received: 2008-02-27 UDC 94:349.4(450.344)"16" original scientific article "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ...": COMUNITÁ ALPINE BELLUNESI E BENI COMUNALI ATTRAVERSO LA RILEVAZIONE DEI PUBBLICI PERITI (SEC. XVII) Roberto BRAGAGGIA IT-30173 Favaro Veneto (VE), Via Cima Campo 3/2 e-mail: roberto.bragaggia@tin.it SINTESI L 'articolo si prefigge lo scopo d'indagare preliminarmente la figura e l'opera del perito pubblico bellunese secentesco Gasparo Ponte. Egli faceva parte del nutrito corpo di periti agrimensori dei quali la Repubblica di Venezia si serviva per misurare, censire, estrarre e riportare (per lo piu su mappe) i beni comunali, incamerati dalla Serenissima al momento dell'acquisizione della Terraferma. Il caso di Ponte pud essere per molti versi paradigmatico per studiare i modi interpretativi attraverso i quali i periti agrimensori rappresentavano nelle sedi di governo, attraverso le loro descrizioni dei beni comunali, la conñittualita che nasceva dalle controversie confinarie, nonché la societä e la cultura delle comunitä di villaggio a metä '600. Parole chiave: Belluno, Regole, Comunitä di villaggio, Beni comunali, Provveditori sopra i beni comunali, Periti pubblici, Agrimensori, Mercanti di legname, Sovranitä dello Stato "I, GASPARO PONTE, DECLARE UNDER OATH ...": THE ALPINE COMMUNITIES OF BELLUNO AND PUBLIC LAND THROUGH THE OBSERVATIONS OF PUBLIC EXPERTS (17th CENTURY) ABSTRACT The article seeks to begin to explore the personality and the acts of Gasparo Ponte, the public expert of the 17th century from Belluno. Gasparo was one of the numerous land-surveyors the Republic of Venice employed in order to measure, register, survey and reproduce (on maps) the public land that la Serenissima registered when they were acquired on the mainland. 381 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Ponte's case may be, in some terms, taken as an example when studying how land-surveyors represented, through public land mapping, disputes on land boundaries as well as the society and the culture of the village communities in the half of the seventeenth century. Key words: Belluno, Regole, Village community, Public land, Superintendency of public land, Public experts, Land surveyors, Wood merchants, state sovereignty Il 18 dicembre 1662 i Provveditori sopra i beni comunali Antonio Moro, Francesco Pisani ed Antonio Maria Bernardo risposero con celerità ad una supplica anonima giunta dalla Podestaria bellunese il 15 dello stesso mese. L'anonimo sup-plicante proponeva al Principe alcuni accorgimenti, "raccordi", al fine di rendere coltivabili molti incolti del territorio, vendendo altresi la maggior parte di quei pascoli e di quei boschi alpini concessi in regime di domino utile alle Regole bel-lunesi1 dalla Serenissima sin dal tempo della conquista.2 Il procuratore della "persona per hora secreta" era un noto cittadino bellunese: domino Nicolô Sala. Nicolô, impetrando le ragioni del suo assistito, ne condivideva indirettamente la causa, come di fatto buona parte della cittadinanza facoltosa di Belluno. Secondo Sala i "raccordi" proposti erano quanto mai degni di essere presi in considerazione dalle magistrature della capitale, poiché le ragioni che muovevano l'anonimo autore della supplica a Venezia, proprio perché della Serenissima "servo humilissimo", erano dettate dalla volontà di recare un "utile considerabilissimo" alla Repubblica. Infatti, sempre secondo il supplicante, estendendo la vendita e mettendo a coltura la maggior parte dei beni comunali, Venezia avrebbe tratto con sicurezza maggiori ricavi rispetto a quelli che le casse dello Stato avevano sinora conosciuto, "accrescendo per cosi dire infinitamente [il] pubblico capitale" evitando inoltre il gravoso tedio degli usurpi, ossia delle appropriazioni indebite di beni comunali (ASV, 10). 1 Con il termine Regola (utilizziamo la maiuscola per definire l'istituto) intendiamo il primo nucleo organizzato della società contadina dell'area Bellunese. La Regola è un'entità territoriale fondata principalmente sui rapporti privati tra le famiglie (originarie) che la compongono e che congregate assieme formavano la vicinia, ossia l'insieme dei vicini del villaggio (vicus) o per meglio dire la comunità di villaggio. La Regola è composta dai capifamiglia garanti della coesione domestica. Territorialmente la Regola è un'unità composita e formata da una o più ville (centri abitati anche minuscoli) e dalle circostanti terre coltivate, i pascoli e i boschi goduti in solidum dalle famiglie che la compongono. Arcaicamente la Regola era anche chiamata Favola. Sulle Regole bellunesi è fondamentale la lettura di Vendramini, 1979. 2 Sui beni comunali veneziani resta imprescindibile la lettura di Pitteri, 1985a; Pitteri, 1985b; Pitteri, 2002. 382 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 In tal senso, più volte i Provveditori sopra i beni comunali si erano lamentati che i proventi derivati dalle vendite dei comunali, iniziate nel 1647, non erano state soddisfacenti.3 Le alienazioni dei beni comunali imposte da Venezia avvenivano in quote dette settime, che erano messe all'incanto e aggiudicate al miglior offerente. Le settime furono messe all'asta gradualmente con leggi del Senato, evitando cosi il più possibile crisi di sussistenza nella già magra economia alpina (Pitteri, 1985a). Il tentativo dell'anonimo redattore bellunese era quello, in un periodo socialmente e politicamente cosi controverso per Venezia, com'erano gli anni della guerra di Candia, di sollevare all'attenzione del corpo sovrano della Repubblica un problema che era molto sentito dalle schiatte cittadine e mercantili della terraferma, in parti-colar modo da quelle bellunesi: l'uso, la gestione, il controllo dei beni comunali. I comunali erano massicciamente presenti nell'area alpina, poiché numerosi erano i pascoli ed i boschi, gestiti dalle Regole, che perô detenevano solamente il dominio utile, e per legge non potevano né venderli né affittarli. Le stesse vicinie, inoltre, ogni decennio, dovevano rinnovarne il possesso utile direttamente a Venezia attraverso lo strumento dell' investitura. I "raccordi" presentati per procura da Nicolô Sala anticipavano di circa un secolo le idee illuminate di noti esponenti delle accademie agrarie settecentesche (v. ad es., Simonetto, 2001), secondo i quali era da favorire la conversione della "proprietà de beni comunali in privato diritto [poiché] il dolce titolo di proprietà tanto sospirato dagli uomini, e che lega il possessore con vincolo di stretta affezione alle cose proprie, è [di fatto] il primo stimolo dell'industria; ma inutile sarebbe questa proprietà, quando non fosse congiunta col potere" (Gervasis, 1790, 20). I tempi della politica veneziana seicentesca perô non erano ancora maturi per un cambiamento cosi radicale, anche se da più parti propugnato. Un'intromissione simile avrebbe avuto degli sviluppi che sarebbero andati ben oltre gli sparuti casi di sollevazione, e di paventata secessione, sorti qua e là nei villaggi del Bellunese (ASV, 25), per andare invece incontro ad una sistematica e cieca violenza verso i compratori nonché verso gli ufficiali della Repubblica.4 Sovvenne cosi il pragmatismo politico dei tre Provveditori sopra i beni comunali, Moro, Pisani e Bernardo, i quali risposero innanzitutto sostenendo che "li beni comunali sono dunque composti dai beni che erano delli signori della città ridotte sotto il pubblico dominio in loco de quali subentra la Signoria Nostra, et di rebelli, et banditi stati di pubblica ragione, con le confiscationi, onde sono senza essitationi d'indubitabile pubblico patrimonio se bene concessi in godimento ad uso di pascolo alli comuni di quei lochi ove li beni medesimi sono situati."5 3 La liquidazione del patrimonio demaniale della Repubblica fu deciso per far cassa in occasione della Guerra di Candia (1645-1669). Le vendite furono interrotte nel 1727 (Pitteri, 1985a). 4 Vedi gli episodi avvenuti nel Friuli settecentesco e analizzati da Bianco, 2005. 5 La risposta si trova nella lettera in ASV, 10. 383 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Con questa risposta i Provveditori richiamavano prima di tutto la particolare origine giuridica di questi beni, poi la modalità politica con la quale Venezia si relazionava ai sudditi delle comunità di villaggio attraverso i beni del demanio, ed altresi il carattere tutorio cui la Serenissima voleva sottoposta questa particolare tipologia di beni. I beni comunali appartenevano infatti ad una forma giuridica diversa dai beni comuni o "censuali":6 Venezia intendeva i beni comunali come beni dello Stato, appartenenti "al Comune di Venezia (Commune Veneciarum), antico nome dello Stato Marciano" (Pitteri, 2003, 107),7 tanto che nella risposta conclusiva alla lettera anonima, il 3 febbraio 1663, i Provveditori rimarcavano che i beni erano certamente rientranti nel pubblico patrimonio e nessuna rivendicazione poteva confutare quest'assunto legislativo. Con buona cognizione di fatto, i Provveditori affermavano che Venezia deteneva il dominio eminente pur concedendo per grazia alle comunità di villaggio il dominio utile ad uso pascolo e bosco cosi da rendere "più ubertoso il paese". Pur tuttavia, i magistrati rilevavano che il Principe era ben cosciente della possibilità di ricavare utili maggiori dalle terre comunali, le quali perô "sempre [...] sono state [alle comunità] gratuitamente lasciate" (ASV, 10), respingendo quindi tout court il tedio che si verrebbe a provocare alle stesse se si applicassero i consigli del misterioso redat-tore. "Raccordi" che se presi seriamente in considerazione avrebbero modificato il rapporto fondato sulla benevolenza paterna del Principe con i suoi sudditi com-promettendo seriamente i già controversi rapporti con le comunità di villaggio del territorio. Da questa sintetica introduzione si puô comprendere i termini del problema storico che si cela dietro alla tutela di un istituto cosi particolare del diritto veneziano com'erano i beni comunali. Detta questione vedeva i beni del demanio e le comunità che li gestivano come attori centrali, almeno nella seconda metà del '600, nella controversa vicenda dell'esercizio della sovranità dello Stato veneziano.8 Infatti, sin dagli esordi della legislazione su questa materia, le magistrature della capitale che si erano succedute per contrallarla9 avevano sempre concordato sul fatto che le 6 Talvolta la forma giuridica dei beni comunali tipicamente veneziana puó provocare confusione nei termini, poiché in altre zone dell'Italia moderna i beni comunali erano beni del comune goduti col-lettivamente dai comunisti, e di questi beni essi ne disponevano secondo lo statuto comunale, cf. Man-nori, 1994, 188-234. Per una definizione chiara di beni comunali da parte dei contemporanei, v. ASV, 12. 7 Nel dizionario di Marco Ferro rileviamo invece che il termine "comunali" derivi direttamente dalle comunita alle quali originariamente questi beni erano stati concessi dai principi passati (Ferro, 1845, 263-264). 8 Sulla questione dell'esercizio del potere politico, governo e sovranita in antico regime, cf. ad es., Fior-avanti, 2002. 9 Prima dell'istituzione dei Provveditori sopra i beni comunali (ottobre 1574), la materia era di com-petenza di altre magistrature: del Consiglio dei dieci, in seguito degli Officiali sopra le Rason Vecchie e talvolta del Magistrato sopra camere, le quali, attraverso i loro provvedimenti, dovevano principal- 384 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 politiche territoriali relative ai beni comunali della Serenissima erano finalizzate a tenere in quiete e in pace i suoi sudditi (ASV, 4). Pertanto era la pace sociale uno dei principali aspetti che sorreggeva l'esercizio di governo della capitale nella costru-zione della politica dei beni comunali e nel consolidamento del consenso sul territorio. Sin dal '4QQ la legislazione del Principe in materia di beni comunali aveva uno specifico indirizzo tutto volto ad un'azione non interventista e conservatrice dello status dei beni utilizzati collettivamente dalle comunità di villaggio del dominio, poi-ché per la loro stessa natura, i pascoli e i boschi, ben si prestavano ad essere un momento di dialogo tra le parti nel complesso mondo di terraferma. Un universo composito tanto più allorquando spingiamo l'attenzione sul versante alpino dello Stato veneziano, là dove i centri urbani iniziavano a rarefarsi comparendo invece in modo preponderante le comunità di villaggio, che per lo più erano ubicate ai confini con l'Impero. Per la ruling class veneziana era quindi necessario munirsi di strumenti che in qualche modo favorissero il dialogo cosi tanto necessario alle politiche territoriali e all'esercizio del potere, per lo più, ripetiamo, in aree di confine che neces-sitavano una cura particolare (cf. Pitteri, 2QQ7, più in generale sui rapporti di confine tra Stati cf. Sahlins, 1991). Ció soprattutto in un periodo di temperie politica inter-nazionale piuttosto convulso com'era il '6QQ. Nel XVII secolo l'opera dei Prov-veditori era pertanto molto complessa: doveva di fatto conciliare attraverso lettere, terminazioni, processi e inquisizioni, componenti diverse di uno Stato giurisdizionale che stava apparentemente abbandonando la dimensione corporativo-cetuale per ap-prodare a forme di individualismo politico sempre più spiccate (Bragaggia, 2QQ6). La traduzione pratica dell'esercizio di potere della pragmatica politica veneziana si concretava innanzitutto nella necessità di sapere a quanto ammontava il patrimonio demaniale, censendolo, misurandolo e definendolo, ed insieme a quest'opera di cata-sticazione era sostanziale conoscere le Regole che lo avevano in concessione. Impegnati sul territorio in questa difficile e impresa, talvolta non scevra di difficoltà, anche legate all'ambiente spesso per molti "coperto dai ghiacci", erano dispiegati i pubblici periti agrimensori nominati direttamente da Venezia. Questi periti agrimensori, il cui ruolo sarà analizzato attraverso un caso paradigmatico, erano uomini del territorio ben legati alla propria comunità di appartenenza, cittadina o di villaggio che fosse. Non possiamo individuare in loro probabilmente dei tecnici della materia. mente gestire le politiche relative all'uso di questi beni e impedire l'invalsa e continuata pratica degli usurpi, che vedeva molti privati appropriarsi indebitamente di parcelle di terra demaniali senza l'approvazione del Principe. Questa sovrapposizione di competenze, peró, in un ambito di molteplicità dei poteri giuridici a copertura, tutela e gestione di diverse materie importanti e quanto mai delicate per l'equilibrio delle politiche istituzionali sul territorio, produrrà, soprattutto nel '6QQ, rivendicazioni di competenza e sonore rampogne da parte dei Provveditori sopra i beni comunali verso quelle magistrature veneziane che sovente per competenze precedenti erano spesso chiamate in causa. I Provveditori infatti erano generalmente i giudici di prima istanza in quest'ordine di materie, gli appelli invece potevano essere impetrati al Collegio dei X poi XX savi sopra il corpo del Senato. 385 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Tuttavia questi protagonisti erano esperti delle zone che sarebbero andati a peritare ed inoltre erano, ed era questo il ruolo più importante, profondi conoscitori della realtà sociale comunitaria. Per capire questo ruolo, che potremmo definire interpretativo, dei periti, è suf-ficiente leggere alcune righe del catasto dei beni comunali bellunesi compilato tra il 1621-1622 sotto il reggimento del podestà Federico Cornaro. Cornaro sosteneva che, vista la complessità dell'intera operazione di misurazione, ai periti "non sarà neces-sario di perticare li communi per sapere la vera quantità loro, ma basterà con la cognizione c'hanno ogn'uno di essi dir appresso poco quanto egli è nominando, li confini particolarmente delle persone, dove sono posti li termini, acciô in ogni tempo si possa conoscer dove resti appoggiato il termine."10 Centrale, pertanto, per comprendere il nodo della questione interpretativa, è ap-punto il grado di cognizione dei periti. Cognizione o conoscenza che variava con una certa mutevolezza seguendo per lo più i rapporti di forza che il calcolo ponderato. Sarà proprio questo l'aspetto sul quale ci soffermeremo per comprendere il ruolo interpretativo del perito pubblico. I villaggi del Bellunese erano circa 120.11 Ognuno vantava numerosi beni co-munali concessi da Venezia sin dai tempi della conquista della terraferma. Per le comunità di villaggio del nostro territorio, i beni comunali dovevano essere lasciati in "uso comune" a tutta la società regoliera e pertanto non ridotti ad oggetto di mer-cimonio da parte dei privati. I comunali, se da un lato per le comunità rappre-sentavano un'aggiunta di risorse indispensabile per sovvenire ai complessi risvolti della difficile agricoltura montana (Lorenzetti, Merzario, 2005), dall'altro erano parte integrante dell'universo simbolico e rappresentativo della cultura regoliera fondata sulle consuetudini e sulla memoria: i beni in "uso comune" erano il segno della antica condivisione comunitaria, dell'appartenenza alla Regola e della equa distribuzione tra vicini attraverso la loro divisione annuale in prese. Condivisione che prendeva le mosse dall'atavica corresponsabilità dettata dalle consuetudini e dalle carte di Regola: principi che sostanziavano l'"uso comune" dei beni, concetto quest'ultimo, ripreso e affermato nel '600 più volte nei carteggi dalle magistrature della Serenissima per ri-conoscere i diritti d'uso dei beni comunali concessi alle comunità.12 10 II catasto Cornaro è in ASV, 2. 11 Relazione del rettore Andrea Pasqualigo in Tagliaferri, 1974, 164. 12 Per uso comune intendiamo, oltre alla semplice definizione legata all'uso collettivo dei beni da parte dei vicini, un sistema orizzontale di relazioni composto di consuetudini e memorie, di rapporti e scambi, di liti e ricomposizioni, attorno al quale ruotava la vita sociale della comunità. L'uso comune, in via di principio, puô essere inoltre inteso come strumento d'assorbimento dei conflitti nell'ambito della società regoliera, e come tale era riconosciuto anche dalla Repubblica di Venezia, determinando cosi quella grammatica comune di comunicazione politica tra Stato e comunità: due soggetti che erano alla ricerca di uno spazio di legittimazione reciproca. Ogni aspetto della vita comunitaria doveva far riferimento a questo insieme di principi: perciô dall'uso comune nessun regoliere poteva prescindere, 386 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Il protagonista della nostra vicenda rispondeva al nome di Gasparo Ponte quondam Iseppo.13 Secondo il rettore bellunese Lorenzo Gabrieli, tra i pubblici periti eletti dalla Repubblica negli anni centrali del '600, Ponte era considerato figura di spicco tra i cosiddetti "migliori".14 Era un uomo dalla tempra coriacea, che non la-sciava nulla al caso, tanto da essere spesso minacciato da parte di qualcuno per la troppa rigidità. Infatti, per questo suo atteggiamento rischiô più volte la vita (ASV, 27). Gasparo Ponte abitava a Belluno. Nella casa dove dimorava conservava gelosa-mente numerosi "quaderni" dove erano annotate le misurazioni dei beni comunali effettuate per ordine della Repubblica di Venezia a partire dal 1648 (ASV, 20). L'apertura di questi taccuini, annotati con nomi di persona, luoghi, misure ed in-dicazioni di confine dei beni comunali, era affidata ad un lungo preambolo che evo-cava la dedizione del perito verso la professione e verso la Repubblica: "Referisco con mio giuramento io Gasparo Ponte."15 Questi quaderni, che formavano il nucleo centrale dell'archivio personale di Ponte, furono, dopo la morte del perito, conservati dagli eredi ed esibiti a richiesta ai Provveditori. Gasparo era padre di tre figli, i quali seguirono chi la strada paterna, Paolo, chi la via del banditismo, Fausto, che le fonti ci dicono fosse "solito servir come bravo." Oscuro, invece, pare percorso seguito da "prè" Carlo, che nelle fonti veneziane appare solo al momento della morte del fratello Paolo (|1678?), dichiarando ai magistrati veneziani che egli non era suo erede. Ció probabilmente per evitare di dover rispondere davanti ai Provveditori sopra i beni comunali dell'operato del fratello (ASV, 11). Più stretto invece era il legame tra i fratelli Paolo e Fausto, che ebbero torbidi trascorsi comuni, ma ció non impedi a Paolo di diventare dapprima assistente del padre e poi perito agrimensore operante autonomamente (ASV, 23; ASV, 1). La famiglia Ponte era inoltre legata da rapporti di amicizia, a fasi alterne, con alcune delle consorterie familiari più conosciute della podesteria bellunese: i Corte, i Crotta, i Pagan, i Doglioni e i Campelli. Questi notabilati cittadini e mercantili avevano numerosi interessi sul territorio bellunese, tanto che Ponte più volte si recô sulle terre vicine alle loro per rilevare quei beni comunali che essi rivendicavano, o volevano acquistare, suscitando talvolta forti rivalità e durissime polemiche contro il perito. Nell'aprile del 1652 tal Marco Doglioni denunció Ponte alla magistratura dei Provveditori, poiché il perito era reo di avergli "cavatt[o]" del denaro oltre quanto poiché esso fondava la sua essenza sul costante richiamo al passato che ne generava la legittimità, garantendo l'ordine sociale. 13 Il nome del padre, il defunto Iseppo, appare solamente quando Gasparo fu citato come teste in un processo del 1664 (ASV, 26). 14 Gli altri erano Gerolamo Miari, Francesco Dolfin e Zuanne Bertoldo (ASV, 8). 15 I "quaderni" si trovano in ASV, 3. Sul dorso della busta leggiamo: "Perizie [effettuate da] Gasparo Ponte del Territorio di Belluno, da 16 aprile 1648 a 2 gennaio 1661." 387 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 dovuto realmente per la misura di certi beni comunali. Ponte fu cosi ragguagliato dai magistrati che lo obbligarono a restituire quanto egli aveva indebitamente sottratto (ASV, 16). Nell'agosto del 1655 durante una complessa operazione di misurazione per la vendita di alcuni comunali nella Regola di Salce, Ponte si trovó a doversi de-streggiare dalle accuse mossegli da esponenti di consorterie bellunesi molto in vista: i Corte, i Doglioni e i Crepadona (ASV, 17). Inoltre, dure insinuazioni sul com-portamento del perito non venivano solo da privati acquirenti, ma anche dagli stessi suoi colleghi. Lugrezio Feltrin detto il Catabezzi, pubblico perito e spesso colla-boratore di Ponte, denunció Gasparo alle magistrature della capitale, poiché il perito aveva spostato un cippo confinario determinando e ridefinendo i confini di un pascolo comunale che lo stesso Catabezzi aveva acquistato. Il trasferimento del cippo di confine andava a detrimento della proprietà del Catabezzi, che si sentiva in sostanza defraudato e usurpato. Ponte dovette ricollocare il cippo entro breve tempo, altri-menti i Provveditori sarebbero intervenuti con una sanzione pecuniaria molto elevata (ASV, 15). Il rapporto che Ponte aveva con gli altri periti si era nel tempo deteriorato ed era il più delle volte conflittuale, poiché sempre stando alle parole di un podestà, non certo tra i più favorevoli a Gasparo, il perito era riuscito ad operare "di dovere lui solo, con esclusione [degli altri periti], misurare tutti li beni, che da essi sono stati venduti di detta ragione a particolari, cosi che se solo haverà fatto le prime perticationi, da quali è per conseguire utile considerevole da compratori." Grazie alla sua fitta rete di relazioni e alla sua buona cognizione, Gasparo sovente escludeva gli altri colleghi per tenere tutto "per sé" (ASV, 13). Ponte, comunque, pur tra gli alti e i bassi della sua professione, attraverso il suo servizio era riuscito, almeno nei primi tempi, ad ottenere discreti guadagni, tanto da permettere a lui e alla sua famiglia di acquistare all'incanto quei beni comunali centro del suo lavoro. Gasparo e i suoi figli erano riusciti a comprare alcuni fondi comunali nella Regola della Terra (colmello verso la Sindacaria di Pedemonte), che era il territorio confinante con la città di Belluno (ASV, 22; ASV, 29). Sempre nella Regola della Terra, Ponte aveva incluso nell'estrazione di alcuni beni comunali effettuata per ordine di domino Antonio Cappellari, anche alcune strade pubbliche. Strade che parrebbe non fossero state richieste da domino Antonio, ma piuttosto rientranti nell'interesse di Ponte, che magari le avrebbe richieste a Cappellari come ricono-scimento (una sorta di surplus privato oltre alla percentuale ottenuta dal Principe) per il lavoro di misurazione dei beni comunali svolto a suo favore (ASV, 19). Da questi episodi, si comprende che le sue radici sociali del perito erano ben piantate nell'ambito urbano, o nell'immediata periferia, piuttosto che in quello rurale, come invece avveniva per altri suoi colleghi. Durante gli anni centrali del '600 la professione di Ponte era cambiata sensibil-mente. Infatti, se nella prima rilevazione dei beni comunali bellunesi di Federico 388 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Cornaro ai pubblici periti era richiesta un'attenzione particolare nei confronti degli usurpi, lasciando cosi uno spazio interpretativo in relazione alla misura e al valore dei beni non ancora censiti, alla cognizione insomma, qualche anno dopo, soprattutto a causa della crisi congiunturale conseguita alla guerra di Candia, l'approccio del Principe si fece più pragmatico. Paradigmatica è la richiesta dei magistrati veneziani al nostro perito nel dicembre del '52: "Noi Provveditori sopra i beni comunali, dovendosi per questo servitio far vedere et stimare l'infrascritte montagne situate nel territorio di Cividal di Belluno portate a notizia del magistrate nostro, le quali sin ad hora sono state occultate e godute come proprie da quelle Regole, et essendoci necessario non solo la diligenza della quantità et natura d'esse, ma il certo et vero valore d'esse. Commetemo perció a voi Gasparo Ponte perito del magistrate, che con quella fedeltà che si deve in negozio simile dobbiate conferirvi nei lochi infrascritti, et ivi con l'assistenza de regolieri vi farete mostrare le montagne sotto nominate per essequire quanto come sopra è stato detto. Le quali operazioni fatte che saranno doverete con una relazione giurata far capitar al magistrato per potersi eseguire ció che è stato terminato" (ASV, 5). Negli anni centrali del '600, insomma, la cognizione del perito non era più la condizione sufficiente per la Serenissima. Alla buona "diligenza" con cui erano stati misurati i beni comunali sino a quel momento, la loro "quantità" e i confini, subentrava ora la precisione, "il certo e vero valore d'esse": per cui i periti muniti di "palina" da porre nel luogo di misurazione, dovevano con il "versor" tracciare le linee sui campi arativi e porre dei cippi di confine ben visibili. Nelle rilevazioni, stando a quanto riportato in un giuramento simile a quello so-vente esplicitato da Ponte, erano sempre presenti le più alte cariche regolieri: ma-righi, giurati, anziani del villaggio e altri regolieri "con il [loro] libretto sopra il quale sono notati li comuni" (ASV, 3). La presenza dei regolieri non era facoltativa o considerata dal Principe un intralcio, bensi era un obbligo al quale i periti e comunità dovevano attenersi per legge. In una delle tante commissioni impartite agli agri-mensori si legge infatti che il perito "debba informarsi da più vecchi e pratici delle ville che quanto tempo in qua sii stata fatta cadauna usurpatione et fosse nota ad ogni partita" (ASV, 6). Pertanto tra l'agrimensore e le Regole avveniva un confronto che potremmo ancora considerare un'operazione di cognizione e d'interpretazione piuttosto personale, poiché il perito doveva districarsi in una trama composta dai linguaggi talvolta inaccessibili di una cultura comunitaria che tendeva a difendere i beni comunali da rapaci acquirenti della città; da confini che spesso erano solo nella memoria degli anziani del villaggio16 e nella consuetudine talvolta omologata (cf. Van Caenegem, 1991, 55-56, 64); da un forte apparato di consuetudini riportate nelle carte di Regola 16 Sul tema della memoria degli anziani del villaggio cf. Stopani, 2005. 389 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 che legittimavano l'uso comune; ed infine dagli interessi d'eminenti locali (per lo più facoltosi mercanti) che nel corso del tempo avevano costruito solidi rapporti di interesse e di "fiducia" con le Regole.17 Tutto ció le Regole lo potevano fare sapendo di trovare un certo feedback positivo nelle magistrature veneziane a fronte di un problema spinoso come quello dei beni comunali. Infatti, da questo intreccio, nel Bellunese, stavano inoltre emergendo nuove figure (soprattutto i mercanti di legname) che forti del loro "oro et autorité" stavano compromettendo il rapporto di fiducia che Venezia aveva stretto con le Regole concedendo 'graziosamente' i beni comunali, inficiando in una certa qual misura il controverso esercizio della sovranità. Pertanto per Venezia era necessario indagare più approfonditamente la cultura delle Regole per coglierne gli aspetti che maggiormente potevano divenire ambiti di dialogo. Ed uno strumento di sondaggio oltre che di conoscenza, oltre alle istanze provenienti dalle comunità, erano appunto i periti, le loro relazioni, le misurazioni e gli incontri che essi intrattenevano. La misurazione dei beni comunali quindi non aveva peró solamente valore fiscale, ma era un'opera connotata da una fortissima componente culturale. Infatti, dalle misure dei comunali emergevano inoltre i numerosi conflitti diffusi nelle Regole e la complessa questione delle consuetudini. Ció perché la Repubblica considerava essenziale il rapporto con il mondo delle consuetudini, anche in ordine al dibattito che stava avvenendo nei palazzi della capitale.18 Allorché Ponte si recava presso la Regola, incontrava e si scontrava con istanze provenienti sia da soggetti interni alla comunità (i capi Regola, i giurati e gli anziani) che esterni ad essa (cittadini bellunesi e mercanti). Dietro alla vicenda dei beni comunali si celavano appunto grandi questioni: le consuetudini, la memoria degli anziani, gli usi agrari legati alla rotazione e la divisione dei comunali in parti durante l'anno ed infine l'uso comune dei beni. Tutti questi aspetti si richiamavano a quella cultura consuetudinaria che teneva unita la comunità. Certo, da questa dimensione per certi versi simbolica non puó essere scisso l'aspetto più marcatamente materiale: le Regole affittando, pur se vietato per legge, il loro patrimonio comune, senza perdere per altro alcuni diritti come quello di legna-tico (cf., ad es., ASB, 1), potevano far fronte alle gravezze che il fisco veneziano im-poneva.19 17 Sul tema dei rapporti di fiducia cf. ad Occhi, 2006. 18 V. ad es., il consulto seicentesco del consultore in jure Scipione Ferramosca cit. in Povolo, 1995, nel quale Ferramosca sosteneva che "le leggi sono di sorti scritte e non scritte [...] tutte pero sono leggi ma perché le leggi scritte procedono dalla assoluta volonta del Principe, a cui conviene, voglia o non voglia, il popolo ubbidisca e la consuetudine e una legge che il popolo con l'assenso del Principe da se stesso si impone, fu chi per tal rispetto comparo al re la consuetudine et al tiranno la legge scritta. Hor come si voglia la Serenissima Repubblica appoggia il sapientissimo suo governo all'una e all'altra di queste due sorti di leggi." 19 Sulla fiscalita e i beni comunali v. Pitteri, 1985a. 390 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Gasparo Ponte, ascoltando e interpretando le istanze degli uomini della comunità che gli indicavano i confini dei beni comunali, riportava alla luce non solo l'incerto disegno delle proprietà del demanio, ma anche le liti e i conflitti che difficilmente si sarebbero potuti ricomporre nelle assemblee di Regola. Un caso tra i tanti vide protagonista la potentissima famiglia Campelli, mercanti di legname veneziani e resi-denti a Longarone. Nel 1661 tal Zuanne Campelli acquisi alcuni beni comunali nella Regola di Longarone, Igne e Pirago e in quella di Fortogna. A misurare i beni fu il nostro Gasparo Ponte, che giunto sul luogo peró fu impedito "da alcuni di quelli regolieri." Gli esponenti delle comunità non volevano cedere quelle terre poiché le consideravano per consuetudine e a memoria ricadenti nel patrimonio collettivo. Raramente in passato queste Regole si erano opposte alle richieste della famiglia Campelli. Evidentemente questo rampollo con il suo comportamento aveva eluso le logiche compensative interne alla Regola che permettevano alla sua famiglia di possedere, anche se talvolta indebitamente, dei beni comunali concessi alle comunità (ASV, 18). Ponte oltre a riportare sul suo taccuino i confini e le misure indicatigli, poneva la sua firma e il suo giuramento anche sulle mappe. Nel settembre del 1654, tal domino Ludovico Moretti, in veste di procuratore, presentó una lamentela presso l'ufficio dei Provveditori sopra i beni comunali nella quale faceva presente che la mappa redatta dal perito Ponte era piuttosto contraddittoria. Moretti rilevava che nelle parole utilizzate per definire gli usurpi erano ravvisabili inequivocabili inesattezze, poiché erano state suggerita a Ponte "da interessati [per] pregiudicare alle ragioni di detti suoi principali" (ASV, 21). Sorge spontaneo un dubbio: quale l'interesse del perito? Interessi di certo per lo più coincidenti con la personale cognizione di Ponte, piuttosto che convergenti con gli intendimenti del governo marciano. Il perito Ponte traduceva in qualche modo la complessità del rapporto beni comunali/comunità sul territorio nei suoi appunti e nelle sue mappe. Venezia ot-teneva cosi un'immagine più o meno nitida del territorio ove esercitare il suo potere politico. Ció nonostante, il giudizio sul suo lavoro è tutto fuorché concorde. Nel 1648 il rettore bellunese Lorenzo Gabrieli descriveva il perito come un individuo avvezzo per lo più a "mangerie, fraudolenti estimationi, per omissione di perticationi et a altri eccessi rispettivamente commessi" (ASV, 14). Per questi motivi Gasparo andó incontro a numerosi processi. La sua altalenante condotta professionale lo portó addirittura a cadere in disgrazia, arrivando nel 1655 a supplicare la Serenissima di riconoscergli un incentivo per il suo stato d'indigenza (ASV, 7). I giudizi più severi giunsero peró dalle Regole che aveva visitato. Zulian quondam Toffol da Peles meriga della Regola di Sotto Croda imputava a Gasparo il fatto che non essendo apparso per tempo all'appuntamento per la misurazione il giurato della Regola, Ponte "voleva condanarlo, et escussandosi egli [il giurato] che non ha- 391 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 veva saputa della sua venuta, con tutto ció volse una pezza di formazo et un agnelo. Da mi come meriga non ha avuto niente meno da altri ch'io sappia." Andrea di Pellegrin, il giurato, confermó la versione di Zulian, aggiungendo inoltre che Ponte "mostrava d'esser in colera con me dicendo di volermi castigare con assentir che io non fossi stato presto sul loco della perticatione anco che mi havesse chiamà, et se bene io subito mandai a chiamare i giurati et mariga dovendo andar insieme con essi, perché tardai solamente tanto che questi vi venissero mi minacciava come ho detto di volermi far castigare, et per questo io lo chiamai da me ha far colazione, et con questa occasione mi ricercó a darli qualche cosa, et per acquietarlo concesi darli doi pezzette di formaggio. Né contentandosi che voleva gli dasse anco un capretto, né havendo [possibilità] di darglielo gli promisi un agnelo per il tal tempo, né havendo poi ne anco l'agnelo concessi darli che cosi egli volse lire 3." Ancora più grave era il capo d'accusa che muoveva Girolamo da Bold della Regola di Tisoi, citando le parole stesse usate da Gasparo "essendo questo Ponte ca-pitato la nella Villa insieme con suo figlio [Paolo] per far detta perticatione, la Regola risolse di donarghe qualche cosa, et cosi fu risolto sei lire, et dette a me per pa-garli da disnar. Il che sentito da lui et ch'io volevo comprar un capretto, per cusinarlo per darli da disnar. Disse che non voleva che si cusinasse carne, che gli bastava pan e formazo, soggiungendo poi: se mi vorrete poi donar un capretto io non lo ricevo, ma lo goderó per vostra cortesia. Onde rissolsi di darli da far colazione pan e formazzo e da bever, et essendomi avanzato lire 4 soldi 4 rissolsi di donargliele come [...] della Regola, et lui li ricevette. Hebbe anco una lira anzi manco di formaggio." Ponte era insomma più dedito a chiedere queste "cortesie", magari soprassedendo su beni comunali che dovevano essere venduti, o passando il suo tempo, ben pagato, nelle "bettole" dei villaggi. Il processo con la lunghissima serie di testimonianze, tra l'altro tutte concordi contro Gasparo Ponte, era scaturito dalla volontà comune degli altri periti bellunesi di porre fine a comportamenti considerati lesivi della profes-sione.20 In chiusura accenneremo ad una vicenda che sembra paradigmatica di quanto sinora detto. Siamo alla fine degli anni '40 del '600, giusto qualche mese dopo l'inizio della vendita della seconda settima dei beni comunali. La liquidazione graduale del patrimonio demaniale era piuttosto altalenante. Innumerevoli erano le rivendicazioni da parte delle Regole, che continuamente impetravano richieste di verifica sugli ac-quisti compiuti dai privati, denunciandone spesso gli usurpi, o addirittura impedendo agli acquirenti il "pacifico possesso". In questo complesso frangente era decisivo il ruolo di quegli eminenti privati, che dall' affaire dei beni comunali stavano traendo numerosi utili per implementare l'esercizio privato del loro potere nell'area alpina (ASV, 9). 20 Le citazioni dei regolieri sono tratte da ASV, 27. 392 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Nel novembre del 1649 i fratelli Alpago (il dottor Dionisio ed Andrea, figli di Cesare), entrambi membri del Consiglio Maggiore di Belluno e legati per via dei molti possedimenti alla Regola di Trichiana, impetrarono all'ufficio dei Provveditori sopra i beni comunali una denuncia nella quale dichiaravano che numerosi beni comunali presso la confinante Regola di Cavassico erano stati usurpati e occultati.21 La località dove erano ubicati i beni contesi tra le due comunità di villaggio era denominata Smona. Colpevoli di questa ardita azione ai danni del pubblico erano, secondo la testimonianza dei fratelli, alcuni "malizi[osi]" regolieri unitamente ad altri privati "interessati", che rispondevano al nome di Giacomo Pilloni, Francesco Do-glioni, Spinardo Carrera e Iseppo Pagan, tutti maggiorenti delle più note famiglie di Belluno. A questi erano legati Zuanne e Bortolan dal Magro facoltosi regolieri di Cavassico, che in più di un'occasione si erano distinti per alcune operazioni speculative a danno delle comunità di villaggio della Pieve di San Felice (ASB, 2). Per-tanto gli Alpago chiedevano al Principe di inviare un perito sul luogo a misurare di nuovo i beni incamerati illecitamente. Secondo la legge, coloro che denunciavano dei beni comunali usurpati avrebbero ottenuto quel "sovrappiù omesso [...] giusta la stima." Poiché la soglia di attenzione veneziana per questi problemi in questo torno di tempo era elevata, i Provveditori inviarono subito inviato un perito a riprendere le misure. La particolare situazione richiese che si inviasse una persona "esperta". La scelta cadde su Gasparo, il quale si recó sul posto e tra il novembre 1649 e il luglio 165Q misuró i beni tra le due Regole individuando proprio quei beni che risultavano omessi. Dionisio e Andrea Alpago sostennero più volte che Ponte non aveva operato secondo le richieste del Principe, bensi assecondando le "diaboliche intenzioni" di Iseppo Pagan, occultandone una parte. Insieme ai Dal Magro e "pure valendosi dell'opera del detto Gasparo Ponte, [Pagan aveva cosi] con detti contadini [provocate] danni et rovina di essi poveri fratelli." Difficile in questo caso sospettare di malafede sulle accuse mosse a Ponte: in questa vicenda era senza dubbio implicato. Prova n'è il coinvolgimento del figlio Fausto (il bandito) in un attentato che ridusse in fin di vita Andrea Alpago. Di ció erano consapevoli anche le magistrature della capitale che sospesero Gasparo dal servizio per circa un anno, infliggendogli inoltre un'ammenda pecuniaria per compensare il danno. Da queste brevi annotazioni ed impressioni su Gasparo Ponte, spero di aver sol-levato alcune interessanti argomentazioni sul ruolo d'interprete che questi ricopriva e sul peso che le sue interpretazioni ebbero nei palazzi della capitale per leggere e governare il territorio, soprattutto in periodo nel quale i rapporti tra la Dominante e le comunità di villaggio paiono virare. 21 Gli atti del processo si trovano in ASV, 24. 393 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 L'opera di Ponte è continuamente caratterizzata dalla necessità di mettere in relazione il potere centrale con le Regole. E per fare ció, il nostro perito doveva ri-portare alla cultura dominate gli umori di quella subordinata. La documentazione prodotta dal perito per le magistrature della capitale era composta da numerose de-scrizioni e rappresentazioni: rilevazioni, misure e disegni. Segni, in buona sostanza. Non c'era spazio per riflessioni o giudizi personali, tranne quelle rilevate in alcune testimonianze processuali. Ugualmente peró negli scritti e nei disegni di Gasparo Ponte passavano, o parimenti non passavano, quelle parti della cultura orale delle comunità che non avevano ancora subito il cosiddetto processo di omologazione. Pertanto, cosa significava per il perito redigere una mappa? Che cosa riportava o tralasciava, e quali i criteri di scelta? Che interpretazione ne dava il Principe? Com'era letta? Quali inoltre i rapporti tra la relazione scritta e il disegno? Temi certamente complessi che richiederebbero una trattazione più distesa. Si è invece cercato di comprendere che un elemento attraverso il quale Gasparo Ponte traduceva e interpretava il territorio era in buona sostanza determinate dai rapporti di forza vigenti. E questo è un problema che lega l'interprete all'interpretazione e ne fa una questione di natura storiografica. Tutto ció conduce inoltre ad una faccenda di carattere politico. La figura del perito Gasparo Ponte negli anni '50 è fortemente delegittimata e criticata sia dagli ufficiali veneziani, sia da quelle figure intermedie (cittadini e mercanti) che egli talvolta favoriva, nonché dalle Regole. Quali i motivi? Forse la sua professione gli conferiva un'importanza tale da infastidire sia il potere politico pubblico sia quello locale (cittadino o comunitario)? Perché la Repubblica decise di sottoporlo a giudi-zio, allorquando la sua opera, seppur contrastata, era comunque necessaria? Forse Ponte rispondeva più a logiche di fazione che a quelle istituzionali? Ed infine, cosa stava cambiando tra potere centrale e quei funzionari come Ponte? L'ultimo punto che resta da chiarire riguarda i risultati dell'opera del nostro perito. Riusci a mettere un ordine nella controversa rappresentazione dei beni comunali, per favorirne una cognizione istituzionale oltre che locale? Una risposta parziale la rileviamo qualche anno dopo in un duro giudizio espresso da un rettore bellunese al termine del suo mandato. I beni comunali ed il territorio di questa provincia alpina (nonché la sue comunità e la sua cultura) erano descritti come un "mostro de confusion et disordini." Una creatura che solo l'alta mano pubblica avrebbe potuto recidere (ASV, 28). 394 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 "JAZ, GASPARO PONTE, POD ZAPRISEGO NAVAJAM ...": BELLUNSKE GORSKE SKUPNOSTI IN SKUPNA ZEMLJIŠČA SKOZI UGOTOVITVE JAVNIH IZVEDENCEV V 17. STOLETJU Roberta BRAGAGGIA IT-30173 Favaro Veneto (VE), Via Cima Campo 3/2 e-mail: roberto.bragaggia@tin.it POVZETEK Bellunčan Gasparo Ponte je bil eden od najbolj izkušenih izvedencev, ki so delovali v gorski provinci Beneške republike sredi 17. stoletja. Njegovo delo je imelo velik pomen za Serenissimo: Ponte je beležil, meril, popisoval in pogosto razmejeval skupna zemljišča, ki so jih dobile v uporabo Regole. To delovanje se je pogosto bolj opiralo na izvedenčevo vedenje kakor na izračune in merjenje. Pontejeve beležnice, katerih uvodne besede se izrecno sklicujejo na predanost državi ("jaz, Gasparo Ponte, pod zaprisego navajam"), vsebujejo meritve z nenehnimi premiki meja, opise neupravičenih prisvojitev (uzurpacij) in številne toponime, ki olajšujejo spoznavanje območja; kot take so bile izredno pomemben vir za upravne organe Serenissime. Institucije so tako lahko črpale razne informacije o vaških skupnostih v obrobni provinci, ki je mejila na Imperij, o običajih, ki so uravnavali letno razdelitev (v uporabo predanih) skupnih zemljišč, ter o številnih konfliktih, ki so izhajali iz prodaje ali neupravičene prisvojitve zemljišč v državni posesti. Z obvladovanjem konfliktov, kar je zagotavljala premišljena politika poverjenikov nad skupnimi zemljišči, so Benetke lahko okrepile izvajanje suverene oblasti nad območji, ki so bila pogosto težko dosegljiva. Poleg tega so institucije lahko nadzorovale vedenje tistih trgovskih združenj, ki so v 17. stoletju prek skritih sporazumov z regolami začenjala preoblikovati geografijo odnosov moči na gorskem ozemlju. Za Benetke je bilo bistveno, da prek politike upravljanja skupnih zemljišč spodbujajo neposreden stik z Regolami, priznavajo njihove pravice in davne privilegije ter pogosto podpirajo njihove zahteve, in sicer z namenom preprečiti, da bi se (bolj kot dopušča zakon) vse skupno imetje znašlo v rokah posameznikov, ki so stremeli zlasti po osebni ali klanovski moči, pri čemer so se sklicevali na geslo "zlato in oblast". Lik izvedenca Ponteja je imel v vsem tem izredno pomembno vlogo. Zaupana mu je bila naloga, da inštitucije seznanja, natančneje rečeno, jim prenaša vedenje o najskritejših predelih zelo obsežne province. Pri zarisovanju črt z versorjem (gosjim peresom), risanju zemljevidov, srečevanju vaških starcev ali pripadnikov regole pa ni šlo za objektivno, temveč za osebno in interpretativno delovanje. To interpretacijo je narekovalo zasebno vedenje izvedenca, ki se pogosto ni skladalo z vedenjem, kakršno je od njega pričakovala Beneška republika. 395 Roberto BRAGAGGIA: "REFERISCO CON MIO GIURAMENTO IO GASPARO PONTE ..." ..., 381-398 Ključne besede: Belluno, Regole, vaške skupnosti, skupna zemljišča, poverjeniki nad skupnimi zemljišči, javni izvedenci, zemljemerci, lesni trgovci, državna suverenost FONTI E BIBLIOGRAFIA ASB, 1 - Archivio di Stato di Belluno (ASB), Notarile, Antonio Crocecalle, prot. 2431, 18 agosto 1619. ASB, 2 - ASB, Notarile, Vettor Pagan quondam Matteo, prot. 5342, cc. 286-290. ASV, 1 - Archivio di Stato di Venezia (ASV), Capi del Consiglio dei X. Lettere dei rettori, Belluno, b. 154, 18 maggio 1655. ASV, 2 - ASV, Provveditori sopra i beni comunali (PSBC), b. 246, c. 11. ASV, 3 - ASV, PSBC, b. 86. ASV, 4 - ASV, PSBC, Capitolare delle leggi, b. 2, p. 4 (I), 24 febbraio 1490, legge a favore delle comunitá bresciane. 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