Nora Galli de' Paratesi Roma CDU 805.0-086.2 (-924) IL GIUDEOITALIANO EIPROBLEMIDELLA SUA DEFINIZIONE: UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGÜISTICA1 1. INTRODUZIONE Lo scopo di questo articolo é di portare all'attenzione dei linguisti che lavorano suH'italiano un argomento poco noto perché é stato trattato per lo piü, per le caratteri-stiche del suo materiale, al di fuori dell'italianistica: il cosiddetto giudeo-italiano. II termine si riferisce alie varietá dialettali úsate in una serie di documenti che sono stati oggetto di studio, con poche eccezioni, da parte di specialisti di ebraico. I testi hanno, aldilá del loro immediato valore come documenti della cultura ebraica italiana, anche un interesse linguistico: é questa appunto l'angolatura di questo lavoro, perché il tentativo di definire tali paríate all'interno delle varietá di italiano ha avuto varié soluzio-ni da parte di studiosi diversi, che costituiscono un itinerario teorico molto interessante. Si tratta di uno spezzone di storia della lingüistica italiana e romanza in cui si ripercorre un itinerario simile a quello della defínizione di italiano standard. Si tratta di un percorso che é parallelo all'evoluzione della lingüistica stessa e che é stato fino a non molto tempo fa, come si cercherá di dimostrare, dominato in larga parte dalla visione delle varietá linguistiche come sistemi discreti, unitari ed omogenei, propria della descrizione lingüistica fino alia messa a punto dei modelli macrosocio-linguistici che hanno incorporato sistemáticamente la variazione e il continuo linguistico. In particolare nel nostro caso l'immagine del giudeo-italiano risentiva della concezione di un'entitá quanto mai elusiva, che ha dominato la lingüistica italiana, quella dell'italiano standard. D termine giudeo-italiano copre tutta una serie di documenti linguistici molto eterogenei e si riferisce a sistemi linguistici non piü in uso. Infatti in Italia oggigiorno non abbiamo differenze di comportamento linguistico tra ebrei e non ebrei che siano tali da farci parlare di giudeo-italiano o di dialetti giudeo-italiani, come di un sistema 0 di una serie di sistemi a sé stanti in uso2. II materiale in giudeo-italiano é diviso in 1 Ringrazio il Centro di Cultura Ebraica della Comunitá Ebraica di Roma e il Centro Bibliográfico dell'Unione delle Comunitá Ebraiche Italiane per il loro córtese aiuto nell'aiutarmi a reperire la bibliografía per questo articolo. 2 L'unica eccezione é Roma dove alcuni individui, generalmente residenti nell'antico ghetto, presentano ancora tratti diversi dalla parlata regionale lócale, ma si tratta di un fenomeno di entitá molto ridotta. 107 due corpus distinti e molto diversi tra di loro che sono stati analizzati da studiosi di discipline diverse. Un corpus è quello redatto in alcuni dei dialetti regionali italiani (non quindi, malgrado il nome, in sottosistemi dell'italiano nazionale standard) corne erano parlati dagli ebrei in diverse città d'Italia. Alla fine del secolo scorso appaiono i primi inter-venti sulle paríate italiane come vengono usate dagli ebrei nelle diverse città d'Italia (Sacerdote 1893 e Modona 1893). All'inizio di questo secolo fu lanciata una proposta da Cammeo (1909) su un periodico ebraico, II Vessillo Israelítico, di raccogliere con l'aiuto dei lettori tutte le voci che, nelle diverse città d'Italia dove ci fosse una comu-nità ebraica, venivano usate comunemente solo dagli ebrei e non avevano circolazione al di fuori délia comunità. Questa iniziativa ebbe un certo seguito e Cammeo continuo a pubblicare voci raccolte con l'aiuto dei lettori dal 1909 al 1911: alla discussione partecipa anche Camerini (1909: 358-9 e 1909: 505-6). L'iniziativa attirô anche l'at-tenzione di un noto studioso di ebraismo, U. Cassuto, che contribuí con una breve descrizione del giudeo-fiorentino, e soprattutto risvegliô l'interesse per queste varietà linguistiche che stavano scomparendo, che s'inquadra perfettamente nel clima cultúrale della fine dell'Ottocento, época della nascita degli studi glottologici e dialettali, da una parte, e etnologici dall'altra. Nel 1926, questa volta su La Rassegna Mensile d'Israël, viene lanciato un altro appello di raccolta da Bachi, in chiave apertamente antropológica. Nasce cosi un filone antiquario di raccolta e catalogazione, in larga parte frutto delP entusiasmo di non specialisti, il cui interesse dura tuttora, con tentativi di fissare o ricostruire le varietà moribonde sotto forma di poesie, testi teatrali (alcuni tradizio-nali altri scritti per far rivivere la parlata, come tuttora a Roma) o liste di unità lessicali ed espressioni linguistiche, tipiche dei soli parlanti ebrei. Il materiale inviato aWâ Rassegna consegnato verrà conservato e consegnato poi a Terracini che lo studierà dal punto di vista lingüístico. Terracini ricevette anche altro materiale raccolto da Giaco-melli3, un appassionato di ricerche dialettali che aveva lavorato a Roma, Pitigliano, Ferrara e in altri centri. Terracini pubblicherà il frutto delle raccolte di Giacomelli in un articolo del 1962. Tutto questo materiale è in qualche modo di tipo orale anche se trascritto ed è stato in seguito oggetto di studio da parte di vari studiosi tra cui glotto-logi e dialettologi, alcuni dei quali hanno aggiunto raccolte nuove: si vedano, tra gli altri, Modena Mayer e Massariello Merzagora (1973) per il giudeo-modenese, Colorid (1971) per il giudeo-mantovano, Massariello Merzagora (1977 e 1980) che produce una rassegna generale delle diverse paríate come ci sono giunte, Fortis e Zolli (1979) per il giudeo-veneziano, Sestieri Scazzocchio (1970) e Pavoncello (1978, 1986, 1988), Milano (1963b) per il giudeo-romano, Beccani (1941, 1942) e Fornaciari (1983) per il giudeo-livornese. 3 Terracini, che lo conobbe personalmente, dà una presentazione bio-bibliografica di Giacomelli (1962). 108 Accanto alie raccolte di voci fiorisce anche il desiderio di fissare poesie tradizio-nali e produrne di nuove: Terracini stesso nel 1938 pubblica e commenta due compo-sizioni in versi. Nasce una fiorente produzione con I sonetti giudaico-romaneschi di Del Monte del 1927 (apparsi per la prima volta nel 1908), seguiti da altre due raccolte nel 1932 e 1955; Bedarida pubblica Ebrei diLivorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi del 1956, seguiti da altri contributi minori, come Colombo (1970) per Moncalvo e Stock (1970) per il triestino. Per il teatro abbiamo vari contributi di Bedarida a partiré dal 1924 in poi, sempre in giudeo-livornese e un'interessante versione un giudeo-fíorentino di un canovaccio tradizionaleLa GnoraLuna edito dai Bené Kedem, pseudónimo dei figli dello studioso di ebraismo U. Cassuto. Esistono canovacci ripresi in giudeo-romano a cui recen-temente s'é affiancata una produzione nuova sulla stessa scia che viene rappresentata da una compagnia lócale: questo materiale teatrale é stato raccolto in un volume curato da Fortis (1989). Come per tutte le raccolte antiquarie, l'oralitá di questo materiale é ovviamente piuttosto dubbia, cosi come lo é in parte l'attendibilitá delle forme stesse, spesso ricordate vagamente da chi in realtá non le usa piü. Soprattutto dal punto di vista sociolinguistico manca un riferimento di contesto alie forme studiate, che ci giungono attraverso liste raccolte pazientemente, ma non all'interno di interviste dall'uso vivo. Tuttavia, poiché ormai sono Túnica fonte che abbiamo, questi resti costituiscono un corpus divenuto ormai classico sull'argomento e insostituibile. L'altro filone, invece, appartiene all'ambito scritto ed é stato l'oggetto di studio di filologi ed esegeti, piü che di linguisti. Si tratta di un'ampia messe di testi scritti coi caratteri dell'alfabeto ebraico in un italiano come era parlato e compreso dagli ebrei, quindi con caratteristiche proprie rispetto alie equivalenti varietá paríate dai gentili. La parte maggiore di questi documenti é di tipo religioso ed essi si situano cronológicamente tra i secoli XI e il XVTII. Poiché gli ebrei in Italia avevano smesso giá in época romana di usare l'ebraico come lingua parlata, si presentava il problema che chi non lo conosceva non poteva seguire i testi sacri e recitare le preghiere prescritte. Gli studiosi e, in molti casi, gli uomini delle comunitá avevano almeno una conoscenza della lingua scritta, pero le donne e i bambini avevano bisogno di una traduzione per poter pregare e seguire le funzioni in sinagoga. Abbiamo perció traduzioni della Bib-bia; glosse al testo biblico; glossari di termini ebraici tradotti in italiano; traduzioni di preghiere, rituali e formulari; prediche e composizioni poetiche religiose. Oltre al materiale religioso abbiamo anche documenti legali, sempre scritti in italiano ma in caratteri ebraici, e una produzione poética non religiosa, ma la parte laica del materiale é piü ridotta4. 4 Üna prima descrizione dei documenti scritti si trova in Cassuto (1929). Cuomo (1981:429-435) offre una presentazione tipológica del materiale sia scritto che sui dialetti parlati, Freedman (1972, Cap. I) da una bibliografía ragionata su tutto il materiale, mentre Colorni (1971), Massariello Merzagora (1977) e Fortis e Zolli (1979) rendono conto delle raccolte antiquarie, poetiche e teatrali e Fortis (1989) in particolare della produzione teatrale. 109 Il termine giudeo-italiano appare per la prima volta in un articolo di U. Cassuto (1909) ed è ormai diventato canonico, ma si presta ad equivoci, in quanto puô far pensare ad una varietà lingüistica sovraregionale come l'italiano letterario5. Sia i testi scritti che le raccolte di voci dei dialetti parlati documentano invece delle paríate regionali cosí come venivano úsate dagli ebrei che, per ragioni intrinseche alla loro condizione, hanno dato loro una impronta peculiare. Per evitare equivoci si propone di usare qui varietà o paríate giudeo-italiane. 2. CENNI DI STORIA DEGLI EBREI ITALIANI Prima di poterci addentrare in una discussione sull' origine e sui rapporti recipro-ci delle varietà giudeo-italiane, è bene mettere in rilievo alcuni tratti della storia degli ebrei italiani6, che sono fondamentali per impostare correttamente il problema lingui-stico. La storia degli ebrei italiani è essenzialmente una storia di movimenti migratori particolari e, in generale, più frequenti che per il resto della popolazione e di segrega-zione. Gli insediamenti più antichi in Italia sono quello di Roma e quelli dell' Italia méridionale, dove le comunità ebraiche erano già numeróse e fiorenti nell' alto medioevo. Con l'espulsione dal Regno delle Due Sicilie decretata dai Re Spagnoli nel sec. XV, abbiamo un vasto movimento migratorio che muove da tutto il Sud. Nelle comunità del Meridione tutti coloro che non si convertirono scelsero di emigrare e la mag-gior parte di essi si trasferi a Roma, da dove molti si spostarono ancora più a Nord. A parte questo flusso migratorio dalla direzione e datazione chiare e definite, vi furono una miriade di spostamenti da una città all'altra della Penisola, dovuti alie alterne vicende a cui le comunità erano sottoposte. Le concessioni di permanenza e di lavoro fatte agli ebrei cambiavano continuamente nei diversi luoghi, a seconda delle pressioni esercitate dalla Chiesa, delle condizioni economiche e percio del bisogno che i governanti avevano occasionalmente di sviluppare questo o quel commercio o artigianato (per esempio quello della seta) o del prestito di capitali e a causa dell'in-tolleranza religiosa creata a ondate dai predicatori7. È difficile riassumere quella che fu una continua e particolare instabilité geográfica e sociale: la formulazione più chia-ra e utile per noi in questa sede è che gli ebrei furono sollecitati e spinti a molti e continui spostamenti da una città all'altra, da uno Stato all'altro, più di qualsiasi altro gruppo ed è questa mobilità, diversa e maggiore di quella dei cristiani, che produrrà delle commistioni di forme linguistiche infra e intraregionali del tutto particolari. Ba- 5 È stato suggerito da Gold (1980) di sostituire questo termine con Italkian : si veda la discussione in proposito in Cuomo (1982: 9). 6 Per una storia degli ebrei italiani si veda A. Milano, Storia degli Ebrei italiani, Milano 1963a. 7 Per un quadro esauriente delle cause anche antropologiche-sociali delle cacciate e della segregazione si veda Bonfil 1991. 110 sta leggere la storia delle diverse comunitá italiane per vedere come in quasi ogni caso si assista a un andirivieni di concessioni e restrizioni di soggiorno, chiamate e caccia-te, che resero estremamente mobili gli abitanti della maggioranza delle comunitá. Poche di esse furono stabili: come eccezioni abbiamo quella romana e quella livorne-se (che é pero una comunitá relativamente tarda, di época rinascimentale) che godet-tero, pur nelle alterne vicende, almeno di una stabilitá geográfica. Quest'ultima non significo pero stabilitá lingüistica perché le comunitá stabili funsero da rifugio per gli ebrei in fuga dalle altre, anche straniere, francesi, tedesche, spagnole, portoghesi e quindi ricevettero apporti linguistici diversi. Aparte gli spostamenti geografici particolari e particolarmente numerosi, l'altra caratteristica delle comunitá ebraiche fu la segregazione dal resto della popolazione. Giá nelle cittá medievali e nell'antichitá, la popolazione ebraica conduceva una vita a parte, ma non si trattava necessariamente di una segregazione forzata. Nel migliore dei casi era quel fenomeno naturale per cui gruppi di immigrati tendono sempre a radunarsi nella stessa area di una cittá semplicemente in quanto condividono lo stesso stile di vita, gli stessi usi e costumi. Anche nelle migliori condizioni era naturale che la popolazione ebraica si radunasse insieme per facilitare il culto religioso e l'osser-vanza delle rególe dietetiche. Spesso, pero, era anche il rifiuto della popolazione cristiana e la conseguente autodifesa che costituivano una spinta alia separazione spontanea che veniva anche in parte incoraggiata dalle autoritá. A partiré dalla prima metá del secolo XVI vengono istituiti i veri e propri ghetti, chiusi físicamente da porte invalicabili di notte: a Venezia prima, nel 1516, e poi a Roma nel 1555. Su pressione dei Papi la segregazione coatta nei ghetti venne imposta con l'andar del tempo, in epoche diverse, anche negli altri Stati italiani dove vi fosse una comunitá. L'unica eccezione rimane Livorno dove il ghetto non fu mai istituito. Agli effetti linguistici l'istituzione dei ghetti chiusi non fece che esasperare una coe-sione lingüistica giá presente all'interno delle comunitá, dove si viveva spesso giá nella cosiddetta "giudecca", il quartiere ebraico, che ancora esiste nella toponomástica di tanti paesi e cittá italiane. 3. CARATTERISTICHE LINGUISTICHE DELLE VARIETÁ GIUDEO-ITALIANE8 Le vicissitudini storiche delle Comunitá ebraiche hanno dato alie varietá paríate al loro interno delle caratteristiche linguistiche particolari, che potremmo riassumere come: arcaicitá, mistilinguismo italiano e mistilinguismo esterno all'italiano. 8 L'esistenza di una forma peculiare di lingua parlata e scritta dagli ebrei, con caratteristiche proprie rispetto a quella dei gentili, é un fenomeno che si trova in tutti i paesi in cui vi é stata una presenza ebraica. Puó trattarsi di un sistema lingüístico completamente diverso come lo yiddish in Germania e Europa orientale o il ladino (antico spagnolo) parlato ancora in Turchia e in Bosnia, o di una variante solo parzialmente diversa. L'interesse per le varianti linguistiche úsate dagli ebrei nasce nel secondo Ottocento. Per quanto riguarda Parea romanza il primo ad avviare gli studi sulle cosiddette paríate 111 3.1 ARCAICITÁ La patina arcaica di queste paríate é la conseguenza del conservatorismo lingüístico che si verifica sempre quando un gruppo di parlanti subisce una segregazione física e/o sociale. Le paríate dei quartieri ebraici prima e ancor piu quelle dei ghetti in seguito, furono sottratte in parte all'evoluzione storica súbita dalle paríate dei non ebrei che li circondavano. Non va dimenticato anche pero che d'altra parte si verifica-vano delle innovazioni linguistiche all'interno delle comunitá ed esse non venivano diffuse all'esterno, rimanendo perianto forme caratteristiche solamente del gruppo: per esempio (Massariello 1977: 76-77) il giudeo-modenese mostrava di essere piü italianizzante, e quindi innovativo, del dialetto non ebraico, data la preponderanza di borghesi all'interno della comunitá. In generale, pero, in tutta la letteratura sull'argomento, per tutte le paríate scritte o orali di cui ci é giunta documentazione, appare una patina arcaica, che é stata accet-tata da tutti gli studiosi come una caratteristica fondamentale delle paríate giudeo-ita-liane. Essa d'altra parte é un fenomeno noto ai linguisti storici perché appare in molte altre situazioni dove si é avuta una segregazione di natura geográfica, come per esempio in comunitá linguistiche isolate in villaggi mal collegati col contesto geográfico circostante. Tuttavia, é stata attirata giustamente l'attenzione sul fatto che puó accadere di attribuire al conservatorismo dei tratti linguistici arcaicizzanti la cui presenza puó essere spiegata in altro modo: essi possono provenire da altri luoghi dove la parlata era piü conservatrice anche per i non ebrei (differenza cittá-campagna) o essere dei casi di italianizzazione. L'arcaicitá, inoltre, come la presenza di forme ebraiche, se da una parte é sempre presente, dall'altra incide quantitativamente in modo molto marcato solo laddove la segregazione é molto forte e puó perció essere presa come un Índice delle condizioni sociali delle comunitá. 3.2 MISHLINGUISMO INTERNO L'altra caratteristica saliente é il mistilinguismo, cioé la presenza di forme prove-nienti da altre lingue o altre varietá, pórtate dal di fuori come conseguenza dei movi-menti migratori particolari di cui s'é detto. Abbiamo due tipi di mistilinguismo: interno all'italiano ed esterno all'italiano. giudeo-romanze fu Blondheim nel 1923, con la pubblicazione di uno studio comparativo dei termini romanzi usati per le traduzioni bibliche, avanzando in un suo ulteriore studio del 1925 l'ipotesi dell'esistenza di una vera e propria koiné romanza nella parte sud-occidentale dell'Europa. L'ipotesi di Blondheim ha avuto naturalmente una forte influenza sulla concezione che vedremo di una koiné ebraico-italiana unitaria (M. Weinreich 1956, Birnbaum 1942e 1971 danno una visionedel panorama globale delle varietá ebraiche; per l'origine delle varietá ashkenazite si veda Agus 1974). 112 Il mistilinguismo interno a sua volta si divide in infraregionale, quando vengono impórtate forme dalle zone circostanti délia stessa regione, e interrégionale, quando i prestiti provengono dal di fuori délia regione, da dialetti diversi. Le forme infraregionali giungevano nelle città con l'arrivo di gente da paesi e cittadine délia provincia circostante, soprattutto in età recente con la mobilità creata dalla scomparsa dei ghetti e la conseguente urbanizzazione, che introduceva nei dialetti di città tratti linguistici provinciali9. Questi tratti erano di regola più arcaici di quelli cittadini, come spesso accade: infatti Fasse di variazione lingüistica centro-periferia vede una distribuzione di forme più innovanti nei centri e più conservative nelle società più ristrette, specie se rurali. E frequente incontrare nelle paríate ebraiche degli arcaismi che non si sa se ascrivere alia segregazione o ai movimenti migratori dalla provincia alla città: i due fattori infatti hanno in questi casi lo stesso risultato. L'esempio più noto, invece, di tratti interregionali, cioè provenienti da altre re-gioni italiane, sono i meridionalismi riscontrati sia nelle trascrizioni di "parlato" dialettale, sia nei testi più antichi di giudeo-italiano scritto10. Gli esempi di tratti provenienti da altre regioni sono numerosi: il dialetto giudeo-pitiglianese ha una base romana, in quanto era parlato da una comunità composta in larga parte di ebrei provenienti da Castro, città del viterbese distrutta dal Papa nel sec. XVI, e prima ancora da Roma. Elementi romani si trovano anche nel giudeo-livornese (Midgali 1990). A Mo-dena appaiono affinità linguistiche con Mantova che possono essere interpretate come risultato di migrazioni: "Questa analogía con Mantova non ci deve far concludere in favore dell'esistenza di una koiné nei due centri, ma è più semplicemente spiegabile con la frequenza di spostamenti e di contatti tra i nuclei ebraici dell'una città e dell'altra" (Massariello, 1977:48). Un esempio chiaro questo délia particolarità delle paríate giudeo-italiane: una mobilità geográfica non solo diversa, ma maggiore, rispetto al resto della popolazio-ne, mette la variante giudaica del dialetto al di fuori dei normali sviluppi storico-lin-guistici, che di solito mantengono differenze tra due città nella popolazione cristiana stabile. 3.3 MISTILINGUISMO ESTERNO Si tratta della caratteristica forse più evidente di queste paríate e quella che non solo si è conservata fino a oggi, ma che è ancora produttiva: l'immissione di prestiti da lingue straniere. La fonte più rappresentata è l'ebraico, ma nelle varie comunità 9 Terracini spiega, per esempio, come monferrine alcune forme antiquate che riscontra per Torino (1938) e lo stesso avviene per il giudeo-ferrarese, dove si ritrovano voci provenienti da Lugo e da Cento (Massariello Merzagora, 1977:42): l'arcaismo in questo caso è il risultato del mistilinguismo. 10 L'esempio più frequentemente citato di influenza interrégionale è quella méridionale, accertata per Roma (si veda peres. Scazzocchio 1970),ridimensionata da alcuni autori (Cuomo 1981) e recisamente negata per alcuni dialetti giudeo-italiani del Nord (Colomi 1971 per il mantovano e Fortis e ZoIIi 1979 per il veneziano). 113 sono entrati anche prestiti dal tedesco, dallo spagnolo e dal portoghese, portati dai transfughi delle persecuzioni in quei Paesi. 3.3.1 Prestiti da altre lingue europee Gli esempi di prestiti dallo spagnolo e dal portoghese sono molti, soprattutto per quelle comunitá che accolsero molti ebrei iberici cacciati dalla Spagna e dal Portogal-lo nell 'ultimo decennio del sec. XV. La comunitá livornese, per esempio, fu fondata dagli esuli iberici, il giudeo-spagnolo e il giudeo-portoghese furono lingue vive per secoli (il primo come lingua órale, il secondo anche come la lingua scritta della comunitá) e la parlata lócale che si sviluppó, chiamata bagito, era piena di iberismi, come appare ancora dalle composizioni poetiche di Bedarida. Alcuni termini di derivazione ibérica valicarono le mura delle comunitá dove vivevano molti ebrei sefarditi, di origine ibérica, e divennero comuni in altre paríate ebraiche, come negro, che non ha nessuna connotazione razziale, ma significa 'cattivo', 'brutto', 'negativo', come per l'italiano ñero in espressioni come una giornata ñera, una sfortuna ñera. I prestiti germanici sono meno numerosi, ma sono documentati, per esempio, sia per il giudeo-veneziano (Fortis e Zolli 1979) che per il giudeo-piemontese: proprio su questo punto nel 1893 G. Sacerdote apriva la nota su II Vessillo Israelítico che costi-tuisce l'inizio della presa di coscienza dell'esistenza delle paríate giudeo-italiane. 3.3.2 Prestiti dall'ebraico I prestiti dalla lingua ebraica sono molti e presentí in ogni varietá di giudeo-ita-liano (e non italiano) di ogni area ed época, sia parlato che scritto: sono ancora oggi un tratto distintivo piü o meno marcato dell'italiano parlato dagli ebrei. I prestiti venivano a volte italianizzati, ma un largo numero sono rimasti intatti, sia pur con un adattamento dal sistema fonologico dell'ebraico a quelli dei singoli dialetti o dell'italiano sovraregionale (si veda per questo Artom 1962). In generale si é osservato che le alterazioni delle unitá lessicali ebraiche sono scarse, minori di quan-to non siano le alterazioni che subiscono generalmente i prestiti da lingue straniere. Ció potrebbe essere attribuito alia familiaritá data dalla presenza dell'ebraico nella cultura e nel rito, anche se esso smise di essere usato come lingua parlata in época romana. I prestiti non sono sempre gli stessi in tutte le varietá, ma coincidono in larga misura. La diffusione degli stessi prestiti in comunitá diverse potrebbe essere dovuta agli spostamenti di famiglie e nuclei di cui abbiamo parlato, al valore universale di essi (termini ovvi del culto e dei realia ebraici) e, come suggerisce Massariello Mer-zagora (1977: 73), al fatto che i rabbini, che conoscevano e studiavano l'ebraico e che si spostavano da una comunitá all'altra, potevano esserne i portatori. La ragjone piü ovvia dei prestiti é quella di riferirsi a concetti e oggetti relativi al culto, alie festivitá e a realia della vita ebraica, come, per esempio, al cibo. Le ragioni 114 in cjuesto caso sono di tipo culturale e pratico. L'uso, a volte anche scherzoso, di espressioni del culto ricorda il ruolo del latino a livello popolare tra i cristiani, il cosiddetto 'latinorum', anch'esso, come l'uso dell'ebraico, sia serio che umoristico. Abbiamo pero anche ragioni di tipo psicologico per questi prestiti: l'uso di termini ebraici a scopo gergale e per ragioni eufemistiche. II ricorso a termini stranieri come copertura dei termini proibiti, é un classico del procedimento eufemistico11.1 termini colpiti da proibizione vengono investiti spesso violentemente di valenze negative a livello profondo, che risalgono all'infanzia. Per un procedimento psicologico naturale e molto forte, per esempio, la paura della morte e delle malattie mortali viene trasferita alie parole che le indicano, lo stesso avviene per la vergogna del sesso e della vita fisiológica, che in etá infantile viene trasmessa alie parole e, in epoche piü religiose della nostra, per il timore di Dio (o di potenze magiche come la sfortuna e i suoi simboli). II latino é stato ed é tuttora per I'italiano (e non solo per l'italiano) il serba-toio classico dei termini eufemistici. II francese lo é stato nel secolo scorso e nella prima parte di questo secolo. É naturale che l'ebraico si sia prestato a questa funzione. Di questa origine sono, per esempio12: ber ahaim dall'ebr. bet hahayim, lett. 'casa della vita', a sua volta eufemismo per indicare il cimitero; AzazeV sta per 'demonio'; satan per 'diavolo'; ain ara per 'malocchio'; zona per 'prostituta'; sosanimme per 'seni'; musciau per 'gabinetto'; aveV per 'lutto' e 'persona in lutto'; teena per 'genitale femminile' e mila per 'membro virile'. Un'altra ragjone psicológica che ha portato alia proliferazione dei prestiti dall'e-braico é il loro uso gergale. Vi sono diversi modi di definire i gerghi. Un gergo é una parlata condivisa da un sottogruppo di parlanti all 'interno di una comunitá lingüistica, che condividono una condizione particolare. La condizione condivisa puó essere di natura diversa: abbiamo gerghi legati a un mestiere che rende necessaria tutta una serie di termini specifici, e in questo caso si parlerá, per esempio, di gerghi scientifici o di mestiere; oppure il gergo puó servire a difendere il gruppo da attacchi esterni ed essere perció un gergo segreto, come per la malavita o i partigiani e gli Alleati nella seconda guerra mondiale che usavano parole d'ordine e comunicavano in un códice cifrato; infine, il grupo puó condividere una solidarietá piü o meno scherzosa, come nei gerghi che si formano tra i giovani, o tra gli studenti o tra i soldati: in quest'ultimo caso lo scopo non é quello di nascondersi, ma di daré un segno di appartenenze al gruppo di identitá. Per gli ebrei, la funzione della lingua ebraica é forse stata nel passato anche quella di una lingua segreta, ma, in epoche recenti, l'uso gergale piü produttivo é stato quello del linguaggio d'identitá di gruppo e di gergo scherzoso. Tale é la natura del-l'uso di molte delle parole, dei soprannomi scherzosi, dei proverbi, dei modi di diré di origine ebraica (ed anche non necessariamente solo di origine ebraica) che sono pecu- 11 Peri procedimenti eufemistici in generalee l'uso delle lingue straniere edi cultura a scopo di copertura dei termini proibiti, si veda Galli de' Paratesi N. (1964). 12 Questi esempi sono tratti da Modena Mayer 1978 per il giudeo-livornese. 115 liari dei dialetti giudeo-italiani. É questa una delle ragioni principali del fascino delle poesie di Bedarida e Del Monte e del teatro ebraico. La vivacitá delle formazioni gergali ebraiche é stata tale che dalle varietá gjudeo-italiane, alcuni termini ebraici sono entrati nei dialetti locali: dal bagito degli ebrei di Livorno pare che in passato fossero passati dei termini al livornese dei gentili (Forna-ciari 1983), lo stesso si era verificato per i dialetti del Nord e diversi termini del ghetto romano figurano in Belli e nei versi in romanesco di Luigi Zanazzo (Pavoncello 1978). Primo Levi nei suo libro II sistema periodico parla di un gergo, con molte parole di giudeo-italiano, usato dai commercianti di stoffa, di cui esiste anche una versione ferrarese che é stata raccolta e che circola in forma solo dattiloscritta. L'italiano nazionale é debitore all'ebraico di una parola sólidamente affermata a livello nazionale, fasullo, per 'falso', 'non autentico' e di sciammannato, di diffusione romana e toscana, col signicato di 'sciatto, disordinato'. 4. DEFINIZIONE, ORIGINI E RAPPORTI DELLE PARLATE EBRAICHE ITALIANE Dalle prime prese di coscienza dell'esistenza di paríate ebraiche dialettali tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento ad oggi, si é assistito ad un fiorire di studi, soprattutto intorno ai documenti scritti religiosi del passato, oltre che naturalmente a quelli che Terracini aveva chiamato i residui delle paríate dialettali scomparse ormai definitivamente (con la sola eccezione del giudeo-romano). La pubblicazione dei documenti scritti si é intensificata negli ultimi anni e permette di avere oggi uno sguardo d'insieme nuovo sul problema. In sostanza le domande che ci si sono poste nella letteratura sull'argomento possono essere cosi formúlate: 1. Esisteva una koiné scritta di giudeo-italiano che stava ai diversi dialetti locali come l'italiano letterario stava alie diverse forme di volgare? 2. Se si, quale era? Cioé di che origine regionale era? 3. Se esisteva una koiné scritta di giudeo-italiano, in che misura era anche parlata? Si puó parlare di un "giudeo-italiano illustre"? Da una risposta positiva a questa do-manda deriva che esso potrebbe avere iníluenzato le diverse forme dialettali locali. 4.1 TEORIA DELLA KOINÉ GIUDEO-ITALIANA La prima di queste questioni é entrata d'impeto nella letteratura proprio nei momento in cui cominciavano gli studi dei testi scritti in giudeo-italiano. Infatti essa fu affrontata da Cassuto13 in uno dei suoi primi saggi sull'argomento: nei 1929 pubblica 13 Giá prima di Cassuto altri studiosi avevano assunto implícitamente che esistesse un dialetto parlato dagli ebrei italiani piuttosto che delle versioni parzialmente diverse delle paríate locali: per esempio, Cologna nei 1829 afferma: "Noi abbiamo tra le mani un Breviario in rito itálico in antico vernacolo 116 l'edizione critica di un testo di una poesia religiosa in giudeo-italiano che fa risalire al sec. Xni, l'Elegia del 9 di Av, e qui presenta per la prima volta14 la sua tesi lingüistica. II punto saliente della tesi di Cassuto é che i MSS in giudeo-italiano che lui esamina hanno, come quello pubblicato nell'articolo, una patina centro meridionale: "Tutte le traduzioni piü antiche [di testi religiosi dall'ebraico in italiano] e i piü antichi glossari ci presentano dialetti assai vicini tra loro, da classificarsi come dialetti centro-meridionali, e in particolare da assegnarsi alia sezione marchigiano-umbro-romanesca; vi prevalgono per lo piü i caratteri dell'antico romanesco, non senza pero qualche congruenza con altri dialetti della stessa sezione e anche con dialetti delle sezioni piü meridonali." (375) Su questa base, tenendo presentí gli eventi storici che investirono l'ebraismo italiano, cioé la cacciata dal Regno Spagnolo del Sud e le conseguenti migrazioni dal meridione a Roma, 'centro principalissimo dell'ebraismo', Cassuto postula: "...una specie di Koiné ebraica, in cui prevale va 1'elemento romanesco, ma erano rappresentati anche elementi di altre provincie dello Stato della Chiesa e dell'Italia meridionale." (375 Le tendenze diacroniche che lo studioso mette in luce puntano ad un processo di convergenza, di standardizzazione verso la koiné, almeno a livello scritto: "I testi piü antichi ci presentano ancora divergenze dialettali abbastanza notevoli tra l'uno e l'altro, per il maggior rilievo che in ogni singóla provincia vengono ad avere gli elementi locali, ma poi le differenze vanno attenuandosi". (376) Non solo questa koiné creerebbe un polo di standardizzazione scritta attraverso l'imitazione del modello lingüístico del corpus costituito dai testi religiosi tradotti, ma dal livello scritto si riverserebbe anche a livello órale, costituendo un riferimento anche per l'evoluzione delle lingue paríate dagli ebrei in tutta le penisola, anche al Nord: "E poiché al nord di Roma le comunitá di ebrei italiani... si costituirono in gran parte con elementi provenienti da Roma, la koiné giudaica a fondo romanesco si diffuse anche verso il nord in territori dialettali toscani, gallo-italici e veneziani, formando la base delle paríate giu-daiche delle singóle comunitá, modificandosi via via piü o meno rápidamente e piü o meno profondamente sotto l'influsso dei dialetti locali...anche nei dialetti parlati restarono a lungo saldi molti elementi deH'originaria koiné centro-meridionale, e in parte essi persistono anche oggi in ció che tuttora rimane dei dialetti giudaici: la grammatica del giudeo-fíorentino, ed esempio, coincide anche oggi in parte con quella del romanesco antico." (376) Queste argomentazioni verranno riprese e ripetute in diversi scritti di Cassuto15 negli anni a venire, in pratica senza sostanziali cambiamenti, anzi in alcuni di questi scritti assumeranno formulazioni ancora piü recise, data la sede in cui appariranno, come l'Encyclopaedia Judaica (1932), dove la teoría é sintetizzata schematicamente in pocfae parole, o assume una forma divulgativa e quindi semplificata, come in 1930a. ebreo-itaUano [corsivo mió]..." 14 Si vedano 1930a, 1930b, 1930c,1932,1934. 15 Si vedano 1930a, 1930b, 1930c,1932,1934. 117 Su questi argomenti Cassuto si riproponeva di tornare in modo orgánico, cosa che fu resa impossibile dagli eventi drammatici della guerra e della persecuzione. La sua teoría ebbe fortuna e fu ripresa forse in modo ancor piú schematico da molti degli studiosi che seguirono, con poche eccezioni. Non é possibile qui ripercorrere l'uso che ne fu fatto dai suoi seguaci16: tra di essi abbiamo anche Spitzer (1942,1961). Non mancarono pero coloro che dissentivano come fanno, piú cautamente, la Fiorentino (1937 e 1951-52)17 e, in modo reciso, Berenblut (1949) e, piú tardi, Freedman (1972). Tanto Berenblut che Freedman possono essere portati come esempi tipici di opposito-ri alia teoría di Cassuto: ambedue sono molto recisi nel rifiutare la possibilitá di una koiné. La loro critica é radicale, quello che intravedono é un caos dialettale, destruttu-rato e impossibile da descrivere, neppure in termini di tracce sistematiche anche contrastante Ambedue questi autori, che offrono un contributo valido come filologi dei testi, rifiutano di offrire per la parte lingüistica una pars construens accanto a quella distruttiva. Berenblut in particolare, vede solo una polimorfía dialettale dei testi legata alia provenienza dialettale dei singoli estensori, appena mitigata dal ripetersi di formule fisse tradizionali di traduzione18. 16 Tra le rassegne critiche della letteratura quella che rende in modo completo e dettagliato ogni intervento é Freedman (1972, Cap.I) dove si potra seguire la fortuna della teoría della koiné. 17 "Under such conditions we can consider Judeo-Italian as 'un veritable Yiddisch italien' [parole di Cassuto] only by a first glance, since Yiddish is a real linguistic entity isolated amidst alien languages and has its own characteristics very remote from those of the Judeo-Italian dialects" (1951-2: 77). L'infuenza dello Yiddish e del giudeo-spagnolo nel postulare un giudeo-italiano é stata in effetti molto forte. Cosí come é stata fondamentale l'influenza esercitata dal giudeo-francese e dal giudeo-romanzo. Ambedue questi termini furono usati da Blondheim, che Cassuto conosceva e stimava (si veda Blonheim 1931), e ripresi, senza le cautele critiche deü'originale, da una letteratura contro ciii si scaglia Bannit (1963) che definisce senz'altro il giudeo-francese 'une langue fantöme'. La parabola della nascita, fortuna e confutazione del giudeo-francese come lingua a sé stante é in effetti parallela a quella del concetto di koiné giudeo-italiana. 18 La questione delle modalitä fisse di traduzione dei testi biblici e rituali é molto interessante in sé e si interseca strettamente con la questione lingüistica che stiamo trattando, perché il ripetersi di formule puö essere dovuto a volte non al formarsi di una koiné ebraica scritta, ma al tramandarsi di formule úsate solo in connessione con certi testi o tipi di testi. Quasi tutti gli autori che studiano i testi giudeo-italiani se ne sono occupati, da Cassuto (1929a, 1930c) in poi (si vedano Blondheim 2925, Berenblut 1949: 242-251 e passim, Fiorentino 1951). Lo scopo di queste traduzioni dall'ebraioo (e di quelle in latino prima e in tante altre lingue in vari momenti) era quello di rendere trasparente ['originale del testo sacro per chi non conosceva piü l'ebraico o lo conosceva appena. Esse quindi fungono come un testo a fronte spesso senza una sua autonomía o ricerca di buona lingua, al contrario piü fedele possibile all'originale al punto da costituire una serie di caichi lessicali e sintattici e di formule ripetitive. Schwabb (1888:285) descrive questo tipo di traduzione: "Diese Bedingung kann nur eine Übersetzung erfüllen, die nicht satzweise, sondern nur wortweise überträgt, die also die Wortstellung nicht ändert, die in Stil, Grammatik, ja so gar in Etymologie dem hebr. so gleichzukommen sucht, daß sie mehr hebr. fremdsprachlich ist: ja, daß sie ohne Original oft unverständlich bleibt". In realtä ognuno di noi ha prodotto simili traduzioni negli appunti fatti a scuola perpoter ricordare il significa to dei testi latini e greci da leggere. Freedman (1972:103) usa addirittura il termine translationese. Sermoneta (1976:10, n. 19) fornisce unbell'esempio di questa forma mentis particolare, in cui mostra non solo che si passa dall'italiano all'ebraico traducendo alia lettera e non a senso, ma che avviene anche il contrario e che si ricalcano frasi italiane in ebraico. II tradurre a 118 Sará pero Terracini che affronterá per primo il materiale sia scritto che órale trascritto, con la doppia preparazione di glottologo e in particolare italianista e cono-scitore dei problemi di ebraistica. II primo intervento é del 1938, sulla scia dell'inte-resse antiquario e consiste nella pubblicazione di due poesie tradizionali in dialetto di Moncalvo commentate lingüísticamente. II secondo intervento nel 1957 é una lunga recensione-saggio al lavoro di Berenblut e il terzo la pubblicazione di materiale antiquario di varia origine nel 196219. La posizione di Terracini nei confrontó della querelle sulla koiné é di equilibrata equidistanza e, in sostanza, le sue posizioni costituiscono ancora l'ossatura dell' inter-pretazione attuale, che é stata solo arricchita e collocata in una teoría esplicita socio-linguistica a partiré dagli anni settanta. Le proposte interpretative di Terracini partono dalla critica che egli fa di Berenblut che accusa di essere troppo reciso e schematico nelle sue posizioni. Da una parte é vero secondo Terracini che, come sostiene Berenblut, non é dimostrabile (e ancor meno lo era allora quando i testi pubblicati erano meno numerosi di oggi) se esistesse una koiné parlata né una vera e propria koiné scritta. Tuttavia da questo non si puó passare a sostenere che i testi esaminati abbiano ciascuno solo un carattere dialettale idiosincratico. Infatti, il terreno che sta fra una koiné scritta e l'uso di un dialetto interamente lócale, é molto vasto e vi sono varié posizioni intermedie. D quadro che Berenblut si prospetta é, secondo Terracini, troppo radicalizzato, tra un'entitá concepita troppo rígidamente, la lingua letteraria da una parte, e una serie di entitá, i dialetti regionali concepiti in modo altrettanto irrealistico, dall'altra: "[Berenblut parla]...come se l'italiano del '500 [época dei testi da lui esaminati] fosse stato quello che é oggi e non piuttosto una lingua il cui uso unitario era piü che altro un ideale letterario ed estetico, espressione riservata ai piü alti strati della cultura, non ancora scesa a penetrare di sé tutta la lingua viva ed estranea, quindi alia gran massa degli Ebrei per i quali l'italiano a maggior ragione rimaneva "volgare" e dialettale... In realtá questo concetto rigido della lingua italiana circola in tutto quanto il volume (nel quale tutt'al piü si ricorre ad una distinzione vaga e del tutto inadeguata come quella di 'italiano antico') e si accompagna ad un'idea altrettanto rígida e statica delle partizioni dialettali" (251-2). Pariendo da un'idea entifícata e rígida di italiano letterario, da una parte (e non piuttosto di modello astratto o corpus scritto di riferimento in sé variegato) e dall'im-magine ad essa speculare dei dialetti come sistemi a loro volta stagni (l'antitesi al concetto moderno del continuum lingüístico), si finisce col crearsi, come quasi sem-pre nelle dispute scientifiche, un adversus quem in parte artificíale, una interpretazio-ne schematica e semplificata della teoría del Cassuto sulla koiné scritta, a cui Cassuto, secondo Terracini, avrebbe solo accennato come tendenza. Partendo alia ricerca della calco, é: "...abitudine scolastica, appresa durante l'infanzia ...si che il testo stesso, tradotto con questo método, acquistava un valore e una patina di sacralitá, essendone parimenti garantita la serietá scientifica. Eil método di tradurre a calco diveniva addirittura un habitus mentale cheaccompagnava l'ebreo per tutta la vita" (1978: 68). 19 Sui contribuí i di Terracini si veda Segre 1968. 119 koiné scritta e avendo in mente, come altra polaritá possibile, dei dialetti completamente separati l'uno dall'altro, si fínisce con passare dal primo estremo al secondo. La tinta dialettale c'é, ma, secondo Terracini: "É una tinta dialettale diffusa piü che esattamente determinata, una specie di conato di lingua letteraria che si profilava in questa scarna letteratura di scuola, il cui crogiuolo e centro di diffusione era Roma. Ció é sicuro, e ne dobbiamo la precisa dimostrazione al Cassuto... Questo sfondo comune si alimentava poi di apporti regionali secondo la patria, o meglio la provenien-za e residenza, dei singoli redattori" (244-5). A questo "conato di lingua letteraria" limitata a una "scarna letteratura di sciiola", si sovrapporrá piü tardi, nel XVI sec., l'influenza della tendenza standardizzatrice verso il modello di lingua offerto dal corpus letterario italiano di impronta toscana: ... chiaro é ... il conato per svincolarsi dai ceppi dell'antica tradizone, chiarissima l'aspirazione ad avvicinarsi a quel tipo comune di lingua letteraria che incominciava allora a profilarsi in Italia, aspirazione che qualche anno piü tardi diverrá proposito nel famoso glossario bíblico di Leone da Modena" (p.245). Queste due tendenze di convergenza verso modelli di lingua scritta, quello cen-tro-meridionale ebraico prima e quello toscano nazionale poi, "conati" diversi di standardizzazione verso una forma di lingua sovraregionale non necessariamente al-largata al parlato, coesisteranno nei diversi autori coll'inerzia dei sistemi di prove-nienza di ciascuno di essi, che costituiranno l'elemento base della mistura. Questa mistura portera Berenblut a concludere, quasi con disperazione: 'The impression gathered from the preceding survey of the language of our MSS is one of utter confusion. We find ourselves faced with a muddle of contradictory phenomena and seemingly irreconciable influence. Not only do we encounter opposing data in different MSS, but even in one and the same..." (p.197). Si tratta del fenomeno ben noto dell'oscillazione di chi si muove tra sistema proprio e sistema di riferimento, o comunque di interferenza, fenomeno che il socio-linguista considera centrale nei suoi dati e non caotico, ma coerente e in effetti sistemático, tanto da essere descrivibile, nella sociolinguistica moderna, come tendenza statistica, mediante l'uso delle rególe variabili. Per Terracini sono chiare le tracce meridionali e romanesche nel dialetto di Ferrara, come la marcata resistenza alia riduzione e dileguo delle vocali atone: tracce, anche se ormai pallidissime, molto scarsamente documéntate e quindi poco analizza-bili, non da intendersi come resti di una vera e propria koine, ma piuttosto, di mistilin-guismo esterno portato sulla scorta degli spostamenti verso Nord (per Ferrarra va ricordato il dominio papale a partiré dal sec. XVI). In modo analogo si possono spiegare tracce meridionali nel giudeo-pitiglianese (gli ebrei di Pitigliano provenivano da Roma attraverso Montalto di Castro), nel giudeo-livornese (Midgali Della Torre 1990) e nel giudeo-fiorentino e le unitá lessicali, per Ja veritá rare (Modena Mayer e Massariello Merzagora 1973: 936-937), presentí nei dialetti del Nord: Colorni (1971) interpreta queste forme come veri e propri prestiti, esempi di mistilinguismo esterno 120 piuttosto che prove di un'antica koiné centro-meridionale espansa al Nord. L'interpre-tazione di Terracini e il rifiuto di Colorni di accettare la koiné per i dialetti giudeo-ita-liani del Nord vengono ripresi e articolati da Jochnowitz (1972). Negli ultimi quindici anni abbiamo un largo numero di traduzioni di testi gjudeo-italiani. II materiale a disposizione quindi si è notevolmente ampliato. Inoltre, nelle discussioni sull'argomento si riflettono i cambiamenti avvenuti nella lingüistica, dove ormai l'impostazione di fondo délia ricerca è permeata dagli studi di sociolinguistica. Con l'avvento del modello di Labov, cioè l'introduzione dei parametri extralin-guistici a cui puo essere correlata rigorosamente la variazione, l'uso delle tecniche statistiche della sociolinguistica quantitativa e l'introduzione delle rególe variabili nel modello generativo dove vanno a convivere con le rególe categoriche, abbiamo ormai gli strumenti per misurare la variabilité che prima era o trascurata da parte di molti studiosi in quanto variazione libera o casuale, o avvertita anche con molta finezza (per l'argomento che stiamo trattando è il caso di Terracini) ma non descritta e misu-rata, perché mancavano ancora gli strumenti tecnici. Rimanendo all'interno del sistema lingüístico stesso, ancorati alie rególe categoriche della lingüistica strutturale e chomskiana, prima dell'introduzione dei parametri extralinguistici, delle tecniche statistiche e delle rególe variabili, non si poteva scorgere il valore sistemático e non casuale delle distribuzioni di tratti in variazione e variabilité e sistematicità venivano viste come due fatti contradditori. Negli ultimi anni le posizioni degli studiosi sono molto più sfumate e articolate dal punto di vista sociolinguistico: Sermoneta, che era partito dall'accettazione della teoría di Cassuto di una koiné scritta e parlata (1963 e 1971), se ne allontana di fatto e introduce, in un un lungo articolo pubblicato in due parti (1976 e 1978), una definizio-ne senz'altro molto più sfumata, che è, in sostanza, una riformulazione, basata su un'analisi puntuale di vari testi, della posizione di Terracini e non molto lontana dall'accettazione senza riserve di quest'ultima che si trova in Jochnowitz (1974). Quello che caratterizzerebbe, secondo Sermoneta, le variété di questi testi non sarebbe una koiné che li accomuna tutti, ma un modo lingüístico (8) dovuto ad un atteggiamento lingüístico (17)20 particolare degli ebrei d'Italia, che avrebbe prodotto caratteristiche peculiari dei testi, come Yarcaicità e una fluidità particolare rispetto alie date situa-zioni linguistiche locali. Poiché per fluidità si intende quello che si indica técnicamente con variabilità, quello che Sermoneta sostiene qui è che le variété giudeo-italiane hanno una loro variabilité diversa e aggiunta a quella delle variété italiane non giudai-che, quindi una doppia variabilità, quella interna alie variété di italiano e quella propria, rispetto a queste ultime. 20 In realtà il termine atteggiamento lingüístico proviene da L. Cuomo, come lei stessa dichiara (1981: 436, n. 32). Va ricordato pero che il termine in lingüistica è comunemente usato ad indicare qualcosa di diverso. Esso traduce linguistic attitudes si riferisce alia valutazione lingüistica positiva e negativa, cioè la percezione della propria varietà e di quelle degli altri, in termini di lealtà lingüistica, accettazione o rifiuto, fino alie opinioni stereotipanti. 121 Per quanto riguarda Yatteggiamento lingüístico è un'espressione che suggerisce la coscienza da parte del parlante delle proprie scelte linguistiche, che è possibile solo in parte (per esempio per la scelta di vocaboli ebraici o ebraicizzanti e per l'abitudine alla traduzione a calco), ma che non è postulabile per una larga parte dell'uso fatto dagli ebrei dei sistemi o sottosistemi linguistici, dovuto alia loro storia. Per esempio, nel caso dell'oscillazione tra sistema nativo e sistema di prestigio ebraico romano-me-ridionale nei testi giudeo-italiani, oppure tra sistema locale usato anche dai gentili e sistema precipuo usato solo dagli ebrei nell'uso lingüístico all'interno delle comunità, è più esatto, come per tutti i parlanti che oscillano tra due o più sistemi, descrivere la variabilité lingüistica come una serie di scelte in larga parte inconscie ai parlanti, condizionate dal loro appartenere ad un gruppo sociale particolare. II comportamento che sta dietro la variabilité lingüistica, di oscillazione tra sistemi o sottosistemi in lizza, è il risultato di forze che sono al di sotto della soglia della decisione conscia. Tant'è vero che molti parlanti scelgono e credono di avere un determinato accento per ragioni di prestigio e di immagine, ma in realté oscillano tra quello che vorrebbero avere e quello che hanno di fatto, senza avere il pieno controllo del proprio comportamento lingüístico. È per questo che si preferisce parlare in sociolinguistica di condi-zione sociolinguistica o sociale, come fattore che determina le scelte. La studiosa che recentemente ha mediato in modo brillante la sua spécialité di esegeta e fílologa di studi ebraici con un'approfondimento teorico-linguistico è L. Cuomo, che, rifacendosi all'impostazione data da Terracini, la articola con gli stru-menti analitici della sociolinguistica della variazione (1981 e 1982). Benché mantenga il termine giudeo-italiano, dé ad esso il valore di "variété linguistiche specifiche di un gruppo sociologico", non di una lingua o dialetto unitario. L'autrice è anche conscia della complessité delle tensioni centrifughe e centripete all'interno della société italiana durante tutto il periodo in cui furono stesi i testi nelle variété giudeo-italiane, delle tendenze alia formazione di koiné regionali, della dicotomia parlato-scritto e tiene conto di tutte le dimensioni di variazione che possono razionalizzare la descri-zione dell'eterogeneité lingüistica di questi documenti e mostrarne la sistematicité. 5. CONCLUSIONI II modo nuovo di concepire l'universo dei dati linguistici, ormai fatto proprio anche dagli studiosi di questa tematica, permette di mettere a punto una definizione delle variété giudeo-italiane sia scritte che orali. La rivoluzione operata dalla sociolinguistica non ha solo permesso di ristudiare in modo più approfondito realté linguistiche, invero molto rare, di relativa omogenei-té, per esempio lingue altamente standardizzate come inglese o francese, ma ha so-prattutto fornito un modello per comprendere realté non standardizzate, come quella che abbiamo esaminato, dove l'estrema variabilité spingeva le interpretazioni in due direzioni opposte e polarizzate. Da una parte, si rischiava di entifícare una lingua fantasma unitaria, la koinè giudeo-italiana, dall'altra si tendeva a liquidare l'universo 122 dei dati linguistici, come quelli del gjudeo-italiano, come un caos dialettale dove regnava la variazione casuale (come facevano Berenblut e Freedman). Tale variazione puó invece essere messa a fuoco in un quadro teorico se la ricon-sideriamo alia luce della nuova concezione dell'universo dei dati linguistici come vengono concepiti nella macrosociolinguistica moderna. Nell'analisi sincrónica que-sto approccio teorico permette la misurazione della variabilitá non piü come 'libera' o 'casuale', ma come sistemática e perció ordinata. Addirittura dati empirici di questo tipo possono essere letti al di la della sincronia, in termini di tendenza diacronica, come io stessa ho cercato di fare per l'italiano standard (1984), dove la particolare distribuzione delle varianti standard e non, vista in termini di previsioni di tendenza puó essere misurata statisticamente. Nel caso delle varietá di giudeo-italiano, invece, trattandosi di varietá estinte (escluso forse il caso di Roma), il modello di Labov non puó piü essere usato a livello di misurazione empírica, ma puó fornire comunque un quadro di riferimento e una struttura esplicativa potente, su cui situare a livello di ipotesi teórica articolata 1'universo dei dati variabili che ci sono giunti. Le varietá giudaico-italiane scritte presentano chiaramente fenomeni di tendeza e di variabilitá, risultati di forze diverse, attrazioni verso varietá che fungono da modello e reazioni verso un sistema portante di fondo, quello dell'estensore. Nulla vieta di ipotizzare che quest'ultimo potesse contemporáneamente subiré l'influenza dei mo-delli di traduzione letterale di cui s'é parlato, con i caichi dall'ebraico e formule fisse e anche una tendenza standardizzatrice verso il modello di lingua scritta centro-meri-dionale diffusa dalla Roma ebraica. Queste due tendenze diverse potevano coesistere e dover mediare le scelte lingui-stiche che ne risultavano col sistema di fondo della parlata del nostro estensore ipote-tico, se era diverso: la tendenza standardizzatrice in questo caso esercitando una forza antitética a quella del sistema nativo. Sulle scelte dell'estensore, poi, possono essersi sommate quelle del copista o dei copisti, a loro volta posti di fronte, come sempre tutti i parlanti, a piü di un sistema in lizza. Come minimo vi é la scelta tra sistema nativo e quello del modello letterario, quando i due non coincidano. Questa differenza si elimina, o piuttosto diventa una differenza solo di registro quando vi é una stan-dardizzazione molto avanzata, sia scritta che órale, cioé per l'Italia solamente in época recente e non per tutti i parlanti. La provenienza diversa delle forme che appaiono nei testi é frutto di questa variabilitá e quello che puó essere definito come peculiare dei testi stessi e della lingua in essi usata, come nota Jochnowitz (1974: 214), non é necessariamente il singolo tratto, che si puó anche ritrovare in testi non ebraici, ma l'insieme delle co-occorrenze di tratti, ciascuno dei quali, preso separatamente, puó essere comune anche con altre paríate. Quello che é precipuo non é il singolo tratto (e la polémica sul singolo tratto21 21 Molta dell 'energía dei ricercatori che si sono occupati dei documenti di giudeo-italiano é stata dedicata in gran dettaglio alio studio dei singoli tratti (quelle che Freedman ha chiamatopainstakingly written monographs), nella presunzione che essi isolatamente dessero indicazioni che permettessero di 123 polverizza il concetto di tendenza), ma la co-occorrenza di fasci di tratti, ciascuno dei quali puô non essere precipuo se preso isolatamente. I fasci di co-occorrenze poi formeranno non necessariamente un sistema, ma caratteristiche con occorrenze ten-denziali non prevedibili sulla base di rególe categoriche ma descrivibili in teoría con rególe variabili. Definire le paríate giudeo-italiane significa tentare di descriverle a due livelli: all'esterno e all'interno. La definizione esterna significa descriverle rispetto aile va-rietà di italiano contigue nel tempo, nello spazio e sul paramétra sociale e di registro. Descriverle all'interno significa mettere in luce la variabilité precipua che esse pre-sentano. 5.1 DEFINIZIONE DELLE VARIETÀ GIUDEO-ITALIANE COME VARIETÀ ETNICHE Abbiamo visto che le varietà giudeo-italiane sono state spesso anche indicate come dei "dialetti". Nel contesto italiano il termine dialetto indica dei sistemi regio- 22 nali diversi dalla lingua nazionale o standard , situati lungo un continuo rispetto a quest'ultima. Ad un estremo di questo continuo lingüístico abbiamo l'italiano e all'al-tro abbiamo paríate che non possono essere descritte come sottosistemi dell'italiano, ma come qualcosa di diverso, che in realtà potremmo considerare in certi casi lingue diverse. Ad esse riserviamo il termine dialetto invece di lingua per ragioni extralin-guistiche: esse infatti non hanno lo status sociale di ufficialità che si associa al termine lingua. È evidente che le paríate giudeo-italiane non possono essere dialetti in quanto non sono sistemi diversi dall'italiano legati ad una variazione geografica. Si puo, in effetti, usare il termine dialetti giudeo-italiani, solo intendendo perô le varianti giu-daiche dei singoli dialetti italiani. Per esempio, il dialetto giudeo-piemontese è la variante ebraica del dialetto piemontese, ma non un dialetto con sistema a sé stante rispetto ail'italiano e al piemontese. In nessun caso abbiamo sistemi completamente diversi dall'italiano, dalle sue varietà o dai dialetti, parlati dagli ebrei (come accade per lo yiddish e per il giudeo-spagnolo in Turchia e Bosnia), tanto meno poi sull'asse di variazione geografica, definire geográficamente la varietà in questione. Per esempio, quasi tutti gli autori (Berenblut 1949: 201;Terracinil951:63, n.l; 1957: 254; 1962: 267, n.ll; Bedarida 1956: XVII; Scazzocchio 1970: 114; Hijmans-Tromp 1989: 233) considerano la desinenza plur. femm. -i come un indicatore di influenza méridionale. Si tratta in realtà di un tratto fuorviante se considerato in isolamento, come nota la Cuomo: "...il fenomeno del plurale femminile di prima declinazione in -i è largamente diffuso,...in area centro-meridionale, toscana e settentrionale (1982: 26)". Secondo Terracini (1957: 254) era "ben marcato in certe parti délia Toscana, per es. nell'antico lucchese.-.verso Nord e verso il centro si diffuse, probabilmente come segno delFirradiare toscano..." ben lungi da essere un segno marcato inequivocabile di influenza méridionale. 22 Nella lingüistica anglosassone invece si parla non solo di dialetti regionali ma anche di dialetti sociali, per indicare le varietà diastratiche o socioletti. 124 come varianti regionali, né sull'asse periférica, come varianti urbane rispetto a quelle rurali o viceversa. Neppure il parametro sociale ci aiuta a definire le paríate giudeo-italiane, perché gli ebrei non sono definibili come una classe sociale e queste varietà non sono socio-letti. Esse presentano in realtà una loro stratificazione sociale interna, anche se pro-babilmente leggermente diversa da quella dei socioletti dell'italiano, in quanto gli ebrei come comunità lingüistica hanno avuto e hanno tuttora una stratificazione sociale diversa in parte da quella del resto della popolazione. Per definire lo status di queste varietà all'interno dei sottosistemi dell'italiano, sarebbe utile forse un'analogia con lo status lingüístico del Black English: in tutti e due i casi la differenziazione lingüistica è funzione di una differenza étnica che è legata a condizioni sociali diverse e comporta una cultura diversa. Si propone quindi di definire queste varietà varietà etnicke o etnico-culturali all'interno delle paríate di italiano. 5.2 RAPPORT! TRA LE VARIETÀ ETNICHE GIUDEO-ITALIANE Le particolari condizioni degli ebrei rispetto alla società circostante e le peculia-rità della loro cultura condizioneranno il loro comportamento lingüístico lasciando tracce nella físionomia e nell'evoluzione delle loro paríate. Abbiamo già discusso altrove nel testo (par. 3) le caratteristiche linguistiche che differenziano le paríate giudeo-italiane dalle altre varietà di italiano e i fattori extralin-gustici che determinano queste differenze. Vorremmo soffermarci su un aspetto dia-cronico: le diverse spinte che le paríate ebraiche hanno subito nel contesto della standardizzazione dell'italiano. Per processo di standardizzazione si intende l'effetto di attrazione e sovrapposi-zione che una determinata varietà esercita sulle altre, se e quando viene dotata di particolare prestigio sociale, politico o culturale. Questo crea un movimento centrípeto in favore della varietà di prestigio che entra in conflitto, sia con le forze centripete di coesione dei singoli sistemi, sia con altre possibili tendenze standardizzatrici in atto. Le altre tendenze standardizzatrici possono essere di due tipi: locali, a livello geográfico più ristretto, oppure forze alternative alio stesso livello sovraregionale, a raggio più o meno vasto. Vorrei suggerire qui il modello del cono che ho già usato altrove per descrivere questo processo (1984: 47). Se si immagina di circoscrivere la carta geográfica dell 'Italia nella base di un cono, il cui ápice è su Firenze, il cono ci rende la sovrapposizione dell'italiano di Firenze sulle varietà del resto del paese, che giocano il ruolo di sostrato, e il cerchio alla base visualizza il concetto di forza centrípeta esercitato dalla varietà di prestigio. Ma per ciascuna regione, all'interno del cono che ha come ápice la varietà dotata di prestigio sovraregionale, dobbiamo immaginare a sua volta dei coni regionali, ai cui apici si trovano le varietà maggiormente dótate di prestigio locale, spesso quelle dei capoluoghi, che sono bacino di immigrazione e di scambi (asse di variazione centro-periferia). Sotto questi coni se ne possono immagi- 125 nare altri minori, sempre su altri assi centro-periferia, che ne possono sottendere altri ancora minori e cosi via aU'infinito. Per la cultura ebraica dobbiamo immaginare che, oltre a questa stratificazione vera e propria di coni che visualizzano tensioni centripete e controtensioni centrifughe nei confronti di varietá dótate di prestigio o importanza via via minore, vi fosse un cono alternativo a livello di lingua scritta sovraregionale: quello sotteso dalla varietá centro-meridionale che veniva usata a Roma. La differenza di cultura creava infatti, all'interno delle comunitá ebraiche, dei riferimenti di prestigio lingüístico diversi e in piú rispetto a quelli della cultura italiana. Abbiamo visto che la Roma ebraica, sede della maggiore comunitá del Paese e centro di studi illustre, ebbe, nel Medioevo, un'influenza culturale paragonabile a quella della Firenze di Dante, Petrarca e Boccaccio per il resto del Paese (dell'influenza culturale di Firenze risenti naturalmente anche la minoranza ebraica, che non rimase mai, anche nei momenti peggiori, completamente isolata dalla cultura circostante). II prestigio culturale della varietá centro-meridionale parlata a Roma fu rafforzato dalle migrazioni di ebrei meridionali da Roma a Ferrara, Pitigliano, Firenze e Livorno.e altrove. É chiaro quindi adesso il quadro teorico con cui si possono in teoría definire le varianti che si presentano nei testi: sono in gioco varianti diatopiche, cioé quelle locali contro quelle sovraregionali provenienti dalle spinte di due tendenze stan-dardizzatrici, quella solo ebraica centro-meridionale e quella nazionale toscana; sono sempre diatopiche, ma di origine diversa, le varianti di mistilinguismo interno pórtate físicamente dalle migrazioni, incluse quelle sull'asse centro-periferia in época moderna, con l'urbanesimo susseguente alia scomparsa dei ghetti dei piccoli centri; abbiamo varianti diacroniche tra testo e testo legate ai diversi momenti in cui i documenti furono redatti: bisogna ricordare che i riferimenti linguistici diacronici per le varietá giudeo-italiane sono diversi da quelli del resto delle varietá italiane, perché l'isola-mento introduce conservatismo e perció arcaismi; abbiamo varianti di registro innanzi tutto tra parlato e scritto e anche, all'interno dei documenti scritti, tra testo e testo, a seconda del livello di formalitá e letterarietá a cui i diversi testi si pongono, date le diverse destinazioni funzionali e di pubblico che essi avevano. Ai due estremi abbiamo forse Y Elegía del 9 diAv da una parte e i manuali di preghiere dall'altra23 e, in mezzo, tutta una gamma di testi la cui differenziazione risulta interpretabile se viene posta su un parametro che é insieme funzionale e di registro (ma anche diastratico dato il diverso livello educativo dei destinatari dei diversi testi) in cui le diverse destinazioni di pubblico e il tipo di materia trattata dettavano livelli diversi di formalitá, dialettalitá vs. letterarietá e proporzioni diverse di letteralitá nella traduzione dall'e-braico. Accanto alie varianti sociolinguistiche, abbiamo altre di altra natura, legate non a variabilitá di sistema, ma all'uso. Sono le varianti lessicali e sintattiche, legate alia 23 Si veda a questo proprosito Cuomo (1981:440-441). L'una é unpregevole testo poético, gli altri sono traduzioni pedisseque concepite per i semi-letterati, donne e bambini. 126 partieolare tradizione delle traduzioni bibliche, che porta a formule, caichi e modalitä di traduzione, che costituiscono quasi una vera e propria lingua settoriale, specifica del corpus della letteratura giudeo-italiana. Infine non dobbiamo dimenticare che abbiamo delle varianti legate alia stratifi-cazione fílologica: sono quelle introdotte dai copisti sui particolari idioletti giä com-positi dei traduttori o autori dei testi. Lo stato di cose che stiamo desenvendo ricorda quello che é stato scritto per l'italiano dei secoli passati ed é valido ancora per ]'italiano di oggi a livello orale, anche se a livello scritto adesso abbiamo uno standard nazionale di riferimento: si veda la discussione nel mió lavoro sulla standardizzazione dell'italiano (1984: 48, in partieolare II.3 "Dinamica dei rapporti tra standard e altre forme di lingua: forze centripete e forze centrifughe"). Da quando l'eterogeneitä e la differenziazione possono essere descritte come strutturate in distribuzioni statistiche significative e sono quindi occorrenze chiare in termini sia matematici che esplicativi, vengono ormai viste come intrinseche e fisiologiche a tutti i sistemi linguistici. é cosí che si possono vanificare molte delle "lingue fantasma", per usare il termine di Bannit, supposti sistemi unitari e discreti, che hanno popolato la glottologia prima e la lingüistica strutturale poi, tra la fine del secolo scorso e questo secolo, come il giudeo-francese, il Vulgärlatein, il "francese popolare", lo "spagnolo popolare" e, in Italia, l'"italiano popolare" che ancora si cita come un tipo di italiano a sé. Anche l'italiano standard orale non é per il momento che un modello di prestigio astratto, al vertice di un cono, límpidamente e caratteristicamente strutturato in termini distributivi lungo i parametri classici, diastratico, diatopico e di registro (si veda, nel mió lavoro sulla standardizzazione (1984), in partieolare II.6, "I risultati statisti-ci"). Evocarlo come un sistema discreto in uso sarebbe un'entificazione impropria. Proprio questa analogía, tra l'italiano orale "coito parlato dai fiorentini" e il giu-deo-italiano, fa pensare che Cassuto nel postulare quest'ultimo, avesse come riferimento in qualche modo, come modello mentale inconscio, la storia dell'italiano, come se gli fosse venuto spontaneo di ipotizzare per gli autori della letteratura giudeo-italia-na, un modello di riferimento, quello romano di origine centro-meridionale, con la stessa funzione storica e unificatrice che la varieta di Firenze ha avuto per l'italiano. Non a caso, in apertura del mió Lingua toscana in bocca ambrosiana mettevo dei versi di Lewis Carroll da The Hunting of the Snarck, che in effetti richiamano il concetto del fantasma inafferrabile: "You may seek it with thimbles - and seek it with care You may hunt it with forks and hope; You may threaten its life with a railway-share; You may charm it with smiles and soap". 127 "But oh, beamish nephew, beware of the day, if your Snark be a Boojoum! For then You will sofly and suddenly vanish away, And never be met with again! ". Si potrebbe dire che, in tutti e due i casi, se si commette l'errore di valicare i limiti teorici e si va al di là di modelli astratti di prestigio normativo, di tendenze e co-occor-renze, e si entificano sistemi discreti, questi si vendicano trasformandosi in un Boojoum. Ho riconosciuto con immediata simpatía, l'"effetto Boojoum" in alcune osservazioni di L. Cuomo (1982: 29), che era giunta per vie lontanissime dalle mie alia stessa sensazione, nel suo caso per il giudeo-italiano. Cuomo, infatti, parla del giudeo-italiano come di un Proteo: "[Gold con il conio del termine Italkian] ...chiude la gabbia in cui si è creduto di intrappolare un Proteo: ma questo, in una delle sue innumerevoli trasformazioni, se ne sguscia fuori, la-sciando la gabbia ben chiusa, ma vuota" La similitudine dell'animale da catturare mi era stata anch'essa suggerita dall'i-taliano standard, quando, insieme ai versi di Lewis Carroll, sceglievo il seguente brano dantesco come intestazione in apertura al mió libro: "Quam multis varietatibus latió dissonante vulgari, decentiorem atque illustrem Italiae vene-mur loquelam, et ut nostrae venationi pervium callem habere possimus, perplexos frútices atque sentes prius eiciamus de silva" (Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, 1.11.1), dove la selva mi pareva descrivesse bene l'intricatezza dell'eterogeneità data dalle variabili, prima che l'introduzione dei moderni metodi analitici permettesse di mostrarne il disegno in effetti coerente e strutturato. INDICE DEI TESTI CITATI AGUS I.A., 1974, "The Languages Spoken by Askenazic Jews in the High Middle Ages", in Joshua Finkel Festschrift, New York: 19-28. ARTOM E.S., 1962, "La pronuncia dell'ebraico presso gli Ebrei d'ltalia" in La Ras- segna di Israel - Scritti in memoria di Federico Luzzatti XXVII: 26-30 ASCOLI G.I., 1890, "Una lettera del Comm. G.I. Ascoli" in II Vessillo Israelítico XXXVIII: 114. BACHI R., 1926, "Ricerche folcloristiche e linguistiche degli Ebrei d'ltalia" in Ras-segna mensile di Israel II: 362-367 -, 1929, "Saggio sul gergo di origine ebraica in uso presso gli Ebrei torinesi verso la fine del sec. XIX" in Rassegna mensile di Israel IV: 21-35 BANNriT M., 1963, "Une lange fantôme: le judéo-français" in Revue de Linguistique moderne XXVII1963: 245-294 BECCANI A., 1941, "Saggio storico-linguistico sugli ebrei a Livorno", Bollettino Storico Livornese V: 269-277. 128 -, 1942, "Contributo alla conoscenza del dialetto degli Ebrei di Livorno" in Italia dialettale 18: 189-202 BEDARIDA G., 1956, Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico livornesi, Firenze. BENE'KEDEM, 1936, "'La Gnora Luna', scene di vita ebraico-fíorentina" in Rivista Mensile d'Israël 6: 547-580, ristampa Firenze, 1977. BERENBLUT M., 1949, A Comparative Study of Judeo-Italian translations of Isaiah, New York. BIRNBAUM S.A., 1942, "Jewish Languages", in EPSTEIN I., LEVINE E. e ROTH C. (a c. di) Essays in Honour of the Very Rev. Dr. J.H. Hertz, Londra. -, 1971, "Jewish Languages", in Enclyopœdia Judaica, Gerusalemme, 10: 66-69. BLONDHEIM D.S., 1923, "Essai d'un vocabulaire comparatif des parlers romans des Juifs au Moyen Age", in Romania, 4: 343-388; 526-569. -, 1925, Les parlers judéo-romains et la Vêtus latina. Etude sur les rapports entre les traductions bibliques en langue romane des Juifs au moyen-âge et les anciennes versions. Parigi. -, 1931, Recensione a U. Cassuto Travaux sur le judéo-italian in Romania, 57: 440-443. BONFILR., 1991, Gli Ebrei in Italia nell'epoca del Rinascimento, Firenze. CAMERINID., 1909, "Ancora qualche osservazione sugli studi dialettali" in Vessillo Israelítico, LVII: 505-507. CAMMEO D., 1909, "Studi dialettali" in II Vessillo Israelítico LVII: 169-170, 214215,314-315,359-361, 459-461,504-505. -, 1910, "Studi dialettali" in II Vessillo Israelítico LVIII 8-9, 148-149, 403-404, 448-450, 506-507, 543-545. -, 1911, "Studi dialettali" in II Vessillo Israelítico LIX: 25-26, 52-53, 102-104, 143-144. CASSUTO U., 1909, "Parlata ebraica" in Vessillo Israelítico-. 254-260 -, 1926, "La vêtus latina e le traduzioni giudaiche medioevali délia Bibbia" in Studi e materiali di Storia delle religioni, Roma, II: 145-62. -, 1929, "Un'antichissima elegia in dialetto giudeo-italiano" m Silloge lingüistica dedicata alla memoria di GraziadioIsaia Ascoli Torino: 349-408. -, 1930a, "Il libro di Amos in traduzione giudeo-italiana" mMiscellanea in memoria di H.P.Chajes, Firenze: 19-38 -, 1930b, "La Teffillah delle nostre nonne" in Rivista Mensile d'Israël: 144-48 -, 1930c, "La tradizione giudeo-italiana per la traduzione della Bibbia" in Atti del Primo Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari Firenze: 114-21. -, 1930d, "Les traductions judéo-italiennes du rituel" in Revue des Études Juives LXXXIX 1930: 260-280. 129 -, 1932, "Jüdisch-italienisch" in Encyclopceedia Judaica Berlino IX: 555. -, 1934-5, "Saggi delle antiche traduzioni giudeo-italiane della Bibbia" mAnnua- rio di Studi ebraici del Collegio Rabbinico Italiano, Roma, I: 101-34 COLOGNA A., 1829, Prefazione a LUZZATO S.D. Formulario delle orazioni secon-do il rito italiano, Vienna. COLOMBO D., 1970, "II ghetto di Moncalvo e una sua poesia" in La Rassegna Mensile di Israel, XXXVI: 436-441 COLORNI V., 1971, "La parlata degli ebrei mantovani" in Scritti in memoria di A. Milano. La Rassegna Mensile di Israel, XXXVII: 109-164 CUOMO L., 1981, "II giudeo-italiano e le vicende linguistiche degli ebrei d'ltalia" in Italia giudaica. Atti del I Congresso Internazionale, Bari, 18-22 Maggio: 427454 -, 1982, "Italiano vs. giudeo-italiano, vs. 0 (zero): una questione metodologica" in Italia, III: 7-32. -, 1988, Una traduzione giudeo-romanesca del libro di Giona, Tubingen. DEL MONTE C., 1908, Sonetti giudaico-romaneschi, Roma. -, 1927, Sonetti giudaico-romaneschi, Firenze. -, 1932, Nuovi sonetti giudaico-romaneschi, Roma. -, 1955, Sonetti postumi giudaico-romaneschi e romaneschi, Roma. EPSTEIN I., LEVINE E. e ROTH C. (a c. di), 1942, Essays in Honour of the Very Rev. Dr. J.H. Hertz, Londra. FIORENTINO G., 1937, "Note lessicali al Maqré Dardaqé. Archivio Glottologico italiano, 29: 138-60. -, 1951-2, "The General Problems of Judeo-Romance in the Light of the Maqré Dardaqé, in The Jewish Quarterly Review, N.S., 17:57-77, ristampa dell'opusco-lo II Maqré Dardaqé e alcune questioni sullo studio della parlata giudeo-roman-za, Torino 1938. FORNACIARI P.E., 1983, "Aspetti dell'uso del 'Bagitto' da parte dei gentili". Rassegna Mensile d'Israel, XLIX: 432-454 FORTIS U., 1989, II ghetto in scena. Teatro giudeo-italiano nel Novecento. Storia e testi, Roma. FORTIS U., ZOLLI P., 1979, La parlata giudeo-veneziana, Roma. FREEDMAN A., 1972, Italian Texts in Hebrew Characters: Problems of Interpretation, Wiesbaden GALLI DE' PARATESI N., 1964, Semantica dell'eufemismo. L'eufemismo e I'inter-dizione lingüistica nell'italiano contemporáneo, Torino. -, 1984, Lingua toscana in bocca ambrosiana Milano. GOLD J.L, 1980, "The Glottonym Italian" in Italia, II: 98-102. 130 HIJMANS-TROMP I., 1989, Mosé da Rieti, Filosofía Naturale efatti de Dio. Testo inédito del sec. XV, Leida JOCHNOWITZ G., 1972, "Forme meridionali nei dialetti degli ebrei dell'Italia céntrale" in Rassegna mensile di Israel, XXXVIII: 424-429 -, 1974a, "Parole di origine romanza ed ebraica in giudeo-italiano" Rassegna mensile di Israel, 212-219. -, 1974b, Recensione a Freedman Italian Texts in Hebrew Characters: Problems of Interprétation, in Romance Philology XXVIII: 213-217. LEVI P., 1975, Il sistema periodico, Torino. MASSARIELLO MERZAGORAG., 1977, Giudeo-italiano. Dialetti italiani parlati dagli Ebrei d'Italia, Pisa. -, 1980, "Le paríate giudeo-italiane" in Studi, Fatti, Ricerche, 12: 12-14 MDDGALI (DELLA TORRE) M., 1990, "Residui della parlata giudaico-romanesca nel giudaico livornese" in Italia, IX: 115-126 MILANO A., 1963a, Storia degli Ebrei italiani, Milano. -, 1963b, II ghetto di Roma, Roma MODENAMAYER M., 1978, "Osservazioni sul tabú lingüístico in giudeo-livornese in Saggi in memoria di U. Nahon, a cura di R. Bonfil, D. Carpi, M. Modena Mayer, G. Romano, G.B. Sermoneta, Gerusalemme: 166-179. MODENAMAYER M., MASSARIELLO MERZAGORAG., 1973, "II giudeo-mo-denese negli appunti R. Giacomelli" in Rendiconti dell'Istituto Lombardo di Scienze eLettere, CVII: 863-938. MODONA L., 1893, "Intorno ad un possibile lavoro fílologico sui dialetti parlati già dagli ebrei d'Italia" in Vessillo Israelítico, XLI: 60-62,85-88,121-123,154-157. PAVONCELLO N., 1978, "Gli ebrei nell'opera di Luigi (Giggi) Zanazzo" L'urbe, 4: 15-21 -, 1986, Modi di dire ed espressioni dialettali degli ebrei di Roma, Roma. -, 1988, Modi di dire ed espressioni dialettali degli ebrei di Roma, Roma. POLACCO B., 1972, "Quarant'anni fa. Tre tempi in giudeo-veneziano" in Rassegna Mensile d'Israël, 38: 584-617 SACERDOTE G., 1893, "Di alcune vori dialettali e corrotte tra gli Israeliti piemon-tesi" Vessillo israelítico XLI: 14-17. SCHWAB M., 1888, "Le maqré Dardaqé", in Revue des Études Juives, 16: 253-268; 17: 111-124, 285-298. SEGRE C., 1968, "Benvenuto Terracini, lingüista, e le paríate giudeo-italiane" in Rassegna mensile di Israel 34: 327-333 SERMONETA G., 1963, "Una trascrizione in caratteri ebraici di alcuni brani fílosofí-ri della Commedia" in Romanica et Occidentalia, études dédiées à la mémoire de Hiram Péri, Oxford: 23-42 131 -, 1971, "Judeo-Italian" in Encyclopaedia Judaica Gerusalemme 10: 427-29. -, 1976, "Considerazioni frammentarie sul giudeo-italiano" in Italia 1 (1) 1976: 1-29. -, 1978, "Considerazioni frammentarie sul giudeo-italiano II. Testi italiani in ca- ratteri ebraici" in Italia 1 (2) 1978: 62-106. SESTIERI SCAZZOCCHIO L., 1970, "Sulla parlata giudaico-romanesca" in Scritti in Memoria di Enzo Sereni Gerusalemme: 101-132 SPITZER L., 1942, "Judeo-Italian" in The Universal Encyclopedia New York VI: 255-56. -, 1961, "The influence of Hebrew and Vernacular Poetry on the Judeo-Italien Elegy, in Twelfth Century Europe and the Foundations of Modern Society a c. di M. Clagett, Madison 1961: 115-130. STOCK M., 1970, "Una poesia d'occasione in dialetto ebraico-triestino" in Rassegna mensile di Israel 36: 366-368 TERRACINI B., 1938, "Due composizioni in versi giudeo-piemontesi del secolo XIX" in Rassegna mensile di Israel XII: 164-183 -, 1951, "Residui di paríate giudeo-italiane raccolte a Pitigliano, Roma, Ferrara" in Rassegna mensile di Israel XVII: 3-11, 63-72, 113-121 -, 1957, Recensione di M. Berenblut A Comparative Study of Judeo-Italian translations of Isaiah," in Romance Philology, X: 243-258. -, 1962, "Le paríate giudaico-italiane negli appunti di Raffaele Giacomelli" in Scritti in Memoria di F. Luzzato, Rassegna mensile di Israel XXVII: 260-295 WEINREICH M., 1956, "The Jewish Languages of Romance Stock and Their Relation to Earliest Yiddish", in Romance Philology, 9: 402-428. ZOLLI P., 1979, La parlata giudeo-veneziana, Roma Povzetek JUDOVSKA ITALIJANŠČINA IN PROBLEMI DEFINICIJE. POGLAVJE IZ ZGODOVINE JEZIKOSLOVJA Študija načenja vprašanje t.i. judovske italijanščine. S tem izrazom razumemo jezik, v katerem so judovske skupnosti v Italiji pisale med XI in XVIII stoletjem, dokazana pa je tudi raba v živem govoru, ponekod celo do začetka našega stoletja. V prispevku se tehta teorija U. Cassuta iz tridesetih let, po kateri naj bi imela judovska koine svoje temelje v južni in srednji Italiji, kar je pač bilo v duhu historičnega in strukturalnega gledanja tistega časa. V luči modernega sociolingvističnega gledanja ne gre toliko za jezikovne kot za etnično-kulturne variante. 132