Augusto Carli Università di Modena* UDK 81'27 PER UN AGGIORNAMENTO DEL CONCETTO DI VITALITÀ LINGÜISTICA 1. DEFINIZIONE DI «VITALITÀ» Il concetto di «vitalità lingüistica» è stato oggetto di varie interpretazioni nel corso della storia della lingüistica. Si tratta fondamentalmente di una delle tante figure organico-biologiche, le cosiddette metafore del vivente, che hanno rappresentato dei veri capisaldi interpretativi, soprattutto nella lingüistica ottocentesca. Come tali, queste metafore sono state spesso sottoposte a revisioni concettuali, quando addirittura, non senza fondate ragioni, a decisi rifiuti. Soltanto di recente, soprattutto all'interno di quel paradigma di ricerca che va sotto il nome di «Ecolinguistica», il concetto ricompare assumendo peral-tro un ruolo cruciale nella definizione delle cosiddette «lingue minoritarie» e, fra queste, quelle «in via di estinzione o obsolescenti». Come fra poco cerchero di illustrare, si vedrà che il concetto si attaglia oggi a una non esigua tipologia linguistica e che la di-stinzione fra lingue maggioritarie e lingue minoritarie è molto sottile. Offro pertanto questo breve contributo all'occhio vigile del nostro festeggiato Mitja Skubic che ha de-dicato la propria copiosa e molteplice attività di ricerca a numerosi sistemi linguistici e alle loro varietà e variazioni. Gli sono sin da ora grato se vorrà verificare un qualche grado di attendibilità e di utilità delle mie argomentazioni. Vorrei subito precisare che quando si dice che una certa lingua è «vitale» o al contrario «in fase / in processo di estinzione» o «obsolescente» et sim., non è la «lingua» stessa a trovarsi in questa situazione, bensi la «comunità linguistica» di riferi-mento. La lingua è notoriamente una costruzione sociale che non puo prescindere dagli individui e dai gruppi sociali. Gli attuali tempi contrassegnati dalla cosiddetta globalizzazione, che apparente-mente testimoniano di una differenziazione molto sottile e talvolta molto specialistica di cio che concerne lo status delle lingue, come ci insegna da tempo Ulrich Ammon (1989), esigono una nuova analisi del concetto di «vitalità», data la pervasiva e massiccia precarietà di numerose lingue, indipendentemente dal relativo peso del loro status. Come aveva già affermato con folgorante icasticità Ferdinand de Saussure nel suo cours de Linguistique Générale, nessuna lingua esiste senza una «masse parlante». La «masse parlante» identifica cio che oggi si preferisce chiamare «Comunità Linguistica». È chiaro che la «lingua» e la «massa parlante» sono caratterizzate da dimensioni differenti quantunque interconnesse. * Indirizzo dell'autore: Facoltà di Lettere e Filosofía, Dipartimento di Scienze del Linguaggio e della Cultura, Université degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Largo S. Eufemia 19, 41100 Modena, Italia. Email: augusto.carli@unimore.it Per una prima definizione di «vitalita», vorrei rifarmi innanzitutto a Berruto (2009) che opera una prima fondamentale distinzione fra «vitalita in senso generale» e «vitalita in senso specifico»; quest'ultima, che qui interessa in particolar modo, puo essere intesa sia come «vitalita linguistica» da un lato che come «vitalita sociolinguis-tica» dall'altro, o meglio ancora, come «vitalita sociopsicolinguistica». Come dicevo sopra, e la comunita linguistica di riferimento ad essere chiamata in causa, non la lingua come prodotto della stessa comunita. Pertanto sono da mettere in primo piano gli atteggiamenti dei parlanti stessi verso la lingua o le lingue del loro potenziale ed effet-tivo repertorio linguistico. Oppongo a cio una diversa, ma possibile definizione di vitalita, presa da un'opera del 1994 del sociolinguista Giuseppe Francescato, pubblicata post mortem da Paola Solari: Vitalita nel senso abituale, cioe con riferimento all'uso effettivo di una certa varieta linguistica (o di una lingua) nella comunicazione, si puo interpretare come una varieta (=lingua) che non ha avuto perdite di rilievo nel numero dei parlanti» (Francescato/Solari 1994: 86) [grassetto mio]. Questa e una definizione che poggia su termini meramente quantitativi che tuttavia non possono non avere ripercussioni sugli aspetti qualitativi dei codici linguistici coinvolti. Per questo motivo e necessario cercare di illuminare il concetto da una diversa angolazione da cui emergano tratti piu tecnici e complessi, come quella for-nita dal dialettologo Corrado Grassi (1969). Questi considera la «vitalita di una lingua» come «Autonoma capacita di innovazione progressiva». Tale capacita si manifesta e si attiva come reazione a pressioni esogene come nei casi di fenomeni di contatto fra varie lingue, siano esse maggioritarie o meno; in conseguenza di cio si puo affer-mare che la Lx integra e ingloba, in modo produttivo e innovativo, gli elementi eso-geni (Ey) al suo proprio sistema linguistico interno (o endogeno) che si potrebbe indicare come (Sx). Questa forza adattativa o rielaborativa della Lx andrebbe pertan-to considerata come «forza vitale» andando cosi a coincidere con la «vitalita» vera e propria. Detto altrimenti, se la lingua reagisce alle pressioni esterne integrando in qualche modo gli elementi esogeni adattandoli al proprio sistema linguistico endogeno, si puo ben considerare tale forza di integrazione, ovvero di adattamento come «vitalita linguistica» da parte di detta lingua. Questa, in effetti, non solo accetta, ma adatta gli elementi esogeni al proprio sistema linguistico. A questo punto e necessario distinguere la natura di questa «vitalita linguistica», cosi come appena definita, dall'altra «vitalita socio-psicolinguistica». Questa non e tanto la forza di adattamento e di elaborazione lessico-semantica e grammaticale, bensi piuttosto la volonta della comunita che si manifesta attraverso il gesto di trasmissione intergene-razionale. Questa volonta e dettata dalla forza di rappresentazione (forza consapevole o inconsapevole) che la «Comunita» ha delle sue proprie conoscenze, dei suoi valori cognitivi, normativi, etici espressi attraverso quella lingua. Se tutto cio si concretizza nel gesto della trasmissione intergenerazionale, si potra affermare che questa lingua va con-siderata come un elemento socio-culturale importante e che pertanto la lingua sara «vitale» per quella «Comunita» specifica che si sente rappresentata da quella determi-nata lingua verso la quale assume un atteggiamento di «lealta». Questo concetto di «vitalita socio-psicolinguistica» e messo in evidenza nel seguente passaggio di Berruto (2009): «Per vitalita intendiamo la continuita della tradizione e trasmissione della lingua da una generazione aWaltra». In questo senso «vitalita» coincide pertanto con la «continuita di trasmissione inter-generazionale». Per contro il seguente passaggio di Grenoble/Whaley (2006: 5): «for assessment purposes, the fundamental question for vitality is the size and composition of the speaker population» interpreta il concetto di vitalita come «vitalita quantitativa», sostanzialmente non molto diverso da quello gia introdotto al precedente punto di Francescato/Solari (1994), anche se l'aspetto qualitativo e compreso nella composition del repertorio linguistico di una data comunita, sul quale ritornero in seguito. Per con-cludere questa premessa definitoria, riprendo cio che avevo sinora solamente menziona-to, vale a dire le caratteristiche essenziali e indispensabili della «vitalita». Si tratta fon-damentalmente di caratteristiche di natura sociale e psicologica, cioe le due dimensioni di status e corpus, sempre strettamente collegate, pur con i loro diversi aspetti problema-tici, cosi come aveva gia indicato Ammon (1989). Notoriamente queste due dimensioni di status e corpus formano, assieme al processo di acquisizione linguistica, la triade irri-nunciabile per qualsiasi progetto di pianificazione linguistica, definito infatti come status planning e corpus planning, con l'aggiunta della acquisition planning. A conclusione di questa premessa, propongo la seguente ricapitolazione: Vitalita linguistica propriamente detta e la vitalita «interna» della lingua, cioe la vitalita del sistema linguistico. Dal punto di vista sociolinguistico, e secondo il paradigma ecolinguistico, la vitalita si muove sopra un continuum i cui poli estremi rappresen-tano da un lato la vitalita di massimo grado, cioe una grande forza vitale, ipervitale, megavitale (illimitata e incondizionata), come la si ritrova «in natura» in una lingua «conquérante», tesa alla «glottophagie», secondo la terminologia di Louis-Jean Calvet (1974). Questo fenomeno puo essere esemplificato da una lingua nazionale utilizzata all'interno di un sistema politicamente e ideologicamente coeso all'interno di uno stato mononazionalista oppure da una lingua a valenza coloniale, imperialista, universale, globale ecc. Sull'altra estremita del continuum si trovera una lingua ormai priva di slancio, una lingua deficitaria, moribonda, obsolescente o in via di estinzione. Solo per fare un esempio fra i tanti possibili e questo il caso di una parte cospicua della dialet-tofonia italiana, almeno a partire dagli anni 80 del secolo scorso fino ad oggi. 2. CONDIZIONI NECESSARIE PER LA VITALITÁ DI UNA LINGUA Riprendendo le argomentazioni di Ammon (1989), le due dimensioni di status e corpus (ovvero Funktion/Struktur) vanno integrate da una terza componente, quella della «trasmissione e acquisizione linguistica». Queste tre dimensioni costituiscono gli attributi di base di cui ogni lingua necessita ai fini della propria «vitalita» di natura socio e psicolinguistica. Si tratta ovviamente di dimensioni relative e continue, vale a dire non discrete. Le prime due sono in effetti legate l'una all'altra da numerose inter-connessioni. La dimensione «cratica», che e la dimensione legata al kratos, ovvero il «potere», assegna a una determinata lingua la possibilita di essere utilizzata in ogni genere di comunicazione, vale a dire non solamente per usi privati, ma anche pubblici e all'interno di ogni dominio. La dimensione cratica sussiste quando la lingua di rifer-imento e riconosciuta e utilizzata dalla comunita linguistica reale. Essa esercitera a sua volta influssi positivi sulla dimensione «tectica» (da tectaino = costruisco) andando cosi ad assegnare un peso produttivo sul corpus linguistico. In altre parole, questa dimensione fornisce alla lingua la forza di costruzione/elaborazione (la capacita costruttiva) che si esplica a livello lessicale, morfologico e testuale. Risaputamene la dimensione di status assieme a quella di corpus costituiscono un binomio all'interno di una relazione di corrispondenza bi-univoca; ció implica che una dimensione non ha alcuna forza senza l'altra e che l'aumento dell'una e direttamente proporzionale alla crescita dell'altra. Se una lingua non e riconoscciuta da un punto di vista ufficiale e sociale - si dira in questo caso che si tratta di una lingua a grado zero di riconoscimento ovvero a status zero o molto basso - la lingua avra inevitabilmente una dimensione tectica molto ridotta, spesso limitata ad usi frammentari per singoli e rari domini d'uso, non di alto prestigio sociale, dando cosi luogo a produzione di brandelli lessicali all'interno di domini della comunicazione familiare e privata. Piu il riconoscimento di uno status e accettato e condiviso, piu tutto ció contribuisce a costruire e rinsaldare la coscienza lin-guistica e gli atteggiamenti per un uso attivo della lingua all'interno di quella data comunita linguistica, vale a dire della «masse parlante» secondo la terminologia saus-suriana. Per contro, la mancanza di riconoscimento ufficiale rendera questa lingua molto piu fragile ed evanescente. Rinvio ad Ammon (1989) per una disamina piu completa degli elementi problematici che caratterizzano le due dimensioni per passare alla discussione dei possibili parametri che determinano il grado di «vitalita» o, al contrario, il grado di «obsolescenza» di una lingua. 3. PARAMETRI DI VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEL GRADO DI «MINACCIA» VS «VITALITA» LINGUISTICA Seguendo il tracciato di Berruto (2009) e le argomentazioni di Brenzinger et al. (2003), vengono riunite nella seguente griglia (cfr. Tabella 1) i nove parametri che l'UNESCO considera come indispensabili per valutare il grado di vitalita o di minac-cia di una determinata lingua e soprattutto in riferimento ad una lingua minoritaria: 1. Intergenerational language transmission 6. Materials for language education & literacy 2. Absolute numbers of speakers 7. Govern.-institut. language attitudes/policies 3. Proportion of speakers within the total population 8. Community members' attitudes towards their own language 4. Loss of existing language domains 9. Amount and quality of documentation 5. Response to new domains/new media 10. Others? Tabella 1 Un primo e generale commento ai parametri non puo non mettere in evidenza il loro ordine gerarchico. Pertanto la «trasmissione intergenerazionale» non puo che essere considerato, secondo l'UNESCO, come il piu importante e, conseguente-mente, molto piu importante del parametro della «Quantita e qualita di documen-tazione» introdotto in nona posizione. L'importanza effettiva della «trasmissione intergenerazionale» vale peraltro non solamente per la «vitalita» di una lingua in sé stessa, ma anche nei casi di rivitalizzazione di una lingua moribonda. Questo principio e espresso esplicitamente da Grenoble/Whaley (2006: 6) nel seguente passo: «for a language to be vital, it must be actively used by children. The dynamics of intergen-erational transmission are perhaps more important to understand than any other relevant factor in assessing the need for language revitalization». Bisogna tuttavia notare che lavorare su una gerarchia precisa dei parametri e molto meno produttivo che individuare dei legami implicazionali fra i parametri stessi. Pertanto sara opportuno evidenziare l'esistenza di parametri implicazionali fra il parametro 1 (trasmissione intergenerazionale) e il 4 (perdita di domini di uso linguistico), cos! come fra i parametri 4 e 3, cos! come fra 3 e 2. L'insieme dei parametri serve in ogni caso a precisare e a calcolare l'indice di minaccia specifica che corrisponde a certe marche classificatorie proposte da vari autori, come Grenoble/Whaley (2006), Brenzinger et al. (2003) e Dressler (2003). Berruto (2009) si spinge a costruire una tavola sinottica di tutte le caratteristiche relative ai gradi differenti di «salute», cioe di vitalita, o al contrario i gradi di minac-cia linguistica come indicato qui sotto nella tabella 2. Grenoble/Whaley (2006: 18) Brenzinger et al. (2003: 11) Dressier (2003: 10) 1. Safe 1. Safe Assente 2. At risk 2. Unsafe A. minacciata (=2) 3. Disappearing 3. Definitively endangered B. decadente (=3 ) 4. Moribund 4. Severely endangered C. moribonda (=4-5) 5. Nearly extinct 5. Critically endangerd Assente 6. Extinct 6. Extinct D. morta (6) Tabella 2 Attraverso un certo numero di descrizioni linguistiche che hanno lo scopo di rile-vare lo stato di minaccia di certe lingue «minoritarie» ci si rende conto del fatto che una lingua minacciata («at risk/unsafe/minacciata») puo ben presto trasformar-si in una lingua «moribonda». Cio e dovuto, per esempio, al fatto che i genitori non si sentono piu motivati a trasmettere ai loro figli questa determinata lingua oppure che i figli rifiutano di apprenderla come lingua primaria, quand'anche si dispongano di ottimi materiali per la alfabetizzazione (come recita il parametro 6. della Tabella 1). Cio si verifica a volte anche quando gli atteggiamenti della comuni-ta verso la lingua nativa non siano del tutto negativi (vedi i parametri 7. e 8. della stes- sa tabella sopra menzionata), come ha rilevato Silvia Dal Negro (2004), studiando certe comunita walser del Piemonte. Bisogna chiedersi come ció possa verificarsi e quali siano le vere cause. La domanda da porsi e piu precisamente la seguente: «Perché il meccanismo della trasmissione intergenerazionale non funziona sem-pre?». In generale, si potrebbe osservare che l'azione che le persone compiono scegliendo un compagno/compagna, e dettato solo in via teorica dal repertorio lin-guistico del partner. Evidentemente questo puó spiegare solo parzialmente l'evoluzione filogenetica del linguaggio umano. In realta peró, non si sceglie un compagno per salvaguardare o proteggere una lingua minacciata con lo scopo di procreare dei figli che siano (sperabilmente) in grado di parlarla. Si deve piuttosto osservare, pur restando all'interno del paradigma ecolinguistico, che l'ecologia di ciascuna comunita comprende naturalmente tutti i tratti di ordine geografico e biologico, ma anche e soprattutto le condizioni di ordine politico ed economico. E infatti in questo dominio che si dovrebbero individuare, all'interno di una ricerca sociopsicolinguistica, le cause piu frequenti della minaccia alla sopravvivenza di una lingua. In ogni caso si tratta di una minaccia non solo verso la lingua, ma piut-tosto verso l'equilibrio della comunita linguistica stessa. Se si considera l'aspetto politico, non si potra ignorare che i cambiamenti e le trasformazioni di natura politica possono rappresentare una vera minaccia per una comunita linguistica, soprattutto se essa e dominata da un'ideologia particolarmente e persuasivamente ben costruita e apparentemente non violenta. Si tratta di fenomeni ben conosciuti nella storia dell'umanita, come il potere esercitato dalla ideologia nazionalista, colonialista e imperialista (Phillipson 2006). Le ideologie seguono tutte, malgrado le differenze, i medesimi percorsi: niente violenza manifesta, almeno non nella fase del consolidamento del potere, (anche se gli esordi possono essere violenti) poiché si e consapevoli che per dominare effettivamente la violenza non e suffi-ciente. A questo proposito la prospettiva che giustifica il cambiamento della situ-azione che si vuole raggiungere deve essere rappresentata come necessaria. La dominazione viene allora esercitata da un potere che si autorappresenta come promettente per il futuro soprattutto elargendo «benefici» ai dominati. Il potere si presenta quindi sotto le apparenze della generosita e dell'altruismo e sembra del tutto disinteressato. Si tratta di un'operazione che Noam Chomsky ha chiamato col termine di «Manufacturing consent», della fabbricazione/costruzione del consenso, le cui conseguenze sono ben note. Basta rendersi conto della «glottofagia» nazionalista. Il nazionalismo - quello che risponde al motto: «uno Stato - una Nazione - una lingua» - ha generato in Francia (ma non solo) in seguito alla Rivoluzione (Judge 2000), la morte di ogni diversita linguistica. In tutti i paesi nazionalisti, e quindi non solo nella Francia post-rivoluzionaria, la lingua nazionale e rapidamente diventata la sola lingua utilizzata in un contesto pubblico istituzionale e ufficiale, quindi la sola lingua dell'istruzione formale. Ció ha com-portato la crescente perdita di funzionalita (e quindi di vitalita) di tutte le altre lingue presenti, a vario titolo, nel repertorio individuale e collettivo. Per recuperare parzialmente l'equilibrio perduto, cioe per compensare la riduzione linguistica e culturale, si sono dovute «inventare» misure appropriate di política lingüistica compensativa. Va inoltre rimarcato che i fattori economici, legati al sistema politico e alla dimensione demografica, sono ancora più incisivi, visto che la centralità economica si esprime attraverso la lingua di quel potere dominante che a sua volta provoca la marginalizzazione graduale di tutte le lingue non protette, destinate a diventare fatalmente lingue obsolescenti e in via di estinzione. Si va pertanto a constatare che la mobilità territoriale dei soggetti che usano una lingua minoritaria è la causa indi-retta, ma anche la più frequente e incisiva, della perdita o della scomparsa delle lingue native. Come già formulato da Hagège (2000), alla base della perdita linguistica c'è un coacervo di elementi, «un bataillon de causes», ovvero un insieme di cause e concause. I mutamenti linguistici, dovuti ai cambiamenti di natura politica ed economica, innescano meccanismi di ripercussioni primarie sullo status di una lingua. Queste sono, a loro volta, le cause principali dei cambiamenti delle pratiche comunicative all'interno di certi domini linguistici. Nei loro atti comunicativi i locutori tendono a sostituire sempre più massicciamente la lingua nativa con la lingua che essi reputano come più prestigiosa. Con l'aumento di pratiche comunicative in quella determinata lingua si attribuisce un potere crescente e dominante alla lingua stessa. La sostituzione e la riduzione linguistica da un lato, nonché dall'altro lato la perdita progressiva del prestigio della lingua nativa in rap-porto alla lingua dominante, contribuiscono a indurre il cambiamento degli atteggiamenti e delle opinioni che i locutori stessi hanno della loro propria lingua di origine visto che viene sempre meno utilizzata. Si sottolinea a questo proposito che non si tratta solamente di fattori di natura sociolinguistica, bensi anche di una svariata gamma di concause di natura squisitamente psicolinguistica. Va tenuto presente che la riduzione nell'uso di una lingua non è solo l'effetto diretto di un mutamento all'interno delle pratiche comunicative, bensi anche di vari cambia-menti di natura politico-economica con conseguenze indirette sul mutamento delle opinioni e degli atteggiamenti dei locutori verso le proprie lingue native. Sintetizzando questi molteplici e complessi processi in una formula riassuntiva, si vedrà che la differenza tra le funzioni linguistiche esercitate da una lingua domi-nata (o minacciata) e quelle di una lingua dominante rappresenta lo scarto di «vital-ità» di questa lingua sempre più in via di obsolescenza. In considerazione di tutti i fattori presentati finora e dopo aver verificato i risul-tati delle analisi condotte da: A) Gaetano Berruto (2009) per il ladino e il franco-provenzale in Val d'Aosta B) Paul Lewis (2005) per il gaelico e il maori si ottiene un indice di minaccia/«endangerment» per ciascuno dei quattro casi esaminati; questo indice è calcolato sulla base dei nove parametri fissati dall'UNESCO precedentemente illustrati. Una considerazione ulteriore della tipologia territoriale di ciascuna comunità comprende i parametri di White (1991) e Edwards (1992). LADINO DOLOMITICO FRANCO-PROVENZALE GAELICO MAORI 4, 1 3, 7 3 3, 1 Tabella 3 Come si puo fácilmente verificare, le 4 lingue analizzate sono tutte da considerare o come unsafe=index 4 o ancor peggio come definitively endangered=index 3. 4. «VITALITÁ» VS. «EGEMONIA»: COME PREVEDERE IL DESTINO DELLE LINGUE I cambiamenti linguistici sono imprevedibili perché la natura della dinamica lingüistica e multidimensional e multifunzionale. In generale, si ha la tendenza a considerare gli individui e le comunitá come entitá uniche e monolitiche, mentre la realtá osservativa ci suggerisce piuttosto che le attivitá linguistico-comunicative, sia nel singolo individuo che nella comunitá, sono distinte in almeno quattro attivitá differen-ti, identificabili in attivitá di: parlato - ascolto - lettura - scrittura. Si sa inoltre che una lingua non e soltanto un codice, ma anche un comportamento sociale. Le abi-tudini linguistiche sociali, fissate da processi storici, hanno portato i gruppi sociali e le comunitá a identificare cognitivamente l'entitá individuale e sociale con l'entitá linguistica. Il risultato di questa indebita sovrapposizione cognitiva e che l'entitá sociale corrisponde a una (e una sola) entitá linguistica (altrimenti detto, a una sola lingua). Si nota che questo pregiudizio, questa limitazione e riduzione linguistica di natura sociale, rappresenta un vero inconveniente, specie per quel che concerne le lingue cosiddette «in pericolo» o «minacciate». Ma, a questo proposito, ci si deve render conto che in considerazione dell'at-tuale egemonia dell'inglese come lingua ipervitale, che caratterizza questa epoca della cosiddetta globalizzazione, qualsiasi altra lingua diversa dall'inglese si trova in una situazione di «perdita di vitalitá», sia che si tratti di una lingua minoritaria che maggioritaria. Circa il grado di perdita di vitalitá linguistica si dispone di un buon numero di previsioni (tutte negative) per un numero assai consistente di molte lingue nel prossimo futuro. Le considerazioni di Tove Skutnabb-Kangas (2007: 371) vanno dalla piu ottimistica (a) alla piu pessimistica (c) passando da un'ottica mediana (b) che si presenta come una mescidanza di pessimismo e di realismo: a) The most optimistic prognoses of what is happening to the world's languages suggest that around the year 2100 at least 50% of today's close to 7,000 spoken languages [s. Ethnologue] may be extinct or very seriously endangered («moribund» - with elderly speakers only and no children learning them). (Skutnabb-Kangas 2007: 370-371, secondo le considerazioni dell'UNESCO). b) Pessimistic but still completely realistic estimates claim that as many as 90-95% of today's spoken languages may be extinct or very seriously endangered in less than a hundred year's time. (Skutnabb-Kamgas 2007: 371). c) Still more pessimistic estimates suspect that only those 40-50 languages will remain in which people can, within the next few years, talk to their stove, fridge and coffee pot, i.e. those languages into which Microsoft software, Nokia mobile phone menus, etc. are being translated (Rannut, 2003)[...]. One could also use the number of languages into which Harry Potter films being dubbed [...] and got a promise [...] Nobody knows what will happen to the world's Sign languages. There is today no idea of how many Sign languages there are. (Skutnabb-Kangas 2007: 371). Se si volesse dare credito a queste previsioni, non si puo certo affermare, come diceva Panglosse, che questo e il migliore dei mondi possibili, visto che tutte le comunita «godono» del privilegio di essere accomunate da un medesimo tratto negativo trovando-si tutte, per la prima volta nella storia, in un'identica situazione di svantaggio in rapporto all'inglese. In considerazione di questo unico e significativo fenomeno, si puo certamen-te affermare che attualmente si assiste ad un allargato processo di «minoritarizzazione» di tutte le lingue, indipendentemente dal peso del loro precedente status. 5. LE LINGUE NELL'ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE E IL PROCESSO DI «MINORITARIZZAZIONE» DI TUTTE LE LINGUE Il fenomeno linguistico piu evidente a cui si assiste oggi e pertanto il fenomeno di «minoritarizzazione» di tutte le lingue rispetto all'inglese. Questa lingua si e diffusa ovvero si e imposta alla sensibilita e all'attenzione dei locutori attraverso un regime linguistico coloniale molto sottile, di natura psico-sociale, fondamentalmente come effetto del «prestigio linguistico» che ha esercitato a partire dalla seconda meta del secolo scorso. Le conseguenze di questo fenomeno sono descritte in modo eloquente nella seguente affermazione di Abdulaziz/Osinde (1997: 44): [English] is the medium of instruction in the whole of the education system, and of the conducting of international business and banking, and it is also used in various administrative offices and institutions. It is the language of upward mobility, a status that gives it a lot of prestige, and it is therefore sought-after language in the country [Kenya]. It is so much identified with socio-economic status that even those who have made it in life following non-academic channels still want to acquire it in order to create the impression of being men and women of status. Un'analisi, anche solo sommaria, di questa riduzione ci permette di evidenziare la perdita comunicativa delle lingue maggioritarie a partire dai domini della comuni-cazione specialistica e tecnica, quelli che vanno dalla «Ricerca Scientifica e Tecnologica» alla «Formazione, istruzione, cultura formale» fino ai domini meno specialistici dell'informazione, del turismo e del tempo libero. 6. CONCLUSION! PROBLEMI APERTI E SOLUZIONI POSSIBILI ALL'ALBA DEL NUOVO MILLENIO A guisa di conclusioni, del tutto provvisorie, vorrei porre attenzione ad alcuni grandi problemi aperti. Due di questi richiedono una soluzione a livello mondiale e sono l'analfabetismo e la scelta eventuale di una lingua veicolare. Per quanto riguarda l'analfabetismo non aggiungero nulla al passaggio di Jacques Maurais (2003: 32): «Illiteracy continues to increase in the world, even in the developed countries. In 1990 it was found that about one third of the world's population was illiterate». Una recente analisi di Tullio De Mauro (2004) attesta questo fenomeno sociale in crescente aumento anche per l'Italia. La seconda questione concerne la scelta di una lingua veicolaire (o ausiliaria) per la cosiddetta «comunicazione internazionale». La scelta viene percepita come auspi-cabile, se non addirittura necessaria. Su questo punto si profilano due fronti diversi. Esistono da un lato i ferventi assertori dell'inglese, mentre sull'altro fronte si schie-rano i fautori di una lingua (neutra?) artificiale o pianificata come l'esperanto. Questa avrebbe il vantaggio, secondo alcuni, di non essere la lingua nativa di nessuno e di garantire, in quanto tale, una maggiore equita. Una terza posizione rispetto a tale questione e ricoperta da coloro che sono a favore di un'ampia e reale varieta linguistica che vada a garantire un effettivo plurilinguismo. Su questo si posiziona l'atteggiamento di chi scrive, peraltro in consonanza col programma della Conferenza di Helsinki del 1° agosto 1975 soprattutto nella formulazione seguente: Encourage the study of foreign languages and civilizations as an important means of expanding communication among peoples for their better acquaintance with the culture of each country, as well as for the stregthening of international co-operation; to this end to stimulate, within their competence, the further development and improvement of foreign language teaching and the diversification of choice of languages taught at various levels, paying due attention to less widely-spread or studied languages. Per quel che concerne la lingua veicolare o franca, invece di discutere attorno alla scelta di quale lingua debba assumere lo status di Lingua Franca, si potrebbe piuttosto portare l'attenzione sulla comunicazione plurilingue che si sviluppa attraverso l'uti-lizzo di diverse lingue secondo le specifiche modalita della ricezione e della pro-duzione linguistica. Bibliografia Abdulaziz, Mohamed H./Ken Osinde (1997) «Sheng and Engsh: development of mixed codes among the urban youth in Kenya.» IJSL 25, 43-63. Ammon, Ulrich (1989) «Towards a descriptive framework for the Status / Function (Social position) of a language within a country.» In: U. Ammon (a cura di), Status and function of languages and language varieties. Berlin/New York: Mouton de Gruyter, 21-106. Ammon, Ulrich (2003) «The international standing of the German language.» In: J. Maurais/M. A. Morris (a cura di), 231-249. 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Il contributo mette in evidenza che oggi, accanto alle lingue storicamente minoritarie, sussiste un processo di minoritarizzazione che coinvolge anche le lingue maggioritarie. Ció per un processo di relativo confronto con una lingua come l'inglese che ha assunto il ruolo di lingua globale. Povzetek K POSODOBITVI KONCEPTA JEziKovNE viTALNosTI Prispevek se osredotoča na mogoče definicije jezikovne »vitalnosti«. Obravnavane so nekatere takšne definicije, da bi ugotovili njihovo uporabnost pri različnih klasifikacijah jezikov, ki vključujejo pojme, kot so takoimenovani »večinski jeziki«, »manjšinski jeziki«, »izumirajoči jeziki«, »zastareli jeziki« ipd. Določiti parametre, s pomočjo katerih bi lahko ugotovili in izmerili stanje »vitalnosti« določenega jezika, pomeni predvsem prepoznati in analizirati različna okolja, v katerih se jezik dejansko ali potencialno uporablja. V prispevku je poudarjeno, da danes poleg jezikov, ki so manjšinski zaradi zgodovinskih okoliščin, proces manjšin-jenja zadeva tudi večinske jezike, če jih primerjamo z angleščino, ki je prevzela vlogo globalnega jezika.