ANNO XV. Capodistria, 16 Dicembre 1881. N. 24 LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. • ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo.*) 1231. — A cagione di contini i comuni di Capodistria e di Firano si armano, vengono alle mani e versano molto sangue. Non avendo potuto quietare le parti il vescovo di Trieste e i due altri oratori, spediti a questo fine dal patriarca, Bertoldo stesso **) passa in Istria con alcuni nobili feudatari e pacificati tra di loro i due Comuni li induce a giurare fedeltà a Mimigliano (al Signore d~ Mimi-gh'ano?), marchese e governatore d'Istria. Manz. an. del Fri. - To. II, p 307, - Carli. Antich. Ital. To. V, p. 183, 185, e 214, - e Thesliaurus Eccl. Aquilej. - Pag. 226 e segg. 1231. — 18 febbraio. Ee Mainardo, conte di Gorizia reggeva col titolo di podestà il castello di Pirano; a giudici vi figuravano GiovanniBuon-vino e Pietro de Apollonio. Joppi. Aggiunte al Cod. Dipi. Istr. - Pag. 24 . 1231. — L'imperatore Federico II delibera essere di spettanza del patriarcato aquileiese la giurisdizione sull'intiera provincia istriana. Bertoldo patriarca, consenzienti i vescovi e le autorità del Marchesato, riordina il governo dell'Istria e ne riforma gli statuti fatti dal suo predecessore Volchero, statuisce un suo vicario ad anno col titolo di marchese-governatore con la sede a Capodistria. Carli. Antich Ital. - To. V, pag. 191, - Lir. Not. St. del Fri. - To. IV, p. 226 e segg., - Manz. Ann. del Fri. - To. II, p. 309, e Kand. Indicaz. ecc. -Pagine 28. 1231.***) — Ravenna, febbraio. Federico II aderendo all'istanza del patriarca Bertoldo rende nulli certi soprusi, introdotti in Istria a danno dei diritti patriarchini, come sarebbe quello di eleggersi il podestà (inconsulto il pa- *) Il Kandler nella sua opera, Indicazioni ecc. pag. 28 pone quest' ordine sotto 1* anno 1232. **) Continuazione ; vedi N. 1-23. ***) Il Kandler nelle Indicazioni ecc. pag. 28 fa scendere in Istria appena nel 1232 il patriarca per riamicare i due Comuni; e più tardi L'Istria, Anno I, pag 131 lo vuole un'altra volta in Provincia per costringere Capodistria a prestargli obbedienza. triarca), di coniar moneta, di imporre nuove (Cont.) gabelle, di decidere le cause in appello, ecc. Min. Acta et Dipi. - To I, pag. 16. j CORRISPONDENZE Sulle condizioni dell' agricoltura in provincia Parenzo, 4 dicembre. La corrispondenza di Parenzo inserita nel penultimo numero del vostro periodico, sulle condizioni dell' agricoltura in provincia, mi fece determinare a lar cenno d'una circostanza che, secondo me, indubbiamente concorre a produrre la insufficienza dei prodotti che fa levare ai nostri agricoltori incessanti lamenti. Subito che m'ebbi acquistate delle cognizioni in cose agrarie, pensai con interesse alle condizioni della mia provincia, e memore della massima — in natura nulla si crea e nulla si distrugge — mi parve di aver trovato una causa, certo non secondaria, del loro presente digradamento; mi misi a studiar sopra, analizzai il tutto con la possibile accuratezza, e azzardo oggi dire senza esitazione a'miei comprovinciali: migliorate le condizioni de'vostri terreni aumentandone la fertilità, ed avrete cosi eliminata una brutta incognita che vi dà tanto a pensare. Infatti è vero che a' tempi beati de' nostri nonni bastava seminare per raccogliere ricca messe, ed i nostri padri stessi hanno i più bei colori per dipingere l'abbondanza in cui vivevano in gioventù; anzi spingono le descrizioni tant'oltre, da farci supporre che gli alberi sieno corsi pericolo di spezzarsi sotto il peso di tanta benedizione ; essi descrivono con più o meno fantasia quei tempi, ma è sempre certo però che vi era una ricchezza di prodotti. Donde quindi la differenza? Attribuiamola pure a diverse circostanze, come in fatto non è dubbio, ma quel lento e continuo regresso, non ci fa pensare forse fra le altre cose, allo scemare di uua forza rinchiusa nelle viscere del terrreno che non coltiviamo? Anche sottoponendo a disamina tutte le circostanze climatologiche, agronomiche ed economiche da trenta anni addietro, rintracciamo de' cambiamenti che possono avervi influito, oppure che hanno realmente influito sulle condizioni presenti, ma non siamo forse condotti per induzione a trovare nelle telluriche una mancanza, una debolezza che prima non esisteva ? Checche se ne dica, è certo che tale mancanza si rende evidente, subito che si studia la vita delle piante, le quali nel loro ciclo vegetativo si appropriano delle sostanze inorganiche, ohe un terreno buono offre loro in forma assimilabile, ed iu quantità tale eh' esse possono svilupparsi, e crescere d'una vegetazione lussureggiante. In ciascun raccolto quindi si sottrae al terreno quantità non indifferenti di sostanze inorganiche che costituiscono una gran parte di quella forza che già accennai; per cui, coltivando per ripetuti anui le stesse piante sullo stesso terreno, e facendo eseguire ogni anno le eguali arature, ne risulta come naturale conseguenza, 1' indebolimento e la snervatura dello stesso. Premesso ciò, domando io, che cosa si è fatto generalmente iu Istria dai tempi passati siuo ad oggi? M'è forza rispondere, che si considerò sempre il terreno come una fonte inesauribile : auzi come solo mezzo d'appoggio delle piante o poco più; che coi cattivi sistemi di rotazione non si è fatto altro che depauperare e sfruttare le terre più ricche, che la legge di restituzione venne pochissimo osservata ; giacché a magre letamazioui soltanto fu commesso l'importante cómpito di mantenere l'equilibrio fra l'entrata e l'uscita; di ridare cioè al terreno tutto quel prezioso materiale, di cui un' erronea coltura lo andava continuamente spogliando. — Nè si avrebbe potuto sempre completamente restituire al terreno quanto gli sottraevano le raccolte. Fino a tanto che il possidente somministra a' propri terreni il letame prodotto nelle sue tenute, anche ponendo la maggior cura per la confezione ed impiego dello stesso, egli restituirà al terreno quanto gli tolgono le derrate che produce: e, tutt'altro che mantenere allo stesso grado di fertilità lo strato coltivabile, stabilisce ogni anno una perdita non insignificante. Se ciò non fosse troppo vero, quella vecchia massima recata da me poc'anzi cadrebbe del tutto, perchè realmente si potrebbe considerare il prodotto che si vende come una cosa creata dal nulla. Chi compera da! di fuori fieno e letame, può avere di certo buone rendite, o almeno potrebbe giustamente pretenderle, perchè si trova nella possibilità di poter disporre di una quantità tale di letame sufficiente a restituire al terreno del tutto, o quasi, quei materiali che gli vengono tolti cou la produzione. Fra i possidenti molti sono i fortunati ed i saggi; che possono cioè e sanno impiegar bene iu questo modo il loro capitale; ma queir equilibrio che in forza di ciò mantengono nei loro poderi e la quasi costante produzione che ne risulta, è tutto a danno di chi vende, per cui la produzione generale non cresce, ma per lo contrario scema continuamente. Appoggiato al sin qui detto, souo persuaso di non azzardare troppo, se asserisco, che mancanza di fertilità dell' agro istriano è la causa principale del presente deterioramento. Si studi pure profondamente i bisogni della provincia; non si dimentichi però che precipua nostra cura deve esser quella di ristabilire la fertilità del suolo, base della produzione e di ogni razionate agricoltura. E dunque la fertilità che manca; il letame che si produce non bastando in generale ai bisogni della coltivazioue, come supplire allora alla sua deficienza? Ecco aperto un vasto campo ai consigli, alle opinioni, alle discussioni; io però ho intenzione d'intrattenermi un poco soltanto sulle questioni principali, perchè pel resto il lettore sa dove trovare spiegazioni bellissime, migliori di quanto posso darle io. Se fossi un cieco seguace della teoria minerale del Liebig, non dovrei esitar putito nel raccomandare l'uso delle diverse qualità di guano, di superfosfati ecc ecc.; concimi tutti, come è noto, ricchi principalmente d'acido fosforico o di potassa, di cui appunto mancano ad evidenza i nostri terreni ; siccome però non ignoro le condizioni dei possidenti istriani, credo opportuno di eonsigliarvi l'uso a chi può farne acquisto, ed indicare degli altri mezzi di cui possono servirsi tutti perchè li hanno in casa. Cercai di mostrare più innanzi come lo strato coltivabile dei nostri terreni abbia perduto dopo tanti anni di coltura gran parte della sua primiera fertilità. Ora osserverò, che, siccome i nostri terreni vennero sempre lavorati coli' aratro di forma primitiva (ancora in uso iu provincia) lo strato arabile attivo si limitò aduna profondità di pochi centimetri, che oggi, come si sa, non corrisponde ai bisogni dell' agricoltura , essendo certo che al di sotto di questo strato attivo vi ha, meno in certi casi, il suo strato inerte, formato da terra vergine, o per lo meno giovane e fresca; così si rende di necessità 1' uso di lavori profondi, e il dissodamento di questo strato, anche in vista, perchè uu podere è tanto più esteso, quanto più profondo è 10 strato attivo. Ognuno conosce i meravigliosi effetti della terra vergine, per cui credo inutile di cantarne le lodi ; ma finche poi attribuire tutta questa sua efficacia? La terra dello strato inerte quando sia di buona natura. contiene tutti gli elementi necessari alla formazione dei sali solubili di cui abbisognano le piante: acciocché però questa terra possa subire dei mutamenti sì fisici che chimici, possa cioè disaggregarsi e scomporsi, fa d' uopo che gli agenti atmosferici possano su di essa agire liberamente per alcuni mesi di seguito ; è perciò che i lavori profondi si devono sempre intraprendere nell'autunno, e si deve lasciar la terra in ruvidi solchi tutto l'inverno fino all'epoca della seminagione o piantagione in primavera; quando ciò non si facesse, 11 terreno mal ci compenserebbe così tosto delle spese incontrate. Coi lavori profondi è quindi l'agricoltore al caso di rendere attivi e nutritivi molti materiali contenuti nei suoi terreni, e questa non è piccola cosa; bisogna pur dire, che la teoria della terra vergine e delle arature profonde ci schiuse un vero tesoro, e tutti dovrebbero approfittarne. È vero che la mancanza di capitale è uu grande scoglio per poter far eseguire i necessari lavori ; il possidente però deve fare qualunque sacrificio per rendere fertile almeno una parte delle sue possessioni, in quantocbè può essere sicuro che le sue spese gli verranno ricompensate ad usura. Il distinto professore Ottavi ha ragione di dire „che un ettare di terreno ben coltivato, cioè fertile, vale più di due, di tre, od anche di dieci o venti ettari mal coltivati; cioè magri e male arati." Il modo del resto da eseguire questi lavori profondi, nou incontra certe difficoltà; sul solco aperto da uu aratro se ne fa passare un altro seuza orecchia, oppure semplicemente un altro; in quei campi dove ciò non fosse di facile esecuzione, mi pare si potrebbe adoperare nel solco aperto la zappa, con la quale si avrebbe il vantaggio di poter gettare sullo strato attivo la terra di quello inerte; chè cosi verrebbe esposta meglio all'aria. Io credo che il possidente istriano dovrebbe cercar di vincere ogni difficoltà, ed adottare per principio la coltura profonda, perchè questa non ha già l'utile soltanto di fertilizzare lo strato attivo coltivabile; per lui può avere un'altra importanza che può stare benissimo all'altezza della prima; cioè di rendergli meno sensibili i danni delle insistenti siccità. È vecchio l'adagio, che quando la natura non dà, bisogna supplire con l'arte. Se l'acqua che Dio ci manda in copia nell' autunno e uell' inverno, trova profondamente smosso il terreno, viene da questo facilmente assorbita, e va a riposarsi sullo strato impermeabile in modo da non riescire dannosa alle radici delle piante che vegetano al di sopra, e forma quasi un serbatoio, dal quale per capillarità, ed in forma di vapore sale nel tempo del maggior bisogno, portando alle piante quel bene che ognuno può immaginare. Non è abbastanza raccomandabile ai possidenti istriani una simile pratica; e un miglioramento significante si farebbe notare tosto iu provincia, ove si cominciasse ad unire ai lavori ripetuti e profondi una concimazione razionale, chè ogni possidente dovrebbe essere compreso dell' importanza della legge di restituzione, e dovrebbe porre ogni cura pel confezionamento d'un buon letame, e d'un concio complesso ; sarebbe pur pratica consigliabile in molti luoghi quella del sovescio, per supplire alla deficienza del letame, e per correggere i difetti meccanici del suolo. Si lavori quindi, si tenti in ogni piccolo luogo della provincia; perchè chi lavora produce. Ci siano d' esempio gli agricoltori, ed i piccoli possidenti abitanti nelle città i quali spinti da nobile gara, ed incoraggiati da esito felice, possono mostrarci i miracoli del lavoro diligente, assiduo e proficuo. Chi non vuole lavorare, può disperare a ragione dell' avvenire; anziché accusare la natura matrigna e mettere lo scoraggiamento in quelli che sono animati della più buona volontà, cerchi la causa dei meschini e sempre decrescenti prodotti dove va cercata, e si persuaderà, che il temporale non minaccia la provincia, ma lui solo e chi lo somiglia. ii»A Lapidaria istriana Abbiamo ricevuto dall' egregio signore Carlo de Franceschi, le seguenti notizie: Il distinto cultore delle cose archeologiche dell'Istria sig. capitano di Gendarmeria Ermanno Scliram cortesemente mi spedì copia della seguente iscrizione lapidaria non ha guari rinvenutasi sopra uno degli scogli del porto di Pola. La pietra è un cippo alto 115 cent, larga 65, ma sventuratamente per rottura e corrosione della sua estremità snperiore, le prime due linee indicanti il nome di colui al quale è dedicata l'iscrizione, non otfrono che poche lettere e segni di altre. c- S | | | | | | | | | | | C- E- I I I I I I [ I I P I I I | I | I PEAEF- COHO IIII- THRAC" SY TRIB- M1L-J.EG' V MACED- Q- YRB PALPELLIA" SEX FIL- ANTONILLA CLIENS Il monumento fu innalzato da una cliente Pal- pellia Antonilla figlia di Sesto al patrono Cajo S...... figlio di Cajo prefetto della coorte 4.a tracica, cognominata siriaca, tribuno militare della legione 5.a macedonica, questore urbano di Pola. Lasciamo :ii dotti una più esatta interpretazione. Colgo quest'occasione per rammentare anche altri esploratori di antichità che mi favorirono iscrizioni in questi ultimi anni scoperte, ed ai quali rendo pubbliche grazie. Porrò in primo luogo il Sig. Antonio conte Wal-derstein della famiglia dei feudatarii di Racize presso Pinguente, da cui ebbi le seguenti : I. Su piccola piastrella di bronzo, ora in mio possesso, HERAE • DOMtNAE SEXTILIA • PROPONTIS PRO•SALVTE■ET REDITV FILIORVM • SVORVM V • S • L • M Fu rinvenuta presso la chiesa di S. Stefano in Racize. — Sestilia Propontide scioglie il voto fatto alla Dea Giunone per la salute ed il ritorno de' suoi tìgli. - n. ATIARIA SABINA MARTAE•F AN • LYI Esiste sulla casa Petretich in Ver eli distretto di Pinguente. III. L•MAGAPL INVS'L-F AN•LXX Trovata sopra la villa Giuradi rimpetto a Marcenigla di Pinguente. IV. 1 I I I 11 I AEMI MAXIMI • F SECYNDA I il XI • H • S • E Esiste nel comune di Colmo distretto di Pinguente sulla casa di Matteo Ghersinich fu Giov. Maria. Tutte tre queste iscrizioni sono sepolcrali. Dal defunto Sig. Giovanni Scala di Rozzo nel distretto di Pinguente furono scoperte le leggende: I I I II ! I ALICO • MAXIM I I I I ET • VORCINIO M M I CAE I I MI | I P I II | | MARCELLAE che esiste sull'architrave della porta d'una stalla di Giov. Maria Zornada in Bruì di Rozzo. 0-TEDIA-PRIMA-HIC SITA • EST Trovasi pure in Bruì in una nuova cappella. Entrambe le pietre colà trasportate, erano in origine a Roma di Rozzo, dove un villico soprannominato parroco di Roma rinvenne una antica lancia di bronzo, ora da me posseduta. Atterrandosi nel 1875 l'antico episcopio di Cit-tanova si scopersero le iscrizioni: 1. HOSTILIAE • Cf • FAVSTAE HOST1LIA • C- P ■ Q VINTA SORORI • V • F 2. (Andò perduta) I I ìIATII I i ! ! VLIA ' P i : I VOTU ! I ! VIT • LI 15 I I I MERITA I I I 3. BARBIVS ' L • L • CER M I ! ì I IS SIISI I II 1 I I I I I VI 1 : ! ET 4. (rosta sul muro del Duomo) 1BEN ARCELLO LICAE 0 • Co NSE AN-XVIII UN' VIII ERINI 5. Einvenuta nella valle marina Bernazza di Abrego, posseduta da Giovanni Pavat di Cittauova. D-M AQVILINO • AN • VII LEONTISCVS " COL FILIO • 1NFELICISS FECIT Mi era stata comunicata assieme a quella sub 1 anche dal signor cav. Enrico de Clesius. 0. Dal Sig. Antonio Zelco di Dignano L ' PONTIVS ' L • F ' VEL RVFVS ' VETERAN MIL • CHO • VII • PRAE ANIS " XIIX ■ 1SDE HARISPEX ' V ' F ' SIBI • ET • SVIS APAC1LIAE ' P • F ' PAVLAE VXSORI " SVAE Fu riveduta dal signor prof. Enrico Majonica. Esiste sulla facciata della chiesa di Sta. Maria Maddalena in Marcovaz villa di Visignanó. Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo : Una lettera di Adriano Balbi Iu questi giorni che si pensa d'innalzare a Venezia un monumento alla memoria dell'insigne geografo A-driauo Balbi, il continuatore delle glorie dei Marco Polo, dei Zeno, dei Cabotto, dei Sanudo, dei Fra Mauro, non le Sarà discaro, signor redattore, di pubblicare una lettera autografa di lui, che si conserva a Capodistria, e. che dai suoi proprietari mi venne concesso di trascrivere. Come vedrà, questa lettera non è d'interesse scientifico, tutt'altro; ella contiene semplicemente un cordiale ringraziamento indirizzato a colto istriano per la vendita da lui fatta a Capodistria di 34 copie di una fra le più riputate opere del celebre geografo. E se la lettera, ripeto, non è d'interesse scientifico, è però, secondo me, abbastanza importante per dimostrare se non altro, come nel 1810, vale a dire 71 anni fa, nella sola Capodistria si potevano esitare, senza troppa difficoltà, 34 esemplari di un'opera scientifica; il che mostra, per lo meno, l'amore dei nostri per gli studi geografici, per quegli studi che hanno già dato alla provincia un Coppo ed un Valle, e ai quali devono sempre attendere gl'istriani, spinti come sono al mare, dal loro avvenire economico. Aggradisca, signor redattore, i miei anticipati ringraziamenti e mi creda con stima Rovigno, nel dicembre. R. A. Ecco la lettera del Balbi: Pregiatissimo Signore, Ben lungi dall' aver Ella bisogno di scuse presso di me pel picciol numero di copie della mia Geografia, che Le è riescito di smerciare, io debbo anzi farLe mille ringraziamenti per aver Ella con tanta premura corrisposto alle raccomandazioni del conte Agostino Carli. Infatti senza lo zelo ed il vivo interesse con cui maneggiossi per esitare la mia operuccia, non avrebbe certamente potuto venderne 34 copie, numero che trovo considerabilissimo, qualora rifletto alla infelicità delle circostanze in cui gliele spedii, ed allo scarso numero degli abitanti cui poteva convenire il comprarle. Mi permetta dunque, distinto Signore, che le dia almeno in iscritto un attestato della mia riconoscenza, giacche non mi resta che questo solo mezzo per dimostrarle quanto sono sensibile alla Sua gentilezza ed alla Sua amicizia. Me fortunato poi, se mi si presentasse una favorevole congiuntura, nella quale dedicandomi intieramente a suo servigio, potessi farle vedere che non ha favorito un ingrato ! Circa alle 75 copie che Le sono rimaste, La prego di avere la bontà di tenerle presso di Lei. La guerra marittima non sarà eterna, ed una volta che saranno riaperte le comunicazioni col mare, non mi mancherà mezzo di mandarle od in Dalmazia, o ne' dipartimenti italiani di rincontro a quella provincia, ove non ne sarà difficile lo smercio. Aveva divisato di pubblicare il mio Atlante nella prossima Quaresima ; ma la mancanza di alcune opere indispensabili all' esecuzione esatta del piano che mi sono prefisso; ma l'inesattezza e l'imperfezione delle tipografie veneziane mi de- terminarono a rimettere la stampa all'anno venturo ! in cui potrò portarmi in luogo, ove corredato di tutti i soccorsi letterarii avrò la consolazione di vedere il mio Atlante sortire da una stamperia che non mi guasti il risultato di tante veglie e di tanti sudori. Le rinnovo, distinto Signore, i sensi della ! mia più viva riconoscenza, ed ho l'onore di raffermarmi con tutto il rispetto. Venezia, 5 Febbrajo 1810 ST ITotizie Oggi, è a tutti noto nella nostra provincia, come iu Paseuzo vedrà la luce col primo del prossimo Gennajo un periodico settimanale, intitolato L'Istria-, — è noto del pari il suo programma; — e la larga partecipazione che esso ottenne quasi in ogni centro civile della provincia, ci assicura che corrisponde perfettamente alle idee della grande maggioranza dei comprovinciali. Nè può essere altrimenti, dal momento che esso venne presentato da egregi patrioti, i quali meritamente godono la fiducia pubblica, e coi loro nomi sono garanti che il programma sarà anche mantenuto. Per quanto poi riguarda le relazioni tra questo nuovo periodico ed il nostro, noi, con la coscienza di avere sempre avuto di mira il miglioramento dell'Istria, crediamo non ultima prova che la nostra opera non sia stata del tutto inutile, quella di avere spianata la via ad una più ampia influenza della stampa in provincia; e mentre abbiamo deplorata la cessazione dell' Unione, ci rallegriamo oggi nei vedere sorgere in Parenzo un confratello con gli stessi nostri intendimenti; in Parenzo, dove hanno sede le nostre autorità provinciali, e dove quindi si potranno trattare con più ampia messe di cognizioni, che a nei non sia stato concesso, gli affari amministrativi della provincia. Importa sommamente che la provincia conosca sè stessa; discuta pubblicamente i propri interessi, e si faccia conoscere al di fuori ; a questo fine i due periodici si gioveranno a vicenda, e produrranno, ne siamo certi, un po' di risveglio nella nostra vita; e la lotta per serbare incolume il patrimonio nostro supremo, con forze unite, raggiungerà meglio il suo scopo. Auguriamo perciò al nuovo confratello vita prospera e duratura. L' „Indipeudente" ha aperto una soscrizione pei danneggiati colpiti dal terribile disastro di Vienna, rivolgendosi con caldissime parole a tutti quegli la cui pietà deve giungere, se non prima, nemmeno ultima nel luogo dove „la morte ha lasciato la sua croce fatale". Sappiamo che già a quest'ora parecchi Municipii dell'Istria hanno deliberato di spedire a Vienna il loro obolo, e siamo certi che la nobile iniziativa sarà seguita da molti. Al Concorso internazionale di enologia in Cone-gliano, la stazione eno-pomologica dell'Istria, figurava nella sezione didattica con uua dettagliata relazione del direttore sullo scopo—sistemazione — e progetti in Corso pel suo completamento; — relazione corredata da tre grandi tavole murali rappresentanti la planimetria e distribuzione delle colture del podere centrale di Parenzo e di quello succursale di Pisiuo; — nonché i rilievi e pianta delle cantine - laboratori - musei ed ogni altro attinente della Stazione. Il Giurì ha trovato di premiare l'Istituto eno-pomologico istriano, pel suo razionale ordinamento, colla medaglia d' argento. 11 giornale ufficiale L Oss. Tries. del 9 p. p. N. 279 pubblica la Notificazione dell'I. E. Luogotenente in Trieste e nel Litorale, concernente lo scioglimento della Commissione provinciale per la regolazione dell' imposta fondiaria per Trieste, Gorizia e Gradisca, e l'istituzione delle commissioni sui reclami per queste tre proviheie. Ci scrivono: La commissione d'inchiesta del ministero austriaco del commercio, sulle tariffe ferroviarie, ha già raccolto i materiali necessari onde prendere le sue deliberazioni. In quest'occasione, che noi riguardiamo unicamente dal punto di vista dei nostri interessi locali (Trieste ed Istria) si farà una viva lotta intorno ai gravi interessi che vi sono compromessi. Si discorre già di una possibile convenzione del governo con la Sudbhan per una riduzione di tariffe da parte di questa a vantaggio di Trieste, onde offrire così una transazione accettabile a questa città, che con tanta insistenza, appoggiata anche dalla nostra provincia, ha domandato, con lo scopo di migliorare le condizioni dei trasporti, una linea indipendente. Se nonché questo progetto è già combattuto da quelli che vorrebbero assolutamente la linea Laak-Divazza-Cosina-Trieste, la quale, dicono, congiungerebbe (ciò resta a vedersi) il tronco di Pola più sollecitamente a Trieste. Il nodo della questione per Trieste sta nel conseguire una tariffa bassa; e ciò non si ottiene sempre con una linea di concorrenza, la quale potrebbe il domani mettersi d'accordo a vantaggio dei due concorrenti. E forse, senza far giudizii, che sono impossibili oggi, il migliore partito sarebbe quello di assicurare una tariffa conveniente, mantenendo pure una sola linea. Anche nel 6" anno di vita della Scuola di Viticultura ed Enologia in Couegliano il numero degli allievi andò aumentando. Il corso inferiore è frequentato da 25 allievi, ed il superiore da 104. Tra questi sono pure rappresentate le provincie vinicole del Trentino, di Gorizia, Trieste ed Istria. Sono parecchi i figli di grandi possidenti, che compiuto il corso, coutano di ritornare poscia a condurre ed amministrare i possedimenti di famiglia. Si attendono migliorie con l'applicazione della legge proposta al parlamento sulVInsegnamento agrario, specialmente per provvedere la scuola di un regolare Convitto nel quale ospitare i giovani inviati dai pro-prietarii o mantenuti da Corpi morali. Storia delle marionette Conferenza tenuta da Giuseppe Giacosa nella sala del ridotto a Milano. Domenica scorsa mi trovava a Milano. Avevo letto sui giornali che il Giacosa. 1' autore della — Partita a scacchi —. dovea tenere una conferenza sulla storia delle marionette. È una storia molto importante, specie oggi che di teste di legno che fanno fracasso ne abbiamo tante. Ma i tempi non sono propizi alla satira; e a dire pane al pane si corre rischio di cascare in legnaja. L'illustre Giacosa, che come attore drammatico conosce molto bene i suoi polli, ha preso la cosa sul serio, e ci ha dato proprio una vera storia delle marionette. Passo la descrizione della sala piena di leggiadre signore, e d'impellicciati e inguantati signori ; passo il ritratto dell' autore, che è un bell'uomo con barba nera, tipo di robustezza gentile. Fino dai primi periodi (l'oratore leggeva con quel fare spigliato e sicuro che simula l'improvvisazione, e dà alla parola meditata tutte le grazie e il calore di un discorso a braccia senza le inevitabili cantonate) fino dai primi periodi, dico, si capì subito l'intonazione. L'autore parlava in argomento leggero e ridicolo con quella gravità che si dà alle cose serie, e con un tuono di voce robusta e grave; quindi l'antitesi, fonte di sano umorismo, di satira ammodo, e senza intromessioni soggettive: lo stile nuovo del tempo ; il riso delle cose, direbbe il De Sànctis. Lepida e ingegnosa la trovata di distinguere le marionette in primogenite e cadette, e di prendere così le mosse da tempi antichissimi. Perchè le marionette non furono sempre di legno; gli antichi ne ebbero in marmo, in ferro, in bronzo: statue, automi che movevano gli occhi, che affermavano o negavano col capo ; questo è il ramo privilegiato ; del cadetto dirà poi. E al ramo privilegiato appartennero la statua d'Aminone, ben poca cosa a onor del vero, se i sacerdoti burattinai, in quei tempi primitivi, non sapevano che farle muovere il capo; e i mille simulacri degli dei freddi, impassibili con le mani eternamente sulle ginocchia a rappresentare la beatitudine, la serenità olimpica; e dei quali non si perdette più tardi lo stampo. E qui una infarinatina d'erudizione un po' a sbalzi a dir vero, e tirato in campo il crocefisso del concilio di Trento, Tertulliano, detto il Bossuet dell' Africa, la fiaba dei pirati triestini, lo marrone veneziane e le feste della Renier : Orinali zaffiri ed uova sode Nominativi fritti e mappamondi come dice il Burchiello nel suo famoso sonetto. E tutta questa erudizione, anzi l'argomento stesso, non sono nuovi; vedi Yorich (Avvocato Giuseppe Ferrigni) nella sua storia dei burattini. Ma nuovi erano i frizzi, nuovi i sali, tutto suo lo stile usato dal Giacosa nel trattare l'argomento. E a proposito di feste veneziane, non dispiacerà ai lettori istriani che io rammenti loro il fatto delle Marione. E troppo noto come a commemorare il ratto delle spose fosse instituita a Venezia la festa delle Marie. Per otto giorni dodici fanciulle, riccamente vestite a spese dello stato, si conducevano pro-cessionalmente per la città. Ma coli' andar del tempo la scelta delle Marie recava non poche brighe ai serenissimi; le Marie invece di rappresentare sul serio la loro parte e ridestare nel popolo l'odio ai rapitori, mostravano una grande voglia ili farsi rapire. Invalse quindi 1' uso di sostituire alle ragazze altrettante figure di legno dette Marione, perchè più grandi del naturale. I baloccai veneziani ne foggiavano in sedicesimo e in ventiquattresimo ad uso e consumo della generazione crescente; e perchè erano precisamente un diminutivo delle Marione, le chiamavano Marionette. Non è adunque parola gallica, non viene da Marion ciurmadore ai tempi di quella buona droga del re Carlo IX, come leggesi nell' Enciclopedia popolare, ina buona parola di Venezia e quindi italiana ; benché nell'Italia centrale e bassa le marionette meglio si chiamino fantocci pupi e burattini. (Vedi anche il Lessico dell' infima e corrotta italianità del Fanfani, alla voce marionetta pag. 287). Queste cose disse il Giacosa citando la Renier, e saltando a piè pari, ah Giuseppe ! la storia dei burattini di Yorich. E continuando a narrare i fasti delle marionette del ramo privilegiato, l'autore, accennò appena ai Mori dell' orologio in Piazza San Marco, non conoscendo forse o non rammentando i bellissimi scritti del Locatelli nell'appendice della Gazzetta Veneta, tirati giù senza tante astruserie nel beato stile paesano di un tempo, sui tre Magi che venivano ogni anno per l'epifania arrancando, arrancando a fare onore alla Madonna e al bambino Gesù togliendosi di testa con qualche scosserella la corona. Il Giacosa invece, da buon moderno, ci condusse in Francia, domando scusa, in Germania sulla cattedrale (li Strasburgo a vedere la Madonna, il gallo, i dodici apostoli; e poiché 1' autore della — Partita a scacchi — sotto a quelle volte archiacute vi si trovava come in casa sua, ci fece una stupenda e poetica descrizione di quelle paure nordiche, di quelle mistiche ombre e diavolerie gotiche, che strappò un lungo ed unanime applauso e fu come il punto culminante della conferenza, E da Strasburgo ci condusse ancor più dentro in Lamagna fino al castello di Heidelberga, dove c' è la famosa botte, a paragone della quale la gran botte di Gianduja, che abbiamo veduta all' esposizione di Milano, non è che un misero orciuolo; a Heidelberg, sede del celebre automa, il buffone del conte col suo eterno sorriso. E qui altra bellissima descrizione : tutto passa e si muta, esalamò il Giacosa; gli apostoli tremano e mancano qualche volta alla chiama, Carlo Magno ha perduto lo scettro, ad altri è caduto dal capo la corona; solo il buffone di Heidel è là, sempre là, che ci guarda e ride. — Nulla di più sinistro del riso quando è immobile. — Sì, potrebbe rispondere Lessing, perchè la continuità fa passare il segno, accresce ed esagera il concetto dell' artista nella fantasia del riguardante che ci mette pur lui qualche cosa di suo ; ed ecco perchè all' artista si conviene sempre segnare con moderazione : se no la contrazione del riso diventa dolore, e quella del pianto una maledetta smorfia ridicola. Gli ultimi discendenti del ramo primogenito burattinesco sono i fantocci del presepio che anche oggi si espongono sull' altare in molte chiese d' Italia. Esaurita la prima parte, l'autore passò a dire del ramo cadetto. E fu come uno scoppio incalzante, accorrente di razzi, di girandole, salterelli e colombine. Eccole qui queste benedette marionette e maschere del burattinajo che furono la delizia dei nostri anni più belli, che ci divertono anche oggi; che si adattano a tutti i gusti, che imitano tutti i caratteri, che sono il simbolo della tolleranza perchè ascoltano tutte le .opinioni: ma viceversa parlano la lingua universale dello scappellotto, che saccheggiarono i classici ed i Reali di Francia, che hanno una grandissima importanza storica perchè mantengono i tipi vivi e li resuscitano morti : testimonio la commedia dei tre gobbi. Ma il più caro il più simpatico burattino è sempre il moretto di Bergamo. Egli illumina di gajezza il teatro; ma la sua gajezza è superficiale; Arlecchino è moralista, ma a suo modo; bisogna vincere 1' astuzia con l'astuzia, la forza con la forza: è la sua machiavellica. Arlecchino è sintesi dell' umanità perchè 1' attore è troppo poco astratto, ci mette troppo del suo ; ci vogliono teste e petti di legno per rappresentare degnamente il tipo-uomo. E tutto questo detto con brio, con fuoco, con comica serietà, con intercalate frequenti citazioni di Aristotile, di San Tomaso, del Lippi; che ci facevano 1' effetto di que' razzi più forti che scoppiano ad ogni nuova svolta e dirizzone della girandola, e da ultimo con la recita di una canzone veneziana (li Arrigo Boito che fece l'effetto di una bomba finale, ma che a onor del vero c'entrava come il cereo pasquale in sinagoga. Non lamenterò, come altri, l'omissione di molte maschere, perchè il Giacosa trattava delle maschere del burattinajo e non del teatro; nè di qualche alzata d'ingegno. Piuttosto noterò la mancanza del colore locale; la fisiologia di Arlecchino e di Pantalone si ha a studiare a Venezia ; se i burattinai cadono in miseria a Torino come lamentò il Giacosa, fanno sempre discreti affari nel Veneto; il teatro di Arlecchino e di Pantalone è sempre aperto a Venezia sull'incantevole Riva degli Schiavoni, coli'immenso velario di un caldo orizzonte in una sera d'estate, con le chiese della Salute, e di San Giorgio di qua, e la curva della riva di là che fanno da quinte; qui l'antitesi la più comica, quando in sul più bello dell' azione suonano lente e malinconiche le campane della Pietà e di San Zaccaria, e Arlecchino interrompe i suoi lazzi, si cava rispettosamente il cappello, grida Deprofundis, e il popolino si alza in piedi e recita sul serio un requiem pe' suoi poveri morti. Le marionette aristocratiche si sono ricoverate sotto le volte delle nordiche cattedrali rappresentanti del misticismo tedesco; là dobbiamo cercarle, e sta bene. Ma i burattini democratici hanno sede tra noi, e la splendida fantasia del Giacosa qui avrebbe avuto largo campo a spaziare. Ma spiritus uhi vult spirai, e i venti spirano adesso da settentrione. E verso settentrione spiegò l'ali infatti un'altra volta la fantasia del Giacosa per dimostrare con esempi come anche i grandi ingegni abbiano cercato nella baracca del burattinajo soggetti ai loro versi immortali. Così fece il Goethe pel suo Faust, così Schelling nello stesso argomento. E qui l'autore riferì un dialogo tra il mistico dottore coi diavoli che si proponevano di servirlo. Il dottore vuol essere certo della velocità (lei suo diavolo, e do- manda ad uno ad uno ai sette spiriti : Come sei tu veloce? Botte e risposte. Sentenze ed obbiezioni. I sei primi diavoli non danno una sufficiente prova della loro astuzia; e il dottore trova un'obbiezione per ogni risposta. Non tutti gli spiriti tedeschi hanno studiato logica come il diavolo di Dante. Ma l'ultimo mette tra l'uscio e il muro il dottore con la seguente risposta — Io sono rapido come il passaggio dal bene al mah — Benissimo, risponde Faust, tu sarai il mio diavolo. La voce del Giàcosa si abbassa di due tuoni, un fremito scorre per le vene di quelle care marchesine e contesse che riempivano la sala, e che quindi innanzi, suonando sul piano la romanza del Mefistofele del Boito, penseranno anche al diavolo filosofo dello Schelling. Siamo alla conclusione. Dopo tante fauste vicende, le marionette minacciano oggi di morire di lenta consunzione, si snaturano, e danno un ultimo segno di vita scimiottando le opere e i balli dei grandi teatri. Ma dunque, esclamò il Giacosa, abbiamo noi finito di divertirci? I poveri burattinai stanno per morire di fame. Uno ne ho veduto nella mia Torino (per vedere di queste miserie, aggiungo io, non occorre passare le Alpi) e ne rimasi commosso, e gli gettai una moneta. Gettatela anche voi, signori e signore, nel casotto ; caschi poi sulla testa dei fantocci o del burattinaio è tutt'uno. (Moralità della favola) — E questo consiglio basti a giustificare la mia conferenza. Ecco la tesi, la moralità nell' arte. Scoppio di applausi ben meritati. E batto le mani anche io, e di cuore. Una sola osservazione. Dato che ciò sia vero, perchè abbiamo noi finito di divertirci? Perchè il popolo di Torino e di altre grandi città non accorre più dal burattinaio a far provvista di buon umore, ed aggiungere un filo alla trama della vita? Qui io aspettava il Giacosa poiché ha preso tutto sul serio; qui io voleva una risposta ed una disquisizione meglio che sulla fisiologia delle marionette. A questa domanda m'ingegnerò di dare subito una risposta. Ma abbiano un po' di pazienza, si ha ad aspettare un buon quarto d' ora prima di uscire. I signori fanno ala sul passaggio delle belle che infilano la lunga e stretta scala a chiocciola; comincia davvero la rappresentazione. Mi passa dinanzi un coso lungo lungo, con una gran tuba in testa, mi riconosce e dice: Abbiamo letto le vostre carte sudate. Quel sudate mi fa sudare davvero. Un altro, marchese o conte che fosse, s'incontra con un suo amico, e con quel gesto, con quel modo di salutare, che è proprio della così detta buona società, piegando tutto da un lato, e scuotendogli forte forte la mano, gli dice con un'aria di contenta sorpresa: Caaa .... valiere. Superata un'atmosfera di cipria, di viola, di reseda, respiro finalmente ossigeno in piazza della Scala, e vedo dinanzi al grande arco della galleria Tito Livio Cianchettini, lungo, impettito, con un cappellino d'estate in testa, con una pertica in mano, e sopra molti numeri del Travaso d'idee.Leggo. — Gli ordini del popolo per causa dei signori sono pronti, e i signori che sono i santi del giorno spengono i lumi della giusta democrazia. — E via con questo scucito di frasi. Egregio signor Giacosa, ecco un soggettino degno del suo pennello; ecco la risposta. Ci vogliono di questi burattini per divertire oggi il popolo. Si vogliono prendere tutte le cose sul serio; si travasano l'idee, si germanizza l'Italia. Meneghino il buon Meneghino d'un tempo preferisce la birra a un buon bicchiere di vino; e invece della canzone di Rosina strimpella sulla citerà la cantilena del Reno. I filosofemi, le astruserie, i paroloni del secolo gli hanno fatto montare il sangue alla testa, e bujo via bujo bujo. Caso serio, caso grave, signori, se anche non contemplato dalle gride. Tutti ci abbiamo un po' di colpa : Artisti, poeti, romanzieri, commediografi, giornalisti; marchesine e contessine in guanti a sette bottoni, pronte a battere le mani alle risposte di tutti sette i diavoli dello Schelling. Quel povero uomo è sempre là e guarda la gente con un beffardo sorriso, con un'investigazione superba, con l'occhio or vitreo e immobile, ora inquieto e secondante i tremiti dei nervi, le rughe della fronte e le grinze delle guancie terree, sparute. Povero uomo! mi desta una profonda compassione. Avrebbe potuto essere un onesto operajo, tranquillo, contento nella sua povera casa con la buona famigliuola. I paroloni, e le diavolerie gli hanno sconvolto la testa, e soprattutto certi paradisi intravveduti, dei quali gli hanno sbattacchiato subito le porte sul muso. Ogni sua ruga è un libro in embrione, ogni grinza una brama insoddisfatta. Povero Meneghino, in che stato me l'hanno ridotto. Per farlo ridere ci vogliono ben altri burattini. E le signore marchesine vedranno un giorno dove certe acque travasate avranno a finire. A bel rivederli. __P. T. 1) Un povero scemo notissimo a Milano che scrive, compone e vende un suo giornale, e fa tutto lui. D