received: 2009-12-16 UDC 314.151.1-058.64-054.74:32.019.5(47+57)"1941/1946" original scientific article MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI DALLA VENEZIA GIULIA NEL PAESE DEI SOVIET AGGREDITO (1941-1946) Marina ROSSI Universita Ca' Foscari di Venezia, Dipartimento di Studi Storici, IT-30123 Venezia, Dorsoduro 3484/d e-mail: marin.rossi@tiscalinet.it SINTESI II contributo si propone di creare con varie fonti l'ampio quadro di riferimento politico in cui furono coinvoIti in URSS emigranti politici e dirigenti del PCI, italiani e sloveni, negli anni 1941-1943 in particolare. La partecipazione militare degli slo-veni alla campagna di Russia e un tema inedito, su cui sto indagando. Nel saggio do invece piu rilievo all'attivita dei mass media (radio, giornali, riviste) perché co-stituirono allora le tecnologie piu avanzate, considerate piu efficaci per contrastare la propaganda degli invasori. Le scuole di antifascismo in cui si impegno anche Ivan Regent indicano tra gli obiettivi dei partiti comunisti d'allora quello di convincere i prigionieri a sottrarsi alle logiche degli invasori nazifascisti. Parole chiave: propaganda, mass media, Comitato panslavo, VII Sezione Armata Rossa, altoparlanti, interrogatori SLOVENE AND ITALIAN MILITARY AND POLITICAL EMIGRANTS FROM VENEZIA GIULIA IN THE ASSAULTED SOVIET STATE (1941-1946) ABSTRACT Drawing on a variety of sources, this paper aims to provide a broad political frame of reference regarding political emigrants and leaders of the Italian Communist Party, Italians and Slovenes in the USSR, from 1941 through 1943 in particular. The military participation of Slovenes in Russia is a topic that has not yet been researched. This paper, however, focuses on mass media activities (radio, newspapers, magazines), which at the time represented the most advanced technologies and were considered the most efficient means to combat the propaganda of the aggressors. The activities of antifascism schools, in which Ivan Regent participated, 713 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI ..713-730 indicated several objectives of the then communist parties, including that of convincing prisoners to escape the logic of Nazi-Fascist aggressors. Key words: propaganda, mass media, Pan-Slavic Committee, Seventh Section of the Red Army, loudspeakers, interrogators INTRODUZIONE Questo contributo si propone, attraverso l'uso di fonti riservate inedite provenienti dagli archivi ex sovietici ed altri documenti, di approfondire il tema dei Servizi Segreti durante la Seconda guerra mondiale nel paese, la Russia, da tempo oggetto delle mie originali ricerche sulle prigionie, oggi inserite nell'ampio progetto ideato da Gorazd Bajc. Ad esso si collega la complessa ricerca riguardante l'emigrazione politica italiana e slovena proveniente dalla Venezia Giulia cui fecero parte inter-nazionalisti di grande spicco come Anton Ukmar e Ivan Regent. Prima e dopo il crol- 10 del comunismo la campagna di Russia ha stimolato in Italia un grande interesse, soprattutto in funzione anticomunista ed in diretta concorrenza con il mito sovietico caro al PCI, che presentava l'Unione Sovietica come simbolo e promessa di un futuro migliore. Nella propaganda dei partiti italiani di centro e di destra, le sofferenze autentiche della guerra e della prigionia sono state proposte, anche in qualche lavoro recente, come dimostrazione dei limiti e dei crimini dell'esperienza sovietica e responsabilité diretta dei comunisti italiani, in primis di Togliatti. Del tutto inedito è 11 problema della partecipazione alla campagna di Russia dei militari sloveni. Le mie ricerche innovative, elaborate con documenti accessibili solo negli anni Novanta, argomentano il problema con il massimo del rigore e dell'obiettività. In ogni guerra ogni esercito ha cercato e cerca di conquistare alla propria causa i pri-gionieri nemici con pressioni di vario tipo. Cercó di farlo anche l'esercito americano con i militari italiani della Repubblica di Saló, sottoposti ai comandi nazisti. Nei primi interrogatori gli ufficiali prigionieri sono sempre preziose fonti di informazioni e perció, se liberati, sono guardati con sospetto dai comandi del loro esercito di appartenenza. Nel nostro caso va ribadito il fatto che fu l'URSS ad essere aggredita e non ad aggredire. In Italia ed anche in Germania gli studi sulla propaganda di guerra esordiscono alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, grazie all'apertura degli archivi. 714 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-730 SLOVENI AL FRONTE RUSSO: UN TEMA RIMOSSO ANCHE DAGLI ANTIFASCISTI Molti italiani e sloveni di leva nella Venezia Giulia partirono per il fronte russo sin dall'agosto 1941, inquadrati nello C.S.I.R. Corpo di Spedizione Italiano in Russia divisione Vicenza 277° e 279° fanteria, priva del reggimento d'artiglieria, destinata alla sicurezza nelle retrovie, utilizzata poi sulla linea del fuoco per rimpiazzare le perdite di altre unità. Altri furono mobilitati nella Divisione Julja, 8° e 9° alpino, nel Corpo delle Camicie Nere (Divisione Tagliamento) e in altre unità. Sloveni non sospetti di simpatie o legami con l'antifascismo, finirono, grazie al loro livello culturale, nei Servizi riservati dell'esercito italiano. È il caso di Valentino Husu, classe 1905, partito per la Russia nell'agosto 1942, con il grado di capitano nell'ARMIR, 277 compagnia della Vicenza, utilizzato come ufficiale di complemento nel servizio cifre (decodificazione del messaggio in codice del nemico) e traduttore nei rapporti con la Wehrmacht. Fu l'ultima leva prima della disfatta del gennaio 1943 a Nikolaevka (Cruccu, 1982; Husu, 2009). La divisione Vicenza (277° e 279° fanteria, priva del reggimento di artiglieria, era destinata alla sicurezza delle retrovie ed al rimpiazzo delle perdite di altre unità in prima linea. L'Ufficio Informazioni dell'Armata Rossa riusci ad identificarlo, chiamandolo per nome e cognome, mentre camminava in libera uscita in una strada di Rossosh. Era solo un avvertimento. Valentino Husu rientrava, sia pure molto debilitato dalla Campagna di Russia e, proprio a causa delle precarie condizioni fisiche, non avrebbe rivisto più il campo di battaglia dopo la svolta dell'8 settembre 1943, che lo colse in Croazia, nei pressi di Sussak (Husu, 2009). Il triestino Luigi Ferluga (in sloveno Alojz) classe 1910, intellettuale antifascista, poliglotta condannato al confino a Melfi (Potenza), negli anni 1935-1936 perdeva per ragioni politiche il posto di lavoro alla Singer di Trieste e grazie alla sua conoscenza delle lingue veniva assunto dalla Società Morini & Bossi a Milano. Da qui, nell'autunno del 1942, partiva per la Russia nell'ARMIR (Armata Italiana in Russia), divisione Vicenza. Si reputa fosse schedato come antifascista proprio a causa della sua padronanza del Russo e del Tedesco. Fu assegnato, con il grado di sergente, al Comando della Divisione Vicenza, quale interprete e traduttore. Fu dato per disperso. Nel 1994 alla moglie giunse la comunicazione della sua morte in battaglia. Il suo nome figura nel Sacrario di Redipuglia (AF, 1). Ho citato, come esempi, due casi diversi per identità politica (Husu e la sua famiglia erano sloveni d'orientamento liberale, comunque invisi al regime fascista) (Husu, 2009). Nell'estate del 1942 la Venezia Giulia fu investita da un'ondata di inaudita violenza cui la massa degli italiani né partecipó né si oppose, forse perché, scrisse Elio Apih, »questa concezione parossistica del nemico político quale schifoso animale trovà i suoi estremi tra i più giovani e sprovveduti proseliti della cosiddetta 715 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-730 generazione del Littorio [...]« (Apih, i960, 120). Ma nel complesso l'apparato repressivo fu monopolio dei militari e della polizia. Il 18 luglio 1942, lo squadrismo fascista, in forte ripresa in tutta Italia, si scatenó contro la sinagoga ebraica, profanandola e devastandola; ma a Trieste la più vistosa spedizione punitiva contro gli ebrei fu attuata nel maggio 1943, quando furono presi di mira, ripetutamente, esercizi ebraici e sloveni; tra questi il negozio di casalinghi Prelog, sito in via Molino a Vento. Le Camicie Nere dovettero desistere perché avvertiti del fatto che il marito della signora Prelog, Valentino Husu, aveva combattuto in Russia e che in quel momento si trovava in Croazia. Il Federale invitó allora gli squadristi ad assaltare altri negozi di ebrei che si trovavano li vicino. Le Camicie Nere non se lo fecero ripetere due volte (Apih, 1960, 115). I comandi militari si servirono della violenza per risolvere il problema del ribellismo. Nei primi giorni del giugno 1942, dopo uno dei molti attentati effettuati dai ribelli nella zona di Villa del Nevoso, vennero bru-ciati sette villaggi della zona, impiccati ed uccisi trenta contadini e deportata parte della popolazione (Apih, 1960, 120). Il 13 luglio il prefetto di Fiume, Testa, comu-nicava al ministro dell'Interno Buffarini: »Ieri tutto labitato di Pothum [...] è stato raso al suolo e centottanta persone fucilate. I casi documentati sono molteplici« (Apih, 1960, 121). Altre disposizioni miravano a stroncare il fenomeno delle di-serzioni dei militari italiani allogeni,1 che spesso si univano ai partigiani approfittando delle licenze. Le licenze ai militari sloveni, già sospese una volta e riconcesse, con molte precauzioni, l'8 agosto 1942, vennero definitivamente abolite il 28 dicembre dello stesso anno. Anche i richiamati delle classi di leva sceglievano frequentemente la via del bosco e tra essi, nel settembre 1942, parecchi della classe 1923; l'8 settembre dello stesso mese il prefetto di Gorizia ne attesta quaranta (Apih, 1960, 121). Furono prese altre misure di polizia per il controllo della popolazione: ritiro degli apparecchi radio, delle licenze di caccia, estensione del coprifuoco, intensificazione delle perquisizioni. In data 28 settembre le autorità della provincia di Gorizia provvedevano all'internamento delle famiglie dei renitenti alla leva ed al sequestro dei loro beni; il 20 marzo 1943 una disposizione del ministro agli Interni, Buffarini, dava mano libera ai prefetti per gli internamenti e nascevano cosi i bat-taglioni coatti di lavoratori (Apih, 1960, 122). Albino Coffoli (italianizzazione dell'originale cognome sloveno Kofol), classe 1913, nato e residente a Boljunec (comune di Dolina, provincia di Trieste), parti per il fronte russo da Novara, in-quadrato nel 54° reggimento fanteria della Divisione Sforzesca, nell'agosto 1942. Le classi di leva 1911 e 1913 furono richiamate più volte e costrette a trascorrere più tempo nelle file dell'esercito italiano che sul posto di lavoro. Albino d'orientamento socialista, come tutta la famiglia, non ritornó più a casa. Venticinque anni dopo la fine della guerra la famiglia ebbe notizia del suo decesso e del luogo in cui fu 1 Sloveni e croati della Venezia Giulia costretti a prestare servizio militare nel Regio Esercito Italiano. 716 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-730 sepolto, una fossa comune per 816 militari italiani, scavata nel cimitero di Suzdal, dove il governo italiano e russo eressero un monumento a ricordo negli anni della distensione (Coffoli, 2009). Negli anni Novanta del secolo scorso Onor Caduti ha provveduto a far includere il nome di Albino Coffoli nei registri dei caduti del Sacrario di Cargnacco. Le lettere di Albino, scritte in lingua slovena, custodite amorevolmente dai congiunti, espri-mono ripetutamente la paura della morte in prima linea o per fame e malattia. Nel dicembre 1942 il nostro era riuscito a procurarsi una ferita ed a farsi ricoverare in ospedale. Ma venne subito rispedito al fronte. Le autorité militari avrebbero riferito anni dopo che Albino, catturato dall'Armata Rossa, mori di stenti e di malattia in un campo di raccolta improvvisato dai sovietici per i prigionieri nei pressi di Nikolaevka (Coffoli, 2009). I contatti mantenuti nel tempo tra l'Associazione Caduti e Dispersi in Russia e le famiglie del Comune di Dolina, colpite da analoghe tragedie, hanno consentito a Claudio Coffoli, amatissimo figlio di Albino, di individuare nel tempio di Cargnacco sette nomi di caduti sloveni originari da Dolina: »Altri militari sloveni sono finiti in Grecia, altri ancora in Africa Settentrionale o in Etiopia, come mio suocero«, ricorda Claudio, che aggiunge: »In effetti gli sloveni caduti in Russia sono stati dimenticati anche da noi. Nei monumenti partigiani non sono nominati i caduti sloveni prima dell'armistizio. Nel Litorale adriatico (Adriatisches Küstenland) la maggiorparte dei nostri antifascisti ha scelto la strada del bosco nel corso del 1944. Dopo l'8 settembre 1943 o si finiva in un campo di concentramento o si raggiungevano i partigiani. I militari sloveni sorpresi dall'armistizio in Sicilia hanno raggiunto le Brigate d'Oltremare. Nei monumenti eretti in varie localité del Carso, si ricordano i partigiani, le vittime dei bombardamenti, i deportati in Risiera o in altri lager, ma dei richiamati sloveni costretti, contro la loro volonté, a combattere a fianco della Germania, si è parlato e scritto assai poco« (Coffoli, 2009). Nel corso degli anni Venti e Trenta dirigenti e semplici militanti comunisti della Regione Giulia emigrarono in URSS per sfuggire alla condanna del Tribunale Speciale e frequentarono, in molti casi, le scuole quadri di marxismo-leninismo di Mosca. Alcuni di questi emigrati sarebbero divenuti istruttori politici nelle scuole di antifascismo create dai sovietici nei campi di prigionia. Negli anni durissimi della collettivizzazione forzata gli emigrati d'origine italiana, residenti in Unione Sovietica da qualche generazione, decisero di rimpatriare per non perdere la cittadinanza italiana. Diversi nuclei familiari si stabilirono nella nostra regione. Il rimpatrio divenne obbligatorio per gli ex prigionieri austroungarici, che avevano preso moglie in Russia. Questi particolari cittadini del Regno furono costretti, se in età di leva, a partecipare alle spedizioni del C.S.I.R. e dell'A.R.M.I.R.; a volte, furono utilizzati, grazie alla conoscenza anche parziale della lingua russa, come interpreti dell'esercito italiano (Rossi, 1995c, 151-156). Per Stanislava Cebulec e molti comunisti italiani e 717 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-730 sloveni, la partecipazione dell'Italia all'invasione dell'U.R.S.S. fu vissuta come un evento tragico, che confermava tutta la negatività del fascismo. La violenza del regime della Venezia Giulia era rivolta contro lo stato guida, emblema, per gli op-pressi, di ogni speranza di riscatto sociale e nazionale: »[...] Ricevere dalla radio notizie sull'invasione della Russia era per noi come ricevere delle coltellate. Una cugina di mio cognato aveva una figlia sposata con uno dei segretari del Fascio che ci riferiva ogni giorno le notizie riportate dai bollettini di guerra [...] Navi da guerra tedesche sono giunte nel porto di Vladivostock; a Smolensk sono andati da questa parte; ogni giorno vivevamo una tragedia dentro a noi stessi [...]« (Čebulec, 1984). L'andamento del fronte russo incise profondamente sul morale degli antifascisti sloveni. Lo conferma Slava: »Quando i russi riuscirono a fermare l'armata tedesca alle porte di Mosca, io ero forse la più felice. Non mi sembrava vero. Discutevamo tanto di quegli avvenimenti!« (Čebulec, 1984). SLOVENI COMBATTETE FINO ALLA VITTORIA! La notte del 21 giugno 1941 l'esercito germanico invadeva i confini dell'Unione Sovietica; a difesa dell'URSS e del socialismo si mobilitava l'intera popolazione del paese aggredito, insieme a tutti gli internazionalisti. Una lotta di enormi proporzioni in cui due sistemi antagonistici, due opposte concezioni del mondo si sarebbero affrontati per quattro lunghi anni, anche attraverso l'uso delle più moderne forme di comunicazione. Il 3 luglio 1941, quando la Wehrmacht si stava avvicinando sempre più pericolosamente a Minsk, Stalin invitava via radio il popolo sovietico a battersi con tutte le sue forze contro il fascismo tedesco e a sterminarlo. Il 6-7 novembre, in occasione dell'anniversario della Rivoluzione D'ottobre, il nuovo appello del capo dello stato incitava alla resistenza contro gli invasori, come ricorda Ruth von Mayenburg, allora attivo delegato del Komintern, con i toni della guerra santa (Rossi, 1995a, 261). Subito dopo l'attacco tedesco i responsabili sovietici compresero che l'idea slava avrebbe potuto diventare un concetto operativo, cosi come la Santa Russia ortodossa ed i santi e gli eroi dell'antica Russia riportati in onore da Stalin. Il primo Congresso panslavo si celebró a Mosca nell'agosto 1941, allo scopo di galvanizzare i popoli slavi contro il comune oppressore. L'istinto di autoconservazione non poteva non agire. Lo scrittore sovietico Aleksej Tolstoj, che pronunció il discorso d'apertura, dichiarava cautamente: »Noi rigettiamo la vecchia ideologia delpanslavismo perché lo sentiamo reazionario e contrario ai principi di uguaglianza tra le nazioni. Slavi, uniamoci, affinché ogni popolo conservi, al pari degli altri, il diritto di un 'esistenza libera e pacifica e la cultura delle nostre genti possa sbocciare senza costrizione alcuna. Slavi [...] il momento è venuto di far fronte comune nella lotta contro il fascismo tedesco [...]« (Conte, 1992, 558-559). 718 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..713-730 Il Congresso salutô la memoria di tre milioni di caduti e acclamé i rappresentanti polacchi e cechi all'annuncio che questi stavano formando dei corpi d'armata per lottare in territorio sovietico. Come al congresso tenutosi a Mosca nel 1867, i partecipanti al raduno dell'agosto 1941 decisero di costituire un comitato con l'incarico di contattare tutte le organizzazioni slave del mondo. Lo sforzo di coesione interessô presto l'Inghilterra, il Canada, l'America Latina e gli Stati Uniti. Detroit ospitô, nell'aprile del 1942, un immenso congresso delle nazioni slave, emanazione di un'organizzazione che contava su dieci milioni di americani di origine slava. Quelle giornate d'aprile vennero dichiarate »giornate degli Slavi americani«, dei »fratelli slavi doltreoceano« come si diceva allora nell'Europa orientale. E contemporaneamente si svolse a Mosca una seconda riunione (4-5 aprile 1942) in cui i discorsi dei vari rappresentanti - ognuno parlava la propria lingua - vennero radiodiffusi (Conte, 1992, 558). Tra le personalità russe presenti, Dimitrij Šostakovič proclamó la propria fierezza di essere russo, l'orgoglio di essere slavo. Aleksej Tolstoj scrisse per la Pravda un articolo che avrebbe rilanciato nell'Unione Sovietica gli studi slavistici, per mostrare l'apporto slavo all'Europa e al mondo intero (Conte, 1992, 558). Si ritornava cosi alle idee di Herder sull'evangelismo degli slavi e segnatamente dei Russi; visione romantica direttamente derivante dalla filosofia e dalla storia delle idee tedesche. Va ricordato, peró, che il nazismo aveva definito gli slavi popolo concime (Düngervolk), forma estrema dell'odio nutrito dai nazionalisti, figli del pangermanesimo per i vicini dell'Est. Il Drang nach Osten risaliva al Medioevo e già il secolo XIX aveva visto trionfare l'egemonia germanica sui popoli dell'Europa centrale. Nell'aprile 1942 a Mosca si costituiva un Comitato Panslavo slavo, nel quale l'internazionalista Ivan Regent, dirigente del PCI presso il Komintern, assumeva la presidenza della sezione slovena, il che significava, in pratica, il riconoscimento dell'irredentismo sloveno da parte dell'URSS (Conte, 1992, 556-557; Masaryk, 1997, 143-145; Apih, 1964, 300-305). In un primo tempo Matteo (questo il nome in codice di Regent) non si rallegró particolarmente del nuovo incarico: »Combattevo il nazionalismo sin dal 1902, per sostenere, invece, la fratellanza di tutti i popoli, nella prospettiva di un'alleanza politica tra il movimento nazionale delle popolazioni slovene e croate oppresse ed il movimento rivoluzionario di classe del proletariato italiano. L'autodecisione va realizzata attraverso una lotta rivoluzionaria [...]. Questa rivoluzione sarà vittoriosa quando il proletariato conquisiera la direzione delle masse contadine [...]« (Regent, 1967, 220). Decise comunque di sfruttare le oppor-tunità che potevano derivarne: »Poi ho pensato che forse non sarebbe stato male farne parte. Era giusto combattere il nazismo ed il fascismo anche con l'idea della liberta e dell'indipendenza di tutti i popoli slavi. Da quella lotta sarebbe dipesa la vita o la morte di tutti i popoli europei, grandi e piccoli, perché i nazifascisti vole-vano sottomettere tutti i paesi europei ed i loro abitanti. Allora l'Unione Sovietica 719 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-73G era l'unico paese libero in Europa, oltre alllnghilterra ed alla Svizzera; era giusto, perciö, chiamare tutti i popoli alla lotta« (Regent, 1967, 22G). La segreteria dell'In-ternazionale Comunista controllava costantemente l'evolversi delle vicende belliche ed elaborava le tesi da contrapporre al nazifascismo attraverso messaggi a stampa e radiofonici trasmessi in vario modo sulla linea del fuoco. A Rostokino erano in funzione 24 ore su 24 i centri di ascolto per captare i bollettini di vittoria del nemico che annunciavano con giorni di anticipo ció che i laconici bollettini sovietici lasciavano solo intuire: »Quando le trasmittenti clandestine del Comintern ebbero iniziato ad una ad una la loro attività, in luglio-agosto 'Svobodne Ceskoslovenska ', nel settembre la Deutscher Volkssender', 'Radio Milano Liberta', 'France Liberée, la rumena 'Romania libera', l'ungherese 'Kossuth', la bulgara 'Christo Bote ff e qualche mese dopo la 'Österreich ' austriaca, che prese a funzionare il 19 novembre 1941 da Ufa e ancora il 'Sudeten-deutscher Freiheitssender' e altre emittenti minori, gli ospiti del Lux leggevano al microfono testi da loro stessi compilati o ricevuti per telescrivente, ai microfoni degli studi organizzati nello scantinato dell'albergo: i testi che non dovevano essere approvati dalla censura ma soltanto dai responsabili del partito dei singoli paesi a cui il programma era destinato. Si godeva dunque della liberta di parola quale mai s'era data prima nell'Unione Sovietica« (Rossi, 1995a, 262-263). Ivan Regent (Matteo) fu collaboratore e traduttore nei programmi di lingua italiana a Radio Mosca dal 22 ottobre 1939 su proposta dell'Ufficio Quadri dell'Inter-nazionale comunista (RCHIDNI, 2). Negli anni di guerra lavoró in tre trasmissioni radiofoniche gestite dal comitato panslavo; nell'ultima delle quali intervennero anche i rappresentanti dell'Esercito di liberazione jugoslavo ed esponenti della lotta di liberazione di altri popoli. Il Comitato Panslavo mobilitó nella lotta contro il fascismo tutti gli antifascisti e gli elementi progressisti di tutti i popoli. Nel comitato di redazione della rivista Slavi regnava quasi sempre l'armonia: »Eravamo tutti convinti di poter lavorare in amicizia, nella lotta contro il fascismo, finché non ar-rivö Zdenek Nejedli, che espresse, nel suo articolo, grande simpatia per Draža Mi-hajlovič. Vlahov ed io chiedemmo energicamente che non fosse pubblicato. Nejedli era perciö il vicepresidente del Comitato e gli altri redattori non ebbero il coraggio di opporsi. Posero, invece, il veto a noi« (Regent, 1967, 221). Gli articoli uscivano in lingua inglese su riviste inglesi e americane con l'approvazione del ministero degli Esteri dell'URSS. Quelli sugli sloveni arrivavano in Egitto, negli Stati Uniti: »Negli anni di guerra mi ha letto il prof. Furlan, dal Cairo, mi ha scritto due volte il dr. Ivan Marija Čok. Tutti volevano aprire, attraverso di me, dei contatti con il Fronte di Liberazione Jugoslavo. Si capisce che, tanto al primo che al secondo, non potevo rispondere facilmente« (Regent, 1967, 222). Tra il 1G e l'11 agosto 1941 gli articoli del comitato panslavo furono letti per radio, ognuno nella propria lingua: »Il com-pagno Železov ha mandato in onda il mio appello, rivolto agli sloveni, dicendo che 72G Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-73Q era l'unico a non aver bisogno di correzioni« (Regent, 1967, 223). Esso era, infatti, perfettamente in linea con gli appelli di Stalin. L'urto con il germanesimo rimarcava uno scontro plurisecolare, divenuto rischio mortale con il nazismo; solo la fratellanza di tutti i popoli oppressi dal nazifascismo avrebbe aiutato anche gli sloveni ad affrancarsi con la lotta partigiana nella prospettiva di un mondo nuovo, garante di liberté ed uguaglianza sociale nella prospettiva del socialismo (RCHIDNI, 3). L'im-pegno di Regent accendeva in URSS l'interesse per il popolo sloveno. SULLA LINEA DEL FUOCO L'INTELLIGENCE POLITICA DEL KOMINTERN SI INCONTRA CON QUELLA MILITARE Sin dagli inizi della guerra, speciali istituti si assumono il compito, dapprima nella capitale, poi dopo l'ottobre 1941, in localité segrete del Volga, di definire le linee politiche, le tattiche e le strategie psicologiche da adottare su tutti i fronti e di preparare gli agitatori da inviare in prima linea e nelle retrovie, per indebolire il morale e creare divisioni tra gli alleati del blocco nemico, recepire umori e contraddizioni sia tra le truppe che tra i civili, infiltrandosi nelle zone d'occupazione. Un lavoro capillare e gigantesco, distinto per gradi e funzioni, dai vertici alla periferia, cui prendono parte i massimi dirigenti comunisti dei paesi coinvolti nel con-flitto, operanti a vario livello nella struttura del Komintern, alti ufficiali inseriti ai vertici dei servizi segreti dell'Armata Rossa, semplici ufficiali (uomini e donne) generalmente universitari delle facoltà umanistiche e di lingue moderne. Si mobili-tano le migliori risorse del paese, che vengono addestrate a svolgere delicati compiti nelle diverse diramazioni degli uffici riservati: attività editoriali e stesura di messaggi radiofonici, agitazione politica e guerra psicologica, interpretariato e traduzione, affiancati dagli emigranti politici. La direzione del lavoro teorico è affidata alla segreteria dell'Internazionale Comunista, che controlla costantemente l'evolversi delle vicende belliche, elabora le tesi da contrapporre al nazifascismo attraverso messaggi a stampa e radiofonici trasmessi in vario modo sulla linea del fuoco (Kontrateva, 1994). Ruth von Mayenburg ne descrive le modalité ed i rischi: »La propaganda al fronte è un lavoro notturno che si svolge nelle ore in cui, sulle linee principali, d'ambo i lati, c'è un relativo silenzio e le voci degli altoparlanti montati su camion o da megafoni nelle trincee giungevano chiaramente a quelli 'dall'altra parte'. Fino al momento in cui si accendono i razzi illuminanti ed i primi colpi indicano che il punto di provenienza delle voci stesse è preso di mira, passa tempo sufficiente per comunicare le notizie che si vogliono trasmettere e noi condivamo il nostro programma con dischi di musica patetica e di canzoni che ricordassero ai tedeschi la patria lontana. Quella cui facevano più spesso ricorso era Lilli Marleen con un nuovo testo« (von Mayenburg, 1978, 258). A volte il prigioniero era costretto a seguire sulla linea del fuoco l'unité mobile della 721 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-73G speciale sezione di propaganda, vestito con la divisa sovietica, con grave rischio per la propria incolumità (von Mayenburg, 1978, 259). Si tentava di abbattere il morale dei soldati italiani facendo leva sulla loro natura sentimentale di popolo mediterraneo e su ogni altro punto debole come l'equipag-giamento e le difficoltà alimentari registrate già nei primi interrogatori, e, tormento comune a tutti gli invasori, sulla nostalgia per la patria lontana, acuita dall'ansia per la sorte dei propri cari: »Guardate come siete mal equipaggiati, mal nutriti, chi ve lo fa fare a venire qua, con questo freddo quando a casa avete quel bel sole? [...J Perché tu, tenente, vuoi sacrificare i tuoi uominiper una causa che non è la tua? [...J Non sapete che hanno bombardato Torino?«. Senti urlare dal megafono, non senza costernazione il triestino Vittorio Capuzzo, giovane sergente della divisione Vicenza (Capuzzo, 1994). Nella primavera del 1942, l'attività della sezione speciale dell'Ar-mata Rossa si intensifica a causa della cattura di molti prigionieri. Il collegamento con l'emigrazione politica italiana è garantito da Bianco, Ercoli (Togliatti) dirige la parte editoriale ed il lavoro ideologico. Secondo quanto ribadisce un dirigente del Comando Generale della IV Sezione di Mosca, responsabile del settore stampa e propaganda dell'esercito sovietico, tre erano gli argomenti utilizzati per indebolire il morale degli italiani: 1) gli italiani erano succubi degli interessi della Germania; 2) il discredito di Mussolini e del seguito, essere servi della Germania, fautori di una politica antinazionale, contraria agli interessi del popolo italiano; 3) l'Italia non aveva motivo di aggredire, perché l'Unione Sovietica non aveva avanzato alcun tipo di pretesa territoriale nei confronti dell'Italia. Le tesi elaborate al Quartier Generale venivano diffuse sulla linea del fuoco con testi più brevi sotto forma di volantino o di appello inviato con il megafono (RCHIDNI, 4). Adelina Kontrateva, inviata come interprete sul fronte di Voronež, nell'estate 1942 cosi rievoca il suo primo incontro con cinque alpini dell'VIII Armata: »Nell'agosto 1942 ricevetti il telegramma che mi obbligava a raggiungere al più presto, sul fronte di Voronež, gli italiani. Avevano bisogno di traduttori. Durante gli interrogatori dei prigionieri, i casi più dolorosi si erano verificati quando i traduttori erano tedeschi e i malcapitati venivano fraintesi, con le conseguenze che possiamo immaginare. Giunta sul posto, mi ordinano di conferire con il capitano dei servizi segreti, che mi dice: 'Ci sono cinque prigionieri italiani da interrogare' [...J Figuratevi il mio stato d'animo [...J non credevo di conoscere l'italiano al punto da assumermi un compito cosí delicato. In Spagna [la donna vi aveva già lavorato come interprete di lingua spagnola al servizio dell'aviazione sovieticaJ mi era capitato di trovare degli italiani con l'accento emiliano. Avevo studiato all'istituto di lingue romanze. Per me sarebbe stato un po' più semplice [...J Giunse il capitano insieme ad una ragazza ed altrimilitari. Quando dei prigionieri vengono catturati c 'è una specie di messa in scena predisposta dai servizi, allo scopo di accrescere il disorientamento dei prigionieri. In quelle circo-stanze non sanno come stare, come comportarsi. Credo di capire come si sentissero 722 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-73G nel trovarsi di fronte ad una ragazza in divisa, armata, dal cui atteggiamento sarebbe dipeso il loro destino [...J. Uno di questi ragazziproveniva dal Nord dltalia, gli altri non so. Comunque erano tutti dell'VIII Armata e sono stati i primi prigionieri che ho dovuto interrogare. Non ne ho un ricordo piacevole. Gli istruttori politici ci avevano insegnato che è proprio il primo interrogatorio quello che conta, quando il militare vive il massimo disorientamento. Con il passare del tempo, comincia a ripensarci, è pur sempre un soldato e le sue risposte non sono più istintive. Poi, sono molto importanti i documenti, per capire da quale formazione provenga, quali ne siano i piani strategici, ecc. Dunque mi arriva il primo prigioniero, un giovinetto sui diciannove anni. È molto difficile dimenticare gli occhi di quell'alpino. All'inizio nessuno di noi sapeva niente delle varie divisioni alpine. Tutto lo stato maggiore cominciava a disporsi in cerchio, come per una parata. Il ragazzo era seduto, calmo. Si intuiva che era pronto a tutto, anche ad essere ammazzato. Al primo interrogatorio parlo, venimmo a sapere del progetto di avan-zata verso il Caucaso. Dagli altri quattro raccogliemmo qualche notizia sulla Julja, la Tridentina, la Cuneense. Poi tutti si chiusero e non vollero dire più nulla« (Kontrateva, 1994; Asti, 1995).2 DOCENTI DI ANTIFASCISMO TRA I PRIGIONIERI ITALIANI Nell'estate del 1943 Vincenzo Bianco esercitava, invece, su Matteo delle pres-sioni affinché accettasse il ruolo di istruttore politico nei corsi di antifascismo al campo 27 di Krasnogorsk. Nel luglio 1943 la moglie di Matteo, Amalia Licer, era assunta come traduttrice e bibliotecaria nella stessa scuola di antifascismo (RCHIDNI, 4). La località di Krasnogorsk, situata nei dintorni di Mosca, era stata scelta come sede di una delle più importanti scuole di formazione politica, sia a causa delle favorevoli strutture logistiche, che per la sua vicinanza alla capitale. Avrebbe partecipato attivamente ai corsi promossi in quella sede, lo Stato Maggiore della Wehrmacht catturato a Stalingrado, tra cui lo stesso von Paulus ed il conte Einsiedl, promotori il 12-13 del 1943 del Comitato »Germania Libera« costituitosi al campo 27 di Krasnogorsk insieme ad altri 23 prigionieri (fra cui 12 ufficiali) (Krupennikov, Bernikov, 1995). In quella zona infatti esisteva già in precedenza un grande campo di raccolta riservato ai profughi politici, che era diviso in tre settori, rispettivamente denominati 27-a, 27-b, 27-c. Nel maggio del 1943 vennero poste le basi concrete per la formazione di una scuola politica che avrebbe dovuto accogliere gli appartenenti di varia nazionalità che si erano stabiliti nel campo ancora prima dell'inizio degli eventi bellici. L'obiettivo principale dei corsi tenuti in questa scuola era di trasformare 2 Il documentario Asti, 1995 è interamente dedicato alla propaganda e raccoglie tutti i più importanti cinegiornali dell'Armata Rossa. 723 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI 713-73G questa gente in »antifascisti modello« da inserire nel campo dello spionaggio nei settori, dove si sarebbero potuti dimostrare più utili. Gli elementi che facevano parte di questa scuola in certi casi provenivano anche da altri campi di prigionia, dove gli organi dell'NKVD avevano provveduto a svolgere delle selezioni preliminari. Molti di questi prigionieri di guerra avevano accettato di lavorare per l'NKVD già nel campo dal quale provenivano. La scuola vera e propria venne collocata nel campo 27-b e inizialmente era divisa in 5 settori, seguendo un criterio di distribuzione dei corsisti sulla base delle diverse nazionalità. Vennero cosi creati i seguenti settori: serbo, rumeno, tedesco, ungherese e italiano. Inizialmente il settore serbo (in verità si dovrebbe parlare del settore jugoslavo, visto che comprendeva anche sloveni e croati), aveva a disposizione ben 56 corsisti. Le materie impartite rientravano prevalentemente nel campo della politica. Per quel che riguardava l'istruzione delle necessarie cognizioni storiche, veniva rilevato come gli istruttori sovietici, nel caso degli jugoslavi, stessero molto attenti a non risvegliarne l'orgoglio patriottico, tendendo a ridimensionare il peso della storia contemporanea relegandola in tal modo in una posizione secondaria. La ragione di questi »ritocchi« poteva essere dimostrata dalla pratica di sminuire, se non addirittura omettere gli avvenimenti relativi alla guerra partigiana in Jugoslavia. Oltre al lavoro sul campo teorico, gli studenti dovevano anche svolgere svariati esercizi pratici che consistevano anche in prove di »oratoria politica« da sperimentare nei settori dei campi attigui. Sembra peró che la »creazione« di caratteri dalla forte personalità politica fosse soltanto l'obiettivo secondario del complesso sistema in questione, mentre l'obiettivo principale era caratterizzato dalla preparazione di ade-guati quadri professional da inserire nell'imponente settore dei servizi d'informa-zione. Questa supposizione pareva essere suffragata dal fatto che i corsisti, dopo tre mesi, venivano inseriti in altri campi o in unità combattenti, in stretto collegamento con gli ufficiali dell'NKVD. Nel caso degli jugoslavi il responsabile referente capo era l'ufficiale dell'NKVD Vionov Pečarski, che aveva il compito di curare il loro inserimento nelle varie unità. I corsisti venivano solitamente inviati nelle unità combattenti jugoslave inquadrate nell'Armata Rossa con la qualifica di collaborator! dell'NKVD. Per poter controllare più efficacemente questi suoi »dipendenti«, Pečarski pose ai vertici della sezione NKVD presso la I. Brigata Jugoslava (AS, 1) il vicecolonnello Nikitin. Durante la Seconda guerra mondiale, specialmente nel 1942 e nel 1943 giunsero sul territorio dell'URSS numerosi Jugoslavi provenienti dalle zone della Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, Bačka, Baranja che facevano parte delle formazioni inquadrate negli eserciti tedesco o italiano (la 369a Legione Croata appartenente alla 1GGa Divisione tedesca, il plotone croato appartenente alla divisione Italiana »Ce-lere«) o appartenenti all'esercito ungherese, inquadrati nei vari battaglioni punitivi. Molti appartenenti a queste unità disertarono e passarono nelle file dell'Armata 724 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI 713-73Q Rossa. Nel 1943 il numero di questi disertori di origine jugoslava diventô tale che il comando sovietico decise, con l'onnipresente supporto dell'NKVD, di organizzare queste masse ed utilizzarle non solo nella battaglia contro il nemico, ma con fini anche più lungimiranti, visti i numerosi arruolamenti fatti da parte dell'NKVD per scopi anche postbellici (AS, 1). L'idea di formare questo tipo di »legione straniera« non era nuova, infatti già durante il primo conflitto mondiale vennero formate sul territorio russo unità militari costituite da cechi e jugoslavi. Anche dopo la Rivoluzione d'Ottobre nelle file dell'esercito rosso militavano lettoni, ungheresi ed addirittura plotoni di cinesi. Nel campo 27, i massimi dirigenti delle sezioni IV e VII dell'Armata Rossa, impegnate nella guerra ideologica insieme al Komintern, si avvicendavano nell'intensa attività di propaganda rivolta ai prigionieri. Il maggiore Nikolaj Tereščenko fu il portavoce della VII sezione dell'Armata Rossa, incaricato, grazie alla buona conoscenza della lingua italiana acquisita durante la sua precedente attività di diplomatico, di porre le basi per la creazione del giornale dei prigionieri italiani L 'Alba. La sua eccezionale testimonianza ci aiuta a comprendere la delicatezza e la difficoltà dei compiti cui dovette far fronte insieme alle contraddizioni che caratterizzarono i suoi rapporti con il gruppo dirigente del Partito Comunista Italiano, in particolare Togliatti, Grieco, Bianco, D'Onofrio, Robotti. Secondo quanto emerge anche da altre fonti d'archivio, il rapporto tra gli istruttori politici e la massa dei prigionieri italiani fu improntato molto spesso da diffidenza ed indifferenza. Le pressioni esercitate dai servizi riservati dell'esercito sovietico affinché L 'Alba uscisse con regolarità, non eliminavano i problemi di fondo, in primo luogo la non volontà di partecipazione da parte dei prigionieri. Nikolaj Tereščenko scrive, infatti, a questo proposito: »Già nel mese d'aprile, dopo aver dato alla luce una serie di numeri, sapevo da informazioni provenienti dai campi di prigionia - e tra queste vi erano le lettere dei prigionieri -che questi ultimi non credevano affatto a L 'Alba e che quando il giornale arrivava ai campi, senza leggerlo, lo facevano a pezzetti e lo dividevano fra loro, per usarlo come carta da sigarette« (Tereščenko, 1994, 101). È IMPOSSIBILE NON COLLEGARE IL PROBLEMA DELLA RIEDUCAZIONE POLITICA DEI PRIGIONIERI ALL'ANDAMENTO DEL FRONTE ED ALLA POLITICA INTERNAZIONALE Per gli specialisti dell'Intelligence sovietica e gli attivisti del Komintern i militari italiani erano interlocutori importanti perché in Italia esisteva un movimento operaio e contadino organizzato, contrario al fascismo. I proletari in divisa giunti in Unione Sovietica avrebbero dovuto accogliere le sollecitazioni rivolte dagli emigranti politici in funzione della lotta comune contro il nemico. In tale prospettiva, Vincenzo Bianco venne espressamente incaricato dal Presidente del Komintern, Georgh Dimitrov, di 725 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI 713-73G operare un'attenta selezione dei delegati in vista della I Conferenza dei prigionieri italiani convocata il 27 aprile 1942, presso il campo di Krasnogorsk ed ampiamente resa nota dai mass media, tra cui la Pravda. Il documento finale, approvato all'una-nimità, enuncia le tesi politiche che dovranno irradiarsi nelle lontane periferie dell'Unione Sovietica, attraverso i prigionieri distintisi per capacità ed impegno; ribadisce il carattere demagogico della dittatura fascista, che dopo 22 mesi di guerra ha procurato al popolo italiano solo fame e sofferenze; condanna la subalternità dell'Italia alla Germania, anche nelle spinte imperialistiche e coloniali responsabili della morte di decine di uomini, a partire dalla guerra abissina e da quella di Spagna. Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia combatte agli ordini dei tedeschi contro il »grande popolo russo« le cui qualità ed i cui meriti sono volutamente nascosti al popolo italiano. Dal verbale sappiamo che ai lavori prende parte anche un prigioniero germanico, a nome dei connazionali antifascisti. Si segnalano, inoltre, interventi di delegati rumeni, finlandesi ed ungheresi. La manifestazione si chiude al canto di »Bandiera rossa« (RCHIDNI, 5). Alla fine del 1942 e nei primi mesi del 1943, nella scuola di Krasnogorsk gruppi di studi erano costituiti da 2G-3G elementi per un massimo di 15G. Nei corsi si dovevano affrontare i seguenti problemi: 1) il carattere della guerra; 2) teoria e pratica del fascismo per i prigionieri italiani; 3) i principi del nazionalsocialismo. Il concetto di potenza nella Germania nazista (per i prigionieri tedeschi). Per tutti: 4) l'imperialismo ed il concetto dello stato padrone; 5) che cos'è l'Unione Sovietica; 6) che cosa potevano fare i prigionieri durante la guerra per contribuire a distruggere il nazionalsocialismo e che cosa avrebbero potuto fare per contribuire all'edificazione del socialismo una volta rientrati in patria. Quest'ultimo punto sarebbe divenuto oggetto d'appassionante dibattito tra i prigionieri italiani sinceramente antifascisti dopo la svolta dell'8 settembre (RCHIDNI, 1). Ivan Regent offre le seguenti indicazioni: »Nei corsi di antifascismo studiavano prigionieri di guerra tedeschi, italiani, rumeni e jugoslavi. Ho insegnato in due, poi tre corsi, della durata di sei mesi. In ognuno avevo sessanta prigionieri, di diverso livello culturale, anche docenti della Facoltà di Lettere dell'Università di Roma o prigionieri siciliani che sapevano a malapena leggere e scrivere. Ho collaborato con il compagno Foschi nei corsi di economia politica, ho insegnato storia del movi-mento operaio in Italia, materialismo storico e filosofico, due ore accademiche per ogni disciplina con una pausa di mezz'ora al mattino. Al pomeriggio tenevo un seminario su questa o quella disciplina, della durata di quattro ore. Si promuo-vevano, inoltre, incontri settimanali riguardanti la situazione politica nel mondo o al fronte. Un lavoro molto difficile a causa dei diversi livelli d'istruzione esistenti tra i prigionieri« (Regent, 1967, 231-232). L'anno 1943 risultó decisivo ai fini dell'elaborazione ideologica conseguente alla controffensiva sovietica ed angloamericana, a partire dalla vittoria di Stalingrado 726 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIAN! E SLOVENI PROVENIENTI 713-73G (febbraio 1943), divenuta argomento di studio obbligatorio in tutte le scuole di antifascismo (RCHIDNI, 1). Molti documenti d'archivio illustrano il lavoro febbrile svolto dai massimi rappresentanti del Partito Comunista Italiano presso l'Internazio-nale Comunista: Ercoli (Togliatti), Vincenzo Bianco Germanetto, D'Onofrio, Ron-cato, Ossola, Bergamini, Galli, ecc., insieme a quadri meno noti italiani e sloveni della Venezia Giulia, le mogli russe italofone, si diramarono nei vari campi per allargare la rete dei corsi di antifascismo (RCHIDNI, 6). I verbali d'interrogatorio stesi dall'Ufficio Informazioni dell'esercito sovietico al momento della cattura e nei campi di prigionia per individuare gli elementi più adatti alla frequenza dei corsi di antifascismo offrono importanti indicazioni sull'unità militare di appartenenza, sul livello culturale, il credo politico del prigioniero e della sua famiglia. Ad esempio sul soldato Braidotti Riccardo, nato a Cividale il 21 febbraio 1919, titolo di studio: V elementare, relegato nel campo d'Usman (Russia centrale) nell'aprile del 1943, si registra quanto segue: »Il padre e la madre« - egli dice - »erano comunisti. Il padre è morto nel 1926 nel carcere di Trieste. Era stato condannato a 21 anni per la distruzione del 'Ponte del diavolo' a Cividale. Fu condannato insieme a Zavattini ffucilato), Bier Fermo ed altri tre fuggiti in Francia. Anche Riccardo è stato condannato a S anni di carcere che ha scontato nel carcere di Udine dal ß aprile 19S5 al ß aprile 19SS per aver detto male del fascismo ed aver fatto propaganda antifascista. Egli faceva parte dell'S° alpini ed il 21 dicembre 1942, secondo quanto afferma passo isolatamente e volontariamente dalla parte dei russi« (RCHIDNI, 6). Più difficile riconoscere a Krasnogorsk gli allievi sloveni perché inseriti a volte nel gruppo dei comunisti jugoslavi (RCHIDNI, 6). La grande umanità di Regent e la sua capacità di mediazione contribuivano a prevenire conflitti con prigionieri lontanissimi dal comunismo e con la dirigenza sovietica del campo: »Con i miei studenti mi sono sempre comportato lealmente, senza offendere nessuno. Il comandante del campo, che insegnava filosofia tedesca, mi chiese, a volte, come si comportassero i miei prigionieri. Risposi che essendo in gran parte di mentalità fascista, non si poteva pretendere che diventassero comunisti in pochi mesi [...J. I prigionieri italiani mi volevano molto bene e mi chiamavano papà Matteo« (Regent, 1967, 234). CONCLUSIONI Come è stato ampiamente illustrato, emigranti politici italiani e sloveni, già sensibili all'idea comunista o resi sensibili dal trauma della guerra, collaborano a vario livello con le strutture riservate, interdipendenti, del Komintern, dell'Armata Rossa, dell'NKVD (Narodni Komissarjat Vnutrevnij Del, Polizia Politica Segreta), dissociandosi dalle logiche degli invasori e per difendere il giovane stato comunista. 727 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..713-730 ITALIJANSKI IN SLOVENSKI VOJAKI IN POLITIČNI EMIGRANTI IZ JULIJSKE KRAJINE V NAPADENI SOVJETSKI DRŽAVI (1941-1946) Marina ROSSI Univerza Ca'Foscari v Benetkah, Oddelek za zgodovinske študije, IT-30123 Benetke, Dorsoduro 3484/D e-mail: marin.rossi@tiscalinet.it POVZETEK Poleti leta 1941 so Komunistična internacionala, politična sekcija Rdeče armade in Narodnij Kommissariat Vnutrennih Del združili svoje napore pri pripravi propagandnega protiudarca, zlasti nemškemu propagandnemu obstreljevanju, ki bi učinkovito načel zavest in moralo okupatorjevih vojakov. Obenem so tajne strukture sovjetske vojske in NKVD-ja vzele v svoje roke boj proti prežeči nevarnosti kola-borantstva s strani civilnega prebivalstva, še posebej v Ukrajini, in nadzor nad lojalnostjo svojih vojakov. Ob pomoči vodstva IV. sekcije Rdeče armade strokovnjaki Kominterne vedno večje količine zaplenjene korespondence niso samo arhivirali, ampak jim je le-ta služila kot študijsko gradivo, iz katerega so črpali iztočnice za pripravo letakov in drugih sporočil, namenjenih vojakom tako na prvi bojni črti, kot tudi v zaledju. Izvlečke tega vojnega plena so prevajali v različne jezike in gradivo po natančno določenem vrstnem redu razpošiljali organom, ki so tovrstne vire potrebovali za sestavke, naperjene proti sovražniku. Te trofeje so služile tudi za pripravo radio-gramov. Splošni cilji propagandne dejavnosti, skupni vsem tajnim strukturam v vojski in v komunistični partiji, so bili sledeči: 1) pojasniti legitimne razloge Sovjetske zveze in razkrinkati neupravičeno okupacijo s strani Nemčije in njenih zaveznikov; 2) potrditi odporniške sposobnosti Sovjetske zveze ter napadalno moč Rdeče armade in flote, kot tudi dokazati, da je s pomočjo propagandne aktivnosti mogoče doseči razpad fašistične vojske in poraz nemškega imperializma; 3) odpraviti mit o nemški vojski in zaostriti protislovja v njenih vrstah, v nemškem zaledju in med njenimi zavezniki; poudariti razmah in rast antifašističnega gibanja med narodi, ki so bili žrtev nemške okupacije; 4) vztrajati pri učinkovitosti sovjetske propagande in pojasnjevati protiljudski značaj fašističnega režima; 5) rednim silam Wehrmachta in njihovim zaveznikom nakazati, da je tako na individualni kot na kolektivni ravni izhod iz vojne lahko vdaja ter predaja in odhod v ujetništvo. Spomladi leta 1943 naj bi skupaj z drugimi, manj vidnimi slovenskimi političnimi emigranti v najpomembnejši antifašistični šoli delovali Ivan Regent, Dragutin 728 Marina ROSSI: MILITARI ED EMIGRANTI POLITICI ITALIANI E SLOVENI PROVENIENTI ..., 713-730 Gustinčič, Anica Kokar in Amalia Licer Regent. Slovansko bratstvo je po svojih močeh prispevalo k naraščajočemu nasprotovanju nacifašistični koaliciji. Odločilno je k temu prispeval Panslovanski odbor z revijo Slav in Radio Moskva z oddajami v italijanskem in slovenskem jeziku, kjer so bili sestavki Ivana Regenta, Amalie Licer, Dragutina Gustinčiča ter Anice Gustinčič posebej odmevni. Ključne besede: propaganda, množični mediji, Panslovanski odbor, VII. sekcija Rdeče armade, zvočniki, zaslišanja FONTI E BIBLIOGRAFIA AF, 1 - Archivio Famiglia Ferluga, Trieste. AS, 1 - Arhiv Republike Slovenije (AS), AS 1931, 1311, 111/126, antifašistička šola u Krasnogorska kod Moskve. Asti, U. (1995): L'altra riva del Don. Parma, Officinema Produzioni. 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