ACTA 111 STRIAE IV. ricevuto: 1995-09-03 UDC: 352/354:343.352(497.4/.5 Istria)" 17 LA CORRUZIONE DEI PUBBLICI FOTERI NELL'ISTRIA VENETA DEL '700 Giuliano VERONESE laureatci in storia, TT-33078 S. Vito al Tagliaraento (PN), Via Marmora 26 SINTESI II fenomeno della corruzione dei rappresentanti veneziani inviaii dal governo in Istria pare essere, a giudicare dalla consistenza dei documenti archivistici che lo evidenziano, un evento paríicolarmente diffuso. Tale fenomeno pud essere posto in relazione alia prassi di inviare nelle podes teñe "marginali" elementi scelti traquel patriziato che, de finito "minore" per scarsitá di ricchezze e potere, era disposto a compiere ogni sorta di abusi per arrútondare le proprie entrate. La "rapacitá", infatti dei rettori rimase a lungo nella cosáenza collettiva delle popolazioni istriane tramandata da proverbi e tnodi di diré. Nei marzo del 1788 giunse a Venezia Andrea Massalin, procuratore della Comunitá di Fianona, per presentare al tribunale dei Capí del Consigiio dei X un memoriale contenente le laméntele dei suoi concittadini. II documento, redatto dallo stesso procuratore, conteneva una serie di pesanti accuse contra il rettore di Albona. Girolamo Soranzo, colpevole, a detta degli "aggravati", di estorsioni e violenze ai danni dei "poveri" abitanti del castello di Fianona.1 Particolarmente intollerabili erano stati i continui tentativi del podestá di pro-cacciarsi con ogni mezzo un "indebito lucro" introducendo novitá nella riscossione delle imposte ebe egli aumentava o addirittura inventava in spregio agli statuti e alie consuetudini ñno ad allora osservate. Si trattava inoltre di oneri tribntari divenuti gTavosi in queUa particolare congíuntura economica, a seguito della grave crisi agrícola che aveva ridotto praticamente alia fame quelle popolazioni. Non si trattava della prima denuncia che la Comunitá presentava al Consigiio dei X salle "male direzioni" del Soranzo. Giá in precedenza, nel settembre e nel- 1 ASV. Consigiio dei X, Protessi criminaii. Raspo, b. 16. 93 ACTA 111 STRIAE IV. Giuliano VERONHSE: LA CORRUZIONU DE! PUBBLfCf... 93-102 l'ottobre del 1787 erano giunti a Venezia dei memorial! in cui erano state esposte "I'estorsioai, le violenzs, le male direzioni dello stessopubblico rappresentante".2 Nell'aprile dello stesso atino il Consiglio dei X aveva dato incarico al Capitano di Raspo di istruire un processo con il proprío rito inquisitorio sui gravi com-portamenti del Soranzo. Nell'agosto il cancelliere del capitano fu a Fianona dove esaminó un Junga serie di testimoní. Tutti concordavano con quanto affermato nel memoria le presentato a Venezia. In particolare, era emerso che il rettore non tenendo in mínimo con'o le con-suetudini che fino ad aílora avevano regolato i rapporti ira podestá e popoiazione aveva finito per scatenare risentimento degli abitan ti. Un risentimento, va ricor-dato, che in altre occasioni ebbe conseguenze tragiche come, ad esempio, le violente rivolte popolari accadute a Rovigno nel 1767 e ne! 1781. Nel 1787 erano giunte nel porto di Fianona tre "brazzere" candis di "formentone" e di fave provenienti da Cherso e dalle vicine terre austriache. Si era sparsa una certa euforia tra gli abitanti in quanto il carico di cereaii avrebbe potuto, almeno per un certo periodo, rendere un po' meno pesanti gli effetti de lia carestía. Ma il nobiluomo Soranzo impose un balzello sulle merci e "spiegó ía pretesa. si legge ne! memoriale - di volere dalli primi due soldi dieci per cadaun staro, e dal terzo Ducati trentatré"3 e ció nonostante il porto di Fianona fosse "franco". I padroni delle barche, impossibilitati o non cüsposti a pagare, avevano quindi ritenuto piü opportuno abbandonare il porto "e lui [Soranzo] li face partiré las-ciando il Paese sprowisto ed a languire da fame crudeleV1 Ma questo non fu l'unico abuso del podestá. Egli era, infatti, possessore di una certa quantitá di avena, probabilmente versata dalla stessa Comunitá che, messa in vendita, avrebbe potuto, almeno per un po', alleviare la fame dei fianonesi. II Soranzo pero aveva voluto lucrare quanto piü possibile e l'offerta piü sostanziosa dei vicini austriaci ¡'aveva convinto a vendere a loro l'avena. Altri abusi ancora erano elencati nel memoriale, Contraddicendo la normfi consuetudinaria per cui il rettore veneziano poteva vendere nei mesi di marzo e aprile i vini raccolti ogni anno dalla popoiazione ad un prezzo fissato sulla base di quello "corrente in quel Casteilo"5 il Soranzo "per angustiare la Povertá nelli modi possibüi", vendette il suo vino a tre soldi in piü al barile.6 Negli ultimi tempi del suo mandato, infine, il podestá aveva richiesto ad alcuni abitanti del luogo il pagamento di vari ducati per poter esportare nell'isola di 2 Ibidem. 3 Ibidem. <1 Ibidem. 5 Ibidem. 6 Ibidem. 94 ACTA HISTR1AE IV. Giuliano VERONESE: LA CORRUZIONE DEI PUBIiLlCI... 93-102 Cherso alconi manzi "quando non se gli spetta neppur un soldo, e questa é una nuova gravezza ch'egli impone per suo solo arbitrio".7 La reiazione finale sul processo che il capitano di Raspo presentó al tribunale del Consiglio dei X confermó la validitá di tutte le lamentele degli abitanti di Fianona. Nonostante gli statuti di Albona fossero chiari sui punti del contenzioso, il podestá non si era molto curato di osservare quelle disposizionj. II 13 luglio 1792 il Consiglio dei X che aveva ricevuto il processo dal Capitano di Raspo sul finiré del 1788 assolse il Soraozo dalle imputazioni.8 Sono molti gli episodi di corruzione deipubblici poteri che costellano ií Sette-cento e le precedenti epoche. Molte, infatti, sono le notizie di cattiva ammini-strazione dei rappresentanti veneziani che si riscontrano scorrendo i documenti raccolti negli archivi del Consiglio dei X o degli Inquisitori di Stato. Aicuní esempi. Nel 1612 il Capitano di Raspo, Francesco Priuli, informava il Consiglio dei X che il nobiluomo Domenico Bolani, Consigliere di Capodistria, da ben vent*anni era debitore di una somma cospicua alia cassa della Comunitá. Nella stessa lettera il rettore evidenziava il problema ricordando la figura di Domenico Moro, a suo tempo podestá di Capodistria, condannato, su sentenza del Consiglio dei X, al confino in Cherso perché debitore di mílle e piü ducati alia cassa della Coraunitá.9 Nel 1648 il Capitano di Raspo istrui un processo sulle "male ditezioni" del podestá di Dignano Girolamo Zorzi. Questi era accusato di intrattenere rapporti di amicizia con noti criminali come tale Francesco Torre che, pur essendo stato condannato al bando per vent'anni "con dupplicate sentenze" per contrabbando, aveva "confidente prattica nel publico Palazzo, ma ancho l'assistenza, et la pro-tettíone delI'IUustrissimo Signor Giroíamo Zorzi".10 Molti testimoni - scrisse il capitano nella sua reiazione al Consiglio dei X - affermavano essere " uni ver sale il concetto in quel luogo, che negl' affarí criminaü si essercitino indebite convenzioni, con offesa non tanto dei doveri della Giustizia, ma con pregiudizio, e discontento degl'aggravati".11 In diversi casi il podestá aveva ceduto alie "lusinghe" del danaro o di doni per "chíudere un occhio" su certi piccoli reati.*2 Le "male direzioni" dei podestá di Dignano si erano estese anche a diversi compartí dell'ammiiiislrazione del Comune come, ad esempio, la gestione del fontico. A ció si aggiungeva - lamentava il Capitano di Raspo - la renitenza del rettore ad "obedir gl'ordini, et i soffraggj degli Eccellentissimi Magistrati di costa, e di 7 lindera. 8 Ibidem. 9 ASV, Capi del Consiglio dei X, b. 270, lettera dei 31.12.1612. 10 Ibidem. 11 Ibidem. 12 Ibidem. 95 ACTA HISTR1AEIV. Giuliano VERONESE: LA CORRUZtONE DEl PUBBLICI-. 93102 quello di Capodistria" che erano più volte intervenuti per difendere persone injustamente incarcerate dal rettore. Altri episodi ancora. Nel 1661 fu processato Antonio da Mosto per la sua amministrazione irregolare délia città di Pola. Nel 1664 il podestà di Dignano fu accusato di aver fatto scarcerare un imputato dietro il pagamento di una tangente. Anche le lettere che i confident! degli Inquisitori di Stato inviavano con fre-quenza alia dominante informando questi magistrati sui comportamenti di quai-siasi personaggio degno di nota, evidenziano nurnerosi casi di corruzione. Uno di questi, Bartolomeo Evaristo Petronio, di Pirano, ad eseropio, scrisse in un suo dispaccio agli Inquisitori che Girolamo Barozzi mentre si recava a prendere posto Del reggimento di Pirano domando ai marinai che lo accompagnavano del denaro ed in cambio promise di essere loro favorevole durante il suo reggimento.33 Ancora il Petronio, riferendo il caso di un falsificatore di monete, Vin-cenzo Castro, consigliava tutti di non demandare la formazione del Processo né a Raspo, né a Capodistria. Non a Raspo "perché il N.H. Trevisan è tulto attaccato a D.no Nicoletto Castro [...] sindaco attuale e cugino di sangue dello stesso Vincenzo Castro. Non a Capodistria perché il Cancelliere Sorari sebben probo Ministro è pero suscettibile di uffizij, e di maneggio".14 Nelle sue lettere, poi, il confidente elenco i comportamenti disonorevoli del Capitano di Raspo che durante la visita dei castelli délia sua giurisdizione si lasciô andaré ad atteggiamenti nop consoni alla sua carica come quando, dopo il pranzo che gli fu servito, "scherzando con ogn'uno, or si fingeva ubriaco, ora balava con una di quelle donne che le veniva per le mani, ed ora bacciava quell'altra che in contra va".15 La visita, oltretutto, si rivelb particolarmente dispendiosa per chi dovette sobbarcarsi l'onere di ospitare il pubblico rappresentante tanto che - come affermi) il Petronio - in caso di una seconda visita "li Castelli tutti sarebbero per ricorrere alla Sovranità del Principe per impediré un dispendio, ed un aggravio che non anno mai sofferto".16 Un'im-magine ben poco edificante, questa offerta dal patrizio veneziano, che contrasta vivacemente con le descrizioni pompóse delle cerimonie di insediamento dei rettori, in stridente contrapposizione, soprattutto, con l'immagine di paterna ma severa giustizia che la Repubblica voleva daTe di sé ai propri sud dit i. Lo stesso Barozzi all'arrivo a Rovigno nel novembre del 1781 era stato accolto con pgni onore, in una cerimonia solenne, tra le salve di cannone delle galere dei Capitano del Golfo e i coipi di mortaretto délia città-17 Eppure era in ritardo di due mesi in 13 ASV, Inquisitori di Stato, b. 623. 14 Ibidem. 15 ibidem. 16 Ibidem. 17 P. A. blancini, Croniche di Rovigno dal 1760 ai 1806, (a cura di B, Benussi), Parerizo 1910, 96 ACTA 111 STRIAE IV. Giuliano VERONESE: LA C0RRUZ10NE DEJ PUBBMCT... M-102 quartto a causa dei molti "pubblici" debiti non aveva potuto lasciare la Dominante.18 Ma i comportamenti che le lettere del confidente di Pirano sottopose all'at-tenzione degli Inquisitori di Stato non furono solo questi. Lo stesso Capitano, in-fattí, era sospetto di essere tollerante nell'applicazione della legge nei confronti di coloro che fossero disposti a fargli qualche regalo. Come scrisse il Petronio la "nuova legge di bando delle Capre a pressidio delli Boschi di Pubblica ragiDne si vuole da questo Eccellentissimo Capitanio essegjiita nelle Giurisdizioní tutte della Provincia, ma si usa toleranza per quelie di questi Comuni [della giurisdizione di Pinguente] in grazia di un regalo che le fu fatto non diro in quanto consistente, poiché sentó piü vori che non si accordano, Dicono alcuni di soldi cinque, altri di soldi dieci per cadauna testa, locché in tutta questa Giurisdizione che abbonda di tali animali, araonterebbe a piü migliara di lixe".19 II ripetersi di episodi di malversazione, la pratica delle estorsioni e i tentativi di sowertire gli antichi rapporti tra rettori e popolazione suddita, determinarono una invitabile sequela di proteste che nel corso del '700 degenerarono in una Junga catena di tumulti, di violenze e di insurTezioni lasciando nelle popolazioni suddite un sordo malcontento, destinato ad afilorare nel giro di pochi anrii o di pochi mesi. La storiografia lócale istriana evidenzio questo aspetto della con-uzione dei rettori veneti considerándola quasi fosse una malattia endemica in Istria, come uno dei tantí mali phe colpiva questa provincia, da aggiungersi all'esosíta del fisco, alia peste, alie carestie, alie invasión!. Una caratteristica, ancora, che rimase nella stessa coscienza collettiva delle popolazioni locali tramandata ad esempio da proverbi e detti popolari.21 Di fronte al fenomeno della cattíva amministrazione delle podesterie istriane, il governo veneziano tentó in ogni tempo di porre dei rimedi anche rícorrendo a normative di legge rigorose e severe. L'istituzione nel 1584 del Magistrato di Capo-distria, la magistratura d" appello presieduta dal rettore di quella cittá e da due consiglieri con giurisdizione su tutta l'Istria, fu un tentativo da parte del governo marciano di controüare maggiormente Toperato dei suoi rappresentanti che, disseminaü in un miriade di piccole podesterie, avevano buon gioco nel compiere illeciti e abusi. La legge del 1584, infatti, stabihva che il Magistrato avrebbe dovuto. giudicare p. 39. 18 ibidem. 19 ASV, inquisitori di Stato, b. 623. 20 Cfr. B. BENUSSi, L'Istria nei suoi due miSlermi di storia, Trieste 1924; G. Casparin, L'Istria nobilissima, Trieste 1905; B. ZtnoTro, Aspetti di vita política ed e con o mica neil'Istria del Settecento, in "Pagine Istriane", ÏI Quaderno della IV serie (1965). 21 B. BENUSSI, L'lslria cit., a p. 362, nota 1: "Evviva e! podestà novo ch'el vecio gera un lovo" diceva la gente alParrivo del nuovo podestà. 97 ACTA 111 STRIAE IV. Gialiano VERONESE LA CORRUZJONE DEI PUBBLICI... 93-102 "in appelJatíotie di tutli li atti, si Civili, come Criminali di tutti li Rettori, e Giusdicenti d'Istria, (rtiuno ecettuato)".22 Si trattava, evidentemente, di un forte contrallo all'operato dei rettori che, tra l'altro, non potevano piü sperare che la lontananza di Venezia avrebbe dissuaso gli appellanti dal rícorrere alie magistrature di quella cittá. Un nuovo prowedimento del Senato nel 1618 ordinava al Magistrato di Capo-distria che in "occasioni di estorsioni, o altre cose rilevanti, che fossero commesse da quei Rettori, doverete, o venire alia formatione del Processo per inviario poi qui, o puré scrivere aUi Capi del Conseglio nostro di Dieci".23 Questo intervento del governo provoco una dura resistenza da parte dei rettori dei piccoli centri che vedevano limítala la loro autonomía sancita, del resto, dalle stesse commissioni ricevute dal Senato che garantivano ai rappresentanti vene-ziani, ed in particolare a quelíi inviati in Istria, Dalmazia e Levante, un ampio arbilrium, espressione peculiare del diritto veneto. Si trattó di una Umitazione che investiva la stessa dignitá del patriziato che era solito assumere la rappresentanza di Venezia nelle piccole podesterie dell'Istria. Infatti, quest'ultimo, veniva a tro-varsi, improwisamente, in rapporto subordínalo rispetto ad altre cariche della provincia. Come e stato di recente serillo, "1'autonomía dei centri minori della peni-sola, in cuí i rettori veneziani avevano da sempre goduto di ampi margini d'azione, venne nettamente ridimensionata e sottoposta ad un certo controllo, di seguito al loro inserimento in una scala geraTchica che li poneva in posizione nettamente subordináis" ,24 La resistenza alie misure adottate da Venezia fu tale che diverse volte le magistrature centrali dovettero intervenire per intimare ora all'uno ora all'altro podestá la dovuta obbedienza al Magistrato di Capodistria. I molti provvédímenti presi contro i rettori inobbedienti furono inseriti nella raccolta di leggi stilata nel 1683 nella parte relativa ai poteri del Magistrato.25 Nel marzo del 1630, ad esempio, fu condannato il podestá di Isola alia pena di 500 ducati per "inobedienza" alie disposizioni assunte dal Magistrato relativa- 22 Leggi, decreti e terminázioni del Maggior Consiglio del Pregadi, del Consiglio di X e de' Pubblici Rappresentanti concernent! i) buon govemo dell'Istria, Venezia 1683, libro I, p.l. Nelle cause civili, il Magistrato di Capodistria poteva "tagiiare" ogni atto fino alla somma di lire 100, oltre tale cifra e fino a 50 ducati poíeva cassare "come li Sindici, et Auditori". Oltre i 50 ducati poteva invalidara ogni sentenza o atto "come li parera per Giustizía". Nelle cause penali potevano "laudare" o "tagüare" ogni atto e sentenza di (jualsiasi rappresentante d'Istria, compres! il espitarlo di Raspo e il conte di Pola, salva pero l'auíoritá degli Avogadori di Común si'a prima che dopo 1'"espedí zior.e" del processo (Ibidem). 23 Ibidem, p. 14. 24 C. POVOLO, Particolarismo istituzionale e pluralismo gturidico nella Repubbíica di Venezia: il Friuli e l'Istria nel '6 - "700, in Acia Histriae III, Capodistna 1994. 25 Leggi, decreti e termina2ioni cit. 98 ACTA 111 STRIAE IV. Giuliano VERONESE: LA CORJUJZIONE DE! PUBBLICt... 93-102 mente a delle sentenze emesse da quel rettore.20 Nel lugüo del 1633 fu intimata al capítano di Cherso una pena di 500 ducati se nel "termine di giorni otto prossimi, doppo la ricevuta delle presenti non faccia capitare à Noi [Magistrato} sotto sue Lettere, e sigillo le copie delle sentenze, re-tenzioni, e processi, e non obedisca omninamente alie sudette Lettere d'appel-laziooi" 27 Al podestà di Montona che non aveva voluto prendere in considerazione l'iutervento in appelle del Magistrato relativamente ad una seutenza da lui emessa, il Senato invid una lettera nel marzo 1634 intimando che "per I'avvenire doverà Vostra Signoria Clarissima prestar la dovuta obbedienza à i Superiori" e che tale intimazione fosse regístrata "ad aetemam memoriam, che servirá di esempio à i successori suoi".2^ • Se í'azione intrapresa dal governo veneziano con la creazione della magistratura d'appelio capodistriana e con i susseguenti prowedimenti fu quindi energica, resta tuttavia da valutare, in mancanza di studi, quale fosse la sua reale efficacia tenuto conto d'egli scarsi mezzi coerciíivi a disposizione del rappresentante di Capodistria e di altri problcmi che effettivamente si presentavano neU'amministra-zione della provincia. 11 podestà di Capodistria, Marin Gradenigo, ad esempio, nel-la sua relazione di fine mandato nel 1608, sí lamentó del fatto che il Magistrato durante il suo periodo di rappresentanza non fosse mai stato completo perché i con-siglíeri a più riprese avevano dovuto sostituire altri retlori che per vari motivi non potevano essere presenti nelle loro sedi cosí che i "poveri sudditi" avevano dovuto rinunciare agü appelli e, com'egli disse, "ritornar a casa con le cause inespeditte".29 Colpisce, nella lettura dei processi per corruzione in cui sono implicati i rettori di piccole podesterie, l'immagine negativa del Tappresentante veneziano. L'impres-síone è quella di im personaggio intento a trarre il raaggior "profitto" possibile dalla sua permanenza in quei luoghi senza disdegnare alie volte il ricorso ai mezzi ille-cíti. E' il danaro cioè ad essere, sólitamente, al centro delle attenzioni dei podestà. A tale riguardo sono partícolarmente interessanti le considerazioni che è possibile fare alia luce dei recenti studi sul patrizíato veneziano. Se nei maggiori reggimenti dell'Istria - mi riferisco a quello di Capodistria e di Pinguente - venivano ínviati rettori appartenenti ad un patriziato di media rile-vanza,30 nelle piccole podesterie come Dignano, Cittanova, Rovigno, Albona, 26 Ibidem, p. 20. 27 Ibidem, p. 21. 28 Ibidem, p. 23. 29 BCV, Donà delle Rose, ms 179. 30 E' stato infatti rilevato come a Raspo fossero fréquenté mente inviati rettori del cosiddetto "giro" delte Quarantîe, cfr. P, DEL NëGRO, La distribuzione del potere all'interno del patriziato veneziano del Settecento, in I ceti dirigent! in Italia in età moderna e contemporánea, pp. 311-337. 99 ACTA H1STHIAE IV. Giuliano VERONESE: LA COKRUZIONE DEI Pb'BBLICI... 93-102 Buje, Dmago, ecc. veoivano sólitamente inviati rappresentanti scelti tra un patri-ziato di scarse fortune e privo di forza política. E' noto come aU'intemo cieña nobiltà veneziana vi fossero grosse differenze in termini di riccbezza e come cié fosse un elemento strettamente connesso con un maggior o minore potere. Del resto le podesterie che fornivano maggior lustro a chi vi ricopriva l'incarico di rettore e che costituivano la base per una carriera política di primo piano, erano quelle che non veniváno retribuiré dallo Stato e che ríchiedevano un notevole dispendio di danaro da parte deUa famiglia. II patriziato piti povero che non poteva permettersi di accedere a simili incarichi doveva accontentarsi di servíre nei reggímenti minori che fornivano, a differenza degli altri, un salario che ne integrava le magre economie. II problema del patriziato povero fu particolarmente sentito dalla Repubblica che.attraverso vari provvedimenti, cerco di porvi riparo e di porre liparo soprat-tutto alie conseguenze politíche di una eccessiva disparité di fortune nel corpo délia nobiltà. Il problema della differenza delle ricchezze,ínfatti,diveniva, nelTas-setto político veneziano dove, almeno formalmente, era sancita la completa parítá tra i patrizi, un elemento che poteva creare scontentezza e malurnori con conseguenze che avrebbero potuto essere destabilizzanti per íassetto istituzionaie ormai consolidato. Un esémpio di intervento statale a favore della nobiltà povera fu quello delle prowigioni patrizie, istituite nel 1670, che consistevano in un assegnamento annuo, il cui ammontare venne raddoppiato nella seconda metà del '700 (da 57.018 ducati nel 1750 a 130.179 nel 1790), concesso dal Senato a quei patrizi che, per vari motivi, fossero ridotti ad uno stato di indigenza.31 Nel '700, di fronte all'ulteriore crescente impoverimento di una parte del patriziato, 1'azione dei governanti si spinse anche in altre direzioni32 Furono, ad esem-pió, aumeutati i salan di certe podesterie. Nel 1722 furono abolite alcune tasse sugli stipendi di alcuni rappresentanti.33 II Maggior Consiglio prowide neílo stesso tempo ad accrescere il numero di reggimenti in modo da facilitare l'impiego dei nobih. A metà Settecento (1748), il governo veneziano aumentó nuevamente la retri-buzione dei reggimenti di Terraferma, Istria, Daímazia e Dogado.34 Nella seconda metà del Settecento si ricorse nuovamente a simili provve- 31 L. Megna, Nobiltà c povertà. Il problema del patriziato povero nella Venezia del '700, in " Atti deil'lstitutodi Srienze, Lettere ed Arti", 140 (1981-1982), pp. 319-340. 32 IDEM, Riflessi pubblici della crisi del patriziato veneziano nei XVIli secolo: il Problema delle elezioni ai reggimenti, in Stato, société e giustizia nella Repubblica Veneta (sec. XV-XVIII), vol. II, Roma 1985, pp. 253-299. 33 Ibidem, p. 259. 34 Ibidem. 100 ACTA IflSTKIAK IV. Giuüano VF.RONESE: LA CORRUZIONE DE! PUBBLJCt... 93-102 dimenti. Peí quanto riguarda l'Istria vi fu un aumento dei salari dei podesta di S. Lorenzo, di Muggia, di Isoia, di Buje. Nel contempo vennero assegnati contributi per il viaggio di insediamento dei rettori. Ottanta ducati andarono ai podesta di Muggia, Isola, Pirano, Umago, Cit-tanova, Grisignana, Valle, Dignano, Parenzo ecc. In quesfottica l'impiego del patriziato povero nelle piccole podesterie istriane, come in quelle della terraferma, svolgeva una funzione per cosí diré assistenziale. Venezia in tal modo, come é stato scritto, "venendo incontro ai poveri e occu-pandoli nei reggimenü minori ne diminuiva la pericolositá sociale, ne sosteneva le economie, e soprattutto ricreava, almeno sul piano dell'amministrazione, la co-esione di un ceto diviso e differenziato".35 L'altra faccia di questa medaglia era pero la possibilitü che questi patrizi fos-sero esposti, piü degli altri, alia tentazione di abusare del loro potere per pro-curarsi guadagni illeciti con conseguenze che potevano essere, alie volte, dram-matiche. I rettori, infatti, percepivano ün contributo dalle Comunitá stabilito sulla base delle antiche consuetudini. Una modifica, oltre ad essere ritenuta arbitraria, prima ancora per questioni di principio che per i suoi contraccolpi economici - a volte di poco conto interferiva sui tradizionali rapporti stabilizzatisi da secoli e alimen-tava un clima di malcontento, spesso degenerato in aperte e cruente ribellioni, come é stato anche recentemente messo in evidenza in uno studio sulle insub-ordinazioni coilettive del '700.36 E' bene sottolineare che - come aweniva un po' dappertutto in Italia e in Europa - non era messa in discussione l'autorítá del Principe, quanto piuttosto la cattiva amministrazione ed i soprusi dei suoi rappresentanti che iníangavano il prestigio e il buon nome della Dominante alia quale, "riverenti et obbedienti", si rivolgevano ripetutamente i "fedelissimi" sudditi per ottenere giustizia a salvaguardia dei loro díritti. Del resto, le frequenti assoluziont con le quali, particolarmente nel '700, si concludevano i processi per corrtizione, fanno ritenere, pur con la dovuta cautela, che Venezia in qualche modo tollerasse, entro certi limiti, simili comportamenti. II sentimento che in qualche misura ció rientrasse, in fondo, in un disegno político della parte piü potente della classe dirigente & ben espresso, forse con qualche conclusione estrema, nell' Opera falsamente ascritta al- Padre Paolo Servita quando l'autore afferma: "perché dovendosi dar modo di viver a chi non l'ha, la deputazione de' Reggimenti si poveri da modo, non di vivere, ma di rapire. Tutta via - seguitava l'autore - mai si consiglia el ingrossar questi Governi, perché se ne trae un altro piü grande beneffitio Político che e di tenere bassa la nobiltá minuta, 35 Ibidem, p. 258. 36 F. Bianco, Contadini, sbirri e contrabbandieri nel Friiili de! '700, Pordenone 1990. 101 ACTA HISTR1AE IV. Üiulisno VERONESE: LA CORRUZIONE DE! PUBBLICI... 93-102 la quale xassomiglia la vípera, che nel freddo non vale ad usare il veleno, altrimenti se questi nobili, che sono discontenti di genio arrivassero a stato di mediocre fortuna vorrebbero competenza con Grandi, e per forza del numero farebbero qualche brutta tTesca nello stato délia Repubblica".37 La cattiva amministrazione alla quale eraco costretti per indigenza i "piccoli" rettori aveva anche altre, più importanti, conseguenze, concludeva l'autore dell' "Opera", "perché ogni terzo giorno sono soggetti alla censma de' Grandi per il mal'amministrato Governo, sichè riconoscendo da ioro la vita, e quella poca fortuna che possedono, hanno qualità di suddili nell'apparenza de' Cittadini".-38 La "censura ", pero, non avrebbe dovuto essere troppo pesante "e quando non vi siano eccessi strabochevoli che scandalizzino l'universale de' sudditi, perché in tal caso è necessario con Publico risentimento detestame la colpa, per altro è bene andaré con mano delicata, bastando per castigo l'obligo di render conto".39 La vasta schiera dei "barnaboti" {cosí venivano chiamati i nobili sppartenenti all'aristocrazia povera), infatti, aveva mostrato in diverse occasioni quanto poteva essere pericolosa nei confronti del potere costituito. Parlicolarmente nel Sette-cento, quando divenne più profondo il soleo in termini di ricchezza e potere in seno aU'aristocrazia, questa pericolosità si fece sempre più tangibile. Come ha scritto Marino Berengo la "storia veneziana nella seconda metà del XVIII secolo si rías-sume nell'attacco compatto délia nobiltà giudiziaria e bamabota contro i'oligarchia senatoria, la quale detiene le Tedini del potere sotto la terouta protezione del tribunale degli Inquisitori di Stato che, organo di polizia política, sí è reso esclusiva espressione di govemo negli affari di maggjor riserbo".40 Intento dei ripetuti at-tacchi fu quello di restituiré al Maggíor Consiglio e quindi all'intero corpo aristocrático, queU'autorità che si era vénula concentrando nelle mani di un gruppo ristretto di patrizi.41 In tale senso va, quindi, interpretata l'azione condotta nel 1761 daü'Avogadore Angelo Querini contro l'eccesso di potere degli Inquisitori di Stato. Ancora più radicalmente Carlo Contarini e Giorgio Pisani si fecero portatori intorno al 1779 di nuove proposte con {'intento di ripristinarc 1' "antica" parità tra il patriziato.42 Entrambi i tentativi di "sowertire" l'ordine costituito si conclusero in un Dulla di fatto. II Querini fu arrestato, mentre Contarini e Pisani furono relegati il primo nel castello di Catîaro ed il secondo in quello di Verona. 37 Opera falsamente asenta al Padre Paolo Servita. Come debba govemarsi internamente et estern ámente la Repubblica Venetiana per havere ii perpetuo Dominio, Veneria, presso Roberto Meietti, 1685, pp. 7-8. 38 Ibidem, p. 8. 39 Ibidem. 40 M. Berengo. La société veueta alla fine del '700. Ricerche storiche, Firenze 1956. p. 7. 41 Ibidem. 42 Ibidem e cfr. le voci Angelo Querini, Carlo Contarini e Giorgio Pisani del Dizionario biográfico degli italiani, Roma 1960 sgg. 102