Anno seolastico 1869*70. CAPODISTRIA TIPOGH At’lA DI GIUSEPPE TONI)ELlbiliscc dei casi riservati, sospende le facoltü concesse prima di assolverc dai medesimi, intima ai trasgressori la sco-munica, esercita in somma la giurisdizione vescovile; dal che si deve necessariamcnte conchiudere che il papa lo avesse giä confermato colla riserva di spedire la holla a suo tempo, onde unif'ormarsi alle recenti prescrizioni del concilio di Trento, secondo il quäle non si puö eleggere a vescovo chi almeno da sei mesi non abhia ricevuto un ordirie sacro (Sess. XXII. c. 2.), e l’eletto e obbligato a farsi consacrare entro tre mesi (Sess. XX11I. c. 2). Cerlo 6, che come un vescovo confermato dal papa, se anche non cousacrato, puö riservarsi dei casi, limi-lare lc facoltü dei confessori, sospendere e scomunicare (Ferraris : YCi b. Episcop. num. 56); cesi non puö esercitare afTatto nessuna giurisdizione chi ancora confermato non e; ne e mai da supporsi che il Rapiccio, dotto canonista ed esperto negli affari, volesse esercitare un diritto che non gli speltava. Da ciö si spicgano pure le missioni escrcitatc dal Rapiccio prima della sua eonsacrazione, l’csscr egli stato, assieme a Vito di Dorimbcrga, allora luogotenente di Gorizia, commissario imperiale per la pubblicazionc dei Concilio nel novembre del 4505, epoca nclla quäle doveva essere giä succeduta la conferma, l’aver avuto l’anno segucnle dall’arciduca Carlo Tincombenza di decidere una questione nata in Aquilcja per un canonicato, in oecasione della quäle ricevette da S. Carlo Borromeo la lcttcra (5 magg. 15<»6) riportata dallo Stancovich (Biogr. I. p. 434), cd ai 5 seltembre dello stesso anno l’incarico d’indicar-gli le persone che spargevano eresie, onde prendere le opportune misure. Da chi cd in che giorno venisse consacrato il Rapiccio non lo sappiamo; dalla lcttcra 7 oltob. 1567 con cui l’impe-ratore Massiiniliano II. delegö il conte Francesco della Torre capitano di Tolmino c Gorizia, cd il conte Attems capitano di Gradišča ad assislere in suo noine alle di lui primizie cd a prcsentarlo d’una tazza d’argento, apparisce aver avuto luogo la di lui consacrazione nell’oltobre dell’anno stesso. L’cpiseopato dcl Rapiccio cadde in tempi di grandi scon-volgiincnli c rcligiosi c sociali. La sua fermezza giunse a re-primere i scltarii, per il ehe s’ebbe dall’arciduca la lettera dei 7 nov. 1567, che il loda, e solo gli raccomanda di te-nersi entro i limiti della sua potesta puramente spirituale: ne, gli scrive, si vos ipsi iminediule in cos animadverlitis, scandalum uliquod seu inconvciiiens exorialur, ina le dissensio-ni citladinc gli cagionarono infinite brighe, grandi amarezze cd una fine prematura. La citta di Triestc era da lungo tempo agitata da cilla-dinc discordic, e la mortc dcl vcscovo Pietro Bonomo (1546) ch’cra il ccntro, la gnida c la speranza dei patrizialo, aveva npcrlo il campo a ficri dissidii, ehe ncl 1518 avevono engio- 2 mto un tumulto, per cui 1’Imperatore erasi dcciso d’inviare dci commissarii a ripristinare h quiete. Ravvisando questi negli statuti la causa principale dcllc dissensioni, ne propose-ro la riforma. la quäle venne anjhe operata, sancita e pubbli-cata col diploma dci 12 novembrj 1550; ma non percid si ac-quietarono gli animi, ehe il partito, come ora chiamercbbesij ultra-autonomistico, aspirante ad uno scopo eh’egli stesso non si era bene determinato, insofferente di freno, semprc e nei consigli e fuori ciarliero, tumultuante, provocatore, cagionava conlinue lotte e frequenti zuffe sanguiuose. Tale era la condizione di Triestc, a’tempi del vescovo Ra-piccio. « Esso (riporto le parole dell’esimio Dr. Kandier: Storia del Gonsiglio dei patrizii di Trieste, Trieste Lloyd 1858) » trie-« stinissimo quanto mai potevasi esserlo, patrizio, esperto ne-« gli aflari del Gomune, aveva veduto, non solo in piazza, ma « anche in palazzo: intendiamo con ciö dire, eh’e assai piu « facile schiamazzare in sulla pia/.za ed il far mostra di rom-« pere vetriate c rnmperle, di quello che sedere in palazzo a « governo, soddisfare al proprio debito e contcntar tutti. Egli « sapeva bene, ehe la mostra dell’orologio e semplice cosi ehe « si črede andarc da sua posta, ma sapeva altresi, che per far « andare la mostra occorrevano tali e tanti congegni di ruote « e di perni e di pesi c di pendolo modcratorc, ehe ogni spo-« stamento di ruotc, ogni sproporzione di assi e di perni por-« tava fermata, o rallentamento, o precipizio, semprc guasto; « avca veduto, ehe il modo un po’violento che consigliava al-« l'Hoyos dell’uso di armi (e l’Hoyos aveva avanzato assai la « costruzione della fortezza) non giovava. Egli, consigliere « delTimperatore, vescovo di Trieste, degno successore del « Bonomo *), ma non come questi passuto per la scuola delle « somme sventure, ne di maneggio si fino, volle colla parola « c cogli officii di vescovo tentare quelli pacificamenti, ehe « laico ancora e poeta aveva desidorato. Era giunto a rappat-« tumare i sommi dei due partiti, ehe pivi piegavano alla ve-« neranda aulorita del vcscovo di quello che a persuasione. « Ed, indetto convitto in segno di pace perfetla, ebbe invito « di vescovo od csserc testiinonio della ristabilita fraternitä. « E vi venne; ma porta al vescovo una tazza di vino squisito, « per isbaglio fu d;ita a lui quella avvelenata, clie il paeifica-« to di un partito avoa destinato al pacificato delTaltro par-« lito in arra di perfetta concordia. Gosi fu detto c general-« mente creduto; ehe morisse di velcno bevuto in pranzo di « pace e certissimo, ma di quel fatto se ne parlö il meno pos-« šibile e nulla se ne serisse in pubblici alti. » ’) Pietro Bonomo. patrizio triiistiuo, vcscovo in patria (1500-1 o46), uomo üi graudu dotliina u di mul tu aulolitn (Stancov. Bjogr. 1. n. 14t). Lo Stancovich (Biogr. I. p. -441) Irova molto improbiibilb che il Rapiccio sia stalo avvelenato jier equi\oco; ed io pure ne convengo, non tanto per la ragione da lui addotta, ch’c dit^-ficile il far passare ad un vescovo, il quäle occupa il primo posto e viene assistito anche da’suoi servi, il bicchiere di uti altro, quanto piuttosto perche assfii piü credibile del suppo-sto sbaglio si e, ehe alcuno dei patrizii piu furibondi, esseii-dosi dovuto piegare nd un rappacilicamento impostogli in con-seguenza dell’autorevole influsso del vescovo, tramasse l’ini-quo attentato onde trgliere di niezzo lui che ave'a operata la conciliazione. Mi conferma in questa supposiziene quanto scrisse il Dr. Kandier (Aggiunta mser. alla storia dei Patrizj): « Ncl « 1567, mentre era vescovo Andrea Rapiccio, sei anni prima « della sua morte, gravissime erano le discordie in Triestcj o le quali, ancorche si accenni un partilo sotto il nome di « Sectarii, non crcdiamo fossero per religione. 11 Rapiccio u. venne alle prese con questi, e stgui qualche cosa che si disse « Aclio. 1 setlarii furouo frenati; perö l’arciduca Carlo lo av-« vertiva di non agire da se, ma di servirsi del braccio seco-« lare. — Di lui non giunse memoria ove fosse sepolto, n& la-« pide alcuna a lui fü posta. » Moriva il Rapiccio il 34 decembre -1573 i üomo di som-mo ingegno, poeta di fino güsto, dotto canonista, carissimo a tulti, di cui scrive l’Ughelli: Iiapilius flos scilicet illibatus po-litiorum homimim quos uoslra aelas tulit. Di lui si puö dire con Tacito (Agric. 44), che quarnqnam in medio spatio inte-grae aelatis e rep Ins, quanhnn ad gloriam longissimum aevum peregit; imperciocche, dopo aver dcdicata la gioVinezza allö lettere, l’adolescenza alle severe scicnze, con indefessa ope-> rositä con^crö tulta la vita al pubblico bene. D’anni quaranta l'u spento, vittima di j atria caritö, all’etä nostra, che a libertä tanto agogna e della libertä tanto abusa, soggetto di utile mc* ditazione. Le opere che abbiamo del Rapiccio sono: 4. Andreae Rapitii nobilis Tergestini faciliorum inusae carminmn libri duo, quoruin prior epigrammata quaedam con* tinet. Venetiis 1552 in 4. 2. Andreae Rapitii Jurisconsulti tergestini Histria, Vien* nae 4556. 3. l.o stesso poema rifatto. Frnncfurti et Lipsiac 4830. 4. Cinque odi latine stampate a Vienna assieme col-1’ Istria. 5. Tre disseitazioni di diritto civile in latino, citate dal Dr. Kandier. 6. Un epigramma in lode di Bartolcmco Scardeone ca-» nonico di Padova, riportato dal Mainati. 7. Inedito: Andreae Rapitii 1. G. Terg. poematum über secundus, colla dediča: Illustri Sigism. Ilerbersleino And. Ra-picius I. U. C. et Cacsaris ab. epistolis S. P. D. Esiste in auto-grafo ncl civico archivio di Triestc. 8. Una relazione dei vescovi di Trieste, citata come inc-dita da F. Ireneo dalla Croce. La famiglia Rapiccio s’e estinta a Triestc, ma vive tut-l’ora a Pisino. Essa, per quanto ne dice il Can. Stancovich (Biogr. I. p. 444), non possiede aleuno seritto dell’illostre yc-scoyo di Trieste. ■»O TERGESTINI JXJRISCONSUI.TI ad iUustrem virum D. Sigismundum liberum baronem in Herberstein etc. lisci Austriaci praefectum I S T R I A. i) Yitiferi eolles Adriae, qua pulchra Timavi Cornua septeno properant ad litora cursu, 2) Seu vos xnellifluo perfundit rore Lyaeus, Sive alius vestros montano vertice fructus 5 Excolit, o patrii colles salvete, nec unquam Juppiter innocuas infestet grandine vites. Non me de3pecti fallacia munera vulgi, Irrita vel tumidae rapuerunt somnia Tamae, Ut vos cantarem, quorum pia munera norunt 1) Nell’edizione viennoso l’autoro preferiva la lezione HISTRIA. I Latini, tanto nelle opere, che nelle iscrizinni lapidarie hanno Histria, i greci invece Istria, senza l’aspirata. Vegpasi Stancovicli: Delle tre Emone. Venezia 1858 pag. 7 e seg. Gli anticlii conoscevano duo Istric, la ponlica e 1* nr-driatica; quella ha il nome dal fiumo alle foci del quäle e pusta, questa Io ricevette da una colonia d’htri pontici che la occuparono in tcmpi rimotissi-mi. Da qui la favola degli Argcnauti venuti nell’Istria: v. Plin. Hislor. nat. III. 18. L’Istria ha eenza dubbio il nome dall’Istro, come rhiamavasi anlica-mente il Danubio da Vindobona in giü; ma che dagl’Istri, come vuolo )o Stancovicli (Biograf. I. pag. 141), abbiano avuto il nonie gl’ llistri od Ilislrio-•nes e assolutamente falso. Ister, dice Livio (Hist. Lih. VII. 2), tusco ver-bo ludio vocabulur ; o Tacito ci fa sapere, a Tuscis accitos histriones ancora ai tempi di Nerone. (Annal. XIV. 21). So non fossc andato pcrduto il poema di Ostio De bello histrico, citato da Macrobio, Satnrnal. VI. cap. 3., avrem-mo forse sull’origine e sui luoghi dcll’Islria delle nozioni piü precise. 2) Ricorda il septem digeslum in cornua Nilum di Ovidio (Metamorph. IX. 763). IVella prima edizione sta: Ostia scptenis properant sc jüngere lymphitt, cito alludc all’ El lu ledaeo felix Aquileja Timavo. Hic ubi septenas Cyllarus /lausit aquas (conf. vers. 63. 64) di Marziale, Epigr. IV. 25. 5. - Virgilio (Acn. I. 250) gli as8cgna novo bocche, altri piü o meno secomlo le relazioni avute e la stagione nella qualo lo lianoü visitalo- su di che vedasi la lettera al conte Guido Co- 10 Et Thule et Meroii, postreraae limina terrae. Est aliud nobis Studium; quis talia demens Audeat humanum longe excedentia captum? Suasit araor patriae et faecundae praemia terrae, Vester honos, cujus coelo se gloria tollit. 15 Huc ades, o Lenaee pater, cui cura colendae Yitis et apricis servare in collibus uvas. Te duce sit fas tanta mihi vulgare per orbem Munera, vosque mihi sacros recludite fonte3, Pierides, nostroque etiam aspirate labori. 20 Tuque adeo decus Aonidum Sismunde 3) sororum, Ardua cui rerum series est credita, si te Nunc sinit in tanta curarum mole quiere Caesar et ad faciles paulum secedere musas, Ne nostros contemne orsus, ne despice vatem 25 Ausonium, tibi qui studiis sese omnibus offert. Scilicet ipse tuo perfusus numine dicam Et patriae terrae laudes, et pinguia culta, Istrorumque urbes, divina et munera ruris. 4) bouzl (Udine 5 febbr. 1784). II Timavo (seeondo il Kandier, che lo ha dili-gontemente studiato e ne pubblic.iva un Üiscorso per nozze Guastalla-Levi, Trieste 1864) ha la sua origiue alle falde del nnonte Catalano (1200' sopra il livello del mare) soorre sopra terra 16 miglia ital., e s’iaabissa nelln grot-ta di s Canziano (vedine la descrizioue nella Relaziune del viaggio di S. M. il Ile di Sassonia n eil’ bi tria, Dalmazia e Montenegro, del Dr. ßiasoletto, Triette Ift/« 1841), e dop» 18 miglia ital. di corso solterra sbocca sopra Duiuo a mezzo miglio dal mar#, o poco piü. II colonnello in pensione di S. M. Rritannica, cav. Carlo Catinelli misurö la profonditä e la velocita del Timavo, compose sul medesimo una erudita Memoria che si trova nell’Aruheografo triestino vol. II. pag. 379. 3) Sigisrnondo barone de Herberstein nativo di Vipacco uotno di molta dottrina e di grande abilita diplomatica, grande ntecenate dei letterati. Dopo molte inissioui fu nomlnato nel 1832 presidente del Collegio di Finanza, pošto che copri Quo al 1856 in cui entrö nello stato di riposo. V. Archiv für oesterreicliische Geschichte Wii;n 1868, vol. 39. 4) (v. 29-49.) Plinio, Hist. uit. XIV. 6. 7. onuinera i vini piü celebri ■ ’ suui tempi e da il primo luogo al pucino. Julia Augusla LXXXII annos vilae puoino vino relulit accoptos, non ulio usa; gir/nitur in sinu hadriaci maris non procul a Timavo fonte, saxeo colle, maritimo adflalu paucas coquentc amphorax, nec aliudaptius medioamentis judicatur j hoc esse cre-diderim quod Graeci celebrantes miris laudibus praelelianum appellave-rint ex hadriaco sinu. Divus Augustus Setinum (Setini nel Lazio) praetu- lil Secunda nobilitas Falerno (Campania) agro erat et caet. Maro’An- touio Griueo, seeondo il Kandier professore di belle lettere a Capodistria in sul principiare del aec. XVI., celebrö la bontä del pucino con questo epi-gramma ch’esiste in un rnscr. di sue poesie nel civico archivio di Trieste: Puainum aerio Tcrgcsti gloria colle Liquitur. Iloc redolel nectar et atnbrosium, Non mihi se Euganei jactent campique Falerni, 30 Non sua Cretaei mirentur Tina coloni, Sed neque Cyrnaeos colles, nec setia rura Praetulerim, nec agros aut jugera Yicentina. Desine Massilos mirari, villice, fructus, Massicaque excultis nascentia pocula terris; 35 Arboribus pendet raelior vindemia nostris Quam reliquis, cui non totidem certaverit ulla Ferre cados, cui non similes ferre ulla racemos, Non Rhodos aut Thasiae, firmissima vina, lagenae, Non aliae, qua rum species vix nomina servant. 40 Te colimus, Pucine 5) pater, cui Livia quondam Retulit acceptos annos et tempora vitae. Muneris id, Pucine, tui, qui dum ardua montis Saxa colis, rupesque alias et Japydis 6) oras, Longe alios fructu, virtute et laudibus anteis. 5) üove foese l’antico Puciiium e difficile di precisarlo. Wolfango Lwio (v. Fr. Irenuo della Croce, Ist. di Trieste V. 10.) scrive: Toto isto litore vina sunt electissima et ubi Optimum Rifolium vinum praecipue Prossechii nascitur, quod dubio procul Pucinum i/lud Plinii fuit; ed assieme oon lui 1’Ab. Borini (Del Pucino antico: squarcio di lett. inaorito negli Annali di agricoltura ital. toni. XXII. p. 165 e seg. Milano 1814) lo črede 1’odierno Prosecco. Questa opinione parrebbo corrispondere alla posizione espressa dal Rapiceio. ...........ardua montis Saxa colis j rupesque alias et Japydis oras, ma non corrisponde a Plinio, ehe Io colloca in sinu hadriaci maris non procul a Timavo fonte, saxeo colle. II Cluverio (v. Fr. Irenoo loc. cit.) dice: Ex hoc igilur intervallo (dalla distan/.a di ProBecco dal Timavo) et ex vini arguniento (Ti-Wein, Du-Vinum) Pucinum castellnm eundem puto esse lo-cum} qui nunc vulgo Custel Duino Italis vocalur; e vi concorda il Mariniere (Grand Dictionaire gäograpbique, Venise 1741, art. Pucinum): Le vom moderne de ne Heu est Castel Duino et sens vins tont connus sous le nom Reinfall. Ciö spiegherebbe il .......... hic Cyllarus hausit Septenos latices fontano e gurgile et illos Inter saxa sedens pucinit miseuit uvil del noslro autore (v. 63-65). Io ritengo ohe si possa accordare benissimo Plinio col Bapiccio, supponendo cbe il caslellum nobile vino Pucinum di Pli— nio (Hist. nat. III. 18.) sia Duino, ed il colle o monte su cui nasceva il cele-brato nettare »i trovasse un poco piü addeutro verso le sorgenli del Timavo. Cbe il Rapiccio intendesso parlar di Prosecco non mi pare, non potendo sup-porsi avor il poeta voluto esprimere il musebiuo concetto, che il centauro attingesse l’acqua dal Timavo onde bersela dopo la Irottata di un’oretta ecdutu fra i sassi di Prosecco. 6) Japydis arva Timavi, dice Virgilio Georg. III. 476; e Plinio parlando del paese fra il Timavo ed il Formiouo scrive: Carnorum huec regio, juncta-que Japydum (Hisl. nat. III. 18 ); ma il sommo inantuvano non e autorit* 45 Tu mihi, seu canibus lcporcs, seu fallcro visco Avgutas cupiam volucres, seu litore curvo Allicere incautos praetensa in retia pisces, Omne genus studii secura per otia vitae Suggeris atque animum perdulci pasois amore. 50 Sunt in conspectu positae rettuentibus undis Mille urbes, totidemque ferax tenet oppida tellus. Haud procul hinc Phrygii 7) visuntur stagna Timavi, Unde fiuunt gelidae ’septeno gurgite lymphae. Hic dum rimoso condit se fomite et undas 55 Secretis äuget venis coecisque latebris, S'tillatim manat vires cursumque secundans 8). • Yulgus iners, densa noctis caligine septus Credidit hos fontes'aliis scatuisse lacunis, Atque Antenoreis fluxisse in vallibus, 9) unde gaograüca, e Plinio nel descrivero 1’ Ilalia parle dalla divisione poliliea in uu-dici regioni latta dall'imporatore Augusto. Clie l’anzidelta spiaggia apparte-uos.se aü’Islria Io vodiamo, coine fu detlo nei Ceuni sulla vita e sugli scritti del Itapieeio, dal raceonto cbe fa Livio della guorra istriana. II D.r .1. Rohen nel suo eruilito Saggio sull’origine di Triesle (insorilo nelP Areheogr. Iriest. vol. 1.) dimoslra ehe la detta cillä non apparlenne mai alla Japidia (v. cap. 111. pag. 53), ainmottendola pure per villaggio carnico, ed il eauonico Slanoovich nel suo opusculo Tries/e nnn fu mai villaggio carniao (Venezia 1830) sostio-ne con valide ragioni ehe il Tergcstu di Strabonu non ö la nostra Triuste, la quäle sempre appartenno agl’ Istri. 7) Allude a Virgilio Aeneid. 1. 256 -248. Anlenor potuit mediis elapsus Achivis Illyriaos pcnctrarc sinus, alquc intima lulus llegna Liburnorum, el fonlem superare Ti.mavi. 8) II colonnello Catlinelli (Archaogr. tricst. vol. II. p. 390) descrivo il nasuere del Timavo: « Fonli dalle quali l’ncqua snrta giä formata in una cor-» rente, o canale, non ve ne liauno ehe due, o lult’al piii Ire; raa fussuro » dondel’acqua sorto in tenui veno, vi sono molto, o poi vi hanuo inoltra >> parocchie bueche dunde l’acqua scaturisco e rimonta aU’allo, attravorso un » allargaineulo, e cio in bolle, assomiglhndo il proceeso ad uua speeie di erut-» tazione e producondovisi como una ebolliziono. » 9) Franc. Petrarca ad Boccacium ep. 7. sept. 1363. Ibimus hinc (da Venezia) .... cnmmigrabimus Juslinopolim ac Tergeslum.... Jamdudum cogilo Timavi fonlem vulibus celebrem, multis vero vel doctoribus ignora-tum, ubi cst, non ubi quaerilur, hoc est, non patavinis in finibus ves/ige-mitSj quem errorem peperit Luoani versiaulus, qm> Apono cum junxit ku-ganeo, sed in agro potius Aquilcjensi, ubi illum cosmographi certiores lo-cant. I versi di Lucano iutorno ad Abano sono (Lib. VII. 191 et seq ): Euganeo, si vera fides memoranlibus, augur Colle sedr.ns Aponus, lerris ubi fumifer exil Atque Antcnorci dispergilur untln Timavi clc. Nč solu Lucaiw eollow il Timavo pu-ssv fadoya, im andie Silip Ilulico (Puuic, 60 Meduacus, pleniš hodie lapsurus in aequor Cornibus, assurgens Yenetas excurrit in undas 10). Sed vanum quodcumque ferunt; hic ille Timavus, Quem sacri celebrant vates, hic Cyllarus 11) hausit Septenos latices fontano e gurgite, et illos 65 Inter saxa sedens Pucinis miscuit uvis. Hic, ubi Japydium laevum latus obtinet atque Iratum pelagus sinuosa murmurat ora, Tergeste procul apparet, quo gaudeo luci Emicuisse puer superasque in lurainis oras, 70 Antiquain repetens sobolem, cui nomina 12) quondam Nota diu mimerosa dedit Rapicia proles, Quae Latium moerens olim, patriamque, laresque Ob tristes belli casus variosque tumultus, Servitia et praedas quibus itala regna premebat 75 Barbarus hostili subvertens omnia clade, Deseruit tenuitque isto sub cardine sedes. Hic ad Japydiae montes ubi Servulus 13) alto XII. 212), Stazio (Silv. lil). IV. 7. ad Maximum .Tun.) e Sidonio Apollin,iro (Carm. IX. 196) (anno lo stesso; tulti i goografi porö, come Strabone, Polibio, l’osidonio, Pomponio Mola, Plinio ecc. lo collocano fra Aqulieja e Trieste. 40) II Brenta aveva una volta due foci. Ouolla di Fusina fu allontanata pero,he interrava la lagun». L’au toro allude ai lavori idraulici «he si facevano ondo regolaro il fiume. 44) Alludo agli argonauli. Cillaro non ö qui il oavallo domato da Casto-rc, o secondo altri da Polluce (conf. Martial. Epigl-, VIII. 21. 5. 6. cum Virg. Aon. III. 89. 90), m» ö un centauro che avrehbe preso parte alla spediziono. Riporto la bella descrizione che no fa Ovidio (Metamorph. XII. 385, et seq.): ßarba erat inoipiens, barbae color aureus, aurea Ex fiumeris medws cnma dependebal in armos. Gratus in ore vigar3 cervix, humerique, mnnusque, Peeloraque arlifieum laudalis proxima signis Ex qua parle vir esl, neque equi mendosa sub illo Deleriorque virn fueies. Du colla capulque, Castore dignus erit; sie tergum sessile, sic sunt Pc clor a cclsa toris: tolus picc nigrior atrif, Candida eauda tarnen, eolor est quoque eruribus albus. 42) La famiglia dei Rapicci diedo molti uomini illnstri alla palria. Un Antonius Ravicciusera nol 1258 capitano noll’esercito palriarcalo, un Hendri-ruccius (4330) procuratore generalo del Comune, un Andreas (1391) cancel-lier» di palazzo ecc. 13) S. Servolo, martire (riestino dol torzo secolo ed uno dei protettori della cittä, che ne celobra la memoria a’ 24 maggio. Prosso 1’ or diroccato ca-etello, ch'e in sulla vetta d’un monte a levanto di Triesto a 1288 piedi sopra il livello del maro, havvi la grotta nella quäle, secondo la loggenda, s’era ritirato il santo. Questa grotta fu descritta dal Valvasor (Oie Ehre des Herzogthums Crain IF. 68. pag. 282), dal vescovo Tommasini noll’appendicn k’ suoi Gom-(Meatari (4rcheogr, triest, yoI. IV. p. 541) « da »Jtri pi« recenti. Vertice prospectat, patriae tutela deusque, Adriacum finit pelagus, surgentiaque arva 80 Istrorum late incipiunt excurrere ut isthmos. Sunt nitidi fontes, sunt hic Pene'ia Tempe, Sunt efiam uberibus laetissima pascua glebis. Expediunt umbras pecori vernantia circum Et nemora et sylvae crinitaque frondibus arbos. 85 Salve, terra parens, patrii salvete Penates, Caesare sub magno, quo principe, credite, nullus Dignior augustam cinxit aiademate frontem. Di, Fernande, tibi imperium triplic.esque tiaras 14) Fortunent, cui sese moenia Romanorum 90 Aureaque auspiciis laetis Capitolia servant. Intrabis Scyticas felici numine terras 15) Euxiniosque sinus: merita dein morte tyrannum Afficies saevo referens ex hoste triumpnum. Austria victrices aquilas augustaque signa 95 Eriget et toto felix dominabitur orbe. Iamque illi passim laeto victoria vultu Obvia fit, magni submittunt colla tyranni. Vera cano: faveant nostris pia numina votis. Pannoniae tandem, submotis hostibus, orae '100 Florebunt melius te Caesare, te duce regnum Ausonium parta populiš jam pace quiescet. Diffugient tristes olim, te vindice, Dirae Ac scelerum bellique metus, et amica reduces Ocia; non frustra vates cecinere priores, 105 Yenturum innoeuum regem qui temperet orbem, Cujus ab auspiciis redeant saturnia regna Et fortunati saeclis melioribus anni. Tu pacem afflictae Italiae 16) populisque latinis Restitues; miserae Italiae, quae dira sub hoste 110 Damna tulit. Tu pacis honos, tu gloria belli: Depressae vitio leges turbataque jura Nunc vitam accipient et grati luminis auram 14) Alludo furse aU’iatenzione attribuita all’imperatoro Massimiliano I.
  • la patria parecchi uomiui distinti. II nostro autore nomina il Robba, un cavaliere Giuliano, e Jano. Antonio Robba medico in Trieste nel 4 5(33, fu poi medico in Grus ilelli Signori nobili dellu Sliria (Manzuoli Descr. dell’ Istr. p. 29). La famiglia Giuliani apparteueva alle piü anticbe e piü nobili di Muggia: nel Cod. diplom, ibtriano si trova, che nel trattalo di pace fra la Republica Veneta e il Marchesato d’ Istria, dei 12 marzo 933, ö sottoscritto un: Signum meum Juliano de Mugla cons. — Chi fosse il giovane študente, c1h> intende il Kapiccio, non lo sappiamo : dal contesto parrebbe morto di morte non naturale, o sepolto nell* vicinanze del Risano. Janus o Joannes Apostoli, dottore in medicina o studiosissimo delle scienze fisicbe, era nel 1583 medico a Trieste. A lui accenna l’autoro nel suo Enimma: I/acqua, che si trova nel citalo mscr. osistento nel civ. arch. Iriestino uuin. 55. AKNIGMA. Filia sum materque simulj juvenisque sene.rque Et premor allernis casibus ignc, gelu. l\’am qua: me genitrix gravidn geslavit in alvo. Ex parlo rursus gignitur illa meo. Vera nr.gas ? dubii non sunt wnigmnta sp/iingos En Janus wlvel prolinus illa Ubi. Formioque et curvis responsans vallibus echo. Teque etiam, mi Iane, canam, cui tempora lauro Docta virent, quem castaliae pia numina matres Certatim variis eumularunt laudibus, unde 195 Gens praeclaro se jactat Apostola alumno. Tu modo naturae primas evolvere causas Et qua coepisti primum ratione latentes Perge vias instans operi laudique futurae. Haud longe hinc sequitur muscoso e pumice labens 200 Formio, 23) qui obliquo gaudens per pascua ductu Tranquillas educit aquas et eervat ubique Perspicuus vitreas lucenti gurgite lymphas. Vix credas labi, tarn lenis mulcet opacos Riparum fiexus et frondiferas convalles. 205 Italiae quondam fines hic prisca vetustas Constituit, sed paulatim labentibus annis Istriacas tandem terras hoc limite clausit. Dein surgunt mediis Iustinj 24) moenia in undis, 23) II Formione, oggi Risano, sbocca romoroggianto prosso una chie-setta campestre a levante di Capodistria e dopo il corso di dodici miglia si getta in tnaro a pio del collo Sormino. Le sue aequo dod corrispondono piü al servat ubique perspieuus vitreas luceni.', gurgite lymphas del nostro autore, e ciu per colpa doi nostri padri, che contro tutte lo regole deli’ i-drjulica gli Iic.nno volt..to il oorso, ed obblignndolo ad una curva, lo hanno fatto sboccare nella laguna. La valle del Risano e celebre per VExamen te-stium anno 804. celebralum ab Izzonc (Azzone?) Caclolao et Ajone, Comitibus et Missis in Istrii m a Carnlo Magvo Äugusto ad inquirendas extorsiones ibi faclas a Joanne duce, illius provinciae rectore. (v. Muratori Anliquit. Italic, med. cevi, Medioluni 17G8. tom. I. pag. 239.) Quel-la contrada si chiama ora Lazzaretto, dal lazzrretto pegli appestati e-retlovi nel secolo decimo sesto, ed il triste reciuto del quäle esisteva an-cora al principio dul secolo scorso (v. Naldini CorograGa ecclusiastica di Giustinopoli. —Venez. 170Ö pag. 406). 24^ La odierna Capodistria ebbe parecchi nomi. 11 piü antico 6 quel- lo di Aegida, e come tale viene nominata da Pliuio (Hist. nat. III. 18) cho la dice oppidum civium Romanorum, cioe municipio. Clio il nomo sia greco lo scrissero molti, ed i nostri veuchi, umanisli fino alle ungbio, vol-lero vedervi l’ogida di Pflllnde, ehiamarono Palladia la cillä ed assunsero a stemma la testa di Modus . ma 1’Aegida di Plinio non e nome greco, nö ha che fare eon Minerva o collo capro, como giudiziosamento osserva il Carli (Anticbitä di Capodistria v. Areheogr. triest. ed. 1831. vol. III. p. 220), pd abbiamo nell’Ietria pontica lo citta di Acgypsus citata da Ovidio (Ex Ponto lib. I. ep. VIII. 7 ot soq.) veins urbs ripae vicina binominis 1stri Blaenibus el posilu vix adeunda locis. Cui Caspius Aegypsos, de se si crcdimus ipsis, Condidit, et proprio nomini di$i/ opus. Aegyda dixerunt patrio cognomine Graji. 210 Hic mihi pierias sedes et culmina Mixsae Monstrarunt puero quondam, cum e fontibus almis Hausi parvus opes latiae et primordia linguae. Indolui vexatam urbem non Marte superbo, Sed quod saeva lues 25) tetroque infecta veneno 215 Infecit puras diris afflatibus auras Oorrupto coeli tractu, dum luctifer annus Ingruit et plures mortali vulnerat ictu. Infelicem urbem, qua non praestantior ulla, Seu faciem coeli spectes seu rorida circum 220 Prata, vel adriacas quibus undique cingitur undas. Non requies est ulla mali, prostrata trahuntur Corpora, sunt passim projecta cadavera postquam Incubuit terris inimici syderis aestus, Atque avidi late serpunt contagia morbi, 225 Hei mihi! Coelicolum sanctum et venerabile numen Placandum est puris precibus, flectendaque summi Ira Dei: poscunt alios haec tempora mores. e che perciö non si puö derivaro dal greco. Distrutta la cittä durante la guerra gotica, venne rifabbricata a’tempi deli’ imperatore Giuslino II e chiamata Justinopolis; ma contemporaneo a questo nome, e forse pii'i anti-co, e quello di Capris, traduzione della voce Aegida ricevuta come greca. Da un docurneuto citato dal Carli (loc. cit. pag. 296) in cui 1’ imperato— re Ottone I. in data XV. kal. Mnj. a. 976 conferma al patriarca di Gra-do la donazione deli’ isola dove ora sta Capodistria cum suis appcndiciis, tam infra civitatem Justinopolin, quam extra, qua) vocatur Capras, ri-eulterebbe anzi, che Capras si chiamasso allora tutta 1’ isola e Justinopolis la cittä ch’ era fabbricata sulla inodesima. Dopo la metä del secolo deci-moterzo scomparisce affatto il noino di Capris o Capras, non rimanendone piü vestigio che nel Kopro, che gli Slavi danno ancora alla noBtra cittä, ed incomincia a prevalere quello di Capodistria, il qual nome non le venne dai Veneziani che la fecero metropoli deiristria (Duc. 8 agosto 4884^ ma piuttosto, come scrisse Pietro Paolo Vergerio il Seniore (Muratori Rerum italicar. Script, tom. XIV. p. 240 ), eo qaod ab amne Risano urbi pro-xiniOj qui olim Form io dicebulur, initium sil Histriw. La cittä die’ i na-tali a molti uomini distinti, fra i quali Santorio, i due Carpacci, Pietro Paulo Vergerio il juniore, il conte Gian Rinaldo Carli ed altri. 23) La peste che lamenta 1’autore e quella deli’anno 1884 ricordata dal Naldiui (Corograf. di Giustinop. pag. 202). 11 Valvasor la mette un anno prima p scrive: Im Jahre 1555 gebrauuhto sich der allgemeine Men-« sehen - Schnitter der Pestilenz zu sensen; inehete damit in Isterreicli « und auf dem Karst viel Leute weg -wie das Hey. — Im nachtret-« teadom Jahr 1554 schlug er mit dieser gifftigscharfen Sichel zu Krain-« bürg an. (Die Ehre des Herzogthums Crain: Laibach 1689 Seite 464). Questa peste., come riferisco il Mainali (Stor. Cronolog. p. 108) 1’ anno 1585 fortementc s’ avanzd in Trieste, -cd e cosa assai rimarchovole che Pi-rano Bia andfrto esonte da quoeta nonchft dalle altro dwö del 1873 e 1631, Te, vcnerande senex 26), saevae rapuere sorores Ante diem; poterat vivax tua ferre senectus 23t) Longius humanos venturi temporis usus. Non mihi te postquam patriis sum redditus oris Affari licuit: saltem mea gaudia sospes Vidisses, partosque etiam milii nuper honores. Te duce castalios licuit mihi visere fontes, 235 Tu mihi Parnasi latices, tu culmina Pindi Monstrasti; per te facilis, licet ardua dudum, Virtus optatae tribuit mihi nomina laudis. Ali tantum sors ausa malum! Te moenia lugent, Ambrosi, te tota tuis aucta Istria donis. 240 Fortunatam animam, dubiis quae exempta procellis Divinam aspectat faeiem sedesque beatas Incolit et coelo fruitur tranquilla sereno. Teque etiam miseram Eurvdicem 27) florentibus annis Crudeles rapuere Deae, nec vota nec ullas 245 Audivere preces; surda stat Jupiter aure. Ah miseram Eurydicem! tccum spes, gaudia, risus, Tecum abiere meae felicia tempora vitae. Sed mihi non prosunt lacrymae, quando omnibus unum ,Est iter et nullis flectuntur numina donis. 250 Ergo ubi Justini fueris digressus ab oris Aequoreos propter tellus jacet Insula 28) fluctu3, od almeno no abbia poco sofferto, coine si rileva dalla l’elazione (li mons. Francesco Zeno voscovo di Gapodistria dei !i ngosto 1661, nella quäle, par-laiido di essa cittii dice: Hoc oppitlum esl populo referlum, qui ad tria milia animarum asccndit. (v. I'eriod. Curia episcopalis ;i. 1870 pag. 90) Kd il Naldini (Corograf. pag. 269) scriveva nel 1700: « K traditio»» im-« inoinorabile, » da niuno de’scrittori impugnata, che l’irano dal primo giorno « sino al presente di sua foudaliono siasi col suo popolo nationale senzn rite marcabile alteratione prosperamente conservata. Piü volle le guerro di-« strussero I’ Istria, lo carestie la desolarono, le pesli 1’ incadaverirono, on-« de al variarsi dolle sventure variaronsi auco i di lei habitanti. Ma l*i-« rano, qual avveuturato Olimpo da tali impressioni immune, col suo pop«]o « illeso e inalterato sem|ire si preservö. » 26) Con questi versi, pei quali mal snprebbesi dive se piü onorino Ia boli’ anima del poeta od il preoettore cho a tanto afT»tto valse ad educarlo, piange il Iiapicoio la morte di Ambrogio Febeo du l’irano. II Febeo fu pro-l'ossore di bello leltere a Gapodistria, prima nel 1814 iu luogo di Cristoforo Muzio morto in quell’ anno, e poi, por la morte di Palladio Fosco pado-vano, nel 1520. (Stancovich Iliogr. tom. II. p. 172.). 27) Di quusla Euridice, tanto cara ul Rapiccin, non potei Irovaro trac-cia nlcuna, ne giova il perdersi in vane congetture. 28) Tellus Insula: Terra d'Isola, Sveoudu i priuoipii dvlla ropubblica Cui rigui fontes campos et roscida prata Foecundant, liquidisque irrorant ductibus agros. Pallentes oleas longo fert ordine opacum 255 Litus, et apricis veniunt in collibus uvae, Prae quibus ambrosiam vilem nihilique putarem. Hinc aliae atque aliae curvis sinuantur in oris, Attollitque caput celebris Pyrrhanea 29) tellus, Quae tutum servat nautis grata hospita portum, 260 Si quando tumidos excit vagus Adria fluctus, Infestatque rates saevis truculentior Euris 30). Saepe ego quum insanis fremerent abrepta procellis Aequora, turbatis sociis et remige tuto, Huc veni hospitio veteris susceptus amici. Veneta prano cittä i luoghi ehe ollro i proprii stntuli avevano anche uua pro-pria nobilta munieipale, oseia il diritlo di concedere la cilladinanza e la voce attiva e passiva nei consigli. Gli altri pacselli si dicevauo Tetre, se aoclie gros-si e con proprii statuti, com’ erano allora Muggia, Isola, Pirano ecc. Terra Insular, olitn Allietum, serive il vescovo Zeno (loc. cit. ad num. 25.), e resta an-cora la memoria del vecchio nome liell’antichissima cbiesetta della Madonna di Aiieto. Pare derivato dallo Halirvtus dt Plinio (Hist. nat. lib. X. cap. 3), ed ap-plicato a quegli abilanti, perchč fuggiti da Aquileja a’ tempi di Altila e rilira-tisi sul monte Cuslellier (Castrum aereum), discesero come aquile marine ad e-sercitare la loro professione di pescatori (Vedi Pietro Coppo d’Isola: Silo deli’Islria. Archeogr. triest. ed. 1830 tom. 31. pag. 34 38 - Nal-diui, Corograf. pag. 328). Pirano 6 patria di Pietro Coppo e del Besen-gbi, gli seritti del quäle, trafugati o smarriti, indarno si eercatono fluora. I vini ai quali allude 1’aulore souo il Refosco e la Jlibolla, di cui facc-vauo un di gl'lsolaui grando commercio. 29) Ancbo Pirano deve la sua origine ali’invasione dei popoli barbari. L'etimologia del suo nome (Pyrrhanum, o PyranumJ * incerta; il Coineo (De silu htriaej Archeogr. triest. tomo II. pag. 63) serive: A forma Pi/ramidiSj quam retinct promonlorium in quo est condilum, ap-pellalum judicarcmus. Anticamente era bene furtificata; resta ancora in suita cima de) monte parte delle mura: le due torri cbe difendevano il porto sono scomparse. Pirano diede ali’ Istri» parecchi uomini illustri, fra i quali il Joaunes Baptista Goynaeus, medico e distinto lelteralo (v. Bio-grafia universale antica e moderna, Venezia 1841. vol. 77 pag. 413) od il celeberrimo Tartini. 30) Intende il porto Bose, eh’ ebbe il nome dall’antica chiesa dedicala alla Madonna della rosa, ampio bacino, capace di dar ricetto a grande numero di navigli di quilsiaai portata. Salvore fSalborium), con cui G-nisce il porto, e noto per la vittoria navale ehe nvrebboro riportato i Ve-neziani sull.i flutta dol Barbarossa, il qual avvenimento vieue negato dal Muratori (Annal. ad an. 1177) per la ragionc, clio i cronisti contemporauei, e specialmente Bomoaldo arcivcscovo di Salerno, ohe accompagnd Sua Sautitä da Vasto a Venezia e serisse la storia di questi fatti, non ne fanno parola. II patiizio veneto Carlo Antonio Marini (Della verith dei fatti di cui si e conservata memoria nella Iscrizione ch’era a s. Giovanni di Salvore, Venezia 1794) combatte unguibus et roslro ond« riveudicaro queeta vittoria navale alla eua irepubbliea. Gli «rgouionti clio adduco mi 265 Ecquid agis, Flori? 31) deducta poemata condis, Aut quid tale aliud? nam te jam tertia messis Invitura teilet Istriaca regione morantem, Dum magna cum laude capit praecepta juventus. Non vivam si te quisquam mihi carior alter 270 Extitit, aut etiain tali mihi foedere junctus; Scilicet id praestat virtus tua maxima, quae te Insinuat coelo et divinis sedibus infert. Sunt prope vitiferi porrecto in litore Ilumagi 32) Iugera, ubi dulci spumantia pocula Baccho 275 Dum Phoebus caliua passim fervesceret hora, Aestivusque Canis siticntis ureret agros, Hausimus, atque vagos spatiosa per aequora pisces Vimineis nassis et curvo cepimus hamo. Vieinos istis campos et rura beata 280 Prisca tenet lapsis residens Aemonia 33) muris parvero forti, in» uuu assolutamente dccisivi, ne i iiinili accorduti al presente lavoi'o mi permottcno di vl-dtilare una questione, cho vu»l essere aucora diligpntempnte studiata. 31) N. Florio, amidssimo dell’autore, allora, dnpo Giovanni Antonio Petronio, professore di belle lettere a l’irauo. 32) llmago e l’aolica Minguni o King um dei Komani, o per essa pas-«ava la strada militnre per la Dalmazia. Ortelius (in Thrsauro) sostiene che «in Muggia, mn le distanzu indicate nell’Itinerario di Antonino diino-BlritiH) ovidentemente falsa la tsua supposizione. Nell’ ilinerario di Antonino ela: Her ab Aquileja per hlriam exlra Mare (v. Graevius, Tliesaur. Antiquität. Iiomanar. Venet. 1735. Vol. X. pag. 362). II clie corrisponde beniesimo ad Uniago, o in nessun modo a Mug-gia, ne anche si potrebbe eomprendero percliö la delta strada avesse do-\uto giraro una parte del golfo per poi fare un’altra curva onde mot-tersi nclla direzione di Parenzo. Kingum venne distrutta dagli Slavi intorno nll'anuo 880 (Filiasi loc. cit. tom. VII. pag. 387). Umago, fubbricato sulloro-vine di esso, l’agosto del 1379 fu abbruciato da Piolro Doria comandante del-la flotta genovese. (Romanin stor. docum. di Venezia, tom. III. pag. 273). 33) Cittanuova, la Aemonia del Rapicoio, non e ne Aemona, ne 1’Hacinoma di Plinio. La prima, Julia Aemona (Hist. nat. III. cap. 2B) e la odierua Lubinna, la seconda, Aemonia Claudia, (ibid. IV. cap. 14.) era itella Tessnlia. Pure e indubitata l’esistenza di una Emona nell’Istria, impercioecbe, lasciando anclie gli argomenti tratti dnllo lapidi romane (v. Tommosini nell’Archeogr. triest. vol. IV. pag. 187), o supposto pure che s. Massimo (ifoid. pag. 214), il quäle mori martire nell’Asia verso la meta del lerzo secolo, fosso vcscovo doll 'Aemonia Claudia, renta sompro certo die il Maximus Episcopus Emoniensis, soltoscritto Snliinus . . . . sie. Fontani Tiituiui Tergeste jyitigum Parenlium Polam M P. CXCVIU. M P. XII. M P. XII. M P. XXVIII. M P. XVIII. M P. XXXI. Barbaricas moerens adverso Marte ruiiias. Quis cladem acceptam memoret, quis dura sub hoste Servitia? Ah nimium infelix Aemonia? 34) quando Vix aliud praeter nomen, tuaque impia fata 285 Agnoscas, adeo extermis te exercuit hostis! Hic flavae rident segetes et florida prata Atque ferax laeta pubescit vinea fronde. Nec procul hinc celebriß Nauportus 35) panditur, inque Adriacura properat pelagus, celeresque carinas 290 Admittit pleniš vementes cursibus ad se. Huc, si vera fides, Argivae robora pubis 36) Del sinodo di Aquilvja del 581 non poteva cesere vescovo ne di Lu- biaiia, cho allora urn aveva vescovo, ne della Tessalia perche nessun vescovo orientale v’ intervonne. II Rubeis (Monumenta Eccles. Aquilejens. cap. IX.) lo mette vescovo Dell’ Ulirico Occidental«; neasuua catludraln v’era perö in questa provinci« ehe si chiamasse Emonia. Distrulta Emonia dagli .Slavi nel nono secolo (Komanin I. c. lom. 4. pag. 196), coli» sue rovino si fabbricö quattro migli« all’ incirca piu al nurd una cittä ehe fu chiamala prima Aouczio e poi Citlanuova, il qual nome comparisce gia nol 1031, in occasione d’un sinodo tenuto in Aquiloja dal patrierca Popone, trovandosi fra i soltoscritti: Ego Azo Civitatis tiovae Episc. subscr. (v. Tommasini ib. pag. 225 de Rubeis op. cit. cap. LV. 4). 54) Cittanuova obbe molto a soffrire ne'.le guerre fra i Veneti ed i Genovesi, nia la causa principala della sna decadenza fu 1’aria cattlva o la mancanza d’ogni sussidio medico. In ehe condizioni si trovasse queslo luogo a’tempi del Kapiccio, lo si puö arguire dal Tommasini (loc. cit. pag. 195), il quäle confrontando lo stato di Cittanuova coni' era allora, con quello in cui si Irovava due secoli prima, deplora « ehe « ormai di cento case di cittadini e dueomto di plebe e pescatori, siano « ridotte a sei, o Belle case di questi e venticinque degli altri, cosa in-« vero miserabile. » 35) Kauporlus fu chiamalo dagli antiebi il Gume Quieto, a per es-sero navigabile e per 1« sua foce entro alla quäle per lungo tratto il mare s’iosiuua, e che chiusa da colli offre commodo e sicuro porto ai navigli. I nostri vecchi corograG, ingannati dalla somiglianza del nome, videro in esso il Npuporfum ricordato da Tacito (Annal. Lib. I. cap. 20) e da Plinio (Hislr. natur. III. 18); ma Tacito parla delte legioni pan» nouiche (Cap. 16), e Plinio assegna 1’origine del Nauportum inter Aemo-niam Alpesque, e parlundo del viaggio deglr Argonauti, scrivoi Humeriš iransvectam (navem) Alpis diligentiores tradunt, svbiste autem Histro, dein Savo, dein Navporto-, dal che si ccnchiude, ehe il JVavpor/um di Plinio e il Gume Laibach, il quäle si scarica nella Sava ed e navigabile. 36) 11 Manzuoli (Descrizione della provincia deli’htria, Archeogr. triest. tom. III. png. 186) serive: « Sono favole ehe i Colcbi por-« tassero le uavi sopra le spalle nel Ouieto; ben puö nsser cb’essi Col-« chi, lasciate le na vi nella Sava cb’entra nel Danubio, vicino a noi 50 « miglia, veuissero in Istri», e stanchi dal viaggio qui si fermassero e « dessero il nome all’ Istria dali’Istro, Gume dove navigarono lun-« gamente, cesuudo verissima la loro vonuta. » Ne ei puö metteve in Vectam humeris navem per cclsa cacunrina montis Extulerant, Istri subiens quae fluminis undas, Dum medios audet, penetrans inter juga, cursuß 295 Rumperc; fessa olim 1 ” avcniS) Apparent celsi mox diruta tecta Parenti, 37) Urbs vetus atque iisdem belli jactata periclis Quae defessa diu quondain tulit Istria tellus. 300 Sunt et Arupinae 38) cautes praeruptaque saxa, Hic ubi trecentum scopuli se in litore tollunt rfubbio la loro vonuta Deda nostro parti, perche tutli gli antichi ne par-lano, e Plioio attribuisce loro 1a fondazione non «olo di Pola (Hist. nat. III. 10 22 25) ina si anehe di Olciniurn (Dulcinium null» Dalinazia) e di Oricum (Oricum, nell’Epiro). La storia degli Argonauti e Yargivae robora pubis del nostro autore sarebbero um qui pro quo, e sotto il nome di Colchi avrubbo ad intendersi il popolo ch’emigrato d.tlla Media orientale superiore si estese al Caucaso (conf. Ovid. ep. ex Pi>nto I. ep. VIII.), e, occupata la Colchide, venne a stanziare alle sponde deli' Istro, da do- ve si portö nell’ Istria e le diede il nome (v. Historisch - geograph. A- tlas der alten Welt. Kiper. Einl. § 49). N« gl’Istri puutici erano greci; ina Ovidio li descrive como genti fiere colle quali non ba commercio alcuno di lingua (Trist. III. Eieg. 9), e genles ferne vengono pure chiamati gl’I- slriani ed i Liburni da Livio (Hist. X. 2). 37) Parenzo, detto da Plinio (ib.) opiiium civium romanorum e fra tutli i luoghi duir Istria quello ehe tneglio conservö la impronla di eittä romana. Gli avanzi del tempio di IVettun» e di altri ediGzii, le molte •tatue ed iscrizioni, i bagni non hei lavori a mosaico, ed i numerosi se-polcri o cinerarj romani, mostrano quanto essa fosso a’ tempi dei Cesari popolosa e fiorente. Distrutta, come Cittanuova ed Umago, da gli Slavi, ri-sorso e por liberarsi da que’ di Capodistria, che con 130 cavalli ed 80 pedoui comandati da Zilio de Turchi le muovevano incontro nel luglio del 4 267 si diede ai Veneziani (Muratori Rorum. italio. script. tom. XXII. p. 564). Nel 1354 fu presa e saccheggiata orribilmente dall’ammiraglio ge-novese Pagano Doria (Romanin 1. c. III. p. 172), e nel 1361 venne de-vastata da fiora pestilenza (Contarini: do Episcopis ex Ord. Praedicalor. ad Istrian. Eccles. assumptio. Venezia 1760 pag. 64). Nel secolo decimo-•esto si trovava in uno stato deplorabile, e nionsignor Tommasini, vescovo di Cittanuova (f 1654) la descrive spopolata aflatto, « cosl, die’egli, « cbe al di d’oggi di tre mille, e piii abitalori ch’erano, non ne sono ap-« pena cento. II giorno terzo di marzo 1646 fui a vedare questa citta, « la quäle fa ipavento a chi vi entra. » AndA poscia leutamente a ria-versi, ed ora oonta verso i 3000 abitanti. Fra gli uomini diutinti che diede Parenzo si annovera il valente pittoro Bernardo Parentino, il Dr. Antonio Vergottini ed altri. 38) Arupinum, Rovigno. chiamato nei mouumenti del medio ovo an-che Rubinutn, Rubignum, e Ruvinium. Nel secolo decimo fu distrutta dagli Sl.ivi (Rubeis, Monum. Eccles. Aquilrj cap, 411. 6); nel 1150, minacciata dalla flotta dnlla repubblica veneta, (Muratori Rer. ilulic. Script, t. XXII. p. 404) le si fece tribularia, o nel 1330 si diede a Venezia. (Archeogr. triest. yuI. III. p. 188). I/aria salubre e la posizione aicura. porche isola difesa Unde ipsa antiquum nomen. Quos coecis liabitant antris animalia, 39) quae hosti Mostrarunt tacitos occulto tramite calles. IIos inter densos scopulos, quo frangitur unda, 3Ö5 Quo dulces spirant aurae prope litoris oram, Dom comitum manus Istrorum lectissima quondam Tranquillis vehimur aquis, descendimus una, Vicinum ingredimurque nemus: tum gaudia mille, Mille voluptates bibula meditamur arena. 310 Hic conchas legit et aauscoso in margine quaerit Haerentes mytulos, cancros gobiosque fugaces 40); Ille autem fugientem undam sequiturque fugitque, Dum sequitur fugit illa procul pernicibus alis, Dum fugit haec rursus sequitur, mox fluctibus illum 315 Obruit et totum perfundit rore madenti 41). Ast alii furtim subeunt quo densior horret Umbra loco, dapibusque alacres epulantur opimis. Dum licuit laetas ibidem transegimus horas Dulcia tranquillae complexi gaudia vitae. da un forte cnstello, l’accrebbero a epcse dei luogi vicini, ed e presonte-mcnle la piü papulosa fr» le ciltä dell’Istria. Di Rovigno eia l’Abate Conte Antonio Zuanelli autore della Concordanza del diritlo comune col venelo, opera che gli frottö grandi applausi. (Slancov. Biogr. vol. II. p. 323). 39) I datteri (Lithodomus dadylus), molluschi della famiglia dei Mitilacei, i quali hanno la proprieta di traforare gli scogli scavandosi dei canali che unendosi forioauo delle gallerie. Le pietre bucberale tra-discono I’animale cbe le abita. 40) II mylilus edulis (mililo, pidocchio di mare) si attacca col biiso agli scogli ed «Ile piante marine. II cancer pogurus (granciporro) vivo fra gli scogli; il cancer moctws esce a cainminare sulla sabbia ed e velo-cissimo ud corso. I/autore cbiama gobii questi crostacei, trattovi, come suppongo. dnlla descrizioue che Plinio fa dei gubionet (Hist. nat. IX. 67), asserendo esservi un genere di questi animali, guod exlrcmas flu- minum aquas scctetur cavernasgue sibi faciat in terra atque in his vivat; il che egli, nato al mare, trovava impossibile per un pešce, e enpeva est*ere vero di parecchi granchi. 11 gobiosque fugaces non si po-trebbe mai iuterpretare ne del lubricus et spinu nocuus mm gnbiux una di Ovidio (Halieuticon fragm. v. 18), ne del gobio fluvialilis dei nostri Ittiologi. 41) Ipotiposi del fenomeno che produce il cosi detto mare morlo sulle spiaggie basse e poco inclinate. Le onde sollevate da gagliardo vento cbe soffia nella direzione verso terra, auche cessato queslo, coutinuano a spin-gursi spumeggianti sul liilo a considerevole distanza, e refluiscono tosto con grande velocitä retrospingemlo col luro peso le prime onde che incontrano, ma ben tosto, dopo un momento di sosta, torna il mare a versarsi furioso sulla spiaggia. Questo va vieni dell’acqua e spettacolo imponente, massime dopo i venti meridionali cbe gonfinno l’adriatico e sofGano ver le coite del-I' Istri» bassa, soggetla mollo allo acilocco ed al libeccio. 320 Nec te transierim cultor, Gradonice, 42) sororum Musarum., decus egregium, quem tertius annus Hic vidit cana juvenem gravitate, simulque Iustitiae pronum studiis et jura tuentem. Tecum animi curas vario sermone levabam 325 Et tardos nimium soles, si quando vocaret Nos coelum aut etiam cupidi pars laetior anni. Quid memorem abruptas moles aequataque coelo Culmina, ubi antiquae pendent miracula Polae ? 43) 42) I Gradenigo, antichissima famiglia patrizia venela, anzi una fra le dodici Dobili chiaraate apostolichc, diedero ali’ Istria parecchi Podesta. Cbi fosse il giovane menziouato dall’autore uon polei scoprirlo. L’ediziono di Vienna «veva a pag. 49 v. ö et seq.: Te Gradonice cano, Veneli quem eura senatus Ms voluit prucsse locis, ubi tertius annus Te vidit rara juvenem gravitate, nec ullis Corruptum dunis, sed debi/e jura tuentem. Ma il /lis locis si riferisce a Bulcae el Montom nominati prima, e par-rebbe dovorsi dedurre, ehe il Gradenigo, compiuta la magistratura in que’ luoghi, fosse stato mandato a Rovigno. Qual magistratura la si fosse, nol saprei dire con certezza. Per Buje a Montona potrebbe regger quella di podesti, la carica del quäle nei luoghi piü piccoli durava trentadue mesi, ma il podesta di Rovigno non vi durava ehe sedici, ed il tertius annus dell’autore non si combina, quando non si voglia riferire il hio anebe a Montona e Buje (v. Archeogr. triest. IV. p. 440). La intimita a cui aucennano i versi 324 -326 pud spiegarsi facilmente colla supposi-zione ehe il liapiceio abbia conosciuto il Gradenigo a Padova duranle il corso della legge, tanto piü ehe tutti e due erauo della modesima eta. 43) Pola antiebissima oitta (quondam a Colchis condila, Plin, Hist. uat. Ul. 19) parteggi6 per Pump«», ma fu ricevuta in grazia da Augusto, da cui ebbe il nome Pietas Julia. Era assai popolosa ed ab-braeeiava, como Roma, sette colli, cioe quelli del eastell», deli’arena, del Ciaro o Zarn. di S. Michule, il monte di Pola, di S. Mariino e di S. Giovanni (Canonico Angelo Vidovich, Manoscr. su Pola esistente nel-1’ archivio di Trieste). Conserva delle preziose antichita dui tempi romani, eorne 1’esterno deli’arena, la porta aurea (o piultosto aurata. come si seorge dal volgare rala), 1’arco, o piuttoslo il cenotnno dui Sergii ecc., le quali sarebbero in maggior numero ed in migliore condizione se la iucuria e la barbarie dei tempi e degli uomiui non li avessero o di- strutti, o guasti. A conservare almeno quello chu resta bisoguerebbe ricbiamare in vigore la legga dei patriarchi Aquilejesi, antiehi jusdicenti di quella citta: Quicumque accipil uliquern lapidem de diclis pulutiis Jadri et Harenav, pro quolibet lapide, quam aeeipit, solvit Domino Pa-triarchae bisanlios centum. (Maßei, Verona illuatrata, vol. V. üb. II. cap. uit.) A Pola fu relegato e poi uueiso (a. 320) Crispo, tiglio di Costantino il grande per ordine del p.idre (Ammian. Marceli. XIV. II.), e per co-tnando dell’imperatore Costauzo quivi venno puro ucciso Gali» Cesare (a. 354) nella fortezza di Fianona poco distante da Pola (ib. XXIV. 9 ot seq.). La cittä ebbo uel IX « X secolo a »uflVire per lu iucursioui degli Slavi e s’allei) nel 998 eoi Veneziani (llomauin Op. cit. I,- p. 276). Nel 1195 fu preša dai Pisani e liberala dalla flotla veneta (ib. 11. p. 145), Desine septenos nobis ostendere colles 330 Roma tuos, regumque arcus et stagna Neronis; Hic etiam pariis radiant erecta columnis Templa Deüm longe priscos superantia honores: Tum vero praeclarum, ingens, memorabile Juli Fulget opus 44) veterumque etiam monumenta parentum. 335 Iane, 45) utinam tecum patrias devectus ad oras Aspiciam celsi propius miracula Zari. Hic sat pingue solum, quamvis sit pessima coeli Conditio, quae liominum exagitat pallentiaque ora Reddit et assiduis infestat corpora morbis. 340 Inde autem, emensis Istrorum finibus, 46) ultra Arsiades divique etiam sacraria Viti, 47) nel 1380 conquistnta dni Genovesi (ib. III. 292); ma il suo peggioro ne-micu fu 1’aria catliva, la quäle la ridusso a tale, clie il Tommasini (Op. cit. Archeogr. trieat. vol. IV. p. 470) la descrive cnme « una citlä piccola, « mezza dirupata, con alcUDe mura deboli intorno cbe la ciugono, le quali « non inostrano alcuna anlichitn. Gonta la ciltä treoento persono e tra que-« ste vi possono essere quattro o v ver cinquo persone civili con gli occle-« sinstici, il resto tutta geilte nuova, plebea, rustica e marinaresca, con « aleune case doi Greci, cbe hanno la luro chiesa con uno o due calogeri. » Cosi era dun secoli fa ; chi ravvieerebbe piü in Pola la citla deseritta dal Tommasini? I)i Pola sono rinomati i Sergii (Caslropola) cbe n’ebbero il dominio dal 130S al 1531, anno in cui vennero cacciati, e la cittä si diede nlla rcpubblica venela (Stancovicb. Biogr. III. p. 79), e due da-Pola; Bernardino, rettorc dei giuristi e professore nell’Universilä di Padova (ib. p. 95) e Bartolommeo ch’esegui in uu coro della certosa di Pavia «le « maggiori e le piti artificiose figure di tarsia » ehe mai vedesse il Lanzi. (ib. pag. 97) 44) L’anfitcatro, credulo allora opera di Giulio Cesare; il verso 336 accenna al tealro, chiamalo Iadrum, volgarmente Zaro, cbe nel 1642 fu distrutto dall’ingegnere Deville per fabbrieare la fortezza. 48) E il Januš del verso 192, con cui I’autore, ehe serive a Vionna, desidera di visitaro le meraviglie di Pola. 46) Pola, serive Plinio (Hist. III. 19) quae nunc Pielas Julia, quon-dam a Colchis condila abest a Tergeste C JU pass. mox oppidum Ne~ sactium et nune finis Iluliae fluviu» Arsia, dal ehe si vede ehe JVesaclium era poco distnute da Pola, o che il fiume Araa scorreva alle mura di quella cittä ed era lo stesso ehe i Homani deviarono onde privare d’aequa gli assediati (Liv. XIJ. 11). I/odierno letto dell’Arsa ij forse quello che soa-varono i Romani, e la cittä sareblte stata a qualcho distanza, probabilmcnte a sud ovesi del medesimo verso Pola. 47) II Rapiccio, compiuto il giro dei luogbi al mare fino all’Arsa, salla di botto Ono a Fiume (Fanum sancli Vili) comprendendo sotto il nome di Arsiades la Liburnia tutta e una parto delPodierno territorio di Fiume. Ai tempi di Plinio la Liburnia ei esteudeva fino a Soardona (Hist. nat. III. 22), oompreudondo quiudi auebo Zara (JaderaJ, allora colonia romana. Senia cospicua ost in verticibus praeruptis 48) Etruscas Senas et Senogallica contra Litora, dehinc gemini apparent furialibus undis 315 Vesani tumidique sinus 49). fanaticus error Quos olim genuit, turbatae aut Thetidos ira, Inclusi variis feriunt mugitibus auras. Pugna intus, quatiturque solum vallesque resultant: Non tutae adriacae classes, non carbasa ventus 350 Ut furit et portum nequicquam navita clamat. Quid loquar aut latices, aut molliter assurgentes Perpetuos colles, tellus quibus Istrica gaudet Praesertim qua se frondoso vertice tollunt Et Buleae 50) et Monton, gravibus loca foeta racemis, 48) Segna, ricordata a Plinio (ibid.) fra i luoghi liburnici ed alla quäle Orbellino rivendicö la iscriziono romana attrihuita alla Siona d' Etru-ria (Orellius ad Tacit. Hist. IV. 45), e piccola citta al mare a pie’ di monti dirupati dallo gole dei quali eacc furiosissimo 11 bnrea. I/«utore la mette di rimpotto all'etrusoas Senas ed alle spiaggie di Siuigaglia (,SenogaUia, Sena yallicu), ue per Etrutcus Sanas intend’egli 1’ odierna Siena (Sena Julia, Colonia Senieniis, o Senensis), ma la stossa cittä dui Swnoni sup-pouendola f.ibbrieata dagli Elruselii, o che forse, tratto in errore da Eu-tropio (Breviar. Hist. Korn. III. 10, alias 18) il quala f i naieera la rotta che i consoli Claudio Nerone e Livio Saliuatore diedero ad Asdrubale apud Melaurum fluvium et Scnam Pieeni eiuitatem, crednsse essere slata null« rive deli’ Adriatico la Sena etrusca di cui parlauo gli storioi, nar-rando questo avvenimento. 49) lotende dei due canali d«l Ouarnero, l’uno ad occideute dell’isola di Lussino (Sinus FlanalicusJ e l’altro ad orionle della medosima. II fa-natiaus error e di Orazio (De Arte poet. v. 45 4), il Thelidos ira alla gresi; od esprimnno le due cause dalje quali sarebboro nate qualle taute isole, cioe uu convulso sussullaro dei suolo per terremoto, e la furia dei mare. La descriziono che l’autore fa del nostro borea e vera alla lettcra. KO) Buie e Montona. II Tommasini (Vpcheogr. Ir. tom IV. p. 2!)4) vorrebbe dorivar il nome di Buje o dallo slavo lole boglie slali (qul sarä meglio stare), o dalla cittä di Bugia neU’Affrica; si potrebbe egualmente (larivailo dalla iingua greca, supponeudo questa un di fortificata ciltadul-)a luogo delle consulte popolari, e cici corrisponderebbe meglio al suo nome latino Buleae; ma chi posca l’etimologia dei notni, pesca nel torbido o •pesso gli avvienu che credendosi di pigliare un pešce, tira su una cia-l>atta. Buje deve probabilmcnte la sua origine alle incursioni degli Slavi, che obbligarono i pianigiani a ritirarsi e fortiGüarsi sui monti. Si die’ alla Repubblioa Veneta, la quäle la governava mandandovi un podesta, la di cui carica durava trentadue mesi. Montana si presenta a chi vi va da Pareuzo come un caslellaccio di mal augurio, ed essa era un luogo assai forte a tempi nei quali non si conosceva la polvere di cannone, perche fab-hrioata sulla cima d’un moute isolato ed erto assai o provvedula di ttaide mura, di torri e baluardi rh’esistevano ancora nel 1664, quando il Tommasini la visitö. (ibid pag. 412). La repubblica veneta mauteneva ivi un capitano di eernide (soldati territorial!) con un scrgenle e tre-couto uomiui, ehe por que’ tempi era uua guurnigiouo assai risfuttabi- 355 Pisinaeque arces 51) et late cognita rura, Unde procul celeri mercator navita, puppi Dum secat Ionios fluctus 52) stridentibus Euris, Cernitur expansis affectans litora velis? Barbe 53) refer, mi Barbe, refer quae tempora nobis le (ib. pag. 418). Nelle vicinanze dei luogo si trovarono parecchie epigrafi mortuarie dei tempi romani, ed e probabile cbe in que'paraggi ci fosso un oppidum, il quäle venne poi abbandonato dagli abitanti che cercarono rifugio contro Je ineursioni ostili tullo ciune dei monti piü orti e vi si fortiOcarono, abbandonaudo al nemico le piauure e le eostiere. Moutona si governö dapprima come repubblica per mezzo di trenta-due magistrati, si pose sotto la protezione dei Veneziani nel 1275, ma due an-ni dopo cercava di sbarazzarseno collegandosi col patriarca d’Aquileja. Per-donata dal senato dovette darsi a Venezia, e venne nccoita dalla medesima cum Omnibus et gentibus ad fidelilalem I). Dacis in Commune Venetiarum . .. sulvis in his juribus omnibus et raliotiibus Palriarchue Aquilejensis, come si ha dalla parte presa nel magginr cousiglio nel 1278, Indiutione VI. die X. mar-tii, citata dal Tommasini (Archeogr. triest. vol. !V. pag. 413). Voggasi pura il Muratori (Kerum italicar. Scriptor. tom. XII. pag. 391). Ai tempi del Ra-piccio era una communitä molto ricca« «salai'iava medico, chirurgo, speziale, precettore ecc.» II bosco di Montona era in origine della communitä, la quala 10 donö alla repubblica veneta a riscrva di una piccolu porzione. Essa diede alla provincia parecchi uomini distinti. 11 piü rioomato e Andrea Autico (m. 1517). ehe fu il primo ad iuventare ed eseguire in legno la stampa delle note musicali, ed ottenne da papa Leone X il breve 27 decembre 1510, con cui si proibisco a chiunque sotto pena della scomuniea d’ imprimere a pubblicare senza permesso dell’inventore ipsas aliusve cujuscumque generis intabulaturas, il qual privilegio doveva duraro quindici anni. Lo Stancovich (Biograf, tom. III. p. 101) descrive uu libro di musica stampato iu Roma da Andrea Anlic/w de Montona chierico con privilegio di P. P. Leone X. 1517, da lui veduto nella famiglia de) marchese Gio. Paolo Polesini in Pareuzo. 51) II castello dei conti di Pisino. Questo luogo apparteneva nel se-colo XI ai patriarebi, nel 1278 ai Veneziani (Liruti Notizie delle cose dei Friuli. Veoez. 1776 t. IV. p. 285), nel 1305 passö ai conti di Gorizia, e dopo la cstinzione della linea di que’ conti che lo possedeva, nel 1374 agli areiduebi d'Austria; e nel 1478 vediam» dall’incarico che da Federico IV a Nicolö Raubar capitano di Trieste und zu Mitlerburg di difendere il neo-eletto vescovo di Pedeua, ehe la contea di Pisino era sotto la giurisdizione dei capilano di Trieste. Gli arciduchi lo vendeltero nel 1644 ai Flaugini, mercanti veneziani, per 240 mila fiorini (Archeogr. triest. t. IV. p. 419), o da quesli passö in altre mani, o per ultimo ai conti Montecuccoli di Mo-dena, che fino al 1848 ne furono i giusdicenti ed anebe al presente ne gOf dono le rendite. 52) Pel jonios fluctus di Virgilio (Aeneid. III. 671) intende il mara adrialieo, e piü propriamente quello che bagna le coste dell’Istria. Ne il late cognita rura s’ha da rifurire a Moutona od a Pisino, luogbi dai qua)i 11 mar non si vede, ma a Buje, che sebbene non arrivi ai 700 piedi sopra il livello delle acque, prospetta pure sul mure a grande distanza, e a Por-tole, da cui si vede una parto del golfo, e specialmente al monte maggiors che ofTre un estesissimo panoroma. 53) I Barbo erano famiglia veneziana, e si sono trapianlati uell’Istria probabilmente nel 1459, uel qual auuo il coul# di WeichaeJburg cedette « 360 Transierint quum nos regio haec jucuuda teneret, Et quibus in studiis juveniles sumpsimus annos. Victores ambo, victricia uterque sequutus Praemia et insignes meriti virtutis honores. Tu tarnen es patriis jam pridem redditus oris, 365 Optatamque dedit tandem fortuna quietem: 54) Me vero curis longe majoribus actum Et patriae perdulcis amor, jussusque paterni, Et posita ante oculos vitae gravioris tmago Fimbus his nuper suaserunt cedere et istos 370 Linquere agros, quibus est toto nil pulchrius orbe, Et mores hominum et diversas quaerere terras Semotum procul a patvia aspectuque meorum. Heu vitam somno similem! Quis cogitet unquam Tarn subito hos fluxisse dies, haec tempora et illos 375 Quos tecum, mi Barbe, simul transegimus annos Suaviter, et nullos soliti sentire tumultus! Iuvit propositam jaculis contingere mctam Et fessum viridi versare in gramine corpus Plena ubi desecto surgunt foenilia campo. 380 Spectamus duros ardenti sole colonos Dum feriunt crebro fragrantia adorea pulsu, Et laeti saturae componunt horrea messis. Mox ubi paulatim serae lux alma diei Diffugiens nondum coecas induxerat umbras, 385 Yillica cui fruges, cui sunt cerealia curae Munera, turgiuulas ovium pecorumque papillas Emulget: struitur nullo tune ordine mensa Sub violis quas irriguus vegetaverat humor, Argutos repetens cantus moestissimus ales 390 Daulias 55) antiquas iterabat voce querelas. Bernardo Barbo Ic signorio di Pas o (|i Bellai (Ignaz. de Luca Geographisches Haudbuch, Wien 1790. II. p. 32b). Riferiseo il Tommasiui cho il « si-» gnor barone Giorgio E.irbo, siguore di Pas e ßollai, governö per molli an-» ni per Sua Meestä il contado di Pisino » ed ö assai probabile ehe i tiarbo io governassero anche ai tempi del nostro autore. Ouullo di cui egli parla era «ii giovine di questa nobile e rieca famiglia, assieme col quäle avova studiuto a Padova o ricevutn h laurea in ambe le leggi, (vers. 3ö8, 359) presso cui aveva puro dimorato qualrho tempo o vieitato i luoglii che chiama lale cogni-ta rura. 54) I versi 364 370 combinauo colla edizione viennese del 1556, anno in cui 1’ autore era gia entralo nulla via dei pubblici impieghi, tncnlre il nuo aitiino era ritornato a godere gli agi della casa paterna. 85) Intendo l’usignuolo, ed allude ad Ovidio (Heroid, XV. 153) iSola uirum non ul/a pie moestissimu mater Concinit imetrium dmliajs ales Injn. An subeunt animo leges et civica jura, Quaeque per aestivas aenigmata solvimus lioras? Ipse equidem memini, quum Galli 56) formula nostroa Implicuit torsitque ammos, ubi posthuma proles 395 Non sua, 57) quam prisci tana ratione Quirites Arcebant laribus majorum, eospite nato, 58) Defunctis succedit avis, potitürque beatis Divitiis, clari diviuo munero Aquilli. Piü comunemente s’ inlende la rondinella, e 1’istesso Ovidio considera al-trove Progne cangiata in rondine e Filomelii in usignuulo. HC) C. Aquilli» Gallo, distinlo giureconeulto ed oratore, amico di Cicerone e da esso chiamato collega ct famiHarit meus (OiDc. Lib. 111. xiv. 60), fu pretore a Runia l’auno 68 av. Cr. ed e I’ aulore di due [vrn.olc, ossia di due solenni espressioni di dii itto solite a servire di norma nei gi'udizii. La prima e la formula de dolo tnaht, delln quäle parlando 1’ Arpiiiate (de Wat. Deor. übr. III. xxx. *74) la dice ovirricuhm molitiarum omnium dt dolo 7>io Io, quod Co jus Aquillitm. futhiliuris nostcr pro/ulit-, la seconda si Irma nel Corpus jurin civilis flom. 1. Pandeclarutn seu Digestorum libri quiu-qvagintn, lib. XXVIII. lit. II. de libtris et post/iumis nun). 29') ed e la se* guenle: Si filius n:cus. vivo me, n.orittur, lutic si quis vii/ii ex eo nepos^ sive neptis post mortem meam in decem mensibus proximis quibus filius wieos moreretur natvs, nata erit, tieredes svnto. Questa e la (orvula Colli di cui parla l’autorp, e per la quäle i) postumo, cioij il figlio nato pest hun.a-tum potret)', diventa l’erede dell'avo. 07) Secondo la legge dello XII taVole ereditavnno ab inleslato pros-simatnente i sui heredes oice i figli e la moglie del defunto, la quäle stava loco filiae, ma ai sui heredes, non appartenevano le figlie maritate in quanlo ehe stavano in tnanus del marito. ni* anehe i figli usoiti dalla famiglia per e» mancipazione od adozione; \i appartenevano per Io contrario i Ogli accolli per arrogutionem aut adoptionem in poteslatem putriam. Se uon vi erano sui heredes succedevano gli agnati ch’ erano stati col defunto nella patria pote* stas ordinaudo cosi la legge dolle XII tavole: Si intestato rnoritur, cui suus heres neu escit, ugnatus proximut familiam habeto. (Lange Roemische Al-tertliüm. 1. § 36). Cosi poteva accadere die lo stesso figlio non fosse sui he* res per il padre e ehe il postumo non avesse diritlo di succedere nella ereditä deli’avo. La formula Aquillii modificö la legge delle XII lavtle col dure il diritto di successicne ni posthumus nepos a preferenza degli ugnati. 88) Fra le qurBtioni per le quali la formola di Aquillio Gallo implicuit torsitque attimos del Rapiccio o del suo compagno, e anebe quella di de* terminare in quanti inesi di gravidanza si dovesse trovare la vedova alla morto del marito accioccbe il futuro natus fosse ßccondo il diritto remano ca*, pace di adire la ereditä. I giureconsulti piü recenti opinano aver bastato che il posthumus desse un segno di vita, i piü vecchi credevano iqvece che egli avesse dovuto essere vitale, ossia capace di sopravivere, ed assegnavano sei mesi passati dopo il concepimenlo (conf. Gcllii Noet. alt. III. 10 8.), ondo crederlo ttle. 11 sospile nato (Ovid. Trist. IV. Eleg. II. 11) esprime il puntö della questione e la epinione dell’autore, clie sta coi jureconsulti piü vecchi, ma non esdude l’altra. la quäle setnlra essere stata quella del suo amico, per« che sospes natus si pud dir pure il bambino che nasce vivo, e Cicerone (de Finih. lib. V. xxiii, 65), chiama nati anche i f#ti esistenti ancora nell’ utero materno: a prinio satu quo a procrcaloribut nati diligunlur, Ecquid adhuc memor es patrii qumn jugcra campi 59) 400 Monstrares? Cultae hic segetes, hic pascua, at illic Arborei foetus veniunt: hic Portula 60) nostris Subjecta est oculis, alibi 61) Picquentia rura: Bö) Le signorio di Belini e di Pas, duv’eraBO giuadicenti i Barbo sono a non grande distnnza dal monte maggiore, e l’autore descrive i luoghi che di )i si vndevano. 60) Portole fPortulae), castello cioe luogo forlifiuato, che I’anno HOI vonoe donato da Volrico Marchese d’Islria alla chiesa di Aquiloja (Liruti, No-tizie dolle cose dul Friuli. lom. I. p. 74), e dai palriarchi passö ai Vencziani ehe vi mandavano un podesta, il di eni governo durava 32 mesi. Di Porlole «ra Andrea Percico, contemporaneö dell’autore, che per i luoghi servigj pre-etati «Ha čaša d’ Auslria oltenne dali’ imperator« Ferdinando I il diploma di pobilta ai 3 nnggio 1560, (Stancovich, Biograf. tom. IN. p. 25 e Tommasini). Tr« luiglia all «st da Portolu sono le terme ebiamate i bagui di s. Stefano •iall’antichissima chiesa ora diroccata di questo tanto, ch’e sopra uua rupe >li conto e piü piedi di nltezza. L’acqua termale passa dal di sotto dtilla rupe, b lungbesso il ruseellutto ch’essa forma e fabbricato una spocie di stabilimen-to balooare, il quäle consisto in una decina di camerini spogli afiatto d’ogni »ddobbo e seleiati a mattoni, dove trovano i bagnanti I' acqua che hanno ad vsperire. La locanda e un poco al di sopra. La noslra Dieta provinciale nella tornata doll’anno 1863 aveva incaricata la sua Giunta di fare dolle pratiche onde elcvare questo terme a stabilimento balneare provinciale, ma le tratta-tive iotavofate stfll’argomento non diedero i risultati ehe si desideravano. (v. Atti di'lla Dieta prov. deU’lslria vol. III. pag. 406). ß veramente a deploraru che aequo termali il di cui salutare effftto decantano qno’ tutli che le prova-rono, non sieno provveduto di que’ commodi che pur sono tanto necossarii ad assicurare gli eHetti terapoutioi doi bagni. 61) Pinguente, fabbricata sopra un colle in ubb pianura che sopra circa miglia cinque di luughezza ne ha due di larghezza, ha territorio ferlile e bea eoftivato. Appartenne ai patriarchi di Aquileja fino at 1421, nel quäl anno venne sotto il dominio della repubblica veneta la qualo vi mandava un podesta; raa nel 1511 si trasferi a Pinguente il capitano di Raspo, magistratura importante. « II capitauo che qui viene in reggimenlo (scrive il Tommasini loc. cit. pag. « 310) e un» dei priocip'ili senatori, il quäle sta trentadue mesi: esso «legge u il capitano o contestabile della Cavalleria (corpo di 40 uomini) o cassa e ri-« metle ciasoun soldato secondo il suo arbitrio; nnlla milizia di questo cerni-« do del capitanato (che sono al nuniero di cinquecento) non hn superiore in « Islria; eiegge i deputati doi carizzi doi legnami estratti da questa provin-« cia per l’arsenale, dinanzi a lui vengono gli agenti di tutte le comunitä « dell’lstria per goltar la caruttada, qui vengono a fare i pagamenti di tutli « i bovi cho pagano carizzi, e qui finalmente vengono a pigliare il diuaro « quelli che hanno carizzato i lugnami per l’arsenale alla marina. I/entrate « del capitano di Raspo ascendono alla somma di almeno treniille ducati al-« I’ anno. » somma cospicua assai per que’ tempi. Uno degli uomini piü distin-ti di Pinguente fu Vicenzo Ricci, giudice al malcfizio in Verona, autore di vari« opere e cultore delle bell« lettore. Nel 1764 fu inciso in quella cittä il di lui ritrallo coll’elogio: Hon tenuit Nemesis constanli vindicejura, Hoc Sophia, ei Charitcs, Pieridesquc decus. Mcri l’anno 1793 (Slancovieh, Biogr. tom. II. p. 331), Quid vallem umbrosam 62) et salientes fontibus undas, Quid referam celsi turrita cacumina montis 63)? 405 Quod si non querulae rumpant nemora alta cicadae, Vix equidem aestatem norim; tarn lenior aura Spirat his crepitatque locis, dum serus opacis Arboribus gaudet cuculua producere carmen. Sed quo te tandem plectro, quo carmine dicam 410 Quae sacrum celebras vatem, Stridonia 64) tellus? 62) La valle del (Juieto, Gume che nasce sopra Pingueute, e depo 24 miglia di corso costante da greco a libeccio, mutte foce preeso Cittanuova. In questa valle e il fanioso bosco di Monton» il quäle nel 1806 occupava uii' area di quattro e piü milioni di lese parigine quadrate. La repubblica veneta, a eui prenieva nssni di conservnre questo pubblico pcseedimento, aveva istituito un apposito magistralo residente in Venezia, e di piü un capitano ed un giu-dice criminale somntario resident! a Montoua (lUpporto sull’lstria del cou-sigliere di Slato Bargnani al Vicere d’Italia: Porta Orientale, anno II. Fiume 1888). II vix equidem aesloltm norim vale specialmente di questo bosco, che l’ombra delle piante, il fiume (Juieto che Io attraversa, e qualche al-tro torrentello, producono nella valle una deliziosa freschezza, mentre i mou-ti che la nircondano sono dardeggiati dal sole e assordati dalle stridule cicale. 63) II monte maggiore, l’altezza del quäle e di 4410.18 piedi sopra il livello del uiare. Si divide in tre rami; il primo corre 4750 tese al nord e si attacca ai monti della Vena che si dirigono sopra Trieste, il secondo, tutto a balze a grc-o-tramontann, e va a raggiungere dopo oltre tre miglia postali le pendici del monte Nevoso; il terzo si voige ad ostro in lunghe/.za di quasi 850 tcse, e precipitando nel mare presso Fianona, separa 1’ Istria dalla Libur-nia; dicesi ancbe Caldera, ed a lui s’ applica di solito il nome di monte maggiore, henche arrivi poco piü che a 2800 piedi di allezza. Dalla sommita del monte Caldera spazia l’occbio oltre 1’Istria sull’adriatico, sul quarnero, sullo ceste croate, sull’ isole della Dahnazia, sulle alpi giulie e carniche, e con un buon telescopio si distinguerebbe da quella sommita il ........ mereator novila, puppi Dum secat Jonios fluclus slridentibut Eurit. II moute maggiore e noto ai botanici perche ricco di specie e varietä di piante, e perche pur la sua altezza e posizione preseuta ben dulineate le zone della piante oomuni nell’Istria. L’estrema linea deli’ olivo e a piedi 900, quella del fiuo a 1200, della vito a 1400. La quorcia si trova da ponento a 1600 piedi, da Ievante a 1700, il castagno fino ai 2000 piedi e ancbe piü: oltre a questa altezza cresi-e il carpino (oarpinus betulus Linn) ed il faggio (fagut ty Iva lica Linn). 64) Sdregna, piccola villetta presso Portole, a ctii derivö una celebrilä dalla disputa nata intorno all» patria di s. Girolarao. Gli autori piü anticbi, eome Tommaso arcidiacono di Spalato nel secolo XIII, e Flavio ßiondo di Forll secretario di papa Eugenio IV nel secolo XV, dicono che Voppidum SlridoniSj quod a Gothis evertum, Dulmaliae quondam Pannoniacque eonfinium fuit} cui il s. dotlore (de Scriptorib. Eccles. cap. ult.) indica co-mn sua patria, sia la Sdregua delP Istria. II primo che sostenesse essere la Dalmazia la patria del santo fu Marco Marullo, spalatrino del secolo XVI, ed il secolo seguente ancbe gli Uugheri tentarono di provare ehe Voppidum Slri-donit era nulla Pannonia, L’amore del natale tolum porta gli uomini a ma- Ejgregium vatem, qno non pracstantior alter Mellito sermone pios expromere sensus: Te, te inquam, cui tam dubiis agitata procellis 65) Relligio meritos defert, Ilieroyme, honores. 415 Ferte sacro cineri flores, date lilia pleniš Ruricolae calathis, tantoque assurgite vati. Felix ingenio haec regio, si quae altera tota Ausonia est; sed enim paupertas invida et ipsa Res angusta domi cupidis conatibus obstat, 420 Et facit, ut juvenes studiorum culmina nunquam Aspiciant medio revocati ad limina cursu; Ast alii, quibus arrisit fortuna modusque, Tantum animi specimen culti ingeniique dedere, Ut tales mirere isto sub sidere nasci. 425 Haec loca non unquam lybici invertere leones, Non rabidae tigres aut saevis dentibus hydri, Nullaque taurorum vis iguoa: totus arando Hic mansuescit ager, pubesque sucta labori Exercet pingues curvato vomere campos, 430 Quos aut flava Ceres, aut laeto palmite Bacchus Implerunt, aut palladia nemus obsitum oliva. Hirsuti liic lepores et vulpes callida, tum vero 66) Aucupii quodcumque genus: tandem omnia dives Praestat ager, cultos et amoena vireta per hortos. 435 O fortunati colles nimiunque beati! Sic mihi dont Superi felicia tempora vitae, gnilicarlo. spesso illude aneho ai piü dotli, e so il Greve sosleDno proprio da seuno clie Oinpro ed lisiodo fussero oriuudi del ßelgio (v. Biograf, universale, Venezia 1826. vo!. XXVI. pag. 171), qual meraviglia ehe lat rinili, Dalmati'ed Uugberesi abliiano cercalo nul loro rispeltivo paes« Voppidum Slridonis del santo? Non e questo il luogo di ventilare la questione; chi volesse occupar-sene potrebbe ricorrere allo Stancovieli (Delln patria di s. Girolamo, Venezia 1824) e alla sua risposta ali’ahate Capor (Trieste 1829), uonche agli aulori da esso citati. Gli argumenti ehe favoriscotio la opinionn ehe s. Girolamo fosse di Sdrepnn nell’istria seuo la oostanle tradizione rilovata dal Tommasini (v. Archeogr. triest. vol. IV. pig. S24), la posizione geografka dei luogbi clia i Ualmati e gli Ungh58. Ut non ipso aliis quam vestris vallibus usque Vivere amera, non delicias si deferat ipsa Roma suas, tyriosve 67) mihi concedat honores. 440 Quid si te memorandae urbes atque oppida, quid si Te teneant alto vicina palatia coelo, Et possis fulvo loculos implere metallo? Quid si te media circumdet luce satelles Et liceat passim priscos ostendere vultus 445 Majorum aut etiam nitidis accumbere mensis Inter mille deüm pateras fulgentiaque auro Pocala et extremo vectos Oriente tapetes, Si tua te miserum toto vita arguit aevo? Non siculae coenae dulcem potuere soporem 450 Reddere, non hominem variis subducere curis; Verum animus liber, mens recti conscia, et intus Nil strepere, est homini divina et summa voluptas, Ite igitur, curac, procul hinc fastidia mentis: Mi liceat posthac molli requiescere iu umbra 455 Et mare sublimi e specula spectare profundum. Vivendum est melius, venient mox cana scnectae Tempora quae arceri nullis tollive medelis Possunt, ut falso cecinit nugator 68) Homerus. Hei mihi! non sistunt labentis stamina vitae 460 Pharmaca, non annos succi remorantur euntes. 67) La porpora romana, eioö la diguitä carilinalizia. 68) Ingenium magni dclrectat livor Homoi? (Ovid. Rem. am. 364). No cerlainunle, cbo il Rapicoio conoseeva il greco, ned c possibile ehe la sua uuima tutla poetica non assaporasse tulto il bello » Di quel signor doll’ altissimo canto » Cbe sovra gli altri com’aquila vola » (Dante, Inf. IV. 98). Ch’egli conoscesse il greco ne abhiamo una prova nella raccolta delle sue li-riche esistente, come fa delto, nell’archivio civico di Triesle. Vi troviamo fra gli altri due epigramrni, cioe al num. 37: AI) THOMAM TREVISANUM J. C. l)e epislola Helenae graeee ab eo versa. Quam bene lateivos Helenae deseribis amores Jucundum grah auribus orsus opus. Graia Helena grais veniat dicendu Camoeuis, IIos nisi non nlios debet inire pedes. Ed al nutn. 38: IN DES1DEM EX GHAECO. Desidiam ingcnlem! Marius ne forte laborem Sumniet} assidua nocle tniser vigilat. N’ö all» toco nuyalor da rjui l’autoro il seuso odioso eho lo attribuiico Cicoro- Felices igitur colles, iterumque beati, Quos dulces zephyri, quos suavis spiritus aurae Et nemus umbroaum atque avium certamina cingunt. Non mihi contingat quidquid fovet aurea ditis 465 Unda Tagi, non optarim mihi Lydia regna Riphaeosque gregcs aut fulvi munera Gangis: Omnia deaDiciam, o patrii mea gaudia colles, Ultima dum vestris me vallibus occupet aetas, Hic ubi securös proavi coluistis agellos, 470 Et licuit seram per saecula longa senectam Ducere et optatae concludere gaudia vitae. De (de Senoctute IX. 27), ne pensa che i versi di Omero abbiano a cousiderar-■i come ., . vertut inopet rerum, nugaeque canorae (Hör. Art. poet. v. 322); ma il suo nugator esprime qui unicatnente, essere da ritenersi come nugae le virtü portentose dell’erba mohj (v. Plin. Hist. nat. XXV. xxxix. 4) e dei succhi di Circe (Odiaa. X.), e tanle altre folo canlate, su anche con divina tnae-etria, del aomrao poeta. Ciö non ostaute confesso, che se potessi far come Ari-■tarco, il quäle negava esser di Omero tutti i versi che non gli piacevano (Ci-cer. Ep. famil. lib. III. 11.), vorrei di buon grado togliere dal poemetto l’e-inistichio, e cid non solamente per il nugalor, che non mi va giu, ma si an-oh« per l’arditezza del costrutto; imperciocche, monlre 1 'ul cecinit e gram-maticalmente e logicamente si dovrebbe riferire all’ areeri nullius lollivc n\c-delit pottunlj lo si deve invece applicare al sonso precisamente contrario. Verum, ubi plura nilenl in carmine, non ego paucis 0 ff endet r maculis, quas aut incuria fud.it, Aut humana parum cuvit natura. (Horat. Art. pool. v. 351), st 0 »j a & a 3 3)3 2» (&axr$r&334> Piano speciale deli’insegnumento nelVa. s. 1869 - 70. Le ore souo calcolate per settimana. Classe I II 2 III 2 IV 2 v 2 VI 2 vir 2 VIII 3 ore 2 RELIGIONE Spiegaziono del simbolo apostolico, dell’orazio-ne dominicale, del decalogo e dei cinque pre-cetti della chiesa. Delle domeniche e feste della chiesa eattolica colle varie cerimonie. Dei ss. sacramenti e delle cerimonie neH’ammi-nistrazione dei medesimi. Storia sacra dell’antico testamento colla geo-grafia della Terra santa. Storia del nuovo testamento colla ripetizione della geografia della Terra santa. Raunik Abb. Francesco supplcnte. La chiesa e i suoi dommi. Parte I. La chiesa cattolica 5 la vera chiesa di Gesü Cristo. La chiesa e i suoi dommi. Parte II. I dommi cattolici svolti nel loro nesso e nei loro rap-porti. La morale cattolica. Storia della chiesa nelle sue relazioni cogli Stati. Canonico Giovanni de Favento professore. ClasFo o e l 4 ITALIANO Esercizj sulle parti del discorso ed i verbi ir-regolari. — Esercizj di lettura dal libro di Rac-coiiti di Pietro Thouar accompagata dali’ ana-lisi. — Esposizione a mente con proprie parole di alcune favole d’Esopo. Perko Padre Antonio professore. 6 Le Novelle del Gozzi per lettura, e varii brani di poesla facili mandati a memoria. — Gram-matica: tutto ciö che viene prescritto dal piano d’ istruzione. Zupelli Dr. Giuseppe supplente. I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni eon osservazioni grammaticali.— Clasio: Favole con esercizii di riprodurle in prosa. de Favento. Lettura della cronaca di Dino Compagni, e nel secondo semestre: La Basvilliana di V. Monti. Commenti grammaticali, filologici e storici. Forme delle scritture di piü frequente uso nel-la vita comune: le regole del verseggiare italia-no. Temi: racconti, descrizioni, lettere di diver-80 argomento. Schipizza Augusto supplente. Ariosto, 1’ Orlando Furioso — M mzoni: I Promessi Sposi, gli Inni Sacri, i Cori — Commenti filologico - storico - estetici. Benussi Bernardo docente. Lettura, parte in iscuola e parte a casa, della Ge-rusalemme del Tasso, con cenni intorno al me-rito delle migliori produzioni poetiche del cin-queccnto — Liriche del Parini, di Foscolo, del Manzoni. — Esercizj secondo il piano. Visintini Eduardo supplente. Dlustrazione della I cantica della Divina Commedia. — Resoconti mensili delle letture do-mestiche. Illustrazione della II e della III cantica della Divina Commedia. — Resoconti mensili delle letture domestiche. Frapporti Dr. Giuseppe direttore. LATINO I primi elementi di grammatica, compresa 1’ in-tera conjugazione nella forma attiva e passiva dei verbi regolari. — Lettura con minuta a-nalisi e traduzione. — Tre temi settimanali, fra i quali uno in classe. Perko. Classe II III IV v VI VII vm Classe III IV ore 8 Ripetizione delle forme regolari, ed apprendi-mento delle irregolari con relativi eserei7j dal libro di lettura. — Furono mandate a memoria varie favole latine. Z up elit. Diciotto Vite degli eccellenti generali della Gre-cia secondo Ccinelio Nepote.— 11 trattato dei casi secondo la grammatica dello Schultz. Esercizj settimanali sulla sintassi. Cinque libri di G. Cesare De bello gallico----------- II trattato dei modi e dei tempi, con alcuni cen-ni sulla prosodla secondo la grammatica di Schultz. — Esercizj settimanali sulla sintassi. Perko. Lettura e commento di Tito Livio, dai libri I, II, III brani scelti, — Lettura e commento d’0-vidio (ed. in us. sch. Grysar) brani scelti, cinque dalle Mer; irorfosi. Esercizj grammaticali un’ ora per settimana. — Esercizj in iscritto settimanali a casa ed in iscuola. Babuder Giacomo professore. 6 Tutto il Giugurta di Sallustio, ed il I e II libro deli’Eneide di Virgilio. 5 Tre ora z ioni di Cicerone cio h: pro Archio, pro lege Manilia, pro Milone, ed il VI libro ael-Eneide di Virgilio. Zupelli. Tacito, la Vita di Agricola, la Germania e il I libro delle Storie, — Orazio, Odi (i primi due libri), tre epistole ed altrettante satire. de Favento. GRECO ore 4 L’ etimologla fino a tutti i verbi contratti, giu-sta il Dr. Curtius e il Dr. Schenkl; — temi per casa ed in iscuola. Mlihr F edel e professore. Dal verbo contratto fino alla conjugazione dei verbi in *«, seguendo il Curtius e il libro di esercizj dello Schenkl. — Analisi grcmmati-cale, — esercizj in iscritto, giornalieri per casa, mensili in iscuola. _ aa — C1 as g e V VI VII vin CJlasse I II III IV 4 Esaurimento della I parte della grammatica fino alla sintassi. — Analisi ed osercizj come sopra. Babuder. Dalla Crestomazia del Dr. Schenkl: Xen. Com. tutto il II, III, IV, V, ed una parte del I. — Herod. V.; Hom. II IX. Della sintassi fino al §. 551, secondo i libri del Dr. Curtius e del Dr. Schenkl. — Temi. Dalla Crestomazia del Dr. Schenkl: Xen. Cyr. VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV. Hom. II V, VI, VII, VIII, IX. Mähr. Lettura di Omero, Iliade canti IV, VI, IX. — e di Platone, Apologla di Socrate. — Esercizj in iscritto. Babuder. STORIA E GEOGRAFIA ore 3 Geografia politica e fisica delle cinque parti del globo, ed aicuni cenni sulla geografia astro-uomica. — Testo Klun parte I. Disegni geo-grafici a mano libera su carte speciali. Benussi. Storia orientale, greca e latina — Testo Weiter. Lezioni di geografia fisica, e politica deli’ A-sia, Europa ed Africa — Testo Khm, I parte. — Esercizi cartografici. Widmann Pietro professore. Storia del medio evo — Testo Weiter. — Storia deli’ evo moderno sino alla morte di Carlo V. Testo Pütz p. III. — Ripetizione e continua-zione della geografia — Testo Klun p. I e III. Disegni geografici. Storia deli’ evo moderno — Testo Weiter. — Geografia: I semestre geografia deli’Austria — Testo Klun p. II. — II semestre geografia del-1’ Istria. — Disegni geografici. Storia deli’Oriente e della Grecia sino al 222 a. C. — Storia romana sino alla cacciata dei re. Testo Pütz p. I. Temi storiei sulle costitu-zioni e sullo sviluppo della democrazia, e vari disegni geografici. Benussi. Clasee VI YII VIII Classe I II III 3 Storia di Roma, repubblica ed impero. — Testo Pütz. — Storia dei primi secoli del medio evo — Testo Gindely. — Geografia fisica e politica doll’ Europa, Asia ed Africa. — Testo Klun III. — Esercizi cartografici. Widmann, Storia del medio evo, — Testo Matscheg. — Storia deli’ evo moderno fino alla morte di Car- lo V — Testo Pütz. — Temi storici. Benussi. Storia moderna, testo Matscheg. — Ripetizione generale della storia antica e media. — Le-zioni di geografia fisica e politica, in ispecia-litä d’Europa e deli’America. — Testo Klun III. — Esercizi cartografici. Widmann. ore MATEMATICA Aritmetica: le quattro operazioni fondamentali coi numeri interi, colle frazioni ordinarie e col-le frazioni decimali. — Geometria intuitiva: li-nee, angoli, triangoli, quadrilateri, e loro prin-cipali caratteri. — Testo: il Močnik. Višin tini. Frazioni ordinarie e decimali; proporzioni, re-gola del tre con applicazioni, calcoli di un tanto per cento, metodi delle parti aliquote, cognizione dei pesi e delle misure principali. Determinazione della grandezza delle figure di tre o piu lati. Traslormazione e divisione delle medesime. Determinazione della super-ficie dei triangoli, quadrilateri ecc. Schipizza. Algebra: lo quattro operazioni con interi e con frazioni; teoria deli’ mnalzamento a potenza e deli’ estrazione della radice quadrata e cubica. Greometria: Circolo, linee e poligoni regolari inscritti e circoscritti; calcolo della pcriferia e della superfieie del circolo. — Testo: il Moenik. Visintini. Regola del tre composta; regola d’ interesse semplice.; scadenza mcdia; regola di BocietA; re- VI VII vin gola di alligazione; regola di catena; regola d’ interesse composto; equazioni di primo gra-do ad una incognita. — Stereometria: Posizione reciproca di linee e piani; specie principali dei corpi solidi; calcolo della loro superficie e del loro volume. Schipizza. Algebra; Le quattro operazioni con intieri e frazioni. Frazioni continue; rapporti e pro-porzioni. — Geomctria: Planimetria. Hamerle Stefano docente. Teorla delle potenze e delle radici; logaritmi; equazioni determinate di primo grado, ridu-zione di termini algebrici. — Stereometria, tri-gonometria piana. Schipizza. Algebra: Equazioni di secondo grado aa una e piü incognite; equazioni esponenziali; pro-gressioni aritmetiche e geometriche; teoria delle combinazioni; teorema binomiale.— Geo-metria: Ripetizione della trigonometria piana. Applicazione deli’algebra alla geometria sul piano. Ripetizione di quanto fu trattato ne’corsi an-tecedenti. Hamerle. SCIENZE NATURALI Classe I II III IV ore 2 2 3 Zoologia. Nel I semestre i mammiferi; nel II semestre tutti gli animali articolati. Testo: il Pokorny. Nel I semestre compimento della zoologia, ciož: uccelli, rettili, pešci, molluschi e radiati. Nel II semestre: botanica. Testo: Pokorny. Visintini. I semestre. Mineralogia. Testo: il Fellöker. Visintini. II » Fisica: Generalität dei corpi. — Chimica inorganica. Hamerle. Fisica: Meccanica, acustica, ottica, elettricitči, magneti8mo; principu fondamentali di cliraa-tologia ed astronomia. Schipizza. Nel I semestre: Mineralogia sistematica. Testo: il Molin. Nel II semestre: Botanica sistematica. Testo: il Bill. Zoologia sistematica. Testo: lo Schmarda. Visintini. Generalitä dei corpi. Meccanica; acustica. Magnetismo, elettricitä, luce e calorico. Hamerle. PROPEDEUTICA FILOSOFICA ore 2 2 ore 3 Psicologla empirica Logica formale e metodologla. TEDESCO Frapporti. ore 2 Forme grammaticali fino ai verbi forti, e le principali regole sintattiche. — Continui eser-cizi corrispondenti sl a voce che in iscritto. Testo Cobenzl. Teoria dei verbi forti — etimologia — regole sintattiche. — Esercizi di parlare, e scrivere. Testo Ahn II. e Cobenzl. Sintassi — specialmente la costruzione inversa e participiale, ed il reggimento dei verbi e delle preposizioni. — Analoghi esercizi sl a voce che in iscritto — Testo Cobenzl. Widmann. Lettura della crestomazla dei Wackernagel, III parte. — Esercizi a vocc. Lettura dei Torquato Tasso di Göthe. — Esercizi in iscritto; traduzioni dall’italiano. Mähr. SLAYO Forme regolari ed irregolari dei sostantivo, ag-gettivo e verbo, in via preponderantemente pratica. Molti esercizi in iscritto. Corso orft II 2 III 2 IV Esercizii teoretico - pratici su tutte le parti d d 6 auras. auras: ^ e .