque sieno quindi passate le cose col Taurincher, di che non abbiamo altre notizie, la dogana stabile di S. Giovanni rimase proprieta dolla signoria duinese; ma la badia di Beligna salvo ' lojipi, JDeW Abba.zia di S. Martina della Belligna, pag. 12. Arch, di Duino, 1404, 13 agosto, Roma, copia autentica, dalP originale esistontc neH'Arcli. cap. di Udiue. Ig gabelle solite esigersi al mercato dol 24 giugno Sulla cliicsa di S. Giovanni i Walsee teiinero ferino di esigere il diritto di patronate, che più tardi si vede esercitato senz' altra coutestazione. Al tempo indicate del Patriarca Antonio Panciera, i signoři di Walsee ebbero ingerenza anche nelle cose del Friuli. Cividale che faceva la guerra al Patriarca per la gastaldia di Tolmino, tanto s' adopero, che Papa Gregorio XII, prestando ascolto allé accase lanciate contre il Panciera, le depose dalla sua dignita. In tal modo alio scisma che divideva gli animi nella Chiesa universale se ne aggiunse un altro particolare in Friuli, stando gli uni pel Panciera, gli altri per Lodovico da Ponte a lui succeduto. Ad Udine, dov' era il nucleo dei sostenitori del Panciera, anche i Walsee, forse d'in-tesa coi Duchi ď Austria, avrebbero inviati corne pacieri i loro messi, i quali furono splendidamente accolti da quel comune Ma neppure colla rinuncia dei due contendenti cessarono nel Friuli le agitazioni, ossendo intanto scoppiata la guerra fra i Veneziani e r Imperatoi-e Sigismondo, Re ď Ungheria. Valido aiuto ebbero quelli da Tristano di Savorgnano che, gittatosi dalla loro parte, per alcun tempo seppe sostenersi con fortuna contre l'esercito imperiále. Pero Sigismondo nel 1312 decretô la confiscazione di tutti i beni del Savorgnano posti dalla parte dell' Impero, fra cui la torre e gli stabili di Zuino, venduti a quella famiglia dai Duinati Dal lato deir Imperatore dicono che vi fosse anche Ramberto di Walsee, e sulla fede del Palladio vien riferito esser egli stato compreso nella tregua di Castelluto del 1413 Noi pnre crediamo a questo in-tervento del Walsee, poichè nel 1411 i Duchi ď Austria Federico IV ed Ernesto avevano consentito di soccorrere il comune di Udine, ricevendolo sotto la loro protezione. Ma dal Duca Ernesto dipen-deva, corne vedemmo, Ramberto di Walsee per la signoria di Duino e quindi colle genti dei Duchi egli puô essersi unito in Friuli. Verô è che fine dal 1410 Ramberto era caduto in disgrazia del sue Signore, avejido contre di lui sostenute le ragioni di Alberto V (come Re di Germania Alberto II) sue nipote; e solo nel 1417 si venne ad una paciíicazione, per cui l'anno seguente Ramberto potè ' Su questo argomento dovremo tornare un'altra volta. ' Manzano, Annali del Friuli, a. 1409. ' Documenti di casa Savorgnano, di cui si compiacque darmi notizia l'erudito cav. Giaeomo Collotta. ■■ Parte I, pag. 477. 11 Palladio nomina fra gli alleati di Sigismondo il Patriarca Lodovico di Teojc col Friuli, i Duchi ď Austria, Federico d'Ortem-burgo, il marohese di Mantova o Boberto di Valdez (sic). anche ottenore la rinnovazione dei privilegi coacessi ai Duinatl iiel 1366 '. Ma guesto dissidio non toglieva che nel Friuli egli avesse potuto seguire le sorti dell' armi austriache e quindi fosse compreso nella tregua quinquennale del 1413. Piíi difficile a credersi è che il Walsce, spirati i cinque anni, prendesse ancora parte alla guerra contro i Veneziani. A quel tempo i Duchi Ernesto e Federico erano in discordia col Re Si-gismondo, che continué a soccorrere di milizie il Patriarca; e benchè il Palladio li asserisca uniti anche dopo il 1413 con esso Re, ab-biamo ragione di dubitarne. Egli stesso ci narra, che nel 1416 gU Austriaci contro le capitolazioni col conte di Gorizia, aderente ail'Imperatore, avevano invaso il suo territorio coi Veneti invece dal 1418 in poi non si trova che i Diichi fossero in guerra Trieste, dominio austriaco aveva anch' essa l'ordine da Ernesto di non frammettersi in quolla contesa e conservava una neutralita, armata se vuoi, massimamente quando nel 1420 si udi che l'esercito veneto era venuto a Monfalcone e di là intendeva passare nell'Istria, ma intesa soltanto a difondere la città, per la guerra che potrebbe muoversi coi Veneziaui \ Il medesimo Palladio soggiunge che il Patriarca nel 1416, in cui perô durava ancora la tregua, aveva dovuto condursi a Monfalcone per le differenze insorte coi signoři di Walsee^ allora padroni del castello di Didno \ e benchè questa possa essere stata una questione a parte, poichè trovansi indizii che le genti dei Walsee, corne già fecero i Duinatl, nel 1418 infe-stavano la via da Monfalcone a Trieste, si vede perô dall' avveni-mento medesimo, che facendo la guerra al Patriarca, alleato di Sigismondo, i capitani del Walsee non la facevano ai Veneziani. Anzi la politica dei Walsee quindinnanzi fu sempře pacifica verso la Repubblica e vedremo che, traune qualche contraste fra barche fiumane e venete, composto amichevolmente dalle due parti, regnava fra loro il migliore accordo. Ancor piii difficile è il credere chQ Ramberto di Walsee seguisse il Re Sigismondo, avversato dai Duchi, appena tornato in grazia ď Ernesto nel 1417, che fu anche l'anno in cui cessava la tregua. ' Vedi pag. 236. ' Palladio, ivi pag. 482. ' Quelle che avvenne nel 1422, quando il Duca Ernesto ordinava a Trieste di mandar soccorso a Gorizia assediata dai Veneziani, è un fatto po-steriore che qui non c'entra. Furono i Duchi austriaci mediatori délia pace. ' Kandler Indicagioni ecc. a. 1418; Scussa pag. 82; Arclieogr. Iriest. n. s. vol. V, pag. 450 doc. del 1420, 5 luglio, pubblicato dal cav. Hortis. = Parte I, pag. 483. Se duiique i Walsee non eraiio iii gueira coi Venezlanî, non so su quai fondamento s' appoggi quanto continua a narrare il Palladio e ripetono con lui tanti altri autori, senza che da' alcun documente e da alcuno scrittore dei luoghi più vicini a Duino, per quanto io sappia, sia stato confermato. »I nobili di Strasoldo, cosî lo storico friulauo, che tenevano in questo tempo (1420) in pegno dal marchese Tadeo ď Este il castello di Duino, permisero libera la disposizione di questo alla veneta Kepubblica; anzi il vigesimo giorno di maggio 1420 passarono anch' essi sotto quel felicissimo dominio: Alvise e Nicolà a nome di tutti i loro consorti fecero la dedizione, e la ricevette in nome pubblico il preaccennato marchese d'Esté, come comandante veneto délia Provincial. Espres-samente ho notáto più addietro che nel 1412 1' Imperatore Si-gismondo privava ïristano di Savorgnan délia torre e degli stabili di Zuino; e il Palladio stesso ci racconta che 1' andecimo giorno di dicembre del 1412 il Re ď Ungheria Sigismondo capitô ad Udine col suo sèguito, dove »dimorandô esso Re concesse a Lodo-vico (Alvise) et a Nicolà di Sirasoldo la Torre di Zuino con tutti i campi, prati, paschi, et utilita a quella pertinenti per 1' esborso da loro fattogli di cinquecento ducati« '. Sono dunque quei medesimi Nicolb ed Alvise Strasoldo, i quali alla fine del 1412 od al priiicipio del 1413 ebbero da Sigismondo la torre e gli stabili di Zuino, quelli che nel 1420 avrebbero invece teuuto in pegno il castello di Duino e ne avrebbero permessa la libera disposizione alla Repub-blica. Sebbene dai documenti dei Savorgnano si raccolga che nel maggio del 1413 1' investitura di Zuino fosse data dal Re ad altro ramo dei Savorgnano ^ non è improbabile che fra le vicende délia guerra i Strasoldo abbiano continuato ad occupare Zuino contro quel ramo dei Savorgnano che aderiva ail' Imperatore. Certo è che iiuo al 1438 Tristano non fu più rimesso nel possedimento dei beni confiscati Credo pertanto che gh Strasoldo tenessero in pegno da Taddeo ď Este non il castello di Duino, ma la torre e i beni di Zuino, e ciô tanto piii perche non si vede come e perche Taddeo ď Este avesse dovuto invadere il territorio dei Walsee che, come apparisce dal nostro ragionamento non erano iu guerra coi Vene-ziani. La guerra stessa descrivesi in tutť altri luoghi che presso Duino, e se giunse iino a Cervignano ed Aquileia, vi comprese ' Parte I, pag. 475. ' Archivio dei Savorgnan, 27 maggio, 1413.. ^ lvi, Patente di Alberto II Re dei Romani, 1438, 10 novembre. beiisi il territOrio cli Ziiiiio, ma non quello đi Dnino. Nell' Istria si combattè sulle terre dei Veneziani e del Patriarca; i paesi neutrali quelli del Duca ď i^nstria, furono rispettatl anche al passaggio da Monfalcone nelV Istria. Del resto intorno alio scambio di Duino con Zuino abbiamo già indicati altri esempi. La caduta del governo temporale dei Patriarchi non si fece molto attendere; Lodovico di Teck ricorse in vano alla protezione del Pontefice Martino V ed a niiovi aiuti del Re Sigismondo. I nobili che stavano alia riva destra del Tagliamento, s' erano già soggettati prim.a al dominio della liepubblica; decisive fu quindi r esempio dato da Cividale colla sua spontanea dedizione, dopo spirata la tregua di Castelluto; Feltre, Belluno, il Cadore, 1'Istria, gli altri luogbi del Friuli e finalmente il lore ceiitro, la città di Udine, dovettero fare altrettanto; di Monfalcone il comune confinante con Duino, conservasi 1' atto con cui 11 doge Tommaso Mo-cenigo ne accetta la soggeziono spontanea, proraettendo di farlo governare secoado i suoi statuti '. Il conte di Gorizia caduto pri-gioniero del marchese ď Este nell'assedio di Cividale, dove riscat-tarsi con grossa somma e fu poi rimesso ne' suoi diritti e posse-dimenti per la mediazione dei Ducbi ď Austria, che ď accordo coi Veneziani unirono ai loro territorii alcuni luoghi dell' Istria e del Carso appartenuti al Patriarca. 3. Controversie dei Walsee col comune di Trieste. Dei tre fratelli Walsee venuti pel primi a Duino, Rodolfo, già tutore , dei minori Duinati, fu nel 1395 successore di Ugone VI nel capitanato di Trieste e cessava di vivere sui primordii del secolo seguente. La tragica fine di Federico poco dppo avvenuta, si narra in diversa maniera: cbi lo dice strangolato; cbi lo crede -saltato in aria per lo scoppio della polvere da cannone raccolta sotto la sua stanza. Rimase Bamberto, marito, come vedemmo, di Caterina. figlia di Ugone VI di Duino, il quale coll' inaridirsi di tutti gli altri rami della famiglia, fu il solo che ancora ne continuasse la stirpe fino al principio del seguente secolo. Rodolfo di Walsee aveva già cominciato a piatire iiuo dal 1395, quale tutore • ' Arch, di quel comune, 1420, 18 luglio, Venezia, originale, eđito nel Cod. Dipl. Istr. đei Duinati, colla chiesa triestiua; col coniune di Trieste trovossi in contesa Ramberto, e le due guerre s' intrecciarono in sèguito una coir altra. Le questioni colla città di Trieste furono molteplici ; gelosie di commercio tra i due porti del Timavo e di Trieste sem-brano essersx suscitato nel 1414; i Triestini teraendo che Duino armasse per sostenere le sue ragioni, mandarono barclie e spie ad invigilarne le mosse; ma se per allora non fu dato di piglio alio armi, nell'agosto del 1418 avvenne un'invasione del Walsee su quel di Trieste. Pronta fu la rappresaglia con predazioni sul suolo duinese; dall'una o d al F altra parte si fecero prigionieri; ma il Walsee credette esser 1' offeso e mosse doglianze al Duca Ernesto. L' anno appresso Trieste viene a concessioni ed inchiude i Walsee neir eccezione al divieto di trasportar merci fuori délia sua città. Cib non ostaňte il signore di Walsee muove da capo innumerosas qucrimonias contro i Triestini presso il Duca, dal quale il comune vien chiamato a scolparsi. Gli articoli di questi lamenti, non meno del Walsee che de' suoi sudditi, non sono indicati, ma si raccol-gono dalle nuove citazioni fatte ai Triestini negli anni seguenti. Udíte le parti e mandato sul luogo chi doveva esaminare la que-stione, usci nel 1424 la sentenza del Duca Ernesto In sunto egli dice, clie fra il comune di Trieste e Ramberto de Walsa capi-tano dell'Enno superiore, verteva litigio intorno a cei'ti confinî e segni fra Trieste e Duino e particolarmente sopra la força eretta dai Triestini in terreno, ch' essi dicevano spettare a loro. Questa força essere stata abbattuta da Giovanni Raimburgher (di Reichen-burg) capitano e governatore del castello di Duino, perche il Walsa intende ed afferma che quel luogo appartiene a Duino. Avervi an-cora altre difřerenze, dissensioni e discordie fra le due parti, che non si poterono finora comporre; laonde essersi le medesime rivolte a lui (Duca Ernesto) come compromessario. Che i nunzii da lui spediti sul luogo gli riferirono i disputati confini spettare a Trieste, come apparisce dai due strumenti di confinazione fra la comunità di Trieste e Detalmo ed Ugone di Duino laddove il Walsa non potè produrre alcuna prova in contrario; solo arrecô testimoni che dicono ricordarsi quel medesime distretto dover appartenere al prefato de Walsa e al suo castello di Duino. 11 perche Egli sen-tenzia che il comune di Trieste deva possedere quel distretto nella ' Kaccolta Conti (Confini) pag. 6 e seg. Cod. Dipl. Istr. ađ annum. ^ Noi li riferimmo a pag. 135 e 138. forma inđicata dai due citati strumenti. Nella qucstione pel giudizio 0 ffariio di Proseco, quella parte clie è di là dalla strada di Pro-SGCO presso il cimitero verso i monti fino al domiiiio del conte di Gorizia, dover appartenere al de Walsa ed a Dnino; la parte op-posta verso il mare ai Triestini, coll' obbligo allé due parti di giudicare secondo le consuetudini antiche. Chi non istesse al suo arbitrate cadrà nella peua di tremila ducati a vantaggio della sua Camera. La storia delle liti di confine fra la signoria di Duino o Trieste, Schwarzenegg, Carniola, Gorizia, ed altri luoghi, comincia da remotissimo tempo e durô fino al principio di questo secolo; essa è compresa in voluminosi quaderni, non meno dell'Archivio di Duino, cbe di Trieste e delle altre città e famiglie fra cui le liti si agitarono. Una vera utilita pel nostro assunto non saprei ri-trarla da questi documenti se non laddove le contese diedero origine a fatti cbe servono a lumeggiare V indole dei castellani duinesi, 0 ad indicare 1' estensione della loro signoria. Lo stesso va detto delle questioni per pascoli, mercati, gabelle, pesche, passi di fiumi, boschi, diritti di legnazione ed altrettali, di cui sarà sufficiente far menzione nei luoghi opportuni. Ma quello che va notáto, è che al tempo dei Walsee tutti questi litigi assumevano maggior importanza, perche esacerbarono piii gravemente del solito gli animi dalle due parti ed intrecciaronsi con altre questioni di rilievo anche maggiore. Prima di ricorrere al principe, le due parti si fecero ragione da se, coll' armi in mano, devastandosi a vicenda i territorii, occupando i luoghi contrastati, spargendo sangue e conducendo seco ostaggi e prigionieri. Le questioni stesse già per sè riuscivano complicate; il lettore si ram-menterà che sotto Ugone VI di Duino, nella pace del 1370 con-chiusa a Lubiana, i Veneziani riconobbero esplicitamente i diritti ch' egli aveva di decime, redditi ed affitti nel territorio triestino '. Conta vano in fatti i Duino su quel di Trieste molti sudditi; pos-sedevano vigne, poderi, la dogana e i dazii ed altri diritti in Proseco i quali in parte rimasero alia signoria di Duino iino al di ď oggi. D' altro lato i Triestini seppero abilmente sfruttare la sentenza del Duca Ernesto del 1424, che assegnava a loro il versante dalla strada di Proseco verso il mare, trasportando secondo ' Vedi pag. 203. - Vedi pag. 220, che pai-e, la questione su terreno diverse, poichè là trattavasi di giurisdizione forense (garito) e di possesso controverso di fondi, qui di diritti affatto differenti. Dal suo punto di vista sosteiine quindi Trieste che il dazio di Proseco, perche posto sul suo ter-ritorio, spettasse'a lei. Pretese iuoltre che i beni immobili, come cosa reale, fossero soggetti aile leggi del dominio in cui si trova-vano; dovere perciô assoggettarsi aile imposizioni ed essere obbligati i Walsee a fare inscrivere a Trieste gli stabili che possedevano in queir agro, sotto pena che i fondi venissero incamerati. Con cio i diritti duinesi, già riconosciuti dai Veneziani quand' ebbero il dominio triestino, e nei quali i Walsee erano legittimamente succe-duti, venivano da Trieste liberata dai Veneti negati ed annullati. I lamenti dei Walsee sembrano essersi rinnovati anche nel 1429 ' da Ramberto II, essendo suo padre morte probabilmente nel 1422, prima che uscisse la sentenza del Puca Ernesto. Ma la dissensione scoppiava in aperta guerra intorno al 1448, sotto il medesimo Ramberto II, cessato di vivere nel 1450 l Stanche délia contesa, le due parti portarono finalmonte la lite innanzi a Federico III Re dei Romani, succcduto ad Ernesto nei dominii dell' Austria aBteriore. Provvedimento definitivo egli nou diede, ma con-tentossi di fissare nuovi termini per la decisione, come si raccoglie da un atto posteriore ^ Nella sua sentenza Federico osserva che parecchie volte Ramberto di Walsee, maresciallo supremo del-r Austria, scalco supremo della Stiria, capitano dell' Etmo superiore e la sua gente di Duino si sono doluti dei Triestini, per aver essi occupate le vigne de' sudditi duinesi poste nell' agro di Trieste, coníiscati i frutti e le decime, esatto il dazio di Proseco; il che avveniva sotto il capitano di Duino Giovanni di Reichenburg. Se-guono poi le ragioni che adduce 1' una e 1' altra parte molto diffusamente. Una sentenza posteriore ' ci fa comprendere quanto il comune e il clero triestino stimassero pericoloso il confinante dominio dei ' Hortis, nella lodata opera: Documenti risguardanti la storia di Trieste e dei Walsee, pag. XVI. '' Questa è la data della sua morte scolpita sulla lapide sepolcrale in Seyssenstein. ' A questa sentenza sospensiva tengo chealludail Cumano nell'opera: In onore e memoria di Duca Leopoldo III e di Imperatore Federico III, pag. XVIII. Nella copia che se n'ha a Duino mancano 1 due ultimi fogli, che pero col frammenti spero in seguito di poter cornpletare. Arch, di Duino, 1449, 15 marzo, Neustadt, copia autentica giapub-bljcata dal cav. Hortis, op. cit. pag. 119, Walsee. 11 Vescovo Piccolomiiii poi era spinto da motivi speciali ad unir la sua causa, di cui parleremo, con quella della città: egli sperava che dopo tante contraddittorie sentenze del Papa e del coiicilio đi Basilea, uua soluzioue piu pronta sarebbe potuta otte-nersi compromettendo la causa in Federico III, giudice più vicino e piíi poteiite. Ma nella sua aspettazione trovossi deluso; poichè r Imperatore, benchè costituito arbitro dalle due parti, se già nel resto, qui più che mai mostrossi peritoso e colla sua dilazione rese inutile il suo tentativo. Federico dichiara essere nate controversie fra il Walsee e il comune di Trieste, come pure fra il venerabile Enea (Piccolomini) Vescovo triestino e 11 detto de Walsse^ interno ad alcune vigne, decime, dazii ed altri diritti ed al giuspatronato di alcune chiese. Giudicando quindi sulle medesime, stabilisce primameute, quanto aile vigne del Walsee e de' suoi sudditi, le quali i Triestini nou solo occuparoiio, ma Teudemmiarono e soggettaroiio a nuove im-posizioui, che il Walsee e i suoi rimangano in possesso delle vigne e delle decime ad esse spettanti, vietaudo ogni molestia dei Triestini ed ogni iiuova imposizioiie. Rispetto ai dazii della villa di Proseco, osserva averne i Triestini pretesa 1' esazioue in forza del laudo del Duca Ernesto (del 1424), perche deutro i con-fiui della loro giurisdizione; laddove secondo il Walsee uon meno il defunto signore di Duino (Ugone VI), che il padre del Walsee ed egli stesso prima e dopo il predetto arbitrate li avevano sempre percepiti, trauue che da pochi anni in addietro, per esservi stato posto impedimento dai Triestii\i; avere il Walsee già ottenuto che il comune di Trieste non dovesse ingerirsene, e che volendo far valere le sue ragioni, avesse a costitnirsi attore in nuovo giudizio contro il Walsee. Per gli altri diritti in contesa presso la villa di Proseco, il principe chiama le parti a comparire nel mercordi delle pros-sime Pentocoste iunanzi a' suoi giudici deputati a decidere. Veneudo poi alia contesa fra il Vescovo triestino ed il Walsee pel giuspatronato di quattro chiese sul Carso, nota Federico che le due parti si sono già accordato nell' eleggerlo ad arbitro assoluto, ed annuirono ch' egli convochi una dieta di prelati, dottori e periti, affinchè udite Ic parti, tentino comporre il litigio amichevolmente; se ci6 non riesce i delegati pongauo fine alla contesa con giusta, definitiva sentenza. A questo scopo egli intima la dieta pel giorno dopo la festa di S. Giacomo e se in quel giorno sarà impedito, come fu realmonte, si riserva di fissar altro termine, piirchè dentro 1' anuo. Nuovo limite assegua altresi per đeciđere sulla restituziono delle đecime reclamate dal Walsee. Ordiiia intanto đoversi resti-tuire dall'una parte e dali'altra i prigiouieri, rifare i daimi, scio-gliere le malleverie, • cessare dalle usurpazioiii. A1 Walsee iii ispecie impone di restituire Castelnuovo tolto ai Triestiiii durante la guerra. Questo forte avendo formate questione fra le due parti anche più tardi, fu nel 1459 aggiudicato a Trieste '. La lite sui dazii di Proseco venue fiualmente risoluta colla seutenza del 1450 ^ daiido ragioiie a Eamberto II di Walsee. siccome quelle ch' era stato turbato neL suo possesso da' Ti Perô nel sèguito 1' Imperatore uoii mancb di favorire il com di Trieste iu altri modi: uel 1461 le dogaue di Proseco e Moccô si trasferiroiio a Trieste; i castelli stessi furono affidati alla cu-stodia dei Triestini, e quaudo questi nella guerra del 14G3 per-dettero Moccô, Castelnuovo e S. Servolo, Federico III concesse loro altri privilegi e tenue fermo che fossero iudipendenti dalla Car-niola. Resta va la questioue gravissima iutorno al patronato delle chiese del Carso, la quale s' agitó ancora per molti auni, prima di ricevere una soluzione Non per nulla il fiero cavaliere Mattia Hofer, vissuto nel socolo seguento, vollo avere copia autentica delle sentenze da uoi mentovate. Vedremo in fatti quai guerra accanita s'accese di nuovo fra lui e Trieste per la medesima causa, quand' egli fu capitano per r Austria del castello d i Duino. Ma ora è tempo di dire qualche cosa intorno alla disputa sanguinosa ch' ebbero i Walsee colla chiesa di Trieste. 4. Controversie coi Vescovi e col capitolo triestino. La lite pel patronato delle chiese del Carso è cosi célébré, che mi scusa dall'addentrarmivi; particolarmente dacchè il ch. cav. ' I Triestini l'ebbero dai Goriziani per attirare da quella parte il commercio alla loro città, e lo perdettero nella guerra seguîta dappoi coi Veneziani. ^ Arch, di Duino, 1450, 26 gennaio, Neustadt (copia autentica). ' Nel 1451, forse per risarcirlo dei danni sofferti durante la guerra, Volfango di Walsee, succeduto col fratello Eamberto 111 a Ramberto II, con-cedeva in grazia ad un suo suddito di Proseco alcuni terreni nella signoria di Dnino, verso quaranta denari ail'anno e la décima dei frutti (Cod. Dipl. Istr. a. 1451). Stendendosi la concessione ancho al diritto di pegno e di vendita, il Kandler non si lascia sfuggir 1'occasione d'osservare, che dunque il villico, il quale riceveva terre dal suo domino fondiario, poteva disporne a piacimento, purchè a favore d'altro villico délia stessa baronia. Hortis, oltre ad avere con somma diligenza rettificato quanto scris-sero gli altri autori prima di lui, l'iia trattata con tanta erudi-zione ed ampiezza, che nulla lascia a soggiungere '. Tuttavolta, porche non resti una lacuna nolle memorie di Duino, conviene che almeno in hreve la riassumiamo. La diocesi di Trieste stendevasi in parecchi dominii, e noi vedemmo il capitolo triestino conservare diritti sulla parocchia di S. Giovanni al Timavo anche durante la dipendenza di questa da Aquileia. Una gran parte délia rimanente Carsia soggetta alla signoria dei Walsee, dipendeva del pari dalla Chiesa di Trieste. Nel suo agro dopo il mille trovansi istituiti i plebani, come delegati del Vescovo; nel secolo seguente moite pievauie vengono aggiudi-cate al capitolo di Trieste, che vi manda i suoi vicarii. I Walsee vollero convertire quelle che erano dentro il loro territorio in pa-rocchie stabili, e ne pretesero la libera collazione, quasi diritto ch' emanasse dalla baronia: queste furono le chiese di Cassona, Ternová (Dorneck), Senosezza, Tomai e lelsane (Elsacco, Ëlsanum). Siffatto abuso, che turbava non pure i diritti vescovili ed il governo délia diocesi, ma portava altresi detrimento ai redditi del capitolo, tento introdursi fiuo dal 1395, sotto Rodolfo di Walsee, tutore a quel tempo dei pupiili Duinati, il quale di suo arbitrio aveva eletto alla chiesa dj Teriiova un nipote di Mixe de Weixeiistein, suo luo-gotenente nel capitanato di Trieste; ed avendo quest' ultimo a nome del nipote rassegnato il beneficio, Rodolfo vi sostitui un sacerdote délia diocesi di Costauza. Scomunicato questi, si umilia a chiedere perdono; ed a preghiera dello stesso Walsee riceve investitura re-golare dal Vescovo. Giova qui osservare che i Walsee non aspiravano soltanto al patronato delle plebanie soggette al loro dominio, ma pretesero conferire sin anche vescovati. Nel 1417 Ramberto I eleggeva a quello di Pedena fra Paolo priore degli Agostiniaui di Fiume se non che 1' eleziono deve aver incontrato opposizione presso il Ponteůce, ed il ch. sig. Kobler ha già fatto conoscere l'atto notarile del 19 ottobre 1418, dal quale si raccoglie che fra Paolo Vescovo eletto di Pedena abitava in quel tempo nel suo monastero di Fiume, laddove sulla cattedra di Pedena sedeva nel 1418 Gregorio. Ap-pena nel 1430 trovasi un F. Paolo, e dubbio anche quello, nel ' Documenti risguardanti la storia di Trieste e dei Walsee, Trieste 1877. Arch. Imp. 1417, 12 fcl)braio (orig.) sîllabo dei Vescovi petinensi composto dal Kanàler '. Piu tardi r elezioiie di quei Vescovi fu conferita da Eugenio IV ad dies vitae air Imperatore Federico III \ Ma r occasione onde uacque la lite con Trieste, fu quando Ramberto II ' di Walsee elesse alla chiesa di Ternová un certo Marino de Los, laddove il Vescovo 1' aveva coucessa al canonico Liberio Barbarizza. Questa fu la scintilla che accese la gran fiamma délia luuga guerra, combattuta non solo innanzi ai tribunali, ma anche sulle terre delle cbiese contrastate, con uccisioni, saccheggi, violenze, insidie ď ogni specie dali' una parte; con anatemi e car-cerazioni dalF altra. Fomentarono la discordia le sentenze contrad-ditorie dei giudici di parti opposte e le molteplici questioni che s'in-trecciarono colla principale, quando il clero, offeso ne' suoi diritti, s'intese, come vedemmo, colla città di Trieste, per combattere a forze unite il comune formidabile nemico. Imperatore e principi confi-nanti furouo cbiamati a proimnciare Jiuove sentenze o ad eseguire le veccbie. Finalmente una parte spossata fu costretta a deporro le armi e i Walsee ottennero il lor o inteiito. Ecco in breve i fatti principali; i signoři di Walsee coiidanuati dai giudici del Pontefice ill tre sentenze concordi, dal 1433 al 1436, non mancarono di profittare delle dissensioni fra il Papa e il concilio di Basilea che, eletto uu antipapa, scioglievasi appena nel 1449, quando 1' Imperatore Federico poneva al bando quella città. Al concilio dunque, pendente ancora la causa presso il Papa, s'appellarono i Walsee; e nel 1443 le sentenze papali vennero da quello annullate. Reggeva a quel tempo il capitanato di Primano il violeuto Giovanni Obern-burger, il quale con Giovaiini di Reichenburg, capitano di Duino e luogoteuente dei Walsee per tutta la Carsia, con Martino di Raunach ed altri aderenti era già stato scomunicato. L'Obernburger forte delle sentenze basileesi e nulla curando nè gli anatemi di Roma, ne le ingiunzioni dell'Imperatore, tenne fermo nella sua occupazione dei beni ecclesiastici e li mise a socquadro. Crebbe l'ira dei Walsee per gl' intrigbi di corte, corne pure per la protezione che il Vescovo Piccolomini ottenne dal célébré conte di Schlick, gran cancelliere dell' Austria ^ ' Indicazioni ecc. pag. J 25. ' Ivi, a. U46. ' Erroueamente lo Scussa introduce in questa nuova lite un Bodolfo di Walsee. 11 conte di ScUick fu aio, Euea Silvio istitutore di Ladislao Postumo. Cercata opportuna occasioiie, fu tentato di cogliere alla sprovveduta il Vescovo e di mettergli sopra le mani; a stento egli poté salvarsi raccomaiidandosi alla celerità del suo cavallo. Vani riuscivano gli sforzi di ricondurre la pace nel 1437 e dopo il 1450; vana l'intuomissione di Federico III, per non essere segulta la dieta intimata nel 1450. In questo frattempo moriva Ramberto II di Walsee che, istigato da'suoi aderenti, fti 1'autore délia lite; ma i due fratelli V'olfango e Ramberto III non si scostarono d'un punto dalla politica del padre. La causa venne di nuovo portata a Roma; e il giudice Gabriele de' Gabrieli, Vescovo di Capodistria, condannava in contu-macia i Walsee, senza cke questi si lasciassero atterrire dalle nuove pene ecclesiastiche minacciate. Finalmente pero il 10 dicembre dol 1459 Volfango e Ramberto s'indussero ad eleggere a loro procuratori Nicolô de Fora-mine (Luogar), capitano di Duiiio e del Carso, Tommaso Elacber, castellano di Senosezza, ed altri loro familiari, per venire ad una transazioiie col Vescovo e col capitolo di Trieste. Quest' ultimo considerate che r esito dclla causa sarebbe stato dubbio, e trovandosi impotente a přoseguirla, nella transazioiie del 15 giugno 1463 si dichiara costretto a porre un termine aile differenze per le cbiese del Carso, allé guerre ed omicidii seguiti fra i magniíici signoři di Walsee e la magnifica comnnità di Trieste, aile spese clie r hanno ridotto all' estremo, allé contese ed agli altri scandali av-venuti, ed accetta la mediazione di Andrea de Leo, cittadino di Trieste e familiare dei Walsee. Sul suo consiglio s' induce a cedere verse un' annua pensione, da pagarsi dai parocbi, il patronato delle chiese del Garso convěrtite in paroccbie. E il Piccolomini già in-volto nella lite come Vescovo di Trieste, fu quegli che, come Papá Pio II, sanciva la transazione nella sua bolla del 21 luglio 1464, pochi giorni innanzi alla sua morte. Cosi finiva colla vittoria dei Walsee una guerra tramandata dal padre a' suoi figli e condotta con tanta fierezza per oltre trenť aiini. Forse non terminava cosi, se Trieste al tempo della transazione non si fosse trovata in tristissime condizioni, per le quali, non che agli altri, a lei medesima mancarono i soccorsi. Che se dair imminente ruina poté ancora sottrarsi, essa pure ne fu débitrice ad Enea Silvio Piccolomini. Per fiorire ne' suoi commerci, Trieste aveva bisogno di liberta sul mare e sul continente; ma qui come là trovavasi al solito iiiceppata đai Veneziani, che cercavano avviare il commercio per le città istriane. Trieste coi castelli đi Moccô e Castelnuovo faceva ogni sforzo di tenerselo aperto sulla strada délia Caruiola e questo era il transite che le veniva contrastato. Aggiungevasi la questione delle saline, che Venezia dichiarava suo esclusivo diritto. Non mancarono quindi a Trieste occasioui di conflitto, specialmente con Muggia e Capodistria; e le contese nel 1461 scoppiarono in aperta guerra. Moccô e Castelnuovo vennero occupati dai Veneziani, distrutte le saline di Trieste, la città stessa assediata. L' Imperatore richiesto d'aiuto, mandollo insufficiente; vano riusci l'appelle a Giorgio Podie-brad di Boemia ed a Mattia Corvino ď Ungheria. Gorizia, Adelsberg, Pisino, Lubiana ed altri luoghi non si mossero. L'imminenza del pericolo aveva' indotto Trieste a chiedere soccorso anche a Duino; ma i tempi di Ugone VI ,erano passati e la bnoua amicizia dei Duinati aveva ceduto il luogo aile più fiei-e ostilità dei Walsee; i quali neppure dopo il 15 giugno 1463, seguita la pace col capi-tolo triestino, potevano offrire speranza che, mutato consiglio, si sarebbero iudotti a fare da sè quello che gli altri avevano riâutato. E ci6 tanto meno perche coi Veneziani i Walsee cercavano pel loro proprio interesse di mantenersi in buoni accordi. La misera città, abbandonata da tutti fuorchè dal suo proprio coraggio e valore, dopo sofi'erenze inaudite ebbe a gran mercè di sottoscrivere una pace umiliante, che i Veneziani le concedevano il 17 novembre 1463, quando il suo costante protettore Pio II per mezzo del Cardinal Bessarione ottenne che venisse perdonata. Ma qual perdono! Castelli, terre, avviamento di commercio, libertà di navigazione, saline ogni cosa fu dovuta sacrificare, pur di mettere in salvo r esistenza della città. E nella pace medesima contene-vansi i germi di nuove sventure. A ragione pero 1' Imperatore in quest' occasione tributava i piíi alti encomii ai cittadini marnima profecto dignis laude et aestimatione, nedum fer iialaé, sed et ger-manicas et omneš ubilibet praedicandis fovendisque; e premiando la devozione dalla città verso la sua augusta Casa, le coacesse le stemma ch' essa conserva anche al présente '. ' Diploma del 1464, 2 febbraio, clie compensava la risposta data, corne vuoisi, dal Doge Cristoforo Moro al Duca Alberto ď Austria, dalla quale appa-risce il veleno di Venezia contro Trieste. fAdria, anno III, no. 267). 5. Fiume sotto il dominio dei Vfaisee. Altra volta ci è occorso avvertire, non trovarsi a Fiume documenti od atti del tempo in cui u' ebbero il governo i signoři di Duino, ed a poche reliquie ridursi quelli che si riferiscono ai Walsee. Di clie non è a far meraviglia, poichè alla medesima sorte soggiacquero anche gli archivii delle regioni confinanti per le vi-cende politiche e loelliche, in sègnito aile qnali molta e preziosa suppellettile riinase, specialmente nel 1508, dispersa, involata, di-strutta dal fuoco o dal furore soldatesco e quella che potè salvarsi passô nei centri délia dominazione austriaca. Ond'è che oggi per le cose piii antiche vanno consultate in qualche pcarte le raccolte délia Croazia e dell' Ungheria, quelle délia Stiria e particolarmente il grandiose archivio di Corte e di Stato che si conserva nella capitale dell' Impero cisleitano. Del secolo XY, il tempo a cui ap-partengono i Walsee corn's signoři di Duino e di Fiume, l'archivio municipale di quella città custodisce gli atti originali del comune dal 1436 al 1460; le cose più importanti del monastero agosti-niano sono da cercarsi nella capitale ungarica; rimangono a Fiume quelle di minor conto e di poco valore per la storia. Da questi atti, come pure dalle notizie sparse in altre carte e luoghi, si raccoglie che i "Walsee, i quali si chiamano soli ed unici naturali signoři di Flume^ devono anch' essi avere trascurata r investitura feudale del Vescovo di Pola, e se pure nel 1400 la rinnovarono, in sèguito appariscono essersi sottratbi ad ogni di-pendenza '. Il comune si reggeva da se, ma sotto il capitano eletto dai Walsee; questi, conteuti delle loro rendite, che dai signoři di Duino si veggono talora impeguate anche alla RepuhMica veneta, si riser-vavano le cose di maggiore importanza e le relazioni coll' estero. Riconoscevano naturalmeute il dominio politico dell' Austria, secoudo i priÝilegi a loro accordati per i possedimenti in cui successero ai ' Qualche parte dei possessi del Walsee sembra realmente essere stata tenuta ancora come feudo, quale fu sotto i Duinati; ma parecchi documenti che accennano ad indole feudale appaiono piuttosto inesattezze del linguaggio troppo abituale di qtie\ tempo. Non posso quvndi accordavmi col Kandlev, il quale ripetutamente esprime l'avviso, il tutto essere stato feudale e che appena alla estinzione dei Walsee i Puchi ď Austria abbiano preferito tenere questi possessi in propria amministrazione. Per convincersene basta rileggere i documenti che ho riportati fedelmente, parlando di Ugone VI di Duino. Del resto il Kandler Étesso ossevva più. voHe che l'Ai^stri?. uou era amante dei feudi. signoři di Duino. A questi privilegi altri nuovi s'aggiuiisero, quali si accorda vano a quei tempi; e pero nel 1450 i Walsee ottennero sulle loro terre anche la giurisdiziono criminale o il diritto di sangue '. Ma il tutto è una proprietà privata negli stati austriaci, della quale 1 Walsee poterono dispone liberamente per vendita e per testa-mento, come fecero i Duinati; tanto è vero che, prima ancora della loro compléta estinzioue, i Walsee alienarono questi possessi. Anche in Fiume, quantunque poco vi dimorassero i signoři di Walsee avevano la loro residenza;' molte scritture sono datate in stuha falatii Illusirissimorum Dominorum nostrorum; in sola magna falatii Excelsi ac Magnijiei Domini Haimperti de Walse; in palaiio magno Magnijiei Domini noslri tie Valse. Il consiglio invece si aduna sotto la loggia del comune, uhi ius reddiiur; ma quando si convoca il pieno e generale parlamente di tutto il popolo della terra di Fiume, serve per 1' adunanza anche qui, come in altre regioni, una chiesa, come ad esempio, quella di S. Maria terre Fluminis Sancti Viti^ dove si veggono fatte proposte dall'ar-cidiacono e plebano della terra, che presiede 1' assemblea. Le pri-marie cariche sono Dominus Capitaneus, Indices, Consilium et Da-tiarius; ma in certi negozii prendono talvolta ingerenza anche gli altri ufficiali dei Walsee, particolarmente ove si tratti ď interessi che riguardano nel medesimo tempo gli altri capitanati. Cosi nel bando del 1444, che concede alia città una fiera franca, è detto che fu ottenuta pel favore aiuto e suffragio del glorioso cavaliere, il signor Giovanni di Reichenburg, degnissimo capitano di Duino e della Carsia, luogotonente del signore Ramberto de Balse. E la concessione viene proclamata dal banditore sulla pubblica piazza, per mandato e consenso del predetto signore Giovanni e dei glo-riosi e nobili uomini lacopo Raunacher \ capitano di detta terra di Fiume, del signor Giovanni Obernburger, capitano di Primano, e Tommaso Elacher, capitano di Senosezza \ I signoři di Walsee ' Chmel, Kegesti di Federico IV no. 2615. ^ Ramberto II durante la guerra col capitolo triestino dimoro per qualche tempo anche nella diocesi di Padova. Vedi i documenti riportati dal cav. Hortis, op. cit. ' I Raunacher si trovano a Primano fino dal tempo dei signoři di Duitio; di Martino si è già fatta menzione; Bernardino fu capitano di Adelsberg nel 1509; lacopo, cognato di Nicolô Luogar, entra con lui in una famosa cessione dei diritti di Trieste, di cui parleremo; fu anche capitano di Castua e Senosezza. Residenza dei Raunach fu in seguito Siller Tabor. ^ Liber Comiliorwm, pag. 174 e segg. 1444,' 27 maggio. II documente è anche pubblicato dall'Hortis op. cit. pag. LVI e seg. vûngoûo Sempře nominati cogli epiteti piíi onorifici : nel mede-simo bando Ramberto II è detto Illusirissimus et Magnificus Do-minus Dorainus Raimpertus de JBalse, Domínus noster gratiosis-simus 8 coHcede il fayore sua solita dementia. I Walsee stessi nei loro atti vi aggiungono' gli altri loro titoli, di supremi marescialli del ducato ď Austria, scalchi supremi della Stiria, capitani del-I'Enno superiore e va diceudo. Non si creda pero che il consiglio del comuue fosse ognora ď indole molto arrendevole verso il suo graziosissimo signoro: sa-peva auche opporsi a' suoi desiderii e darvi un categorico rifiuto. Nel 1437 Ramberto II di Walsee aveva richiesto il comuue di accogliere nel suo consiglio Ser Castellino da Pesaro; e il consiglio imanime e concorde, nemine eoriim in aliquo discrepante, delibero di non riceverlo; e cosi tutti furono contenti che nan si rtcevesse in consiglio Quando concedevasi la cittadinanza di Fiume ad estrauei, i Walsee esigevano che questi prestassero in pieno consiglio il giura-mento di fedeltà alla loro persona ed al comune I Gelosi dei loro di-ritti, ripetevano la condizione di restar sempře» obbcdiente a loro ed ai loro capitani anche a chi venisse da loro favorito di qualche grazia, come fu dei due cittadini Nicolo e lacopo Michulich, ai quali dai Walsee erano state rinnovate alcune franchigie concesse già al loro padre, e che 1'Imperatore Federico III ad istanza di Volfango di Walsee aveva inalzati alla nobiltà ^ Insomma volevano essere ri-conosciuti padroni. Lo stesso è a dirsi delle altre terre e castelli della regione íiumaua. Che il commercio e la navigazione stessero particolarmente a cuore ai cittadini di Fiume, i quali per la postura stessa della loro città ripetevano da quelli il loro massimo vantaggio, è ben naturale. Da questo lato i Walsee fecero quaiito poterono, seguendo una politica affatto opposta a quella degli ultimi Duinati. Consi-derando il danno che avrebbe potuto venire alla città dall' osteg-giare i Veneziani confinanti e padroni del mare, preferirono te-nerseli amici. Ottennero quindi coi buoni ufficii ed accordi una sufficiente libertà di navigazione. Primo a mantenere colla Repub- ' Liber Gonsiliorum, 1437, 19 agosto. ' Ivi, pag. 648, 1458, 5 luglio. ' Cod. Dqjî. Mr. 1460, 24 agosto, Linz. blica relazioni amichevoli, era il capitano di Duino ed avendo egli, come luogotenente dei Walsee, una supremazia sopra gli altri capitani, iufluiva anche su quolli, che già per sè, come veđemma iiella guerra đi Trieste, erano molto ligi ai loro signoři. Discen-đevano essi pure da nobili schiatte; il che serviva non solo ad accrescere il lustro dei Walsee, ma a formare anche fra loro una lega compatta. Anima di questa fa per lungo tratto il Reichenburg, uomo di vasti disegni e intraprendente, il quale lasciô a Duino un nome che ancora a' nostri giorni si ricorda. * Qualche carteggio di minore importanza fra Venezia e Fiume trovasi fino dal principio del governo dei Walsee-; sono querele per barche prese ed altre violenze reciproche I Ma questo non turbava la buona intelligenza. Già sotto Ramberto I. di Walsee.il senato veneto concede parecchi vantaggi di commercio alia città di Fiume, restituendoïe sinarico le barche trovate in flagranti con merci vietate Lo stesso avviene sotto Ramberto II, al tempo del Doge Francesco Foscari, che ai Walsee sembra essere stato par-ticolarmente inclinato. Con ducale del 1431, in forma di patente rilasciata ai comandanti delle galere ed agli altri dipendenti, si concedono al signore di Fiume Ramberto di Walsee, amico del dominio veneto, i medesimi vantaggi di commercio che furono già accordati ai signoři di Segna; in ispecie la libera importazione mediante navigli veneti muniti ď indulto, di vino delle Marche, grani e farine delle Marche e degli Abbruzzi e sopra uavigli veneti 0 fiumani anche di prodotti che nascono sulle terre délia Repub-blica Estendesi in sèguito il privilegio alla libera importazione di bestiame dalle isole e spiaggie venete del Quarnero L'importazione di vini ester!, facendo concorrenza a quelli del sito, sembra essere stata gradita ai Fiumani soltanto per la stagione in cui questi si fossero consumât!. Ciô deve dedursi dalla dimanda che fece il comune a Ramberto II, che i vini delle Marche e ď oltremare non possano vendersi alla taverna fino alla festa di S. Giorgio, che cade il 23 apuile. In quella medesima adunanza ' Qualche indizio se n'ha anche nei document! dell'Archivio Imp. di Vienna, p. e. in quello del 1451 28 agosto, Venezia, in cui il Doge Francesco Foscari richiede amichevolmente l'aiuto del capitano di Duino in una questions fra alcuni sudditi veneziani. ^ Raccolta croata di atti veneti, torno V. ^ Arch. di Venezia, Libro dei Pregadi, Senato Misti, 28 giugno 1421. ' Ivi, 12 giugno, 1431. ® Ivi, 27 novembre 1442. L'atto è anche pubblicato dal Kandler, Goà. DiiJl. Istr., ad annum. vcnne stabilito đi mandare niiuzii al Walsee, affine di sup-plicarlo che fer grazia speciále concedesse alla città una fiera franca an-nuale '. La quai pregliiera, corne vedemmo, yeiiiva esaudita nel 1444, per coiisenso ed intercessione del Reichenburg. La fiera do-veva durare sette giorni, dal 21 al 28 giugno, e prendeva il nome da S. Giovanni Battista,- eccettuavansi perô dalle franchigie l'olio, il ferro e le pelli. Colla stessa patente il Walsee liberava i citta-dini di Fiume dal. pagare la colletta delle Marche; ma non è chiaro a cke cosa cou ciô si alluda Concedeva inoltre il diritto di assumere forestieri alla cittadinanza o di rifiutarli. Quanto a questi ultimi Ramberto II in pari data ne regolava r amministrazione délia giustizia. In cause civili fra straniero e straniero, se nel contrarre un debito non si' fosse fatta speciále menzione cbe il debitore si obbligasse a pagarlo nel distretto fiu-mano, o se il debito non fosse stato contratto dentro quel terri-torio, vietavasi di render giustizia al creditore. In cause criminali doveva osservarsi il principio délia reciprocita materiale; prescri-■vevasi cioè che al forestiero si applicassero quelle medesime leggi, colle quali sarebbesi giudicato uel luogo dello straniero un citta-dino di Fiume, che avesse mossa querela contro di quello. In Fiume i Walsee diedero opera ad edificare anche la chiesa di S. Andrea apostolo Nel proteggere e beneficare la chiesa e il monastère agostijiiano di Fiume, i Walsee seguirono r esempio dei loro ' antecessori, i signoři di Dnino. Portarono a com-pimento quanto avevano cominciato e proseguito in diversi tempi i Duinati; dotarono pure il santuario di nuovi redditi; con carta del 1429 Ramberto II di Walsee confermava la dotazione che suo avo materno,. Dgone (VI) di Didno aveva assegnata a quel coii-vento \ L' Imperatore Federico III, succeduto ai Walsee nei diritti su Fiume, ordinava nel 1472 l'esecuzione dell' atto, con cui il de-funto Volfango di Walsee nel 1466 aveva fondate tre messe set-timanali nella chiesa degli Agostiniani Anche fra i Walsee final-mente qualcuno voile eleggere a stanza del loro riposo dopo la morte il sepolcreto dei Duinati, e sembra che i due Walsee scol- ' Arch. Munic, di Fiume, Liher civilium 1439, 18 dicembre. ' Si potrebbe forse ammettere essere stata una contribuzione diretta, la cui unita di misura fosse la marca. ' Kandler, Indicazioni ecc. a. 1408; Annali di Fiume, msAňúmo mno. * Duino, 1429; l'originale esiste a Pest, copia autentica nell'Arch. capitolare di Fiume. s Ivi, Neustadt, 1472. jpiti sopra la lapide rammeiitata dal Valvasor, fossero Ramberto I. e Volfango se pure il marmo non rappresentava invece Ugone VI đi Duino 6 Ramberto I. che porto a compimento 1'opera dei Duiuati. 6. Estinzione dei Walsee. Nel tempo dell' Imperatore Federico III, la seconda meta del secolo XV, che vide cadere Costantinopoli, aprire una via in-sperata allé Indie orieutali e scoprirsi un iiuovo mondo, la carta politica delle provincie prossime a Duiuo va soggetta a cambia-menti délia più grande importauza, i quali, appena spirato il quattrocento, daranno origine ad una lunga serie di guerre ostinate Ira le due confinanti potenze, lasciando a un di presso le cose corne erano prima. Vengono intanto dall' Oriente anche in queste regioni le orde selvaggie dei Musulmaui che, inalberata la mezzaluna quai segnale ď incendii, di saccheggi e di stragi, atterrirono per piíi secoli i popoli cristiani ď Europa, mettendone la salute al massimo repentaglio. Veiiezia impadronitasi del Friuli, otteneva nel 1445 dal Pa-triarca Lodovico Scarampo Mezzarota la cessione de' suoi diritti, verso un' annua pensione; e la striscia di terra che riinaneva in-torno ad Aquileia, terminé a venire in mano dell' Austria, la quale aveva dilatati i suoi confini fin oltre 1' Isonzo e, tolta ogni inter-ruzione di domiuanti intermedii, stendeva 11 suo scettro fino al mare. Leonardo in fatti, ultimo conte di Grorizia, chiamava nel 1490 a succedergli 1' Imperatore Massimiliano ď Austria e moriva nel 1500. Per 1'estinzione dei conti di Cilia nella linea maschile, 1'Imperatore Federico III in qualità di alto domino aveva nel 1456 incorporata quella contea alia Stiria; poco appresso estinguevansi anche 1 Walsee e per vendita e testamento le loro terre, su cui r Austria fin dal tempo ď Ugone VI aveva acquistato 11 dominio politico, termlnarono del pari In mano di Federico. Non ispetta a noi narrare la parte che presero agll avve-nimenti dell' Austria e dell' Impero 1 tre Ramberti e Volfango dl Walsee apparteneutl alia hnea duinese. Dl Ramberto I. marito di Caterina di Duiuo, toccammo quanto poteva nel medesimo tempo aver ' Ramberto II e III furono sepolti a Seyssenstein, e ne descrisse le lapidi il ch. cav. di Crollalanza op. cit. pag. 136 e 143. — 2eÝ - relazione co' suoi possessi cluinesi e fiumani, e col coníiuante Friuli; Ramberto II suo figlio, che per le sue lot.te con Trieste risalta maggiormente nella storia di Duino, fu molto occupato anche nelle guerre religiose đella Boemia; Ramberto III e suo fratello Volfango si trovauo aver preso parte allé dissensioni iosorte fra i principi austriaci ; gli storici pongono in particolare rilievo lo screzio nato fra i Walsee e 1' Imperatore Federico III, e 1' improvviso abbandono del medesimo a S. Vito di Carinzia, quand' egli nel 1452 s' avviava alia volta di Roma, affine di prendervi le due corone della Lombardia e deir Impero. Che questa discordia fra soggetti e principe non durasse, noi raccogliamo da quanto segui alcuni anni appresso. Impercioccbe venuti nel 1464 i due fratelli Ramberto III e Volfango ad una divisione delle sostanze ereditate dai signoři di Duino, di queste lasciarono la proprietà a Federico III. Quali sieno i beni toccati a ciascuno, si vede dagli atti stessi di cessione dei due fratelli. II primo concerne I'alienazione fatta sotto forma di donazioue o testamente da Volfango nel 1465; ed in volgare suona a un di presso come segue: »lo Volfango di Walsee, Signore di Duino e nella Carsia, maresciallo supremo dell' Austria, soalco della Stiria e capitano neir Enno superiore ecc. confesso e manifesto pubblicamente colla presente lettera a tutti coloro che Iti vedranno o ne udranno la lettura che, avendo prese a cuore e considerate le moite e grandi grazie e favori impartiti dal Serenissimo Principe e Signore, Signor Federico Imperatore Romano, aumentatore in ogni tempo dell' Impero, Re ď Ungheria, Dalmazia e Croazia, Duca dell'Austria, della Stiria, della Carinzia e della Carniola, Conte del Tirolo ecc. mio signore graziosissimo, come anche dagli antenati di lui, i Duchi ď Austria, a me ed ai miei avi del nome di Walsse e gli altri pure, che ancora oggigiorno Sua Grazia Imperiále mi concede e mi concédera in avvenire; avendo insieme presenti le cariche ed. ufficii tenuti ed amministrati per concessione di Sua Grazia Sovrana e de'suoi predecessori i Duchi ď Au stria, da me e da'miei antenati, onde ci vennero onori e beni; per gratitudine di tutto ci6 con buon volere e con poderata riflessione, seguendo il consiglio de' miei pros-simi attinenti e potendolo fare in questo tempo, ho lasciato (ver-macht) e daio, lascio e do con piena conoscenza in forza di questa scrittura al prenominato mio graziosissimo Signore, 1' Imperatore Romano ed a' suoi augusti eredi iiMi i miei castelli, ciuà, horgate e ville poste sul Carso e nelV Istria, quali sono S. Vito di Fiime, castelîo e ciiià, anche la città di Casiua e i qui descritti castelli di Veprinag, Moschenizze, Sahînach al monte e il castello di GuienecTc coi sudditi, feudi ecclesiastici e secolari e tutie le altre apparteneme comunque si cMamino e nulla eccettuato, corne li possedevano mio padre e i miei avi e a me son pervenuti nella divisione fatta col nobile Signore Ramberto di Walsse mio caro fratello, secondo il contratto divisorto. E cio per modo che «o terrô ed usero di questi beiii soltanto mia vita durante, couservando 1' ordinaria custodia dei castelli e la reggenza degli ufficiali senza impedimento di Sua Grazia Imperiále e de' suoi eredi; ma perô coll' obbligo di non di-minuire, impegnare, vendere o lasciai-e ad altri nulla dei detti beni nè in grande nè in piccola parte, nè a tempo ne per sempře, eccetto quattordici mila fioriiii ď Ungheria o ducati di giusta moneta in oro, di clie per la salute dell' anima mia e per altre ragioni mi riservo di disporre a piacimento. M' obbligo inoltre di dar ordine chg tutti gli amministratori ad ufficiali dei sopraddetti beni, castelli, città, borgate e ville, prestino giuramento e promessa di soggezione ed obbedienza a Sua Grazia Imperiále ed eredi, e a me soltanto mia vita durante. Nel mio arbitrio rimane il mutare. e destituire ogni volta ch' io voglia, col placito di Sua Grazia Imperiále, gli amministratori ed ufficiali anzidetti, purchè i medesimi facciano promessa e giuramento anche a Sua Grazia Imperiále o a chi Essa mandera per ricevere il giuramento. E dopo la mia morte tutti 1 beni annunziati, sieno castelli, città, borgate e ville, o quant' altro mi è toccato nella divisione sul Carso e iiell' Istria, deyono perve-nire al prefato mio graziosissimo Signore 1'Imperatore, ed a tutti i suoi eredi, di guisa ch' essi devano usarne com'e degli altri loro retaggi, senza impedimento de' miei eredi. Rinuncio qiiindi per me e per tutti i miei eredi in ogni tempo a qualsivoglia diritto e pre-tensione che dopo la mia morte potessero i detti miei eredi accam-pare sui nominati beni del Carso e dell' Istria, e intendo e voglio che questa mia disposizioue a favore di Sua Grazia Imperiále e dei suoi eredi sia fedelmente e puntualmente eseguita. In fede di che io sopraindicato Volfango di Walsse confermo la présente scrit-tura col mio proprio suggello pendente. Testimonii dell' atto furono per mia preghiera i nobili Signoři, Signoři Ramberto e Ruperto fratelli di Polhaim e il nobile e strenuo cava,liere Giovanni di Pirhing, i quali parimente lo muniscono del loro suggello pendente, senza danno di loro medesimi e dei loro eredi. Dato in Linz, 1 settembre, mille quattrocento sessaiita cinque dopo la iiascita di Cristo« '. Sotť altra forma sett' anni piii tardi fece uua cessione con-simile Eamberto III, fratello di Yolfango. »lo Eamberto di Wallsse^ die' egli, supremo maresciallo del-r Austria, scalco supremo délia Stiria e capitauo delF Eniio superiore, coiifesso per me e tutti i miei erodi e dichiaro pubblicamente con questa scrittura a tutti coloro che la vedranno o la seuti-jranno leggere, cbe io con buon Tolere e matura riůessione, nel tempo in cui poteva farlo onestamen-te, ho venduto al serenissimo Principe e Signore, Signor Federico Imperatore romano (ecc. ecc.) mio graziosissimo Signore ed ai suoi eredi i miei beni liberi e pro-prii del castello di Duino superiore ed inferiore, S. Giovanni pos(o ivi pressa Dnino, Senosezza col castello e la dogana. Primano, con tuile le loro ville, tt/ficii, sudditi, beni, utili, rendite, afjitti, gabelle e tutto il resto che v appartiene, coi feudi eccleslastici e secolari, giurisdizioni, avvogherie, selve boschi, caccie, acque, diritti signorili e giudiziarii ed ogni altra cosa ch' io teneva o potessi ienere sul Carso e nelV Istria, nulla eccetiuato nè trascuraio ; e cio per una somma di denaro, délia quale, con mia piena soddisfazione sono stato interamente pagato senza alcun mio danno a tempo debito da Sua Grazia Imperiále. Ho quindi consegnato alla medesima gl' indicati castelli, rôcche, dogane, dazii, ville ufficii, beni, utili e rendite con tutto ciô che v'appartiene e con tutti i diritti, nulla eccettuato, e rinuucio in forza di questa scrittura per me e per tutti i miei eredi in favore di Sua Grazia a tutti i diritti avuti 0 cbe potessi avere sui detti beni, di modo che sua Grazia Imperiále e tutti i suoi eredi possano in seguito alla vendita fatta disporne liberamente come dei proprii castelli e possessioni, senza impedimento da parte mia o de' miei eredi. Che se in questa compera fosse stato omesso alcun che, o nascessero per essa con-testazioni o pretese a danno di Sua Grazia, saremo garanti io e i miei eredi di ogni cosa e La renderemo immune ď ogni danno; e quando non lo facessimo, potrà Sua Grazia risarcirsi sugli altri ' Arch. Imp. Cod. 17 (sec. XV) fol. 105 a. Il Kandler, Iwdica^iowi ecc. narra che nel 1471 un Enrico di Walsee avrebbe venduto a Federico III le sue castella del Carso e delV Istria. Intese parlare di Pisino e del castello di Piemonte, ch'erano dell'Imperatore e tornarono ail'Imperatore? Lo sospetto per quelle ch'egli dice nell'opuscolo in onore del Piccolomini, pag. 15, c/ie«eZ 1471 Federico III ricuperava Pisino. Ma ď onde ha preso questo Enrico di Walsee? iiostri beni. Ceđo inoltre alla medesima ogni diritlo ch'io ho o fotessi avere al castello di QutenecTc ' e sue apparteneme, come pure allé ville- o possessioni comunque nomate e dovunque giacciano ml Car so o nelV Is tria, senza eccezione di cosa aleuna. In fede di che io sopranominato Ramberto di Walsee rilascio al predetto mio graziosissimo Signore, 1' Imperatore Romano questa scrittura munita del mio proprio sigillo pendente; e per accrescervi fede bo pregato i nobili -signoři, signor Micbele del Sacro Romano Impero burgravio di Maidburg e conte di Hardegk e signor Ruggero di Starhemberg mio caro cognato di volervi aggiungere il loro suggello, pero senza danno di loro e dei loro eredi. Mi obbligo quindi per me ed eredi di mantenere esattamente quanto stá scritto uella presente, data in Vienna il 12 maržo dell' anno mille quattrocento e settanta duo dopo Gristo« ^ Stimai opportano trascrivere per intero la traduzioue di questi due documenti, tanto per completare e correggere il molto che se n' è detto da tanti senza averli sotť occbio, lasciandoci incerti sotto qual titolo 1' Imperatore acquistasse Duino, quanto per indicare con esattezza questo secondo passaggio di proprieta del castello duinese. La prima trasmissione fu quella di Ugone VI di Duino ai Walsee; la terza sara quella degl'Imperatori Ferdinandů III e Leopoldo I ai Torriani. Volfango ebbe nella divisione la parte cbe appartenova agli anticbi feudi fiumaui dei Duinati: Ramberto III cio cbe i' signoři di Duino avevaiio ri-conosciuto dalla Cbiesa d'Aquileia; e 1'uno e 1'altro cedettero questi beni all'Imperatore Federico, ossia ai Ducbi ď Austria, come signorie lihere e private poste in terrildrio austriaco Ramberto fece dunque come il Duinato Ugone VI, il quale pel caso ď estin-zione della sua prole mascbile, trascurate le figlie, trasmise i suov beni a persone estranee. Di fatti lascio anche -Ramberto di Walsee interamentô da parte Tunica sua liglia Barbara, erede dell'altre sue-possessioni allodiali nei dominii austriaci; e il castello e la ' Dunque su Guteneck toccato nella divisione a Volfango, vantava qualche diritto anche Ramberto. ^ Arch. Imp. Orig. in pergamena coi tre suggelli pendenti. Cfr. anche Chmel, Begesta Friderici, Til, n. 6536; Lichnowsky, Geschichte des Hauses Habsburg, VII, reg. n. 1605. ' Vincolata a feudo nel territorio duinese poteva essere tutt'al più Renosezza. Quanto ai possessi fiumani, abbiamo già veduto a pag. 261, che i Walsee se ne dichiararono unici e naturali signoři. Cio non ostaňte, per togliere ogai oontestazione dell'alienazione, Ramberto parla ancora di cessione di feudi ecclesiastici e secolari. — ail- — sîgnorïa di Ďuino, per apparente titolo đi vondita, in cui non è nemmeno espresso il prezzo, ma forse in realtà per donazione simile a quella di Volfango, divenne proprieta dei Duchi ď Austria. Questa cessione di Ramberto ci dà anche lume a meglio intendere il process» civile agitatosi in Trieste nel 148 L (dunque dopo la vendita), iu cui certo Giovanni Wassermann dicKiaravasi creditore verso Andrea de Leo di 99 ducati Leggesi nell'atto di citazione esser piaciuto al Signore che Ramberto (II), il quale per certe dogaue ed altri diritti aveva un credito di 99 ducati verso il triestino Ser Andrea de Leo, venisse a morte, suprascripte sibi hereditati (dei 99 ducati) Serenissimo Friderico imperatore ut duce Ausírie succedenfe, et succedere volente et debente in bonis et he-reditate dicti domini Ramperti et maxime dicta pecunia per ipsum ser Andreám debenda. Vero è obe queste parole furono poi can-cellate, dome, si cancellarono altresi le altre del Wassermann, il quale si dickiarava esattore pecunianvm rerum spectaniiiim Impe-ratorie Maiestati tamquam illustri duci Austrie, per sostituirvi quelle di creditore ipsius domini Ramperti pro mercede sua. Ma anche ritenendole nel testo, sarebbero state esatte; Andrea de Leo s'era obbligato a Ramberto II di Walsee di 99 ducati; il crodito alla morte di Ramberto II, avvenuta nel 1450, passé nel iiglio ed erede Ramberto III, mancato ai vivi soltanto nel 1483, e nel 1472 II' era iuvestito 1' Imperatore por la vendita che intanto era se-guita. Sicchè questi aveva veramente diritto di succedere nei beui e neir eredità di Ramberto II trasfusa in lui da Ramberto III. Quanto al Wassermann si scorge che il cancelhere col cassare ciô che risguardava 1' Imperatore, voile soltanto mettere meglio in rilievo i diritti dell' attore medesimo. II che risulta anche da un' altra cancellatura, dov' era detto che il negare il pagamento del credito sarebbe tornato: in grave dampuum et preiuditium dicti ser Johannis Bosserman et Imperatorie Maiestatis. — Come i de Leo coi Walsee, cosi i Wassermann furono molto legati coi se-guenti possessori deila signoria di Duiuo, particolarmente cogli Hofer e coi ïorriani dei quali furono amministratori. Notammo più addiotro ' cho nel 1472 Federico III ordi-nava di eseguirc il legato di tre messe settimanali lasciato da Volfango di Walsee nel 1466, essendosi egli nella sua cessione • Vedi Ilortis op. cit. pag. LXVIII, nota 3. ' A pag. 265. all* Imperatore riservati quattordici mila fiorini, per disporne a stio piacimeuto. Si raccoglie pertauto da questa iiotizia clie Volfango non mori prima del 146(5, e le sue spoglie si credono sepolte a Fiume. L' anno in cui cessó di vivere Eamberto III è scolpito sul suo sepolcro di Seissensteiu; 1'epigrafe ci avverte che nel 1483 si spense con lui, ultimo del nome dei Walsee, una delle piii il-lustri e potenti prosapie dell' Austria, dopo due secoli dalla sua partenza dalla Svevia. Sua figlia Barbara, sposata col conte Sigismondo di Schauin-burg, porta anch' essa scolpita sulla sua pietra sepolcrale di Seis-senstein del 1506, insieme cogli stemmi Scbaumburg e Walsee l'arma dei Duinati e continua a chiamarsi signora di Duino, quantunque la sua casa ancora prima ď estingucrsi avesse cessato di possedere i beni dell' Istria e del Garso, dopo appena quindici lustri, dacchè era venuta al possesso di Duino. C. I CAPITANI AUSTRIACI Dl DUINO dal 1472 al 1586. 1. Nicolô Luogar. La baroiiia cli Duino aveva, como verlcmmo, cessato di essere retta a feudo íiu da quaudo il Duinate Ugoiie VI, ricono-scendo per suoi signoři i Duchi ď Austria, riiiuiicib al vassallaggio ď Aquileia. Essa pervemie quiiidi ai Walsee a titolo di libero, quale sîgnoria nobile fondiaria privaia. Come tale poté trasmet-tersi dai Walsee ai loro principi, i Duchi ď Austria, colla vendita fatta da Ramberto III all' Imperatore Federico III nel 1472. Il signore privato esercitava sopra i suoi fondi il dominio diretto, mentre il villico ne aveva la proprieta utile; questo dominio manifestavasi coll'esazione di canoni terrieri, col diritto di gabelle, di portorii, di caccia, di pesca, di servigi personali, di obbedieiiza del colono quasi di servo a padroue. Ma la signoria privata andava distinta dal potere pubblico che vi esercitava il sovrano; molto ristretto fincbè durarono i Walsee ed i Duinati, i quali vi ebbero anche 1' altp criminale. Unita dai Duchi ď Austria la signoria politica e di giurisdizione alla signoria privata fou--diaria, i capitani posti da loro a Duino furono incaricati non solo di provvedere alla sua amministrazione, ma di tenerue altresi il governo; e dal do vere di attendere particolarmente aile cose militari viene il nome di Capitaneus o Praefeclus, usato qui come altrove. Il capitano aveva propria dote, costituita da tasse ed altre esazioni che andavano a suo vantaggio. Questi diritti erauo spe- cificati in un libro chiamcato urbario; c in libri simili notavansi separatamente quanto aveva attineuza colla giustizia, col reggi-meuto politico e militare e coll' amministrazione dei beni. Primo fra i capitani Austriaci di Duino si rammenta quel Nicolo Luogar, che già vi risiedeva nella medesima carica sotto Vol-fango 6 Eamberto III di Walsee fino dal 1452 ', e che fu da loro eletto nel 1459insieme col castellano di Senosezza Tommaso Elacher per conchiudere la transazione col capitolo di Trieste ^ Egli ap-parteneva alla famiglia dei burgravii goriziani di Lienz e Lueg, noti fino dal 1202 ed investiti anche del maresciallato délia contea di Go-rizia, che alla loro cstinzione passo ai Torriani délia Carinzia. Erano possessori di vaste tenute nella Carinzia e particolarmente nella Carniola méridionale, dove l'inespugnabile castello di Lueg fabbri-cato nella roccia rese utili servigi ad Erasmo, uno dei figli di Nicolo ivi assediato, finchè fu colpito da una palla di cannone. Dovendo più tardi parlare dei Rauber, ricordiamo qui anche due figlie di Nicolo Luogar: Caterina maritata in Gaspai-e Rauber e Dorotea, che in prime nozze sposossi a Nicolo Rauber, in seconde a Giovanni délia Torre Presso r Imperatore, forse per gli ufficii dei Walsee, il Luogar era entrato in molta grazia: già Leonardo di Herberstein, chiamato il Sandor del suo tempo, il quale aveva sposato Barbara, altra figlia del Luogar, aveva preso parte alla guerra del 1463 fra Triestini e Veneziani dov'ebbe i denti anteriori rotti da una freccia; il Luogar stesso nel 1466 veniva fatto ciambellano (Diener) di Federico III in considerazione dei meriti acquistati nella medesima guerra e poco dopo capitano a Pordenone poi creavasi capitano di Vipacco, ritenendo, com'è d'arguire da tutto il complesso, anche il capitanato di Duino. Se non che il soverchio suo zolo, mentre nessun vantaggio recô ail'Imperatore, nocque assaissimo non pure alla città di Trieste, ma al Luogar medesimo. Gli atti illegali e feroci ch' egli commise, rimangono registrati negli archivii di Trieste come documenti di triste rinomanza. I quali pubblicati in parte dal Nominate in quell'anno in uň đocumento dell'arch. cap. di TJdine Vol. 31. Raccolta varie. " Vedi pag. 259. ' La Dorotoa che sposo Febo della Torre, padre di Giovanni, fu una Collalto non una Luogar, come è detto per errore dal Buttazzoni, Archeogr. Triest. D. s. Vol. Ill, pag. 113. Narrata da noi a pag. 259 e seg. ® Arch, di Duino, 1466, 21 dicombre, Neustadt (Orig.) Buttazzoiii servoiio a rischiarare quanto ne scrissero Pietro Can-cellieri, il Bauzer, lo Scussa, il P. Ireneo ed altri scrittori fra loro molto discordi. Lasciando ad altri il rifare con esattezza questo punto di storia triestina, noi ci contentiamo di darne qualche in-dicazione. H motivo delle discordie uate in Trieste nel 1467 deve cer-carsi nella pace umiliante conchiusa da Trieste cou Venezia nel 1463, la quale riuscendo intollerabile, spingeva alcuni a consigli estremi, mentre clii dissentiva chiamavasi partigiano della Repub-blica veneta. Alcuni notabili dolla città essendo stati banditi, ripa-rarono a Duino e di là si rivolsero all'Imperatore, il quale mando a Trieste numerosc milizie capitanate dal Luogar, per rimettervi I'ordine. Entratovi quosti di notte, arresto parecchi cittadini, che sotto buona scorta vennero condotti a Duino e gettati in fondo alia torre; frattanto le loro case mettevansi a sacco. Vuolsi che il partito vincitore sia stato quello che diede il guasto anche al-I'archivio segreto del comune e che mano vi avesse il Luogar me-desimo, il quale, creato capitano di Trieste il 9 febbraio del 1468, mirava a rovesciare lo istituzioni triestine ed a mutare le forme del comune con una finta od estorta abdicazione de' suoi diritti. Quindi nuova sollevazione; Nicolo côlto alla sprovveduta dal popolo tumultuante, fu fatto prigione, con minaccia d'essere sul memento impeso alla força, se non restituiva i carcerati di Duino. Dovette piegarsi per aver salva la vita e poter tornare al suo castello, dove qualche -scrittore maie informato vuole che venisse strozzato. Ma colla cacciata del Luogar il popolo scatenato si diede ad ogni ribalderia, facendo man bassa sugli avversarii, guastando il palazzo e l'e case della contraria fazione. Il Vescovo e parecchi cittadini fuggirono dalla città; moltissimi ripararono nuovamente a Duino. Potrebbe far meraviglia che al tempo in cui Ramberto III di Walsee era ancor vivo, il Luogar disponesse del suo castello di Duino in cosé che non risguardavano tanto il Walsee, quanto il Luogar stesso o 1' Imperatore Federico. È indubitato che Federico III comperô il castello di Duino soltanto nel 1472; ma dove riflet-tasi che fra i Walsee e i Triestini non vi fu mai buon sangue, si puô ammettere che tutto questo non avvenisse senza il consenso di Ramberto, il quale non solo deve aver trattato fin d'allora I Archeogr. Triest. n. s. III pag. 101 e segg. Nuove inclagini siiîla rivoluzione di Trieste nel 1468. clolla vendita di Duino aH' Imperatore, ma era altresi obbligato a tenergli aperte le porte de' suoi castelli, come suc signore politico. D' altra parte Federico III succeduto a Volfango di Walsee fin dal 1466 nell'eredità di Fiume, deve aver considerata quasi come co^a sua anche il castello di Duino. Frattanto 1' Imperatore, informato dei gravi disordini av-venuti iîi Trieste, mandava 1' anno seguente nuovi rinforzi al Luogar, per sedare i tumulti. Le milizie mossero ad assalire i cittadini, i quali dopo valorosa difesa rimasero oppressi dal numero sover-chiaute dei vincitori. Le vendette, le stragi, i saccheggi non eb-bero più ritegno; ma allora 1'Imperatore che, per tenere in freno i cittadini sediziosi e tumultuanti aveva iraovamente decretata la erezione ď un castello a Trieste, nel 1470 risolvette finalmente di venirvi in persona, affine di ricomporre la pace. Accolto con istraor-dinarie feste dai Triestini, giustiiicô le speranze in lui riposte ; im-perocchè esaminate le cagioni delle turbolenze, diede soddisfazione alla città col pronunciare il bando sui fautori degli avvenuti disordini e col deporre il Luogar, che si maie aveva interpretate le intenzioui dol principe in un momento, nel quale più che mai sarebbe stato necessario coltivare la concordia, per opporsi con tutte le forze ad un iiuovo nemico che stava alio porte. Stavano aile porte i Turchi; caduto il baluardo di Costaii-tinopoli, essi poterono riversarsi senza altri ostacoli sulle rive del Danubio e sulle spiaggie dell' Adriatico. In Dalmazia irovarono accanita resistenza da parte dei Veneziani; ma 1' onda non si lasciô trattenere e venne ad allagare Trieste, Gorizia ed il Friuli. L' anno stesso 1470, in cui fu deposto il Luogar, quelle feroci masnade sitibonde di sangue e di bottino, passarono innanzi a Trieste ed invasero la Carsia; fra i luoghi incendiati, oltre Proseco, Santa Croce e Monfalcone, fu anche Duino. L'Isonzo tinto del sangue delle loro vittime, non potè servire di argine al rinnovare le loro scorrerie fino al principio del seguente secolo ; uomini, donne, fanciulli, quando si risparmiavano, venivano mise-ramente trascinati in servitù. Il pericolo ostremo da cui era minacciata Venezia medesima, le offerse opportuna e desiderata occasione di munirsi anche oltre i suoi confini, coll' erigere forti a Fogliano, a Mainizza, a Gradišća: origine di nuova guerra fra. i due Stati limitrofi. Quando poi le forze ottomane cominciarono a minacciare 1' Adriatico, Trieste e Duiiio ebbero ordine di pren-dere tutte le provvidenze nècessarie alla comuné difesa e di segiialarsi a viceuda il sopravvenire clei nemici. Ma tutto questo sarebbe riuscito inefficace, se non fossoro venute in soccorso le galeee di Venezia e di Sicilia, cbe ristabilirono la tranquillità della navigazione. II Luogar frattanto era stato non solo deposto, ma anche aiTestato e poichè nel medesimo tempo leggesi. due de' siioi iigli aver abbandonato 1' Imperatore, per uuirsi a Mattia Corvino, pu5 essere che la disgrazia del padre vi abbia contribuito. Vogliono cbe uno di questi per nome Nicola, come cîiiamavasi anche il padre, fatto prigione, venisse nel 1478 rimesso in liberta dietro il solito giuramento di non vendicarsi. Ma non citandosi da chi ne parla il documente, non è fuor di Inogo il tenere cbe siasi scam-biato il figlio col padre, il quale avrebbe probabilmente finiti i suoi giorni in prigione, se i due generi Leonai'do di Herberstein e Nicolo Rauber non avessero iaterposta la loro intercessione. Quindi è che appunto nel 1478 Nicolô Luogar confessa di aver avuto m amminislrazione dall' Imperatore il castello superiore di Duino, di averlo dovuto cedere e di essere stato posto in carcere. Ma essendono stato liberate, promette con giuramento di non vendicarsi in alcmi modo nè della forzata cessione, nè délia sofferta prigionia e di non voler sollevare pretensioni o serbare inimicizie contre chi ha cooperate a' suoi danni. Suggellano 1' atto con lui il cavaliere Leonardo' di Herberstein e Nicolô Rauber presso il quale sembra il Luogar finisse di vivere in Trieste. 2. Giorgio Elacher. L'Imperatore Federico III, venuto al possesso di Duino, affi-dava al Luogar che già quivi si trovava, non il grado di capitano, ma soltanto quelle di provveditore (Pfleger), come risulta dall'atto stesso teste riferito. Provvisoriamente nel 1470 dev' essere stato a Duino anche Nicolô Rauber; ma succcssore del Luogar fu Giorgio Elacher, a cui forse alludono le promesse del citato documente, ' L'arresto non puô essere antoriore al 1471, trovandosi inquelPanno un convegno cli lui con un certo Giannantonio de Bachino per la retrocessione di alcuni stabili in Proseco, datato dall'aula magna del castello di Duino, 4 Ottobre (Cod. Dipl. Triest.) Da tutto l'insieme si vede che 1«, carcerazione fu posteriore anche al 1472. ^ Arch. di Vienna, 1478, 9 ottobre (orig.) Cfr. Cbrael, Beyesta Fri-derici, n. 7285. Cod. Dipl. Istr. ad annum. di non serbare inim'icizie contro veruno. Perocchè fino dal luglio del medesimo anno I'Elaclier lo aveva soppiantato, ottenendo da Federico III V amministrazione del castello imperiále di Duino, colVufficio, la gahella e tutti gli altri godimenti e rendite, verso la somma annua di dugento ducati, quaranta staia di grano e quaranta orne di terrano Prima perô, nel 1468, sembra che gli Elacher fos-sero ancora in buona amicizia col Luogar, avendo Tommaso Elacher, capitano di Pisino, assistito con Jacopo di Rannach all'abdicazione del comune di Trieste ^ La famiglia Elacher od Edlacher viene indi-cata come una dalle nobili schiatte di queste regioni, che aveva pos-sedimenti specialmente sulla Carsia, e parecchie volte occupo i capi-tanati della provincia. Tommaso fu già capitano di Senosezza pei Walsee a Pisino, oltre Tommaso, trovali anche Giovanni nel 1494, e Giorgio nel 1502; qualche anno prima Volfango Elacher era capitano di Castelnuovo, dove con Arrigo assiste quai testi-monio ad un arbitrate per differenze fra i conti Torriani e' come giudice in altro litigio ira Stefano Hofer e Giorgio di Eck; col medesimo Arrigo, investito di Aidussina dall' Imperatore Massimi-liano, Michele e Febo della Torre fanňó poi quivi uno scambio di terreni il Giovanni citato è piii tardi capitano auche di Fiume Memorabile fu al tempo dell' Elacher la venuta a Duino deir Imperatore Federico III, di cui si vede il ritratto nella gal-leria del castello. I fasti di Trieste ricordaiio ch' egli fu nella lore città quattro volte: nel 1436, quaiido passo in Terra Santa; nel 1444, quando i cittadini per mezzo dei loro commissarii, fra cui Enea Silvio Piccolomini, gli prestarono giuramento di fedeltà; poi nel 1470, in cui venne, come narrammo, a comporre le discordie cittadine; e finalmente nel 1489, dopo ď aver presi parecchi prov-vedimenti a vantaggio del commercio triestino. In quest' ultima occasion e cade anche la visita imperiále a Duino, già divenuto a quel tempo proprietà di Casa ď Austria. Nicolo Maria di Stras-soldo " ci racconta brevemente che »del 1489 adi 30 agosto la Magesta dell' Imperator Federigo venne a Strassoldo con cavalli 500 ' Arch. Imp. 1478, 21 luglio (orig.) ^ Archeogr. IIÍ, pag. 217. ' Vedi pag. 262. * Arch, di Duino, Apogr. A. pag. 127, 15 marzo 1485; memorie del 1507; 1510. ^ Almanacco Fiumaiio, a. 1525. ° Nella sua Cronaca degli anni 1469-1509 édita dal Dott. Vincenzo loppi nel 1876. Lo Strassoldo fu contemporaneo di Federico III, essendo nato nel 1437 e morto nel 1511. et persoiie 650 e la maestà allozb in casa di Ser Ropretto. Stette tina alla mattina seguente in la quale ando in Aquileja et eadem die andb a Duîno, poi a Trieste«. Abbiamo per conseguente la data précisa délia venuta di Federico III a Duino, clie fu il 31 agosto 1489, e r iudicàzione del uumeroso corteggio che 1' accompagnava. Tre giorni dopo, il 2 settembre, seguiva a Duino una straordinaria solennité: i due fratelli Qirolarno e Gregorio Amaseo ricevevano d air Imperatore la corona d'alloro e ď ulivo, come oratori e poeti costumaiiza la quale si sa in quanto onore venisse tenuta e da quanta pompa fosse accompagnata, massimamente se la corona imponevasi dalle mani di Cesare. Gli Amaseo, famiglia nobile bo-lognese, vennero a stabilirsi ad Udine fino dallo spivare del secolo decimo terzo; nelle lettere, oltre i due coronati fratelli, si resero illustri Leonardo, scrittore di una cronaca esistente nell'Ambro-siana che dovremo ancora ricordare, ma particolarmente Homolo, uscito dalla scuola di Marco Marsuro. 'Nel 1519 egli fu chiamato ad insegnare lettere grecbe nell'Universita di Padova e passô quindi alio studio di Bologna. A lui spetta il vanto ď aver diffusa la co-noscenza di Senofonte, di cui tradusse 1' Anabasi; ma la maggior fama gli venne come oratore. Eletto segretario del senato di Bologna, tenne un' orazione innanzi al Papa ed ail' Imperatore il primo gennaio 1530, e le sue orazioni vennero raccolte e štampate nel 1564 da Pompilio suo figliuolo. Yisse assai pověro e forse per propria colpa mori nella miseria ^ Pochi particolari si coiiservano intorno ail' ammiuistrazione di Duino sotte l'Elacher; non v'hanno che alcuni provvedimenti presi nel tempo delle uuove incursioui turchesche a tutela dei sudditi duinesi e per i lameuti che facevano i medesimi dei tribunali triestini, a cui talora erano costretti a ricorrere nelle loro liti La somma delle cose a quel tempo era in mano spe-cialmente dei Eauber : Cristoforo, Vescovo di Lubiana, ebbe parte nelle guerre del Friuli, che dovremo narrare; Gaspare e Nicolô furono reggitori dei principali capitanati nell' Istria e nella Carsia, quali Trieste, Fiume, Gastua, Veprinaz, Moschenizze, Pisino, Adels- ■ Vita RomuU Amasei a Flaminio Scarsellio descripta etc. Bononiae 1769; pag. 174. . „ Ycûi il citato ScavseWio, e Y Orazione inauguraU 1876 del Prof. Eu-genio Ferrai, successore delP Amaseo nella cattedra patavina di lettere greche. » Cod. Dipl. Istr. Lcttera dell'Imperatore in data di Graz 1484, 23 aprile a Gaspare Kaulier capitano di Trieste, Pisino e Fiume. * Ivi, Lettera del niedesimo a Nicolô Rauber Capitano di Trieste del 1481, 30 ottobre, Vienna. berg. Pei loro servigi militari e civili si resero sûmmameute accotti ai loro principi e ii' ebbero in compenso onori e possedimenti; fi-nalmente perveunero anche a Duino. Nel 1490 1' Imperatore Federico III impegnava a Gaspere Bauber, sue consigliere e capitano di Adelsberg, S. Vito di Fiume e Duino, il castello di Duino con tutte le sue rendite, affitti e dipendenze per quattromila fiorini renani '. Questo pertanto è il primo pegno di Duino che trovasi sotto gli Austriaci ; ma nou fu che transitorio, poiche quei Duchi si riservarono di scioglierlo appena che avessero potuto pagare la somma imprestata loro dal Rauber. Essendo Duino non una resi-denza dei principi austriaci, ma soltanto una fonte di rendite per la camera ducale, non fa meraviglia che 1' Imperatore, inteso a rialzare le poco floride condizioni di Trieste, scrivesse 1' anno ap-presso al Rauber di" avere confermato a quella città 1' uso dei pascoli, dei boschi e delle acque della signoria di Duino, e che vietasse inoltre che al porto di S. Giovanni al Timavo fosse con-dotto vino estero e ferro, se non venisse da quello di Trieste I Ma le gelosie fra i due porti produssero sempře una certa insta-bilita nelle ordinanze dei principi, i quali seconde i richiami che si facevano da Trieste o da Duino, si vedevano indotti a favorire or I'uno or 1'altro. Questa titubanza, continuata iinchè fra i varii porti austriaci venne eletto quello di Trieste ad emporio centrale, diede origine per lunghi anni a sérii coniiitti. Intanto nel 1493 il porto di Duino veniva nuovamente disegnato fra quelli che si do-vevano toccare dai mercanti per introdurre dali'Italia o dal Veneto vino od olio neir Austria ^ Poco dopo le concession! dei pascoli duinesi fatte ai Triestini diedero motivo allé solite risse e violenze fra i confinanti o i diritti del territorio duinese sembrano essersi rivendicati. Stefana Onar comparisce in queste contese come vi-cecapitano di Duino. Avendo egli sequestrati gli animali dei sud-diti triestini, vennero eletti giudici arbitral! che a Proseco ricono-scessero i termini dei due territorii, per sapere da chi fosse stata commessa violenza. La questione stessa dei contini ě delle acque che servivano ad abbeverare gli animali, si rimise allé autorita dei due dominii e nel 1507 il Re Massimihano decideva anche le ' Arch. Imp. 1400, 28 settembre, Liriz; la riversale deí Rauber è del 5 ottobre successivo (orig.) convalidata da Guglielmo di Aucrsperg capitano della Carniola. — Cfr. Chmel, Regesta Friclerici, 2, n. 8591. ^ God. Dipl. Istr. 1491, 29 giugno, Linz. ® Ivi, 1493, 6 gennaio, Linz. ^ Ivi, 1495, 2 marzo, Trieste. questioni fra Trieste, Duino e Schwarzeneck, per le vigne eho quest! due ultimi possedevaiio iiell' agro triestino, decretando che nou venissero molestati nei loro diritti Quanto giovassero gli ordini emessi in questo tempo a preservazioue dalle boscaglie % si vede dalla. lihertà dei pascoli e dall'uso dei boschi in pari tempo con-cesso. Nè meglio andarono le cose durante il secolo seguente, quando Ferdi nando 1. permetteva alia città di Trieste il taglió délia legna e dei roveri nei boschi di Postoiua, di Duino e ď altri luoghi per le barche e i pubblici lavori, in quella quanfità che facesse Usogno, vietando al Tionsiglio di opporvisi e di mettervi aggravii. Peggio ancora avvenne in appresso, di che i danni dove-vano sentirsi dai tardi nepoti Al principio del nuovo secolo venne al governo di Duino il nobile Simone di JJngerspacli, uomo ď eminenti qualità e di grande esperienza, quale si manifesto ancora al tempo di Leonardo, ultimo degli antichi conti goriziani. La notizia che si ha di lui a Duino è del 1501 \ Pei servigi prestati a Re Massimiliano L e pel danni soffurti nello guerre avvenute dappoi, gli era stata assegnata una pensione annua di ti-ecento iiorini renani, assicurati sulla si-gnoria di Duino. Ma avendo dovuto per ordine del Re cedere I'am-ministrazione di Duino a Qaudenzio di Botsch, ottenne invece quella di Vipacco, e su quella fu trasportata 1' assicurazione del suo vitalizio, cassando la scrittura gravante la signoria di Duino ^ Gl' illustri personaggi che succedevansi 1' uno all' altro in Duino e la semplice carica di provveditori (Pjieger) che assumevano, di-mostra sempre meglio come Duino ad altro nou servisse in questa età, se non a premiare i meriti dei servitori più affezionati alla Casa regnante ed a proiittare delle reudite della signoria; ma lo splendore ch' ebbe Duino, ňnché fu residenza di famiglia con potere quasi dinastico, andava sempre piix declinando. La sua posizione al confine del dominio veneto e gli avvenimenti che ben presto seguirono, furono quelli che lo rialzarono dalla sua decadenza, sotto il governo degli Hofer e dei Torriani. Ma prima è da parlare del Botsch, succeduto all' Ungerspach. ' Cod. Dipl. Istr. 1507, giorno di S. Gallo, Iiinsbruck. » In data 13 marzo 1490. " Vedi la citata memoria del Cons. Aul. ïommasiui sulla SelvieuUura dell'agro triestino. — Trieste 1876. ■■ MS. deirArch. cap. di IJdine, anno indicato. ^ Arch. Imp. 1503, 12 settembre, Tragenstein (orig.) Ebbe pure la giurisdizione di Canale. B. Gaudenzio di Botsch. Il uobile cavaliere Gaudenzio di Botsch, scalco ereditario fiel Tirolo, venue a Duino nel 1502. Massimiliano I. gli affidava in amministrazione per tre anui, cominciando dal giorno di S. Giorgio, il capitanato coi due castelli maggiore e minore di Duino, colla giurisdizione e i diritti di servitii e con tutte le rendite che vi appartenevano. Passati i tre anni, fino a uuovo ordine di Massimiliano, egli avrebbe avuto la custodia e il capitanato del castello, col soldo di 450 annui fiorini renani '. Non poteva il Botsch assumere l'amministrazione di Duino in un momento più. difficile. Massimiliano che intanto era venuto anche al possesso délia contea di Gorizia, aveva deciso di calare in Italia sotto specie di ricevere a Roma la corona imperiále, ma in realtà j/er opporsi aile nuove conquiste cominciate dalla Francia sotto Carlo VIII, e consohdare la sua autorità sui feudatarii ita-liaiii, che cercavano rendersi indipendenti. Le sue mire erano quindi dirette particolarmente contro il Re Lodovico XII, il quale, fatto prigione Lodovico Moro, erasi nel 1500 impadronito di Milano, e di là diventava un rivale troppo molesto dell'Imperatore. A questo line Massimiliano aveva chiesto ai Veneziani il passaggio per le loro terre ^ ma il prudente senato dopo lunga deliberaziono, quan-tunque non interameute informato dei disegni dell' Imperatore, glielo aveva negate. Egli che non era uomo da rimuoversi facilmente dalle sue determinazioni, stabili di aprirsi la via colla forza. Alle-stiti.due corpi ď esercito, condusse 1'uno pel Tirolo, ma poi ri-chiamato in Germania, affidollo al generale di Trautson, che dal-l'Alviano, generale dei Veneziani, rimase disfatto. L'altro corpo capitanato dal duca Arrigo di Brunswick, indugiando a venire nel Friuli, lasciô tempo all'Alviano ď invadere la contea di Gorizia. Il castello di Cornions, difeso eroicamente da Giorgio Hofer^ dovette ' Arch. Imp. ]B02, 12 gennaio, Innsbruck J^orig.). Che i điritti di patronate sulla chiesa di S. Giovanni dopo i signoři di Duino ed i Walsee sieno continuati ad csercitarsi anche dai principi austriaci, scorgesi dall'atto di pre-sentazione fatta da Massimiliano al capitolo d'Aquileia: avendo il chierico aqui-leiese e cantore cesareo Gregorio Antonio Valciitiniano rinnndato a quclla parocchia, a cui era stato proposto nel 1506 (arch. cap. di Udine), 1'Imperatore vi sostituiva nell'anno seguente Giorgio Paumhakl (Arch. Imp. 1407,11 a gosto). ^ Morelli, Saggio storico clella contea di Gorizia pag. 4 o segg. — Palladio Parte II, pag.'89 e segg. arrenđersi sotto 1' impeto clelle artiglierie, alla forza prevalente Nulla si oppose al progresso dell'armi veneta; Gorizia, che per cinque secoli aveva resistito ad ogiii assalto, abbandonata allé proprie forze non poté sostenersi a lungo e il sabate santo 22 aprile del 1508 le porte del castello vennero aperte al vincitore. Preda dei sacclieggi commessi a Gorizia non meno che a Cormons, rimase fra gli altri il palazzo dei Torriani, e i preziosi documenti ivi rac-colti del tempo délia dominazione milanese, furono distrutti dalle fiamme Vennero quindi assediati e presi 1' un dopo 1' altro gli altri castelli délia contea. Anche Duino s' erâ intanto comiaciato a bombardare e il 19 aprile ne rimase bruciato il borgo ^ Le genti venute ail' as-sedio del castello avevano bensî ricevuto ordine di abbandonarlo, avendo Zorzi Cornaró, provveditore generale, scritto a Girolamo Contarini, capitano delle galee, di sospendere il fuoco e di ca-ricare nuovamente nelle barche F artiglieria, per avviarla alla volta di Trieste. Ma caduta Gorizia, il lunedi stesso di pasqua, 24 aprile, vennero mandate dalla parte di teri-a le milizie e le sal-merie destinate ail' impresa di Duino e di Trieste. La resistenza opposta da Gaudenzio Botsch non puô essere stata séria; tutta la provincia per la perdita di Gorizia era costernata; il Duca di Brunswik colla sua tardanza aveva abbandonato i difensori aile poche forze di che potevano disporre; le piii vive sollecitazioni di Giovanni d'Auersperg, il quale gli aveva fatto vedere i gravi peri-coli del suo indugio, riùscirono vane. Con tutto ciô il capitano di Duino avrebbe dovuto salvare 1' onore delle armi, imitando il coraggio e il valore che aveva dimostrato Giorgio Hofer nella difesa di Cormons. La disgrazia in cui egli cadde presse la corte, fa in-vece credere ch' egli abbia preferito venire a patti dopo poche ore, piuttosto che prolungare una difesa inutile contro un nemico superiore per numero e per macchine di guerra. I Veneziani arri-varono sotto Duino il 25 aprile e il giorno appresso, mercordi di pasqua, aile ore 12 il castello s' era già reso Persone ed averi ' Il Palladio, pag. 93 narra che Giorgio Hofer vi rimase ucciso; ma se questi fu il figlio di Stefano, ciô non è vero, perché mori molti anni dopo combattendo coi Turchi in Ungheria. ' Arch, di Duino, processo avvenuto p&r questa dilapidazione. » Vedi i brani dell'Amaseo riferiti m\V Archeogr. Triest. n. s. vol. IV, pag. 323 e segg. da D. Angelo Marsich. Op. cit. pag. 323. Lo Strassoldo nell'op. già recato pone invece il 27 aprile. furouo salvi; il Botsch colla moglie e la famiglia venne condotto per mare ad Aquileia, affinchè avesse maggiore eomodità di carri fer trasportare i suoi bagagli e trasferirsi ove meglio gli piacesse. Inalzato sulla torre di Duino il vessillo délia Eepulablica, rimase colà quai comandante Nlcolà Balbi, iutanto che tutte le forze dispouibili furono pafte per mare, parte per terra, avviate a Trieste. Il giorno 6 di maggio anclie quella città, dopo Talorosa difesa, aveva dovuto capitolare. La tregua triennale conchiusa nel giugno seguente fra le due parti belligeranti non servi a por fine ail' occupazione veneta del castello di Duino; solo che al Balbi venne sostituito altro ca-pitano, che fu Alvise Contarini. Degna di premio in queste imprese dei Veneti fu stimata particolarmente la cooperazione del comune di Pirano, cbe aile spedizioni di Duino, di Trieste e ď altri laogbi aveva contribuito àon cento uomini continuamente in serviiù di Sua Serenità illustrissima, e percio veniva con calore racco-mandata dal comandante delle galee Girolanio Contarini al Doge Leonardo Loredano '. L'esultanza di Venezia per tante vittorie fu immensa; e come suole avvenire, il volgo lascio libero sfogo alio sue passioni, non risparmiando i più gravi insulti all' Imperatore Massimiliano, cbe formava il tema di allusioni mordaci e satiriche nelle rappre-sentazioni teatrali., nello canzoni e nelle caricature. Il feudo austriaco di Pordenono venne conferito al generale Alviano, che fu ricevuto a Venezia cogli onori piii straordinarii. La magnificenza delle feste seguite in casa del provveditore Cornaro rimase in memoria anche dei posteri. Di che I'animo dell'Imperatore, sommamente esacerbato, fu indotto non solo ad avvicinarsi al suo nemico, il Ke Lodovico di Francia, ma a firmare la famosa lega di Cambrai, cbe trascino Venezia all' orlo del precipizio. A questo avvenimento la contea di Gorizia dovette la sua liberazione dall' armi della Repubblica, di che avvenne che anche il castello di Duino per opera del valoroso Giovanni Hofer e de' suoi fratelli tornb sotto 1' Austria, dopo otto mesi ď occupazione. Prima cura di Massimiliano fa di provvedere quel forte tanto importante di abile e sicuro capitano. E se alcuna famiglia nella guerra descritta ebbe a segnalarsi, fu certo quella degli Hofer. Su questa pertanto cadde la scelta, intendendo 1'Imperatore di premiare con cio anche i meriti ch'ella s' era acquistati. ' Cod. Dipl. Mr. 1508, 7 giugno, Capodistria. 4. I Cavalieri Hofer. I. Sigismondo e Giovanni. Cogli Hofer detti prima Hover Hovar \ vom Hof ' ed anche de Curia ' comincia la serie dei veri capitani pignoratizii di Duino. II casato degli Hofer è di nobiltà antichissima; tuttavolta noi nou seguiremo il Baierîsches Stammbuch in tutte le partico-larità che ne riporta, e lasciamo a quello la prova di quanto asse-risce, quando ci nemina un Grimaldo Hofer giudice al terzo torneo di Costanza nel 948, ed avvocato nel quarto torneo dei cavalieri délia Baviera in Morspurg nel 968; un Federico nel 1165, al de-cimo tonieo di Zurigo; un Teodorieo nel 1284 al deciraoquinto di Ratisbona; altro Teodorieo parimente a Ratisbona nel torneo vige-simo quinto. Superflue sarebbe del pari annoverare tutti i posse-dimenti acquistati dal ramo bavarese di questa famiglia, dette di Lobenstein e di Sinching (Siniclien), il quale da altri castelli chia-mossi anche di Neuhaus, di Slephening, di Radohstein, di Adel-stein, di Draclienstein, di .Jjeucliling, di Donaustauf di WOrth, di Liechtenherg. Non mi stendo neppure a narrare le loro geste e le cariche sostenute nella Baviera e nei Paesi Bassi, e specialmente quella di marescialli ereditarii di Ratisbona. Noto soltanto che gli Hofer venuti a Ranzano ed a Duino, secondo le notizie che si rac-colgouo in questo archivio, provengono dal ramo ch.e portava il predicate di Hohenfels e risiedeva nella Svevia. L'arma degli Hofer è uno scudo inquartato; nel primo e quarto d'argento a tre caprioli merlati di rosso di nove merli intaccati, pbsti tre sul primo, tre sul secondo, tre sul terzo capriolo; nel secondo e terzo ďazzurro, al remo ď oro posto in isbarra. Elmo graticolato coronato ď oro e cimato ď una nassa di verde, sor-montato da nove penne di pavone al naturale. Questa impresa, onde gli Hofer ebbero anche il predicate di Zinnberg, ando come al solito, soggetta a molteplici mutamenti, portando alcuni soltanto r emblema comune dei merli, ^altri il remo ď oro in campo azzurro, che credesi il più antico, per essere forse del tempo del soggiorno degli ' Vedl Epigrafl, N. 19 dove ancora nel 1519 trovasi questa forma, ^ In parecchi documenti del secolo decimo terzo. ® In una scrittura del 1265. Hofer nei Paesi Bassi e a questo rispondo la nassa sul cimiero; altri íinalmeiite i due emblemi uuiti nel modo come gli abbiamo doscritti. In un sigillé del 1440 havvi un terzo campo col trifoglio; altre imprese essi assunsero dai loro castelli. Arma Hofer. La famiglia Hofer è fra quelle che vennero uella contea di Gorizia nel secolo decimo quinto; aggregata a quel patriziato nel 1434, ebbe nel 1464 dal conte Leonardo il feudo e la giurisdi-zione ' di Ranzano (Rentschach), poi dagli Imperatori Massimiliano e Ferdinande I. e dall' Arciduca Carlo parecchi altri beni, case, diritti, decime e feudi in Gorizia, in Gommein, (Comen), in S. Gia-como in Plava, in Cerolach, • sul Gargaro, a S. Maria Maddalena, in Salcano, in Locavitz ed altri luoghi Stefano II, figlio di Ste' Nata questione fra Stefano Hofer e 11 conte Leonardo di Gorizia per questi ed altri điritti acquistati, Massimiliano I. decideva che Stefano conservasse la giurisdizione in tutta la signoria di Ranzano e che parimente gli riraanesse I'uso dei boschi presso Gorizia, a patto di non détériora rli e di tc-nervi un sopraintendente. Arch, di Graz, 1497, 16 marzo, Innsbruck (orig.) ' Arch. prov. di Graz, 1500, 26 giugno, Augusta; 1514, 17 giugno, Krainburg; Arch, di Duino, 1618, 17 ottobre, Innsbruck; 1525, 2 giugno, Bruck, 1538, 6 dicembre, Vienna; 1573, 17 agosto, Gorizia, (orig.) fauo I. vom Hof, capitano di Belgrade e marito ď Elisabetta Postcastro (Hiuter der Vesteu, von der Vest), fu quello che propagô la sua stirpe nella Gorizia. Fra' suoi discendenti havvi buon numero di guerrier! segualati pel lore valore; Giovanni e Giorgio morirono nelle guerre coi Turchi; Sigismondo e Cristoforo in quelle dei Ve-neziani. Alcuui servirono 1' Imperatore uegl' impieghi civili, come suoi governatori e cousiglieri; fra questi trovasi altro Giorgio vice-domo della Carniola dal 1563 al 1567, e Stefane III (del fu Vol-fango), che sposô una iiglia ď Ermaiino Gruenhofer (Grion Hofer), capitano di Marano. Estinti i diversi rami nella linea maschile, resto a Duino la femminile discesa da Giovanni, fino al principio del secolo decimo settimo. Fratello di Giovanni fu Sigismondo I, 1' eletto dell' Imperatore a succedere al Botsch nel governo di Duino. II valore di-mostrato da lui durante la guerra passata, gli eminenti servigi prestati dagli altri membri del suo casato e I'avere co' suoi fra-telli, come si legge nelle memorie della famiglia, levato di nuovo di mano a' Veneziani il castello di Duino erano pegno sicuro per Massimiliano, che premiando Sigismondo di tanti meriti coll'af-fidargli la custodia della rôcca duinese, avrebbe trovato ad un tempo un valoroso difensore della medesimá. Il perche nel luglio del 1509 r Imperatore affidava al suo dilelto e fedele Sigismondo Hofer in ammiiiistrazione da durare a suo beneplacito, il castello e il capitanato di Duino colla guardia e quanto altro vi appar-tiene, come prima 1' ebbe Gaudenzio di Botsch. Dovrà il Hofer, soggiunge il principe, prestare aiuto ed obbedienza col castello e col capitanato non meno a Noi, che a' Nostri successori, ed assi-sterci in ogni occorrenza, perô a spese Nostre, senza suo grave danno. Non comincierà nè continuerà guerre od attacchi, ne con-chiuderà paci senza il nostro assenso; non erigerà nuovi forti senza r ordine Nostro. Amministrerà la giustizia nel suo distretto al pověro come al ricco cd al ricco come al pověro; sarà umano coi suoi soggetti, non aggravandoli e non imponendo loro contribuzioni oitre il consueto. Non permetterà che la Nostra sovranità soffra in alcun modo detrimento o diminuzione, ma la sosterrà virilmente. Nelle cose piii gravi si rivolgerà al capitanato supremo ed al con-siglio del Nostro governo doU' Austria inferiore ed a Noi, o in Nostra mancanza al Nostro erede, al quale, come a Noi, dovrà resti- ' Arch, di Duino, Memorie del coûte RaimoiiJo sen. della Torre. tuire il castello ed il capitaiiato ad ogui Nostra richiesta verbale 0 scritta, insieme coi registri e cogli urlarii e con tutto cio che serve all' esazione secondo 1' iiiventario Ma Sigismoudo Hofer uou era fatto per rimanere trauquillo in un castello ad atteudere solo alia sua difesa od all' ammini-strazione di quella siguoria. La guerra che continuava fra Vene-ziani ed Imperiali e che fin verso il termine del 1516 turbo le provincie del Friuli, del Goriziano, della Carsia e dell'Istria, aveva per lui maggiore attraenza. A questa pertanto egli continub ad attendere valorosamente con suo fratello Cristoforo, e in questa egli periva nel 1516, avendo raggiunto il grado di colonnello. Quell'anno riusciva funesto auche alia casa Torriana stretta da poi in alleaiiza di parentela con quella degli Hofer. Lodovico della Torre, fratello di Chiara, sposata in sèguito a Giovanni Hofer, mortalmente ferito, cadde nell' ultima scaramuccia presso Udine contro un distacca-mento veneto capitanato da Taddeo Volpe; e mentre il Volpe, fatto prigioniero, veniva condotto a Gradišća, egli stesso, rimasto in mano del nemico, termine la sua vita in Udine in conseguenza delle riportate ferite. Nè meno disastrosa riusci questa guerra per i Torriani di Udine, i quali da Antonio Savorgnano vennero coi loro aderenti indicati al popolo come avversi alia veneta dominazione; per istigazione del Savorguano segui il 26 febbraio 1511 la famosa slrage del giovedi grasso, in cur rimase ucciso Luigi della Torre e il palazzo torriano fu saccheggiato e dato allé fiamme. A Sigismoudo Hofer 1'Imperatore sostitui nel capitanato di Duino suo fratello Giovanni^ concorso con lui a ricuperare il castello a Massimiliano. Egli ebbe ordine di munire tosto la rôcca con tutto studio e sollecitudine, afiine di metterla in istato di re-sistere ad ogni nuova aggrossione. Quindi nel 1511 1'Imperatore gli prometteva di lasciarlo al suo posto ancora per tre anni dopo che fosse terminata la guerra coi Veneziani; anzi passati anche quelli acconsenti che Giovanni vi restasse finchè venisse pienamente soddisfatto di tutto le spese sostonute per le nuove fortiiicazioni e loro mantenimento ^ Nol 1514 lo invitava altresi a concorrere alia fabbrica del castello di Trieste e di qui cominciarono i debiti ' Arch, di Duino, 1509, 8 luglio, Cividale. La riveisale del 20 dicembre successivo trovasi nell'arch, di Vienna. ' Arch. Imp. 1511, 26 inarzo, Ensisteim (orig.) II Kandler, Indica-zioni ecc. pag. 59 pone invece per capitano di Duino nel 1511 Simone di Ungerspach. ' Arch. dipl. di Trieste a. 1514. delť Imperatore verso la famiglia Hofer, per cui fu dovuto impe-gnai'si loro il castello di Duino. I Veueziani non mancaroiio, corne s' era temuto, di fare qualche prova intoriio a Duino; ma questi attacclii parziali mercè la buona difesa di Giovanni Hofer riusci-roiio a vuoto Confermato capitano e provveditore délia signoria di Duino nel 1518 ' e nel 1524 colla soprintendenza sul castello maggiore e minore e su tutte le rendite, ebbe 1'annuo soldo di quattrocento fioriui renani con una gratificazione di altri mille. Il sopravanzo doveva versarsi nel tesord del vicedomino délia Carniola. Quest'ultimo atto, essendo Massimiliano L morto nel 1519, cade al tempo dell' Arciduca Ferdinande. Nclla definitiva divi-sione del 7 febbraio 1522, fra 1' Imperatore Carlo V e suo fra-tello Ferdinando, orano com' è noto, toccati a quest' ultimo tutti gli stati tedeschi ed austriaci délia Casa ď Absburgo; e fu allora che Duino venue sottoposto insieme cogli altri luoghi délia Carsia al governo di Lubiana per tutto ciô che risguardava l'amministra-zione finanziaria. Quindi innanzi non è possibile toner conto di tutto le par-ticolarità che offrono le numerose scritture dell' archivio di Duino intorno agli Hofer ed ai Torriani, loro successori in quel capita-nato. Ciô passerebbe di molto i limiti che ci siamo proposti: laonde ci contenteremo dei fatti piii rilevanti, allargandoci alquanto solo quando si tratterà di far moglio conoscere alcuni personaggi più illustri. Lasciato quindi da parte qnanto riguarda gli affari del capita-nato teimto da Giovanni Hofer, ci place notare che anche in mezzo aile guerre ed alla sua operosità politica, egli non trascurô il decoro del venerando tcmpio di S. Giovanni al T-imavo, dove il suo nome, scolpito sulla porta maggiore, fa fede délia continuazione dell' edi-iicio cominciato dai Walsee ma 1' opera sua riusci assai inferiore al disegno concepito da quelli. Anche il porto di S. Giovanni con-tinub a ragione ad attrarre lo cure e T attenzione del capitano Hofer, per la rivalita che vi avevano con Trieste, per la lucrosa dogana e per la sua grande fiera annuale. ' Arch, di Duino, carteggio clelP Ilot'er, commissioiii imperiali, délia camera di Graz ecc. ' Ivi. ^ Ai-ch. di Vienna, 1524, 7 novembre, Vienna (orig.) ^ Vedi Epigrafi, N. 19. iiitauto r Arclcluca Ferdiuaiido ď Austria col suo felice ma-trimonio era divenuto uel 1526 Re di Boemia, ma trovossi involto uelle guerre disastrose per la corona ungarica disputatagli dal Toivoda délia Transilvania, Giovanni Zapolia. Vinto questi nel 1527 da Ferdinando, aveva ricorso al sultáno degli Osmaui, Solimano IL Dopo orribili devastazioni dei Turchi nell' Ungheria, la capitale stessa deirAustria si vide circondata dal formidabile esercito di Solimano. Al suo ritirarsi 1' Uugheria rimase divisa fra tre possessor!: Ferdinando, Zapolia e Solimano; e prima che avvenisse il trattato di Grauvaradino (1538), in uno scontro sotto le mura .di Glissa periva liel 1537 Giovanni Hofer da iutrepido generale, con-fermando colla sua morte sul campo dell' onore la devozione délia sua famiglia per la casa degli Absburgo '. Cornelio Frangipane cosi ci descrive in istile oratorio la morte di Giovanni Hofer: »Questo io dirô cho Giovanni Hovero, avendo tutti i suoi migliori iinui spesi e tutta la sua verde età cousumata iiei servigi e nolle bisogne dei Principi ď Austria ed essendo oggimai attempato, che ragionevolmente doveva darsi al riposo e meuar gli ultimi giorni délia sua vita in quiete. cou la moglie e coi figli, fu por coman-damento di Vostra Maestà all'impresa di Glissa mandate, ove sendo r esercito regio dal turchesco ail' improvviso assalito e posto in fuga, egli cbe sempre avea più temuta la vergogna che la morte, vedendo che tutti fuggivano, solo fermossi e colla spada nuda in mano disse: non sia mai vero che io vilmente fuggendo mora e con tal morte scemi l'acquistata mia gloria; e certissimo di morire, corne affamato leone si cacciô nelle nemiche squadre, facendo strage e macello di loro; ma non potendo egli solo resistere, avendone già molti e molti feriti ed uccisi, aliine tutto baguato del suo e dell'altrui sangue, stanco e fregiato cadde boccone sopra F arena« l Fra i molti figli di Stefano (II) Hofer soltanto Giovanni e Francesco Volfaugo, che era il più vecchio, ebbero proie, e percib furono scritti eredi da lacopo altro loro . fratello ^ A Giovanni nacquero non meno di dieci figli, ma soli due erano maschi; l'uno fu Mattia, suo successors nel capitanato e nel pegno di Duino; r altro Alessandro, giovine di grandi talenti tutto dato agli studii. Visitate le priacipali universita délia Germania, scriveva egli da ' Di molta impoi'tanza sono alcune lettere che Giovanni Hofer rice-veva da un suo corrispondente di Costantinopoli sngli affari délia Turchia. ' Saggio di rime e prose di Cornelio frangipane, Milano, 1812, pag. 80. ® Arch. prov. di Graz, testamento del 1529, 7 aprile, Gradišća (orig.) Ingolstadt a suo zio Francesco đella Torre, chiedeiidogli consiglio se dovesse andare aiicho a Tubinga ad udire il Melantone ed il Ca-merario, che dicevansi chiamati cola ad iiiaegiiar lettere. Nec est quod te religio moveat, soggiuugeva egli, quando non tam lutherani quam romani ritus et caeremonîae ThuMngae observatur \ La lettera manca délia data e non sappiamo quindi a quai punto di trasfor-mazione fosse giunta a quel tempo Tubiuga. Noto è invece, e noi lo vedremo anche meglio, che gli Hofer ed i Torriani di Qorizia, non aderirono mai aile innovazioni religiose di quelY età. Melantone insegno a Tubinga lettere greche e latine nell' anno 1514, che non puo essere il tempo délia lettera scritta da Alessandro Hofer, nato molto piii tard!. Venuto questi dopo le sue peregrinazioni alla corte delF Imperatore Ferdinando I, mori in Vienna al suo servizio il 22 agosto 1558 e fu sepolto nella chiesa degli Ago-stiniani IL Mattia. a) Vicende délia sua giovinezza. Il célébré e leggendario Mattia Hofer^ le cui avventure ven-nero tramandate dalla voce del popolo fino a noi, non aveva che diciannov' anui, quando suo padre moriva uella guerra dell' Unghe-ria Giovaue di bellissimo aspetto, quale apparisce dai ritratti che se n'hanno in rame ed in tela, e specialmente da quello del Van-Dyb nella Sala dei Cavalieri di Duino; bizzarro, focoso e d'alti špiriti, esso divenne il capo délia numerosa famiglia lasciata dal padre, in un'età, in cui egli medesimo avrebbe avuto bisogno di sostegno e ď una guida amorevole, ' che sapesse supplire alla sua inesperienza, tener conto del suo ricohissimo patrimonio, correggere la sua indole indomita e le sue pericolose inclinazioni. Ma la madré troppo mite e troppo occupata delle tante figlie, dopo qualche anno ritirossi a Trieste presse le due figlie benedettine, e i tutori e parenti Francesco e Nicolô délia Torre, uomini insigni del loro tempo, in mezzo aile ambascierie ed imprese guerresche nelle quali consumarono la vita, non avevano agio sufficiente di attendere a I Arch. di Duino, Lettere. '' Ivi. ' Nacque il 19 febbraio 1518; il Frangipane perô dice che alla morte del padre non aveva aucora sedici anni; e difatti ponesi da alcum il matnmonio di Giovanni Hofer nel 1622. si grave incombenza. Di che il giovane cavaliere fino dagli anni più verdi fra mezzo a virtîi ed errori, a trionfi ed umiliazioni, a prosperita e sventure si avvezzô ad una tenacità di propositi, e ad nua fierezza ne! sostenere i proprii diritti, che fino alla morte im-placabili gli rcsero i'suoi iiemici; assunse maniéré cosi attraenti e piacevoli, che fino alla morte devoti gli resero i suoi amici. L'in-vidia, alla quale egli dava fomento colle sue imprudenze, cercô non pure di farlo cadere in disgrazia di Cesare, ma di spogliarlo del capitanato di Duino e délia signoria ch' egli teneva in pegno; le accuse ed i processi fioccarono senza tregua; ed occasioni a questi lie diede egli stesso parecchie, menando una vita abbastanza licenziosa e facendola da padrone sui beni a lui commessi in cu-stodia dal principe. Fu quindi accagionato di concussione, di mal-versazione, di pessima condotta-e finalmente di ribellione '. Grande colpa fu per lui, posto alla guardia ď una piazza confinante coi Veneziaiii, quella ď avere sposate quasi tutte le sue sorelle colle principali famiglie del Friuli Su queste sue relazioni amichevoli cogli Udinesi fondossi il racconto délia sua fuga in terra veneta, quando dopo ď essersi sottratto alla custodia delle milizie spedite a Duino, mandô a dire ail' Imperatore, che lo citava a scolparsi, le ingiurie più atroci. Sembra vero che a' suoi nemici venisse fatto di togliergli per alcun tempo, durante la sua prigionia, quella for-tezza, che i suoi padri avevano riconquistata col loro saugue Ma una calamità molto più grave delle sofferte finora, stava per chiamar sul suo capo Mattia medesimo, immergendo nel massimo lutto i suoi congiunti. Già nel 1540 egli aveva commessa un'uccisione: la vittima fu Pietro Savorgnano; e sebbene venisse poi dichiarato che il Sa-vorgnano era morto nel gtuoco, sema cihe V Hofer avesse animo di offenderlo e fhittosto per caso die jjer volontà, la cosa non sembra essere stata affatto innocente, essendo che Mattia dovette ripararla col pagamento di quattrocento ducati e colla cessione ď alcune ' Arch. di Duino, processi del 1541 e segueoti. Uno fi-a questi è importante perché ci annovera le quattordici docanie o comuni dalla signoria di Duino al tempo degli Hofer; esse sono: Duino, S. Giovanni, Satoriano, Tomai, Scopa, Reppen (grande e piccolo) Goriansco, Sgonico, Proseco, S. Pelagto, Mauchigna, Brestovizza, Gabria. Vengono quindi enumerate tutte le loro attri-buzioni, i diritti di signoria ecc. di che daremo un saggio parlando dei Torriani. ^ Vedi la tavola III, dove apparisce che la sola Lucrezia prese marito in Austria. ^ Lo asserisce Cornelio Frangipane a pag. 85 délia sua arringa a difesa di Mattia Hofer citata da noi a pag. 290. terre in Rocogliano. A questo condizioni fu stipulata buona, s'incera e perpetxia pace, e i Savorgnano recedettero da ogni processo civile e criminale Setť anni piii tardi successe un caso aiicora più fuiiesto. Nel 1547 Mattia Hofer era a Vienna a piede libero ma a domicilio coatto, corne siiol dirsi con due frasi moderne, finchè si compisse il processo intentatogli da'suoi nemici; ed ivi, come garzone ch'egli era dei piii graziosi ed avvenenti, corne rampollo di nobilissima stirpe illustratasi in si varie occasioni, e corne educatissimo in ogni studio di cavalloresche discipline, aveva generalmente rapiti gli auimi che lo idolatravano. 11 piii volte citato Frangipane parlava di lui fino dal 1539 con vero entusiasmo, chiamando Matthias Ho-vero il più bel giovanetto che sia a molte miglia nè fa mera-viglia che poi si fosse talmente invaghito dolla figlia di lui, Chiara Orsa, da celebrarla col suo canzoniere ^ Frattanto avveune che Mattia, amantissimo delle belle arti, per sua disgrazia facesse la conoscenza ď un pittore italiano. II 30 giugno dell'anno indicato si tenne in casa del pittore una grande riunione ď amici e dopo la cena, per essere la stagione molto calda, tutta la brigata era scesa nel giardino, trattenendosi quivi in lieta conversazione. Non andô molto, che udirono bussare alia porta con grande rumore; poco staňte entrô un dalmatino, certo Bartolommoo Bertolazzi, che tosto veiine a contesa col padrone di casa. Mattia cerco di sopire 1' alterco e già v' era quasi riuscito; quando riaccesesi l'ire, il dalmatino che da lunga pezza odiava il pittore, scagliossi contro di lui e, feritolo alla testa con un pugnale, s' affrettava ď ucciderlo. L' Hofer, vedendo cadere 1' amico senza potere nè difendersi nè fuggire, tratta la spada, fu sopra al Bertolazzi e; passatolo da parte a parte, il lasciô morto sul suolo. Mal consigliato, credette Mattia di doversi tosto dare alla fuga, a malgrado délia promessa data di non allontanarsi di Vienna durante il processo; di che profittarono tosto i suoi nemici, per otteriere che venisse inseguito e carcerato. Il,suo difensore Cornelio Frangipane tace délia resistenza che opposero alla forza nel castello di Duino Mattia e i suoi parenti e, detto che percorse ben trecento miglia, fu dai regii sergeati che lo seguitavano, arre- ' Arch, di Duino, componimento del 1541, 25 febbraio. Gradišča. ' Viaggio a Trieste e nelVIstria, Memoria di Cornelio Frangipane, stampata per nozze nel 1875, pag. 10. ' Yedi r opera indicata pi(i addietro, in cui ne venne stampata una parte. stato, si diífonde a descrivere gli strazii per ï addietro inusitati cui fu sottoposto, i ferri con oui fu iiicatenato ed altre sevizie. Di queste si lamenta il difeiisore anche nelle lettere private scritte durante il processo a Francesco délia Torre, accusanđo la severità del principe di opprimere uno che non è colpevole e per cui tutti hanno supplicato; soggiunge eh' è offesa la giustizia non meno che la clemenza e la regale promessa '. Ma appunto dallo straordinario rigore con cui fu trattato Mattia, sembra doversi dedurre ch.' egli vi abbia dato cagione colla sua resistenza. Puô esser vero ch' egli al principio del luglio venisse carcerato a trecento miglia di "Vienna, ma è vero altresi che nel dicembre del medesimo anno 1547 egli stava trincerato dietro le mura del castello di Duino, ed appena neir anno susseguente, 1548, si parla del nuovo processo; il che fa supporre ch' egli sia fuggito di carcere e quindi abbia cercato rifugio nel suo castello. Inesatto è poi quelle che trovasi in un' effemeride triestina essersi nel dicembre mandate ad assalirlo a Duino -per aver arbitr ar iamen te arrestati alcuni cittadini di Trieste. Il documente a cui sembra alludersi con questa notizia, non fa di cio alcuna menzione, ed è prezzo dell' opera riferirlo per disteso, tanto perche inedito, quanto perche ci dà i ragguagli di quell' assedio riuscito a vuoto, e ci informa delle condizioni del castello di Duino relative a quel tempo. »Noi Giudici e Consiglio délia città di Trieste facciamo fede con le presenti nostre, che siamo stati ricercati questi niorni pas-sati dal Magnifico Christoforo Chileuberg regio Vicedomino in Grain in esecutione ď una lettera délia Sacra Regia Maestà Signor nostro clementissimo, che li dovessimo prestar conseglio et ajuto per as-sediar il castello di Duino et prender Matthias Hofer Capitanio di quelle: Noi come obedienti esecutori di quella volentieri 1'habbiamo fatto, e di questo a Noi non è stato possibile, perché mandate a tal effetto con esso Signor Vicedomo e circa 200 de Nostri huo-mini, ma per essere detto castello ben fornito ď artiglierie cosi di quelle, che appartiene al castello come e di quelle che pertinivan alla Fusta Regia: Le quali per il passato furono consegnate per il Signor Nicolô délia Torre al detto Hofer in detto castello, le quali esso Hofer ha adoperato, et tirato molti colpi contra detti nostri huo-mini, li quali non havevan artiglieria da batter detto castello, come ' Arch, đi Duino, lettere del 1548. » "Ađria„, anno III, n. 281. haverîa blsogtiato a far 1' effetto délia captura, per tal cause, Et massime per esser venuto in soccorso del detto castello il Signor Nicolo délia Torre Capitanio di Gradišča cou vinti cavalli, et vinti archibusieri a pie circa, nel quai castello era Misser Francesco délia Torre del qm. Misser Zuaune de Gorizia con suoi servitori, et due bombardieri salariat! da Sua Maestà condotti li dentro per il prefato Misser Nicolô; la detta nostra gente haveudo stato li alquanti giorni con non poca sua incomodità, et spesa di questa città, s'ba levata dall' impresa, et tornata a casa, e per il pre-fatto Signor Yicedomino ne ba ricbiesto, cbe volessimo' lassar 80 buomini ail' assedio del detto castello, Noi considerando, cbe li Yoria grande numero di gente a far tal assedio, per esser detto castello sitto in loco di tal sorte, et per avere appresso un Borgo molto spatioso, et murato provisto ď artigberie, et buomini, et bombardieri, et massime del soccorso ut supra coudottogli; Et considerando etiam cbe a volerlo perfettamente assediar vi Yoria gente per mare, etiam per terra, et adesso per essere l'Inverno reguaiio in quel locco Ycuti grandissimi, ita cbe mal la gente potria accam-parsi per terra, et peggio per mare, per le fortune cbe sogliono usare, et considerando cbe il detto castello è vicino per mezzo miglio todesco a' locbi Veneti noslri naturali inimici. Et che detto Ilofer ha con loro grandissima amicitia, et parentela, per baver maritate tutte sue sorelle a sudditi Veneti; per tal cause ne ba parso cbe detta nostra gente ut supra resisteria li senza proíitto alcuno, et con pericolo évidente ď esser una notte assaltati all'im-provvisa, et morti tutti. Perciô babbiamo pregato la Signoria ď esso Siguor Vicedomo, cbe vogli accettar questa nostra risposta in buoua parte, offerendosi cbe ogni volta, cbe sarà messo buon ordiue di poter andar a esecutioue taie impresa, o altra, cbe sia ď honor et utile a Sua Maestà, non siamo per sparagnar la vita, ne le povere nostre facoltà, alla quale si degnerà Sua Signoria di rac-comandarci. In quorum fidem bas scribi iussimus, ac publico Ci-vitatis Tergesti sigillo muniri mandavimus. Data Tergesti die 11 mensis Decembris 1547. — Joannes Maria Basileus, Tergestinus Not. Publicus de mand. scripsi et subscripsi« '. Come sia avvenuta dappoi la cattura, e quanto vi sia di vero nella iiarrazioiie délia fuga di Mattia in terra nemica, finora non mi fu dato scoprire. Ma ripreso il processo colle altre parti' Arcli. di Trieste, miuuta. oolavità aggravaiiti, sembrô doversi temere ogni male per Mattia, e la elaborata difesa del Fraugipaiie iion avrebbe forse potiito sal-varlo, se non si fossero mossi e cielo e terra in suo favore. Istanze ne vennero da tutte le parti: parenti, amici, magistrati, diplomatici, oratori, i figli stessi di Ferdinando concorsero a cercar di com-muovere e far breccia suli' animo dell' Imperatore. In un famoso torneo tenuto a quel tempo, presentossi fra gli altri a S. M. »infinite numero di garzoni et signoři, Madame et dame, quali sole potevano essore al numero di ottanta nel circa et a S. M. suppli-carono grazia per el Signor Matthias. S. M. rispose cbe si ricor-derebbe delle loro preghiere, sicchè si attende graziosa risoluziono« '.. Il difensore consigliava a Nicolo e Francesco délia Torre di per-scverare nei buoiii ufficii anche dopo la loro partenza di Vienna; mostrava perô gran timore del tanti lacci tesi dai nemici; e preso quasi da disperazione per le mene avvcrsarie, fuvvi momento in cui cgli pensô di far fuggire il pittore, perche i fratelli dell' uc-ciso incolpassero lui dell' omicidio commesso. Tornato ad un^ po' di calma, dopo ď aver già ottenuto per mezzo di Giulio Manino, cognato deir Hofer, il perdono del padre e dei fratelli doU'ucciso, stimb che grande stoltezza sarebbe stato il confessar cosa che nuocesse, per uscir del travaglio "" e persuaso dell' innocenza de! sno cliente, dol numero grande dei tostimonii che potrebbero atte-starla, dall' evidenza che ingiustamente Mattia Hovero era perse-guitato, fece la sua splendida orazione innanzi a Cesare \ dimo-strando essere stata quell' uccisione un dovere di natura per ogni uomo e massime per un cavaliore; dipinse quindi cou magnifici tratti i servigi prestati dagli Hofer al loro Sovrano e con istudiata antitesi fece vedere l'igiiominioso guiderdone toccato al loro discen-dente, vittima délia calunnia e dell' invidia. E in fine, imitando gli artificii degli oratori greci, introdusse il giovinetto Alessandro, fratello di Mattia, a gittarsi ai piedi del Sire anche a nome delle sorelle consumate dal cordoglio, e con commovente perorazione conchiuse la sua arringa, degna di uno dei piii celebri oratori del foro veneto, quale fu Cornelio Frangipane. Ma prima s' era mossa niente meno che la Maestà stessa ' Arch, di Duino, lettere del 1548. ' Ivi. ' Cio avveniva nel novembre del 1548; Cornelio in una sua Jettera al cav. Antonio di Pers si lamenta di dover parlare in lingua poco conosciuta dai giudici, il che avrebbe scemato l'effetto délia sua orazione. Questa fu det-tata in latiyo, ma più tardi il Frangipane međašimo la tradusso in italiano. đi Carlo V Imperatore a dare il tracollo alla bilaiicia. »Ill.mo et charo fratello, egli scriveva nel luglio del 1548, mi haimo gli nostri et deir Imperio nostro fldeli diletti, parent! de Mattias Hofer coii la alligata supplicatione, et appresso gli grandemente amati Carolo, Magdalena, Catherina, Leonora et Margareta, Arciduca et Arcidu-chesse ď Austria nostri cliari figliuoli et Giovane Madame, nostro charo nepote, nezze Duca e Duchesse, similmente il Locotenente, Reggenti et Consiglieri delli Paesi dell' Austria Superior, con pre-ghiere mi hanno ricercato con ogni sommissione con le alligate litere riccomandatitie, che Noi vogliamo gratiosamente concederli verso V. M. nostre honorôvoli riccomandation ed impetrar che V. M. voglia da novo accettar in gratia et amor il prefato Hofer, il quai è venuto nolle forcie di V. M. per occasione ď un fortuito homicidio, come V. M. di esse scritture et riccomandation inteu-derà; et poi che Noi gratiosamente semo inclinati a esso Hofer a contemplation de si affettuose preghiere et anchora per li meriti suoi et delli antecessori suoi et ancor per altre cause in queste alligate scritture inserte. Pertanto amorevolmente Vi pregamo che V. M. voglia in consideration delle preditte cause et di questa nostra amicabile riccomandation piacevolmente considerar detto Matthias, et de novo receverlo in Gratia et ancora per questo or-dinar all'eccelso regimento dell'Austria inferior a relassarlo dalla prigione et V. M. dimostrarsi in questo talmente accio lui possa sentir ď aver goduto interamente frutto di queste nostre preghiere. In cib V. M. ne fa un singolar, grato èt amicabile piacere; con fraterno et charo anime di rimeretarlo in ogui tempo '. La causa fu vinta ed il Signor Matthias torno alla sua residenza portatovi quasi in trionfo dagli amici e dai parenti; ricco bensi ď esperienza, ma non per questo calmato nei fervidi trasporti dell' indole sua, di che danno la prova i suoi atti iino all'estremo della sua vita. ' Arch, di Biiino, copia. ^ Vuolsi, come nai-ra il Cosatti, die Ferdinande), terrainata I'arringa, voltosi a Cornelio Frangipane ed additandogli I'incolpato dicesse: lo lo dono alla vostra eloquenm. Desumo questa notizia da un articolo del ch. signor P. Tonini aeW Archivio storico itallano, Tomo VIII, disp. VI. 1881. — Quauto vi è soggiunto sulla dispersione ď una parte dei documenti di Duino va comple-tato colla mia osservazione fatta a pag. 113 Nota 2. Essendomi giunto 11 men-tovato fascicolo soltanto durante 11 corso di stampa, devo qui osservare a mag-giore spiegazione che fu tatto coutratto di ricupera di quelle carte le quali da me stesso vennero ordinate e classiticate. — 298 -b) Il capikmalo di Mattia Hofer. Uscite dl casa le sorelle e la madre, Mattia Hofer sposava iiel 1567 la nobile contessa Lucrezia ď Areo, nipote di Laura ď Areo, che aveva per marito il eoiite Fraucesco della Torre. E in quel tempo Mattia ebbe nuova oceasione di risplendere presso la corte di Baviéra, dove nel 1566 assistette allé nozze del Duca Guglielmo, laseiaudo ivi pure la niemoria di uomo non soltanto dovizioso, ma destro, iiitrapreiidente e valoroso. Tale egli apparve anche presso i principi austriaci, dai quali, dopo tomato iu piena grazia, fu onorato di parccchie important! commissioni. Stava egli per assumere eziandio la legazione cesarea di Venezia, quando per diverse cagioni e forse nou ultima la sua attinenza coi Veneti, venue mutato cousiglio. Con quanta aspettazione tenesse aueh' egli rivolti gli sguardi al Coucilio tridentino che allora oceupava l'at-tenzione di tutti gli Stati cattolici, si vede dalle relazioni che gliene davano 1' oratore presso il medesimo, Gerolamo Catta, e molti prelati délia sua conoscenza. Per quanto concerne il capitaiiato, gli affari giudiziali e l'amministrazione di Duino, ci è impossibile seguire passo per passo la febbrile attività del cavaliere Mattia; omettiamo pure ciô che riguarda il patronato della chiesa di S. Giovanni le continue questioni con Gorizia, con Monfaleoiie, con Schwarzeneck ed altri governi e signorie limitrofi, g simili svariati argomenti. Volgendo iuvece la nostra considerazione ai grandi avveni-menti contemporauei, ci occorre toruare aile guerre infelici del-l'Ungheria, che dovette sosteuere Ferdinando anche dopo ď aver ottenuta nel 1556, per la cessione di Carlo V, la corona imperiále. La vedova dello Zapolia, col quale Ferdinando era venuto a conven-zione, chiamato iu aiuto Solimano, aveva rinnovate le ostilità disđi-cendo il trattato; il paese venne orribilmente devastate, una parto della popolazione condotta in ischiavitii; e iinalmente Ferdinando uel 1547 fu costretto a segnare una tregua, in virtù della quale dovette pagare al sultáno trentamila ducati di annuo tribute. La guerra si rinnovava nel 1552 e solo al morire di Ferdinando e di Solimano, nel 1564 e 1566, la casa ď Absburgo cominciô ad avere una prevalenza politiea nell' Ungheria. ' Pievani si nominano il sacerdote Marco e Gasijaro Ciriaco: fatta la presentazione dal giuspatrono, continua in questo tempo il Patriarca a dare î'investitura aU'eletto. Per provvGdere aglj imminenti pericoli cli quella gfterra, auche i p^si meridionali dell' Austria, minacciati essi pure, erauo stati chiamati in aiuto ; e gravi erano i lament! di Ferdinando, die in tempi cosi difficili gli Stati đella Garniola e della contea di Gorizia si mostrassero restii a coucedergli le sovvenzioni richieste. Dovette quindi rivolgersi a Nicolo della Torre, capitaiio di Gradišća, a Cristoforo Kiillenberger, vicedomiiio della Carniola, quel medesimo che aveva teutata la cattura dell' Hofer, a Vito di Dorimberga prov-veditore del capitanato di Gorizia ed intimo aínico di Mattia, e finalmeute a Mattia stesso come capitano di Duiiio, affinchè nella dieta di Gorizia clero e nobiltà stauziassero le somme e le milizie necessarie per accorrere alla difesa '. Il capitano di Duiiio doveva porsi in accordi con quello di Trieste per vicendevole aiuto; le fortezze di Dui no mettersi in istato di valida difesa; prendersi ogni altro provvedimento contro qualunque possibile invasione. Ma più che alla guerra coi loiitani, a oui Mattia Hofer non prese parte, egli peiisava a quella che ebbe costantemente coi vicini e fra questi in modo particolare cou quei di Trieste. Ferdinando I, occupato dei Turchi e delle turboleuze religiose del-r Impero, non ebbe agio di regolare stabilmente quanto spettava agi' iuteressi di queste provincie, piíi lontane dal centro.' Dopo la guerra coi Veneziani, cominciata da Massimiliauo jjel 1508 e durata cou varie interruzioni per venti due anni, sursero mille difficoltà per la regolazione dei confini, si per parte dei due Stati veueto ed austriaco e si per parte dei loro sudditi; i capitoli già concordati a Trento nel 1535 diedero motivo a nuove querele ed innovazioni; finalmente nel 1563 convennero nel Friuli nuovi com-missarii per ambedue le parti, a trattare sulle autiche e sulle nuove difficoltà. E qui fu altresi intavolata la questione vitale della libera navigazione dell' Adriatico e del risarcimento ai Triestini pei daniii sofferti, in cui si segnalarouo i due oratori Andrea Rapicio per r Austria e Giacomo Chizzola per la Repubblica Ma aile ragioni prevaleva la potenza della veneta signoria, a cui per mare non v' era chi resistesse; ed anco per terra le difficoltà e gl' inciampi che si ponevano, perche il commercio non facesse capo ai principal! centri dell' Austria, erano continui. Moite concession! s' erano fatte da Carlo V e da Ferdinando I. alla città di Trieste: i boschi ' Ai-oh. di Duiiio, isti'Lizioni al capitano di Gradišča, 13 marzo 1557. ' Ivi, Relaziniie di Gio. Ant. Novello segretario della Kepiibblica veneta, circa il congresso di Uclinu culebratosi nel 1563 tra i commissari imperiali e veneti. di Adelsberg, di Ëeifemberga, di Schwarzeneck e dolla signoria di Puino dovevaiio fornire il leguame pe' suoi navigli; ed era iiata speranza ď allestire poteiite flotta che sostenesse per mlîre i diritti deirAustria. Di Trieste voleya formarsi I'emporio principale ed il principe assecondava per quanto poteva quel desiderio. Ma v' erano altri porti che vantavano anticlii diritti, ne chi li teneva era disposto di lasciarsene spogliare. Fra questi uno dei più importanti fu certa-mente quello di S. Giovanni di Duino, ed a farne valere le ragioni era venuto Mattia Hofer. Ecco quindi la guerra. Già le devastazioni dei boschi, suocesse anche sotto suo padre, non potevano da Mattia tollerarsi iu pace; meno ancora le predazioni di navi cariche di vino fatte dai Triestini 1' anno 1552 iiel porto stesso di Duino. Ferdinaiido credette in quell' occasione di spegnere il fuoco, rimproverando ai Triestini le commesse violenze e vietando insieme nel porto di S. Giovanni il commercio dei vini ester!. Ma il comune di Trieste reclamava per, sè 1' emporio esclu-sivo délia Garsia e non soffriva che a suo detrimento si continuasse a Duino il commercio anche di grani, di lini, di ferro e ď altri generi, massime nella fiera di S. Giovanni. Perciô nel 1555 tornava a quel porto colle sue geuti, le quali, aggreditolo corne una rôcca nemica a bandiere spiegate e a tamburi battent!, gettarono a terra le case e i magazzini, saccheggiando e disperdendo quanto vi trovarono. V anno seguente catturarono e condussero a Trieste due barche venete di frumento, sorprese alla bocca del Timavo; di che lamentatosi Paolo Tiepolo, ambasciatore veneto presso la corte cesarea, la preda fu dovuta restituirsi '. Tutto questo fu scintilla che diede origine aile accuse più fiere ed a reciproche sangui-iiose violenze. Finirono perô i Triestini a scusarsi con lettere spedite al capitano di Duino e s'intavolarono quindi trattative. Ma in pari tempo altre liti ardevano per i coníini di Coutovelo e Sistiaiia e per gli antichi diritti di decime sull'agro triestino: laonde quei di Trieste nel 1557 avevano mandate piîi di quattrocento dei loro a distruggere e devastare armata mano le vigne dei sudditi duinesi 0 ad atterrare le altre piante e le mura. Era la questione mede-sima sollevatasi già al tempo dei Walsee e decisa in loro favore, perche riconosciutone il diritto fin dal tempo dei Duinati. Per questo Mattia Hofer s' era procacciate le copie di quelle sentenze da noi già riferite; ma il litigio fu lungo e dovette mandarsi sul ' Scussa, pag. 109. Le altre notizie si desurnono dai processi dell'ar-cliivio di Duino. luogo una commissione speciále, composta di Giusto di Kalimberga vicecapitano délia Carniola, "Vito di Dorimbergo liiogotenente di Gorizia e Giuseppe Rassaur, perche ne riferissoro alla camera ar-ciducale '. Nell' anno seguonte 1' arresto di Luca Burlo di Trieste, fatto da Mattia Hofer, tirava cou sè nuova serie di violenze da ambe le parti, e con quanta fermezza di proposito ancbe i Trie-stini Yolessero la partita vinta, dimostrano gli avvenimenti luttuosi di Corniale che, per aver loro negato il fruniento richiesttf^ venne presa ď assalto ed incendiata con uccisioni in gran numero \ Ap-pena nel 1583 abbiamo una sentenza, in cui, esaminata la rela-zione dei commissarii ch' erano stati sul luogo, 1' Arciduca Carlo stabiliva il confine ail'angolo del porto di Sistiana (Gisiliani ceu SisfiîiamJ, per la via che conduce alla strada maestra (carrflriaj dal mare al monte. Avrà pero Duino il diritto alla décima delle vigne poste nell' agro triestino, corne fin là aveva scmpre goduto. Obi si richiamerà da questa sentenza, pagherà alla camera mille ducati ď oro ed alla parte avversaria cinquecento Ma 1' anno seguente le questioni si rinnovai'ono in onta aile grossissime multe; e la reggenza dell' Arciduca Carlo fu costretta a scrivere di nuovo al giudice dei malefizii per esame e giudizio il quale sembra riuscito favorevole a Mattia, aveudo egli notato di propria mano suir atto antecedente: La sentenza va-ntata a loro favor e dai Trie~ stîni ma dopo interpreiata coniro di loro. Da tutte le inn amerevoli scritture su questi costanti litigi si rende cbiaro quanto gravi fossero gli odii fra Trieste e Duino e con quanta iiorezza i due avversarii sostenessero la loro parte; i richiami degli oratori triestini sono pieni di veleno e terminano sempre col dichiarare che il capitano di Duino è il loro mortale nemico. Cuoce loro immensamente il vedere Mattia intendersela amichevolmente coi Veneziaui, ai quali Trieste ascrive l'origine e la cagione principale delle sue disgrazie; e su questo punto le loro kmentanze non furono inutili, avendo l'Hofer più volte ricevuto divieto di commerciare col Veneto. S'intende che anche Mattia non risparmia i Triestini e rende loro la pariglia; con ciô egli avvisa di fare non solo il suo interesse, ma quello pure del principe, ' Arch, đi Duino, 1558, 10, novembre, Yienna; e relative processo. " Lo scritto del prof. Dalla Giacoma nel Programma ginnasiale di Trieste, 1872-73 non puô servirci di guida nell'apprezzamento dei fatti. ^ Arch, di Duîqo, 1583, 13 gennaio, Graz. La sentenza è anche štampala nella Kaccolta Conti. ' lvi, 1584, 17 agosto, Graz (copia). avendo đa lui ricevuta in amministrazioae la signoria di Duino, le cui rendite non tutte spettavano al capitano pignoratario. La difficoltà di riscuotere i molti censi delle varie signorie del Carso, consistenti per lo più in tributi îiaturali, il continuo bisogno di denaro e il compensb dovuto a quelli che přestáváno i loro ser-vigi al principe, fui'ono le cagioni che indussero il medesimo, corne per lo passato cosi anche al tempo degli Hofer, a continue vendite e pegni. Cio era già avvenuto sotto il padre di Mattia ed ora si rinno-vava sotto Mattia medesimo, quando l'Arciduca Carlo, morto nel 1564 r Imperatore Ferdinande, ehbe nella divisione degli Stati austriaci le provincie meridional!. La parte maggiore délia signoria di Duino rimase in pegno agli Hofer '; altre terre più discoste dal caste lio, come il bosco di Trape presso Gabria, alcune in S. Michele in Cre-scholiano, in Palitz furono alienate Ma tutti questi couti di Mattia Hofer colla camera arciducale erano anche in connessione col feudo di Eanzano e cogli altri beni feudali ® posseduti dai signoři Hofer nella contea di Gorizia, i quali ail' estinzione délia linea maschile sarebbero tornati in mano del principe. Ora ne Mattia ne Stefano suo cugino, iiglio di Francesco, ebbero proie maschile; quegli nel 1572 al morire di Lucrezia ď Areo nella giovanissima età di ven-ticinque anni dopo soli cinque di matrimonio, era riraasto con due figlie Chiara Orsa e Lodovica; questi ne ebbe una sola, Dorotea, sposata in Volfango di Kúnburg, alla quale famiglia successero i conti Strasoldo. Per evitare quindi l'incamerazione, Mattia Hofer fece contratto colla camera dell' Arciduca Carlo, affine di ottenere che i feudi Hoferiani rimanessero nella sua linea femminile. E l'Arciduca gli mandava un rescritto del seguente tenore: »Noi Carlo per la grazia di Dio Arciduca ď Austria, Duca délia Borgogna, délia Stiria, Carinzia, Carniola, Wirttemberg ecc. Conte del Tirolo e Gorizia ecc. Coufessiamo di avere fatto un con-vegno col Nostro consigliere capitano di Duino il Nostro fedele e caro Mattia Hofer, in forza del quale il medesimo Hofer ci ha devotamente dati a prestito venticinque mila fiorini renani senza interessi, i quali devone essere aggiunti ail' altra somma per la quale gli è stata impegnata la signoria di Duino; e verso questo ' Arch, di Duino, 1570, Graz. ' lví, 1570, 18 e 21 aprile, 13 maggio, 10 giugno (orig.) ' Che fiu'ono Je deoirne e terre di PJava e Locawitz, la villa di Comen, le decime e i diritti di S. Giacomo, i beni sotto la torre di Gargaro, l'uffido f'orestale presso Gorizia. " Vedi Epigrafi, N. 23. rautuo, anche per Nostra grazia speciále, con maturo consiglio Noi assegniamo e concediamo benignamente al medesimo Hofer, allé due sue figlie Chiara e Lodovica e a tutti i loro eredi maschi e femmine per tutti i tempi non solo il feudo di Ranzano, ma anche tutti gli altri feudi posseduti dagli Hofer nella contea di Gorizia e derivanti dalF Eccelsa Casa ď Austria. Abbiamo percio comandato ed ordinato benignamente alia Nostra reggenza dell' Austria infe-riore in data odierna, che quando avvenga il caso, la predetta reggenza deva stendere in tutta forma la lettera feudale allé due figlie deir Hofer già nominate, ovvero ai Joro eredi, tanto maschi che femmine; e che in essa sieno nominatamente espressi tutti i feudi Hoferiani. Rilasciamo intanto al prenominato Hofer la présenté dichiarazione munita del nostro principesco sigillo pendente. Dato nella Nostra città di Graz, il 20 febbraio 1582« '. Fin qui i feudi degli Hofer erano stati conceduti non a Mattia solo, ma anche a suo cugino Stefano \ Ma alia morte di Mattia insorse il genero del defunto Stefano, Volfango di Kiinberg, a nome del iiglio GugUelmo contro le figlie di Mattia e, vinto uii primo processo ^ fu investito dei medesimi daU'Arciduca Carlo ^ in onta allé concession! fatte a Mattia ed allé sue figlie. Rinno-vossi la lite dai mariti di Chiara e Lodovica Hofer, i conti Leonardo di Harrach e Raimondo della Torre, ma I'Arciduca Ei'nesto d'Austria decise che i feudi rimanessero ai Kiinberg, e solo nel caso che essi venissero a mancare senza eredi maschili, stabiliva che vi succedessero Lodovica e Chiara e la loro discendenza ^ II caso avvenne realmente ed ai Kiinberg successero per maritaggio i conti Strasoldo. Ci6 non ostaňte il conte Raimondo della Torre, avo della Principessa Teresa ď Hoheiilohe, il quale al principio d i questo secolo rinnovô il processo, rimaso soccombente. Anche la dimanda fatta dal figho di Lodovica che gli venissero restituiti i venticinque mila fiorini imprestati, rimase inesaudita Pill fortunato fu Mattia Hofer nel trasmettere aile figlie il pegno della signoria di Duino; ma di questo ci riserviamo di ragionare in luogo più acconcio. ' Arch, di Duino copia autenticata suil' origiuale iû pergamena esistente nell'Arcli. di Gorizia. '' Ivi, investitura del 1573, 17 agosto, Gorizia. ' Ivi, Decisione della reggenza della bassa Austria, 1589, 5 agosto. " Ivi, 1589, 10 novembre, Graz. = Ivi, 1592, 28 aprile, Vienna. « Ivi, testamentů di Gian Filippo della Torre, 1639, 2 giugno. Nol 1587 spogiievasi la vita agitata del cavaliere Mattia; due anni prima egli avrebbe fatto 11 suo testamento nel quale, sempre fiero sino alia fine ne' suoi divisamenti, Mattia favoriva di preferenza la sua primogenita Chiara Orsa, maritata dappoi in prime nozze con Leonardo di Harrach. A questa risoluzione egli venne per non aver voluto perdonare a Lodovica, sua figlia minore, ď essersi, com' egli sostenne fierissimamente, sposata al conte Rai-mondo della Torre contro la volontà paterna. Quali fossero i suoi progetti su Lodovica dovremo narrare in altro luogo; intanto per rimuovere Mattia dal suo ostinato proposito, dovette intervenire il Serenissimo Arciduca Carlo, il quale con lettera autografa gli mandava per mediatore il suo consigliere intimo Giovanni Cobenzl presidente della camera inferiore dell' Austria Eichiamato da questo a più equi consigli e riflettendo in quanta grazia stava'suo genero presso 1' Arciduca, quale stima egli godesse alia corte imperiále e in paese, quanta riputazione si fosse acquistata nelle sue le-gazioni di Venezia e di Roma, 1' anno appresso Mattia avrebbe ripa-rato lo sfregio con un codicillo stabilendo che la sua facolta venissc ripartita in due porzioni uguali fra le due figlie, colla ri-serva che, se una di quelle morisse senza prole, tutta 1' eredità andasse all' altra. II matrimonio di Lodovica Hofer col conte Raimondo della Torre ci conduce ora da sè a parlare dei Torriani venuti al pos-sesso di Duino; e questo nuovo passaggio di proprieta non meno elle la illustre Famiglia a cui si riferisce, sono argomento di taie importanza, che sarà necessario dedicarvi la terza parte delle pre-senti memorie sul castello di Duino. ' Arch. di Duino, 1585, 17 febbraio; non è clie una copia non auten-ticata ; l'originale non s' è mai rinvenuto. ' Ivi, Apografo A. pag. 229, 1586, 20 settembre, Graz. ' Ivi, 1586, 28 ottobre, copia come quella del testamento. La mutua successions non è neppur espressa nella copia del codicillo; noi la conosciamo dai litigi seguenti che l'asseriscono : sarebbe anche stata inutile una donazione di Chiara di cui parleremo. ^ARTE ^ERZ^. X Oonti đ.ella, Torre-IE^ofer-"^a-lsa-ssina, a- XD-ULino. A. GLI AVI DELIA LINEA TORRIANA Dl DUINO Te per li rami giù scendere io veggio Dell'antica e non rea stirpe Torriana, Oncl'io plaudo alia Diva di Duino. Perosino. 1. Alemanno e Lombardo. Pervenati a questo puuto delle nostre memorie su Duino, ci giova anzi tutto osservare essere questa nello spazio di cinque secoli la terza volta che mutasi la signoxia del castello. Dopo il dominio dei Signoři di Duino durato, secondo 1' attostazione dei documenti, quasi tre secoli (1139-1399), sedettero a Duino per circa ottanta anni (1399-1472) i Signoři di Walsee. Per oltre un secolo (1472-1586) il castello si tenne dalla Serenissima Casa aiistriaca, rappresentata da' suoi provveditori e capitani, che ne ,divennero alia fine pignoratarii. Passava quiudi il peguo ai conti della Torre; e dopo cli' essi ottennero per compera la proprieta assoluta di Duino, col titolo di capitani perpetui ed ereditarii, la signoria è rimasta in loro fino al présente, senz' altro muta-mento di possesso. II nobilissimo ramo della estesa casa Torriana, che venne a porre la sua sede a Duino, forma una linea da sè, la quale nel progresse di tempo fu cliiamata la linea Torriana di Duino, 0 dei Conti della Torre-Jlojer- Vahassina. E qui non crediamo di-lungarci dal titolo e dall' argomento del nostro scritto, se, pigliando ora le mosse un po' piíi dali' alto, premettiamo almeno in iscorcio alcune notizie intorno agli avi di questa linea, affinchè meglic resti chiarito quanto verremo esponendo con maggiore ampiezza dei Torriani residenti a Duino. Con cio noi ripigliamo un íilo rimasto interrotto, quando, per venire a Duino, ci dipartimmo dal Patriarcato ď Aquileia, ove da Milano tramutavansi fra gli altri quei Torriani clie diedero origine alla linea duinese. La linea Torriana di Duino ' discende direttamente da Alemanno od Ermanno figlio primogenito di quel Pagano II, di cui abbiamo ragionato a principio e fratello non che di Rai-mondo Patriarca ď Aquileia, di quegli altri molti che diventarono i capostipiti di quasi tutte le linee dei Torriani diffusi nelle varie regioni. Poche notizie ci tramandarono di Alemanno gli scrittori; e il silenzio che di lui serbarono i cronisti milanesi puo essere derivate da cio che, essendo egli chiamato a reggere altri comuiii fuori di patria, ebhero meno motivo di occuparsene. L' unico il quale di Alemanno abbia parlato più diffusa-mente, ma appena sul fine del secolo XVI, è il giureconsulto Raífaello Fagnano, il cui manoscritto si custodisce a Milano, mentre una copia se n' ha nell' archivio di Duino \ Per la storia dei della Torre egli ricorse non solo agli archivii milanesi ed allé cronache lombarde, ma anche all' aiuto di Raimondo VI della Torre, il capostipite della linea Duinese; e da lui ebbe in gran copia le notizie che offrivano i documenti aviti del suo archivio II Fagnano come il Sansovino Giovanni del Monte e tanti altri, ripetono coi cronisti essere Alemanno della Torre il primo che aggiunse alia sua impresa i gigli ď oro in campo azzurro, laddove i Torriani precedent! portavano soltanto la torre rossa in campo d'argento. Certo è che da quel tempo i gigli si vedono usati insieme colla torre anche dagli altri, e trovansi quindi sulle monete del Patriarca Raimondo e sulle tombe di Chiaravalle presse Milano. ' Vedi tavola II. Perđonino i lettori al Fagnano la curiosa etimologia ch'cgli ci dà del nome Ermanno (Hermann): Jureque sic dicor, nam quern dixere Latini Mercurium, hune Herman Graecia doeta vocat. La Grecia dotta P avrebbe in ogni caso chiamato 'Ëp/ti/ï od 'ËQ/ieiai (Ermete) ; ma si sarebbe anche contentata che il nome Ermanno si derivasse dal tedesco. » Vedi pag. 11. '' L'opéra intera ha per titolo: Nohilium Familiarum Mediolanen-sium volumina VIII: ne ragiona anche P Argelati : De scriptoribus mediola-nensibus, vol. II, pag. 589. ® Arch, di Duino, Corrispondenza del Fagnano con Eaimondo VI della Torre. ' Dell'origine e fatti délie famiglie illustri ď Italia pag. 6. Segue quindi il Fagnaiio a iiarrare che, essendosi sparsa fra le città dell' Italia la fama dell' alto valore ď Ermanno, i Bo-lognesi, potentissimi a quel tempo, vollero averlo nel 1253 podesta del loro comune. Ma che egli, come venue detto da qualcuuo, abbia avuto parte alia cattura del Re Enzo di Sardegiia, figlio di Federico II, ne il Fagnano oso asserirlo, ne trovasi confermatď da altri scrittori che parlano della sua dimora in Bologna '. E non poteva cio essere, poiche Enzo fu vinto dai Bolognesi a Fossalta nel 1249, ed appena nel 1253 Alemauuo venue a reggere la loro città. Ma poichè la prigionia di Euzo duro ben ventidue anni e nel tempo d'Alemauno vi successe un fatto d'importanza che ad Enzo si riferiva, di qua dev' essere avvenuto che al Torriano se ne ascrivesse la cattura. Per r anno 1253 era stato eletto podesta Pietro Grillo ve-neziano; essendo questi morto dopo appena tre mesi di magistratura; venue a lui sostituito il della Torre, uomo di molta ri-putazione, " il quale dopo ď aver dato un esempio di animo equo ed inclinato alia concordia, rimoveiido il pericolo ď una guerra coi Ravennati, otteune da loro una pace, per Bologna sommamente vantaggiosa. Della sua fortezza nel difendere i diritti del comune ricordasi il fatto ď aver egli ricondotte all' obbedienza le terre e castelli che sotto il suo antecessore avevano scosso il giogo della città di Bologna. Ma T avvenimento dove spicco massimamente la sua energia, fu quollo mentovato di Enzo. Fra i compagni di cat-tività del Re viene rammontato il conte di Salimburgo, che lodasi per iscienza militare e somma perizia nelle cose di guerra. Essendo questi coir aiuto ď alcuni cittadini traditori riuscito a fug-gire, Alemanno con grande accortezza seppe scoprire tutte le fila di quella congiura e, formato quindi il processo, Raniero Confa-lonieri piaceutino, che era scolare in Bologna, venne decapitato ; altri si condannarouo ad altre pene. Racconta pure il Fagnano che quaudo lunocenzo IV tor-nava dal Concilie di Lione, Ermanno impetrasse da lui la bea-tificazione di Pietro di Verona, trucidato per la fede da alcuni eretici del patriziato milanese. Nè meno illustre si rese per i saggi ordinameuti dati al célébré Studio di Bologna, seconde le pre-scrizioni che ave^ ricevute da quel Pontefice. ' Vedi Fra Loaiidro degli Alberti, Lib. II, Deca II; Pompeo Vizzani, Lib. Ill, pag. 127 ; Fra Cherubino Ghirardacci Parte I. lib. 6 pag. 124. ^ Ivi. Pel bieuuio seguente raccogliesi dal Villani e dal Malespiiii che Alemanno fu chiamato come Podestà a Firenze; Gino Capponi passa iuvece affatto sotto silenzio i iiomi dei magistrati che res-sero la cosa pubblica di quel tempo '. Narrano i citati scrittori che dopo la disfatta di Eiizo e la morte di Federico II, i Fio-rentirii a,vevano deposti i magistrati di parte ghibellina e col tornare dei fuorusciti si eraiio eretti a campioni dei guelfi, com-battendo la fazione contraria in parecchie città di Toscaua. Arezzo oppressa da quei di \'iterbo, ricorse a Firenze, ma Guidoguerra dei conti Guidi speditole in soccorso, contro il mandato di Firenze pose al bando anche buon numero di abitanti ď Arezzo, che parteg-giavaiio pei Ghibellini, coufiscandoue i beni. Il délia Torre, quan-tunque guelfo caldissimo, non sofferse siffatta violenza in una città arnica, ed indotta 1' oste fiorentiua ad assalire il conte Guido ricondusse in Arezzo gli espulsi cittadini. Ghibellina era anche Pisa, città di cui abbisognavauo i Fiorentini pel loro commercio. Eotta la guerra con essa, si venne dapprima a pacifiche iutelligenze; ma essendo intanto in Sicilia ■venuto al potere Manfredi, iu quelle i Ghibellini della Toscana cominciarono a riporre le loro speranze. 11 perche i Pisani entra-rono con lui in accordi segreti, dei quali si videro tosto gli effetti nella guerra fra Genova e Pisa. Le due parti avevano chiamato il comune di Firenze a decidere sulle loro controversie e quando la sentenza, benchè data cou tutta ponderazione, riusci contraria ai Pisani, fa cosa facile al Re di Sicilia concitare gli animi irri-. tati a uuove ostilità contro i Fiorentini, promettendovi il suo ap-poggio. Rifiutarono pertanto i Pisani di restituire alcuni castelli che dalla sentenza arbitrale erano stati lor tolti. Genova comprese che non c'era tempo da perdere e strinse anch'essa un'alleanza sécréta colla Eepubblica di Firenze, che fece i suoi approstamenti per la nuova guerra. Tutto questo perb non potè eseguirsi tanto celatamente, che qualche sentore non ne avessero i Pisani; rac-colte quindi le loro forze e rotti gl' indugi, essi entrarono nolle terre di Lucca, alleata dei Fiorentini, ne misero in fuga 1' esercito accorso tumultuariamente alla difesa e posero 1' assedio al castello presso il ponte del Serchio. Se non che tanta fu la prontozza ď Alemanno della Torre nell' accorrere al pericolo, che, raggiunti i Pisani, li sconíisse prima che arrivassero gli aiuti promessi da ' Storia della BepiibUica di Fireme, yoI. I pag. 3á e segg. Maufredi. Quelli che poterouo sottrarsi colla fuga, rimasero in graii parte aunegati nel Serchio. Nè bastando tanto rovescio, soprav-vennero i Geiiovesi, espugnaroiio la rôcca ď Erice e della mede-sima sorte minacciarono la città stessa di Pisa. A questa non rimase altro partito, che di chiedere la pace e di piegarsi allé condizioni piíi dure ed umilianti. Un ultimo tratto di Alemanno riferitoci da Fra Cherubino, è quello di avere soccorso nel 1256 coll' aiuto di Bologna le due città di Firenze e di Lucca, travagliate da orribile fame; il cbe muove il Fagnano a conchiudere che i Fiorentini poterono dire a ragione di aver ricevuto dal della Torre, non che onore e gloria e sicurezza di dominio, la eonservazione della vita medesima. Se vien detto che Alemanno dominasse anche a Milano dopo suo cugino Filippo, cio nou puô essere stato che per brevissimo tempo. La sua morte è posta nel 1265, ma sul suo sepolcro in S. Francesco di Milano era iuciso il 1272 '. lu prime nozze Ermanno della Torre aveva sposata Lucia di Correggio ; in seconde Vittoria Scaligera, ricordata anche nel mouumeuto di S. Francesco. Due de' suoi iigli, Erreco e Goffredo, dopo la catastrofe di Desio e la prigionia di Baradello furouo ac-colti in Aquileia dal loro zio il Patriarca Raimondo, e là come in Italia sostennero parecchie magistrature. Altri due figli, Manfredi arciprete di Monza o Giacomo, presero parte auch' essi aile spe-dizioni Torriane. Ma Lombarda, che continua la linea di Duino, dopo ď aver combattuto valorosamente co' suoi coiigiunti nelle bat-taglie mikuiesi, rimase a Baradello vittima della crudeltà Viscontea (1280). Dalla moglie Cateriiia di Pirovano Lombarde ebbe fra gli altri figli Raimoudo (II), il padre del Patriarca Lodovico e di Er-macora (I), noto per le sue gravi coiitese coi Savorgnano e iinal-mente di Feho I. detto Febosino. Da lui, perche avo dei Torriaui duinesi continua il nostro racconto. 2. Febo I, Giovan Furlano, Febo III, Ermacora III. Più propizie arrisero le sorti a Febo I. quando nel 1274 egli trasportô la sua stabile sede sulle rive del Tagliamento, sotto la protezione di suo prozio, il Patriarca Raimondo. Perô la funesta ' Vodi Epigrali, N. 9. ' I figli di Raimondo II, la ciii famiglia s' estiiise nel secolo decimo quarto, ebbero la iiobiltà veneta. Arch, di Duino diploma del 13iO, 16 gennaio. memoria delle sconfitte Torriaue sui piani lombardi non lasciô pace nemineno a lui eđ ogni qualvolta si offerse la speranza di riscossa riprese anch' egli le armi per ritentarne la sorte. Cib avvenne sotto il Patriarca Raimondo e quando Guido délia Torre, liberate dal carcere di Baradello, ricupero il dominio. Interveniie anche Febo alla convenzione dei Torriani con Roberto di Sicilia, ma svanita per allora ogni altra speranza, egli diede l'estremo addio alla patria ed investi nel Friuli le ricchezze recate da Milano '. Dal conte Arrigo di Gorizia ebbe col fratello Raimondo il feudo di Flambro 0 Castelluto, rimasto quindi nei loro discendenti. Quanto fosse de-liziosa ed amena questa sede, apparisce dalle lodi che ne fece il ricordato Fagnano: Nobile Iuliadum inter tot digna oppida surgit Pulchro et conspicuo fertilitate solo. Hinc undis agros collectis irrigat amnis, Adriacis unde munera portât aquis. Hinc vehit et placido sed eursii pondéré pressas Saepe rates pelago ac ostia lata patent. Flambri ideo statui sedem diguasque paravi Divitias, carae posteritatis opes. Il Patriarca Raimondo non fu meno largo di favori verso il nipote; e premendogli particolarmente affidare la custodia dei luoghi più importanti a cavalier! non pur valorosi, ma iidati, aveva scelto Febo a gastaldo délia rôcca di Tolmino. Questa, come punto di pas-saggio, era agognata da tutti i coníinanti: Garintiani, Goriziani, Friulani. Perciô fu più volte tentato di prenderla ed è célébré la sorpresa fatta a Febo nel 1292 per tradimento del prete Andrea Tisone, coll'aiuto del quale la rôcca cadde in mano dei Cividalesi e Febo medesimo rimase prigioniero. Al Tisone venne bensi con-donata la pena di morte; ma il castigo in cui fu commutata fu non meno severo: restô condannato a perpetua carcere colle catene al collo, aile mani ed ai piedi, et ieiunando tribus diebus qualibet septimana, scilicet secunda^ quarta et sexta feria^ in pane et aqua qualibet praedictarum trium dierum, uno pane septem unciarum finiat dies suos Febo liberato dalla prigionia, fu nel 1298 creato vicedomino del Patriarca e, morto Raimondo, sostenne la carica di ' Arch, di Duiiio, Apogr. A e B. ^ Arch, di Diiino, 1292, 6 ottobre (copia); dalle parole riportate te-stualmente non si puô inferire che negli altri giorni fosse private d'ogni cibo, come qua e là trovasi asserito. podestà prima a Trevigi nel 1321, poi a Trieste iiel 1328 e 1329, che fu r ultimo délia sua vita. Giovanni, detto Furlano per essere il primo di questa linea iiato in Friuli, fu l'unico rampollo maschile ch'ebbe Febo I. da Margherita de' Rossi (de Rubeis). Non sarebbe stato Torriano, se col riaverdire dalle speranzo in Lombardia, non avesse anch' egli Roguito il Patriarca Pagano nelle sue imprese contro il Visconti. Fu quindi alio sfavorevole scontro di Soncino; entro in Monza, occupé i suburbii di Milano e finalmente nel 1324 intervenue alla battaglia di Vaprio, in cui anche i Torriani perderono tutto fuorcliè V onore. Ma nuovi travagli ed errori accompagnarono Giovanni al suo ritorno in Friuli; ne 1'amore di verità ci permette di dissimu-lare che, morto Pagano délia Torre, Giovanni con suo cugino Er-macora, figlio di Raimondo 11, schierossi fra i nemici del nuovo Patriarca, Bertrando de S. Ginnes, secondando dapprima 1' invasione di Rizzardo da Gamino, quindi eiitrando nelle congiure dei castel-lani sollevatisi contro 1' autorita del loro principe. L' odio di questi volgevasi non pure contro Bertrando, che non cessava di castigare severamente le loro rapine, ma contro altre famiglie fedeli al Patriarca. 11 disordine era accresciuto dalla guerra che faceva anche il conte di Gorizia in Friuli, e noi ab-biamo già narrati gli avvenimenti di Braulino e Gorizia. Che a questi avessero preso parte i due cugini, si vede dallo strumento con cui Ermacora rimesso in liberta provvisoria, promette di tornare a costituirsi prigiouiero del Patriarca ad ogui uuova chiamata, c dal-r ordine dato dal Patriarca a Filippone della Torre, preposito di Gividale, di togliere a Gian Furlano suo nipote, quale nemico della Chiesa d'Aquileia, Famministrazioue delle sue reiidite '. Fierissima fu poscia la lotta di Ermacora con Ettore Savorgnano pel ca-stello di Ariis confinante con Flambro, e per Flanibro modesimo, di che parlano le accuse vicendevoli di uccisioni, saccheggi e violenze fatte dall' una e dall' altra parte, ed alcune lettere dei comuni di Udine e di Gividale ^ Ma perche i Savorgnano tenevano dal Patriarca e da Udine, e i due cugini della Torre stavano coi Villalta ' Indien Bianchi, 1337, 2 marzo, Gividale. Coil. Frangipane, 1339, 5 kiglio, Gividale; altri beni egli perdeva a S. Giorgio e S. Paolo; ivi, 1338, 28 dicenibre, Aquileia. ^ Arch, di Duino, varie scritture autenticatc dal 1346. Gfr. Palladio Parte I. pag. 332 e 3B7. e coi moltí altri nemlci di Bertrando, fu per decreto del parlamento udinese dichiarata la guerra ai Torriaui. A due miglia da Flambro si venue ad uno scontro, in cui sembra che gli Udinesi abbiano avata la peggio; Flambro pero fu quiudi smantellata per ordine del Patriarca ed i Torriani vennero per allora dicbiarati scaduti dai loro feudi '. Questo non servi che ad accendere vie maggior-mente le ire di Gian Furlano, il quale uel frattempo era cresciuto iu potere per nuovi acquisti e per le douazioni dei couti di Go-rizia, che lo avevauo auche creato ca,pitauo di Latisana l Moriva pero a tempo nel 1345, prima di tirar sul suo capo cogli altri della lega il saugue del trucidato Bertrando. Fra i nemici del Patriarca furono auche i Porcia e di quella casa Gian Furlano aveva scelta la sua prima moglie Caterina. Di quale famiglia fosse Orsina, maritata a lui in seconde uozze, nou si puô dire con sicurezza. L'unico erede di Gian Furlano fu il Magnifico Cavaliere Febo III, che nel 1345 trovasi sotto la tutela di Febo II ed Er-macora I Nè il Lampuguauo nè il Ferrucci nè il Flacchio, loro co-piatore, toccano delle relazioni ch' ebbe questo valoroso, splendido e ricchissimo cavahere coi Carraresi. Parlando di Ugone VI di Duino, ci venue già offerta occasione di rammentare la cacciata di Francesco Novello da Carrara dal suo dominio di Padova per opera dei Viscouti, nemici perpetui dei Torriani \ Anche Febo III non mancô quiiidi di profittare della congiuntura di unirsi col Carrarese per combattere contro Gian Galeazzo Visconti. Quando nel 1389 Francesco Novello veune iu Friuh, Febo della Torre in-sieme cou Michele Rabatta, Riccardo di Valvasone, Morando Porcia e molti altri amici del Carrarese lo ricevette colle maggiori dimo-strazioui di onore. Raccolti quindi gli aiuti dei Friulani, presso Castelluto venuero nel 1390 posti i loro alloggiamenti, dove Febo aveva apparecchiata ogni cosa por accogliere 1' oste incamminata ' Lunghissime liti ebbero in sèguito i Torriani pel feudo di Castelluto e Flambro coi Codroipo (Quadruvii), finchè sotto Francesco dalla Torre si venne ad una transazione. Arch, di Duino, Apogr. A. a. 1341, e seguenti. Le terre acquistate erano a Latisana, Talmassone, Nespoleto, Camarcio (Campo marcio),. Verce e Falta. ^ Arch, di Duino Apogr. A. detto anno. Gli originali di questi docu-menti furono in molta parte distrutti dai Veneti nella guerra con 1'Imperatore Massimiliano. * Vedi pag. 216 e seg. all* impresa di Padova. E sotto le mara di quella città rícouquí-stata Febo ebbe dal Carrarese insieme col Rabatta in premio del suo valore gli sproiii di cavaliere '. Milito quindi per Bologna come condottiere ď armi, continuando 1' impresa cominciata contro i Visconti. Accettissimo fu Febo III alla corte dei conti goriziani, dai quali ricevette la rinnovazione delle investiture feudali e fu sempře tenuto fra i più onorati. lu Gorizia stessa egli ebbe motiyo di trasportare il suo domicilio, quando sposó Gaterina sorella di Ar-rigo burgravio di Gorizia, ministeriale di quei coati ed ultimo signore di Salcano. Gaterina, rimasta erede del fratello, porto al marito la rôcca di Salcano, colle giurisdizioiii di Bresica, Veco-glava, S. Primo, Peuma, Pocinizza e la metá del castello di S. Lorenzo. Vi si aggiunsero in sèguito da Febo altri possedimenti in Gorizia stessa, in S. Canciano, Fara, Lucinico e Podgora ^ In tal modo il Torriano divento uno dei piii ragguardevoli signoři della provincia e fondatore dell' opulente casato goriziano, che ottenne in sèguito la precedenza sulle altre famiglie % e due secoli dopo acqui-stava ancbe la signoria di Duino. Duè rotoli votusti dell' arcMvio duinese, 1' uno del 1382, 1' altro del 1406, composto alia morte di Febo, contengono la descrizione di tutti i suoi possedimenti e diritti nella Gorizia e nel Friuli. Da questi possiamo formarci un concetto dello spleudore della sua casa, essendovi notati non solo i suoi beni immobili, ma le gemme, le vesti, gli addobbi del castello, i cavalli, la sua famosa armaria e tutte le altre cose per le quali primeggiava. Ricordandosi dagli scrittori alcune manumissioni fatte da Febo III, vogliamo anche noi toccare di passata questo argomento. Molto s' adoperarono i Patriarcbi e coll' esempio e colle esortazioni a liberare i cosi detti uomini di masnata daU'umiliante coudizione in cui si trovavano, formando sinanche oggetto di veudita e di donazione. Acquistavano la loro libertà o per atto fra i vivi o per disposizione testameutaria. II sentimeiito religioso induceva fre-quentemente i signoři a donare, per espiazione o per devozione, alia Chiesa stessa i servi che volevano rimettere in libertà, e la di' Verci, vol. XVII pagg. 77, 103, 108. ' MS. alia Marciana L. XIV, 101, c. 103-415. Pero la parte del fortalizio tenwta a Gorizia ed alcuni altri beni diedero nel 1387 origine a con-troversie col conti goriziani, composte da Giovanni Vescovo di Gurk in maniera, che Febo 11 ricouoscesse in feudo. Arch, di Duino, Apogr. A. a. 1387. ' MS. alia Marciana L. XIV, 48, c. 209 e segg. - S16 - penđenza nominale dalla Chiesa in oui eutravaiio questi libeïti, veniva rappresentata da alcuue prestazioni somigliaiiti a quelle dei villici verso i loro sigiiori, le quali, forse dal tedesco Arheiten, ebbero il nome di raboiie. — Due esempi di siffatte affrancazioiii ti'ovansi anclie nei documenti di Febo III ': iu ui)o si dona la libertà alla serva di masnata Menia del fu Bartolommeo di Gorizia ed al di-scendente di lei, presentandoli ail' altar maggiore délia Basilica aquileiese; nell' altro Febo délia Torre, quai erede délia sorella Aiqua, affranca Giovanni Russini ď origine milanese e i figli o le figlie nati e nascituri, giusta la consuetudine délia cittadinanza romana, e qui pure il documento deponesi sopra 1' altare. Generoso mostrossi Febo III anche verso le chiese e i con-venti; molti arredi sacri e parecchie terre iii Kohlendorf e Guering egli donava al cenobio francescano di Gorizia; cospicui legati la-sciava alla chiesa di Santa Félicita di Castelluto. L' animo suo si manifesta pure nelV osservanza ch' egli ebbe verso il Patriarca Marquardo, assistendo al suo solennissimo ingresso nella chiesa ď Aquileia. Ma particolarmente devoto egli fu sempre ai conti di Gorizia e nel suo testamente Febo III ingiunse a' suoi nipoti ed eredi di rimanere ognora fedeli agi' illustrissimi principi e signoři Arrigo e Giovanni Mainardo. La seconda moglie di Febo fu Lncia, vedova del conte For-zato Forzati d i Padova dalla prima nou ebbe che un unico figlio, Ermacora III, il quale mori nel 1405 pochi mesi prima del padre. Splendide furono le nozze e i funerali ď Ermacora, onde si rac-coglie che, quantunque in giovane età, seppe illustrarsi,. nell'armi, come vogliono alcuni, ma certo per la sua splendidezza, a cui gli dava agio il ricco censo paterno. Quand' egli sposossi con Elisa-betta di Savorgnano, gran numero di comuni e signoři gh man-darono i loro nunzii per fargli le congratulazioni; alla sua morte il lusse spiegato nel corteo che l'accompagnava alla tomba fu veramente straordin8,rio e ven ne celebrato non meno in versi, che in prosa. Sua figlia Caterina ebbe a marite quel Giorgio di Reichen-burg, il cui sepolcro ci occorse rammentare più volte, par lan do del tempio di S. Giovanni al Timavo ; e puô darsi che Giorgio sia ' Arch, di Duino, Apogr. A e B, 1376, 3 gennaio; 1378, 15 gennaio, Castelluto. Come risulta da strumento del 1408, 22 gennaio, Castelluto, dove Aglisia figlia di Luda e figliastra di Febo riceve la sua parte délia dote materna. Essa fu moglie di Riccardo di Valvasoae. fratello đi Giovanni đi Reichenburg, il quale come capitano dei Walsee, lascio tante raeniorio di se nel castello di Duino, I due figli di Erraacora III, Tommaso primogenito e Febo IV detto U Vecchio diveniiero gli eredi tanto di Febo III quanto della loro madre e quantunqne da Tommaso contiiiui la linea duinese, ci converrà più tardi ragionare anche dei discendenti di Febo IV. 3. Tommaso, Febo V, Giovanni Febo VI. Un' ultima volta vediamo con Tommaso pigliarsi dai Tor-riani le armi contro i Visconti. Ma ovmai i luiovi tempi portano con sè cose nuove e d'ora innanzi la famiglia di Gorizia, lasciando per sempre il paese che fu 1' origine delle sue grandezze e delle sue sventure, si rivolge all' Austria ed all' Impeio. Quivi ella s'illustra nella milizia, noi maneggi diplomatici e nel governo delle provincie; quivi poté scrivere nuovi fasti nella sna storia. Tommaso e Febo IV erano ancora nell' infanzia al morire del padre e dell' avo. Percio i loro tutori affidarouo la custodia di Castelluto fino alla loro età maggiore al nobile Arrigo di Mon-talto Ma benchè Tommaso, fatto adulto, avesse già cominciato a coprire qualche carica nel Goriziano, come fu quella di provvedi-tore del castello di Reifemberga, la potente attrattiva della patria perduta chiamollo a militai-e sotto le venete insegne contro Filippo Maria, ultimo dei Viscouti. Brescia e Bergamo erano già cadute in potere della Repubblica, quando, rinnovatasi la guerra nel 1431 per istigazione dei Fiorentini, le milizie del Carmagnola restarono disfatte e disperse. La morte di Tommaso avvenuta in quell'anno a Bergamo ' nel fior dell' età, ci fa credere ch' egli abbia dovuto soccombere allé ferite riportate ed allé fatiche del campo. Tre figli ch' egli ebbe dalla nobile Chiara Fontana di Gorizia, vengono nominati nel suo testamento: Giovanni (I), lacopo e Febo V detio il Giovine, per distinguerlo dallo zio Febo lY. lacopo mori in giovane età; Giovanni ebbe u u figlio Giorgio I, che lascio di sè memoria sommamente preclara, e segno anche agli ' Arch, di Duino, testamenti ambidue del 1405. ^ Ivi, Apogr. A, 1409, 10 novembre, Spilimbergo. » Ivi, testamento del 1431, 13 ottobre, Bergamo. II Litta pero segna la sua morte nel 145], sebbene dal 1431 in poi non si riscoutrino altri document! che lo riguardino. altri ïorriani délia sua linea la via di rendersi celebri nei negonii diplomatici. Educato allé discipline letterarie ed allé leggi, nelle quali consegui la laurea, fornito di^ prodigiosa memoria per oui, con esempio raro a quel tempo, apprese con somma facilita le lingue straniere, somigliô molto a Re Massimiliano, del quale diventô consigliere e confidente. Da lui venne adoperato in pareccMe im-portanti legazioni nella Svezia e presso le corti del Re Ferdinande d'Aragona e del Poutelice. Il Re Ferdinando soleva chiamarlo suo amico carissimo; in molta stima lo ebbe Paola Gonzaga, figlia del duca Lodovico III di Gonzaga-Mantova e seconda moglie del conte Leonardo di Gorizia; molti altri ctiari personaggi gli dimostrarono particolarissima be-nevolenza, di che fa fede il suo epistolario nell' arckivio duinese. Valoroso mostrossi Giorgio anche nell' armi, massimamente quando nelle Flandre scoppiava la guerra del 1482 contre Massimiliano per la tutela di suo figlio Filippo. Nel 1487 Giorgio concorse col con-siglio e colle milizie raccolte dal Duca Alberto di Sassonia a libe-rare Massimiliano dalla prigionia di piii mesi in che lo teneva la città di Bruges, dopo ď avere condannati alla morte i piív cospicui ministri dell' Arciduca. Di tutto questo ricordossi Massimiliano, dando iu feudo a Giorgio délia Torre i castelli e le signorie di Mehduk, di Lokuwitz e di Vokunitz ai quali, per essere ancora in mano dei Turchi, sostituiva il feudo di Gurkfeld od una somma annua di seicento fiorini ď Ungheria '. Da lui ebbe inoltre Giorgio i castelli di Friedrichstein e di Klingenfeld e quelli di Somobor e di Cocevia Ma neppure Giorgio, che mori nel 1512, ebbe proie ma-schile; rimase quindi dei figli di Tommaso il solo cavaliere (stre-nuus miles) Febo V teste mentovato, il quale raccolse tutta l'eredità paterna. In nome di lui lo zio Febo IV aveva già ricevuta 1'investitura dei feudi aviti, Molti nuovi possedimenti vi aveva aggiunti Tommaso suo padre in Pucinia presso Palazzolo, Bizziniso, Fla-gano, S. Maria degli Schiavoni, venduti in sèguito dal figlio a Federico di Gastello; dai signoři di Porcia egli aveva acquistata la villa del'Pozzo, Giuriciz, Tolmosano, Turrida e Ronchi, ed anche per questi feudi Febo IV aveva dai conti di Gorizia ottenuta la ' Arcli. di Duino, diploma del 1491 mercordi dopo la SS. Tnnità, Norimberga. ^ lvi, anno 1497. rinnovazione đelV investitura Considerevoli feudi acquistava Febo V međesimo; fra cul varuo notati il predio đi Prestaù presse Go-rizia, le giurisđizioni e i castelli di Vipulzano e di Reifemberga ' ; Flaiana, Lovrana e Bresez nell'Istria, dove I'lmperatore Federico III nel 1448 gli affidava anche il capitanato di Pisino S' anno^e-rano inoltre fra le sue tenute la villa di Coglieglava, quella di Sablach, đi Plesach, di Dietendorf e đi Capriva sul Carso; le terre di Santa Maria di Privai e Lesonchiada; altre finalmeiite in Reifemberga e S. Daniele \ In Gorizia, in Reifemberga ed altri luoghi Febo V fu ripe-tutamente, come suo zio, capitano e vicedomino;- molto accetto fu Febo anche alla corte imperiále; il che gli porse occasione di far parte del sèguito đi Federico III, quando questi mosse ad incon-trare a Siena Eleonora di Portogallo sua sposa e di là si condusse a Roma, per celebrarvi l'incoronazione e le uozze. Conobbe inoltre Febo V assai da vicino i Gonzaga; tanto che il marcbese Lodovico soleva chiamarlo iielle sue lettere magnifico e generoso cavaliere quale padre carissimo; e questa conoscenza fu il pi'eludio délia parentela che in sèguito doveva concludersi fra la casa di Maiitova e la Torriana. Quantunque perô tanto Febo, quanto il nipote Giorgio, portassero con altri délia famiglia il titolo di baroni di Vercelli e conti di Valsassina, la nobiltà dell'Impero non l'avevano ancora conseguîta, ragione per cui il figlio e il nipote di Febo V s' astennero da ogni titolo nobiliare, finchè non fnrono elevati a conti e baroni dal Monarca germanico. Dopo di avere largheggiato, corne i suoi avi, in isplendidi đoni col monastero francescano di Gorizia, Febo V lasciô morendo nel 1485 da sua moglie Lucia Ercoloniani di Udine, con un altro figlio ed una figlia, Giovanni Febo VI chiamato il Giovine, per distinguerlo da altro Giovanni, nato da Febo IV. Ma quanti furono i vantaggi raccolti da Febo V nelle con-giunture propizie in cui visse, altrettauti furono i danni e le scia-gure domestiche, da cui fu colpito Giovanni VI. I mutamenti avve-nuti al principio del cinquecento involsero anche lui nella procella scoppiata nel Goriziano per la guerra fra 1' Imperatore Massimiliano ' Arch, đi Duino, diplomi del 1457 e seguenti; le investiture conti-nuano ad ogni điscenđenza. ' Ivi, Pasqua del 1460, Gorizia; 1463, 11 aprile, Gorizia. Ivi, Quietanza dell'Imperatore fatta a Febo per quattro.anni di ge-Btione, 1453, 29 settembre, Graz. ^ Ivi, Apogr. A, dal 1447 al 1485, e la Repubblica veneta. E đi vero, morto 1'ultimo conte di Gorizia, sotto oui fu capitano rli Belgraclo e provveditore délia contea di Gorizia, di Raifemberga, S. Daniele, Vipacco, Comen e S. Giacomo ', Giovanni Febo dedico cou devozione la vita propria e quella dei figli a difesa délia causa imperiále. Nel 1509 fu eletto commissario per le vettovaglie dell' esercito coiidotto dal duca di Brunswick, nel quai ufficio sembra aver avute non pocbe difficoltà, avendo il gejieralissimo ingïunto ai Goriziani di essere ohhedienti e pron/i al suddetto délia Torre et che in cio in alcun modo non dehhano di-mostrarsi renitenti.... et dimostrundosi essi disobbedienti, il Duca sarebbe ohbligato di castigarli sopra la vita e la robba Giorgio, il meutovato ambasciatore di Massimiliano e cugino di Febo VI, potè uscire sano e salvo di quella guerra; non cosi Lodovico figlio di Febo, perito, com'ebbimo occasione di narrare ^ nel 1516 iti uno scontro presso Udiue. ^uesta iattura fu per Giovanni Febo tanto piii grave, per essere Lodovico a quel tempo l'unico suo iiglio, giovane di bellissimo aspetto e ď anirao ardito e generoso. Nè cio bastando, Tira del .uemico si volse anche sulle terre di Febo, e corne in Gorizia fu devastata la casa Torriana, a Vipul-zano fu preso dal proyveditore Marco Dolfin e dato aile fiamme il castello. Piii che gli oggetti preziosi rubatigli, Giovanni Febo ebbe a lamentare il vandalisme commesso nel suo archivio, di cui sterile documento rimane il processo sulle antiche memorie délia domi-nazione Torriana in Milano, rimaste disperse. Il Lampugnano ed il Ferrucci, che pur dalF archivio duinese attinsero in gran parte le loro notizie, a questo non hanuo posto attenzione \ Lodevole è la diligenza colla quale il conte Raimondo VI délia Torre, nipote di Giovanni il Giovane,/seppe supplire a queste lacune coi preziosi apografi per sua cura da ogni parte raccolti. Superflue è notare che sotto i due Giovanni seniore e iuniore continuarono a rinnovarsi le investiture dei feudi Torriani nella Gorizia e nel Friuli, tanto dal conte Leonardo, quanto dalV Imperatore Massimiliano, dall' Arciduca Ferdinande ď Austria e da Gorolamo Contarini luogotenente veneto in Udine. Morto Giorgio suo cugino, tutta V eredità di Febo V rimase raccolta nel solo ' Arch, di Duino, 1485, 9 febbraio, Gorizia. - Ivi, Apogr. £, bando del Duca di Brunswick 1509,18 agosto Gorizia. = Vedi pag. 288. j; cib non ostaňte che il Ferrucci, il quale monta colla sua genea-logia dei Torriani fino ad Adamo, sembri averla saputa più lunga ď ogni altro ! Giovanni il Giovane. Pero le divisioni e suddivisioni che fecero i discendenti di Febo IV delle sostanze dell' avo, porsero motivo a moite qiiestioni in cui entrarono come pacieii Gaspare Rauber, Stefano e Mattia Hofer ed altri loro parenti ed amici '. Moriva Giovanni Febo nel 1547 in grave età, dopo ď essersi sposato due volte. Dalla prima moglie, Paola dei Savorgiiani, egli aveva avuta Chiara e Lodovico; da Orsina ď Orzone Francesco e Febo (VIII). Lodovico si è già più volte rammentato; Febo arruo-latosi nella milizia délia Chiesa e vissuto santamente come cano-nico ď Aquileia, dopo d'aver rinuuciata F abbazia di Moggio ed ogni altra dignità offertagli da Ferdinando I, passô a miglior vita intorno al 1568. Rimaue quindi a parlare di Francesco e di Chiara, i quali coll' anello intermedio degli Hofer formarono 1' uno il ceppo maschile, l'altra il ceppo femminile da cui discesero i Torriani seguenti, venuti a Duino. Se quindi fin qua, parlando degli avi délia linea Torriana di Duino, abbiamo dovuto contentarci di pochi cenni, era cbe rientriamo nel nostro argomento, il Caslello di Duino, ragion vuole che allarghiamo la tela e che esponiamo più diffusa-mente quanto riguarda i délia Torre di Duino. ' L'amicizia coi Rauber proviene dai Luogar, parenti dell' una e del-l'altra faniiglia; Giovanni seniors aveva sposata Dorotea, iîglia del già nominato Nicolô Luogar capitano di Duino. B. DUPLICE PARENTELA DELLA TORRE-HOFER. -45xse>-— 1. Chiara della Torre-Hofer. Tessuta in quadri separati la genealogia e la storia delle due stirpi Šofer e àella Torre, vedemmo 1' una venire di Germania, r altra ď Italia; quella assidersi ne' suoi feudi intorno al castello di Kanzano (Rentschaoh) e, date preclarissime prove del suo valore, ottenere dall' Austria il governo ed il pegno della si-gnoria duinese; un ramo di questa fra lotte incessanti e supreme emigrare dalla sua patria, per ricovrarsi sotto 1' egida dei principi suoi parenti che ressero le sorti ď Aquileia; nobilitarsi quindi per nuove imprese in riva all' Isonzo e nelle provincie rette dalle scettro absburghese. Ora siamo al punto dove convergono le lines da noi tracciate: due rampolli preclari delle due case uniscono i loro nomi, e sulle mura del castello di Duino scolpiscono le armi della Torre-Hofer-Valsassina che il corso e le vicende di tre secoli non hanno ne abbattute nè cancellate. Doppio legame striuse le due famiglie, rinnovandosi nei della Torre-Hofer quelle ch' era avvenuto nei Duino-Walsee, i quali per due maritaggi resero più intima la lero unione. E COme dap-prima una Walsee era entrata in casa Duino, poi 1' ultima Duinate maritavasi ad un Walsee, cesi una Torriana ebbe dianzi un Hofer, quindi le ultime Hofer divennero mogli ď un della Terre. Gli uni come gli altri unireno insieme i loro blasoni. La prima Torriana venuta a Duine fu CMara, figlia, come apprendemmo nei capitole precedente, di Giovanni Febe VI o Giovanni il Giovine della Terre. Tutto quelle che dicemmo di lei iu altro luoge senza neminarla, dimestra 1' indole mite e religiesa di questa nobile dama, la cui esistenza fu amareggiata da innu- merevoli đomesticlie sventure. Benchè fatta sposa invidiata del valoroso cavaliere Giovanni Hofer, capitano di Duino nè il ma-rito nè i íigli nè il padre nè i fratelli le lasciavano aver pace un sol giorno. Il marito, tutto occiipato nelle guerre con Venezia e coi Turchi, la faceva tremare del continue per la sua vita, e i tristi presentimenti da cui fu agitata, crudelmente si avverarono, quando da intrepido capitano egli periva sotto le mura di Glissa. Altamente confitta le rimase sempre nelF animo la morte imma-tura di suo fratello Lodovico, i cui allori sanguinosi a lei non servirono mai di conforto. Mancatole il fratello e il marito, tanto maggiore divenne 1' angoscia pel padre, involto anch' egli nel turbine degli avvenimenti; nè alla madrigna poteva confidare le sue pene come le avrebbe confidate alla madré propria. Ma le mag-giori ambascie ella soffri per essere madré ella stessa di tanti iigliuoli, rimasti orfani del genitore quaudo gli ultimi vagivano ancora nella culla. Guida e sostegno di questi doveva essere il suo primogenito Mattia Hofer ^ bisognoso egli stesso di crescere ed educarsi sotto 1' autorita ed il freno del padre. Là dunque dove ella sperava conforto ai travagli sofferti, rinnovaronsi le sue piaghe ancbe più acerbamente. Risparmiata le fu almeno 1' ultima, di vedere Mattia stretto in carcere ed in pericolo ď essere condan-nato alla morto corne ribelle e come omicida. Imperocchè un anno prima (1546), dopo finita 1' educazione delle figlie, cesso di vivere a Trieste presse le due figlie monache Eufrasia ed Ambrosina, volendo aver il conforto ď essere sepolta con loro nella medesima tomba In casa Hofer Ghiara délia Torre aveva portato ancbe una parte délia cospicua dote di sua madré Pa'ola Savorgnano \ Dov' è da notare il contrasto di guerre e ď alleanze cbe fra i Savor-gnani e i délia Torre regnava a quel tempo; basta ricordare quello cbe avvenne ai Torriani di Udine per opera di Antonio Savorgnano il giovedi grasso del 1511 % Questi perô nel 1512 venne bandito e poscia ucciso e la sua facoltà coniiscata passo nel 1514 a Girolamo. Il possesso di Zuino, Fornelli e luogbi annessi ven-duto già dai Duinati ai Savorgnano ° rimase dalla parte austriaca ' Vedi pag. 290 e segg. ^ Vedi pag. 291 e seg. ' Vedi Epigrafi N. 22. ' Arch. di Duino, Ap. B. 1S30, 18 novembre Gorizia. ^ Vedi pag. 288. ° Yedi rinterruzione di possesso dei Savorgnano a pag. 250. e in orđine ai capitoli đi Vormazia veiuie i-estituito ai fratelli Fraucesco e Bernardino, nipoti ď Antonio i quali se lo divisero fra loro * 2. Francesco III della Torre. Col barone Francesco III della Torre, 1' altro figlio super-stite di Giovanni Febo YI, si apre un nuovo splendido periodo della storia Torriana, che va acquistando sempře più stretta attinenza con quella del castello di Duino. La nobile scbiettezza, l'aspetto signorile, l'oCchio penetrante che noi ravvisiamo nel ritratto di questo cavaliere, collocate nella gran sala di Duino, ci ferma quasi sonza volerlo in-nanzi a lui ed eccita un vivo desiderio di conoscere per minuto i particolari della sua vita. Ma l'immagine piîi fedele delle sue prerogative seppe egli medesimo dipingercela del suc epistolario e negli atti delle sue negoziazioni diplomatiche conservate nel-r archivio duinese. Nutrito con grande cura negli ameni studii delle lettere e nelle gravi discipline della giurisprudenza, come quello che per una non ferma salute e per le tristi esperienze domestiche non era inclinato aile armi, Francesco diedesi al servizio del principe quale suo consigliere di corte e di reggenza. Ciô non ostaňte, eccitato da Nicolo della Torre, capitano di Gradišća, che lo pre-dilegeva sopra tutti gli altri suoi parenti, e desideroso di tornare in patria, egli aveva chiesto di poter un giorno succedere a Nicolo nel capitanato. A questa dimanda 1' Imperatore Ferdinande non potè acconsentire, non essendo costume disporre degli ufficii prima che fossero vacanti; ma perô Francesco venne assicurato che le sue benemeren^e sarebbero in altra guisa ricompensate. E r occasione non si fece aspettare. Dopo le guerre di Massimi-liano I colla Repubblica veneta e l'incerta pace conchiusa, la quale per tanto tempo die' luogo ad infinite questioni di confine, le relazioni diplomatiche fra i due govern! rimasero tese per lunghi anni ed esigevano dalla parte dell' Austria e dell' Impero uomini esperti nei disegni tenaci ed avveduti di quella Repubblica, intesa ad allargare con tutti 1 mezzi il suo dominio e la sua influenza. ' Arch. Savorgnan, 1512; 1514; 1516; 1523, 8 agosto; 1525, 20 set-tembre; 1533, 20 agosto; 1534, 8 agosto; estratti avuti dalla cortesia del Cav. Collotta, Tale mostrossi Francesco délia Torre, che accoppiava agli altri pregi la esatta conoscenza delle cose locali del Friuli. Delia sua grande abilità tutti erano persuasi ; egli solo ne dubitava. 11 perché si arrese a malincuore ai desiderii di Re Ferdinande, dopo i caldi eccitamenti fattigli anche da Mattia Hofer, figlio di sua sorella. Venuto a Venezia nel 1558, il della Torre mando alla sua corte un esatto ragguaglio sugli uomini e sulle cose di quella Repubblica, il quale fu riputato di tanto valore, che 1' Arciduca Carlo, figlio deir Imperatore Ferdinande, alcuni anni dopo la morte del barone Francesco desidero averne una copia '. La giustezza e chiarezza delle sue vedute, accompagnata da instancabile operosità si manifesta in una serie di atti che qui sarebbe impossibile riferire. Mà per toccare almeno di cio che risguarda la provincia di Go-rizia e i confini vejieti, la Repubblica dopo ď essersi impadronita della fortezza di Marano, e il come si vedra piíi innanzi, cogliendo 1' occasione della massima strettezza in cui trovavasi 1' Imperatore per la guerra coi Turchi, andava insinuando al governo austriaco un progetto speciosissimo iu apparenza, perche avrebbe dato alia coiitea di Gorizia il confine naturale dell' Isonzo, e sedate le con-tese che nascevano ad ogni tratto per la sua incertezza. I lamenti dei commissarii ai confini, dei capitani di Gorizia, di Gradišča e di Duino erano continui per le usurpazioni e molestie che face-vano e recavano i Veneti; ordini severi venivano dati dalla reg-genza dell' Austria di rintuzzare 1' ardire dei confinanti, che il loro governo favoriva sottomano e sconfessava iu palese; ma nulla gio-vava. Duino particolarmente veniva danneggiato, perche le mer-canzie che dovevano arrivare da Gorizia a quel porto, quando giungevauo a Doberdô erano invece fatte condurre alia dogana veneta di Monfalcone. II territorio di Monfalcone, posto sulla riva sinistra dell' Isonzo offrivasi dunque dai Yeneziani all' Austria iu-sieme con qualche altro compenso, perche questa cedesse tutto cio che possedeva sull' altra sponda del fiume. Ma là era eretta ]' importante fortezza di Gradišća, che era 1' aspirazione precipua della Repubblica, dopo ď averla perduta nella guerra coiitro Mas-similiano. Fu merito dell' ambasciatore Torriano 1' avere stornato questo progetto, dimostrando alia reggenza dell' Austria la danno-sissima permuta che avrebbe fatta e la sproporzione del cambio, il il quale non che dare in mano ai Veneziani un si importante baluardo ' Arch, di Duiiio, Relazioiii del 1558. al confine, avrebbe portata anche la perdita dl settanta e più vll-laggi e giurisdizioui. Di cio irritata la Sigiioria, tanto fece, che r Austria dopo lungo contraste non potè impedire 1'erezione d'una nuova fortezza a PalmanoYa quasi ď accosto a Gradišća, dichia-randola i Veneziani necessaria per la difesa contro i Turchi, seb-bene in realtà dovesse serrire ad assicurare gli acquisti délia Re-pubblica a spese dell'Austria '. Cio peraltro avveniva sul finire del secolo, quasi trenť anni dopo la morte di Francesco, benchè fin dal suo tempo il senato ne avesse concepito il disegiio; di che il Torriano non aveva mancato ď avvertire il governo austriaco \ Somma destrezza dimostró l'ambasciatore cesareo.in un'altra occasione pochi mesi prima délia sua morte, quando ferveva la guerra colla Turchia e con Sigismondo Zapolia. Stando a Venezia, il délia Torre aveva piii facile occasions di tener iuformata la corte di Vienna dei movimenti ed apparecchi che si facevano a Costantinopoli,-vuoi per le relazioni che il senato veneto riceveva di là, vuoi per quelle che egli medesimo si procacciava diretta-mente da' suoi corrispondenti, per mezzo dei navigli che giunge-vano dal Levante La fama e il timore avevaiio immensamente esagerati gli apprestamenti del Turco; perciô in parecchie lettere il Torriano avvisa anche i capitani di Fiume e di Segiia del pros-simo sopravvenire délia flotta turca per atterrare quelle piazze e devastarne il territorio; 1' ambasciatore si lamenta inoltre dei Veneziani, i quali poco o nulla sembravano curarsi che nel golfo veneto potesse entrare il uemico délia Cristianità. Ma quello a cui egli attese particolarmente, fu di raccogliere in gran diligenza ar-tiglieri e gente ď arme nei diversi stati ď Italia per mandarli in Ungheria ; e sopra tutto gli stava a cuore di trovar abili ingegneri che potessero dirigcre i lavori delle fortificazioni. Se non che la non curanza apparente del governo veneto per 1' entrata dei Turchi nel golfo adriatico era ben calcolata, e i sospetti in cui stava 1'Imperatore volevano sfruttarsi per ritentare la prova ď allargare i confini a danno dell' Austria, ed in proporzioni ben piii ampie di prima. Un gentiluomo veneziano s' incaricb del negozio; dipinse al della Torre le condizioni delle cose coi colori più foschi; la for-midabile armata dei Turchi irritata sommamente dall'audacia degli Uscochi e già in pronto a metter vela pel Quaruero; le città e ' Arch, di Duino, Atti del 1559 e segg. ^ Ivi, Dispacci del 15 giugno e del 10 e 21 luglio 1566. ■■' lvi, carteggio di questo tempo. tutte le spîaggie dell'Austria suli'Adriatico in sommo pericolo; 1' Imperatore e 1' Arciduca Carlo impotenti a difenderle (e la cosa, a dir vero, avrebbe anche potato avverarsi); Venezia sola essere in grado di opporvi una valida resisteuza e difesa; quando dunque r Austria correva si grande rischio di perdere le sue provincie marittime, non era forse meglio oh' ella ne facesse una cessione verso equo compenso al domiiiio della Repubblica, vendendole le città di Fiume e di Segna insieme con Trieste, Gorizia e Oradiscaf La potenza veneta saprebbe difendere e guardare quei luoghi con immenso vantaggio d'ambe le parti e costituirsi autemurale del-r Austria dal lato del mare '. Conviene aggiungere che grande assegnamento faceva il senato anche sulle angustie del tesoro imperiále; e su queste fondava le sue sperauze ď adescare il della Torre colle sue proposte. Il legato cesareo strabilio udendo il traf-fico indegno con cui per via indiretta s'era bsato tentarlo; se non che per conoscere meglio la trama che si ordiva, dissimulé il suo sdegno e fingendo aderirvi, chiese di essere meglio informato delle condizioni che si sarebbero fatte. Guardossi in pari tempo di sve-lare, che la dieta germanica aveva già concessi all' Imperatore i sussidii richiesti e che- falsa era per allora, come frattanto aveva saputo di certo, la voce della venuta dei Turchi sopra Segna. Anche il senato pero non dovè tardare ad accorgersi quanto intempestiva fosse stata la sua proposta e visto, con chi aveva da fare, affrettossi a sconfessarla, daudo ordine al suo intermediario di non farne più parola. Con poche, ma stringenti frasi Massimihano rispose ai dispacci del suo legato: quod attinet, ad venditionem Goritíae, Ter-gesti ed aliorum nostrorum ac serenissimi et charisslmi fraíris nostri locorum mariiimorum, de qua Venetian quemdam nobilem tecivm secreto egisse, posfea vero eiusmodi actionem intercidisse scribis, non iinprobamus quidem intentionem tuam expiscandi et indagandi dieti Dominii consilium atque institulum, sed quia res est maximi momenti, diligenter cavendum erit, ne homines isti in spem aliquam erigantur, cuique, ut speramus, mollus unquam effectns consequetur, sicuti non ambigimus te in hac parte solitae et spectatae tuae pru-dentiae ac rerwn agendarum dexteritate nan esse defuturum ^ Un' altra questione politico religiosa, durata per secoli fra r Austria e Venezia, fu quella del Patriarca ď Aquileia. II terri' Arch, di Diiiiio, Relazione del della Torre a Massimiliano II, 5el4 maggio 1566. Ivi, Augusta, 24 maggio 1566. torio lasciatogli in forza della conveiiziune del 1445 con Lodo-vico Scarampo Mezzarota, per le vicende delle guerre passate era rimasto dalla parte austriaca; il Patriarca invece risiedeva in Udine, dominio veneto. Ad ambidue gli Stati premeva non solo acquistare il diritto di elezione a quella illustre metropoli, ma con-seguire altresi il vero dominio d'Aquileia. Dei tre Grimani, patrizii veneti, che vennero succedendosi in. quella sede, Domenico dopo alcuni tentativi fatti da lui medesimo, lasciô alla Repubblica il pensiero di difendere i suoi diritti su quel territorio, assicurati eziandio dai capitoli di Vormazia. Suc nipote iMarino aveva anch'egli motivo di lamentarsi che le convenzioni e la sentenza pronunciata dai commissarii di Trento nel 1535 venissero poco osservate, e intauto della libertà concessagli di visitare la sua Ckiesa profittava, corne lagnavasi 1' Austria, per mettere in sollevazione gli abitanti. Successogli nel 1546 Giovanni suc fratello, il Pontefice, da cui per ingiunzione del senato il Patriarca non voile ricevere le bolle, negogli il pallie e la porpora. Il Grimani, veduto che il senato lo abbaii-donava e rifiutavagli i suoi ufficii presse il Papa, si rivolse ail' am-basciatove cesareo Francesco della Tovre. Questa dissensions fra il Pontefice e la signoria veneta sembrô a Francesco non doversi trascurare per far pervenire alla dignita patriarcale sudditi au-striaci, valendosi delle medesime ragioni che adduceva il senato per insistere che il Patriarca, affine di provvedere al bene spirituále della sua diocesi, ristabilisse la sua sede in Aquileia. Otte-nuto questo, toglierebbesi l'ingerenza di Venezia nell' elezione. È chiaro che per diverse vie e 1'una e l'altra potenza mirava altresi alio stabile ed assoluto dominio di quel territorio. Perciô nuovi ufficii vennero fatti dai Veneziani presso i seguenti Pontefici, af-finchè i diritti del Patriarca sopra Aquileia venissero riconosciuti; conquistato Marano, come osserva il della Torre, avrebbero avuto in loro balia il porto e quanto appartiene aile giurisdizioni di quella terra. L' Austria dal canto suo continuava a vietare al Patriarca Grimani 1' accesso al suo dominio, quantunque il Pontefice dimostrasse la necessità ch' egli potesse liberamente attendere alla sua diocesi in quei tempi scabrosi, infettati dall' eresia L'Arci- ' Da un dispaccio del 13 luglio 1566, 'spedito dal della Torre all'Ar-ciduca Carlo, si raccoglie che il Patriarca aveva ricevuto un breve apostolico nel quale toglievasi la concessione fatta dapprima, della comunione sub utraque. Volendo il Patriarca eseguire 1'ordine, e spedire all'Arciduca la Jettera del Pontefice, Francesco rifiutossi di accettarla, invitandolo a mandargliela egli stesso e ad attenderne gli ordini, poichè io so, soggiunge l'ambasciatore, corne đuca Carlo stava per đisceudere a trattative, concedendo che ai Patriarch! si lasciasse il mero e il místo impero, purchè ricono-scessero il đominio austriaco sopra Aquileia e purchè a quel capi-tolo, ď onde voleva esclusa ogni iufluenza veneta, spettasse 1' ele-zioue del metropolitano. Ma intanto moriva Gregorio XIII e TAustria rimase in possesso ď Aquileia, mentre Veuezia continuava a farvi eleggere i suoi patrizii. Come sarebbero andate le cose se si fosse posto ad elfetto il cousiglio del Torriano, a cui s'informano in parte le pi'oposte dell'Arciduca Carlo, è difficile il dire; pero la gelosia di Venezia, non che continuare, sarebbe anzi. cresciuta. Non era passato gran tempo dacchè il barone délia Torre trovavasi a Yenezia, quando Ferdinando I comprese di poterlo adoperare con suo grande vantaggio in altra missione aucor piii scabrosa. L'inaudito avvenimento che uii monarca cosi potente quale fu Carlo V, si chiudesse in un ritiro c spoiitaueamente ce-desse la corona imperiále al fratello, non solo cominosse tutta 1' Europa, ma stava per dar origine a gravi complicazioni, per non essersi I'elezioue di Ferdinando I, che dichiaravasi irregolare, voluta riconoscere dal Ponteíice Paolo IV, e da principio neppure dagli ëlettori. Molto vi contribuirono 1' animo del Papa non incli-uato a Carlo Vel' ardito procedere dei protestanti che di mano in mano erano andati strappando alia dieta una concessione dopo r altra. Aggiungevausi le caiunnie sparse per Roma, massima-mente da un sacerdote spagnuolo già cappellano dell' aula imperiále, le quali avevano dipinto Ferdinando come aperto fautore deir eresia. Accusavasi inoltre V Imperatore di disporre a capriccio dei vescovati e di tenere presso di se un predicatore luterano; alia quale taccia aveva dato motivo la relazione di Massimiliano suo figlio con Volfaugo Schiefer alunno dello studio di Wittem-berga '. Finchè visse Paolo IV non poté quindi ottenersi ne che il Pontefice approvasse I'esaltazione di Ferdinando al trono imperiále, nè che ricevesse i suoi ambasciatori. Tale era la condizione delle cose, quando il Papa, dopo un governo di appena quattr' anni, venue in fine di vita. Uomo assai zelante e religiose, ma non sempře fornito di quella calma U Papa trattb con lui into v no a questo affare. Che anche la diocesi ď Aquileia, spedalmente dalla parte austriaca, si fosse risentita delle novazioni luterane, è cosa nota. Quanto al Ton-iano eglí coiisiderava ogni atto del Patriarca comc suggeritogli dalla Repubblica e perciô costantemente vi si oppoueva. I Arch, di Diiino, Atti del barone Francesco. eke sarebbe stata iiecessaria per amicarsi gli animi. L' impresa infelice tentata da lui di liberare 1' Italia dalla soggezioue spa-gnuola non fu suggerita da prudente consiglio; troppo fresca era ancora la niemoria del sacco di Roma, per poter dare ascolto allé suggestioni della Francia; laonde il Papa dovette cbiamarsi con-tento se, vinto nei primi scontri (a Palliano il 15 settembre 1556), poté ottenere dal Duca d'Alba la pace. Divulgatasi appena la voce cbe il Poutefice era gravemente infermo^ Francesco ebbe 1' ordine di star pronto a partire per Roma al primo annunzio della sua morte, affine di trattare coi cardinali e col nuovo Pontefice della confermazione di Ferdinando. Essendo Paolo IV spirato pochi di appresso (agosto del 1559), ecco presentarsi il Torriano immantinente al conclave, munito delle sue credenziali. La fama che 1' aveva preceduto e le sue forbite arringhe, in cui oltre a purgare il suo sigaore dalle accuse lan-ciate contro di lui, esortô i cardinali a fare un' elezione rispon-deute alia gravità della tempesta suscitata dall' eresia di Lutero, gli conciliarono gli animi siffattamente, che il sacro collegio e in privato ed in pubblico, dopo ď averlo riconosciuto come legato di Cesare, gli dimostro ogni benevolenza e favore. Lo ammise quindi al giurameuto solito darsi agli ambasciatori, commettendo al custode ed al governatore del conclave di valersi dell' opera sua in ogni contingenza. Ne il sostegno del rappresentante imperiále sem-brava superiluo in quei giorni, in cui tutta la città era andata a tumulto. Aperte le carceri ed invaso il palazzo dell' Inquisizione, dove a stento salvossi il Cardinale Michele (Alessandrino) Ghislieri, il futuro Pontefice Pio V, la plebe aizzata dai partiti trascorreva per ogni dove coll' armi alia mano, mettendo a fuoco ed a ruba quanto poteva. L'ira sfogavasi in ispecie contro il defunto Pontefice e contro i Caraffa della sua famiglia che, per istigazione degli Ascanio e dei Colonna, erano cerchi a morte; la statua di Paolo IV orribilmente mutilata, veniva tratta dal Campidoglio e condotta fra insulti ignominiosi per le vie piii frequentate e gittavasi quindi nel Tevere. Mentre infierivano questi disordini, non risparmiavansi neppure le ingiurie ed i sarcasmi alia Maestà dell' Imperatore e di suo figlio, il Re Massimiliano, i quali non si vede a dir vero come ci entrassero. Fino al Natale di quell' anno durô il conclave, dal quale usci eletto col nome di Pio IV il Cardinale Giovanni Angelo de' Medici milanese, uomo letterato, di placida indole cd esperto negli affari. Da lui fu accolto il đella Torre cou grande benignita e il Papa non mancô di rammentargli che Ferdinandů era stato il pro-tettore suo e délia sua casa, quand' egli si trovava in più umile fortuna; lo assicurava ctie anche per l'avvenire avrebbe avuto r Imperatore per buon amico e per suo braccio destro in ogni bi-sogno, dando facoltà al délia Torre di scriyere queste cose al suo sovrano. Pero avvicinandosi il giorno délia incoronazione del Papa, il Torriano insisteva per essere solennemente ricouosciuto ancte dal Papa come ambasciatore del suo principe, e perche questi ve-nisse neU'Impero coiif'ermato; ciô essere necessario per occupare in quella cerimonia il luogo che gli spettava. Eispose il Ponteiice non potersi ciô fare senza raccogliere il ooncistoro, per udire sopra si grave negozio il parere dei cardinali, ma prometteva che vi fa-rehhe ufficio taie da dimostrare a Ferdinanda il desiderio che aveva di compiacerlo. E mantenne la sua parola; la confermazione del-r Imperatore venue di comune consenso approvata, dopo che il suo legato con nuova e lunga memoria ebbe esposto al Papa la con-dotta di Ferdinandů, facendo vedere quanto ingiuste erano state le accuse portate contro di lui dai maligni. Con ragione e con or-goglio potè quindi Francesco riferire ufficialmente al suo principe e privatamente a suo nipote Mattia Hofer la felice riuscita délia sua ardua missione ed abbaudouar al cugino di sua moglie, il conte Prospero ď Areo, il posto di Eoma, per tornare ail' amba-sciata di Venezia dopo nove mesi ď assenza '. Dagli atti di Francesco si raccoglie altresi con quanto splendore egli abbia sostenuto il suo iucarico, facendo onore non meno alla corte impériale, che al proprio illustre casato. E degno rappresentante délia Oesarea Maestà niostrossi anche aile altre corti dei principi italiani, aile quali si condusse o in occasione di nozze, come fu a Mantova, o per visitarle a nome di S. M. e degli Arciduchi. E dappertutto riceveva testimonianze di affetto e di stima; tanto che anche il duca di Firenze non seppe a chi meglio di lui raccomandare i suoi inviati al Pontefice, Pandolfo Stufa Ve-scovo di Pistoia, Giovanni Strozzi, Pier Gapponi, Lione de' Nerli ed Agnolo Guicciardini ^ Ma a parlare dell' ambasciatore Francesco partitamente troppo maggiore spazio si richiederebbe, e non m'è quindi con- ' Ai-ch. di Duiiio, Dispacci del 1559 e 1560. ^ ivi, Lettere varie. cesso di ragîonare intorno aile sue uiemorie suUa Turchia, sulla Spagna, sulla Francia, suli' Italia; di quaiito egli opero a fa vore dei Triestini e dei sudditi austriaci; delle altre commissioni straor-dinarie ricevute dal principe; di cio che risguarda le cose^ ecclesia-stiche 6 particolarmente il coucilio di Trento; del suo carteggio coi personaggi piii chiari del suo tempo e di tanti altri non lievi argomenti, che spero poter esporre a parte in altro scritto. Se nou che quanto operosa, tanto fu breve la vita di questo espertissimo diplomatico, di oui il Morelli ' ad ogni volger di pagina va illustrando la memoria. Affievolito nella salute dalla troppa assiduità del lavoro ed afflitto dall' amarissima perdita délia moglie, contessa Laura ď Areo egli la segui nel sepolcro dopo appena quarantacinque giorni. Nel luglio del 1566 egli era intervenuto quale commissario imperiále ad un collegio di giureconsulti di Padova, per defiuire la controversia insorta ira il duca di Mautova e la città di Casale, intorno a cui nel secolo seguente fa sparso tanto sangue. Infermato a Padova, a grave stento fu ricondotto a Venezia, ed ivi chiuse in pace i suoi giorni nella fresca età di quarantasetť anni. Fu sepolto con sua moglie a Gorizia nell' esterno délia chiesa di S. Francesco, dove a loro ed agli avi precedente-mente ivi deposti da Raimondo VI fu fatta costruire una tomba ^ La Repubblica ,per vera stima, piii cbe per costume, ono-rollo di solennissimi funerali, a cui furono presenti il Doge Pietro Loredano, il senato e tutto il corpo diplomatico. Bernardino Feli-ciano, uno degli illustri oratori di quelF età, ne tenne la lauda-toria orazione pubblicata poi per le stampe, prendendo per testo il célébré ikiotto: fortes creantur fortibus et bonis. Nè minore fu il concetto ch' ebbero del barone Francesco délia Torre gli uomini di lettere; lo stesso mordacissimo Lazio, storiografo di Ferdinandoi ' Saggio starica délia Cantea di Gorizia. ' I conti d'Arco, parenti non meno degli Hofer che dei Torriani e che ancora ineontreremo, ebbero nel 1186 in feudo dal Vescovo di Trento larôcca d'origine romana da loro denominata, che stà sopra la piccola città d'ugual nome non lungi da Riva di Garda, dove oggi sorge la suntuosa Villa di S. A. I. l'Arciduca Alberto ď Austria. Sembra che la famiglia, oriunda dalla Baviera, traducesse iJ suo nome tedesco di Bagen nel corrispondente italiano. Certo è ch'essi furono fra i più poteuti signoři di questa parte del Tirolo e fino dal 1221 ebbero dall'Imperatore Federico II il titolo di conti. Celebri sono Cubitosa, figlia di Kipraudo d'Arco, Nicolô, il conte Antonio coi due flgli Galeazzo e Francesco, che nel 1438 presero parte alla gucrra di Milano contro i Vene-ziani ed altro Mcolô (1479-1546) elegante poeta latino ed oratore, amico di Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II). ^ Testamento di Eaimondo VI, 4 maggio 1617. non trovo se non parole ď encomio per la somma cultura di lui, che i letterati sempra amo e protesse e con Bernardo Tasso fu in istrettissima corrispondenza epistolare. Degne di memoria sono anche le parole di compianto che scrisse in questa occasione 1' Imperatore Massimiliano II ad Alfonso Soldanerio, segretario del barone délia Torre. »Ricevemmo, dice egli, le tue lettere del 10 ed 11 dello spirante mese d'agosto, nelle quali ci dai 1' annunzio doloroso della malattia e della morte poco dopo seguita del fu nostro Consigliere ed Oratore Francesco libero barone della Torre e di quant' altro v' ha attinenza. La mancanza ai vivi del predetto già Nostro Oratore ci ha colmati di partico-lare mestizia, imperciocchè abbiamo perduto in lui un ambasciatore sommamente caro e provato per la sua fedeltà, per la sua solerzia e diligenza, e per la massima destrezza nei negozii. II perché non Ci sarà grave di ricevere anche gli orfani figli ch' egli lascia, nella Kostra grazia cesarea, ed in ogni luogo ce li terremo sempre be-nignamente raccomandati. Se piacque a Die Ottimo Massimo porgli un cosi breve termine di vita, è necessario che anche Noi ci ras-segniamo alla divina Sua volontà« Uguali espressioni di Iode ç di rammarico usava 1' Arciduca Carlo Un fatto che non saprei se ascrivere a Iode od a biasimo di Francesco della Torre, è ch' egli non curossi gran fatto di quei titoli che il comune degli uomini tiene in tanto pregio e ricerca talora con febbrile avidità. Consapevole di discendere da uno dei più illustri casati ď Italia, il quale non aveva bisogno di diplomi che ne autenticassero la nobiltà, e persuaso eziandio che 1' uomo inalza od umiHa sè stesso colle sue proprie azioni, egli lasciava da parte ogni altro titolo nobiliare conferitogli, e solo per eccita-mento di Nicolô della Torre s'indusse finalmente a scriversi Uiero harone, per non sembrare di sgradire i favori ottenuti da' suoi principi ^ E di vero, già nel 1551 1' Imperatore Carlo V, considerando che il trono e la dignità imperiále ricevono splendore e decoro dalle nobili schiatte; che meritano ď essere inalzate particolar-mente le prosapie discese da avi illustri per nobiltà e servigi resi air Impero; che fra queste primeggiava il casato dei della Torre e in modo speciále il nobile caro e fedele Nicolo libero barone della ' Arch. di Duino, Lettera del 26 agosto 1566; l'originale è latino. ^ Ivi, Lettera dell'ultimo agosto. ' Ivi, Garteggio con Nicolô della Torre. Torre, consigliere del Re Ferdinando e capitano di Gradišča, non meno che Francesco e Febo liberi baroni della Torre suoi ciigini; che fedelissimi ed utilissimi furono i servigi prestati da Nicolô al defunto Imperatore Massimiliano suo avo, a lui stesso ed al Ee Ferdinando suo fratello, al sacro Impero ed ali' eccelsa sua Casa taiito in guerra, quanto in altri difficilissimi negozii, non rispar-miando nè la propria vita nè le proprie sostanze; che non meno gradite e fedeli furono le prestazioiii degli altri della Torre nomi-nati; avuta altresi relazione cbe gli avi dei della Torre già molto tempo innanzi furono conti e signoři in Italia, e parecchi ancora si scrivevano conti di Valsassina ecc. ma che i sopranominati baroni della Torre negli stati germanici non fecero uso del titolo di conti; per tutte queste ragioni trovavasi indotto a creare come creava di fatto essi e tutti i loró discendenti legittimi maschi e femmine per tutti i tempi Conti del S. R. Impero. Concedeva perció a Nicolb libero barone della Torre a' suoi due cugini Francesco e Febo ed ai loro discendenti in perpetuo di nominarsi e scriversi conti e contesse in tutti i paesi tanto di Germania quanto ď Italia, aggiungendo questo ai loro titoli -primitivi ed ereditarii; ed ordinava che come conti del S. R. Impero fossero da ognuno riconosciuti, investendoli in pari tempo di tutte le immunità, privilegi e diritti che al loro rango spettavano,. salvi i diritti cesarei e quelli della sua Casa '. Che i signoři della Torre si chiamassero baroni anche prima di questo diploma, 1' abbiamo già veduto; dal medesimo appren-diamo altresi che altri si chiamavano conti. Ora mentre ai tre nominati Torriani 1' Imperatore conferiva anche il grado comitale deir Impero (ed altri 1' ottennero con altri diplomi), egli stesso già li chiamava liberi baroni ed approvava che al titolo nobiliare di'conti aggiungessero gli altri primitivi ed ereditarii. Dell' arma ch' essi porta vano. Carlo V non ha bisogno di far menzione, siccome quella che non veniva nè mutata nè aumentata. Essa è la seguente: Scudo semipartito-spaccato: • nel primo ď azzurro, a due scettri gigliati posti in croce di S. Andrea ď oro, accompagnati in punta da un giglió dello stesso; nel secondo ď argento,. alia torre di rosso ; nel terzo ď oro, al leone di rosso, la coda biforcata, e coronato del campo. Corona comitale. ' Arch, di Duino, Diploma del 1551, 6 novembre, Innsbruck. Arma dei Conti délia Torre Valsassina. Ma benchè già Carlo V avesse inalzati i tre Torriani an-zldetti al grado comitale e riconoscosse in loro il baroiiale, nuova confermazione di quest' ultimo ottennero i due fratelli Francesco e Febo délia Torre da Ferdinande I Re dei Romani nel 1554, quando ancora non aveva conseguita la corona imperiále. I motivi ch'egli adduce nel suo diploma, per fare questa spontanea concessione, sono più espliciti di quelli addotti da suo fratello r Imperatore. Dopo le solite considerazioni generali egli soggiunge: »Ed essendosi esposto con testimonianze degne di fede, siccome anche Noi abbiamo di cio graziosa notizia, cbe il nome e la stirpe dei délia Torre ab antico dériva da nobile e lodevole prosapia e che seconde le vétusté scritture ed istorie di Lombardia e ď altri luogbi furono già in grande e sublime dignità e signoři délia città di Milano e d'altre terre e luoghi circonvicini e conti e signoři di Valsassina; e che per tali sono stati tenuti e reputati; ma che per mala sorte ed infortunio, e per essere stati perseguitati dai loro nemici, vennero per forza di guerra cacciati dai beni e dalla patria loro; sicchè vennero poi ad abitare in esteri paesi e nel Friuli, diportandosi -nondimeno sempre ed in ogni loro azione no-bilmente e da cavalieri, di guisa che in ogni tempo si sono anche imparentati con conti, signoři, cavalieri, nobili ed altri personaggi dei pili reputati, conservando la loro dignità in buon credito e con-siderazioiie; ma che perô in questi nostri dominii e nella Germania non hanno usato alcun titolo, tranne il defunto Giorgio délia Torre e parimente Nicolô délia Torre nostro consigliere e capitano di Gradišča, i quali usarono il titolo e grado di baroni; abbiamo graziosamente considerate questa antica, nobile e lodevole discen-denza del nome e stirpe ď essi délia Torre e gli utili, onorevoli e grati servigi ch' essi hanno reso costantemente ai nostri prede-cessori Arciduchi ď Austria e Conti di Gorizia di felice memoria e successivamente a Noi, corne anche oggidi fa Francesco délia Torre consigliere délia nostra reggenza e farà in avvenire insieme con Febo délia Torre suo fratello. Per tutte le suddette ragioni abbiamo con maturo e meditate consiglio e motu propria fatta questa singolar grazia ai detti Francesco e Febo délia Torre, di crearli, come li creiamo nuovamente per 1' avvenire, ed esaltarli in perpetuo insieme coi loro legittimi eredi e discendenti maschi e femmine »Baroni e Baronesse, aggregandoli e coequandoli al nu- mero e consorzio di nativi Baroni e Barouesse del S. R. Impero e delle altre nostre provincie e principati Delle avite sostanze e dei feudi passati in lui Francesco con testamente del 10 agosto 1566 non assegnô eho la dote aile figlie e lasciè erede universale 1' unico maschio Raimoiido (VI), avendo pregato Febo suo fratello di cedere al medesimo anche la sua parte, per essere già provvcduto di una pingue pensione ottenuta dal Pontefice Pio IV. Dai contratti di Francesco apparisce eziandio la compera di Sagrado fatta da lui nel 1556, e il suo testamento ricovda fra gli^ altri diritti q-uello sulla gabella di Lubiana, il quale dev'essere stato di grande rilevanza, se da esso vennero tratte in gran parte le doti delle figlie. L'inventario de' suoi mobili ricorda, oltre il ricchissimo vasellamo d'argento colP armi Torriane e le gioie e gli oggetti preziosi, una importante collezione di monete Torriane, che il tempo iiividioso non ci ha coiiservate. Le grandi costruzioni ideate da Francesco dopo 1' inceiidio di Castelluto, e la couvenzione fatta coi Codroipo pel possesso coiitrastato di Flambro, rimasero ineseguite per la sua morte immatura; solo Vipulzano, ch' egli elesse a sua dimora, risorse dalle ceneri più grandioso di prima. In Eaimondo VI délia Torre passarono anche il rctaggio cospicuo che il barone Francesco aveva avato dal cugino Nicolô, ed altri beni di cui gli aveva fatto donazione la moglie di quello, Caterina di Prodolone. Essendo essi rimasti senza discendenza, tutta la linea maschile dei Torriani di Duino rimase rappresentata dal solo Raimondo. Grave contraste perô nacque fra gli esecutori te-stamentarii di Francesco, délia quale profittô Mattia Hofer per tirare a sè la tutela del giovane Raimondo e pigliare in mano tutta r amministrazione délia sua facoltà. Ma prima di ragionare di Raimondo VI non possiamo a meno di dar conto anche del ramo duinese che rimase estinto colla morte di Nicolb délia Torre, tante volte già nominato. 3. Ramo duinese collatérale. Rifacciamoci indietro ď alcuni passi fino ad Ermacora III \ il quale, come vedemmo, ebbe duo figli; da Tommaso il primoge-nito proviene il testé nominato Raimondo; 1'altro, Febo IV.è ' Arch, di Duino, Diploma in data di Vienna 7 agosto 1554, ' Yedi pag. 316, quelle délia cui discenđenza rimasta estinta dobbiamo ora breve-mente occuparci per conoscere meglio cbi fosse Nicolo della Torre, iutimamente legato coll' ambasclatore cesareo, il barone Francesco. Feho IV detto il Vecchio, ottenuta la confermazioiie delle investiture feudali ancbe a uome de'suoi nepoti i figli di Tom-maso ebbe pure da Federico III Ke dei Eomani in affitto il capitanato di Pisino coi castelli di Fraiana, Lavrana e Berscbez ^ Fu anche consigliere e capitano di Gorizia e del Oarso, la qual carica poi cedette per ordine del conte Giovanni di Gorizia a suo nipote Febo il Giovane Come capitano di Pordenone ricevette dall' Imperatore, Federico, in premio de subi fedeli e generosi ser-l'igi, in ispecie nel tempo ch- egli (Federico III) era assediato dal Duca Alberto ďAustria nella sua imperiále residenza di Vienna, il feudo della villa di Comeu e la décima di S. Giacomo nel Carso con tutte le sue adiacenze, come già le avevano possedute i conti di Cilla \ Sappiamo di fatti che Febo IV venuto alla corte deir Imperatore si tenne fermo dalla parte di Federico III, quando, scoppiata la scissura fra lui ed Alberto VI suo fratello, grau numero di vassalli, Mattia Corvino, Giorgio Podiebrad, ed i cit-tadini stessi di Vienna dicbiai'atisi per quest' ultimo, assediarono Federico III nella sua reggia. Meritô quindi Febo di essere anche creato cavaliere dalle mani stesse dell' Imperatore. Dalla contessa Dorotea Collalto Febo IV lasciô nel 1484 tre Ëgli, dei quali, essendo Tommaso e Mattia morti assai giovani, rimase Giovanni il VeccMo illustratosi sommamente negli ufficii civili e come oratore cesareo. Cominciô egli col servire il conte di Gorizia quindi venue onorato dall' Imperatore Massimiliauo I. di incarichi importanti; ë primamente trattô qualé pleni^otenziario pressso il conte Leonardo di Gorizia gli affari dell'Austria nelle difficôltà cbe il conte ebbe coi Veneziani, essendo la šuccessione di Leonardo assicurata agli Absburgo. Di là venne mandato agli stati della Croazia che tumultua/riamente incUnavano a sottoporsi Gorizia. ' Arch. di Duino, 1457, sabato đi Passione, Gorizia 1471, 13 dicembre, ^ Ivi, 1447, giorno di S. Erardo, Vienna. ' Ivi 1458, Gorizia. * Ivi, 1463, primo giorno dell'anno, Neustadt: il Ferrucci scambia S. Giacomo al Carso con Duino e S. Giovanni al Carso. ' A nome degli altri suoi parenti ottenne dal conte di Gorizia e dal luogotenente veneto ď Udine i feudi Torriani. Ivi 1484, 10 agosto, Lienz (Ti-rolo); 1484 12 marzo, Lienz; 1484,19 ottobre Udine; 1485, 2 marzo, Udine. Rin-novô poi le investiture sotto Massimiliano nel 1501, giorno di S. Uldarico, Gorizia. al giogo del crudelissimo et superMssimo tiranno, per ritenerli in fede et devotione verso S. M. Più difficile ancora fu la sua mis-sione presso il Gran Turco, di cui parlano a lungo le sue relazioni e che offrirebbero materia di trattarne a parte. Massimo onore egli ebbe, quando dopo la partenza di Carlo VIII di Francia dal reame di Napoli, venue mandato come oratore al Re Federico di Sicilia. Questi gli diede un segno particolarissimo della sua stima, nella lettera che gli accompagnava il diploma di cavaliere dell' ordine del Grifone. Dopo ď averlo chiamato nell'indirizzo Magnifico Milite Giovanni della Torre, consigliere cesareo ed amico nostro ca-rissimo, nel testo gli dice: »vorremmo poter dimostrarvi 1'am ore che abbiamo per vostra Magnificenza con una signiiicazioue mag-giore, come richiedono i vostri meriti e il sommo affetto verso di voi e la condizione nostra; ma non potendo fare di piii in tanta distanza di luoghi, spedimmo al nostro oratore Francesco dei Monti il privilégie da consegnarvi a nostro nome, aggiungendo r attestazione della propensissima volontà nostra di gratificare a vostra Magnificenza in ogni cosa. La Magnificenza vostra vorrà pi'estar fede indubitata allé parole del nostro oratore, essere noi disposti a promôtterle tutto quello ch' è ď aspettarsi da Principe amantissimo« L' ordine del Grifone è descritto colle parole se-guenti : »Idcireo Vos Magnificum Joannern Amprisia slolae Candidas cum liydriis et monili, seu torque aureo cum gryphe pendente in dicto monili in laudem et honorem Beatissimae Virginis a Se-renissimo D.no Ferdinanda de Aragonia clarae memoriae, excel-lentissimo Rege Aragonum, Sicillae etc. proavo nostro instituta, harum tenore de voluntate nostra ac motu proprio donamus . SERANI ANN L AER . XXVI HIC SITVS EST H . EX . T LOG . MON INER . P . X . P . X Tempo Romano. 3. 301-350. Duino. Lapide rinvenuta nel castello presso la torre V anno 1869 e deposta nella Sála dei Cavalieri. VICTO . IMP .. CAES OCLETIANO . PIO . FEL NT . MAX . TRIE . POT . Ill RO . COS . ACILIVS . CLARVS AL . DEV . NVM . MAI . EI (Magno et in)victo Imp(eratori) Caes(ari) (Aug. Di)ocletiano Pio Fel(ici) (Po)nt{iiici) Max(imo) Trib(unicia) Pot(estate) III (Cos. [cioè tertium Consul]) (P)ro Co(n)s(ul) Acilius Claras (H. V. F. [hoc voluit fieri]) Dev(otus) Nuin(ini) Mai(estatique) ei(us). Chiesa di S. Giovanni presso Duino. Tre iscrizioni sopra tavole di marmo greco che eircondano il Tabernacolo délie SS. Béliquie dietro VAltare Maggiore. 1. Sopra il Tabernacolo. Postquam mortalem dignatus sumere carnem Est incarnatus Christus de Yirgine natus Anno milleno centeno iam revoluto Decimus et ternus finem cum sumeret annus Evangelistae celebrans solemnia Lucae Abbas magnificus Joannes nomine dictus Strenuus atque pius omni bonitate repletus Lecto prostratus nimio somnoque gravatus Aspicit opimum secum consistere virum Qui sibi post multa quae contulit intulit ista Tolleret ut Sanctos qui sunt sub cespite clausos Conderet ac digne vellet si vivere longe Qui mox haud lente complevit cuncta repente Et facta fossa Sanctorum conđidit ossa Nomina si quaeris lector qui carmina legis Postponendo moras subscriptas perlege notas 2. A sinistra del Tabernacolo (lato dell' Epištola). Ossa Beatorum sunt hie conclusa piorum Baptistae Christi simul alteriusque Joannis His sunt coniuncti meritis ac munere digni Stepkanus et Blasius nec non Georgius almus Atque manu fortis Laurentius additur illis Hos hie Germani quondam sollertia clari Hungaricum Regem formidans valde furentem lusserat abscondi magno studioque recoudi Sic per quingentos vel forsan amplius annos Non potuit sciri fuerint qua parte locati 3. A destra del Tabernacolo (lato del Vangelo). Sed Vodolrici Patris Omnipotentis amici Pontificis Summi lenis nimiumque benigni Virtutis pleni cunctis viciis alieni Per lacrimas multas quas Christo fudit amaras Atque per innumeras studnit quas pascere turbas Tempore sunt ossa Sanctorum rite reperta Qui Sauctos coluit se sicque colendo beavit Quod iam cum Sanctis maneat sibi vita perennis Padova. Sopra ponte falbricato da Pagano I. figlio di Martino U Gigante leggevasi: QUINQUE . MINUS . ÁNNIS . SUMPTIS . DE . MILLE . DUCENTIS ATQUE . RELIGIONIS . ERGA . CELEBERRIMUM . DIVI . BENEDICTI COENOBIUM . ASTRUI . PARITER . CURAVIT SEDIÏIOSIS . INDE v EXPULSIS . CIVIBUS . INTER . QUOS FAMILIA . CUI . A . SANCTO . PETRO . COGNOMEN . FUIT 1241. 7. Milano. Epigrafe sulla toniba di Pagano II della Torre nél sepolcreto Torriano di Chiaravàlle. Caratteri gotici. Magnifions populi dux tutor et Ambrosiani Robur iustitie procerum juhar area Sophie Matris et Ecclesie defensor maximus aime Et flos totius regionis amabilis hujus Cujus in occasu pallet decor ytalus omnis Heu de la Turre nostrum solamen obivit Paganus latebris urnae brevi? utitur istis MCCXLI die VI lan. obiit dictus Dominus Paganus de la Turre Potestas Populi Mediolani È posta sotto la torre dipinta in color rosso. Oggi, distrutti i monumenti, disperse le spoglie, non rimangono che l'iscrizione accennata e la se-guente, ripulite per cura del Principe Guglielmo di Thum-Taxis di Ratisbona. 1263-1265. 8. Ivi. Caratteri gotici. Hic iacet Martinus de la Turre Potestas Populi Mediolani. Obiit MCCLXIH. XX Novembris. Hic iacet Dominus Philippus de la Turre Frater Et Potestas populi Mediolani. Obiit MCCLXV. XXIV Septembris. Hic iacet Dominus lacobus de la Tun-e Pater dictorum Dominorum et Domina Mattbia Mater eorumden. Sotto vi hanuo quattro campi col leone, i gigli astati decussati, l'arma, del popolo milanese (credenza di S. Ambrogio) e la torre, Milano. Nella chiesa di S. Francesco, ora eonvertita ad altri usi, esisteva la tomba gentilizia dei della Torre, dove fu deposto anche Alemanno Capo-stipite della linea di Biiino, colla seguente epigrafe allato all'Altare della Vergine. lACET . PROPE . ET . SUB . HAG . ARA HERMANNUS . MARITUS . VICTORIAE . SCALIGERAE PRINCEPS . MEDIOLANI . COMES . VALLIS . SAXINAE . ETC. SEPULCRUM . NOBILISSIMAE . GENTIS . A . TURRE . ET . HAEREDUM OBIIT . ISTE . DOMINUS . X . DECEMBRIS . ANNO MCCLXXII II manoscritto di Raffaele Fagnano pone la sua morte nel 1265. 1299. 10. Udine. Nella Sala delVEpiscopio. RAIMUNDUS . TURRIANUS . MEDIOLANENSIS EX . EPISCOPO . COMENSI . A . GREGORIO . X . SUM. . PONT. PATRIARCHA . AQUILEIENSIS . FACTUS PATRIARCHALIS . AULAE . REGIUM . SPLENDOREM MAGNIFICENTISSIMIS . AEDIFICIIS UTINI . PRAECIPUE . AMPLIFICAVIT 1310. Aquileia ndla Cappella Torriana di S. Anibrogio. — Sopra la tomba di Allcgranza de Eho, madré del Patriarca Gastone della Torre. HIC . lACET . NOBILIS . DOMINA . ALLEGRANTIA . NATA DE . RHAUDE . DE . MEDIOLANO . UXOR . NOBILIS . VIRI DOMINI . MUSCAE . DE . LA . TURRE . MATER . DOMINI CASTONIS . BONAE . MEMORIAE* . PATRIARCHAE . AQUILEIENSIS Firenze. Inscňzione che moisi esistesse sídla tomba di Gastone della Torre Patriarca â'Aquileia, nel tempio di Santa Croce. Plange tuam de la Turre parens, domus inclyta, prolem: Plange tuum, tu sole carens, Aquileia solem. Sol rutilans Castonus erat, tuus Mc Patriarcha: Sol rutilans hac, ecce, iacet contextus in Archa. Ter senis annis coniunctis mille trecentis Lux fuit Augusti sex bina dies morientis. Qui legis, ut vivas, fuge vivens res fugitivas: Dum patet hora fugae, de Babylone fuge. 1318. 13. Udine nella Sala delVEpiscopio. CASTONUS . TURRIANUS QUEM . AB . ARCHIEPISCOPATU . MEDIOLANENSI AD . PATRIARCHATUM . AQUILEIENSEM . lOANNES . XXII . PONTIFEX . MAXIMUS . KETULIT EAYMUNDI . PATEIARCHAE GENTILIS . SUI . GLORIAM . AEQUASSET NISI . LAPSU . EQUI DUM . AQUILEIAM . CONTENDIT OCCUBUISSET MCCCXVIII 1332. 14. Ivi. PAGANUS . TURRIANUS EX . EPISCOPATU . PATA VINO . CREATUS . PATRIARCHA PRAEREPTAM . A . MORTE . OASTONI GLORIAM . RECUPERAYIT ET . PATRIARCHALEM . AULAM INSIGNIUM . LITERIS . VIRORUM . CORONA EXORNAVIT Ivi. LUDOVICUS . TURRIANUS . SEX . TOTOS . ANNOS QUIBUS . FUIT . IN . PATRIAKCHATU . CONSUMPSIT IN . PROPULSANDIS . VIRIBTJS . RODULPHI . DUCIS . AUSTRIAE ALIORUMQ. IN . SE . AEMULATIONE . POTENTIAE CONCITATORUM . PRINCIPŮM 1430-1444. 16. S. Giovanni presso Duino. Sul pavimento del tempio: in earatteri gotici, giranti intorno alia tomba. Anno . Domini . MCCCCXXX . in . die . S . Anđreae Apostoli . obiit . Nob. . Vir . Georius . Reichenburg Item . anno . Domini . MCCCCXLIV . obiit . Nob. Domina . Martha . Ungnadin . Uxor . Domini lohannis . Reichenburg . Capitanii . tunc . temporis . in . Tuba 1431. 17. Firenze. Nei Mmeo Nazionale (Bargello) appena šalita la scala della Corte. — Sntto uno scudo portante nel canipo sinistra la torre, nel destro gli scettri gigliati decussati, havvi la seguente epigrafe: Clar. ac Integerrim. lurisconsultus et Nobilissimus equestris Ordinis Vir Amicus ex Turri Insigni et generosa Mediolanensis Urbis Familia ob res memoria iuste pieque in hac Urbana Praefutura gestas hoc in signum statui sibi imperavit MCCCCXXXI 1478. 18. Venezia, nella distrutta Chiesa di S. Bomenico (Vedi Em. Cicogna, Iscrizioni Veneziane Vol. I. pag. 143). SEPULTURA . OPTIMI . VIRI PETRI . DE . LA . TORRE . QUONDAM . NICOLAI ET . SUGRUM . ÏÏEREDUM DIE . XX . MENSIS . lANUARII . MCCCCLXXVIII S. Giovanni presso Duino. Sopra la porta maggiore del tempio. T . D . E lOHANNIS HOVAR CÀPITANEUS Dumi HIC . IN . HONOREM . HEREMITAE . EST CONSTRUCTA . ECCLESIA . lOHANNIS BAPTISTAE ANKO . DOMINI . 1519 . 12 . MAII M. . STEPHANUS 1586. 20. Milano. In S. Pietro in Corte doveva esistere il sepolero dél Cardinale Michele délia Torre Vescovo di Ccneda, con questa semplicissima epigrafe: MICHAEL . CARD. . A . TURRE EPISCOP. . CENETENSIS ANNO . MDLXXXVI 1557. 21. Gradišča. Nella Chiesa parocchiale, sul sepolero di Nicolo délia Torre. D . G . M. NICOLAO . TURRIANO 10 . F. . DOMO . GORITIA EQUITI . BARONI . COMITIQUE MULTIS . MAIORUM . IMAGINIBUS . CLARO CAESARIS FERDINANDI . A . CONSILHS ET . UTRIUSQUE . MILITIAE . MAGISTRO . ARCIS . GRADISCAE . IN . CARNEIS . PRAEFECTO , CUM . ANTIQUIS . OPTIMAB . REIPUBLICAE DUCIBUS . BELLI PACISQUE . ARTIBUS . COMPARANDO QUI . VIXIT . ANNOS . PLUS MINUS . LXVHI ET . CATHARINAE . PRODOLONAE . UXORI EIUS . UNANIMI . ANTIQUI . EXEMPLI ET . PUDICITIAE . MATRONAE QUACUM . CONIUNCTISSIME ANNOS . FERE . XXX . VIXERAT FRANCISCUS . TURRIANUS . PATRUO ET . AMITAE . BENEMERENTIBUS . FAC . CUR. OBIIT . ILLE . V . NONAS . MAII ■. A°NNO . MDLVII HAEC . ANNO . SEQUENTI XV . KAL. . NOVEMBRIS - áS9 — 1572. 22. Trieste. Nélla Chiesa di S. Gipriano annessa al eonvento delle Benedettine. CLARAE . TUER . UXORI . lOANNIS . HOFERI FERD . ROM . REGIS . CONS . ET . DUINI . PRAEF. A . TURCIS . AORITER . PUGNANDO . CAESI QUAE . OB . RELIG . ET . IN . FILIAS . EUPHRAS. ET . AMBROS . VIRGINES HUIUS . SACELLI . VESTALES . AMOREM HIC . CONDI . VOLUIT . FILII . PIENTISS. POSUERE VIX . ANN . LIIII . MENS. VI . DIES . XVII ET . EUPHRASIAE . FILIAE . ABBATISSAE EXIMIA . IN . DEUM . RELIGIONE . ET IN . HANC . VESTALIUM . FAMILIAM PIETATE . SINGULARI . AMPROSINA HOFERA . MOERENS . P . SORORI . CON. CORDISS . QUAE . VIX . ANN . XLIII MENS . VIII . D . XXVII OB . MDLXXn . XX . lUL. 1572. 23. S. Giovanni preSSO Duino. Sopra sarcofago in mamo rosso, eretto nel cimi-tero di fronte alla porta maggiore. Gopiato dalV Asquini come aneom esistente a mez^o il secolo deeimottavo. Lucretia ex Arci Comitibus quae Clara et Lu — dovica filiabus pro se moestis marito relictis — Cum quo annos V. m. III. d. Ill coniunctiss. — Vi(x)it Annum aetatis XXV ingressa — XII Kal. Octob. MDLXXII — Tertio partu cum nova filiola imma — tura morte praerepta est — Mattias Hoferus Dnus Ranzani et Duini Prae — fectus coniugi sanctissimae f. 1590. Ž4. Duino. Ghiesa đi S. Spirito, collocata sotto Vambone. Apostolicae largitatis huic Ecclesiae perpetuum mouumentum. Sixtus PP. V. Universis Christi fidelibus praesentes litteras inspecturis Salutem et Apo-stolicam Benedictionem. — Ad augendam fidelium Religionem et animarum salutem cnelestibus Ecclesiae thesauris pia cliaritate intenti, omnibus utriusque sexus Christi fidelibus vere poenitentibus et confessis, ac Sacra Comunione refectis, qui Ecclesiam per dilectum Filium, Nobilem Virum Comitem Ray-mumdum a Turre in loco Duini del Carso eius temporali đomiuio subiecto, Aquilegiensis Dioeceseos, sub invocatione Spiritus Sancti fundatam et dotatam, in Dedicationis eiusdcm Ecclesiae et Pentecostes festivitatibus, a primis Ve-speris usque ad occasum solis earundom festivitatum singulis annis devote visi-taverint, et ibi pro Cbristianorum Principům concordia, baeresum extirpatione, ac Sanctae Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint, ple-nariam omnium peccatorum suorum indulgentiam et remissionem, quocumque đie id egerint, misericorditer in Domino concedimus; praesentibus perpetuo futuris temporibus valituris. Volumus autem, ut si alias Christi fidelibus dietam Ecclesiam visitantibus aliquam aliam indulgentiam perpetuo vel ad tempus nondum elapsum duraturam concesserimus, praesentes nullae sint. — Datum Romae apud Sanctum Petrům, sub annulo Piscatoris. Die XVI lunii MDXC Pontificatus nostri anno sexto. M. Vestrius Barbianus. 1591. 25. Ivi. — Sopra la porta maggiore. D . 0 . M. SACRUM . HOC . AD . GLORIAM . S . SPIRITUS . HONOREM B . VIRGINIS . AC . SS . PAULI. ET . LUDO VICI. DICATUM . NEC . NON SUMMIS . APOSTOLICIS . DONIS . A . SIXTO . V . PONT . MAX. PERPETUO . DECORATUM RAIMUNDUS . TURRIANUS . VALLIS . SAXINAE . COMES SAC . ROM . IMP . LIB . BARO . VIPULTIANI . DNUS . ETC. PIETATE . VOTIQUE . CAUSA . AERE . PROPRIO . ERIGI ET . DECENTI . DOTE . FULCIRI . CURA VIT ANNO . AB . INCARNATI . VERBI . MDXCI. Gorizia. Nélla Ghiesa dei PP. Francescani. SIGISMUNDO . TUREIANO . VALLISSÁXINAE . COMITI SERENISS . FERDINANDI'. ARCHIDUC . GONSILIARIO ET . AD . PONT .MAX . PRO . AUXILIO . MILIT . IMPETRANDO CONTRA . TURCAS . MISSO . ORATORI . ELOQUENTI MUNERE . OPTIME'. DUGTO ROMA . IN . GERMANIAM . REDEUNTI IN . TRAIECTU . ISONTII . AMNIS . SUBMERSO 1601 . DIE . 7 . lUN. 1606. 27. Duino. JSÍell' atrio del Convento dei Serviti che conduce ctila scala. Raimundus Comes a Turri et Valsaxinae convenit aedíficare Hoc Coenobium cum Priori Generali Servorum Angelo Maria Elorentino anno Domini MDXCVIII, anno autem MDCI Roma discedens Orator Caesareus, secům duxit Fr. Gregorium Alasiam De Sumaripa eiusdem Ordinis, qui suam primam Missam Ibi celebravit anno MDCH hocque Monasterium rexit usque Ad totum MDCVH, quo anno die XX Aprilis aedificium coeptum est P. M. Franciscus Casasupra de Gentilino et P. M. Philippus Alexandrinus Prior Generalis visita vit Idem Fr. Gregorius eođem'anno MDCVI posteritatis gratia Facere fecit. 1623. 28. Vienna. Sitl Sepolcro di Eainwndo VI della Torre. INTESTINA . RAYMUNDI . TURRIANI VALSAXINAE . NEC . NON . S . R . IMPERII COMITIS . AC . LIBERI . BARONIS DIVI . FERDINANDI . IMPERATORIS CONSILIARII . CUBICULARII DOMINI . VIPULZANI . CORMONI . ET . DUINI OBIIT . 17 . AUGUSTI . 1623, S. Giovanni presso Duino. Lapide sopra la porta délia torre caínpanaria. AD . LAUDEM . D . 0 . M . DEIPAKAE ET . SANCTI . lOANNIS . BAPTISTAE SEDENTE . PAPA . URBANO . VIII . REGNANTE ROM . IMP . FERD . III SUB . ILL . D . lOANNE . PHILIPPO . A . TURRE . S . R . I . ET . YALLISSAXINAE . COMITE . CAPITANEO . DUINI SUMPTIBUS . EOCLAE . HANC . TURRIM . ADHUO TE . USQUE . AD . EXTREMAM . SUI . EFFI 1|||||||| EREXIT . M . ZANETTI . DONAT . PARROCHO CAROLO . DELPHINO . ET . CAMERARO ANDREA . BLONDA . ET . VICINIE . DIE . XII lUNI . MDCXLII 1G50. 30. Gorizia. Nel santuario di Castagnavizza. DEO UNI . TRINO IN . TITULUM . ET . HONOREM DEIPARAE . VIRGINIS . MARIAE TANQUAM . TURRIS . FORTISSIMAE AD TOTIUS . PATRIAE . TUTELAM . ET . DEVOTIONEM ANIMAEQUE . SUAE . SALUTEM TEMPLŮM . HOC . CUM . ADIACENTI MONASTERIO IN . PROPRIO . SOLO . PROPRIISQUE . SUMPTIBUS . FUNDATUM ET . ERECTUM . POSTMODUM . PIORUM . SUFFRAGIIS DECENTER . ORNATUM . ET . ABSOLUTUM MATTHIAS . A . TVRRE CLIENS HUMILLIME . DIGAVIT TAUDEMQUE AD . DIVINUM . CULTUM . ET . MAIOREM . PATRONAE . SUAE GLORIAM . PROMOVENDAM AM . RR . PP CARMELITANORUM DISCALCEATORUM IN . DIVINIS . HIC . PERAGENDIS . SOLICITUDINI . ET . PIET ATI COMMENDAVIT . ET . DONA VIT ANNO . MDCL Gradišča. Sopra imo clei bastioni delle mura ampUate da Francesco Lldarico della Torre. HAEC . INTER . CETERAS . MOLES . STUDIO AC . SEDULITATE . FRANCISCI . ULDARICI COMITIS . TURRIANI . GRADISCAE . CAPITANEI ERECTA . ANNO . MDCLYin 1671. 32. Ivi. — NelVedificio del Monte di Pieta. HIC . MONS . PIETATIS IN . PAUPERUM . SUBSIDIUM IN . lUDAICAE . USURAE . PERNICIEM . IN . PROVINCIAE . TOTIUS . UTILITATEM EXCOGITATUS . PROMOTUS . PERFECTUS A . CAPITANEO . ET . MARESCIALLO FRANCISCO . ULDARICO . COMITE . A . TURRI ET . VALLISSAXINAE . CAESAREO . INTIMO CONSILIARIO . ET . CAMERARIO ANNO . MDCLXXI Oggi il Monte di pietà è soppresso: resta perô I'iscrizione nell'atrio sopra la porta a destra; su quella a sinistra è quest'altra epigrafe: COADIUVANTIBUS . IDLIO . BAR . DE . FIN lOANNE . MARIA . CEVOT . VILLESSII PAROCHO . LAURENTIO .LOCATELLIO DEPUTATIS . GRADISCANAE INCLITAE . CONVOCATIONIS CUIUS . SUMTIBUS . FUNDATUS ' lb71 1695. 33. Venezia. Nella antica Ghiesa dei Servi (Vedi Em. Cicogna, Iscrizloni Veneziane Vol. I. pag. 41). FRANCISCI . UI.DARICI . TURRIANI S . R . I . ET . VALLIS . SAXINAE . COMITIS CONSILIARII . INTIMI . LEGATIQUE . CAESAREI QUI DUODECIMA . DECEMBRIS . 1695 . OBIIT HIG . INTERIORA ALIBI . CORPUS VENETIIS . AFFECTIO IN . COELIS . ANIMA UT . SIC . ESTO . PRECARE . VIATOR Gradišča. Nella Chiesa della B. V. Addolorata (coflvertita ad vsi profani nel 1811 sotto i Francesi) sopra monmnento eretto a Fr. TJIdarico-della Torre. 'VIRO . EXIMIO ROM . IMP . ET . VALLISSAXINAE . COM. FRANCISCO . ULDARICO . TDRRIANO CAESAR . AD . EEMPUBL . VENET . LEGAT. 6RADISCAE . CAPIT . MAREX. ET .PATRI ALOISITJS . TURRIANDS . NEPOS BENEMERITAS . CINERES . CONDENS POSUIT ANNO . DOM . MDCXCV Ivi. — Sul sepolcro die ne contenem il corpo. ANIMA . COELO . REDDITA HIC lACENT . CINERES FRANC . ULDARICI . CO . TURRIANI OBIIT AN . MDCXCV Quest'ultima lapide in parte mutilata si conserva ora nella Sala dei Cavalieri a Duino sotto il ritratto di Francesco Uldarico. 1696. 35. Duino. A mezza scala del Convento dei Serviti. D . 0 . M PHILIPPUS . lACOBUS . EXCELLENTISSIMA . TURRIANORUM FAMILIA . ORTUS . INCLIT . PRO CER . RAIMUNDI FUNDATORIS . NEPOS . ET . lOANNIS PHILIPPI REDDITUUM . AMPLIATORIS . FILIUS . S . R . I . ET VALSAXINAE COMES . DUINI . SEGRATI . ETC . DOMINUS . CAESARIS . A. CUBICULO NEC . NON . COPIARUM . EIUSDEM . GENERALIS . NULLA . SUI . NOMINIS . INCISIONE . COENOBIO HUIC .. SERVORUM . VENUSTIOREM . FORMAM DONA VIT . A . CONTIGNATIONE . EVEXIT ') .. AUXITQUE . ETC. INGEATITUDINIS . NOTAM . ITAQUE . ABHORRENS LAPIDEM . HANG . GEATISSIMI . ANIMI . FIDEI . lUSSOREM . lUSSIT ANNO . DOMINI . MDCVIC FR . FRANCISGUS . CIANELLI . PHILOSOPHIAE . BAC . ET . PRIOR. ') Dalla travatura inalzô: cioè vi aggiunse il piano superiore. Venezia. Nella Chiesa dei Servi. PHILIPPI . TURRIANI ROM . IMP . ET . VALLIS . SAXINAE . COMITIS CAESAEIS . INTIMI . CONSILTARII GENERALIS . AC . MARESCIALLI VISCERA . HIC . lACENT A . DIE . XVIII . MAII . MDCGIV 1756. 37. Gorizia. SuUa porta ďima cella del Convento di Castagnavizza. CELLA S . lOANNIS . BAPT EX . BENEFICIO ILLMI . DD . COM . lOAN . BAPT DE . TURRI ORENT PRO . ILLO . ET . SUIS 1756 1775. 38. Sistiana. Lajiide in mezzo cd Coro della Chiesa di 8. Giuseppe. lOANNES . lOSEPHUS . S . R . I . COMES A . TURRI . ET . VALSASSINAE EX . COMITIBUS . DUmi QUATUOR . IMPERATORUM . AUREAE . CLAVIS . EQUES NEMPE lOSEPHI . I . CAROLI . VI . FRANCISCI . I ET . lOSEPHI . II NEC . NON AUGUSTISSIMAE . IMPERATRICIS MARIAE . THERESIAE . VIDUAE REGNANTIS . REGINAE OBUT . DIE . 18 . MENSIS . OCTOBRIS ANNO . SALUTIS . 1775 Padova. Nél Prato délia Valle. PAGANO . TURRIANO . MEDIOLANENSI QUEM . PATA VINA . CIVITAS CONSULATUM . PERTAESA SIBI . PEAETOREM . ADSCIVIT CAEOLUS . TURRIANUS . TAXIUS S . R . I . COMES SUPREMUS . IN . DITIONE . VENETA TABELLARIORUM . IMPERIALIUM . PRAEFECTUS AN . MDCCLXXVIII 1795. 40. Trieste. NelV Antisala délia Biblioteca Gomunale. Arcades . Rom . Sont Bibliothecam Arcadum . Romano . Sontiacorum Zelo . Conatu . Sumptibus Pompeio . S . R . I . Comité . a . Brigido . Tergesti . Praefecto . promovente In . theatrali . porticu . inchoatam ac Tergestino . Senatui . dono . traditam Franciscus . II . Caesar In . hac . ampliori . sede . perpetuo . scieutiarum . incremento Ingeniorumque . aemulationi Parandam . perficiendamque . sancivit A . R . S . MDCCXCV Raymundo. S.R. I. Com. aTurri. Goritiae .Praefecto. Sontiacos. Arcades. universes Pompeio . S . R . I . Com . a . Brigido . Tergesti . Urbem . et . Arcades Gubernantibus Sagrado, Chiesa Vicariàle. Sopra la porta délia Cappella mortuaria eretta alla B. V. Lauretana dal Conte Baimondo IX délia Torre, in vece di quella demolita a S. Giovanni di Duino. ConstkVXIt sVppLeX KatMVnDVs tVrkIanVs gLokIosae VIrgInI LaVeetanae 1817. 42. Ivi. — Mausolea eretto nel Parco dal Conte Baimondo XI délia Torre alla memoria délia moglie Contessa Valburga Gumppenherg. DILeCtah VXorI MarItVs LVgens eiVsqVe tkIsi'hs eXpesqVe fILIÎ posVere È una Rotonda con bell'intercolunnio đorico per facciata; nel mezzo sorgo un cipgo portante un' urna funeraria attortigliata da un serpente. Il cippo porta I'inscrizione. 1821. 43. Aquileia. Memoria posta modernamente sopra i monumenti Torriani nella Cappella di S. Ambrogio, dal Canonico Michele della Torre. Hoc Sacellum dicatum S. Ambrosie et DivaeMargaritae Reginae; erectum A. D.ni 1298 et dotatum in Patronatu Nobilissimae Gentis a Turre et Vallis Saxinae Comitum, a pio et munificentissimo Principe Raimundo Pagani filio a Turre, ex Dominis Mediolani, Patriarcba Aciuileiense, tumulato in uno horum illustrium monumentorum, in quibus iacent in altero Paganus Cavernae Fil. a Turre Nepos Raimundi Patriarchae, defucctus A. 1332, Patriarcha Aquileiensis -, Ludovicus, Raimundi 11 Fil. Patriarclia Aquileiensis, e vita migratus A. 1365, Pronepos Raimundi Patr. Raynaldus in alio, Conradi Fil., decessus A. 1832, Frater Castoni Patriarchae Aquil. Florentiae orbati A. 1318 et in Ecclesia Sanctae Crucis depositi; ambo Pronepotes Raimundi Patriarchae; cum insignibus clavium et turrium, uti thesaurarius Ecclesiae Aquileiensis et Canonicus. — Iacent etiam in hoc Turriano Sacello Allegrantia Nobilissima Foemina e Rhaude, Gentis Mediolaneiisis, Mater Castoni Patr. aliive progeniti huius Familiae. Michael Lucii Sigismuudi Fil. a Turre et Valsassinae Comes, Canonicus Civi-tatensis, Custos huius beneficii hanc memoriam suorum Aguatorum facere curavit in restitutione huius aediculae. A. 1821. Duino, nél piazzale davanti al Casteîlo. .DENEN MANĚN SEINER TAPFEREN WAFFENBRŮDER DER OBRIST RAIMUND GRAF THURN IHR WIRKEN SEI VERGANGEN IHRE THATEN KRÔNT DIE EWIGKEIT OESÏERREICHS WOHL WAR IHR ZIEL IHR DANK LOHNEND SEBSTGEFÛHL MDCCCXXXIV 45. Duino. Cappella del Castello. Affinchè non si perđa la memo.ria đella consacrazione đi qnesta Cappella pubblica, s'aggiungono qui in fine le due attestazioni relative. 1. Pergamena rinvenuta nél Tahernacolo. Rdus D. Petrus Bonomus Epus Tergestinus consecrayit praesentem Ca-pellam et Altare in honorám Dei Omnipotentis sub nomine Beatae Mariae Virginis. Die vigesima nona lulii, Anno MDXLIII. 2. Bolla di consacrazione. Nos loannes Franciscus Miller Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopns et Comes Tergestinus, Sacros.tae Theologiae Doctor, Sacrae Caes. Maiestatis Consiliarius, a Sacra Nuntiatura Viennensi spetialiter Delegatus. ^ Vniversis, et singulis Christi Fidelibus has nostras inspecturis, lecturis, " aut legi audituris fidem facimus, et attestamur Nos hodie, quae est 7:a Mensis 7:bris currentis Anni 1700: vigore facultatis a Sacra Nuntiatura Apostolica "Viennensi spetialiter Nobis attributa die 12 praeteriti Mensis lulij, coopérante Nobis Spiritus Sancti gratia, et ađhibitis omnibus solemnitatibus iuxta Ritum,-€t formam Sanctae Romanae Ecclesiae proprijs manibus consecrasse Ecclesiam reedificatam, et in nobiliorem formam ređactam ab Ilhmo et Ex:mo Dno Aloysio Sacr: Bom: Imp: Comité a Turri etc. in eius Castro Duini Dioecesis Aqui-leiensis a parte Imperij, prout, et unicum in ea Altare erectum in bonorem S:tae Annae, in quo Eeliquias SS:rum Martyrům Pij, Reparati, et Victoris in-clusimus, et singulis Cbristi Fidelibus hodie uisitantibus unum Annum de uera indiilgentia in forma Ecclesiae consueta concessimns. Porro cupientes ut baec Ecclesia, et Altare bonorificetur, et débita frequentetur ueneratione, nec non ut Fidelium deuotio in dies augeatur, Omnibus Cbristi Fidelibus banc Ecclesiam, et Altare uisitantibus in die Anniuersaria Consecrationis, quam ad preces etc. ad Dominicam tertiam Mensis Maij transtulimus, de Omnipotentis Dei mi-sericordia confisi, et autboritate extraordinaria, qua fungimur quadraginta dies de uera indulgentia in forma Ecclesiae consueta concedimus, et elargimur. In quorum fidem has Manus'Nostras subscriptione munitas, et corroboratas de-dimus Die, Meuse, Anno ac Loco quibus supra. loannes Franciscus Episcopus et Comes Tergestinus. II^tidioie:- Parte prima. — Nofizîe generali. 1. Panorama (li Diiino.........Pag. 3 2. 1 Torriani in Milano.......... 6 3. I Patriarchi Torriani in Aquileia.......,>18 a) Eaimonđo....... . . . „ ivi h) Gaston e...........„23 c) Pagano............,25 đ) Lođovico..........„30 4. Dairisonzo al Timavo..........,34 5. 11 Timavo...........„37 6. San Giovanni al Timavo........„ 4G a) II Tempio..........„ivi h) La Badia..........„50 c) La Parocchia..........„53 đ) Le Reliquie........: . ., 55 e) L'Evangelario.........„59 7. Castel Pucino..........., 8. La Flora đuinese...........,74 9.- Il Castello antico đi Duino .......„81 10. Ricerche sulP origine del nome Buino.....„ St> 11. Il Castello odierno di Duino...... . 94 a) I suoi munimenti.........., ivi h) Il cortile...........,99 c) Gli appartamenti interiori........,104 12. Le tradizioni dainesi.........„117 Parte seconda. — Dai primi abitatori del castello di Duino fino ai Torriani. A. I Signoři di Duino (1139-1399).......Pag. 1291. I primi Duinati..........„ivi 2. Rodolfn I............,139 3. Ugone II ed Arrigo II.........„ 144 4. Rodolfo II...........„163 5. Ugone IV...........„168 6. Giorgio..............178 7. Rodolfo III ed Ugone V........„184 8. Ugone VI............,190 a) Parentele ď Ugone VI........„ivi h) Ugone VI si dà ail'Austria.......„195 c) Ugone VI e Trieste........„201 d) La guerra civile del Friuli.......„211 e) Potenza ď Ugone VI........„217 9. Estinzione délia casa Duinate.......,, 224 B. I Walsee (1399-1472).........„240 1. I primi "Walsee............ivi 2. Attinenze dei Walsee duinesi col Friuli.....„ 245 3. Controversie dei Walsee col comune di Trieste.....,251 4. Controversie coi Vescovi e col capitolo triestino...... 25G 5. Fiume sotto il dominio dei Walsee......„261 •s 6. Estiiizione dei Walsee...... C. I Capitaiii aastriaci di Buino dal 1Í7ÍÍ dl 1580 1. Nicolô Luogar....... 2. Giorgio Elaclier....... o. tíaudensíio đi Botsch...... 4. I cavalieri Hofer....... I. Sigismouclo e Giovanni..... II. Mattia........ a) Vicenđe della sua giovinezza b) II capitaiiato di Mattia Hofei- Parte terza. — I Conti della Torre-Hofer-Vals Pag. 260 A. 1. 2. 3. B. 1. 2. s! 4. 5. 6. 7. c. 1. 0. GU avi della linea Tomana di Buino Alemaniio e Lombardo....... Febo I, Giovan Furlano, Febo III, Ermacora III ïommaso, Febo V, Giovanni Febo VI . Duplice parentela della Torre-Hofer .... Chiara della Torre-Hofer...... Francesco III della Torre...... Ramo duinese collatérale...... Nicolô II della Torre....... Kairaondo VI della Torre...... Matrimonio di Raimondo VI con Lodovica Hot'er Raimondo VI sposa la cognata Chiara Orsa 1 Torriani, siynori e capitaiii perpetui ed ereditarii di l>ui Duino sotto Raimondo VI...... a) Condizioni del capitanato..... h) Istituzione di Raimondo VI..... Giovanni Filippo I....... Francesco Uldarico I....... a) Uldarico capitano di Gradišča e legato in Polonia h) Uldarico anibasciatore a Venezia .... c) Cure dell'ambasciatore Uldarico per la sua patria Visita dell'Imperatore Leopoldo I. a Duino e vendita di quelh signoria ai Torriani...... Filippo Giacomo e la sua linea, detta di Gradišća Linea di Raimondo Bonifacio..... a) Giuseppe I. e Gianibattista II ... . h) Raimondo IX........ c) Francesco V e Giuseppe II..... d) I figli di Raimondo IX...... I principi di Hohenlohe...... Appendice. Epigrali .... Tavole genealogiche I, 11 e III. Armi : Degli antichi Torriani Dei Signoři di Duino Dei Walsee .... Degli Ilofer .... Dei Conti della Torre Valsassina Dei Conti della Torre-IIofer-Valsassina Dei Principi Hohenlohe „ 273 „ ivi 277 282 „ 285 ivi n 291 « ivi 298 Pag. 307 » ivi » 311 317 „ 322 „ ivi « 324 « 337 » 341 3) 347 355 55 359 35 365 55 ivi Î1 ivi 35 370 ;) 37o 57 380 55 ivi 1> 387 '.1 399 ÎÎ 402 3) 407 35 416 35 ivi 55 419 n 428 55 433 3) 439 447 Pag. 8 :> 133 55 243 5) 286 )) 335 35 363 » 443 Aggiunte e correzioiii. A pag. 12 e 16. II Verri, Storia di Milano Tomo I cap. 9 pag. 301, ascrive il meiito maggiore dei canali derivati dal Ticinn anzi che a Martino della Torre, a Beno de Gozadini bolognese, eletto podesta di Milano per 1' anno 1257. Si sforza inoltre lo storico milanese di purgare Matteo Visoonti dalla accusa di cospirazione coi Torriani con-tro Arrigo VII, insinuando che simili taccie possono essere state inventate dai della Torre a danno di Matteo, ch' egli chiama un buon uomo, bnon padre, buon principe, accorto, giudizioso; anzi stà quasi in forse ď intitolarlo Matteo Magna! Pag. lin. invece di legyi 46 11 opacchi opadli 63 le dal canonico ed al canonico diacono diacono 75 n. 2 Avvertano Avvcrtono 761.38 ecolcrescero e col crescere dei cacciatori del numero dei cacciatori 86 13 Eneidc di Eneide di Vir-Virgilio fatta gilio tradotta 89 25 ad onorare ad ornare 100 36 il 12 Luglio il 7 Settembre 131 38 vcdremmo vedremo 143 31 magli abbiamo ma gli ab-seguiti biano seguiti A pag. 156 Agnese di Duino monaca del monastero della Cella in Cividale trovasi nominata parecchie altre volte dal 1310 fino al 1327. Pag. lin. invece di leggi 162 16 nè del Wen- nè nell' opu-drinsky scolo del Wen-drinsky A pag. 163 La copia d'un testamente ricevuta ultimaniente dalla cortesia del Dott. Joppi di TJdine mi porge occasione di fare a questo luogo un'importante aggiunta. Nel 1323, ai 20 Ottobre, in data di Duino il nob. cavaliere TJgo qm. Bodolfo di Duino alia presenza di Vilvingo ca-pitano di Duino e di altri testimoni, di-cbiara di essere sano di mente e di corpo e volendo fare il suo testamento, lascia eredi i suoi figli Georio, Bodolfo e Giovanni, ed usufruttuaria sua moglio Stelichia. Costituisce tutori dei figli Federico conte di Veglia e Doimo suo fi-glio, Vgolino di Duino suo eonsangiUneo, Eurico detto Grulando di Leunfburgh, Odolrico di Cuccagna suo zio materno 8 D. Enrico burgravio di Gorizia qm. D. Andrea di Peuma. (Notaio Francesco di Corno). II testatore è quell' Ugpne II di oui si parla nel testo da pag. 144 a 156. Con cio abbiamo un dato per asse-rire con certezza quanto io aveva già supposto, che padre di Ugone II sia Rodolfo I (pag. 139-143). Sebbene pero il primo fra i figli nominati dal testamento di Ugoue II sia Giorgio, e deva quiudi tenersi pel primogenito, non mi sembra di potermi scostare dali' opinione espressa nel testo, che il primogenito sia invece Rodolfo II. Questi nel 1323 (data del testamento), doveva avere al-meno 27 anni, essendo già nominato nel 1296-, percio la tutela deve riferirsi sol-tanto a Giorgio ed a Giovanni. Il tutore Ugolino di Duino, consan-guineo del testatore, dovrebbe essere Ugone IV il che servirebbe a confer-mare alcune delle congetture fatte nel testo su questo Duinate (vedi pag. 168 e segg.); ma ci accerta in pari tempo die TJgone IV non è figlio di Vyone IL A pag. 189 Ugoiie V figlio di Ugone IV vieil pure chiamato consanguineo di Ugone VÍ figlio di Giorgio cd abbiamo già avvertito nella Tavola genealogica che Ugone Illpotrebbe ideiitiflcarsi con Ugone IV, nel qual caso gli Ugoni di Casa Duino sarcbbero set invece di sette. Resta poi sempre incerto se i fatti at-tribuiti ad Ugone IV non devano invece attribuirsi ad Ugone II. Pag. lin. invece di leggi 170 33 deliberarouo deliberavano A pag. 189 Nota 4. Sopra la relazione di Azolino de Gubertinis e dei Sa-vorgnano con Ugone VI di Duino giova ipii riportare altri due documenti. a) 1389, 5 Febr. in consilio Terre Utini. Supra propositis per Valentinům notarium de Caniino proponentem pro parte ÍD. Azolini de Gumbertinis de Utino, qualiter Dorainus noster Patriarcha est iturus Montemfalchonum ubi cum ipso esse debeat D. Episcopns Gurcensis et Dominus de Duino, unde rogavit Consilium, ut si contingeret mittere ali-quem ambaxiatorem illuc, reduci debeat ad memoriam prefato Domino nostro de bonis quos sibi detinet iudebite Dominus de Dnino. — Ann. Civ. Utini, vol. IX pag. 129 (Arch. Manin diUdine). Dopo J'amicizia del Giibertinis con Ugone VI, quale apparisce dal documente del 1373 riportato nella nota citata, le due famigiie ebbero lunga di-scordia fra loro avendo Ugone occupati alcuni terreni dei Gubertinis nell' agro di Monfalcone; e ciô a malgrado dei buoni ufficii intcrposti dal comune di Udine. A mezzo il secolo XV questi beni pervennero ai nobili Valentinis di Udine, che in parte ancora li posseggono. b) 1390, 18 Marzo. — II comune di Udine manda ambasciatori al Signore di Duino che trovasi a Pordenone per gli aifari della tutela dei figli del qm. cavaliere Federico di Savorgnano, fatto uccidere dal Patriarca ď Aquileia nel febbraio 1389. II detto Federico Savorgnano è dunque quello a cui Ugone VI nel 1373 aveva maritata la su.a consangiiinea Caterina di Hemerberg o Himmelberg. Pag. lin. invece di leggi 191 1 ereditarono, ereditarono di questi di questi 237 n. 1 Notizenhlatt Notizenhlatt di k. Akademie der k. Akademie A pag. 246. Fra gli ufficiali dei Dui-nati e dei Walsee possono aucora no-verarsi il cavaliere Criorgio Maisperger, vicereggente di Rodolfo • di Walsee tutore dei figlí di Ugone VI di Duino (1394, 3 Giugno, Codice Frangipane), ed il nobile Paolo Sproner capitano a Duino nel 1451 (ivi). Albret Vuxil capi-taneus Duini (spogli Joppi 1381) non è che il più volte ricordato Alberto Fiixel, e il D. Anzil Zecher capitaneus gene-ralis Domini de Duino (ivi) dev' essero uno dei Zekorn parimente rammentati. Pag. lin. irmece di leggi 274 1 notavansi notavasi 284 17 raccomandata raccomandato 311 30 finaliíiente di finalmente JPe&o I Febo I 339 3 e 4 relazioni relazioni e ^he oiïri- che offrirebbero rebbero 373 v. 5 cunctarum cunctorum A pag. 443. Nell'arma dei Princip" Hohenlohe il pennone a sinistra (araldi-camentej, deve aver ire invece che due code. Pag. lin. invece di leggi 462 32 TAUDEMQUE TANDEMQUE OEJIEAIOGIA DEI SI G S 0 R I D I D U I H. Tavola I. Wodesalchus ? 1121. Dieltamo 1139 Volscálco I 1158-1161 Conone o Corrado 1188-1223 Volscilco II (TJtscalco) 1188-1244 BiagriiiO 1252 Stefano I 1166-1188 con Adelmota 1188 I Woudalrich di Ti vines? 1154 Guglielmo 1287 Árrigo 1188 Ulvino 1287 Ugone I 1188-1224 Yicardo 1301 Rodoifo I 1243-1257 I Stefano II 1252 Uldarico di Tevino? 1249 Federico 1307-1319 Arrigo II? poi Conte di Hardegg 1260-1270 Emanno ? Giulino Ugone II 1265-1323 colla contessa Margherita... ? 1308 2°. con Stelichia 1323-1374 _1 TJgone IV detto Ughezze ed Ugone il giovine 1297 t 1328 con Matilde...? 1297 Rodoifo II 1296-1344 Giorgio 1323-1343 con Caterina di Pettau che prende 1343 in seconde nozze Ertneido di Weisseneck I Arrigo m 1308-1348 Ugone V detto ancli'esso Ughezze ed Ugolino 1842-47 Sorelle in Scherfenberg e Liechtenstein (?) Betta (?) 1405 Eodol Figlia N. îî. forse Agnese monaca in Cividale 1310-1327 Giovanni 1323-37 Anna figlia di Stelichia 1374 Caterina in Muntparis 1334 Nicolo 1336 Volfango ? Nassinguerra 1312- 1314) g III ed altri fratelli non nominati 1308-1854 Ugone VI miico figlio maschio 184411391 1°. con Anna di Walsee già m. 1373 2°. con Anna di Wilthans 1375-1396 da oui ha i quattro figli. Fratellastri: Guglielmo, Giorgio e Margherita di Weisseneck _I_ Ugone III detto anche Ugolino 1312-(1314) Resta incerto se Ugone III e IV sieno da identificarsi. Ramberto non^più esplicitamente mentovato dopo il 1391. Ugolino; era morte nel 1399 mancati in minore età. Arrigo di Vilthaus Caterina f 1418 o 1427 1». in Leutoldo di Meissau 1400-1404 2.» in Ramberto di Walsee 1406. COGNAZIONE DI UGONE VI DI DUINO. Giorgio di Duino Anna f «rca 1406 1°. in Rodoifo di Walsee? 1401 2». in Eberarđo Kappellen 1404. Ramberto di Walsee I Anna...............Ugone VI 2.a moglie ď Ugone VI 1375-1396 Caterina (come sopra) 1°. in Meissau 2°. in Ramberto I di Walsee suo zio f 1422 Ramberto II di'walsee f 1450 I I . . Anna l.a Moglie ď Ugone non ha flgli t circa 1373 Rodoifo sposa la nipote Anna di Duino? 1401. Ramberto I •[• 1422 sposa nel 1406 la nipote Caterina di Duino Federico t 1408 Volfango t 1466 Ramberto I ^ 1483 Barbara t 1506 in Sigismondo di Schaumburg ESTRATTO DALI'AlBERO GEIAIOGICO fiEIERALE DEI COM DELIA TORRE YALSASSiA. Tavola II. Eripranđo f 1095 Martino I đetto il Gigante f 1147 Pagano I t 1197 Martino II f 1216 Jacopo I t 1216 I i Pagano II -f- 1241 _ Francesco I t 1277 Corradino 1350 Francesco II 1424 Il Beato Antonio n. 1424 t 1494 Michele I Cardinale t 1586 Napo I t 1278 I_ Bairnondo I Patriarca t 1299 I Guido Corrado detto Mosca Gastone I t 1312 sp. Allegranza de Raude f 1307 f 1281 ALEMANNO t 1272 LOMBARDO t 1280 Florimonte 1322 Ottolino 1356 Nicolino Girolamo 1405 Nicolo I 1490 Luigi 1540 Raimondo V t 1580 Rinaldo t 1332 Gastone II Patriarca t 1318 Caverna t 1280 I Pagano IV .Patriarca f 1332 Raimondo IV 1490 FEBO I. t 1329 GIOVAN luRLANO 11845 FEBO III t 1405 ERMACORA III t 1405 Raimondo II t 1323 Lodovico Patriarca 1365 Febo II t 1376 Ermacora I 1343 Raimondo III 1400 Pagano III t 1266 Guberra 1311 Guecellone 1330 Ermacora II 1387 TOMMASO t 1431 Girolamo 11590 Sigismondo I t 1601 Jacopo Gaterina in Reichenburg 1500 FEBO V detto IL GIOVANE t 1485 GIOVANN FEBO VI detto IL GIOVANE f 1547 Febo VIII t 1568 FRANCESCO t 1566 Giovanni I Giorgio I t 1512 Jacopo il t 1241 Martino III t 1263 Filippo t 1265 Febo IV đetto il Vecchio t 1484 Giovanni II detto il Vecchio sposa Gaterina di Luegg t 1505 _ I _ Gior^o II t 1530 Nicolo II t 1557 Michele 11 t 1531 Febo' VII t 1521 Lodovico + 1516 RAIMONDO VI detto il VECCHIO t 1623 sposa prima Lodovica Hofer poi la sorella di lei, Chiara Orsa Vedi la discendenza di Raimondo VI alia Tavola III. Chiara in Giovanni Hofer t 1546 Mattia Hofer t 1587 Lodovica Chiara Orsa I eONTl DELIA TORRE-HOFER-VAISA^SISA DI DUINO. Tavola Lođovica Hofer RAIMONDO VI........Chiara Orsa Hofer detto il VECCHIO t 1623 I Francesco Febo GIOVANNI FIL Luigi Leopoldo Turrismondo Paolo PPO I t 1650 Eaimondo VII RAIMONDO BONIFACIO VIII t 1714 (Giovanni) Giuseppe I t 1775 GIOVANNI BAT RAIMONDO IX t 1817 ISTA II t 1784 CaAo I Francesco V t 1824 I Giuseppe II t 1831 Eaimondo X GIOVANNI Francesco VI Giuseppe III Francesco VII Carlo II t 1835 BATTISTA III t 1849 TERESA maritata nel Principe defunto 1865, Egone Carlo di Hohenlohe-Waldenburg-SchillingsfUrst Federico Egone Alberto Alessandro Francesco Uldarico I t 1695 Nicolô IV FILIPPO GIACOMO t 1704 Luigi Antonio t 1723 .1" íicoli Nicolô III Federico Giovanni Mattia Carlo Massimiliano t 1708 I Giovanni Batt. I Francesco IV Anton Maria morti neir infanzia Eleonora........... Federico Luigi Giovanni t 1773 Filippo II Y---------t 1747 Antonio II Francesco VIII morti nell' infanzia. la Mile Faniiglia Hofer di Ranzaiio. I Luigi Francesco Annibale t 1768 Francesco Uldarico II Ť in gioventù Linea di Gradišča estinta nel 1773 Turrismondo Ignazio t 1769 Stefano I 1478 Stefano II t prima del 1518 Giorgio t prima del 1548 Giacomo t 1529 Francesco^ Volfango Massimiliano Sigismondo II Cristofôro II Stefano III già t 1573 già t 1573 già f 1589 Mattia t 1587 Giovanni t 1537 Sigismondo I + 1516 Cristoforo I t 1516 Alessandro t 1558 Ors na Agnese Félicita Caterina Barbara Lucrezia Paola Ambrosina in Manino in Mels in Antonini in Tonetti in Frangipane 1." in Rabatta (Eufrasia) monaca 2.° in Edling badessa Lodovica Chiara Orsa t 1610 t đopo il 1629