st ud ia universitatis he re d it at i Cilj prispevka je predstaviti na podlagi starogrških in latinskih zgodovinskih virov spremembe v etnični sestavi italskega polotoka v prvem stoletju pr. Kr., natančneje od zavezniške vojne (91 – 88 pr. Kr.) do Av- gustove smrti (14 po Kr.). Zgodovinski viri iz republikanske dobe predstavljajo namreč italska ljudstva kot ostre nasprotnike nadvladi rimskega mesta, nasprotno pa, viri iz cesarske dobe opisujejo ista ljudstva kot bratska ljudstva Rimljanom. Potrebno je tudi poudariti ugotovitev, da po Avgustovi smrti imena Etruščanov, Sabinov, Umbrov, Samnitov in drugih niso več uporabljena v rimskem zgodovinopisju in polagoma izginjajo iz političnih zemljevidov italskega polotoka: ostanejo samo Rimljani in Italiki, os- tane samo Italia kot enotna dežela. Kljub izkoreninjenju italskih ljudstev pa so nekatera od teh, npr. Et- ruščani, znatno obogatili rimsko družbo s svojimi kulturnimi značilnostmi. Ključne besede: etnična identiteta, Italiki, rimska zgodovina, Avgust, Etruščani, Samniti Lo scopo principale del contributo è illustrare sulla base di fonti greche e latine i cambiamenti della composizione etnica sulla penisola italica nel primo secolo a. C., più precisamente dalla guerra socia- le (91-88 a. C.) alla morte di Augusto (14 d. C.). Le fonti storiche di età repubblicana, infatti, descrivono le popolazioni italiche come acerrime nemiche che avevano combattuto contro Roma, mentre quelle di età imperiale parlano di popolazioni che erano addirittura consanguinee ai Romani. Bisogna anche notare che dopo la morte di Augusto i nome degli Etruschi, Sabini, Umbri, Sanniti e altri non vengo- no più utilizzati dalla storiografia romana perché queste popolazioni scompaiono dalla cartina geogra- fica e politica della penisola italica: rimangono soltanto i Romani e gli Italici, rimane soltanto l’Italia come un’unica regione. Nonostante l’estirpazione delle popolazioni italiche però alcuni gruppi etnici, come gli Etruschi, arricchirono essenzialmente la storia e la società romana con le proprie componen- ti culturali. Parole chiave: identità etnica, Italici, storia romana, Augusto, Etruschi, Sanniti I cambiamenti etnici sulla penisola Italica dalla guerra sociale alla morte dell’imperatore Augusto Jadranka Cergol, Università del Litorale, Facoltà di studi umanistici 21 Negli ultimi decenni si può notare un nuovo interesse nella ricerca delle que-stioni etniche anche nel campo degli studi sull’antichità. La teoria strumentale, che si basava sulla convinzione che il sentimento di ap- partenenza etnica fosse soltanto un pretesto per conseguire risultati politici o economici,1 è risul- 1 Donald L. Noel, “A Theory of the Origin of Ethnic Stratification”. So- cial problems 16, no. 2 (1968): 28-34. tata essere insufficiente. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso si è quindi avuta una rinascita delle ricerche antropologiche sulla questione dell’ap- partenenza etnica. La questione dei gruppi etni- ci nell’antichità pone il ricercatore moderno di- nanzi a un gran dilemma, in quanto già i termini stessi come nazione o popolo, utilizzati per l’ap- partenenza etnica, sono concetti implicitamen- te radicati che si sono affermati appena dal XVII doi: ht t ps://doi .org/10. 26493/2350-54 43.5(2)21-35 st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 22 secolo in poi e quindi si adattano con difficoltà alla concezione di ethnos nell’antichità. Nono- stante tutte queste perplessità e questi ostacoli, secondo i ricercatori contemporanei si può par- lare di appartenenza etnica anche nel contesto dell’antichità classica, in quanto sia in Grecia, sia nell’impero Romano e altrove nel Mediterra- neo, le persone si incontravano, si univano, com- battevano in guerre anche in base al principio di etnia.2 Un’analisi sociale e storica approfondita sull’origine delle popolazioni può quindi contri- buire a una comprensione migliore dei sentimen- ti e dei legami che le identità culturali colletti- ve costruiscono nel corso di molte generazioni.3 Per la definizione del gruppo etnico saran- no addottati come criteri principali quelli defi- niti da Anthony Smith che ne elenca sei: nome comune, mito comune di origine, memoria stori- ca comune, cultura comune, appartenenza ad un dato territorio e il senso di solidarietà comune.4 Definizione del problema Nel periodo del principato di Augusto ci furono importanti cambiamenti nel campo delle que- stioni etniche: la politica interna del princeps, infatti, tendeva all’unificazione di tutte le genti italiche in un’unica unità politica. Il contributo si propone di esaminare prima l’inquadramento storico-politico dei fatti accaduti, ma soprattut- to analizzare come l’unificazione etnica della pe- nisola venisse percepita sia dai Romani che dalle varie popolazioni italiche: come esempio saran- no esaminati i casi degli Etruschi e dei Sanniti. La penisola italica è stata nel corso dell’e- spansione dello stato romano abitata da varie po- polazioni diversamente sviluppate sul piano eco- 2 Erich Gruen, Culture and National Identity in Republican Roma (New York: Ithaca, 1984); Kathrin Toll, “Making Roman-ness and the Aeneid”, Classical Antiquity” 16 (1997): 34-56; Lucia Aigner-Fores- ti, “Quod discinctus eras, animo quoque, carpitur unum« ( Maec., El. 1.21)”, Contributi dell ’Istituto di Storia Antica 17 (1991): 201-214; Jo- natan M. Hall, Ethnic Identity in Greek Antiquity (Cambridge: Cam- bridge Core, 1997); Yasmin Syed, Vergil’s Aeneid and the Roman Self (Ann Arbor: The University of Michigan Press, 2005); Gary D. Farney, Ethnic identity and aristocratic Competition in Republican Rome (Cambridge: Cambridge University Press, 2007). 3 Anthony D. Smith, The Ethnic Origins of Nations (Oxford: Blackwell Publishers, 1986). 4 Smith, The Ethnic Origins, 66-83. nomico, culturale, politico e sociale. Per l’epoca arcaica è molto difficile tracciare un quadro et- nico preciso, perché le fonti sono incerte e tra di loro discordanti. Rimane comunque un fatto in- discusso che la penisola italica fu ancora nel ter- zo secolo a. C., quando i Romani avevano in un modo o nell’altro ottenuto il controllo politico su tutta la penisola, un territorio etnico misto. Se da una parte Roma manteneva il controllo sugli Etruschi soprattutto tramite accordi poli- tici e forti collegamenti con l’aristocrazia etru- sca, con i Sanniti dovette combattere numerose battaglie5. L’espansione del popolo romano però non fu sempre efficace; i Romani dovettero spes- so scontrarsi con le popolazioni italiche autocto- ne che riuscivano a volte a fermare la loro affer- mazione con rivolte organizzate. Gli scontri tra i Romani e le singole popolazioni risalgono già a epoche più remote, ma la prima grande battaglia si ebbe nel 295 a. C. (battaglia del Sentino), quan- do una confederazione anti-romana, formata da più tribù italiche, si ribellò ai Romani. I fauto- ri della ribellione furono i Sanniti, ai quali però si aggiunsero gli Etruschi, parte degli Umbri e alcuni Galli; la confederazione è stata formata dalle popolazioni che vivevano a nord e a sud di Roma per attaccare la città da entrambe le dire- zioni. A causa delle dinamiche la battaglia ven- ne da alcuni ricercatori chiamata anche “la bat- taglia delle nazioni” (ad es. G. Bandelli6), dato che alcune popolazioni italiche di diversa origi- ne etnica si sono alleate contro un nemico comu- ne – il popolo romano. Nella battaglia gli itali- ci furono sconfitti, Roma invece continuò nella sua politica espansionistica sulla penisola italica. Nonostante l’efficiente forza politica roma- na, alcune popolazioni italiche mantenevano in gran parte la propria autonomia con differenze evidenti da regione a regione; le principali diver- sità tra queste popolazioni era una più o meno sviluppata autocoscienza e il senso di apparte- 5 Guido Clemente, Guida alla storia romana (Milano: Mondado- ri, 2001); Kathryn Lomas: Roman Italy: 338 BC – AD 200 (London: Ruotledge, 1996). 6 Gino Bandelli: “La politica romana nell’Adriatico orientale in età repubblicana”, in Seminario storico-archeologico su “L’arco adriatico in età romana e altomedievale” (Trieste, 1986): 168-214. st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 23 nenza al proprio gruppo etnico e la preservazio- ne delle proprie tradizioni, e questo soprattutto dopo l’assoggettamento da parte dello stato ro- mano. Ciò che possiamo sicuramente affermare sul processo di romanizzazione è che di cru- ciale importanza fu proprio il periodo tra la guerra sociale e la morte di Augusto – peri- odo, durante il quale il latino diventò la lin- gua predominante e durante il quale molte tradizioni culturali vennero introdotte nell’idea di romanitas, che si rispecchia nel sempre più alto grado di assimilazione tra gli aristocratici romani e italici. Bisogna rilevare che la romanizzazione non fu un processo unilaterale (…), si può citare territori, sui qua- li gli Italici segnarono la cultura romana.7 Possiamo dedurre che il processo della lenta ro- manizzazione ottenne il suo scopo appena all’in- izio del principato di Augusto che nelle proprie Res gestae scrisse: “Iuravit in mea verba tota Ita- lia sponte sua«8 – il primo imperatore romano aveva quindi l’idea che l’Italia fosse diventata un’unità politica e culturale omogenea o almeno questo era quello che voleva fare credere. La conquista della penisola italica rappre- sentava un progetto a lungo termine, i Romani suggellavano con le popolazioni sottomesse vari tipi di rapporti, perché l’annessione dei territo- ri conquistati all’ager romanus non era possibile. La soluzione più spesso trovata era di siglare dei patti con l’aristocrazia locale e così lasciare l’au- tonomia al territorio, assicurandosi però il con- trollo politico. Solo raramente i Romani erano costretti ad assoggettarsi direttamente le popo- lazioni sconfitte e mantenere il controllo diretto sul territorio. Questo succedeva principalmente con le popolazioni che si opponevano più a lun- go e più aspramente. La forma più diffusa di as- segnazione dei diritti politici era la fondazione di colonie, cioè città, nelle quali gli abitanti erano principalmente cives sine suffragio, cioè cittadini romani senza diritto di voto, a differenza dei ci- 7 Lomas, Roman Italy. 8 Aug. Res gestae, 25. ves optimo iure, cioè dei cittadini romani con il diritto di voto. Così nascevano colonie che erano abitate sì da cittadini romani che però non ave- vano il diritto fondamentale di votare e quindi non potevano partecipare alle decisioni politiche dello stato romano. La seconda forma di collaborazione con lo stato romano era la latinitas; chi otteneva il tito- lo di Latinus era un’abitante della penisola ita- lica con alcuni diritti e doveri all’interno dello stato romano, come per es. la possibilità di com- merciare e di contrarre matrimoni con cittadini romani e addirittura una forma limitata di col- laborazione nella vita politica romana. A questo punto è necessario rilevare che entrambe le con- dizioni politiche (cioè Romanus, sia sine suffra- gio che optimo iure, come anche il Latinus) non dipendevano dall’appartenenza etnica degli abi- tanti o dalla loro origine genealogica: chiunque poteva diventare cittadino romano grazie ai me- riti che otteneva o per altre vie9. Massimo Cac- ciari sintetizza il senso della cittadinanza roma- na: Civitas romana in quanto civitas augescens, città che esiste in virtù della sua capacità di incor- porare in sé nuove genti e nuovi territori, che neppure potrebbe sopravvivere se non ten- desse all’“imperium sine fine”. Perciò quel- la di civitas augescens rappresenta l’idea chiave per comprendere lo stesso mito dell’impero universale. Poiché non è pianta che sorga da una terra e da un sangue, poiché, in questo senso, non ha radice, la civitas romana è desti- nata ab origine a crescere sempre. Nulla può “immobilizzarla”. Poiché la sua origine (po- tissima pars!) esclude ogni idea di “purez- za”, essa potrà comprendere in sé, assimi- lare-trasformare in sé, ogni popolo e ogni terra, essere Ecumene, essere Orbis, diventare per tutti Asylum.10 Una terza forma di alleanza con lo stato ro- mano erano i foederati, detti anche socii, cioè al- 9 Lomas, Roman Italy. 10 Massimo Cacciari, “Digressioni su impero e tre Rome”, Micromega 5 (2001): 43-63. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 24 leati, con i quali i Romani suggellavano diversi trattati con vari diritti e doveri in base alla situa- zione dei singoli gruppi etnici. Valeva comunque la regola principale del “maiestatem populi Ro- mani comiter conservare” (conservare unanime la forza del popolo romano), secondo la quale i soci collaboravano nelle guerre, ogniqualvolta si trat- tava della salvezza del popolo romano11. Le va- rie popolazioni italiche erano nella maggior par- te quindi foederati, ai quali erano stati concessi dei privilegi in cambio del loro servizio militare a favore dei Romani, come per esempio il conu- bium e il commercium. I Romani creavano con tutti i foederati soltanto alleanze bilaterali che non permettevano loro una politica esterna au- tonoma evitando così che si formassero allean- ze anti-romane. Il compito principale degli alle- ati era di aiutare lo stato romano a difendersi in caso di attacchi, mentre le popolazioni erano del tutto autonome nelle questioni interne. Questo sistema offriva molti vantaggi allo stato roma- no, aveva infatti a disposizione un forte eserci- to e non investiva risorse finanziarie nell’ammi- nistrazione di tutto il territorio italico. Inoltre i Romani mantenevano il controllo politico su tutto il territorio, mentre alle popolazioni allea- te non era permesso allearsi tra di loro. Il gruppo più ristretto e più elitario era certamente quel- lo dei cittadini con tutti i diritti romani, ai quali seguivano un numero maggiore di cittadini sine suffragio. Le possibilità di ottenere queste diverse for- me di cittadinanza romana erano varie. Il modo più diffuso e comune era quello che Roma con- cedesse la cittadinanza ad un determinato grup- po di persone, etnico e politico. Le fonti antiche testimoniano che questo tipo di conferimento della cittadinanza era considerato da parte del- la comunità come una punizione, perché perdeva la propria autonomia e diventava quindi politi- camente sottomessa a Roma12. I Romani fonda- vano colonie con cittadini sine suffragio in quel- le posizioni strategiche che permettevano loro di 11 Adrian Nicholas Sherwin.White, The Roman Citizenship (Ox- ford: Oxford University Press, 1939). 12 Sherwin.White, The Roman Citizenship. controllare meglio il territorio13. D’altra parte le colonie latine erano invece più grandi e organiz- zate nei territori con un livello basso di urbaniz- zazione con lo scopo di sollecitare l’emigrazio- ne della popolazione romana in queste terre. Già nell’anno 296 a. C. alcune popolazioni strinse- ro un patto di alleanza che insidiò gravemen- te Roma. Da allora in poi i Romani fondavano solo colonie con cittadini sine suffragio nell’Ita- lia centrale formando così una fascia di territorio che correva attraverso tutta la penisola, dal mare Adriatico al mare Tirreno, dividendo così le po- polazioni settentrionali da quelle meridionali e fermando ogni tentativo di alleanze tra le popo- lazioni italiche che appunto non avvenne fino all’anno 90 a. C. Il senso di appartenenza etnica delle popolazioni italiche prima e dopo la guerra sociale I trattati tra lo stato romano e le altre popolazi- oni della penisola italica permettevano da una parte a Roma di avere una forza militare cospic- ua, dall’altra invece portarono ad uno squilibrio politico tra gli alleati e lo stato romano. Le popo- lazioni italiche si rendevano conto della propria forza militare e chiedevano spesso di inserirsi at- tivamente nel processo politico dello stato roma- no richiedendone la cittadinanza. Il problema dell’assegnazione della cittadi- nanza romana (civitas romana) ai socii era stato più volte oggetto di dibattito nel senato romano, ma non si arrivò mai ad un accordo comune. Al tempo dei fratelli Gracchi nell’anno 125 a. C. la questione fu di nuovo aperta dal console Marco Fulvio Flacco, ma il senato respinse la sua propo- sta. Alcuni anni più tardi il tribuno della plebe Livio Druso con l’aiuto degli alleati italici fece eleggere molte leggi a favore del popolo, agli al- leati aveva invece promesso la legge sulla citta- dinanza romana. Dalle Perioche di Tito Livio si evince che Livio Druso era stato a causa di que- sto odiato e considerato come l’iniziatore del- 13 Lomas, Roman Italy. st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 25 la guerra sociale.14 Quando il senato rifiutò per l’ennesima volta di conferire agli alleati la citta- dinanza romana, il tribuno Livio Druso fu assas- sinato e nel 91 a. C. gli alleati si ribellarono pro- vocando la guerra sociale (91 – 89 a. C.). Otto tribù italiche si allearono in una confederazione politica anti-romana, chiamata Italia con la ca- pitale nella città di Corfino (al centro geografi- co della penisola) ribattezzata per l’occasione an- ch’essa in Italia, ovvero nella lingua degli Oschi in Viteliu. La confederazione coniò anche il pro- prio denaro, sul quale era raffigurato il toro ita- lico che aggredisce e sbrana la lupa romana. I so- cii avevano quindi completamente abbandonato il progetto iniziale di diventare parte dello stato romano e si prefissero uno scopo contrario, cioè formare una nuova entità politica, lo stato itali- co. Gli ideatori del nuovo stato furono i Sanni- ti e i Marsi che erano nel contempo i più acerri- mi nemici dell’espansione romana sulla penisola italica, gli Etruschi e gli Umbri invece decisero di non prendere parte alla confederazione italica15. All’inizio della sedizione i Romani subiro- no molte sconfitte, perché non avevano a dispo- sizione quella forza bellica che prima l’offrivano gli alleati; potevano solo contare sull’aiuto dei Galli della Cisalpina e dei soldati che arrivava- no da lontano. Dopo i successi ottenuti dagli Ita- lici, si aggregarono a loro anche gli Etruschi e gli Umbri. L’anno successivo i Romani decisero di risolvere la questione con la Lex Iulia de civita- te, secondo la quale fu concessa la cittadinanza a quegli alleati che restarono fedeli a Roma, e poco dopo con la Lex Plautia Papiria dedicata a quelli che in sessanta giorni avrebbero abbandonato le armi e si sarebbero aggregati ai Romani, lo status di latinus fu invece attribuito agli abitanti del- la Gallia Cisalpina (Lex Pompeia de Transpada- nis). Già queste leggi cambiarono l’assetto poli- tico della penisola, nonostante la forza politica dei socii era rimasta limitata, dato che erano sta- ti inseriti soltanto in otto tribù territoriali e non 14 »Propter quae Livius Drusus invisus etiam senatui factus velut socialis belli auctor, incertum a quo domi occisus est.« (Livy, Per. 71, 4). 15 Rajko Bratož, Rimska zgodovina (Ljubljana: Študentska založba, 2007). in tutte le trentacinque, quante ce n’erano nello stato romano. I conflitti si protrassero ancora per un anno nella zona dei Sanniti, ai quali venne in aiuto anche il re del Ponto Mitridate. Nell’anno 88 a. C. comunque tutte le ostilità terminarono e tutta la penisola divenne ager romanus. La conclusione della guerra sociale con l’ap- provazione delle leggi però rappresenta “un pun- to di svolta, quando Roma decise di diventare da una città stato con comunità alleate legate con i trattati (in posizione legalmente inferiore) ad uno stato anche territorialmente allargato, nel quale tutti i liberi cittadini hanno una cittadi- nanza unitaria (…). Quelle comunità che pri- ma erano formate dai Latini e dai socii, si sono estinte con l’introduzione di una cittadinan- za romana uguale per tutti. L’assegnazione del- la cittadinanza romana agli abitanti di tutta l’I- talia è diventata la base per la formazione di una coscienza italica e del senso di appartenenza alla comunità italica. Questi cambiamenti etnici si sono poi conclusi nel periodo del principato au- gusteo.”16 Molti ricercatori sono convinti nel pensare che con la guerra sociale il processo di romaniz- zazione delle popolazioni italiche abbia avuto un risvolto decisivo: il rapporto del popolo romano verso gli abitanti della penisola italica cambiò ra- dicalmente: mentre prima della guerra il senato romano aveva perennemente rifiutato la cittadi- nanza agli Italici e non si preoccupava di aggre- gare tutte le popolazioni italiche in una tradi- zione culturale comune, dopo la guerra sociale i Romani cercavano assiduamente di introdur- re sulla penisola italica un comune sentire ita- lico affinché tutti gli abitanti si sentissero parte di una sola comunità, come se tutti avessero una tradizione comune e delle radici comuni, cosa che Augusto riuscì ad ottenere: “il latino era par- lato dappertutto; non c’erano più Etruschi; non c’erano più Sanniti”.17 16 Bratož, Rimska zgodovina. 17 Jorma Kaimio, “The ousting of Etruscan by Latin in Etruria” in Studies in the Romanization of Etruria, ed. Peter Brunn (Roma: Bar- di Editore, 1975): 85-245. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 26 I cambiamenti nell’autocoscienza etnica delle popolazioni italiche prima e dopo la guera sociale Parlare dell’appartenenza o dell’identità etnica vuol dire prendere in considerazione due pun- ti di vista diversi: quella dei “vincitori”, nel nos- tro caso i Romani, e il punto di vista delle popo- lazioni sottomesse, cioè quello degli altri abitanti italici. La maggior parte delle fonti ci descrive il punto di vista dei Romani, che risulta essere più chiaro, mentre invece più complesso è capire il senso di appartenenza etnica delle popolazioni italiche. I Romani La percezione dei Romani è analizzabile attra- verso le fonti degli storici latini e greci, la guer- ra civile fu infatti descritta dai storiografi greci, come Appiano (Bella civilia), Diodoro (rimasti solo alcuni frammenti) e Plutarco (Marius) e da quelli latini, come Tito Livio (su questo periodo ci sono rimaste solo le Perioche), Velleio Paterco- lo e più tardi anche Floro. Per conoscere meglio il rapporto che i Ro- mani avevano nei confronti degli Italici prima della guerra sociale è però necessario analizza- re anche alcuni frammenti delle Origines di Ca- tone, soprattutto dal secondo e terzo libro, nei quali lo scrittore latino si impegna a valorizzare le tradizioni degli italici. Catone infatti si prefig- ge lo scopo di sostenere quelle varianti della tra- dizione secondo le quali erano stati i Sabini il popolo originario della penisola italica, dai quali derivavano tutti gli altri popoli italici dell’Italia centrale. Rileva inoltre l’unità italica che si basa sui mores maiorum e sulle virtù come la fides, au- steritas, virtus, quest’ultima concepita soprattut- to come forza bellica. Porro Lacedaemonios durissimos fuisse omnis lectio docet, Sabinorum etiam m[ai] ores populum Romanum secutum idem Cato dicit: merito ergo »severis«, qui et a duris parentibus orti sunt et quorum dis- ciplinam victores Romani in multis secuti sunt.18 Catone spiega che i Sabini erano duri, per- ché erano stati educati secondo severi principi educativi degli Spartani e continua con l’affer- mazione che proprio così come i Sabini, anche tutti i Romani devono essere coraggiosi e abili nella guerra come lo erano stati i loro antenati. I Sabini mantenevano la propria virtù integra e facevano attenzione a non essere troppo in con- tatto con altre popolazioni19. Come viene spie- gato da Letta, lo scopo principale di Catone era di propagare l’origine italica delle città romane, perciò nella propria opera smentisce le sempre più diffuse leggende sull’origine greca delle cit- tà italiche e si avvicina invece di più alle origi- ni italiche con lo scopo di avvalorare la forza del- le popolazioni italiche come esempio di virtù per i Romani. Tutta l’opera di Catone è segnata da una forte ideologia italica che può essere percepi- ta soprattutto nel secondo e terzo libro, nel quale Catone spiega l’origine e lo sviluppo delle singo- le tribù che avevano abitato o abitavano la peni- sola italica. Il rapporto di Catone verso gli Itali- ci rimane comunque ambiguo; dal passo citato si può interpretare che Catone fosse stato convinto delle origini sabine dei Romani (a parentibus orti sunt). Purtroppo i rari frammenti non possono darci un quadro più dettagliato e chiaro del rap- porto di Catone verso gli Italici. Potremmo de- durre che lo scrittore romano pensava ad un ori- gine comune dei Romani o forse che i Romani fossero stati una mescolanza etnica tra gli Etru- schi, i Sabini e i Latini, il che probabilmente era anche l’opinione più diffusa a Roma. Non pos- siamo però capire il rapporto di Catone verso gli altri popoli italici, che venivano invece conside- rati dei nemici dai Romani, come viene spiegato da Tito Livio nel suo racconto sulla guerra socia- le. Lo storico romano appoggia la linea ufficiale 18 Fr. 93 = ORF3 128 19 Cesare Letta, “I legami tra i popoli italici nelle Origines di Cato- ne: tra consapevolezza etnica e ideologia” in Patria gentibus diversis una? Unità politica e identità etniche nell’Italia antica, ed. G. Urso (Pisa, 2007): 171-195. st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 27 della repubblica romana e descrive la guerra dal punto di vista dei vincitori. Complures populi ad hostes defecerunt. Cum P. Rutilius cos. parum prospere ad- versus Marsos pugnasset et in eo proelio cecidisset, C. Marius, legatus eius, meliore eventu cum hostibus acie conflixit.20 Elencando i vari gruppi etnici, come per es. i Marsi che si sono aggregati ai nemici, Livio spie- ga che la guerra civile era una guerra contro un nemico esterno, poiché per gli Italici era usato il termine “hostes”. Tra le fonti del principato augusteo citiamo invece Strabone, che nel primo libro della sua storia ci trasmette la descrizione delle popolazio- ni italiche del suo tempo e un’interessante infor- mazione: Καì νυ#ν [Ρωμαίοι μέν ει]σìν a[pάντες, ου] δeν δ‘’ h[;tton [;Ombroi τe ti;νες λέγονται καì Τυρρεωοì, καθάpερ ]Ενετοì καì Δίυθες καì Ινσούβροι.21 Le popolazioni italiche si chiamano tra di loro con i propri nomi, però nel contempo sen- tono l’appartenenza politica ad un stato soltan- to e sono perciò cittadini dell’impero romano. Quindi ancora nel periodo del principato la loro identità resta ben definita, perché differiscono dal popolo romano mantenendo il loro nome il che è uno dei criteri principali per la definizione dell’identità di un gruppo etnico. Se quindi gli appartenenti alle singole popolazioni italiche si chiamavano tra di se ancora con il proprio nome, significa, che era ben radicato il loro senso di ap- partenenza al gruppo etnico e non invece al po- polo romano. Strabone dimostra inoltre che an- cora verso la fine del primo secolo a. C. le singole popolazioni mantenevano viva la propria auto- coscienza e nonostante si siano inseriti nello sta- to romano, si identificavano ancora col proprio gruppo etnico. La stessa problematica viene trattata anche da Cicerone nel De legibus, quando afferma che 20 Livy, Epit. 73.3-4. Livio usa lo stesso termine »hostes« anche in altri passi: Livy, Per., 73, 6; 75, 4, 6. 21 Strabo, 1, 10. ogni cittadino romano ha due patrie: la prima è quella, dove ogni cittadine era nato, la seconda quella che lo ha adottato: omnibus municipibus duas esse censeo patrias, unam naturae, alteram civitatis... sed necesse est caritate eam praestare, qua rei publicae nomen universae civitatis est; pro qua mori et cui nos totos dedere et in qua nostra omnia ponere et quasi consecra- re debemus. Dulcis autem non multo secus est ea, quae genuit, quam illa, quae excepit.22 Entrambe le patrie sono certamente mol- to vicine al cuore di ognuno, ma il retore roma- no aggiunge che secondo lui bisognerebbe dare la precedenza a quella più ampia. Anche il sen- so di appartenenza al territorio rientra infatti tra i criteri per la definizione del gruppo etnico: Ci- cerone nel proprio lavoro richiama l’attenzione al dilemma dei cittadini romani, abitanti del- le province italiche che sentivano una lacerazio- ne interna tra la propria patria e lo stato romano: sentivano infatti una forte connessione con le proprie radici, ma facevano già parte della nuo- va patria. Anche per gli scrittori latini dell’età impe- riale la guerra sociale e le popolazioni italiche rappresentano un interessante tema, descriven- dolo però da un punto di vista diverso. Velleio Patercolo, storico dell’epoca augustea, elenca la causa della nascita della guerra sociale come una risposta lecita alla repressione di quella gente che difendeva lo stato con le proprie armi e che offri- vano un numero doppio di soldati e cavalieri; lo storico romano giustifica il fatto avvenuto come la ribellione di una parte della popolazione che però faceva parte dello stesso popolo e addirittu- ra della stessa gente: quorum ut fortuna atrox, ita causa fuit ius- tissima; petebant enim eam civitatem cui- us imperium armis tuebantur; per omnes annos atque omnia bella duplici numero se militum equitumque fungi neque in eius civitatis ius recipi quae per eos in id ipsum pervenisset fastigatum ex quo eiusdem et 22 Cic. Leg. 2, 2, 5. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 28 gentis et sanguinis ut externos alienosque fastidire posset.23 Patercolo usando il termine “sanguinis” fa capire che le popolazioni italiche erano secon- do lui imparentate tra di loro, il che però non è una condizione essenziale dell’appartenenza allo stesso gruppo etnico. Lo storico vuole però sot- tolineare degli stretti legami genealogici tra il popolo romano e quelli italici con due termini, “gens” e “sanguis”, che erano considerati come dei criteri essenziali per l’appartenenza ad un unico gruppo etnico. Una testimonianza molto simile viene fornita da Floro, scrittore del secon- do secolo dopo C.: Quippe cum populus Romanus Etruscos, Latinos, Sabinosque sibi miscuerit et unum ex omnibus sanguinem ducat, corpus fecit ex membris et ex omnibus unus est.24 Floro con la metafora di un unico corpo con più membra rappresenta chiaramente il rappor- to tra i Romani e gli Italici, e pone l’accento, che tutti erano originari da un unico sangue “unum ex omnibus sanguinem”. Un’altra fonte della guerra sociale è Appia- no, che nel suo primo libro della storia romana spiega le cause della guerra sociale; prima di elen- carle, racconta il lavoro politico di Gaio Gracco rilevando il suo impegno nell’inserire i Latini nell’amministrazione della repubblica: Καì τους Λατίνους ε]pì πάντα e]κάλει τα [Ρwμαίων, w[ς ου]κ ευ]τρέpως συγγενέσι τής βουλής a]ντιστήναι δυναμήνες.25 Anche Appiano mette in risalto i legami di sangue tra i Latini e i Romani usando il termine συγγενέσι, quindi la stessa origine genealogica, cioè appartenenti alla stessa stirpe. Quando inve- ce parla delle popolazioni italiche, usa il termine “συμμάχες”, quindi commilitone, non cita inve- ce nessun legame parentale e nessun collegamen- to tribale tra di loro. Soltanto quando comincia a raccontare della guerra sociale, la chiama addi- 23 Vell. Pat., 2. 15. 2. 24 Flor., 2,6,1. 25 App. Sam. 1, 99. rittura “guerra civile” - ε]μφύλιον pόλεμον (App. Sam. 1, 178), una guerra fratricida quindi all’in- terno della stessa popolazione. Analizzando quindi la descrizione del- la guerra sociale tra gli storici romani e greci nell’arco di un po’ più di un secolo si può nota- re uno spostamento e una diversa visione dei fat- ti proprio riguardo al concetto d’identità etnica sia del popolo romano, ma soprattutto delle po- polazioni italiche. Tito Livio considerava gli Ita- lici come dei “nemici” e degli “stranieri”. Velleio Patercolo che era un po’ più giovane di Livio e più tardi anche Floro credono invece che le po- polazioni italiche fossero appartenenti allo stes- so gruppo etnico e alla stesso stirpe genealogica. Floro all’inizio parla ancora di Sabini, Latini e Romani, che dopo si sono congiunti in un uni- co corpo “unum ex omnibus sanguine”. Velleio Patercolo invece con la definizione precisa “eiu- sdem et gentis et sanguinis” dimostra la perce- zione che tutti gli Italici erano appartenenti alla stessa popolazione e alla stessa stirpe. Dello stes- so parere era anche lo storico greco Appiano che chiama la guerra sociale addirittura “guerra ci- vile”, quindi una battaglia tra appartenenti allo stesso stato e alla stessa popolazione, il che indi- ca che la percezione delle popolazioni italiche si è trasformata radicalmente nel giro di qualche de- cennio; il passo più grande è stato fatto nell’età augustea come si è potuto vedere dai pensieri di Cicerone e Livio che considerano gli Italici anco- ra come nemici. Il punto di vista delle popolazioni indigene Il rapporto dei Romani vincenti nei confron- ti degli Italici è quindi chiaro; molto più comp- lesso è invece capire che cosa pensavano gli Itali- ci di se stessi. La problematica dell’autocoscienza delle singole popolazioni è molto articolata, dato che si parla d1i un livello psicologico che è dif- ficilmente percepibile a distanza di tanti secoli; ci rimane quindi soltanto l’analisi delle singole forme e criteri che definiscono l’appartenenza ad un gruppo etnico, cioè il modo in cui le singole popolazioni sentivano la propria identità. L’ana- st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 29 lisi è maggiormente ostacolata dalle scarse fon- ti che potrebbero fornirci qualche informazi- one in più sulla coscienza della propria identità. Ci manca soprattutto una tradizione letteraria originale che potrebbe direttamente offrire uno squarcio dei pensieri sulla vita e sull’identità di queste popolazioni. Ci rimangono comunque al- cune testimonianze indirette dagli scrittori greci e latini, alcuni documenti epigrafici, soprattutto per il popolo degli Etruschi. Tra i criteri di appartenenza ad un gruppo etnico rientra l’uso della lingua. Fino alla fine del 3° secolo a. C. il latino è diventato la lingua di comunicazione anche nelle più piccole comunità e tribù della repubblica. In breve tempo svanì la lingua dei Volsci, nelle iscrizioni osche invece si possono notare molte interferenze con il latino. Con la graduale espansione dello stato romano anche la lingua latina ebbe la sua larga espansio- ne, ma nonostante ciò non fu possibile estirpare così velocemente tutti gli idiomi locali. La buona conoscenza del latino è dimostrata anche dal fat- to che molti autori latini, nati fuori Roma, cono- scevano e usavano perfettamente il latino come lingua letteraria illustre. Nel secondo secolo a. C. il latino è diventato la lingua del commercio e di comunicazione tra diverse tribù italiche, ma “le parlate autoctone mostravano ancora la propria vitalità nonostante l’uso sempre più frequente del latino. (…) Qualcuno potrebbe supporre che le popolazioni e le tribù nel secondo secolo a. C. si rendevano conto della propria diversità che li distingueva dai Romani. Il loro innato e illimi- tato amore per l’autonomia era la causa principa- le delle loro reazioni ai fatti esteri.”26 All’epoca della fioritura della repubblica romana esiste- va quindi ancora una certa differenziazione tra il popolo romano e le restanti popolazioni ita- liche, il che lo dimostra l’uso assiduo della pro- pria lingua e scrittura. Nel primo secolo a. C. il problema stava diventando sempre più sentito, i Romani insistevano sulla differenziazione per distinguersi dagli Italici sia culturalmente sia po- liticamente, mantenendo soprattutto i privilegi 26 Edward Togo Salmon, The Making of Roman Italy (London: Cornell University Press, 1985). che non erano concessi alle popolazioni italiche. Chiaro è che ai tempi della repubblica i Roma- ni non avevano nessuna intenzione di assimila- re gli Italici, anche la latinizzazione delle parlate locali della penisola era di minore interesse; sol- tanto a livello locale era permesso l’uso della lin- gua indigena nelle faccende che riguardavano il municipium stesso. Un esempio di questi cam- biamenti è fornito da Livio, secondo il quale la città di Cuma raccolse una petizione richieden- do fosse usato il latino come lingua ufficiale del municipium; questo diritto gli è stato poi conces- so da parte del senato romano.27 Quest’esempio ci dimostra che nelle pratiche comuni della città veniva usata la parlata locale e non il latino. Gli storici romani comunque non approfondiscono la questione della politica linguistica romana, il che ci dimostra che il problema neanche si pone- va. Erano soltanto interessati al fatto che il latino diventasse la lingua di comunicazione e nel con- tempo non si prefiggevano lo scopo di estirpare le parlate locali. D’altra parte la conoscenza della lingua latina era utile agli abitanti della peniso- la italica perché potevano così ottenere privilegi, commerciare e mantenere i contatti con il mon- do esterno. Kaimio del resto mette in risalto il fatto che i Romani non avevano nessun interes- se ad allargare la propria lingua e cultura, perché così facendo avrebbero dato una ragione e una possibilità in più agli italici di aggregarsi contro di loro, mentre nel loro interesse era mantenere la dispersività delle tribù italiche. In sostanza fino alla guerra sociale i Romani volevano mantener- si ben lontani dalle popolazioni italiche e accen- tuavano la loro diversità sia culturale che lingui- stica e collegata a questa anche quella etnica. Dopo la guerra sociale invece le cose cam- biarono: gli abitanti della penisola italica diven- nero sul piano politico cittadini romani, e an- che la diffusione del latino divenne più marcata; le lingue come quella etrusca, messapica, sabina cominciavano ad estinguersi. La latinizzazione della penisola italica è collegata anche alla con- quista politica dei territori ed è ovviamente più 27 »Cumanis eo anno petentibus permissum, ut publice Latine loquerentur« (Livy, Per. 40.42.13) st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 30 forte e avanzata in quei territori che erano più vi- cini a Roma; un ruolo importante era svolto dal- le infrastrutture, come le strade, le città, le colo- nie ecc. e proprio perciò è chiaro perché le città più vicine al mare si svilupparono presto in cen- tri multiculturali, mentre invece quelle all’in- terno rimanevano nella mani delle popolazioni italiche. Kaimio del resto individua che alcune scritte in certe lingue italiche si sono mantenute a lungo anche dopo la conquista romana del ter- ritorio, e come esempio cita soprattutto le scritte messapiche al sud dell’Italia: la lingua messapica infatti rimase lingua di comunicazione fino alla fine della repubblica28. Diversa era invece la situazione della lingua greca che si mantenne a lungo nella parte meri- dionale della penisola addirittura a tal punto che ancora oggi esistono comunità greche sulla peni- sola italica. Le cause di questa vitalità della lin- gua sono molto chiare: le colonie greche avevano mantenuto da sempre un rapporto molto stret- to con le proprie metropoli che offrivano alle co- lonie un sostegno continuo e anche un supporto culturale assiduo. La lingua greca manteneva un alto livello di prestigio sociale in tutta l’area me- diterranea dato che era diventata il modello cul- turale. Il privilegio sociale del greco non è quindi comparabile a quello delle altre lingue italiche. Mentre quindi il latino si stava espandendo sempre di più, le lingue italiche erano in estin- zione, fatto che può dimostrare anche un basso livello di autocoscienza etnica delle popolazioni italiche. La causa di un declino così veloce delle parlate locali può essere attribuito a diversi fatto- ri, tra i quali vanno elencati soprattutto un basso livello di istruzione, la mancanza di un sistema scolastico che avrebbe potuto trasferire tradizio- ni, cultura, lingua e conoscenze e con questo an- che un’identità etnica alle generazioni più giova- ni. Questi fattori erano al contrario molto ben presenti nelle colonie greche che mantenevano viva la propria lingua e le curavano29. 28 Oronzo Parlangeri, Studi messapici (Milano: Istituto Lonbardo di scienze e lettere, 1960). 29 Livy, Per., 24.3.11; Vell. Pat. 1.4.2. Le confederazioni politiche che nascevano tra le varie popolazioni erano soltanto alleanze con lo scopo principale di una ribellione anti-ro- mana. Queste confederazioni si costituivano di solito in base a un denominatore comune che però era ogni volta diverso: a volte si aggregava- no popolazioni sul principio delle loro credenze religiose, altre della volontà politica; queste con- federazioni non nacquero però mai su un prin- cipio etnico, in base al quale le tribù avrebbero potuto aggregarsi, perciò non si formò neanche mai un’entità politica su base etnica. La mancan- za di questo elemento comune ha portato anche al fatto che le fondamenta, sulle quali nacque- ro queste confederazioni, si sgretolarono presto, dato che le popolazioni non avevano una creden- za comune, dei miti, leggende, cultura e religione comuni, il che avrebbe potuto aumentare il loro senso di appartenenza ad un gruppo. Ciò non si- gnifica che le tribù italiche erano assolutamente indifferenti alle proprie credenze cioè alla pro- pria identità; molte popolazioni avevano la pro- pria memoria storica e i propri miti sulle loro ori- gini il che manteneva viva anche la loro identità. Ma questa identità era evidentemente troppo de- bole per potersi mantenere nel tempo. Il senso di appartenenza degli Etruschi e dei Sanniti Cercheremo adesso di definire l’identità etni- ca nel caso di due popolazioni italiche che ris- posero diversamente alle conquiste romane sul- la penisola italica. Saranno presi in esame da una parte gli Etruschi che raggiungevano secondo le fonti antiche un alto grado di acculturazione, e i Sanniti, che rappresentano invece l’antitesi de- gli Etruschi sul piano culturale, mentre invece a livello militare erano molto efficaci e riuscirono a lungo a opporsi all’espansone romana. Il rap- porto che i Romani avevano nei confronti di en- trambe le popolazioni mostra una viva ambiv- alenza, poiché rispondevano diversamente alle sommosse degli uni e degli altri. L’esame delle due popolazioni prenderà in considerazione so- prattutto la loro autocoscienza etnica. st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 31 Luciana Aigner Foresti ha cercato, in base a diverse fonti storiche, epigrafiche e letterarie, di capire il grado di autocoscienza degli Etruschi analizzando i vari vincoli culturali, politici e re- ligiosi che portarono gli Etruschi ad una omo- geneità culturale e coscienza di se stessi come di una popolazione autonoma che si rendeva con- to della propria specificità e si differenziava dagli altri30. Sul piano politico ci sono stati diversi ten- tativi, dai quali si può evincere il desiderio degli Etruschi di raggruppamento all’interno del po- polo stesso. Oltre alle varie iscrizioni e fonti sto- riche che mettono in risalto il fatto che gli Etru- schi chiamavano tutti se stessi Rasna31, bisogna sottolineare l’aggregazione politica delle dodici città etrusche che spesso intervenne nel confron- ti dei Romani come un’unità politica autonoma e omogenea. Esistono tra gli storici ancora posi- zioni diverse riguardo a questa unità politica del- le dodici città etrusche: molti non sono convin- ti che in realtà esistesse davvero, sottolineando che l’ordinamento politico degli Etruschi era si- mile a quello greco delle città-stato e che in real- tà questa confederazione non fosse in realtà mai esistita. Tra i fattori che determinano un gruppo etnico c’è anche la memoria storica che era per gli Etruschi veramente molto ben definita, dato che conosciamo la divisione della storia etru- sca in dieci saecula32. Ci sono rimasti anche al- cuni frammenti delle Tuscae Historiae nei testi dello scrittore romano Censorino che ci dimo- strano una viva coscienza della propria memoria storica comune degli Etruschi e che del resto vie- ne anche sottolineata negli affreschi delle tombe sul mito di Rasenna, sul re Mastarna o su fratelli Vipina. Anche gli scrittori romani sono convin- ti che gli Etruschi avessero cura dei propri albe- ri genealogici33. Quando gli Etruschi parlavano della propria storia, si parlava sempre di Rassena, 30 Lucia Aigner Foresti, “Gli Etruschi e la loro autocoscienza” in Au- tocoscienza e rappresentazione dei popoli nell’antichità, ur. Marta Sordi (Milano: Vita e pensiero, 1992), 93-113. 31 Dion. Al. 1.30.3 32 Marta Sordi, “I saecula degli Etruschi e gli ostenta” Rivista storica ita- liana 114, no. 3 (2002), 715-725. 33 Pers. 3.27; Orazio su Mecenate. probabilmente però consideravano se stessi come un popolo autoctono, come scrive Dionisio D’A- licarnasso, che “pur dedicando grande spazio al problema dell’origine degli Etruschi, non si sof- ferma a raccontarci esplicitamente cosa gli Etru- schi stessi pensavano sulla loro origine, anche se è probabile che se fossero stati di parere diverso dal suo, ce lo avrebbe detto e lo avrebbe discus- so«34 Secondo il parere di Dioniso quindi gli Etruschi sarebbero stati una popolazione autoc- tona con le proprie origini nell’eroe Rassena. Tra i fattori principali della coscienza degli Etruschi la Foresti elenca anche il fatto che più tardi Au- gusto aggregò tutte le città etrusche in un’uni- ca regione, la VIIa regio, Strabone invece ci te- stimonia che la definizione terminologica per gli Etruschi Τυρρήνοι veniva usata ancora nel 1° se- colo dopo C.35 Il fattore identificativo più importante per la dimostrazione di una forte coscienza etnica degli Etruschi è proprio la loro dimensione re- ligiosa. Propria la religione è quel settore per il quale gli Etruschi erano anche molto conosciu- ti: i loro dei, le credenze, incontri al Fanum Vol- tumnae, dove i rappresentanti di varie città etru- sche sacrificavano insieme agli dei o anche molto famosa era la loro aruspicina, cioè l’arte di pre- dire il futuro interpretando i segni della natura. L’insieme di tutti questi fattori ci dimostra un forte senso di appartenenza alla comunità reli- giosa etrusca. Attraverso queste testimonianze gli Etru- schi svilupparono anche la loro memoria storica e consolidarono le proprie tradizioni culturali e politiche, il che ci indica che il loro senso d’iden- tità etnica era la conseguenza di una scelta volon- taria e quindi aprioristicamente era molto forte e ancorato. Questo viene confermato dal loro de- siderio di mantenere vive le proprie tradizioni il che è uno dei fattori più importanti per l’iden- tificazione etnica. I resti archeologici dimostra- no nel contempo anche un forte sviluppo artisti- co che era impregnato sì anche di cultura greca, ma che manteneva alcune caratteristiche che gli 34 Foresti, “Gli Etruschi e la loro autocoscienza”, 93-113. 35 Strabo, 1, 10 st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 32 davano una patina identificativa particolare. Ol- tre a tutto ciò bisogna anche aggiungere che gli Etruschi avessero mantenuto la loro lingua e la loro scrittura ancora a lungo come lo testimonia- no le iscrizioni. Soltanto nel primo secolo dopo C. la scrit- tura e la lingua etrusca stavano cominciando ad estinguersi e prendevano posto la lingua e la scrittura latina. Come menzionato all’inizio la lingua non è l’unico criterio di identificazione di un gruppo etnico, è però anche vero che è un fat- tore importante e in molti casi è proprio la lingua quella che accomuna gli appartenenti ad un uni- co gruppo etnico e mantiene la loro identità. Se gli Etruschi sono quindi considerati anche una comunità linguistica, nel loro caso fu proprio la lingua, il primo fattore che venne trascurato. La storica Marta Sordi ha a lungo studiato la storia etrusca arrivando alle conclusioni che gli Etru- schi si rendevano conto della propria fine e que- sto sia dal punto di vista politico che anche cul- turale ed etnico, poiché si stavano per terminare i famosi dieci saecula che erano previsti per la loro storia; perciò hanno cominciato di proprio conto a tradurre i propri testi in latino con lo sco- po di mantenere vivo il ricordo degli Etruschi, le loro tradizioni, la loro religione soprattutto all’interno dello stato romano36. Brunn ci fa sa- pere invece che se gli Etruschi tralasciarono la propria lingua relativamente presto, mantenne- ro invece a lungo le proprie tradizioni sepolcrali e non si assimilarono alle tradizioni romane37. Tra tutte le popolazioni italiche furono infatti pro- prio gli Etruschi quelli che si distinguevano di più dai Romani, erano culturalmente coscienti, avevano la propria lingua e scrittura, la propria religione e le proprie tradizioni, erano però i pri- mi ad accorgersi che avrebbero dovuto abbando- nare la propria lingua e il proprio nome. La Sor- di aggiunge che erano anche gli unici che però dall’altra parte mantennero anche all’epoca del tardo impero i propri culti religiosi e influirono parecchio sulla concezione religiosa dei Romani. 36 Marta Sordi, “Il paradosso etrusco: il “diverso” nelle radici profonde di Roma e dell’Italia romana” in Patria gentibus diversis una? Unità po- litica e identità etniche nell’Italia antica, ed. G. Urso (Pisa, 2007), 89-97. 37 Brunn, Studies in the Romanization of Etruria. Nella cultura romana hanno portato la propria arte dell’aruspicina che i Romani mantenevano viva ancora per molti secoli dopo che il nome de- gli Etruschi era già scomparso. Le conclusioni quindi ci portano a credere che gli aristocratici Etruschi avessero una forte coscienza di se stessi e della propria appartenenza ad una comunità etnica autonoma che aveva an- che delle connotazioni politiche, artistiche, cul- turali e religiose. Un tale sviluppo ha permesso che la classe d’elite avesse sviluppato un senso di superiorità sulle altre popolazioni italiche e po- teva perciò anche controllarli. Questo lo testi- monia anche Catone, quando dice che probabil- mente tutta l’Italia era sottomessa agli Etruschi. 38 Nonostante un’autocoscienza così sviluppa- ta però non potevano fermare il processo di ro- manizzazione che avrebbe comunque portato gli Etruschi ad abbandonare la propria lingua e anche il proprio nome, anche se, grazie alla loro lungimiranza ebbero la possibilità di arricchire con le proprie tradizioni e sapere la cultura ro- mana. Per una diversa strategia di opposizione allo stato romano invece optò la popolazione sanniti- ca che viene descritta da Livio: Bello non abstinebant: adeo ne infeliciter quidem defensae libertatis taedebat et vinci quam non temptare victoriam malebant.39. Dalla storia di Livio e da altre fonti pos- siamo capire che i Sanniti erano uno dei popo- li più belligeranti, contro i quali i Romani aveva- no combattuto. Per loro la libertà politica era il valore più alto, per la quale volevano combatte- re fino all’ultimo. Da questo potremmo dedurne che anche la loro autocoscienza era alta. I Sanniti erano anche i primi a chiamare la penisola itali- ca “Italia” per aggregare tutte le popolazioni ita- liche nella guerra contro Roma. Sui Sanniti non ci sono molte fonti, i resti della loro cultura sono scarsi, sia sul piano arche- ologico che su quello storico non disponiamo di molte informazioni, perciò capire il loro livello 38 »quia in Tuscorum iure paene omnis Italia fuerat« (Cato, Orig. 2. 67) 39 Livy Epit. 10. 31.14 st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 33 di autocoscienza è più difficile. Intanto si pone già subito all’inizio la domanda se i Sanniti si consideravano come una popolazione unitaria o erano soltanto un insieme di varie tribù in par- te sviluppate culturalmente. Riguardo al loro li- vello di autocoscienza cercheremo di analizzarlo sulla base della loro organizzazione politica, cul- turale e religiosa. I Sanniti non conoscevano l’organizzazione politica in municipia come i Romani e non co- noscevano neanche le città-stato dei Greci e de- gli Et uschi. La loro unità politica erano i touto, cioè comunità di abitanti, ai quali presiedevano i sacrati – sacerdoti. Non possiamo quindi parlare di un’unica unità politica, ma al massimo di una confederazione di touti. I tentativi di organizza- zione delle tribù sannitiche si basavano sulla for- ma “pagano-vicana”, dato che l’unità principale era il pagus, cioè il villaggio come il centro abita- tivo dei Sanniti, l’organizzazione urbana invece non era presente dai Sanniti. Questa popolazio- ne venne in contatto con la politica espansioni- stica di Roma nel quarto e terzo secolo a. C., ma i Sanniti si opponevano molto efficacemente ai Romani, aggregandosi agli Oschi e fondando la lega sannitica. Si trattava di una forte lega mili- tare e politica che aveva anche un fattore religio- so, ma lo scopo principale rimaneva comunque la politica antiromana. I Romani non riuscirono a trovare appoggio in questo caso nei ceti aristo- cratici dei Sanniti, come per esempio sono riu- sciti a farlo con i Campani, gli Apuli e i Ligu- ri, perciò si è arrivati alle guerre sannitiche. Più tardi la lega sannitica si congiunse anche con il re Pirro, mentre durante l’assedio di Annibale alla fine del terzo secolo non si trovano più trac- ce della lega. Riguardo all’aspetto religioso le tribù san- nitiche non avevano una dimensione religio- sa comune. Le divinità principali erano quelle uguali alle altre popolazioni italiche, tra le quali si cita soprattutto il Ver sacrum, durante il quale si sacrificava bestie e oggetti alle divinità. Questo rito rappresentava un rito comune a tutte le co- munità italiche, ma soltanto i Sanniti lo prefig- gevano regolarmente sul proprio territorio. Per i Sanniti era infatti tipica la polilatria, cioè la ve- nerazioni di più divinità sullo stesso luogo. L’i- scrizione di Anona nella lingua osca testimonia che in quel luogo erano venerati 17 divinità. La lingua dei Sanniti, chiamata lingua osca dalle popolazioni che abitavano questi territo- ri prima, mostra un alto livello di sviluppo: le iscrizioni infatti mostrano che si basava su rigi- de e ben definite regole grammaticali. Era diffu- so in tutta la penisola italica ed era usato da tut- te le popolazioni della Sicilia settentrionale, dai Lucani e Mamertini fino agli Umbri. Le regole grammaticali sono molto simili a quelle latine, solo a livello fonologico, morfologico e ortografi- co sono evidenti delle chiare differenze. I Sanni- ti avevano anche una tradizione letteraria come viene testimoniato da Livio, purtroppo però nul- la è rimasto. In sostanza, dai dati che ci sono noti, non possiamo parlare di un alto grado di autoco- scienza tra i Sanniti, almeno non così come dagli Etruschi. Avevano sì una vita politica organizza- ta, rappresentata da una forma di confederazione politica di diverse tribù; sul piano religioso non ci è possibile ricostruire qualche elemento iden- tificativo che li distinguerebbe dalle altre popo- lazioni italiche. Avevano sì la propria lingua e la propria tradizione letteraria, ma ne uno ne l’al- tro non può essere un fattore definitivo per avva- lorare una sviluppata coscienza etnica. Rimane comunque da capire perché erano stati proprio i Sanniti a opporsi il più a lungo ai Romani, come lo si può capire dalle fonti storiche. A differenza degli Etruschi che si sono sottomessi alla pressio- ne politica romana e l’hanno accettato cercan- do di inserirsi il più produttivamente possibile nel processo politico romano, i Sanniti dall’al- tra parte invece si sono opposti assiduamente a ciò. Le guerre sannitiche che si svolgevano anco- ra nel quarto e terzo secolo a. C. sono la prova di un aspro conflitto tra due antagonisti equivalen- ti, che si consideravano l’un l’altro dei “hostes”. Questo fattore storico convalida la supposizio- ne che un gruppo etnico comincia a prendere co- scienza di se o fortifica la propria autocoscienza quando arriva un nemico esterno. Questo è suc- cesso probabilmente per i Sanniti che fino all’ar- st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 5 (2 01 7) , š t ev il k a 2 34 rivo dei Romani erano stati soltanto una confe- derazione di villaggi, non una popolazione che aveva coscienza di se. Quando invece arrivò un nemico comune, si fondò la lega sannitica, basata non su interessi politici, religiosi e culturali, ma su quelli anti-romani. I Sanniti quindi probabil- mente avevano un basso livello di autocoscienza, e non si sentivano appartenenti alla stessa comu- nità etnica. Conclusione Dall’analisi di questi due casi si può capire che il livello di autocoscienza dei singoli popoli italici era molto diverso e divergente: mentre gli Etrus- chi avevano un alto livello di autocoscienza e un livello sviluppato di appartenenza al proprio gruppo etnico, i Sanniti non avevano una situ- azione così sviluppata. Allo stesso modo anche la tradizione culturale delle popolazioni italiche non poteva opporsi alla romanizzazione cultur- ale e anche una debole coscienza etnica non po- teva mantenere la loro autonomia. Prendendo in considerazione tutti questi fattori il senato roma- no riuscì relativamente presto a risolvere il prob- lema dei socii: subito quando fu offerta agli Italici la cittadinanza romana, tutti gli sforzi di fond- are uno stato italico svanirono. Da allora in poi l’atteggiamento dei Romani nei confronti deg- li Italici cambiò, non erano più visti come “ex- terni” o “nemici”, ma si cercavano invece le rad- ici comuni e gli Italici diventarono addirittura consanguinei. A causa di una debole autocosci- enza degli italici il processo di romanizzazione a livello culturale fu abbastanza veloce, poiché nel giro di qualche decennio le popolazioni italiche abbandonarono il proprio nome, la propria lin- gua e scrittura. Cambiò appunto anche l’atteg- giamento dei Romani nei confronti degli itali- ci, fatto dovuto però anche alla forte propaganda augustea per formare un’unità culturale e politi- ca unitaria, cioè l’Italia. Povzetek V obdobju med zavezniško vojno (91 – 88 pr. Kr.) je priš- lo do pomembnih sprememb pri vprašanju etnične pri- padnosti italskih ljudstev. Avgustov politični program je stremel za poenotenjem celotnega italskega polotoka v eno samo politično, kulturno in etnično enoto, kar pa še v času zavezniške vojne ni bilo tako samoumevno. Pri- mera Etruščanov in Samnitov jasno prikazujeta razlike v nivoju samopodobe in etnične zavesti različnih ljudstev v Italiji: medtem ko so imeli prvi visoko razvito kulturo in posledično tudi zavest o lastni etnični pripadnosti, Sa- mniti in številna druga ljudstva tega niso imela, zato pa so se lažje vključevala v rimsko državo. V trenutku, ko je Rim predlagal državljanstvo vsem italskim ljudstvom, se je tudi odnos do teh ljudstev spremenil: niso bili več »externi« ali »nasprotniki«, temveč so v zgodovinskih in mitografskih zgodbah iskali skupne bratske korenine. Italska ljudstva so se sicer odrekla svojemu imenu, nava- dam, kulturi in tradicijam, nekatera od teh (predvsem Etruščani) pa so rimski kulturi zapustila svoje navade. Cesarju Avgustu je tako s svojim političnim progra- mom uspelo ustvariti kulturno enoto po geslu: »Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua«.40 Summary In the period between the Allied War (91 – 88 BC) there were important changes in the ethnic question of Italian peoples. The Augustan political program sought to uni- fy the entire Italian peninsula into a single political, cul- tural and ethnic unit, which, however, was not a self-ev- ident before and during the Allied War. The examples of Etruscans and Samnites clearly show the differences in the level of self-image and ethnic awareness of differ- ent peoples in Italy: while the first had highly developed culture and, consequently, the awareness of their own ethnic affiliation, the Samnites and many other peoples did not have it and therefore, were easily subjected to the Roman state. At the moment when Rome proposed cit- izenship to all the Italians, the attitudes to there peoples was also changed: they were no longer “externa” or “op- ponents”, but in the historical and mythographic stories they sought common fraternal roots. The Italian peo- ple have renounced their name, habits, culture and tra- ditions, while some of them (especially Etruscans) have abandoned their habits to Roman culture.Thus, with his political program, Emperor Augustus managed to cre- ate a cultural unit after the motto from his Res gestae: “Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua”. 40 Aug. Res gestae, 25. st ud ia universitatis he re d it at i i c a m bi a m en ti et n ic i s u ll a pe n is o la It a li c a d a ll a g u er r a so c ia le a ll a m o rt e d el l’i m pe r at o r e a u g u st o 35 Bibliografia Aigner Foresti, Lucia. “Gli Etruschi e la loro autocoscienza” in Autocoscienza e rappresentazione dei popoli nell’antichità, ed. Marta Sordi, 93-113. Milano: Vita e pensiero, 1992. 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