41322 IR, D, <3ogol •Romana« traiotto »at cusso »a 5. titUlflC 1 ■^•jraMtte * $ $ $ $ # Uipoarafia »el ®attonato ♦ ?•*'*'# 1902 . * Nicola Vassilievits Gogol ;?R) Taras Buiba < 2 ^ < 3 £§> < 22 §> Roinanzo tradotto dal russo da I. TRINKO IJDINE TIPOURAFTA DEL PATRONATU 1902 . 41322 03. od 4-,I PREFAZ10NE In qnest’ anno e in questo mese ricdi be- vande, e tornando liberi cosacchi. Gli stra- nieri si meravigliavano delle loro straordina- rie attitudini. Non vi era arte ed industria, che i cosacchi non sapessero esercitare: di- stillavano acqnavite, costruirono carri, fabbri- cavano polvere, lavoravano metalli ali’ in- 10 — grosso ed al minuto, e frattanto vivevano bene f e bevevano e facevano festa proprio a modo loro. Oltre i cosacchi registrati, che avevano l’ob- bligo di accorrere sotto le bandiere in tempo di guerra, si raccoglievano al bisogno bande intiere di volontari. Bastava solamente che 1 ’assaullo percorresse i villaggi e le piazze delle eitta, e dal suo earro gridasse a squar- ciagola: — Ola, voi osti, voi fabbricatori di birra, voi non fate che poltrire^e pascere col vostro grasso le mosche. Via, riscuotetevi, e correte ad incoronarvi di gloria! Voi, agricoltori, mangiatori di pane bianco, pastori, perche sprecate il tempo ? Non defraudate le forze militari; ecco 1’occasione! corret j ; incorona- tevi di gloria! Qneste e simili parole commovevano ed in- liammavano il popolo come le faville infiam- mano la paglia. Gli agricoltori spezzavano l’a- ratro, gli osti abbandouavano i recipienti, rom- pevano le botti, gli artieri gettavano i loro strumenti, i negozianti chindevano le botteghe, mandavano in frantumi le suppellettili, ed ognuno montava a cavallo ; in una parola 1’anima russa si rimescol tra lino nel profondo, e scattava con tatta la sna energia. Taras era nno dei comandantianziani, uomo di proposito, soldato valorosissimo, raggnarde- vole per giunta per 1’ integrith dei suoi eostumi. In quel tempo la nobilta russa incominciava di gia a mutarsi. Molti facevano baon viso ai eostumi dei loro vicini, i polacchi, davansi — 11 - al lusso, alla caccia, ai banchetti. Taras guar- dava di mal occbio questo mutamento; egli era ostinatamente affezionato alla semplice vita co- sacca, e percio ando ben presto in rotta con tutti quelli dei suoi commilitoni, che si assi- milavano coli’ elemento di Varsavia, e che egli senza tante cerimonie ehiamava vili schiavi dei polacchi. Si era pošto in testa 1’ idea di essere autorizzato dal le sacre leggi a tutelare la religione ortodossa, e con questa credenza andava arbitrariamente percorrendo i villaggi, dove sapeva che il popolo era sopraffatto dalle esorbitanze dei signori, sempre disposti ad aceumulare sni sno groppone i piri inginsti balzelli. Circondato dai snoi cosacchi, vi eser- citava 1’autorita giudiziaria, facendosi, special- mente in tre časi, non solo lecito, raa obbli- gatorio il porre mano alla spada : cioe, quando gl’ impiegati polacchi non tenessero nelia de- bita stima i capi cosacchi e loro stessero di- nanzi col berretto in capo ; quando veni^iero derisi la religione ortodossa ed i costumi e- reditati dai padri, e quando finalmente si fos- sero incontrati dei tartari o dei turchi, eni diceva egli, ognnno ed in qualnnqne caso poteva sempre, per 1’ utile della religione cristiana, assalire a mano armata ed nccidere. Bnlba pertanto, prima ancora di partire per la Siets, gongolava al pensiero della bella figura che vi avrebbe fatto coi figli. — Gnar- date, avrebbe detto, guardate che campioni vi ho condotto! — Pensava come li avrebbe condotti al Zaporosie, a quella famosa scuola militare deli’ Ukraina di quel tempo, come — 12 — li avrebbe presentati ai suoi veccbi compagni d’armi, e come sotto i suoi occhi i figli avreb* bero fatto rapidi progressi nelParte bellica e nelle baldorie, che pure, secondo lui, dove- vano mettersi fra i primi distintivi di nn buon soldato. Da prima aveva pensato di man.* darli via soli, giudicando per se necessario di rimanere a časa per la formazione di un nuovo reggdmento; ma poi, vedendo 1’aspetto florido e robusto dei figli, si era risvegliato in lui tutto lo spirito marziale, cheancora egli aveva. Quindi avea stabilito di partire con loro egli stesso il giorno seguente, benclie il vero motivo di quel repenfcino divisamento si dovesse cercare nella sna ostinata capricciosita. Postosi in capo di partire, si era messo subito a pensare agli apparecchi, a dar ordini, a scegliere cavalli ed arini pei figli, a visitare le scuderie, a passare in rassegna i servi e de- stinare chi dovesse condurre seco il giorno appresso. Autorizzo 1’ assaullo Tolkats, anzi gli diede formale comando di raggiungerlo con tutto il reggimento, subito che ne avesse avuto 1’ordine dalla Siets. Benche avesse fatto soverchie libazioni, pure di nulla si dimen- tico; diede da ultimo 1’ ordine di abbeverare i cavalli e di dar loro del migliore foraggio. Avendo cosi disposto tutto, reggendosi a stento in piedi, ritorno alla compagnia — Ed ora, figliuoli miei, al riposo! Domani ci occuperemo di quello che piacera a Dio. Non occorre apparecchiarei i letti, non ne abbiamo bisogno; dormiremo nel cortile a cielo sereno. Intanto si era fatto notte. Bulba, che so- — 13 — leva coricarsi per tempo, si distese sopra im drappo, e si trasse addosso una pelliccia d’ a- gnello, un po’ perche 1’ aria nottnrna comin- ciava a d iveri tar frizzante, nn po’ petche era solito di ripararsi sempre quando era a časa. Ben presto si diede a russare rumorosamente, ne mancarono di fargli coro gli altri pel cor- tile. La prima a pigliare sonno fu la guardia, la quale, per festeggiare degnamente 1’ arrivo dei padroncini, aveva tracannato senza misura. Soltanto la povera madre non dormiva. Fat- tasi vicino ai figli, china sopra di essi, andava loro carezzando e bagnando di lagrime i ca- pelli. Li stava contemplando con tutto 1’ af- felto materno;, strnggevasi nel mirarli, ne po- teva saziarsi della loro vista. Essa li aveva nutriti col proprio latte, li aveva cullati ed allevati con tnttele cure, ed ora non le rimane- vano, per poterli vedere, clie pochi momenti! — ('ari figli, diletti figli miei! che cosa šara di voi, che cosa vi aspetta? Ah, potessi avervi qui almeno per una settimana ! Cosi si lamentava, ed intanto lagrime cocenti scorrevanle per le rughe del volto, in altri tempi grazioso- e dalle avvenenti sembiauze. In verita la povera donna, come le altre di quel crndele secolo, meritava tntta la com- passione. Ella era stata amata per breve tempo, soltanto nei primi giomi del suo affetto e della, sna giovnezza, e subito il rade compagno 1’aveva posposta alk spada, ai commilitoni ed alle baldorie. Da prima lo rivedeva ancora dne o tre giorni ali’ anno; ma poi presero a passare anni senza che potesse avere notizie di - 14 — lui. Pero, anche rivedendolo e restando in •compagnia di lui, che vita era mai la sua ? Ella doveva sopportare in pace mille umilia- zioni e maltrattamenti, ed era gran degna- zione del marito, se talora le dava segni di benevolenza. La poveretta era isolata come nn essere estraneo in mezzo alla uioltitudine dei soldati, liberi figli del libero Zaporosie e riflesso genuino del suo aspetto selvaggio. La gioventu le era trascorsa senza vernn con- forto; la povera Anna era invecchiata prima del tempo. Tutto 1’ affelto, tutti i tesori di gentilezza, che racchiude il cuor di una donna, s eran fnsi e concentrati per lei in un solo sentimento, nell’ amore materno. Addolorata e lagrimosa ella stava, come un gabbiano del le steppe, china sovra i suoi figlinoli. Oh, i suoi figli, i suoi čari figli le daranno 1’ ad- dio, la abbandoneranno, ed essa forse non li rivedra mai piu! Chi sa? forse al primo scon- tro il tartaro fara loro balzare in terra le teste ed essa ignorera fino il lnogo dove giace- ranno insepolti i loro corpi, se pure non saranno dilaniati e divorati dagli avoltoi. Ed essa avrebbe data la vita per loro! Pian- geva e riinpiangeva la poveretta guardando i loro occhi cbiusi da nn profondo sonno; ma pure tra le sue lagrime v’ era ancora per lei un barlumedi speranza. — Chi sa? - pensava, - forse quando Pulba si svegliera e tornerA in sA, difPerira la partenza almeno di qualche giorno. Forse quella improvvisa risoluzione fu effetto del soverchio bere. La luna dalPalto del cielo mandava gia da — 15 — mol to tempo i snoi raggi sni cortile ripieno di dormienti rischiarando il gruppo di salici e gli alti cespi di erba in cui si affondava la palizzata di cinta. La povera madre conti- nuava a vegliare assisa a fianco dei flgli, senza levar gli occbi dalle loro amate sembianze. I cavalli, che presentivano 1’ alba, avevano ces- sato di pascolare, e si erano coricati suH’erba. Ben presto le cime dei salici cominciarono a tremolare, ed il tremolio delle foglie si andava propagando giu, gin, fino a terra. La madre rimase al suo pošto fino alBalbeggiare; non si sentiva punto stanca, desiderava anzi che la notte si prolnngasse. Intanto dalla steppa si fe’ sentire ad un tratto il lieto nitrire d’ im puledro, ed in cielo cominciavano a rosseggiare di gid le prime striscie lnminose. Bulba, svegliatosi d’improvviso, balzo in piedi. Risvegliarsi e ricordarsi di tntti gli or- dini dati la sera innanzi, fu tntt’ nno. — Destatevi, servi! Avete dormito abba- stanza. In piedi! d giunta 1’ ora. Abbeverate subiio i cavalli. E la vecchia dov’d? (cosi chiamava di solito la moglie) — Sbrigati, vec¬ chia, e dacci da mangiare; il viaggio šara lungo. La povera donna, a cui era svanita cosi 1’ ultima speranza, entrd barcollando e tntta afflitta in časa. Mentre essa, con gli occhi gonfi di lagrime, stava apparecchiaudo una abbondante cola- zione, Bulba diede vari ordini, poi entrd nella scuderia, e scelse pei figli le piu belle barda- Lure. Intanto i due seminaristi del giorno - 16 — precedente si trasformarono da capo a piedi. Invece dei soliti stivaletti neri, ne calzarono un paio di finissimo marrocchino, ferrati d’argento; s’orano messi dei saravari (cal- zoni) larghi come il Mar Noro, a gran pieglie e insenatnre, con cordoncini intrecciati d’oro, da eni pendevauo lunghi cappi di cuoio re- canti la borsa per il tabacco, 1’ acciarino ed altri arnesi indispenšabili ai fumatori. I loro casacchini poi, stretti ai fianebi con splendide cinture, erano di panno scarlatto, come fuoco; assicurate alla cintura portavano pištole di fab- brica turca ed al fianco pendeva loro la scia- bola. I loro visi giovanili leggermente ab- bronzati, sembravano ora ancor piu graziosi, ed il loro colorito vivo e sano era fatto risaltare ancor meglio dal berretto di pelo nero colla calotta doratta. Povera madre! Quando li vide cosi, nou pote proferire mm sola parola, e gli occbi le si riempirono di lagrime. — Orsii, figliuoli, tntto e prouto! Non per- diamo tempo, disse finalmente Bnlba. Ed ora, secondo 1’usanza cristiana, prima di metterci in viaggio sediamoci tutti. E tutti sedettero, compresi i servi, che at- tendevano presso la porta. — E tu, madre, benedici i tuoi figli, prose- gui Bnlba. Prega Iddio che abbiamo a coui' battere da forti, e abbiano a conservar sempre Ponore delParmi e a difendere la fede di Cristo; in caso diverso, che possano andare in perdizione, e che di essi non rimanga nep- pure l’ombra sulla terra! Figliuoli miei, ap~ pressatevi alla madre. La preghiera materna giova in ogni impresa. La madre, debole e tremante, abbraccib i dne giovani; cavo dal seno dne imaginette, e lagrimando loro le appese al collo. — Vi protegga... la Madre di Dio... Non di- menticate, figli, vostra madre!... fatemi ahneno pervenire qnalche vostra notizia.... E non pote agginngere altro — Andiamo, ragazzi! disse Bulba. I cavaMi erano pronti, ed aspettavano da- vanti alla porta. Bulba si slancio sul suo Ciort (diavolo), che si die a indietreggiare furiosa- mente sentendosi addosso il grave carico, poi- che Bulba era molto corpulento. La madre, allo scorgere i figli a cavallo, si precipito verso il minore, a eni nelle linee del viso si leggeva meglio la commozione. Lo afferro per la staffa, si strinse alla sella, e nel parossismo della disperazione non lo vo- leva lasciarc. Dne robusti cosacchi la allonta- narono leggermente, e la condussero a časa. Ma, appena usciti dalla porta, li segni correndo colla celeritfi d’nna gazzella, molto di pili che non portasse la sna etd, e di nuovo con in- credibile forza trattenne il cavallo, e strinse convulsivamente e come insensata il figlio, ftnehe i cosacchi non la tolsero nuovamente di la. I giovani partirono accorati, ma frenarono le lagrime per paura del padre, il quale pure alla sna volta era un po’ turbato, benche cer- casse di non sembrare. La giornata era serena, i prati splendevano cliiari, egli uccelli produ- cevano un frastnono di gorgheggi. Quando si Taras Bulba 2 — 18 - furono un po’ allontanati, i due giovani si volsero addietro. La loro časa pareva affon- data nel suolo; non apparivano che i due cti- mini e le cime degli alberi, di quegli alberi, per i cui rami essi un tempo andavano arram- picandosi come scoiattoli. Si vedeva ancora il bosco, quel bosco, che richiamava alla mente tutta la storia della lofo prima vita, da che avevano cominciato a toinbolare malfermi in gambe sulla rugiadosa erba, fino a quando poterono inseguire con s curezza il capriolo, che, coll’aiuto delle snelle e robuste zampe, timidamente fuggiva fra le piante. Finalmente null’altro videro risaltare sul fondo del cielo, ■che l’alto palo sovrastante al pozzo, con la mota in cima. Ormai non appariva che 1’immensa di- stesa, che percorrevano; tutto il resto era spa- rito. Addio, giovinezza! addio, divertimenti infantili! addio, tutto! II. La comitiva procedeva silenziosa. Taras rian- dava i tempi passati; si ricordo della balda giovinezza e degli anni trascorsi, che il co- sncco rimpiange, sempre desideroso che tutta 'a vita fosse giovinezza. Poi pensava quale dei suoi antichi compagni avrebbe incontrato alla Siets, e contava i morti ed i vivi. Una tacita lagrima gli spunto sulle ciglia, ed il capo coperto di canizie ripiegossegli sul petto. I figli erano immersi in altri pensieri. Oo- .gliamo 1’ occasione per dire intanto qualche - 19 — cosa intorno ad essi. A dodici anni erano par- titi per Kiev, secondo il costnme dei cosacchi piu notabili di allora, i qnali stimavano ne- cessario che i loro figli acquistassero una certa piu ampia cultura, non fosse altro per spogliar- sene poi a poco a poco. Come tutti i collegiali di quel tempo, cosi erano anche i nostri due giovani: selvaggi, superbi ed insofferenti di giogo. Soltanto a Kiev si erano alquanto am- niansati, ed avevano acqnistato qnel certo che di comune, che metteva tutti su per giu ad uno stesso livello. Ostap, il maggiore, aveva principiato collo scappare di collegio fino dal primo anno. Riavutolo e fattogli pagare la sua scappata, i suoi istitutori lo inchiodarono sui libri. Quat- tro volte egliseppelli 1’abbecedario, e quattro volte gliene fecero pagare a sangue il fio, e gliene comprarono uno nuovo. Certamente lo avrebbe sepolto per la quinta volta, se il padre non gli avesse fatto solenne minaccia di porlo per venti anni come servo in qual- che convento e di non condurlo al Zaporosie, se non avesse compito gli studi alTacademia. Cosa strana che Taras fosse venuto a queste minaccie, egli, che, come abbiamo veduto, disprezzava gli studi, e distoglieva da essi i giovani. Dopo quelle burrasche, Ostap aveva atteso ai libri con straordinaria solerzia, tanto che in breve riusci fra i primi. Gli studi d’al- lora avevano poco a fare colla vita. Quelle sotti- gliezze scolastiche, grammafiche, retoriche e logiche in pratica non valevano a nulla, non si scontravano raai ne si accordavano colla re- — 20 - alta, per cui la gioventu non poteva trar mai profitto ragionevole da cio che apprendeva a scuola. I dottistessi del tempo erano dopo tutto pivi ignoranti degli alt i uomini, come qnelli che non avevano alcnna esperienza della vita. Oltre a cio 1’ordinamento repubblicano dei col- legi e la moltitndine stragrande degli allievi aveva per effetto che spesso 1’attivita del- 1’ingegno fosse spesa altrove che negli studi scientifici. Le condizioni poco favorevoli, il digiuno ed altri castighi imposti a quei giovani desiderosi di indipendenza, contribuvano a destare in essi quello spirito d’impresa, che piu tardi si svolgeva e si maturava nel Za- porosie. Essi scorrazzavano affamati per le strade di Kiev, ed ognuno doveva gnardarsi da essi. Le rivenditrici sedute per le piazze, al subito apparire di un collegiale, dovevano proteggere le loro paste, i panini e i šemi di zucca, stendendovi sopra le mani, come l’aquila le ali sugli aqnilotti. II console, che aveva l'ufficio di vigilare sulia studentesca, aveva esso stesso le tasche dei suoi saravari c-osi capaci, che vi avrebbe cacciata dentro tutta la baracca di qualche malaccorta frut- taiuola. I collegiali formavano nn mondo aparte; non era loro permesso di frammi schiarsi colla classe piu ragguardevole, com- posta di nobili polacchi e di Piccoli Russi. Lo stesso dača Adamo Kissel, quantunque loro grande difensore, non li ammetteva alla sua conversazione, e raccomandava di farli stare a dovere. Del resto questa raccomandazione era affatto superilua, perche il rettore ed i pro- — 21 — fessori non risparmiavano ne bacchette ne fru- ste, e bene spesso i littori, per comando su- periore, conciavano tanto per le feste i con- soli stessi, che i malcapitati avevauo di clie grattarsi i saravnri per piu settimane. Al- cuni pero non facevano gran caso di simili complimenti; quelli sembravano loro castighi, clie potevano produrre il bruciore, che presso a poco prodnce un bicchierino di vodka (ac- qnavite) collassenzio. Invece ad altri veni- vano qualche volta tanto in fastidio, che, piultosto che adattarvisi, se la svignavano ai Žaporosie, se pure sapevano trovarci la strada, o non venivano raggiunti prima di arrivarvi. Neppure Ostap Bulba, per qnauto si fosse dato assidnamente allo studio, pote sottrarsi alTine- sorabile frusta; cio per altro servi a fortifi- care la sua indole e a crescere in lui quella energia e quella costanza, per la quale sem- pre si distinsero i cosacchi. Ostap era il tipo d’un buon compagnone. E vero che non si metteva se non di raro a capo delle audaci imprese, come, per esempio, que!la di dare il sacco a qualche giardino; ma pero era serapre fra i primi a porsi sotto la bandiera di chi si facea iniziatore di qualche impresa, e non tradiva mai chi vi avea parte, fosse pure nelle piu aspre occasioni, ne vi fu mai frusta che a cio lo inducesse. Era morto a qualunque altra passione, che non fossequella delTarmi e delle baldorie; di altri spassi non aveva neppure 1’ idea. <'oi suoi compagni era schiettc e sincero. In quanto a bonta di ■cuore, n’ aveva tanta quanta ne portava la - 22 — sua indole e 1’ indole dei tempi. Le lagrime della povera madre gli avevano commosso 1'animo, lo angustiavano, e lo costringevano a piegare il capo. II fratello minore, Andrea, era di senti¬ menti pin vivi e meglio eqnilibrati. Studiava volentieri e senza bisogno di pungolo, come succede per solito alle indoli gravi ecl ener- giche. Era anche pin ingegnoso del fratello. Talora si poneva a capo di arrischiate imprese, ma sapeva con rara prontezza di spirito evitare quasi sempre i castighi, mentre Ostap, colto in fallo, stendevasi tranquillamente silila panca, senza che neppure gli venisse in mente di chiedere perdono. Anelava con entusiasmo alla gloria delle armi, ma il suo cuore era capace anche di altri sentimenti. Il bisogno di amare si fe’ sentire in liri non appena fu al diciottesimo anno; la donna cominciava a preoccupare la sua fantasia tanto, che, fino durante le disquisizioni fllosofiche, se la ve¬ deva dinanzi viva, gentile, dagli occhi neri, splendente di tntte quelle doti, che 1’imma- ginazione sapeva rafiigararsi. Aveva perogrande cura di nascondere ai compagni qnesli sen¬ timenti del sno appassionato cuore, perche il pensiero della donna e deli’ amore era a quel tempo indecoroso ed umiliante per nn cosacco, il quale non avesse dato ancora prova del suo valore. Gli pl ti mi tempi si metteva piu di rado a capo delle imprese; in quel!a vece vagava di spesso solo soletto pei recessi di Kiev, tutto assorto nel contemplare i giar- dini fioriti, che, stendendosi fra le basse ca- - 23 snccie, guardavano graziosamente sulla strada. Talvolta pero ustiva anche nelle vie aristo- cratiche, quelle della odierna Vecchia Kiey, abitate allora dai nobili russi e polacehi, dove i palazzi sorgevano con una certa pre- tensione. Mentre nna volta se ne stava distratto in mezzo ad nna di codeste ^ ie, poco manco clie non rinranesse travolto sotto la carrozza d’un nobile polacco. II coochiere, omaccione dalla barba spaventosaraente jlunga, stando a cassetta, gli assesto una fr us tata di primo or- dine. II collegiale inontb su tutte le furie, e, afferrando con pazza audacia una delle mote posteriori, arresto la carrozza. Ma 1’nomo a cassette, poco arnante di alterchi, frusto i ca- valli; i cavalli si slanciarono al corso, ed Andrea, che per sna buona sorte aveva la- sciata la ruota, cadde a terna col viso nella melma. Uno scoppio di sonore ed arraoniose risa gli arrivo ali’ oreccliio dali’ alto. Alzando gli occhi, scorse ad una iinestra nna fancinlla cosi bella, che nmi la siuiile, dagli occhi neri, e dal volto come la neve dorata dai raggi del sole mattutino. Eideva di tutto cuore, e quel sno gaio ridere pareva accrescere la sna rara bellezza. II cosacco resto di sasso. La guardava istupidito, e, astergendosi intanto dal fango il viso, senza avvedersene se lo im- brattava sempre piri. Ma chi era quella bellezza? Volle interrogare la servitii dalla rieca livrea, che, raccolta in gruppo, stava presso al por- tone intenta ad ascoltare nn giovane canta- storie. I ser vi, al veder! o cosi sudicio in f^ccia, — 24 — scoppiarono a ridere ancli’ essi, e non si cu- rarono di dargli risposta. Tuttavia vence a sapere che quella era la flglia del duca di Kovno, venuta col padre a passare qualche giorno a Kiev. La notte segaente Andrea con quella incredibile audacia, che era propria solo dei collegiali, scavalcata felicemente la siepe del giardino, fatti bene i suoi calcoli, arrampicossi su uno degli alberi, i eni rami si stendevano sul tetto di quel palazzo. DalFal- bero passo sul tetto, e, calandosi con precau- zione gin per 1’ampio camino che metteva nella stanza della lanciulla, le comparve da- vanti mentre essa, sed uta presso nna candela, si stava togliendo i preziosi orecchini. Al priino veder capitare per tal modo quel giovane sconosciuto, la polacca n’ebbe tale spavento, che non pote articolar parola. Ma poi, vedendo che il collegiale se ne stava Ih im- mobile per timidezza e con gli occhi bassi, e riconoscendo per giunta in lui il giovane, che avea attratta la sua attenzione nella via, si rianimo, e preše a ridere di nuovo, tanto piu che il viso d’Andrea non era certamente tale da tar panra. Ella intanto continuava a ridere di cuore e a divertirsi a spalle sue. La fanciulla era leggera, come sono generalmente le polacche, ma i suoi occhi meravigliosi ed ammalianti lanciavano sgimrdi lunghi ed in- sistenti. 11 giovane continuava a rimanere immobile e come legato, quando la duchessina gli si feee presso ardita, e gli pose in capo il suo splendido diadema, coprendolo poi di veli e di frange trapunte d’ oro, e scapric- - 25 - eiandosi con cento altre ragazzate, proprio da spensierata polacca. Tutto cio fini di sconcertare affatto il povero collegiale, che, reso cosi ri- dicolo, non cessava di fissare lo sguardo negli occhi di lei. Un piccolo strepito faori della porta venne flualmente a turbire la giovinetta. Ordino al cosacco di cacciarsi sotto il letto; poi, cessato il pericolo, chiamo la sna cameriera, una schiava tartara, e le ordino di condorlo nel giardino e di mostrargli 1’uscita. Ma il nostro eroe partendo non fu cosi fortunato nello scavalcare la cinta; il guardiano, riscosso dal sonno, arrivo a misurargli una buona fru- stata alle garnbe, ed i servitori, risvegliati- anch’ essi, continuarono a maltrattarlo sni la via, finclie non gli rinsci di mostrare loro le veloci calcagna. Dopo la curiosa avventura il ripassare da- vanti a quel palazzo non era cosa prudente, perche la servitu del duca era numerosa. Per5 rivide piu tardi la bella signorina in strada; essa, ravvisandolo, gli aveva sorriso graziosamente come ad un vecchio amico. Poi la vide ancora un’ultima volta, ma final- raente il duca di Kovno abbandono la citta, ed alla solita finestra, invece delPavvenente polacca, si vide un viso tondo e paffuto. Ecco a che pensava Andrea, cavalcando a testa bassa e con lo sguardo flsso nella eri - niera del cavallo. Frattanto la steppa li aveva accolti gia da un pezzo nella sua verde distesa, e 1’erba alta, dividendosi, li nascondeva in modo cbe _ 26 - non si vedevano piii che i loro neri berretti sporgere dalle maturanti spighe. — Eh, eh, eh! giovinotti, perche cosi si- lenziosi? grido ad un tratto Bnlba, riscuo- tendosi dai suoi pensieri. Mi sembrate tanti sordomuti. Sn, su, tutti, tutti! Al diavolo i pensieri! Sproniamo i cavalli, corriamo, vo- liamo, che non ci possano seguire neppure gli nccelli! Ed i cosacchi, piegandosi sni cavalli, spa ■ rirono nell’erba. Non si scorgevano piu nep¬ pure i berretti; solo il fuggitivo ondeggiare- dell’ erba segnava il loro corso. II sole spaziava gia da qnalche ora per Baz' zurro cielo, ed inondava la steppa coi snoi caldi, avvivanti raggi. Ogni malinconia aveva ad un tratto lasciato i cosacchi, ed i loro cuori palpitarono allegri. Quanto piu s’ inoltravano, tanto piu bella si presentava al loro sguardo la steppa. A quel tempo tutto il mezzodi, tutta la immensa di- stesa, che oggi forma la nnova Russia, fin al mar Nero, era un immenso deserto di ver- dura. L’aratro non aveva mai ancora solcato quelle sterminate onde di selvaggia vegeta- zione; solo i cavalli la calpestavano, galop- pandovi attraverso e scomparendo in essa come in un bosco. Era proprio magnifico 1’ aspetto di quelle steppe. Tutta la superflcie della terra appariva come un oceano verde dorato, sul quale on- deggiava uua infinita varieta di flori. Di mezzo agli alti e sottili steli deli’erba sollevavasi un visibilio di pennacchi e cinffetti azzurri, grigi,. - 27 — violetti. La gialla ginestra dondolava colla sua cima a piramide; il bianco trifoglio colle sne semisferiche berrettuccie screziava la su- perficie; confusa nel folto vedevasi fino la spiga di frumento, importata chi sa donde. Sotto il leggero tetto di qnella vegetazione correvano, allnngando il collo, h pernici. Per 1’ aria si spandeva un interminabile e sva- riatissimo pigolio e gorgbeggio d’ nccelletti. Alto su n Ho spazio si librava immobile silile ali aperte nno stormo di avoltoi con gli occki acutissimi flssi giii nelFerba. Da qualche lon- tano lago si udiva il gridio di alcune oche sel- vatiche, che si sollevavano in alto. Un gab- biano, alzandosi con tranquillo batter di ali dali’ erba, nnotava maestoso nelle cernlee onde atmosfericke. Ma eccolo inabissarsi nello spazio e sembrare un punto nero treraolante in alto. Eccolo ancora, che ha fatto la svolta, e le sne ali lampeggiarono al sole I 0 steppe, quanto siete belle! I nostri viaggiatori fecero nna sosta di pocki minuti affine di rifocillarsi. I cosacchi delia scorta, circa nna diecna, scesero di cavallo, slegarono le borraccie deli’ acquavite, e per bicchierini si valsero di piccole zucchette. Man- giarono tutti del pane con lardo, ed ognimo bevve la sna misura di acquavite, quel po- ckino che bastava per ripigliare flato, perche Bulba duraute il viaggio non pennetteva mai di bere troppo. Fatto cio, proseguirono il viaggio fino alla sera. Al tramonto tutta la steppa muto compiu- taraente aspetto. Quella variopinta pianura,. — 28 — inondata dagli ultimi fulgidi riverberi del sole, incomincio ad oscurarsi a grado, a grado, fin che la steppa divenne tntta d’ un uniforme verde scnro. La evaporazione effettuavasi ra- pidamente; da ogni flore da ogni erba esalava la gradita fragranza, e tutta la steppa ne era profumata. Pel cielo, d’ nn azzurro cupo, di- stendevansi, quasi tracciate da gigantesco pen- nello, larghe striscie rosso dorate, e qua e la ardevano di viva fiamma grnppetti di leg- gere e diafane nuvolette. Un venticello fresco, fresco ed instabile, come onda marina, cul- lavasi lievemente sulle cime deli’ erba. Tutta la mušica diurna era cessata per dare lnogo a quella della notte. I grilli uscivano dai loro buchi, e grillavano allegramente per la steppa. Le cavallette stridevano piu forte, e di quando in quando si ndiva da qualclie solitario lago echeggiare per 1’aria 1’argentina voce del cigno. 1 viaggiatori, fermatisi di nuovo in mezzo alla pianura, scelsero il luogo di riposo per la notte, accesero il fuoco, vi misero su il paiuolo, e si diedero a cuocere il kulise , una specie di mineštra, mentre il fumo ascendeva obliquamente nell’ atmosfera. Ceuato che eb- bero, i cosacchi s’adagiarono per dormire, la- sciando i cavalli liberi per l’erba. Il cielo stellato brillava sopra di essi, e intanto face- vasi vivo tutto 1’ innumerabile mondo degli insetti che formicolavano fra l’erba. Ogni loro strido, ogni šibilo, ogni fiscliio risuonava confusamente nella notte, quasi appuravasi nella fresca aria notturna, e si ripercnoteva armonioso alle orecchie dei dormienti. Se — 29 — qualcuno di questi si alzava un momento in piedi, vedeva dinanzi al suo sgnardo tntta quanta la steppa sparsa come di brillaati scintille prodotte dagl’insetti fosforescenti. Di quand* in qnando il cielo cupo ad nn tratto si illnminava in questa o in qnella parte pel divampare d’nn qualclie canneto ineendiato snlle rive dei fiurni, ed allora neri Stormi di cigni, volanti al settentrione, apparivano d’im- provviso, lampeggiando nel chiarore a riflessi rosso argentei, e sembravano quasi inaccliie di sangue che trasvolassero pel cielo. II di appresso i nostri viaggiatori prosegni- rono il cammino senza ostacoli. Non incontra- vano alberi di sorta, sempre 1’ immensa, 1’ on- deggiante, la magniflca steppa. Solo di tratto in tratto scorgevano in parte splendere le cime d’ ima qnalche foresta lango le rive del Dnieper. Una sola volta Taras addito ai figli nn piccolo punto nero, clie risaltava da lnngi sull’ erba, dicendo : — Ecco, ragazzi, un tartaro che corre! Uua piccola testa barbnta fisso da lungi su di essi i piccioli ocehi, fiuto 1’ aria come un bracco, e spari colla velocitii d’ un capriolo, appena vicle che i cosacchi erano in tredici. — Avanti, ligliuoli, provatevi a raigiungere il tartaro!... Ma no, non lo raggiungereste in perpetno: ha un cavallo pili veloce del mio Ciort. Per tutti i časi Bulba non trascuro le ne cessarie precanzioni, temendo una qualche imboscata. Arrivando al Tatarka, piccolo con- lluente del Dnieper, fece entrare i cavalli — 30 - nel fiume, seguendone per lungo tratto il corso, allo scopo di togliere ogni traccia di sš al nemico ; qnindi, uscendo sulla riva, pro- seguirono la cavalcata. In capo a tre giorni erano gia prossinri alla ineta. L’atmosfera si rinfresco d’improvviso, onde essi presentirono la vicinanza del Dnieper. Infatti il gran fiume apparve risplendente da lungi, distinto dali’ orizzonte per la sua ce- rulea superficie. Esso diffondeva le fresche oudate, e s’ allargava, s’allargava sempre piu finche parve occupare mezza la superficie dello spazio. Era quello il tratto del Dnieper, dove il fiume, frenato fino allora dalle cate- ratte, ridiventa padrone di s6, e, spumeggiante come un mare, si espande a suo piacere; dove isolotli, sorgenti nel mezzo, lo risospin- gono oltre le rive, e le sue onde invadono la pianura senza ostacoli. I cosacchi scesero di cavallo, entrarono in barca, e dopo tre ore di viaggio approdarono ali’ isola di Hortizza, dove allora era la Siets, che cosi spesso cam- biava dimora. Un gruppo di gente contrastava sulla spiaggia coi barcaiuoli. I cosacchi fecero sfilare i cavalli; Taras adattossi la cintura ai fianchi, e si ravvio boriosamente i baffi; anche i snoi figli si guardarono da capo a piedi con una certa inquietudine e soddisfa- zione ad un tempo, e c< si tutti insieme en¬ trarono nel sobborgo, che era ad una mezza versta dalla Siets. Al primo entrare li assordo il fracasso di una cinquantina di martelli fabbrili, che rimbombavano in venticinque — 31 — ■officine ricoperte di terra e per meti affondate m el suolo. Vigorosi conciapelli sedevano sotto le tettoie lnngo la via, lavorando abilmente le pelli di bue. Riveniitori d’ogni fatta sta- vano nell’ interno delle bataccho in mezzo a mucchi di špice, d’ armi da fnoco e di mn- nizioni. L’ armeno vi teneva esposti i snoi preziosi tessuti; il tnrtaro girava sullo spiedo pezzi di montone col ripieno; 1’ ebreo, spor- gendo il capo, spillava dalle botticine 1’ ac- •q navite. Il primo, che incontrarono sulla via, era nn zaporosiano, il qnale dormiva sdraiato per terra. Taras non pote fare a meno di fermarsi davanti a lui e di guardarlo soddisfatto. — Osservate, disse mentre arrestava il ca- vallo, che aspetto maestoso! E per vero il zaporosiano sembrava un leone •sdraiato. Il ciuffo snperbo gli ricadeva sul terreno, occupandone un mezzo ar sc in. i) I suoi saravari di panno rosso finissimo erano unti e bisunti, cio che mostrava quanto poco •si curasse di essi. Bulba, gnardatolo alquanto, procedette per la via, piuttosto stretta, formicolante di ar- tieri, tntti intenti al lavoro, e di gente di ogni nazione che si agglomerava nel sob- borgo, e gli dava 1’ aspetto di un vero mer- cato, dove si provvedeva di cibo e di vesti itutta la Siets, quella 8iets la qnale non sa- peva fare nulRaltro che crapulare e adoperar le armi. 1) misura corrispondente a m. 0,7011. — 32 Finalmente uscirono dal sobborgo, e scor- sero alcuni sparsi kweni, o capanne cosacche coperti di terra, o di feltro secondo 1’ uso tartaro. Alcuni erano m na iti di cannoni. Non vi erano piu recinti, ne casuccie a flor di terra, ne tettoie sostenute da basse colonnine di legno, come si vedeva no nel sobborgo. Fn piccolo vallo ed un fosso, senza un’aniuia vivente ehe li custodisše, davano iudizio di una straordinaria spensieratezza. Alcuni zapo- rosiani sdraiati in mezzo alla strada, colle pipe fra i denti, si volsero a guardare con indifferenza i nnovi venuti senza curarsi di fare un po’ di largo. Taras assieme coi figli passo in mezzo a loro con tutta precauzione, salntando a desfra ed a sinistra: — Buon giorno, signori! — Buon giorno! rispondevano i zaporosiani. Sparsi su una spianata, per un circuito di cinque verste, videro drappelli di gente, la qnale mostrava chiaro coi volti abbronzati d’ aver corabattuto battaglie feroci e di essere avvezza ad ogni sorta di disagi. Ecco dunque la Siets! ecco il nido, donde spiccano il volo i generosi, i forti come leoni! Ecco il centro, donde si diffonde per tutta 1’TJkraina la libertši e lo spirito cosacco! I nostri viaggiatori arrivarono alla gran piazza, do ve il consiglio teneva le sue adu- nanze. Sopra una gran botte capovolta stava accovacciato un zaporosiano, intento a rat- toppare con fllosofia una camicia. Qui impedi loro di nuovo il passo una turba di suona- tori, in mezzo ai qnali danzava un giovane- — 33 — cosacco, agitando furiosamente il berretto e annaspando colle mani. — Piii brio, suonatori! suonate con piu brio! gridava intanto. E tu, Tommaso, nou negare 1’ acquavite ai cristiani! Ed il povero Tommaso, collo sguardo abbat- tnto, riempiva a ufo il bicchiere a chiunque della folla ne lo richiedesse. Intorno al gio- vane zaporosiano lavoravano discretamente di gambe quattro veccbi cosacchi, e facevano gran balzi, ora qua ora la, andando a cadere poco meno cbe sulla testa ai suonatori; poi di sdbito si abbassavano e si alzavano alterna- tivamente, percuotendo forte colle scarpe la¬ minate d’argento il pesto e ripesto terreno. 11 suolo rombava cupamente, e nell’ aria si ri- percuoteva il ritmo cadenzato : tra-ta-ta, tra- ta-ta! Uno piu scatenato di tutti gridava e tur- binava ballaudo un po’lungi dagli altri. I ca- pelli lunghi ed arruffati gli ondeggiavano sparsi ali’ aria, e, vestito d’ una pesante pel- liccia di inverno, grondava di sudore. — Ma perche balli colla pelliccia? gli gridd stupito Taras; non capisci che ne uscirai cotto a perfezione ? — Non posso farne a meno, urlo il cosacco. — Perche non puoi farne a meno? — Per mancanza di vesti. Uso dare alPoste, piuttosto che al sarto, ogni mio guadagno E difatti egii mancava anche del berretto in testa, ne portava la cintura, nč la pez- zuola ricamata. La turba vorticosa dei danzanti intanto Taras Balba 3 — 34 — cresceva e cresceva; i cosacchi runo dopo 1’ altro prendevano parte alla danza, lin c h e a poco a poco invasero tuUa la piazza, presen- tando ai forestieri uno spettacolo curioso. Ed era una scena veramente stupefacente vedere quella gran folla slanciarsi alla piu gagliarda danza, che vnai si sia vista al moudo, la qnale si snole chiamare appnnto coaacca. Taras s’ indispetti seco stesso di Irovarsi a cavallo e di non poter prendere parte al bali o. C’ era da sbellicarsi dalle risa al vedere con qua»ta gravita alcuni lanciavano ali’ aria le gambe. Quelli poi, che non potevano reg- gersi in piedi per le soverchie libazioni, s’aggrappavano al palo, a eni solevano alla Siets legare i malfattori, e li ferini battevano, strepitavano e agitavan le gambe. Grida e canti d’ogni fatta, quali potevano loro venire in bocca in si mili occasioni, accrescevano il baccano ed echeggiavano incomposti nell’ aria. Taras distinse nella folla molti visi noti. Ostap ed Andrea udivano ad ogni tratto escla- mare: — Oh, sei tn, Pecerizza? — Addio, Kozolup. — Donde ci capiti, Taras ? — (lome sei qui, Oflloto ? — Addio Zasteska! — Chi si so- gnava di vederti qui, Itemen ! E quegli eroi, piovuti da tutte le parli della ltnssia orientale, si abbracciavano a vicenda, e continuavano domandando : — Che fa Cipriano? e Borodavka? e Ko- loper e Podsitok ? E Taras Bulba dalle risposte seppe che Bo- - 35 - rodavka era stato impiccato in Tolopan, cho Koloper era stalo squartato vivo sotto Kisi- kirmen, e che la testa di Podsitok era stata tnessa in šale e spedita in una botticella a Costantinopoli. II vecchio Bnlba a tali notizie chinava il capo, e tutto pensieroso ripeteva: — (Juelli erano veri cosaccki! III. Taras linlba era gia da una settiiuana coi snoi figli alla Siets, Sebbene egli avesse loro procurati dei maestri esperti ecl abili, che li gnidassero, tuttavia Ostap ed Andrea non approfittavano mol to nell’ esercizio deli’ arini. A dire il vero nel Zaporosie non esisteva una scuola teoretica, ne si davano regole ge¬ nerali di sorta; i giovani si istruivano e si formavano praticamente nel fervore deli bat- taglie, che in quei tempi si succedevano qnasi senza interrnzione. I cosacchi stimavano gra- voso nei momenti di pace qualsiasi esercizio ed apprendimento di speciali discipline. I tornei si tenevano assai di rado, e, se pure facevasi qualche cosa, era il tiro a segno, la sfida alla corsa, la caccia alle fiere nelle steppe e nei boschi. Tutto il rimanente del tempo lo sprecavano nella pigrizia e nelle gozzoviglie, indizio della loro sconfinata li- berta e della mancanza d’ ordine. Come dnnque si vede, la Siets era un fe- nomeno senza esempio, nn continuo gozzovi- gtfiare, un tripudiare rumoroso, che non aveva mai fine. Fra i suoi abitanti ve n’ era bensi — 36 - di qnelli che esercituvano una qualchearte, altri cke tenevano baracca e mercanteggiavano, m a la maggior parte non facevan nulla da mat- tina a sera, finche rimaneva loro in tasca qualche spicciolo disponibile, in altre parole, finche il loro stipendio uon pussava inte- gralmente telle tasche del bottegaio e del- 1’oste. Questo genere di vita aveva in s& alcun che di attraente. Non erano i cosacclii un’ accozzaglia di nbbriaconi, dediti al bere per disperazione; nia fonnavano, a cosi dire,. una societa di gandenti. Ogni nuovo iniziato per prima cosa dava bando assoluto a tutto cio, che fino allora avesse potuto stargli a cuore; dimenticava tutto il suo passato, e col fervore d’ un fanatico ponevasi a vivere con uomini simili a lui, che non riconoscevano piir ne parenti ne tetto n& famiglia, nulla iufatti, fuori del libero cielo e del perenne tripudio delle loro anime Questo era il se¬ greto della loro pazza allegria, la quale certo non poteva scatnrire se non da siffatti prin- cipii. Le storielle, le barzellette, le arguzie. che udivansi continuamente fra quel!a molti- tudine aggloiuerata e sdraiata sul terreno, erano cosi comiche e condite di tale brio, che ci voleva la indifferenza del zaporosiano, per non sganasciare dalle risa ; o almeno sorridere sotto i baffi, ornamento di cui il russo del niezzodi va cosi borioso fra gli altri suoi fratelli. Non si crcda perd che la Siets fosse coine una immensa bettola di ubbriachi, dove fos^e lecito di darsi a poco 'nobili soliazzi. Nulla - 37 — -di tutto qnesto Era un amichevole convegno di antichi condiscepoli, colla differenza che •essi non dovevano alzarsi e sedersi a bae- ehetta, ne ascoltare le noiose lezioni dei nmestri; ma ali’ occorrenza balzavano libera mente in sella a cinque mila cavalli per dare un assalto; non giuocavano al pallone nelle pra- terie, ma vegliavano lungo gl’ indifesi e peri colosi confini, ai quali volgeva i cupidi sguardi il tartaro, ed agognava il tnrco, sem- pre in aspettazione e sempre intento a spiarli sotto al suo verde turbante. La differenza era ati che in cio, che non andavauo a scuola a malincuore, ma abbandonavano di loro spon- tanea volonta padre e inadre, fuggendo dalla loro časa; qui convenivano cavaiieri, i quali avevano avuta gia la corda al collo, ma, invece del la pallida morte, avevano trovato la vita ed una vita di tripudio; e qui c’era della gente, che, secondo il generoso sno co- stinne, non poteva conservare in tasca un quattrino, e per la quale nna moneta d’ oro era un tesoro, giacche gli usurai ebrei non le lasciavano un soldo. Qna venivano a finirla tutti quelli che non volevano saperne delle punizioni del collegio; a fianco di quelli che non avean saputo imparare neppur una let- tera deli’ alfabeto, ce n’era di quelli che co- noscevatto benissimo Orazio e Cicerone, e sapevano a meraviglia che cosa fosse la re- pubblica romana. V’erano ancora molti che piu tardi si guadagnarono farna negli eserciti reali polacchi, colti ed esperti avventurieri, ai quali poco importava il sapere dove e per — 88 — chi si dovesse combattere, purche si combat- tesse, stimando di non poter vivere onora- tamente senza coinbattimenti. Molti aacora ve- nivano alla Siets non per altro, che per van~ tarsi d’esserci stati , e per riportare farna di coraggiosi e valenti cavalieri. C’erano molti ufficiali polacclii; nia del resto, quale nazione non ci avevai suoi rappresentanti? Una repnb- blica di quella fatta era una necessita dei tempi; poteva accorrervi e rimanere appagato chiuncjue amasse la vita militare, le auree coppe, i tessuti preziosi, i sonanti ducati ed i reali d’oro. Solo gli ammiratori deli e donne nulla trovavano la per con to proprio, perclie le donne erano rigorosamente bandite e dalla Siets e dal s no sobborgo Ostap ed Andrea si meravigliavano assai che nessuno si brigasse di interrogare loro ed altri venuti in quel frattempo, donde venis- sero, chi fossero e come si chiamassero. Ar- rivando sembrava di venire a časa propfia dopo una breve assenza. I nuovi giuriti si presentavano al kossevoj o pri mo coinandante dei cosacchi, il qivle di solito rivolgeva loro le seguenti domande: — Čredi tu in Cristo ? — Čredo, rispondeva il candidato — E nella 'SS. frinita, ? — Čredo. — Frequenti la chiesa? — La frequento. — Fatti il segno detla croce. Ed il novizio si segnava, — Ebbene, soggiungeva il kossevoj, va. — 39 pure e scegliti il kureno, cke piti ti piace. E cosi terminava la cerimonia di rice- vimento. Tutta la Siets si raccoglieva a fare le sne divozioni in un’ nnica chiesa, cbe i za poro- siani erano pronti a difendere ali’ nltimo sangue, quantunqne d’ altro canto non vo- lessero saperne di diginni e di penitenze. Se gli ebrei, gli armeni ed i tartan osavano vi- vere e mercanteggiare nel sobborgo, lo face- vano solo spinti da ima sfrenata cupidigia di lucro^ percbe i zaporosiani di solito non si dav no al traffico, ed erano buoni paga tori, finclie avevano denavo. Del resto la sorte di quegl’ ingordi mercintuzzi non era molto invidiabile; si potevano paragonare a quegli abitanti cbe stanno alle radici del Vesuvio; perchč i cosacchi ; trovandosi di quando in quando senza denari, irrompevano nelle loro bottegbe, e prendevano tutto senza pagare. La Siets si divideva in circa sessanta ku- reni, che rassomigliavano a tante piccole re- pubbiiche, o meglio^a tanti eollegi o convitti di giovani, dove si vive a retta. Nessnno aveva bisogno di stil arsi il cervello, nessnno aveva nulla da cnstodire; tutto era tenuto dal 1’ atama.no, comamlante del kuren, il qmle per cio veniva ordinariamente chiamato bntka (padre). Egli aveva in cnstodia la cassa, i vrstiti, le vettovaglie, i depositi di farine, di orzo, di legna, e gli si affldava fino il pe- culio privato. Qualcho volta i kureni veni- vano a contesa fra loro, e non di rado acca- — 40 deva che dalle parole passassero ai fatti. Allora si schieravano in piazza, e facevano ai pugni e bastonavansi di santa ragione. finche non prevalevano o gli uni o gli altri. La vittoria dopo il tafferuglio era, come si com- prende, festeggiata colle baldorie e col tri - pudio. Tale era quella Siets, che con tanto incanto chiamava a se la gioventii. Ostap ed Andrea si erano dati con tntto 1’ entusiasmo giovanile a quel nnovo modo di vita. Ben presto dimenticarono affatto la loro prima eta, il collegio, la časa e tutto cio che aveva loro commosso il cuore. Tutto n veva per loro attrattiva nelia nnova vita, dalla consneta spensieratezza della Siets, alle sne discordanti costitnzioni e leggi. Quest’ nl- time loro sembravano troppo severe per una societa come quella. Se, per esempio, un eo- sacco si tosse appropriata una qnalche ba- gattella non sna, cio si considerava come uri’onta per tutti; il reo veniva legato pub- blicamente ad un palo, e vicino gli si met- teva un bastone col qnale poteva perciioterlo a suo talento chiunque di la passasse, nč le busse inancavano, moltiplicandosi talora fino alla morte del malcapitato ladro. Un debitore, che non avesse saldato i suoi conti, veniva incatenato ad un cannone fino a tanto che un qualche pietoso compagno non pagasse per lui. Ma quello che piu spaventava Andrea era la pena stabilita per 1’ omicida. Aveva veduto a tale proposito scavare nna fossa, gettarvisi dentro il vivo ed il morto assieme, e rico- - 41 — prirli di ter ra. II ricordo della terribile scena gli duro per molto tempo, e la imagine della fossa coi dne disgraziati gli tormentava di spesso la fantasia. I dne giovani furono presto benveduti dagli altri cosacchi. Molte volte assieme coi compagni "‘del loro kuren, e talora ancke coi kureni vicini, andavano alla steppa a caccia od anche recavansi ai laghi, o snlle rive dei fimni e torrenii, cbe si sorteggiavano fra i singoli kur ni, e vi gettavan le reti ed i sacchi, ritirandoli carichi di preda avantaggio di tutto il knren. Quantunqne alla Sie s non vi fosse, come abbiam detto, una scuola per gli apprendisti, pure Ostap ed Andrea iuconiinciarono ben presto a distinguersi fra gli altri giovani tanto per coraggio che per 1’abi'iU. Colpivano al bersagliocon destrezza e precisione, e passa- vano a nuoto il Dnieper, come prescriveva 1’uso, prima che gli aspiranti fossero defini- tivamente ammessi fra i cosacchi. Pero il vecchio Bulba pensava di dare loro altre occnpazioni. A lui non garbava quella vita pressochd morta; avrebbe voluto che ci fossero occnpazioni piu importauti. Andava continua- mente studiando il modo di introdnrre plau- sibilmente un diverlimento piu geniale e adatto a siffatti campioni; ftnaimente gli parve di avere una buona idea, e, presentandosi un bel giorno al kossevoj, cosi francainente gli pari 6: — Senti, kossevoj; io čredo che convenga finalmente mettersi in ballo. — 42 — — Ci manca il modo, rispose il kossevoj. E, togliendosi di fra i denti la pipa. sputo in tena. — (lome ci manca il modo ! Non potremmo andare contro il turco o il tartaro ? — Non possiamo andare ne contro il turco, ne contro il tartaro, soggiunse il 1 *kossevoj, rimettendosi tranquillamente la pipa in bocca. — Perche non possiamo ? — Al sultano abbiamo promesso la pace. — Che pace d’ Egitto! Il sultano e nn in- fedele, e i santi libri comandano di stermi- nare gl’ infedeli. — Non ne abbiamo il diritto. Se non aves- simo s.: iti ra to sulla nostra fede, forse 1’avremmo. Oerto che si potrebbe fare a modo tuo, ma finche durano le condizioni presenti, no. — Ciancie vuote, kossevoj! Non abbiamo diritto ? Ho qui dne flgli, vedi, dne aquilotti, che hanno bisogno di addestrarsi e di far co- no-cenza coi litcili, e tu mi vai dicendo che non abbiamo diritti! e tu vai balbettando che non si puo fare la guerra! — Che vnoi, caro. rispose colla stessa in- differenza il kossevoj, bisogna aspettare. — Benissimo! poltrisca pure e marcisca nelPinerzia la forza cosacca; viva e crepi il cosacco cotne un cane, senza nn’opera buona, senza alcun profitto della patria e della re- ligione. Tu vorresti che fosse proprio cosi; ma dimmi allora, perche siamo al mondo? Per tutti i diavoli! perche si vive? Il kossevoj taceva; egli era un cosacco onesto. Stette alquanto sopra pensiero, poi disse: — 43 — — La giierra non 1’ avremo. — Non 1’avremo davvero? — No! — Non ci si puo neppnr pensare ? — No! — Aspetta, zučcono, borbottava seco stesso Bulba partendo ; tu saprai chi e Taras Bnlba. Disse, e stabili di vendicarsi del kossevoj: Parlo con varii suoi coni nuli toni, die da bere a tntti, e ben presto ima tnrba di brilli cosacchi si riverso nella piazza, dove ; appesi ai pali, stavano i timpani, che chiamavano a raccolta il popolo. Non potendo avere le relative bacchette, che erano in mano del banditore, die^lero di piglio a pezzi di legno, e coininciarono a battere a fnria. 11 priino a comparire sni Inogo fu il banditore, uomo di alta statnra, al quale rimaneva in fronte un solo occhio, anche quello mezzo chinso dal sonno. — Chi si arrischia di battere i timpani ? grido. — Tu taci! prendi le bacchette e batti r giaccho questo e mestiere tno, risposero gii anziani. Il banditore senz’ altro si cavo di tasca le bacchette, perche sapeva come andavano a finirla per solito quelle faccende. I timpani rombarono, ed ecco i reggimenti cosacchi sbucare tosto da ogui parte, come un vespaio, e raccogliersi ciascuno al sno pošto e di- sporsi in cerchio. Ad un terzo segnale so- pragginnsero i capi: il kossevoj colla mazza, segno del sno potere, il gindice col sigifo - 44 — militare, il segretario col calamaio, e l’as- sanllo col bastone; i q«ali tutti, levandosi i berretti, s’ inchinarono profondamente ai co¬ sacchi, cbe stavano in gran sussiego, col le mani inarcate sni fianchi. — Perche si radnnano i cosacchi? che cosa vogliono i signori? chiese il kossevoj. Ma lo strepito delParmi e le grida soffoca- rono la sna voce. — Rendi la inazza, deponila tosto, figlio del diavolo! non ti vogliamo piu! gridavano in coro i cosacchi. Alcuni reggimenti, i quali non avevano bevnto, volevano opporsi; ma gli avvinazzati si azzuffarono con essi ; e ne nacque nn taf- fernglio ed un pandemonio da non dirsi. Il kossevoj avrebbe voluto pari are, ma, sa- pendo che la moltitudine capricciosa avrebbe potnto maltrattarlo e forse anche ucciderlo, come troppo facilmente snccedeva in tali fran- genti, s’ inchinb iriolto profondamente, depose 10 scettro, e mogio mogio si dileguo tra la folla. — Volete che deponiamo le in-segne an¬ che noi? domandarono il giudice, il segretario e 1’assaullo, facendo atto di deporle. - No, no ! voi resterete ! gridarono alcuni della moltitudine; abbiamo dovuto deporre 11 kosseroj, perche egli e una vile femmina, e a noi occorrono uomini. — Chi volete dunque per kossevoj ? chie- sero gli anziani. — Kuktibenko ! dissero alcuni. — Non vogliamo Kukubenko, affermarono altri; e troppo giovane. — 45 — — Scilo sia il nostro comandante, gridarono- alqnanti; eleggiamo Scilo. — A1 la malora voi e Scilo! rispose la turba. Che razza di cosacco e quel figlio d’ un cane, entrato fra noi come un tartaro ? Pel diavolo ! converrebbe cncirio in un sacco quel- 1’ ubbriaeone di Scilo. — Borodat, eleggiamo Borodat! — Kirdiago, Kirdiago! bisbiglio ad al- cuni Taras. — Kirdiago, Kirdiago! grido la folla. — Borodat, Borodat! — Kirdiago, Kirdiago! — Scilo! — No, Scilo no Vogliamo Kirdiago! Intanto i candidati, al primo udire i rispet- tivi nomi, scostandosi dalla folla, siritiravano, per nou sembrare di voler, colla Soro presenza, esercitar azione sulle deliberazioni della mol- titudine. — Kirdiago, Kirdiago! votavano i piu. — Borodat! insistevano altri, gridando ed azzuffandosi, tinche nou prevalse Kirdiago. — Andate a prendere Kirdiago, gridarono i cosacchi. Alloia dieci cavalieri uscirono dalla turba, mal reggendosi in piedi pel troppo bere, e si recarono a partecipare a Kirdiago la notizia della elezione. Kirdiago, vecchio ed esperto cosacco, se¬ deva gia nel suo kuren, e, come se nulla sapesse deli’ esito, domando : — Che volete, signori ? In che posso ser- virvi? — 46 — — Vieni, ti hanno fatto kossevoj! —- Ma scasate, signori, diceva esitando Kir- diago, non sodo degno di tanto onore. (lome faro il kossevoj io che non ho esperienza? Forse che fra fanti cosacchi non ce n’e altri piu degni di me ? — Vieni, e lascia le ciance; ti chiamano, gridarono i cosacchi. E dne di essi senz’ altro lo pigliarono a braccetto, e, non ostante la sna ostinata re- sistenza, lo trascinarono ali’ assemhlea, cari- candolo por via di improperi e di percosse. spingendolo avanti a furia di calci, e gri- dandogli: — Non resistere, anima dannata! accetta i’onore, quando te lo danno, figiio d’nn cane! —• Signori! gridarono, quando fu in mezzo alla folla ; siete tiitti contenti che da ora in poi sia eostni nostro kossevoj ? — Tutti, tutti! gridarono migliaia di voci, che echeggiarono per largo spazio intorno. Allora uno degli anziani, preša la mazza la consegno al nnovo kossevoj. Kirdiago, fedele alla consuetndind, la depose. L’ anziano gliela p^esentd di nuovo, ed egli nuovamente la ri- fluto, e solo alla terza volta la ritenne. Un fragoroso applauso levossi uell’ adunanza, e le liete grida dei cosacchi echeggiarono per 1’ aria. Intanto quattro vecchi zaporosiani, dalla barka e dai capelli bianchi, uscirono dalla folla, si avvicinarono al kossevoj, e, preša della terra, poco prima inzuppata da un acqmzzone gliela rovesciarono sul ca)»o. La fanghiglia, gli scendeva dalla capigliatnr.i - 47 — giu pel vojto e per la barba imbrattandolo. Ma Kirdiago non turbossi punto; anzi, fermo al suo pošto, ringrazio i cosacchi della carica di capitano generale, che gli avevano con- ferita. Gosi termino la tumiiltuosa elezione. Non si sa pero se 1’ esito piacesse a tutti, ma piacque a Bulba, il quale cosi si era vendicato del kossevoj di prima. Kirdiago era stato senipre suo fedele compagno, ed a veva prešo parte con lui a tutte le asprezze e alie fatiche della vita mili tare. Come corona di tutto, 1’asseniblea stabili di festeggiare 1’ elezione del nnovo kossevoj in un modo affatto nnovo per Ostap ed Andrea. A tal line irruppero nelie taverne, e frcero man bassa su tutto. Ognuno si preše idromele, acquavite e birra qnanto piu ne poteva mandare giu, e tutto a ufo, essendo gia gran mercb pei rivenditori se potevano nel trambusto riportare salva la pelle. I co¬ sacchi, riempitisi cosi il gorgozzule, stettero quasi tutta la notte grid mdo e cantando can- zoni guerresche, e la luna splendente dad’alto vide per molte ore errare per le vie turbe di suonatori di bandure, di tiorbani con balalaiche 1 ) e di cantori, gente che la Siets manteneva percliž cantasse e suonasse alle funzioni sacre, e nelle feste profane celebrasse il valore cosa ( 'CO. Finalmente lo stordiinento e la fatica cominciarono a vincerli. Si vedo- vano ora Funo ora 1’aitro cadere qua e cola; 1) strumenti musicali. — 48 — un compagnone abbracciarne un altro, condo- lersi, rallegrarsi, piangere in buon accordo, e poi ruzzolare 1’uno a fianco deli’ altro a.terra. Se ne vedevano a mncchi interi; qualcnno andava brancolando in cerca’ d’ un lnogo op- portuno per coricarsi, e finiva col distendersi sn qualche catasta di legna. Un ultimo, pro- babilmente il piu forte dl tutti, balbettava ancora frasi sconclnsionate, m a la iuesorabile tirannia dell’acqua vite troncava a lui pure le gambe, ed esso cadeva in mezzo ai suoi. Finalniente tutta la Siots si sprofondo nel sonno. IV. II giorno seguente Taras Balba si stava gid di buon mattino stillando il cervello as- sieme col nuovo kossevoj alla ricerca di un qnalunque pretesto per dare occupazione ai zaporosiani. Il kossevoj, cosacco esperto ed intelligente e buon conoscitore del suo po- polo, sul principio faceva il ritroso. — Non possiamo rompere il giuramento dato, disse. E dopo breve pausa aggiunse: — E inutile pensarci; non possiamo, Il giuramento lo osserveremo; ma si cerchera qna!che altro spediente. Intanto si convochi di nuovo la gente, ma si faccia cio corne se io non ci entrassi. Quanto sia facile chiamare a raccolta, lo sai benissimo. Io interverro con gli anziani fingendo di uulla sapere. Non era trascorsa un’ ora dopo questo dialogo^ - 49 — che gia i timpani rumoreggiavano. I cosacch’ ancora briachi e barcollanti si mossero di nuovo e tosto migliaia di berretti cosacchi si videro formieolare in piazza. — Che c’ £ di nuovo ? si domandavano. Che cosa vuol dire questo? perchž 1’adunanza ? Ma nessuno sapeva rispondere. Un po’ alla volta pero qua e cola nei diversi drappelli si coinincio a ragionare. — Vedete, diceva qualcuno, e chiaro che senza la guerra le forze cosacche vanno in rovina. Gli anziani sono indolenziti a furia di non far nulla, e sono tanto grassi che stentano ad aprire gli occhi. Pare proprio che non ci sia piu giustizia al mondo! Alcnni da principio non facevano che ascol tare, ma poi prendevano parte ai discorsi an- ch’ essi, dicendo: — Infatti non c’ & piu giustizia al mondo ! Gli anziani, udendo simili discorsi, finge- vano meraviglia. Finalmeute il kossevoj si fece avanti, e disse: — Permettete, signori zaporosiani, che io vi parli. — Par la, parla ! — Prima di tutto devo farvi notare cio che del res to gia tutti sapete, vale a dire che molti zaporosiani sono cosi carichi di debiti e verso gli ebrei e verso i fratelli, che orinai neppure il diavolo farebbe loro credenza. Di piu, vi sono qui molti giovani, i quali ancora non sanno che sia la guerra, e voi lo sapete benissimo, signori, che il sangue giovanile non pud starne senza. E poi alla line dei conti, che Taras Bulba 4 - 50 — razza di cosacco e quello, che ancora non s’ e provato coi turchi ? — Dice benissimo, pcnso Taras. — Non crediate pero, sigaori, che io parli allo scopo di turbare la pace; me ne guardi il cielo; parlo unicamente pel nostro coinune interesse. La nostra chiesa, per esempio, e cosi meschina, che fa vergogna. Vedete sono gia molti anni da che sussiste la Siets; eppure il suo oratorio non solo b trascurato al- 1’esterno, rna fino le sacre imagini di dentro sono senza ornamenti di sorta. Hanno appena quel poco, che loro legarono per testamento altri cosacchi; ed anche quel poco č quasi nulla, perchž i testatori spendevano tntto in bevande prima di morire. Le mie parole dan que non mirano a turbare la pace con gli infedeli, perch^ la pace 1’abbiamo promessa con giuramento, e non la possiamo rompere senza grave peccato. — Maledizione! che cosa va balbettando costni ? penso di nuovo Bulba. — Si, signori, ora vedete anche voi che non ci k lecito incominciare la guerra; lo stesso onore militare ce lo impedisce. In compenso la mia debole ragione mi suggerisce di fare cosi: dare piena liberta ai giovani di imbarcarsi sulle navicelle e tentare la fortuna lungo le coste deli’ Anatolia. Che pare a voi, signori? — Conducine, con lucine tntti! gridarono da ogni parte i cosacchi; siamo tutti disposti a rischiare la vita per la fede! 11 kossevoj si spavento. Era ben lontano - 51 «dal voler sollevare tutti i cosacchi. D’ altra parte stimava sinceramente cosa ingiusta rom- pere la pace. — Permettete, signori, disse, anche una parola. — Basta, basta; gridarono i cosacchi. Che puoi dirci di piu bello ? — Quand’ e cosi, sia coine volete. Io sono servo dei vostri coniaDdi. E’ una verita an- tica, e i libri santi stessi la insegnano, quella che dice: la voce del popolo b voce di Dio. Non puo prendersi partito piu saggio di quel!o che ha la approvazioue unanime del popolo. Tuttavia riflettete a questo: il sultano si af- fretterebbe a punire 1’ audacia dei nostri gio- vani, non lo metterete iu dubbio, signori. Ma intanto noi potremmo apparecchiarci; le uostre forze sarebbero valide, e nessuno ci farebbe paura. Invece, se partianio tutti, potrebbero piombare su noi i tartari. Questi cani non osano avvicinarsi finche il padrone b a časa sua, ma gli corrono furtivamente alle spalle quando se ne va; e questo e pericoloso. In- fine, per dire tutta la verita, sappiate che non abbiamo barche per tutti, ne polvere pronta a suflScienza. Del resto scusate, io sono con- tento, io sono ai vostri ordim. IPastuto atamano tacque. Nei drappelli si comincib a discntere; gli atamani dei kureni si consultarono e finalmente si stabili di man- dare alla spedizione una parte dei giovani guidati da pochi vecchi ed esperti cosacchi. _ Ci6 fatto, alcuui si recarono tosto ali’altra riva del Dnieper, dove in luoghi inaccessibili — 52 — alTacgua, fra le scoscenditnre delle rupiV avevano i depositi di munizioni e di armi tolte ai nemici. Gli altri corsero alle navi- celle per esaminarne lo stato e metterle in grado di poter partire. Ia un momento tutta la spiaggia fu piena di cosacchi. Comparvero falegnami coi loro stramenti da lavoro. Vecchi, abbronzati zaporosiani, dalle larghe spalle e dai capelli bianchi, coi calzoni rimboccati, si cacciarono neH’acqua, trasciuandosi dietro con robusta funi le navicelle, cbe erano in secca. Alcuni spingevano verso il fiume tronchi d’ alberi e legnanii di ogni fatta. Qui rappez- zavano con tavole i fianchi di alcnne barche, la ne capovolgevano altre, e riparavano le avarie del fondo, e le intonacavano di peče. Ad altre ancora legavano ai lati, secondo il costume cosacco, lungbi fastellidi canne, per- ch6 le onde non le sommergessero. Lungo la riva ardevano fuochi, ed in grandi caldaie di rame bolliva il bitnme, con cui si dove- vano intonacare le botti. I provetti nel me- stiere ammaestravano i piu giovani, ragio- nando con essi graveinente. Lo strepito e le grida echeggiavano da ogni parte, e la spiag¬ gia era tutta un brulichio di vita. In quel frattempo nna grossa chiatta si av- vicinava lentamente alla riva. La ciurma, piuttosto in buon numero, comincio da lontano a gestire colle mani. Era composta di cosacchi, che avevano le vesti tutte a brandelli. Alcuni non possedevano altro che un camicione in- dosso ed una pina fra i denti. Ifaspetto me- schino di quella turba palesava una miseria — 53 — estrema, o meglio ancora 1’intemperanza e lo scialacquamento, che spingeva quei miserabili fino a veudere le vesti. Fra quella ciurmaglia si distingueva un omaccione sulla cinquantina, tozzo e tarchiato, il quale urlava piu forte, e agitava le mani con maggior faria degli altri; ma lo strepito e le grida soffocavano la sua voce. — Ohe c’e di nuovo ? chiese il kossevoj, dopo che la chiatta fu giunta all\approdo. Gli operai cessarono dallo strepito, sospesero il lavoro, e stettero in curiosa aspettativa. — Nulla di buono, nulla di onesto! urlo il tarchiato cosacco. — Che c’ e dnnque ? — Permettete, signori zaporosiani, che ve lo dica. — Parla! — Vorreste raccogliervi in adnnanza ? —- Parla; siamo qui tntti. Ed i cosacchi si disposero in semicerchio. — Non avete udito ancora le novita del- 1’ Etmanato ? E — Che novitA ? chiese nno dei capi dei kuren. — Che novita! sembra che il tartaro vi abbia turate le orecchie. — Via, parla, e narra qnello che avviene. — Oh. queilo che avviene! Avreste potuto nascere mille volte, eppure non avreste ve- fiuto mai nulla di simile. — Ma finiscila, figlio d’un cane! racconta! 1) L’ Etmanato era 1’ Ukraina polaooa. — 54 — grido nno della moltitudine, che cominciava: a perdere la pazienza. — I tempi sono tali, che non possiamo dirci piu neppure padroni delle nostre chiese. — Perchb ? — Perche le hanno in mano gli ebrei. Se prirna non si paghi la tassa ali’ ebreo, 'non si puo neppure far dire la messa. — Che sciocchezze ci vai narrando ? — C’e di pili. Se prirna 1’ebreo non segna colla sna sozza mano il pane di pasqua, ii prete non pub benedirlo. — Questa b nna menzogna, signori fratelli; b impossibile che 1’ ebreo arrivi a tanto da insozzare le cose sante. — Ve ne dirb nn’ altra. I preti del- 1’ Ekraiua vanno in tarataika !). Ci vadano, il male non sta in cio, ma, invece di attae- carvi dei cavalli, vi attaccano cristiani ortc- dossi. Ascoltate ne dirb un’ altra ancora: le donne ebree si fanno le giubbe con gli ap- paramenti sacri ! Vedete, signori miei, le cose che succedono nell’ Ukraina. E voi mar- cite nell’ ozio e fate festa in Zaporosia! Ben si vede che il tartaro vi ha accecati ed as- sordati a tal punto che nuBa pili scorgete e nulla udite di quello che avviene nel- mondo. — Basta, basta! gli tronco la parola in bocca il kossevoj, rimasto fino allora immobile e con gli occhi bassi, come tutti gli altri co- sacchi, i quali nelle faccende di maggior mo- 1) Specie di biroccio. — 55 — mento non si lasciavano trascinare dalla prima impressione, ma taeevano trattenendo e con- densando lentaraente tutto lo sdegno. — Basta, continno il kossevoj, ora parlero io. E voi che late intanto? II nemico vi uccise il bntko e voi che avete fatto per difenderlo ? e le vostre spade ? perche avete permesso nna tale scelleratezza ? — Che scelleratezza abbiamo permesso ? chiese con stnpore un piccolo cosacco. Avrei voluto vedervi alla prova con ciuqnantamila polacchi di fronte, senza contare quei cani deli’Etmanato che hanno tradita la nostra religione per darsi alla loro. — Ed il vostro atamauo e gli altri capi che cosa facevano? — Eh! 1’atamano ed i capi! Non sapete do ve sono essi? — Dove sono? — L’atamano arrostito riposa ancora nel toro di bronzo a Varsavia, e le 'teste e le mani degli altri capi fauno il giro del paese, perche il popolo le possa contemplare a suo beli’ agio. Ecco qnello che facevano, e dove sono i capi! A queste notizie la folla rimase sbalordita. Dappriina si fe’ silenzio, cupo come qnello che precede 1’ uragano; poi ad nn tratto tutti si riscossero, e diedero sfogo allo sdegno facendo risuonare tntte le rive di minaccie. — E che? dicevano. Gli ebrei spadroneggie- ranno nelle nostre chiese? i preti polacchi 1) Padre — 56 - attaccheranno alle tarntnike i cristiani orto^ dossi ? i maledetti traditori martorieranno im- punemente i nustri in terra nostra ? faranno tale strazio di atamani e di capi? No, giam- mai! cio non puo essere! Cosi gridava da ogni parte quella molti- tudine di zaporosiani, e fremeva, consapevole della sna potenza. Questo loro scoppio non era simile al subito divampare d’ un popolo Ieg- gero; era il ribellarsi di nn’indole grave e vigorosa, che si riscalda a poco a poco, ma ia fine con una fiamma maggiore e piii dnrevole. — Impicchiamo tutti gli ebrei! s’udi gri- dare improvvisamente tra la folla; impicchia- moli, perche non abbiano a rnbarci le vesti sacre per fare ginbbe alle loro donne, e perchž non abbiano a profanare piu il pane sacro- Affoghiamoli nel Dnieper. Queste parole volarono tra le file come un lampo, e tutta quella gen te si sollevo, correndo al sobborgo col proposito di sterminare gli ebrei. I miseri figliuoli d’ Israele correvano ad appiattarsi nelle botti, nei forni e dove cre- devano di stare piu sicuri; ma i cosacchi li rintracciavano dovunque. — Serenissimi e potenti signori! gridava un ebreo allampanato e secco sollevando da un rnucchio doi snoi calpestati compagni la faccia tutta pesta e contraffatta dallo spavento. Serenissimi e potenti signori! permettete che vi dica una sola parola. lo vi diro cosa che non avete mai udito, cosa cosi Importante, che io non posso dirvi quanto! — 57 — — Ebbene, lasciate che (lica, sentenzio Bulba. — Illastri signori! esclamo 1'ebreo; signori tali non esistettero mai al mondo, dico la veritd, mai non esistettero, cosi buoni e belli, cosi valorosi, rosi.... mai non esistettero... ancora.... al mondo.... La voce gli veniva meno per lo spavento. — Come si pub desiderare male ai zapo- rosiani ? Tutti quelli che tengono le taverne nell’Ukraina.... lo sa il cielo, non sono... non sono dei nostri!... Nessuno di essi b ebreo... il diavolo sappia chi sono! Quelli sono geute, ai quali dovrebbe... sputare in faccia ogni nomo.. e... e calpestarli! Vedete, potentissimi signori 1 possono dirlo anche gli altri. Non b vero, Slema e Smul, che e cosi ? — Ah, b la veritd san tihima! risposero dal mncchio Slema e Smul, tntti e due colle loro berrette ebraiche a brandelli, e pallidi come nn cencio. — Noi, continuava 1’ ebreo allampanato, non ci siamo mai affratellati coi vostri ne¬ miri ; i polacchi non vogliamo neppure ve- derli; il diavolo se li porti! Noi consideriamo i zaporosiani come fratelli... — Che fratelli! che fratelli! interrnppe un cosacco. Gli ebrei al Dnieper! Queste parole furono come nn segnale. Tosto incominciarono ad afferrare per le mani gli ebrei e a slanciarli nel fiume. Grida dolorose si levarono da ogni parte, ma i crudeli zapo¬ rosiani rispondevano colle risa, vedendo come i disgraziati si dibattevano fra le onde, dando — 58 - calci ali’ aria. I! povero avvocato, che senza volerlo si era tirato addosso il guaio, riusci a liberarsi dal ginbbone, pel quale lo avevano afferrato i eosacchi, e resto colla sola sotto- veste. — Illnstre signore! scongiarava pietosa- mente, abbracciando le ginocchia di Bulba. Serenissimo e potente signore! Io conobbi vostro fratello, il povero Doros. Egli era la gloria dei cavalieri. Gli diedi ottocento scudi, quando stava riscattandosi dai turclii. — Tu hai conosciuto mio fratello? chiese Taras. — Si, certo, e come! QaelIo si, era un ge- neroso signore! — Come ti chiami, ebreo ? — Jankel. — Taras, dopo ave” riflettuto un momento, fivolgendosi ai cosacchi, disse : — L’ebreo potremo iinpiccarloquando meglio ci piacera; per o a lasciatelo a me. Detto cio, egli lo coudusse ai carri, intorno ai quali stavano raccolti i suoi eosacchi, e gli disse : — Via, rimpiattati sotto ad un carro, e sta nascosto senza muoverti. E voi, fratelli, badate che 1’ ebreo non fugga. Dati cosi i suoi ordini, ritorno alla piazza, dove nuovamente lo chiamavano i timpani. In un batter d’ occhio tutti abbandonarono e barche e spiaggia, perchš la guerra stava ormai per scoppiare in terra e non c’era pili bisogno di botti n5 di navicelle, ma bisognava in- vece adoperarsi intorno ai carri e tenere in — 59 — pronto i cavalli. E poickts tutti desideravano vivamente la guerra, gli anziani, il kossevoj, gli atamani dei kureni stabilirono unanime- mente di assalire i polacchi, per vendicare la loro religione disprezzata, per far pagare il fio di tante angherie, per far bottino sar- cheggiando citta e castella, e per mettere a ferro e a fuoco villaggi e campagne ed acqui- starsi cosi rinomanza e gloria per tutte le steppe. Tutti si armavano. Il kossevoj pareva divenuto di statura piu alta; non ascoltava piit con timore la tnrba insubordinata, nž eseguiva con esitazione i snoi mutabili voleri, ma faceva da capo indipendente e quasi di- spotico, a cui niilTaltro spettasse che cornan- dare. Qnella moltitudine di soldati, ordinaria- mente cosi indisciplinata e capricciosa, stava ora come per incanto rigorosamente ordinata in file, piegava umilmente le teste, non osava neppure levare gli sguardi; ed inlanto il kos¬ sevoj dava i snoi ordini, e comandava e di- rigeva con prndenza e fermezza, mostrandosi capit;ino profondamente esperto, che aveva 1’occliio e la mente pronta a quanto occorreva. —■ Provvedete a tutto, diceva egli. Appron tate molti carri ed unto sufficiente per tutti. Affilate le arini. Non portate con voi troppe vesti: una camicia e dne paia di saravari bastano a ciascuno. Cosi deve bastare nn sac- chetto di frumento ed uno di orzo; in caso di bisogno ognuno potra ricorrere ai carri. Ogni cosacco prenda con se due cavalli ; bisogneia condurre seco anche dnecento buoi, che ci saranno indispensabili nei gnadi e nei luoghi — 60 - palndosi. Comportatevi bene. So cbe fra voi ce n’5 di quelli, che alla prima occasione si precipipitano sui tessuti cinesi e sulle vesti preziose per impadronirsene. Smettete questo maledetto costume; lasciate le vesti. Badate solo alle armi se ne troverete di buone, e alboro e alTargento, perche questa solamente e roba preziosa, che conserva sempre il suo valore e giova in qualunqae occasione. Vi prometto poi fino da qnesto momento, si- gnori, e tenetelo bene a mente, che, se qual- cuno šara sorpreso ubbriaco, fosse anche il piu ragguardevole cosacco, lo faro fncilare senza misericordia, e restera senza sepoltura, preda degli avoltoi, perclič nn nbriaco in tempo di guerra non merita sorte migliore. E voi, giovani aquilotti, date sempre ascolto ai mag- giori. Se qnalcnno restera colpito dal piombo, o ferito da spada, non ne faccia gran caso; sciolga nn po’ di polvere in nn bicchiere d’acquavite, e se la trangugi, e la paura se ne andrd; in qnanto alla ferita. se non šara troppo grande, impasti un po’ di terra colla šaliva, ve la applichi sopra, e la ferita gua- rira. Ed ora, signori cavalieri, mettetevi al- 1’ opera senza indugio ! Cosi parlava il kossevoj, e, quando ebbe finito, ognuno si mise al lavoro. In tntta la Siets non si sarebbe trovato un solo nbriaco, come se i cosaechi fossero la gente piu sobria di qnesto mondo. Chi agginstava rnote, chi rinnovava questa o qaella parte di carri ; alcuni caricavano sacchi di vettovaglie, armi e munizioni; altri poi adunavano cavalli e — 61 — buoi. Udivasi un incessante scalpitare di ca- valli, uno sparar d’ armi per prova, un risuo- nare di spade; s’ ndiva il muggito dei tori, lo scricchiolio dei carri, il discorrere, il vociare, il gridare, il comandare. Io breve tempo tutto fu ali’ ordine, ed il campo cosacco si dispose in largo spazio, tanto che avrebbe avuto molto da correre chi avesse voluto pas- sarlo in rassegna da un capo ali’ altro Intauto un prete si mise a cantare le litanie nella piccola chiesuola di legno, ed aspergeva d’acqua lustrale il popolo che accorreva numeroso a baciare la croce. Al levarsi deli’ accampamento ed alla par- tenza dalla Siets, i zaporosiani si rivolsero addietro, gridando in coro; — Addio, čara madre; Iddio ti campi da ogni peiicolo! Qnando furono al sobborgo, Taras Bulba vide che il suo ebreo aveva gia esposto la sna mercanzia sotto alla tettoia, e stava ven- dendo pietra focaia, fermagli, uncini, polvere e cento altre minuzie necessarie in guerra, non esclnso il pane e le paste. — Questo ebreo e un demonio! — penso fra se Taras; e gli si avvicino dicendogli: — Perchč stai qui, insensato ? vuoi proprio che ti torcano il collo come ad un pol- lastro ? Jankel gli si accosto, e, fattogli segno con ambe le mani di voler palesargli qualche se- greto ; disse: — Silenzio per carita, signore; non aprite bocca con nessuno. Tra i carri cosacchi ce -ba¬ li' e ano mio; io conduco ogni sorta di vi- veri nec p ssari ai cosacchi, e per via li venderd a prezzi cosi tenui da nou temere concor- renza. Ve lo giuro, šara proprio cosi. Taras Bulba alzo le spalle, e, meraviglian- dosi della strana iniole ebrea, corse a rag- ginngere i suoi. V. Ben presto tntto il sud est deila Polonia fu ridotto in nn miserando mucchio di cenere. II grido ‘ vengono i zaporosiani! vengono i zaporosiani! ’ echeggiava da ogni parte. Ohiun- que poteva mettevasi in salvo. Tutti fuggivano colti dal terrore ; non sapendo quel secolo spen- sierato ed improvvido munirsi di fortezze e di castelli. La gente di quei tempi si faceva dimore temporanee, ricoperte di paglia, tanto che potessero servirle da oggi a domani. — Perche sprecare fatica e denaro ? dice- vano tutti. Domani ci piomba addosso il ne¬ mi co, e addio časa! Tutti erano in preda al terrore: i conta- dini abbandonavano buoi ed aratri per pi- gliare le armi e correre ali a guerra; i pa- stori si nascondevano col gregge, addentran- dosi quanto piu potevano nelle selve. Molti erano quelli, che coli’ armi affrontavano il nemico, ma i piu fuggivano lontano per panra deli’iuvasione. Nessuno ignorava quanto fosse pericoloso battersi coli’ esercito zaporosiano, „ disordiuato e libero in pace, ma valoroso 6 disciplinatissimo in guerra. — 63 — I cosacchi cavalcando non maltrattavano i loro cavalli, non li costringevano a esagerate fatiche; i pedoni seguivano con prudenza i carri, e 1’ esercito si avanzava soltanto di notte. Di giorno facevano sosta per riposare, e a tal uopo sceglievano luoghi disabitati e boschi, che a qnei tempi erano frequenti. Spedivano avanti esploratori in perlustrazione, perche ri- conoscessero il paese e riferissero tutto cio che potesse avere una qualche importanza. Spesso apparivano la dove erano meno attesi; man- davano a ferro e a tuoco tutto, ammazzando sul lnogo i cavalli che non potevano trasci- nare seco. Sembrava, che quanto pid si avan- zassero, tanto piu gusto prendessero alla ter- ribile marcia. Oggi si rimarrebbe preši da raccapriccio alle scene, che succedevano sul loro passaggio ed alle crudelta che commet- tevano i cosacchi. Strozzavano i bambini, di- laniavano le donne; in una parola, i cosacchi facevano pagare tutti i torti a prezzo' di sangue. L’ ahate di on convento, alla notizia che si avvicinavano i cosacchi, inando incontro ad essi due monaci, perchd loro dicessero che non operavano da uomini ragionevoli, che il governo era sempre amico dei zaporosiani e che essi rompevano senza motivo 1’ amicizia col re, e ledevano i diritti della nazione. — Rispondete al vostro vescovo — disse loro il kossevoj, a notne mio e dei tniei, che non si turbi per cosi poco, perche i cosacchi hanno appena accese le pipe ed incominciato a fuinare! — 64 - Ben presto un inesorabile incendio fe’ preda del maestoso convento, ed era veramente do- loroso vedere coine le fiamme vorticose erorn- pevano da quei gotici finestroni. Numerose turbe di fuggitivi, in massima parte monaci, ebrei e donne, correvano alla volta delle grandi citta, ove avevan speranza di trovare un rifngio sicuro. I deboli e tardi aiuti, clie il governo raccoglieva, e di quando in quando mandava dove il maggior bisogno li richietlesse, erano senza alcun valore, e non osavano neppure assalire i zaporosiani. Al primo scontro veniva loro meno il coraggio, volgevano le spalle, e spronavano alla fuga i loro vigliacchi cavalii. Finalmente perd la necessitA costrinse a raccogliersi e ad opporsi ai cosaechi qnei migliori capitani del re, che erano stati gia vincitori in altre battaglie. Durante i varii scontri colle milizie polac- che,.si acquistarono nome i nostri due gio- vani cosacchi. Essi non vedevano Bora di mostrarsi veri campioni e di venire da vero alle mani coi Iehi (polacchi), che orgogliosi • e pettoruti cnracollavauo sui loro cavalii, guar- dando da lontano i nemici, mentre loro larghe maniche erano ondeggianti alFaria. Essi ave- vano conqnistate gia molte guarniture di ca- vallo, spade pregiate ed altre armi preziose. In un mese si erano rinvigoriti di molto, erano quasi rinati a nuova vita. Le loro gote, poco prima florenti di gentilezza giovanile, si erano trasformate in terribili faccie militari. Il veccltio Taras godeva oltre ogni dire, vedendo i suoi flgliuoli primeggiare dovunque. Ad Ostap - 65 — specialmente si leggeva chiaro in viso, che era nato j;er la gnerra e per la vita militare. Sulla lo turbava, per nulla si scomponeva. botato di una tranquiilita eccezionale in un giovane di ventidue anni, intuiva con una sola occhiata i pericoli, e tosto faceva i snoi provvedimenti, o evitando le difficolta, o su- perandole, per continitare quindi a eombattere con nmggiore audacia di prima. Le sne gesta davano prova di sperimentata sicurezza,. e facevano presagire in lui un ottimo capitano. I/intrepidezza spirava dal suo volto; dotato di una torza da leone, sembrava destinato a grandi imprese. — Eh, questi sard a suo tempo un ata- mano famoso! diceva lieto Taras Bulba; si, si; sard un capitano, che lasciera ben addietro il padre. Andrea alla sna volta trovava grande sollazzo nel fischiar del piombo nemico e nello stre- pitare delle spade. Egli non credeva che fosse necessario riflettere, nd considerar e ponderare sempre e dovnnque le proprie forze e quelle del nemico. La battaglia gli procurava un pia- cere matto; gli pareva nei momenti della mischia di essere ad un banchetto, ad una testa, quando i fumi cominciano a salire ai capo; tutto gli ballava davanti agli occhi; le teste parevano confondersi le une colle altre, i cavalli sbnffanti e scalpitanti piega- vansi fino a terra; ed il giovane cavaliere, come ebbro, precipitavasi in mezzo al com- battimento, spargendo stragi, sordo afifatto ad ogni pietoso lamento dei feriti. Bulba vedeva Taras Bulba 5 — 66 Andrea sfidare pericoli tali, che anclie il pid coraggioso ed esperto cosacco avrebbe cercato di evitare; lo vedeva nei suoi furiosi assalti fare tali meraviglie da disgradarne i guerrieri piu provetti. Taras restava stupito, e diceva di esso: — Anclie costai e un campione impareg- giabile; il nemico avra assai da fare, prima d vincerlo. Non vale Ostap, ma 6 un eroe ! Le scbiere cosacche stabilir juo di dare 1’as- salto a Dnbno, ove era farna che si fossero accumulate mol te ricchezze e ricoverati gran numero di ricchi nobili. Ben presto i co- sacchi comparvero sotto le mura delhi cittd. G!i abitanti avevano stabilito di resistere fino ali’estremo, e di lasciarsi stritolare nelle vie o sul limitare delle čase, piuttosto che per mettere di entrare ai nemici. Grandi trincee cingevano la cittd tutta intorno ; e ove qneste eiano a!quanto basse, scorgevansi pid addentro le mura di pietra, o bastioni beu muniti di artiglieria, oppure enormi tronchi di quercie posti per riparo. Gii assediati erano dunque forti e sapevano di esserlo. I cosacchi si erano gettati subito sul le trincee, ma una pioggia di granate ardenti li ricacciarono indietro. I cittadini stessi non vollero stare con le mani a!la cintola, ma si diedero con ardore a!la difesa dei ripari. A tutti si leggeva in viso un disperato propo- sito di resistenza. Perfiuo le donne vollero prendere parte alla difesa, e scagliavano sulle teste dei nemici sassi, botti, pignatte; rove- sciavano acqua bollente e sacchi di arena per accecarli. 67 - T zaporosiani, i qua!i non andavano mai volentieri ali’ assalto delle fortezze, si stan- ■carono presto. II kossevoj ordind cke abban- donassero le trincee, e disse loro: — Non merita di cozzarvi contro, signori fratelli; ritiriamoci. Ma possa io diventare un turco od un tartaro' se riesce a scappare di citta un solo abitante. Sapremo tenere d’ oc- chio come si conviene questi cani; crepino di farne dal primo fino ali’ ultimo! Le schiere si ritrassero, e si accamparono intorno alla citta. Intanto, non sapendo cbe altro fare, si diedero a saccheggiar il con- tado, ad incendiare villaggi, a dar fuoco al frumento accumulato in covoni per la cam- pagna, a condurre a pascolo i cavalli pei cainpi non ancora mietnti, dove biondeggiava la piu bella ed abbondante messe, frutto di nn’ annata straordinariamente buona, cbe pro- metteva prosperita al povero agricoltore. I cittadini, estremamente addolorati, stavano guardando dalle mura come per la barbarie del nemico andavano a male il sostenta- mento e le speranze della loro vita. I cosacchi avevano disposti i loro carri in dne ordini attorno la citta, ed essi stessi erauo divisi per kureni, come solevano fare alla Siets. Fumavano, scambiavansi le armi con- quistate, giuocavan alle carte o ai dadi, ed ogni tanto si rivolgevano minacciosi alle as- sediate mura. Di notte accendevano grandi fuochi, ed i cucinieri appareccbiavano il ku¬ lise in grandi caldaie. Accanto al fnoco, cbe rimaneva acceso tutta la notte, stavano a vi- gilare le scolte. Ma i soldati cominciarono* ben presto a stancarsi di qaella inoperosita e specialmente di quella prolnngata astinenza dalle bevande, la sete delle quali non potevano dimenticare o almeno ingannare con lavoro alcnno. II kossevoj raddoppio loro la misura, il che del resto si soleva fare sempre in tempo di guerra, pur che non si dovessero superare passi pericolosi, e compiere lavori difficili. I piu stanchi di qnella vita erano i giovani, specialmente i figli di Taras Bulba. Andrea non faceva che brontolare. — Testa balorda ! lo andava rimproveraudo il padre ; taci e sopporta, se sei cosacco. Pensa che dovrai diventare nn atamano. Non e guer- riero chi non sa pazientare, quando le circo stanze loesigono; bravo e colui che di nnlla si lamenta, ma sopporta le contrarieta in pace, e in ogni occasione continna a vivere secondo che gli suggerisce il senno. Ma uu giovine tutto ardor militare non andra mai d’ accordo con un vecchio tran- quillo, perche hanno un’indo!e assai diversa, ed ognuno vede a modo suo. In qnel frattempo erano sopragginnti in numero di piu che quattromila i soldati di Taras Bulba comandati da Tolkats, con due assaulli, uno scrivano, ed altri ufficiali addetti alla schiera. V’erano anche molti volontarii, andati con loro non appena ebbero sentore degli avvenimenti. trli assaulli avevano re- cato ai figli di Taras la benedizione del la vecchia madre e due imaginette di cipiessn provenienti dal convento Mesigorski di Kiev. - 69 — i d us fratelli, appendendosi al colio le im- tnagini, diventarono senza volerlo pensierosi: pensivano alla vecchia madre. — Ohe portava loro la sua benedizione ? Li aiuterebbe a vin- cere il neraico, a ritornare in patria lieti, carichi di bottino e di gloria, gloria che i bardi avrebbero perpetnata col canto? Op pure,..? Ma 1’avvenire e fosco, e si presenta alla raente come la nebbia d’ antunno che si »lza dalla palude. Gli augelletti svolazzano in essa in ogni verso, sbattendo tiinidaraente le ali, e non si accorgono Tuno deli’ altro; la colomba non vede lo sparviero, e questo non vede la colomba, Niuno sa quanto vicino gli stia la m o rte ! Ostap si distrasse ben presto colle sne fac- cende, e ritorno al suo kuren ; ma Andrea sentiva ; senza sapersene dar ragione, una in- solita angnstia nel cuore. I cosacchi avevano cenato. e si era gia fatto bnio intorno ad essi; una splendida ed incantevole nolte di Inglio aveva distese sull’ampio orizzonte le sne ali. Andrea pero non si era ritirato ancora nel suo kuren a riposare; senza avvedersene, si era immerso nella contemplazione della scena che gli si spiegava davanti agli occhi. fnnumerevoli stel le tremolavano alto nel flr- mamento ; il campo era accerchiato dai carri, dai quali pendevano le pentole cosacche unte e bisunte e piene del contenuto piu vario, fino di viveri tolti al nemico. Appresso i carri e sotto di essi e largamente intorno dormivano aggruppati i cosacchi; chi aveva jper guanciale un sacco, chi il semplice ber- — 70 — retto, chi, senza tanti complimenti, poggiava il capo sulle spalle del suo vicino Da una parte, colle gambe ripiegate, stavano a drap- pelli biancastri i buoi, e sembravano da lon- tano mucchi di grigi sassi sparsi per la pia- nura. L)a ogni parte si udiva il pesante respiro dei dormienti, e di tanto in tanto pel silenzio della notte giungeva ali’ orecchio il nitrito dei cavalli, che colle gambe anteriori legate andavano pascolando per la campagna. A qne- ste tranquille scene se ne aggiungevano altre grandiose insieme e trnci. Era il sinistro bagliore degi’ incendii, che finivano di consu- mare i villaggi vicini. Qui si levava al cielo maestosa e tranquilla una colonna di fiamme; la il fuoco, appiccandosi ad un qualche arido ammasso di eombustibile, slanciava improv- visamente alle stelle le rutilanti creste, e nugoli di scoppiettanti faville volavano a spegnersi alto in cielo. Altrove grave ed anstero, quasi certosino, sorgeva 1’annerito m aro di un qualche convento, e ad ogni guizzo di fiamma mostrava la sna fosca maesta. JDietro ad esso ardeva il frutteto del chiostro, e sembrava di udire da lungi il cigolio ed il crepitio degli alberi ravvolti nel fuoco e nel fumo ; di quando in quando la liamma ravvi- vata si slanciava in alto, ed allora le pere e le inele, di che erano carichi i rami, risplen- devano come oro sanguigno, e le prugne sorri- devano da lungi col loro fosforescente, vio- laceo colore, mentre scorgevasi pendere dai rami, raccapricciante spettacolo, il corpo an- nerito di qualche monaco o di qnalche ebreo,. — 71 — corpo, che, carbonizzandosi, precipitava in basso, e si scioglieva in cenere come tutto il resto. Nel vorticoso fumo sopra le fiamme svolazzavano storditi gli uccelli, simili a piccole e negre croci, sparse per nna cam- pagna di fnoco. La citta assediata sembrava sepolta nel sonno; sulle sue torri, sui tetti, sugli edifizii e sulle innra si rifletteva taci- tamente il sinistro bagliore dei lontani in- cendii. Andrea fece il giro del canipo cosacco. I fuochi, presso ai qnali stavano le sentinelle, andavano spegnendosi, ed alcune sentine le, ben pasciute di salamata (specie di mineštra, e di maccheroni) si erano addormentate. An- drea si meraviglio di tanta noncnranza. — Buon per noi — penso — che i neinici non sono terribili e che non c’ e quindi pericolo di una sorpresa! — Finalmente egli stesso avvicinossi ad un carro, e, salitovi sopra, si sdraio supino, mettendosi !e mani sotto il capo; ma, non potendo dormire, stette a lnngo a contemplare il cielo. L’aria notturna era pura e trasparente; una infinitd di stelle nnotava in un mare di lnce, e la via Iattea, che a guisa di fascia distendevasi pel cielo, risal - tava bellamente in mezzo ad esse. Andrea si a^sopi un momento, e una tenue nebbia gli velo il cielo; ma tosto lo rivide chiaro e sereno. Gli era sembrato improvvisamente che una faccia sconosciuta gli si fosse presen- tata alla vista. A primo aspetto la credette illnsione d’un sogno che svanisse; ma, ria- prendo gli occhi, scorse di fatto un viso — 72 — pallido ed abbattuto, cke stava cbinato verso di Ini, e gli fissava attentamente lo sguardo negli occhi. Lunghi e bruni capelli uscivano sciolti di sotto al negro velo, in eni la strana persona aveva ravvolto il capo. Lo sguardo meravigliosamente scintillante, il volto ferale, riarso, i lineamenti affilati facevano quasi credere essere que!lo un fantasma. Andrea, afferrata macchinalmente la pištola, turbato grido: — Cki sei? se spirito maligno, vattene ! Se sei un vivente, affe giungi in mal punto, perche ti spacco la testa ! Ma la strana persona, invece di rispon- dere, porto il dito alle labbra in atto di chie- dere silenzio. Il cosacco ripose la pištola, e si diede ad osservare un po’ meglio. Dalla lunga capigliatura, dal collo e da tutto 1’a- spetto riconobbe facilmente che quella era una donna. Ma era di stirpe straniera; aveva il volto consunto dagli stenti; le sue larghe mascelle risaltavano notevolmente, ed i suoi occhi erano molto infossati. Qnanto piu Andrea osservava qnel viso ; tanto meno gli pareva nuovo. Finalmente, non potendo piu frenare la curiosita, disse: — Rispondi, chi sei ? mi pare di averti veduta altre volte, •— Si, ci siamo veduti dueanni fa a Kiev. — Dne anni fa a Kiev! ripete Andrea. E andava richiamando alla memoria quel poco che ancora rammentavasi della vita di študente. Poi, fissando nuovamente in lei lo sguardo, esclamo: — 73 — — Ma si! tu sei la lartara, la serva di quelia signorina, flglia del dača. — Pst! fece la donna in atto di supplica; e, giungendo le mani, tutta tremante si volse in giro a guardare se mai il grido di Andrea avesse risvegliato qualcuiio. — Parla, parla! perche sei venuta qui ? chiese sotto voce e tutto affannato Andrea. II enore gli martellava in- petto, nž gli fu possibile frenare il suo turbamento, mentre incalzava colle domande cliiedendo dove fosse ■e che cosa facesse la signorina polacca. — Ella e in cifcta. — In citta! esclamo trasecolando il gio- vane. E poco manco che non gli sfuggisse un nuovo grido. Tutto il sangne gli ripiombo al cuore. — E perchž e in citta ? — Perche c’ 6 anche il vecchio signore, il quale ž da un anno e mezzo governatore della citta. — Che e di lei ? si e sposata? Su, parla, non temere ! come sta presentemente ? — Da dne giorni non mangia. — Come ? — Non c’ e anima viva in citta, che pos- segga un tozzo di pane. Ormai si vive di sola terra. Andrea resto di sasso. — La padroncina, stando sulle mara, ti ha visto e riconosciuto in inezzo ai tuoi. — Va, mi disse, parla al cavaliere, e digli che, se non m’ ha dimenticata, ci rechi soccorso in questa calamita; chiedigli un pezzo di pane — 74 — per la vecchia mamina, perche non posso ve- derla morir di farne. Freferisco morire prima io stessa. Scongiuralo; anch’ egli ha nna madre; pregalo in nome di lei che ci dia nn po’ di pane per la nostra. Molti e diversi sentimenti tnmultuarono- in cnore al giovane cosacco. — Ma come sei venuta qui ? — Per una via sotterranea. — C’ e dunque una via sotterranea ? — Si. — Dove ? — Guerriero, mi tradisci ? — No, te lo giuro per la santa croce! — Ebbene, discendi nel fossato, e passa il torrentello presso al canneto. — E il passaggio conduce proprio in citta ? — Si, fino al convento. — Ci andro, ci andro immediatamente. — Ma, in nome del cielo, un tozzo di pane ! — Si, te lo daro. Aspetta qui presso ai carro, o, meglio, nasconditi in esso perche nessuno ti veda; del resto dormono tntti. Vado e ritorno in nn lampo. Andrea volo ai carri, dove erano le vet- tovaglie del suo kuren. Il cuore gli palpitava con violenza. Tutto il passato, che il campo gli aveva falto dimenticare e la vita cosacca aveva soffocato, irruppe ad un tratto alla superficie, vincendo cio stesso che lo aveva cacciato in fondo. Di nuovo gli apparve, come uscita dali’ abisso del mare, la orgogliosa ra- 'gazza, di nuovo gli si presentarono alla mente^ gli occhi, le labbra sorridenti, i folti capelli — 75 - castagni, ondulati, tutto il bel volto, la me- moria del qnale non si era cancellata in lui, ma solamente eclissata per piu forti sentimenti. Voio; ma il cuore gli batteva con crescente veemenza al pensiero di rivederla, e le gi- nocchia gli tremavano. Giunto ai carri, non pote ricordarsi in nessun modo per qual ra- gione ci fosse venuto. Alzo la mano, e se la passava snlla fronte cercando di raccogliere i pensieri. Alla fine si riscosse, e si spavento ricordandosi che la fanciulla moriva di farne. Precipitossi sni primo carro, ed afferrb al- quanti pani grandi e bruni; ma tosto ritiette: — Questo pane, bnono per un cosacco, šara troppo grave e poco conveniente ad nna gen- tile signorina. Si ricordo che quel giorno il kossevoj aveva 1'improverato il cnciniere d’aver consumato, per un solo pasto, tanta farina di frumento quanta sarebbe stata snfflciente per tre Certo di trovare copiosi avanzi di salnmatn nelle pentole, afferrd il paiuolo del padre, e corse alla cucina. 11 cuoco dormiva fra dne grandis- sime caldaie, sotto le qnali stavano consu mandosi le ultirae bragie. Guardo dentro, ma, al vederle vuote tutte e dne, si spavento. Gli pareva impossibile che fosse stato divorato tutto, tanto pili che i cosacchi del sno kuren c ran o in minor nnmero che negli altri. Passo in rassegna le caldaie dei knreni vicini, ma non vi trovo nnlla; e rimase impensierito. 7- Questi caui zaporosiani, pensava, sono come i ragazzi; se lianno poco, mangiano poco; se hanno molto, per essi non e mai troppo. — 70 — Che fare ? In bnon punto si ricordo cbe sul carro del reggimento del padre doveva esservi ima bisaccia di pane bianco, tolto durante il saccheggio d’ un convento. Si reco al carro, ma non la trovo; vide pero che Ostap, sdraiato in terra ed intento a rnssare di santa ragione, se 1’ era preša per guanciale. Gliela strappo senza cerimonie, facendo battere in terra il capo del dormieute, il quale, svegliandosi a inezzo, si mise a gridare : — Dagli, dAgli al maledetto polacco! A ca- vallo, a cavallo! — Taci, o ti strozzo ! gli disse a denfi stretti Andrea, dandogli un colpo di bisaccia sul capo. Ma Ostap aveva gia Anito, e, coricatosi di nnovo, riprese a soffiare cosi forte contro l’erba, che col Aato la agitava. Andrea guardo inqnieto intorno, per vedere se il grido di Ostap avesse svegliato qualche cosacco. Solo una testa arruffata levossi nel kuren vicino, guardo in giro, e ricadde nuo- vamente al suolo. Egli aspetto ancora un mo- mento, poi andossene col suo carico. La tar- tara aspettava intanto sul carro, respirando a stento. — Andiamo! le disse Andrea. Tutti dormono, non temere. Vorrai portare un po’ di pane, se non potro portarlo tutto.io? Cosi dicendo, si gettd sulle spalle la bi j saccia; e, procedendo, preše da un carro un sacco di miglio, raccolse i pani che voleva dare alla tartara percbe li portasse, e, un po’ curvo per il grave carico, preše andace- — 77 — mente la via tra le file dei cosacchi sepolti nel sonno. — Andrea! ringhio il vecchio Bnlba quando il figlio gli fu vicino. Questi arrestossi come fulminato ; e tremando da capo a piedi,' disse : — Che vuoi ? — Tu hai teco una donna! Bada, che, se sorgo in piedi, ti do nna lezione che avrai a ricordartene per un pezzo. Le donne saranno la tua rovina! Bosi dicendo, appoggio il volto alla mano, e parve volesse osservare attentameni.e il capo velato della tartara. Andrea stava li ne vivo n6 rnorto, e non ardiva levare lo sguardo in viso al padre. Ma poi, avendolo finalmente gnardato, vide che il vecchio avea ripreso sonno in quella positnra. Allora la panra lo lascio piu presto che non fosse venuta. Si volse addietro per ve- dere della donna, e la vide appresso come fosco fantasma. Era tntta ra v volta nel suo velo, ed un riflesso quasi di lontano fuoco lampeggiava nei suoi occhi, torbidi come quelli di una morta. La afferro per la manica, ed ambedue si affrettarono ad andar oltre, non senza rivolgersi spesso addietro fiuehč non entrarono in una strada carreggiabile, af- fondata nel terreno circostante, e da qucsta in una piccola vallicella. Ivi scorreva un lento torrentello, mezzo nascosto fra le canne e le erbacce pahistri. Il terreno ali’ intorno era tutto sinosso e sollevato dalle talpe. A questo pnnto erano ormai tanto sotto il li- — 78 — veilo del piano, da non poter piu scorgere la superficie, sulla quale si distendeva 1’accam- pauaento cosacco. Volgendosi addietro un’ ul- tima volta, Andrea non vide piu cbe nna rupe, a forma di muro, poco piu alta di un uotuo, alla cui sommita tremolavano sterpi ed arboscelli Silvestri, ed al di sopra di es-i si alzava rosso dorata la luna ricurva a forma di falce. La brezza, cbe spirava dalle steppe presagiva prossima 1’ alba; ma il canto del gallo non udivasi da nessuna parte, percbe ne in citta ne nei dintorni si trovavano piti galli. Attraversando il torrente su una larga trave, passarono alla parte opposta, cbe era piu ripida. e piu alta. Quel luogo sembrava il piu sicuro ed il piu favorevole per le costruzioni della citta, quantunque la cinta vi fosse bassa e indifesa. In lontananza si scorgevano le solide mura del convento. La ripida pendice era coperta di ranno e di aspe- rella, e nel piccolo spazio paludoso fra essa ed il torrente crescevano alte piu d’ un uomo le canne. Alla sommita, sul margine vedevasi una siepe in rovina, che chiudeva una specie di orto. Davanti cresceva il farfaro, e dietro la siepe sorgevano 1’atrepice, il girasole ed altre piante simili. La tartara si tolse i cal- zari, e procedette innanzi a piedi scalzi, per- che il terreno era paludoso e saturo d’acqua. Usciti cbe furono dal canneto, trovarono dei cespugli, fra i quali aprendosi il passo scor- sero finalmente un ingresso a guisa deli’ im- boccatura di un forno. La tartara, chinatasi entro, ed Andrea, abbassandosi per quanto gli — 79 — era possibile, la segui col carico, e ben presto ambedue rimasero avvolti nelle piu fltte te- nabre. VI. Andrea colle sue provvigioni si trascinava a fatica dietro alla tartara per quell’ oscui'o ed angusto sotterraneo. — Presto avremo en po’ di chiaro disse la donna, ci avviciniamo al punto, dove ho lasciato la mia lucerna. Ed infatti le pareti cominciavano a rischia rirsi debolmente. Essi giunsero ad un luogo en po' pie spazioso, il quale ave.va 1’aspetto di nna cappella, giacchž v’ era appoggiata al nmro ena mensula a guisa di altarino, sopra la quale vadevasi un’immagine della Madonna assai sbiadita e corrosa. Una lampada d’ ar- gento mandava su di essa una pallida luce. La tartara preše da terni, ed accese la sua lanterna di ottone, dal piedestallo alto, for- nita di catenelle, da cui pendevano lo spo gnitoio e le smoccolatoie. Un cliiarore piu vivo si diffuse intorno. II volto sano, robusto e bello del giovane soldato contrastava fort«*- mente con quello stecchito e pallido della tartara. II sotterraneo continuava nn po’ piu spazioso, e Andrea potž procedere con maggior comodita, osservando curiosamente le pareti da ambo i lati. Anche la, corae nei sotterranei di Kiev, vi erano nicchie con una specie di sarcofaghi, contenenti ossa in parte consumate e polverizzate. Tutto faceva conchiudere che quello fosse stato un rifugio di nomini pii ? che fuggivano il rumore mondano, i suoi dolori ed i suoi inganni. A tratti il sotter- raneo era molto umido e malsano, ed Andrea senti piii volte l'acqna ai piedi. Doveva sof- fermarsi sovente per dare agio alla tartara, stanca ed estenuata, di ripigliar fiato. Un tozzo di pane, che aveva inghiottito, le cagio- nava dolori forti allo stomaco, non piu assue- fatto al cibo, e la faceva rimanere ferma al medesimo pošto per piii minuti. Finalmente giunsero ad una piccola porta di ferro. — Grazie al cielo, ci siamo ! disse con voce iioca la tartara. E volle alzar la mano per bussare; ma non ebbe la forza di farlo. Andrea picchio in sua vece cosi forte, da prodnrre un rumore tale, che, rimbombando cupamente, faceva supporre dietro la porta uno spazio molto piu ampio. Il rumore propagavasi a ondate, e tornava ripercosso come da una volta. Dopo qualche minuto scricchiolo una serratura, e i due udi- rono qualcnno scendere per una scaletta. Alla fine si apri la piccola porta, e sulla scala ap- parve un frate, che colla chiave e colla lucerna in mano li saluto. Andrea spaventossi ajlo scorgere un religioso cattolico. La vista di sif- fatti monaci non era certo la piii gradita per un cosacco; anzi i zaporosiani incrudelivanu contro di essi ben piu che non contro gli ebrei. Anche il frate dib addietro spaveniau- dosi al riconoscere nn zaporosiano, ma una parola mormoratagli dalla tartara lo rassicuro - 8i — subito. Li precedette col luine, e, ricbiudendo la porticina, li condusse su per la scala. Ad un tratto furono sotto le alte e buie arcale della cbiesa del convento. Davanti ad nn altare laterale, tutto messo a torcie e a candele, stava ginocchioni un sa- cerdote immerso nella preghiera. Lo assiste- vano ai iianchi quattro giovani preti in vesti nere, con candide cotte, agitando ciascuno un turibolo. Pregavano chiedendo al cielo sin- golarissime grazie: cioe cbe Iddio liberasse la citta, che rianimasse gli spiriti abbattuti, e ne sostenesse la costanza, e che essi po- tessero respingere il nemico, il quale combat- te a la patria, moltiplicando le sue sciagure,. il terrore ed il pianto. Alcune donne, quasi tanti spettri, stavano inginocchiate col capo chino, o meglio abbandonato senza sentimeni .0 sulle oscure panche di legno o sui gradini di pietra; alcuni uomini pensierosi e tristi eiano essi pure in ginocckio, appoggiati ai piIoni che sostenevano le volte laterali. In alto un finestrone, dai vetri colorati ; rutilava ai primi albori, e la lnce si diffondeva cilestrina, gialla e sanguigna dentro alPoscuritA dri tempio. Ad un tratto si illumino tutto 1’ al¬ tare, e 1’incenso alzossi a grandi globi, come nuvola irradiata dali’ iride. Men tre Andrea andava stupefatto osservando dal suo cantuccio oscuro quello spettacolo, l’or ga no riempi dei suoi maestosi accordi il temino. Quei suoni facevansi sempre piu forti, si dif- foudevano, erompevano in poderoso ripieno; ma, acquietandosi di subito, lasciavano udire Taras Bulba - 82 — una celeste melodia, risnonando sotto la mae- stosa volta soavemente, come un delicato coro di voci giovanili; da nltimo scoppiavano di nuovo in fragorosi rimboral)i e tuoni, termi- nando in grave cadenza, e 1’ eco sola ancora ripeteva sotto le volte le ultime note, mentre Andrea rimaneva la a bocca aperta, rapito d,tila maesta di quella snonata. Ma a qnesto pnnto si senti afferrare per la veste. — Affrettiamoci! bisbiglio la tartana. E cosi passarono inosservati attraverso il tempio, e riuscirono in una piazza. L’aurora rosseggiava sempre piu viva in oriente, e tutto avvertiva prossima la levata del sole. La piazza, che si stendeva in forma qnadrata davanti al tempio, era deserta; panche e tavole di legno, abbandonate qua e cola in mezzo, attestavano che nei giorni passati li si vendeva 1’ occorrente pel vitto quotidiano. 11 suolo, che in quei tempi di solito non si lastricava, era tutto fangoso. Attorno la piazza stavano disposte čase di pietra di mediocre grandezza, ad un piano, intonacate d’ argilla. Nei muri si vedevano in- astrate dalFalto al basso travi e tavole, collegate tra loro con altre travi trasversali, come si soleva fare a quel tempo, e come tuttora si vede in qualche vecchia citta polacca o lituana. Tutte qnelle čase poi avevano tetti grandissimi, abbon- dantemente popolati di abbaini e di camini. Da un canto, piu presso alla chiesa, stava un ediflcio piu alto degli altri, evidentemente il palazzo di citta, ovvero qualche altro uflScio. — 83 - Era a due piani, e sul tetto aveva un terrazzo, dove stava di guardia una sentinella e dove c’ era anche 1’ orologio pubblico. Tutto sembrava morto nella piazza; ma pure Andrea udi un debole gemito, e, volgendosi colA donde era ven uto, scorse due o tre per- sone immobili in terra. Guardo con attenzione per vedere se dormissero, o fossero uiorte, uia nel procedere avanti inciampo in un corpo. Era il cadavere di una donna, molto probabilmente ebrea, ancora giovane, benchd avesse le guancie srnunte Una pezzuola di seta rossa le avvolgeva il capo. Due o tre ciocche di cappelli le scendevano pel collo contratto, intorno al quale portava tuttora una doppia collana di perle e di coralli. Ac- canto a lei giaceva una creaturina, che, affer- rato il seno della madre, glielo' stringeva rabbiosamente colle piccole manine, quasi per spremere quel latte, che non poteva darle. 11 povero bambino non poteva piu nd strillare, ne piangere; solo dal lieve respiro si cono- sceva che non era morto, per6 si capiva che sarebbe spirato subito. Infilando una via s’ imbatterono in un uorao, il quale, appena ebbe visto il prezioso carico d’ Andrea, gli si precipitd addosso coine una tigre, gridando : ‘ Pane, panel’ Ma essendo esausto di forze, una leggera spinta del co- sacco lo mando ruzzoloni nel fango. Impie- tosito il giovane soldato a tanta farne, gli lancio una pagnotta, sulla quale quello scia- gurato gettossi a precipizio, e le die di morso coine un cane rabbioso: ma, non avendo — 84 — avnto da piu giorni cibd di sorta in bocca, sovraccaricato lo stomaco indebolito, spiro in breve fra atroci torture, e riinase disteso in inezzo alla via. Procedendo oltre, s’imbattevano ad ogni passo nei morti per 1’ orribile farne. Sem- brava che quei miserabili non avessero potuto soflrirne gli orrori in časa, e che percio molti fossero usciti per le strade, quasi nella spe- ranza di trovare un qnalche 'ristoro ali’ aria aperta. Davanti la poria di una časa stava rannicchiiita nna vecchia, iua non si poteva beu capire se dormisse o se piuttosto fosse morta. Dal tetto sporgente di una časa pen- zolava il cadavere gia sformato di nn notno. II tnisero non aveva avuto il coraggio di sopportare fino ali’ ultimo la farne, ma per aifrettare la morte si era impiccato. A quelle orribili scene delta fante, Andrea non pote fare a meno di chiedere alla- tar- tara: — E non ci fu proprio nulla con che pro- lungare la vita? Quando il bisogno urge, 1’ uotno drve adattarsi anche a cio che gli fa schifo; in caso di bisogno si puo man- giare anche cio che la legge non permette. — Ma se hanno gia divorato tutto! Se hanno mangiati tutti gli animali, contpresi i cavalli ed i cani! Eh, si! non troveresti un sorcio in tutta la citta. Ilisogna notare che la citta non ebbe mai grandi depositi di conunesti- bili; ogni provvisione veniva importata volta per volta dai villaggi. — Ebbene, credete voi ancora di salvam 85 — la cittA, dopo che siete sal pnnto dimorire d’ una morte cosi dolorosa ? — Forse la salveremo. II dača sarebbe disposto a capitolare, ma ieri il capitano di Bnsana ci spedi un avoltoio con uaa lettera, nella quale ci esortava a non cedere, perchA egli stesso sarebbe venuto in soccorso col sno reggimento non appena fosse giunto da lui un altro comandante, pronto anch'esso a re- care aiuto alla citta. Ed ora stiamo aspet- tandoli di momento in momento. Ma vedi qua, ci siarno! Andrea aveva osservato gia da lungi quel- 1’ edificio a dne piani, che risaltava fra gli altri, ed era fabbricato di leggeri raattoni in stile italiano. Le. finestre del priino piano erano fregiate a festoni e a corone di stucco ; il secondo piano poi era fonnato ad archi di mediocre grandezza, che gli davano 1’aspetto d' una loggia. Fra arco ed areo si vedevano scudi con steuimi, e di sterami erano ornati anche gli angoli del palazzo. Una larga gra- dinata esterna di mattoni rossi metteva giu fino in piazza. A pie di essa stavano sedate ■dne guardie, che con una mano teuevano 1 a- labarda, con 1’altra sorreggevanst il capo; e cosi atteggiate rassomigliavano piu adue statue che a due persone vi ve. Non donnivano e nem- meno sonnecchiavano, ma pure nnlla vedevano e nulla udivano, ne si accorsero che qualcuno šaliva per la gradinata. In capo a questa i nostri due amici trovarono un guerriero ricca- mente vestito ed armato da capo a piedi, il >quale teneva in mano un libro di preghiere. - 86 — Qnesti tisso su di essi tanto d’ occlii, ma ad una parola della tartara chinolli di nuovo sni libro. Entrarono in una stanza abbastanza spaziosa, cbe serviva di anticamera. Era piena di soldati, paggi, scrivani, coppieri e di altra gente indispensabile alla corte di nn nobile polacco. Ciascuno era assiso, alcuni stavano senz’altro sdraiati lungo le pareti. Si sentiva il puzzo di un doppiore testb spento; altri due ardevano ancora sn dne grandi cande- labri in mezzo alla stanza, quantunque la lnce del mattino piovesse gia abbondante da nna gran.de flnestra mnnita di inferriata. Audrea si accingeva ad aprire una larga porta di quercia, adorna d’ uno stemma e di altri intagli, ma la donna, traendolo per la tnanica, gli indico un’ altra piccola porta in una parete di lianco. Per essa entrarono in un corridoio, e dal corridoio in una camera, cbe il cosacco si mise ad osservare con cu- riosita. La luce vi giungeva da una flnestra. Gli ferirono 1’occhio le ricche cortine, la volta a stucchi e a decorazioni d’ oro ed un ritratto appeso ad una parete. La tartara gli disse di attendere, essa poi aperse un’ altra porta, da cui usci un largo fascio di luce, e vi entrd. Andrea udi nn bisbiglio, e distinse una voce sormnessa, che tutto lo commosse. Al riaprirsi della porta, vide ld dentro una giovane donna, da 1 la chioma disciolta e cascante sul braccio, che teneva alzato. La tartara venne, e gli fe’ renuo di segnirla, ed egli obbedi, ma nel tnrbamento non si accorse come fosse en- trato, ne come fosse stata rinchiusa la porta. — 87 - Nella stan za ardevano due caudele, e di¬ mi nzi ad una imagine delia Madonna fiam- meggiava una lampada; sotto 1'imagine v’era un alto inginocchiatoio, foggiato alla maniera cattolica, con un predel lino al basso, per potervisi inginocchiare con comodita. Ma lo sguardo di Andrea non si c tirava deli’ ingi nocchiatoio. Esso era diretto ad un’altra parte, e s’ era posato suita giovinetta, che se ne stava immobile, smarrita, e in preda ad una viva commozione. Sembrava che avesse vo- 1 uto slanciarsi verso il giovane liberatore, ma invece rimase la conie di sasso. Anche il co sacco le si fermo di fronte immobile. Non si sarebbe mai imaginatodi vederla tale, essa non era piu la fanciulla di qualche tempo addietro; non le rassomigliava per nulla, ma era assai piu bella ed attraente che non allora. Per il passato 1’aveva riconosciuta per unasigno- rina altiera e quasi infafitile; ma ora gli pa¬ re va una vera bellezza. [ snoi magnilici occhi manifestavano un’ anima suscettiva di uobili sentimenti, e, pur molli di lagrime, scorge vasi in essi quella meravigliosa lnce, che, a cosi dire incanta. Ella aveva tutti i requisiti del bello; i suoi capelli, sciolti e graziosa- mente spioventi sulla fronte, formavano ora una ricca, lussureggiante cbioma, di cui una parte era raccolta in morbida treccia, 1’altra le ricadeva sni braccio in tutta la sua lnn- ghezza, ondeggiando con eleganza in leggeri e molteplici anelli. Di fronte a quel mutamento Andrea si sfor- zava indarno di scoprire in lei una qnalclie 88 — traccia del volto infanti !e, che gli era ri- masto impresso nella mente. II pallore stra- ordinario della giovinetta nulla toglieva aila sna avvenenza, anzi la aumentava. Egli sen- tiva come un ossequioso timore, e continuava a stare alla sna presenza oruiai senza alcnn turbamento. La donzella alla sua volta sem- brava incantata alla vista di nn cosacco in tntta la sua flera bellezza ed in tutto il sno v'gore giovanile. L’ occhio di lui lampeggiava sereno e tranquillo, le sue sottili sopracciglia, leggermente arcuate, sorridevano baldanzose, le rosee' guancie erano tinte dal color vivo della salute, e la sna barba avea i riflessi della seta. — lo non ho parole bastanti per ringra- ziarti degnaniente, magnanimo gnerriero! disse ella con voce argentina; solo il delo pno rimunerarti, e non io debole donzella. E chino gli occhi, che le si nascosero sotto le ciglia; chino anche il bel volto, ed nn innocente rossore imporporo le sue guancie. Andrea non seppe rispondere alle sue pa¬ role; avrebbe ben voluto manifestarle il suo cuore, avrebbe voluto dirle cio che sentiva nelL anima, ma non gli venne fatto. Senti che un non so che gli aveva chiuso la bocca, ne trovava fraši atte ad esporre i suoi sen¬ timenti. Educato in collegio, e poscia avvezzo alla vita nomade e soldatesca, era persuaso di non saper rispondere a tali parole, e si stiz- ziva colla sua indole cosacca. In quel mentrc entro la tartara, che aveva gia tagliuzzato del pane recato dal cosacco, - 89 — ed ora ne portava delle fettine su nn piatto d’oro. e le deponeva presso alla sna signora. La giovinetta guardo la serva, guardo il pane, e gnardo Andrea, e quegli sguardi dissero tntto. Quegli sguardi dicevano non potere essa manifestar a parole* cio che sentiva nell’ a- nima, quegli sguardi erano per Andrea pid eloqnenti di tutte le frasi possibili. 11 coraggio gli si risveglio ad un tratto, e tutto il suo avvilimento disparve come per incanto. La conimozione ed i sentimenti del suo animo, fino allora repressi, eruppero, e giA stavano per sgorgare con un rapido finme di parole; ma in quel mentre la giovinetta, rivolgendosi di nuovo alla tartara, le domando con affet- tuosa sollecitudine: — E la mamma? Le hai recato del pane? — Ella dorme. — Ed al babbo? — Grliene ho recato. Mi disse che verra snbito a ringraziare personalmente il soldato. Allora la signorina preše un pezzetto di pane, e se lo porto alla bocca. Non si puo dire con quanta ansieta la stesse osservando An¬ drea, mentre essa colle dita gentili andava sminuzzando il pane, e lo mangiava. Ma ad un tratto si ricordo deli’ uomo furioso per la farne, rhe aveva veduto poc’ anzi morire pel soverchio pane trangugiato. A quel ricordo impallidi, e, afferrando la mano della giovi¬ netta, grido : — Basta! non mangiarne di piu, perchA dopo un digiuno cosi lungo il pane ti darebbe la morte! — 90 — Ed essa subito abbasso la mano, depose il pane, e flsso gli occhi in viso al giovane come obbediente barabina. Nessuno scalpello, nessun pennello, nessuna parola, per quanto studiata, potrebbe sufficientemente ritrarre il sentimento che Andrea ebbe nel conteraplare gli occhi deli’ araabile giovinetta. — Regina mia! esclamo, pronto con tutto il cuore ad accingersi per lei a qualunqne irapresa. Di che abbisogni? che desideri? Parla, comanda! comandami 1’ opera pili difficile che si possa dare, ed io ti obbediro. Comandami di fare cio che 6 impossibile ad ogni altro uomo, ed io faro cio che vuoi. Io mi strug- gero, morrb, morro! e attesto che la morte mi sarh dolce per te, cosi dolce che non e possibile dirti quanto! Posseggo tre hutori O, la meta dei tabum 1 2 ) di mio padre b mia; tutto cio che mia madre ha portato di dote in časa di mio padre, e tutto cio che ancora gli nasconde e tutto mio. Nessun cosacco pos- siede armi eguali alle mie; per la sola elsa d’ una mia sciabola mi offrono un grande tabun e tremila pecore. Ma io rinnnzio a tutto, abbandono tutto, getto via tutto, in- cenerisco ed affondo tutto ad una sola tua parola, o a un solo cenno delle tne nere e gentili ciglia. Ma io forse parlo come uno sciocco, forse dico cio che non conviene. Ho passata la giovinezza in collegio e nel Za- porosie, e non ho imparato come si debba 1) tenute. 2 ) mandrie di cavalli. — 91 — trattare nei paesi dei re, dei principi e delle persone che sono ragguardevoli per le nobili manjere fra i cavalieri. Noi siaino ben di- versi da tutti questi personaggi privilegiati; ed a te specialmente so che rimangono molto addietro le pili nobili spose e figlie dei boiari d. Ton sempre maggior stnpore e con intensa attenzione la signorina stava ascoltando in silenzio queste franche e sincere parole, nelle quali si rifletteva, come in uno specchio, il generoso ed eroico animo del giovane. Ogni « frase, ogni suono che prorompeva dal cuore, era, nella sua semplirita, improntato alla pid vigorosa eloqnenza. La fanciulla meravigliata volse il sno bel viso verso il soldato, riso- spin.se indietro i capelli, e cosi stette rimi- randolo a lungo. Voleva parlare, ma si trat- tenne: penso che le sorti del giovane erano ormai deterniinate; che il padre, il fratello e la Siets sarebbero stati pronti alla vendetta; che i zaporosiani, assediatori, erano gente ter- ribi le, la quale avrebbe inesorabilmente ster- m in ato la citta con tutto cio che ancora vi rimaneva di vivo; e a qnesti pensieri gli occhi le si riempirono di lagrime. Afferrd una pezzuola di seta, e si copri il viso, ina la pezznola rimase ben presto inzuppata di la- grime. Sedette, e rimase cosi per un pezzo, stringendosi per 1’angoscia coi candidi denti il labbro inferiore, e continuando a tenersi coperto il viso per non lasciar scorgere al gio ane la sua disperazione. 1) nobili russi. — 92 — — Non devi dirmi ch ■ ima sola parola! insistette Andrea, prendendole gentilmente la bianca mano, che rimase abbandonata nella sna. Pero la giovinetta continuava a tacere im- mobile e col viso coperto. — Ma perche ti affanni tanto ? perche ti addolori-a quel modo? Finalmente essa si scopri il volto, e ritrasse colle parole i suoi dolorosi sentimenti. Par- lava sommessamente, come 1’ anra, qnando alla sera, volando lieve liingo le rive del flume, bisbiglia, e geme con indeflnibile tri- stezza trascorrendo fra le folte canne; ed il viandante intanto si arresta stupefatto e timo- roso ad ascoltare 1’ arcano lamento, ne vede il crepuscolo che mnore, ne ode la giuliva canzone delle miet.itrici rednci dal campo, ne si accorge del carro che stride e rumoreggia in lontananza. — Non sono forse degna di eterna compas- sione? non e infelice la madre che mi ha messo al mondo ? Aspra e crudele e la mia sorte. Quanti, che aspiravano alla mia mano, non vidi ai miei piedi? I nobili piti valorosi, i pili ricchi magnati, conti e baroni straaieri, non meno che il flore dei nostri campioni, tutti eran disposti ad amarmi, ed il mio amore sarebbe stato per ciascnno di essi un vanto. Bastava che io avessi fatto un ceuno, e mi avrebbe prešo con entusiasmo per sua sposa il piu amabile, il piii bello dei preten¬ denti, il piii raggnardevole pel sangue, non meno che per Faspetto. Ma la sorte non ha destinato ad alcuno di essi il mio cuore; lo — 93 - ha riservato per donarlo ad uno straniero, e per colmo di sventura ad un nostro nemico. I miei giorni trascorsero sen/a affanni, nel- 1’ ahbondanza di tntto; il cibo piu squisito il vino piu prelibato, era il mio sostentamento. E perche tutto qnesto ? Forse perche ora abbia ad assaporare meglio tntta la barbarie di una morte, quale non d riserbata neppure al piu miserabile suddito del regno? Ancora un poco, e poi tale sad la mia fine; un poco ancora, e poi, prima di morire io stessa, sar6 costretta a guardare come barbaramente torturati ren- deranno 1’anima il padre e la madre mia, pei qua!i volentieri darei la vita. E, come cio non bastisse, ecco che devo udire alla vigilia del la morte! ecco che mi si parla di un amore, che linora non conobbi! Anche tu adunque, nostro benefattore, vuoi lacerarmi il cuore col h; tue parole ed accrescere la mia infeli- cid ?.vuoi farmi piangere vie piu i miei poveri giorni, farmi sentire vie piu cruda la morte ed aggravare i miei dolorosi lamenti coli’ obbligarmi a dolermi di te, o generoso cav liero ? Oh! il cielo conceda perdono alle mie colpe! Gosi dicendo, un sentimento di indicibile rammarico si diffuse sul volto di lei. Tutto npinifestava in essa un profondo dolore; il capo cadente, lo sgnardo basso, le gote iufo- cate e suffuse di lagrime seinbrava che dices- sero: ‘No! su questo volto non c’e felicitii!’ — Ah, non e vero, la interruppe Andrea, non puo essere che la sorte del la piu bella e virtuosa fanciulla sia cosi triste, mentre essa — 94 — e tale che parrebbe dovesse inchinarsele come a regina cio che vi ha di migliore su qnesta terra. Tu non de vi morire, e non morrai, te lo attesto per la mia nazione e per tutto cio che ho di piu caro; tu non devi morire! Ma, se pure cio dovesse accadere, se non ci po- tesse essere modo alcuno di liberarti ne colle preghiere, nts col valore, allora morremo en- trainbi; ma il primo a morire šaro io. Morrb ai tuoi piedi, morro al tuo cospetto, ne po- tranno altrimenti allontanarmi da te, se non morto. — Non cerchiamo di illuderci, valoroso guer- riero, riprese a dire la giovinetta, che intunio aveva rialzato il capo; lo so, lo so, per mia sventura, che non ti b permesso di amarmi; conosco le esigenze della tua condizione; pensa che vi sono tuo padre, i tuoi comtnili- toni, la tua patria tutta, che noi siamo nemici! — Che padre, che commilitoni, che patria. Che m’importa di tutto questo? grido An 1 real alzando fieramente il capo. Se e cosi, sappi dunque che non ho pid anima viva, non ho piii nessuno, nessuno! E ripeteva cio con tal' voce, con tale ge- st : re di mani, come solo sa fare nn ferreo e risoluto cosacco, quando vuol far sapere di essersi accinto ad una impresa straordinaria ed impossibile p a r qualnnque altro. — Chi te 1’ ha detto, che 1’ Ukraina h la mia patria ? Chi pretende che io la riconosca per tale? Per patria io intendo cio, a cui piu anela 1’ anima, cio che essa ha di piu caro al mondo. Per me la patria sei tu! La mia patria — 95 — sei ta, ed io portero questa patria nel cuore finchii vivro, e vorrei conoscere un cosacco, che si credesse da tanto da strapparmela dal cuore! Tutto io vendo, tutto rigetto, tutto distruggo per uua tale patria. La giovinetta a tali parole rimase per qual- che momento immobile come statua; infine, alzandogli lo sguardo in viso, scoppid in pianto, e, con un irresistibile impeto femmi- nile, gli si getto al collo, lo abbraccio col le sue nivee mani, e pianse. In quel mentre si udi nella via un inso- lito schiamazzo, accompagnato dallo squillo delle trombe e dal rumor dei tamburi. Ma il cosacco non se ne accorse; sentiva. ^solo le lagrime, di lei che gli correvano a torreuti pel viso, ed i suoi odorosi capelli che lo av- volgevano come in un leggero e diafano velo. Improvvisamente entro la tartara, e, quasi pazza per la gioia, esclamo: — Siamo liberi, siamo liberi! I nostri sono entrati in citta, hanno introdotto pano, frumento, farina e molti prigionieri zapo rosiani. Ma nessnno dei due capi cio che essa di- cesse. 11 cosacco h perduto! perduto per gli eroi cosacchi! Egli non rivedra piu il Zaporosie, ne gli stabili paterui; ne piu l’Ukraina vedra il suo figliuolo, uno del bel numero dei suoi fedeli campioni e difensori. Il vecchio Taras si strappera i capelli dal suo ciuffo, e maledira il giorno e 1’ ora, in cui gli č nato per sna vergogna un tale figliuolo ! — 96 — Vil. Nel campo cosacco regnava il frastuono e la confusione. Da prima non si sapeva come fossero penetrati in cittA i polacchi; roa poi venne in chiaro che tutto il kuren Pereja- slavski, accampato dinanzi ad una delle porte. ininori della citta, si era ubbriacato affatto ’ non era quindi meraviglia se in quello stat 0 fosse stata tagliata a pezzi nna metd e 1’altr® fatta prigioniera prima che qnalchednno si fosse accorto di quanto succedeva. I kureni piu • vicini, riscossi dallo strepito, non ave- vano ben afferrate le arrai, che i polacchi si erano gia quasi tntti ritirati entro le porte., le ultime loro tile respingendo con tntta tacilita i zaporosiani, male ordinati e tuttora storditi dal sonno e dallo stupore. Il kossevoj fece suonare tosto a raccolta, e, come tntti si furono schierati in silenzio, egli, levandosi il berretto, incomincib a dire: — Ora vedete, signori fratelli, ci6 che ci e capitato questa notte; ecco gli effetti della nbbriachezza ! Avete veduto, come il nemico si 6 prešo ginoco di noi ? Pare impossibile! Vi si concede un aumento di misura, e voi abnsate, e vi rieinpite come tanti otri, di modo che il nemico di Cristo puo starnntarvi in viso prima che ve ne accorgiate! I cosacchi ascoltavano a capo chino; il solo Knknbenko, atamano del kuren Nezamajkovski, oso parlare. — 97 — — Aspetta, batko! disse. Quantunque gli statuti uod permettano di alzare la voce qnando il kossevoj parla all’adunanza, e non si abbia ancora nessun esempio di interruzione, pure čredo conveniente di parlare e di dirti che i rimbrotti, che ci hai fatto, sono giusti. Anzi io stimerei i colpevoli degni di morte, se si fossero ubbriacati durante un viaggio, o in battaglia, oppure in una qualche difficile impresa. Ma conviene riflettere che noi era- vamo senza alcuna occupazione, immersi nel- 1’ozio al cospetto del nemico. Si peccb d’in- temperanza, e vero ; non ci fu modo e misurn. Ma come d possibile che 1’nomo non trasmodi nelEozio ? Vedi dunqne che, in fin dei conti, la nostra colpa non b tanto grande. E poi siamo pronti, e vogliamo far capire subito a quei diavoli che cosa voglia dire piombare a tradimento su uomini innocenti. Finora li abbiamo combattuti con buon successo si, ma anche con moderazione; ora poi vogliamo. combatterli cosi che non arrivino in cinque a mettere in salvo la pelle. Le parole deli’ atamano piacquero ai co- sacchi. Alzarono rianimati il capo, e si sus- surravano l’un 1’ altro : — Kukubenko ha parlato ottimamente! E Taras Bulba, che stava vicino al kossevoj, gli disse: — Ed il kossevoj che ne pensa? Kukubenko ha detto il vero e tu hai alcun che da ridire? — Che vnoi che dica ? Fortunato il padre, che ha un tal figliuolo! Non ci vuole gran šale in zucca per dire delle parole di rim- Taras Bulba 7 - 98 — provero; ma la vera saggezza la possiede čolni, il qnale dice parole che non avviliscano il disgraziato, ma fortifichino e stimolino il suo animo, come lo sprone il cavallo ben pa- seinto ed abbeverato. Io pure voleva soggiun- gere qnalche parola per vostro conforto; ma Knkubenko mi ba prevenuto. — Anche il kossevoj ha parlato benissimo, osservarono dalle lile alcnni cosacchi. — Qneste sono parole ragionevoli, confer- marono altri. Fino i piu attempati zaporosiani, che stavano al loro pošto come aquile canute, approvarono col capo, e ripetevano: — Si, bnone sono queste parole. — Ora ascoltate di nuovo, signori! continno il kossevoj. hobbiamo rianimarci. Daremo 1’ assalto alle trincee, e le rovineremo scavan done le fondamenta, come fanno i disertori tedeschi, sebbene, a dire la verita, cio non sba molto glorioso, non sia da cosacchi. Se .giudichiamo dal fatto, il nemico non ha in- trodotte in citta molte provvigioni; carri ne aveva pochi. I cittadini sono affaraati, e con- sumeranno in breve tutlo. e presto manchera il foraggio anche ai cavulli. Q :esta h la mia opinione; purchš non venga loro in ainto ■qnalcuno dei loro santi; questo lo sa Iddio; i loro preti, bisogna dirlo, sanno pregare come si conviene. Comunque sia, certo tenteranno un’ uscita. Voi pertanto dividetevi in tre co- lonne, e disponetevi snlle vie corrispondenti alle tre porte ; davanti alla principale si schierino cinqne knreni, davanti a ciascuna delle altre ne basteranno tre. I knreni Diadikovski e — 99 — Korsunski sulle trincee! Taras col suo reggi- mento sulle trincee! I kureni Titarevski e Ti- mosevki sulle trincee a destra, i kureni Scer- binovski e Steblikovski superiore sulle trincee a sinistra ! I giovani, che nieglio sanno isti- gare i nemici, si mettano nelle prime file. II polacco e facilmente irascibile; non sopporta le ingiurie. Puo darsi che, provocati, tentino una sortita oggi stesso. Voi, signori atamani, passate in rassegna i vostri kureni; redinte- grate i deficienti con gli avanzi del Pereja- slavski. Rivedeteli tutti. Ogni cosacco abbia per rinforzo una fiaschetta d’acquavite ed una pagnotta. Questo per stare alle norme, benchš ue abbiate di avanzo fino da ieri. A dire il vero, avete divorato tanta roba, che i un prodigio, se nessuno & scoppiato durante la motte. Ho un altro comando: se mai un ebreo qualunque osera vendere una sola goccia di acquavite ai cosacchi, strappero al malcapi- tato cane uno dei suoi maialeschi orecchi, e glielo inchiodero sulla fronte, e poi appic- cbero liri stesso. Ali’ opera dunque, fratelli ! ali’ opera! Tali furono gli ordini del kossevoj. Tutti gli s’ inehinarono profondamente, e a capo scoperto avviaronsi ai carri ed ai cavalli, e, solamente quando furono a conveniente di- stanza si rimisero i berretti in capo. Tutti si diedero agli apparecchi: provarono le spade e le pištole, si rifornirono di polvere, unsero, e misero in pronto i carri, e scelsero i cavalli. Taras nell’ abbandonare 1’ adunanza si stil- lava il cervello, pensando dove mai si fosse — 100 - cacciato Andrea, ma n on riusciva a imagi- narselo. Che i polacchi 1’abbiano sorpreso con gli altri, e fatto prigioniero mentre dormiva? Impossibile! Andrea non si sarebbe lasciato prendere vivo. D’altra parte fra i morti non c’ era. Taras intanto camminava, immerso nei pensieri, alla testa del suo reggimento, e non ndi che qualcuno lo aveva chiaraato piu volte per nome. — Chi mi chiama? disse finalmente riscuo- tendosi. E si vide dinanzi 1’ ebreo Jankel. — Signor capitano, signor capitano! ripeteva questi con voce sfiatata e timida, ma pure insistente, come chi ha grandi cose da dire. Io fui in citta, signor capitano! Taras squadro 1’ebreo, meravigliandosi cjie avesse ardito di entrare in citta, e gli disse: — Che diavolo t’ ha portato la dentro ? — Diro subito, rispose Jankel. AH' udire di buon mattino lo strepito ed alla prima sca- rica dei cosacchi, afferrai il mio kaftan, J ) e, senza indngiare a infilarlo, corsi la dove si combatteva. Einii di vestirmi per via per arrivarci prima, e seppi tosto il perch6 di qnel parapiglia e perche i cosacchi avessero cominciato a far fnoco cosi per tempo. Arrivai tutto sflnito alla porta della cittA qnando vi entravano gia le nltime file. Guardo, osservo, e vedo che a capo di nn drappello stava 1’ al fiere Galiandovits. Io lo conosco per avergli tre anni fa dato a prestito cento scudi d’oro. 1) Una lunga veste. — 101 — trli corsi dietro senz’ altro per riavere il mio denaro, e cosi entrai in citta. — Cosi dunque entrasti con astuzia, ed ancora avesti il coraggio di affrontare il mo debitore? E non t’ha fatto impiccare li, sul fatto, come un cane ? — Altro, se voleva impiccarmi! I suoi ca - gnotti mi avevano gia afferrato e gettata la corda al collo; ma giunsi a calmare quel si- gnore, dicendogli che avrei aspettato a suo piaciniento, e che anzi gli avrei imprestato ancora, pnrche mi avesse aintato a riscuotere altri miei crediti che ho presso altri signori cavalieri miei debitori. Per dirvi tntto, il signor alfiere ha le tasctie vuote. Con tutti i suoi poderi e giardini, con tutti i suoi quattro ca- stelli ed una larga porzione di steppa che giunge fino a Sklov, non ha un quattrino, proprio come un cosacco; e, se questa volta non lo avessero armato gli ebrei di Vrati- slavia, non avrebbe potuto venire neppure alla guerra. Per questa ragione non lo si vide mai a nessun mercato. — E che hai tatto in citta? vedesti qual- euno dei nostri ? — E quanti! Izek, Rahum, Samuilo, Heu- walch, il fornitore Evrej... — Al diavolo con questi cani! grido adi- rato Taras. Perche mi nomini questa genia -ebrea ? Domando se hai veduto della nostra gente, dei zaporosiani. — Dei zaporosiani non vidi che il solo signor Andrea. — Che? tu hai veduto Andrea? esclamA - 102 — Taras. Che fa la dentro ? Dove lo hai veduto ? fra le trincee ? cel fosso ? impiccato ? inca- tenato? — Oibo! chi oserebbe incatenare il signor Andrea? un tale eroe! Per verita, io non lo riconobbi subito. Porta spallini d’ oro, ed ha ornamenti d’oro in abbondanza sulla giubba. Come risplende il sole di primavera, quando gli angelletti gorgheggiano e cantano negli orti ed ogni erbetta olezza, cosi ora risplende d’oro il signor Andrea; il duca g’i ha fatto dono d’ un magnifico cavallo, che si merita per lo meno duecento scudi d’ oro. Bulba rimase di sasso. — Ma perchb ha vestito la divisa stra- niera? gridh. — L’ ha vestita perchš e piu bella. Egli corre intorno a cavallo, e molti lo accompa- gnano. Andrea li istruisce, e gli altri istrni- scono lui. Andrea e ora tale qnali sono i pin ragguardevoli magnati polacchi. — Ma chi lo ha indotto a cambiare le vesti ? — Non ho detto che lo abbiano indotto. Forse il signor capitano non sa che egli e passato per propria elezione ? — Chi h passato ? — Il signor Andrea. — Dove t) passato ? — E’ passato coi polacchi, ed ora e uno dei loro. — Ma tu ment sci, orecchio di porco! — Come poss’io mentire? Mi credete un impostore ? Ci ho proprio voglia di giocare — 103 la mia testa! quasi che io nou sappia che impiccano 1’ebreo corne un cane, se clice il falso al suo padrone! — Dunque, secondo te, egli ha tradito la patria e rinnegata la religione ? — Non parlai di tradimenti, dissi soltanto che & nno dei loro. — Ta menti, milvngio d’un ebreo! il trudi- mento non e opera da eristiano, tn vnoi serni- nare fra noi la discordia. cane! — Possa crescere 1’erba sulla soglia d dla mia časa, se io semino discordie. Possano spn- tare tntti sulla tomba di mio padre e delia madre mia e del mio genero e del padre di mio padre e del padre di mia madre, se io semino discordie! Se vi piace, signore, vi dira anche la ragione per eni e passato alla loro parte. — Qnale 6? — Il duca ha nna bellissima figlia. Ma che bellezza! E qui T’ebreo, volendo in qualche modo in- dicare la sna ammirazione, allargd le mani, stralnno gli occhi, e torse la bocca. — E che vnol dire tntto questo? — Vnol dire che egli s’indnsse a disertare per amore di lei. L' nomo innamorato 6 si- mile alla snola imbevnta d’acqna; se la preudi in mano e la contorci, resta contorta. Bulba rimase pensieroso. Sapeva benissimo che la donna, per debole che sia, ha un grande potere; sapeva che le donne avevano tratti in perdizione molti valorosi campioni, e che Andrea, quanto a cio, era inclinato assai male. — 104 — Ripensando a tutto questo, egli rimase li per lungo tempo come inchiodato al suolo. — Ascoltatemi! io voglio raccontare tutto al mio signore, proseguiva 1’ebreo. Al primo strepito, vedendo che i polacchi si affollavano in citta, io aveva prešo meco delle perle. Pen - sai che in cittA ci devono essere delle ragazze belle e nobili, e, poiche vi sono, credetti che, per quanto affamate, pure avrebbero compe- rato le mie perle. Dunque, come tosto la gente delTalfiere mi lascio andare, io corsi a vendere la mia merce al palazzo del duca. Quivi seppi tutto da una serva tartara. Le nozze si celebreranuo non appena avranno scacciati i cosacchi. Si dice che abbia pro- messo di scacciarli il signor Andrea. — E perche non lo hai strangolato sul lnogo, figlio d’ un cane ? grido Bulba esasperato. — Perche strangolarlo ? E’ partito sponta- neamente e pel suo meglio. — Lo hai veduto proprio coi tuoi occhi ? — Se l’ho veduto! proprio coi miei occhi. E che magnifico cavaliere! Che Iddio gli cou- servi la salute! Mi ha riconosciuto subito, e come, mi avvicinai, mi disse... — Che ti disse? — Mi disse... ma prima mi fe’ cenno colla mano di appressarmi, poi finalmente mi disse: — Jankel! — Ed io esclamai: — Oh, signor Andrea! — Jankel! soggiunse, dirai a mio padre, dirai a mio fratello, dirai ai cosacchi, ai zaporosiani, a tutti. che il padre non A piu mio padre, che il fratello non mi e fra¬ tello, i commilitoni non piu commilitoni, e 105 — «he io combattero contro di essi, combattero contro tutti! — Tu menti, giudeo, sciagurato! tuono Taras, uscendo fuori dei gangberi; tu menti, anima canina! Tu hai crociflsso auche Or isto, tu, maledetto ! Io ti strozzo, aniina rea ! Vat- teue immediatamente, o non ti muoverai piii da questo luogo! Ed infuriando e gridando, trasse la spa la per colpirlo. Ma 1’ebreo atterrito alzo le cal- •cagna, e fuggi guanto piu presto poterono portarlo le sue stecchite tibie. Corse a lungo pel campo cosacco, senza mai voltarsi ad- dietro, e fuori ancora continuo a correre per la campagna, dove non c’era piu anima viva, bencbe Taras non lo inseguisse, trattenuto dal pensiero, che era irragionevole vendicarsi in un impeto d’ ira di chiunque gli venisse in odio. Allora soltanto Bulba ricordossi di aver ve¬ duto la notte antecedente Andrea girare pel campo con una donna, e chino la canuta testa. Ma pure non giungeva a persuadersi che tali fatti potessero avvenife, e che sui figlio, pro prio un suo figlio, avesse venduta la fede e 1’ anima. Intanto condusse a pošto il suo reggimento, e si nascose con esso dietro ad un boschetlo, T unico che i cosacchi non avessero incen- diato. Grli altri zaporosiani, parte a piedi e parte a cavallo, occuparono le vie dinanzi alle tre porte della citta. Uno dietro 1’altro si schierarouo i kureni Humanski, fiopovicevski, Kauovski, Steblikovski, Nezamajkovski, Gur- — 106 — gazov, Titarevski, Timosevski. Solo il reggi- mento Perejaslavski uon esisteva pili. I co- sacchi, che lo formavano, avevano avnto tut- t’ altro che buoDa ventnra. Alcuni eransi sve- gliati nelle mani dei nemici, altri non s’ erano svegliati punto, chš li avea sorpresi il sonno della morte. 11 loro atamano Hleb si era risve- gliato senza il kaftan in mezzo al campo polacco. In citta si avvidero ben presto che i co- sacchi si apparecchiavano alle armi. Tutti accorsero alle trincee, e agli occhi dei cosac- chi si presento un magnifico pittoresco spetta- colo : nn nuvolo di cavalieri polacchi, uno roi- gliore deli’altro, nelle loro divise risplendenti sui terrapieni. Gli elmi di acciaio, adorni di piume line e candide come quelle del cigno, brillavano loro in capo. Alcuni portavano berretti leggeri, rossi e celesti, con eleganti pennacchi. Le loro giubbe avevano le ampie maniche intessute d’oro. Avevano le spade ed altre armi in ricchissimi foderi e guaine, ed abbondavano d’ogni sorta di ornamenti. Da- vanti a tutti, col rosso berretto, se ne stava tutto splendeute d’oro il generale Budzakovski. Costui era alto e grosso, piii di tutti gli altri guerrieri, e tanto pingue che il ricco giubbone lo conteneva a mala pena. Da nn altro lato, presso ad nna delle porte minori, si distin - gneva un altro comandante, piccolo e magro, i eni occhietti vivaci brillavano irrequieti di sotto le folte sopracciglia. Egli volgevasi, si rivolgeva, e gestiva rapidamente con la sottile mano in atto di comando. Qnantnnque min- gherlino, pure sembrava un buon militare o — 107 — molto iutelligente. Poco lontano da lui vede- vasi nn alfiete Inngo lungo, con nn paio di grnndi e folti baffi e con un viso, che voleva serabrare bello; si capiva a volo che 1’ eroe doveva essere amante deli’ idromele e dei ban- chotti. Venivano pol alla rinfasa molti nobili d’ ogni genere che si erano armati, chi a spese proprie, chi a spese del re, e chi col dcnaro ebreo, e si eran messi indosso tntto cio che avevano trovato di adatto nei castelli dei loro maggiori. C’erano anche presenti molti scioperati d'ogni fatta, che i signori polacchi avevano condotto seco non fosse altro per accrescere il nnmero del lor seguito : gente che era bnona di rnbare dalle mense e dalle credenze le coppe d’argento, e che qu lche volta si vedeva sedere a cassetto e guidare la carrozza di un qualche signore. In somma era accorsa alla gnerra nna moltitndine sva- riatissima. 1 cosacchi stavano silenziosi dinanzi alle opere di difesa. Essi non risplendevano di oro; di prezioso non avevano che qnalche fodero di sciabola. Non amavano mettersi ricchezze indosso in tempo di gnerra. Abbondavano solo di giachi e di sopravvesti e cio che piu di tntto risaltava in loro, erano i berretti di pelo nero d’agnel!o col cocuzzolo rosso. A nn certo punto due cosacchi uscirono dalle tile, e si avanzarono. Uno era nn gio- vinotto, 1’altro un uomo piuttosto attempato, ambedne di scilinguagnolo sciolto, ma anche avvezzi e pronti sempre alle fatiche; Orhin Nas l’nno, e Mikita Golokopitenko 1’ altro. 103 — Subito segui loro Demid Popovits, cosacco maestoso, gia da lungo tempo domiciliato alla Siets, il quale era stato fino sotto Adriano- poli, ed aveva affrontato in vita sna gravi pericoii; anzi una volta aveva incominciato gia ad ardere, poi scappando era giunto alla Siets tutto trafelato, con il cranio affumicato e semibrustolito e coi baffi bruciati del tutto; ma poi, riavntosi e ripulitosi, s’era visti cre- scere di n novo i capelli e spuntare un altro paio di baffi folti e neri come la peče. Abbondava di motti pungenti, di facezie e di arguzie della miglior lega. — Ab! belli, belli, perdinci! questi sindaci, cbe mi hanno 1’aria di soldati. Vorrei sapere se pari alla grazia dei loro volti abbiano un po’ di valore militare in corpo. — Aspettate, che vi faro mettere in catene tuti quanti! gridava dalle trincee quell’alfiere lungo lungo. Consegnate presto armi e ca- valli, vile branco di servi! Avete veduto come ho trattati i vostri vigliacchi compagni ? Ola! grido ai suoi; fate loro vedere dei co- sacchi incatenati. E subito condnssero sulle mura dei cosacchi in catene. Fra essi c’era 1’atamano Hleb, senza la sopravveste, come lo avevano sorpreso ub- briaco nel sonno. L’atamano abbasso il capo, vergognandosi in faccia ai zaporosiani di es- sersi lasciato prendere addormentato come nn cane. I suoi capelli si erano incanutiti du- rante quella notte. — Non affliggerti; Hleb! sapremo vendi- carti ad usura, gli gridarono i cosacchi. — 109 — — Non ti dolga la prigionia, comrailitone, gli disse 1’ atamano Borodat, tu non ne hai colpa se ti hanno sorpreso in que!lo stato; la disgrazia puo capitare a qnalunque. Si vergognino quelli che si prendono scherzo di te. — Bisogna convenire, grido Golokopitenko, rivolto alle trincee, clie voi combattete egre- giamente, finche avete da fare con nemici che dormono. — Aspettate un poco, risposero i polacchi, e noi sapremo strapparvi il cinffo se anche non dormite. — Vorrei vedervi alla prova! salto su a dire Popovits. E subito, volgendo il cavallo verso i suoi, sogginnse: — Ma forse i Lehi O hanno ragione; se spin- gesscro avanti quella macchina panciuta, essa li proteggerebbe. — Perche čredi che li proteggerebbe ? chie- sero gli altri cošacchi, sapendo di provocare colla domanda ima qualche arguzia. — 0 bella! perchč vi si nasconderebbe dietro comodamente tntto 1’ esercito, e noi avreninio un beli’ avventare colpi e adoperar le lancie, ch6 non si colpirebbe alcuno dietro quell’ iintnenso pancione. I cošacchi proruppero in ima sonora ri- sata; molti approvavano col capo. — Indietro, indietro! grido il kossevoj, al quale parve che i polacchi non potessero sof- 1) Polacchi. 110 frire in pace le insolenze, ed aveva veduto il generale fare cenno colla mano. Non s’ erano ancora ritirati i cosacchi, che gid il nemico aveva loro scagliate contro al- cune granate. Sui ripari si vide il lampo del fuoco, e tosto apparve a cavallo il vecchio dnca in persona. Si spalanoarono le porte. e 1’ esercito usci in campo. Primi comparvero gli ussari su cavalli ben bardati; segui un drappello di corazzieri, e subito dopo uno squa- drone di dragoni coli’ elmo, e poi venivano i nobili, ognnno vestito a modo suo. La no- bilta superba non amava confondersi col resto delle milizie; cbi non comandava cavalcava separatamente, circondato dalla servitd. Al gruppo dei nobili seguiva un altro corpo or¬ dinato, e poi 1’ alflere, e poi ancora un corpo regolare con quel capitano lnngo lnngo, e dietro a tutto 1’ esercito veniva il comandante pio- colo e magro ricoraato sopra. — Impedite loro che sfilino e si dispongano in ordine! gridava il kossevoj. Vadano contro di essi tutti i knreni! Via da quella portal II kuren Titarevski li sorprenda di fianco! il Dia- dikovski dali’altro lato ! il Kukubenko e il Pa- livoda a tergo! Scompigliateli, scompigliategli! Ed ecco i cosacchi piombare sui polacchi da ogni parte, scompigliarli e scompigliarsi essi stessi. I nemici non hanno tempo di fare fuoco; si viene alle spade, e si dd di mano atle lancie. Nasce una mischia terribile; tutti si agglomerano in ima enorme, compatta massa, dove ognuno trova occasione di mostrare il suo valore personale. — 111 — Dernid Popovits uccise tre Soldati semplici, e gitto di cavallo due dei piu ragguardevoli cavalieri, e, impadronendosi dei loro animali, gridava: — Ecco dne magnifici cavalli, quali io desi- derava da gran tempo! E, condncendoli fuori della mischia in aperta campagna, li consegno in cnstodia ad alcuni cosacchi che erano cola. Qnindi, ritornando alla carica, avventossi contro i due cavalieri, dei gnali tino egli uccise d’ un colpo e 1' altro, pigliatolo al laccio e legatoselo alla sella, ei trascino per tutto il campo, privandolo in ultimo della ricchissima spada e di una bnona provvista di scodi d’ oro. Kobita, giovane ma valoroso cosacco, venne alte mani con uno dei piu valenti polacchi. Stettero battendosi a lungo colle spade; poi vennero ai pugni, e giail cosacco aveva atter- rato 1’avversario e gli aveva piantato il pri¬ gnale nel petto, quando, prima ancora di rial- zarsi, una palla gli passb le tempie, direttagli da uno dei migliori campioni che noverassero le 1'amiglie principesche polacche. Costu i s’er- gev i come un pioppo, altero dei suoi lieti sne- cessi. Aveva fatto a pezzi due cosaechi, aveva abbattuto 1’ intrepido cosacco Teodoro Kors, uccidendogli con una palla il cavallo e tra- passando lui stesso colla lancia; aveva inoltre ierito molti altri nella testa e nelle mani, e 1’ultima sua prodezza fu la morte di Kobita. — A me, a me costui! grido vedeudolo Kukubenko, atamano del kuren Nezamajkovski. itallento le briglie al cavallo, e d’ un salto - 11 2 — fu alle spalle del principe polacco, con rin grido cosi potente, che tntti i combattenti vicini ne rimasero riscossi. II polacco tento di voltare contro di lni il cavallo per dargli una lanciata, ina il cavallo non volie saperne, e spaventato dairinnmano urlo, si getto di fianco: in quella Kukubenko colpi colla pištola a tergo il cavaliere, e lo sbalzo di sella; ma questi non voleva cedere ancora, e si sforzava di ferirlo colla spada: pero ben presto la mano gli cadde morta abbandonande il ferro. Kuku- benko allora gli strappo la daga, e gliela con- ficco in gola, rompendogii due denti, spaecan- dogli la lingua, perforandogli il palato e la nuca ed inchiodandolo al suolo. Tosto il nobile sangue gli sgorgo dalla bocca a larghi fiotti, e gli tinse di rosso il giallo kaftano orlato di oro. Knknbenko lo lascio, e precipitossi coi suoi verso an altro punto. — Ah, ah! che ricche vesti abbandona qni! esclamo Borodat, atamano del reggimento Hnmanski. E, lasciando i snoi, accorse presso il prin¬ cipe ncciso. — Sgozzai di mia mano sette nobili, ma non vidi indosso ad alcnno tanta ricchezza. Borodat afferro il morto per depredarlo, ed aveva giA in mano il prignale ed il fo- dero adorno di pietre preziose, aveva gia strap- pato nn portafogli di finissima tela con fregi d’ argento, nel qnale 1’ ucciso serbava una ciocca di capelli di donDa per memoria; ma non si avvide che gli sopravveniva a tergo 1’ al- fiere dal našo rosso, il quale lo aveva gettato — 113 — cli cavallo e ferito gia trna volta. Costuigli calo con tntta la forza nn terribile colpo sat collo facendo pagare ali’ atarnano ben caro il suo bottino. La testa mozza rotolo in terra, ed il corpo esanime si contorse in nn lago di sangue. La cruda anima del cosacco parve librarsi in alto sdegnosa e fnribonda, stnpita di dover sloggiare cosi inaspettatamente da un tale corpo. L’ alfiere alla sua volta non ebbe agio di afferrare pel ciuffo il mozzo capo, per legarselo alla sella, che giit gli piombava addosso nn terribile vendicatore. Conie avoltoio, che colle larghe ali spazia in ampi giri per 1’ aria, poi si ferma ad un tratto, e sembra librarsi sulle penne, alla fine piomba come fnlmine sul colombo, che cerca il nutrimento nel campo, cosi Ostap, il figlio di Bulba, si precipito snll’ alfiere gettandogli il laccio al collo. Al malcapitato il rubicondo viso si fece ancora piu rosso; egli afferro la pištola, ma la mano contratta e tremante non potž dirigere a dovere il colpo, per eni la palla passo, senza colpire, fischiando pel campo. Ostap strappo una cordicella di seta, che colui teneva attaccata alla sella per legarvi i pri- gionieri, e con essa, striugendogli bene mani e piedi, lo legb alla sna volta alla propria sella, e se lo trascino dietro pel campo, gri- dando intanto, ai cosacchi del kuren Human- ‘ ski, che andassero a reudere gli ultimi onori al loro atamano. Qnando gli Humani seppero che il loro ca- pitano era morto, abbandonarono il campo di battaglia per prendersi cura del suo cadavere, Trrr' , . cose note e importanti, cose che seinpre cunserva in fondo al cnore chiunque abbia provato grandi amarezze e grandi stenti nelle varie vicende della vita. Ma orrnai 1’ esercito nemico si riversava dalla citta. Tra il rumor dei tamburi e lo squil!o delle trombe, uscivano dai ripari i magnati colle mani appoggiate sui Aanchi, e — 137 — tra un nuvolo di servitori. Stava in capo a tutti e comandava i! grasso generale. Presto cominciarono ad assalire i drappelli cosacchi, i qnali si restringevano intanto a minacciare, a spianare le armi, a far lampeggiare gli occhi e a far.risplendere le loro armature. Ma, non appena i nemici giunsero presso, i cosac- chi li accolsero con nna scarica formidabile, e non cessarono dal fare fuoco. E il subisso di colpi rimbombava largamente intorno per la pianura e per i campi, e si confondeva in un solo non interrotto rombo. La campagna fu ben presto avvolta tutta di fumo, ma i zapo- rosiani moltiplicavano i colpi senza nessnna interruzione, senza prendersi un sol momento di respiro. Le loro ultime file non facevano altro che caricare le armi e consegnarle alle prime; e questo abile spediente scompiglio non poco il nemico, che non riusciva a spie- garsi come i cosacchi facessero sempre fuoco senza mai caricare. Il fumo si fece cosi denso, che i nemici piu non si vedevano, nž accor- gevaDsi dove piu venissero decimate le file. Pero i polacchi udivano il fischio sempre pili spesso ed incalzante del piombo nemico, e na¬ pivano che il fuoco si taceva ancora piu vivo. Usciti alquanto fuori del fumo per discernere un poco cio che accadeva, si accorsero che le loro file eransi diradate assai, mentre i cosac¬ chi, ai quali non mancavano che dne o tre mi iti su cento, continuavaoo a far fuoco senza fatica e senza sosta. Lo stesso ingegnere francese rimase stupito di quest’ arte, anche per lui affatto nuova, e — 138 — non potes non manifestare la sna meraviglia in presenza di tutti, dicendo : — Oh, questi giovinotti zaporosiani! come combattono per vincere in qnesta terra, che in fine dei conti non e la loro! (Juindi consiglio di puntare i cannoni contro 1’ accampamento cosacco. Stentarono assai per smnovere e dirigere al punto volnto le bocche enormi dei loro cannoni; ma, al loro formi- dabile rombo, la terra tremo in lungo ed in largo, ed il farno vomitato ando a raddoppiare quello, che gia oscurava la catnpagna. II puzzo della polvere giunse fino alle vie ed alle piazze delle viciue e delle lontane citta. Ma gli artiglieri avevano pnntato troppo alto, e i proiettili volavano al di la della meta. Pi- schiando orribilmente sopra le teste cosacche, andavano a cadere molto oltre il campo e scon- qnassavano la terra scoppiando, e facevano vo- lare le zolle per aria. Alla vista di tanta ine- sperienza, 1’ingegnere francese si mise le mani nei capelli, quindi, senza abbadare menoma- mente alle facilate cosacche, punto di propria mano i cannoni. Taras intni immediatamente il pericolo, che minacciava i dne kureni Nezamajkovski e Ste- blikovski, per cui con tutta la sua forza grido: — Via dai carri! A cavallo, a cavallo! Ma non tutti i cosacchi sarebbero stati a tempo di salire a cavallo, se Ostap non si fosse cacciato in mezzo ai nemici e non avesse a sei di essi strappato di mano la miccia; ad altri quattro non pote farlo, perche i polacchi lo respinsero indietro. Allora lo stesso capitano — 189 straniero afferro nna miccia per dare fuoco al cannone maggiore, cannone tale, tli cui i co- sacchi non videro mai il siraile. La sua enorme bocca si apriva minacciosa, pronta a vo mi tare terribilmente la morte. Qaando esso tuono, e dopo di esso altri quattro lanciarono i loro proiettili e piu volte rimbombo 1’aria, e tutta si riscosse la terra, il malanno prodotto fu ;n- calcolabile. Quante madri piangeranno i loro figli cosaccbi! Quante spose appariranno ve- dovate ad un tratto in Glubov, Nemizov, Cer- nigov e nelle altre citta deli’ TJkraina! Qnante fanciulle nsciranno ogni giorno sulla strada maggiore, e gireranno lo sguardo osservando i singoli viandanti, nella speranza di riconoscere il diletto del loro cuore, e vedranno passare soldati d’ ogni genere, ma non passera 1' atteso da esse. Una meta del knren Nezamajkovski spari come se mai non fosse esistito. Le palle la stritolarono e la dispersero per la campagna, come la grandine, quando in pochi istanti an- nienta il campo, dove poco prima biondeg- giava quale oro e maturava la messe. Come riraasero dolorosamente stupiti i co- sacchi! come si contnrbarono! come montd su tutte le furie 1’ atamano Kukubenko, ve- dendo distrutto piu che mezzo il sno knren ! Slanciossi coi snperstiti come un leone sui ne¬ miri, dispensando colpi terribili in giro; molti ne fe’ cadere da cavallo, molti cavalieri e cavalli trapasso colla lancia, e nella furibonda carica si spinse fino presno un cannone, di cui tosto si impadroni. Ma, vedendo che era — 140 — sopraggiunto 1’ atamano del kuren Humanski e che Stefano Goska si era gia impadronito del cannone maggiore, lascio il pošto, e precipi- tossi da nn altro lato. Dovunque passasse coi suoi, si apriva la strada come un turbine; le lile polacche si diradavano al suo passaggio, ed i nemici cadevano come covoni. Voltusenko combatteva sempre presso ai carri, Cerevicenko un po’ piu avanti; alla loro estremita stava Degtiarenko e dietro Vertihvist. Degtiarenko aveva abbattuti a colpi di lancia due nobili, e stava alle preše con un terzo, che non voleva arrendersi. Costui era un polacco robu4o ; ar- mato splendidamente, e venuto alla guerra con cinquanta servi. Piombando addosso a Degtia¬ renko, lo aveva gia gettato a terra e ferito, e gridava: — Non c’ e un cane di cosacco che mi possa sfuggire! — Aspetta un po’, gli urlo in risposta Timek Scilo, e avventoglisi contro. Costui era un cosacco instancabile. Molte volte era stato atamano della armata cosacca, ed avea patito ogni sorta di disagi. Una volta era stato prešo insieme con al tri presso Trebisonda, e imbarcato come uno schiavo sopra una galea. I malcapitati avevano incatenate le mani e i piedir dovevano digiunare aspramente e bere la intollerabile acqua di mare, eppure erano pronti a patire ques'i e peggiori stenti ancora, piuttosto che rinnegare la loro fede. Ma Timek Scilo calpesto le sue credenze, e si copri 1’ iniquo capo coli’ infame turbante. Per tale modo si amico il pasci& ; divenne un 141 — mezzo padrone della nave, e flnalmente ebbe in suo potere tutti gli schiavi. Ed era ap- punto cio che meno desideravano qnegli scia- gurati, i quali sapevano benissimo che non si poteva dare padrone piu crudele di chi avesse rinnegata la fede e di fratello si fosse fatto nemičo. Timek Scilo rese piu aspra la loro condizione incatenandoli tutti a tre a tre, e strinse le catene fino alle ossa, e largheggiava di potenti schiaffi. Ma quando i turchi, ben lieti di a ver trovato un servitore di tal fatta, incominciarono a fare festa, e, dimentichi della loro legge, si ubbriacarono, preše le sessanta- quattro chiavi dei ceppi, e le consegno agli schiavi, perehš si aprissero le serrature, get- tassero in mare le catene, ed in lnogo di esse atferrassero le armi, e sterminassero i turchi. In quella occasione i cosacchi, acquistato molto bottino, erano ritornati in patria gloriosi, ed i bardi avevano cantato a lungo le lodi di Timek Scilo. Egli sarebbe stato anehe eletto a k os.se voj, se non fosse stato eccessivamente strano e bizzarro. Talora si rese notevole per azioni tali, quali non avrebbe saputo compiere il piu saggio degli eroi cosacchi; altre volte invece faeeva stolidezze affatto indegne di un cosacco. Sprecava in gozzoviglie fino I’ ul ti mo quattrino, aveva debiti con tutta la Siets, e non rifuggiva di fare il ladroncello. Di quando in quando asportava tutte le armi da un qualche kuren, e ne riempiva questa o qnella bettola. Per queste sue geste fu messo piu volte alla berlina con una mazza a lato perctič ognuno, che volesse, lo bastonasse. Ma nessnn — 142 — zaporosiano oso farlo; ognuno ricordava i grand* meriti di lui. Tale era Timek Scilo. — Ecco un ca n e, cosacco, che ardisce di affrontarti! grido pertanto, scagliandosi sul polacco. Presto ne nasce una vivissima lotta, e gli spallini ed i fermagli si spezzano ad entrambi sotto la furia dei colpi. II polacco riesce a trapassare la ferrea maglia di Timek, e lo fe- risce. II sangue sprizza dalla ferita, ma il co¬ sacco non ne fa caso; alza la sua robusta e pesante mano, ed assesta un colpo formidabile sul capo del nemico. Ne rimane spezzato 1’elmo d’ acciaio, ed il polacco barcolla e cade. Scilo sta per dargli il colpo di grazia. — Fermati, cosacco ! Indietro ! Ma non ayeya ancora fatto un passo indietro, che gia uno dei mercenarii del polacco gli aveva piantato il pugnale nel collo. Scilo si volse furibondo, ed avrebbe certamente affer- rato 1’ audace feritore, se esso non si fosse di- leguato nel fnmo. Un subisso di colpi stordiva intanto le orec- chie. Scilo si riscosse tutto, e senti di essere ferito a morte. Ben presto stramazzč a terra, e, riparandosi colla mano la ferita, grido ai suoi: — Addio, signori fratelli e commilitoni. Viva in eterno la Russia ortodossa, yiva in eterno la sua gloria! Quindi chiuse gli occhi morenti, e 1’ anima del fiero cosacco lascio il suo robusto corpo. Intanto era sopraggiunto Zadorosdi coi suoi, e 1’atamano Fertihvist si slanciava contro il — 143 — nemico, e con essi accorreva, come tempesta sterminatrice, anche Balaban. — E che dunque, signori? chiese Taras alBatamano; aveteancora polvere? Viene meno la Torza cosacca ? Cedono i cosacchi? — Abbiamo ancora polvere, batko! La forza cosacca non viene meno, ed i cosaccbi non cedono! I cosacchi si rianimarono, e raddoppiarono il furore. Le file nemiche rimasero scompigliate affatto. II piccolo capitano chiamo a raccolta, e die ordine di inalberare otto bandiere dai co- lori vivaci, perchž servissero di segnale alle sne genti disperse per tutto il campo I polacchi accorrevano alle bandiere, ma non si erano ancora ben ordinati per la re- sistenza, che gia nuovamente Kukubenko, con gli avanzi del knren Nezamajkovski, si preci- pitava contro di essi, che erano comandati dal- 1’ obeso generale. Costni, invece di sostenere 1’iinpeto nemico, giro il cavallo, e con nna volata si trasporto altrove; ma Kukubenko lo insegni per la campagna, e lo mise nella im- possibilita di raggiungere le sue milizie. Accortosi di cio, Stefano Goska del knren piu vicino, esso pure gli corse dietro col laccio in mano. Stava ripiegato snlla criniera del cavallo aspettando 1’ occasione favorevole, e ad un tratto, presentatosi il destro, getto il laccio al collo del comandante polacco. Questi divenne tutto rosso in viso, afferro oon ambe le mani la corda per spezzarla, ma in quella la mano robnsta del nemico lo passd da parte a parte colla lancia. Restb sul lnogo come — 144 — inchiodato. Ma Goska pure dovette por line alle sue prodezze, poiche in un batter d’ oc- chio rimase trafitto da ben quattro lancie. Lo sciagurato ebbe appena il tempo di gridare: — Muoiano i nemici! vinca la Russia in perpetuo! E tosto spiro. Nello stesso tempo altrove il cosacco Mete- lizza si divertiva a trapassare ora questo, ora quello dei polacchi, rnentre in un terzo punto incalzava il nemico 1’atamano Neve- litski coi suoi, e lo respingeva dai carri, e Krivogobez lo faceva a pezzi. Piri lungi presso gli ultimi carri Pisarenko aveva, alla sua volta, vinto un battaglione di polacchi. met- tendoli in fuga, rnentre da un altro lato erano giunti ad arrampicarsi sui carri ed avevano cominciata una lotta attivissima sopra di essi. — Ed ora, signori, domandb di nuovo il kossevoj Taras, ponendosi sulla fronte delle schiere, avete ancora polvere in serbo ? viene meno la forza cosacca? cedono i cosacchi? In quella cadde rovescioni dal suo carro Bolduh, colpito al petto da una palla nemica. Il vecchio eroe raccolse le sue ultime forze e disse: — Non mi rincresce di abbandonare il mondo. Iddio conceda a tutti una morte simile alla mia. Sia gloria alla terra russa in perpetuo! E spiro, mostrando anch’egli come sanno battersi i ligli della Russia e come sanno mo- rire per la loro fede. Subito dopo cadde anche 1’ atamano Balaban con tre ferite mortali, trafitto da una lancia, — 145 — colpito da nna fucilata e percosso da ima daga. Qaesti era uno dei pin coraggiosi cosaechi; fu pid volte atamano nelle spedizioni per mare, ma sopra tutto si feee onore sulle spiagge del- 1’Anatolia. Ld egli ed i snoi avevano accu- mnlati molti ducati ed acquistate molte ric- chezze tarche ed armi e vesti di ogni genere. Pero ebbero nn aspro ritorno, avendoli sor- presi ed assaliti a furia di fucilate una galea tarča. Al primo scontro molte navicelle co- sacche rimaserosconquassate, e si capovolsero. Tuttavia nessun cosacco peri, perchd li salva- rono dal naufragio i lunghi fasci di canne, che legavano ai fianchi delle loro barche. Ba- laban a furia di remi era riuscito ad audare in disparte, poscia si era messo di fronte al sole, in modo che la nave nemica non potesse vedere la sna piccola squadra. Occuparono quindi tutta la notte nel vuotare d’ acqua le navicelle, servendosi a tale uopo di vasi e di berretti, nel riparare le. avarie, e nel fuggire senza sosta. Ritornarono non solo sani e salvi alla Siets, ma portarono seco nn ricchissimo indumento intessuto d’ oro, da regalarsi all’ar- chimandrita del monastero Mejgorski di Kiev, ed nn mantile di paro argento per 1’ altare zaporosiano. Ed anche le loro geste furono can- tate a lungo dai cantastorie. Balaban adunque, sentendosi ferito a morte, piego la testa, ed essendo gia agli estremi, disse con voce debole e stentata: — Mi pare, signori fratelli, di morire onore- volmente. Ne ho uccisi sette, gettati di cavallo a colpi di lancia nove, molti calpestati col Taras Bulba 10 — 146 — cavallo, e non ricordo piti quanti ne ho uc- cisi colle facilate. Fiorisca in perpetuo la terra russa! E non aveva ben finito di dire le ultime parole, che gia 1’ anima sna era spirata. Cosacchi, cosacchi! non sprecate le vostre forze, non rovinate il meglio delle vostre milizie! Ormai i nemici avevano circondato Kukn- benko, ormai del kuren Nezamajkovski non rimanevano in vita che sette soli cosacchi, ed anche quelli affrantidalla fatica e feriti. Taras, vedendo in pericolo 1’ atamano, accorse ad aintarlo coi suoi, ma, prima ancora di disper- dere i nemici, questi avevano gia trafitto Kn- kubenko. II povero capitano si piego, e cadde nelle braccia dei cosacchi, che furono pronti a sostenerlo. Ii sangne gli sgorgava a torrenti dalla ferita, simile a prezioso vino, quando gkincauti servi, recandolo in fragile recipiente dalla cantina, inciampano sul limitare, e rom- pono il prezioso vašo, spargendo per terra il vino prelibato; ed il padrone, vennto sul luogo, si caccia le mani nei capelli tutto dolente, perchž serbava il generoso liquore per le oc- casioni solenni dellasua vita, se il cielo gliene avesse concedute. per commilitoni della sna giovinezza, quando nella vecchiaia sarebbero vennti a passare con lui nn’oretta, per ricor- dare insieme i tempi passati, tempi cosi diversi e migliori. Knkubenko, prima di morire, si volse intorno, e disse: — Io lodo e ringrazio Iddio, o Iratelli, per- che mi fa morire alla vostra presenza! Iddio — 147 — Ti mandi degli uomini piii degni di me. Pio- risca in perpetno la terra rnssa! E I’ anima sua giovanile spicco il volo. La raorte di Knknbenko contristo tutti. Le schiere cosacche scemavano a vista d’occhio; molti ? prodi cavalieri erano malicati ai vivi. Tuttavia i zaporosiani continuavano a com- battere valorosamente il nemico. — Ebbene, signori fratelli, domando un’al- tra volta ancora Taras ai kureni superstiti, avete ancora polvere? e le spade sono in buono stato? viene meno la forza cosacca? cedono i miei cosacchi ? - Polvere ne abbiamo ancora, batko; le spade tagliano a dovere; la forza cosacca non viene meno, e i cosacchi non cedono! I cosacchi si slanciarono ad un nuovo assalto con tntto 1’ impeto, come se non aves- sero avuto alcun danno Restavanoal comando ormai tre soli atamani. II sangue scorreva a torrenti da ogni parte, e i mucchi di morti, tanto polacchi che zaporosiani, si facevano sempre piu grandi. Taras, volgendo gli occhi al cielo, vide volteggiare in alto uno stormo di avoltoi. Non manchera, no, chi si prenderž, la briga di sgombrare i morti! Ma intanto cadde trafitto Metelizza, la testa del secondo Pisarenko, stralunando gli occhi’ ando a rotolare in terra; e, diviso in qnattro. si rovescio al suolo anche Ohrim Goska. — Avanti! urlo allora Taras sventolaudo ali’ aria un fazzoletto. Ostap, sempre attento, vide il segnale, nsci dal nascondiglio, e piombo come bufera sulla 148 — cavalleria nernica. I polacchi noti ressero a- quell’ iinpeto. Ostap li insegui, e li spinse verso il tratto di campagna ingorabro di pali e di lancie piantate in terra. I eavalli, correndo pazzamente inciampavano, e nadevano sbal- zando i cavalieri. Allora il turen Korsnnski, che stava sugli ultimi carri, vistosi il nemico a tiro, gli scarico contro una pioggia di fu- eilate. Cio fini di scompigliare i polacchi, che, in preda al terrore, si rnisero a fnggire, mentre i cosacchi si rianimavano pel buon successo. — Vittoria, vittoria! gridarono i zaporo- siani. E, dando fiato allg trombe, spiegarono la bandiera in segno della loro vittoria, mentre i p lacchi fuggivano da ogni pa te, e si na- scondevano. — No, non abbiamo vinfco ancora! gridava Taras indicando colla mano la porta della citta. E diceva il vero. La porta si era spalancata, e ne usciva uno squadrone di ussari, il megl o di tutta la cavalleria. Avevano stnpendi eavalli baio- scuri, e stava loro a capo il prit coraggioso cavaliero. Di sotto 1’elmo gli usciva ed ondeg- giava ali’ aria la nera chioma ; attaccata al braccio aveva una ricchissima fascia lavorata dallamano della piu nobilee gentilegiovanetta. Taras impietri riconoscendo in lui Andrea. Ma questi, ormai avvolto dalla polvere ed aui- mato dali’ impeto di guerra, voleva mosfcrarsi ad ogni costo degno del dono, che portava al braccio. Il vecchio Taras, immobile sul pošto, vedeva come egli sispianava la via, come di- — 149 - perdeva tutti a destra e a manca. Taras non pote sopportare tanto obbrobrio. — E che ? urlo; contro i tuoi ? contro i tuoi? flglio del diavolo, tu batti i tuoi? Ma Audrea non abbadava chi avesse difronte, se i suoi od altri; non riconosceva alenno. Non vedeva che una chioma, una lunga chionia di seta, un viso gentile di fanciulla. — Ah, prodi miei! fatelo avanzare nel bo- sco! gridavaTaras ai suoi. E di subito treuta dei migliori cosacchi al- loutanaronsi dagli altri per trarre il guerriero in trappola, e volarono oome saette verso gli ussari, li assalirono di fianco e divisero lo squadrone in due parti, lasciando a tutti aspri ricordi sotto forma di terribili colpi. Goloko- pitenko, fattosi vicino ad Andrea, lo percosse colla daga a tergo, e quindi tutti d’accordo si voltarono, allontanandosi colla maggior velo- citA, cui fossero atti i loro cavalli. Come si adird Andrea! come gli ribolli nelle vene il sangue! Sprono immediatamente il cavallo, e slanciossi sulle orme dei cosacchi. Ma non ebbe tempo di volgersi addietro, e quiudi non vide che solo una ventina di ca vali ri suoi lo seguivano. Intanto i cosacchi si avvicinavano a spron battuto verso il bosco. Andrea infiam- mavasi sempre piu d’ impeto guerresco, e gia era per colpire Golokopitenko, quando una ferrea mano gli fermo per la briglia il ca¬ vallo. Andrea guardo; gli stava di fronte Taras! A quella vista tremo tutto, ed impallidi, mentre ad nn tratto gli sbolliva Tira. — 150 — — Ebbene, che faremo ora? tuono Taras, fissandogli negli occhi lo sguardo. Ma Andrea non flato, e stette fermo li con gli occhi a terra. — Ebbene, figlio, ti hanno salvato i polacchi ? Andrea continnava a tacere. — Cosi dnnque hai tradito la fede? tradito i tnoi ? Scendi subito ! E quegli, nbbidiente corae un fanciullo e serapre muto, scese di cavallo, e mezzo morto si pose di fronte a Taras. — Fermo li, non ti muovere! Io ti son padre, ed io ti annientero! grido ancora il vecchio. E, afferrato il fucile, indietreggio di qualche passo. Andrea era pallido come cera. Le sue labbra mormoravano qualche parola, e proferirono un nome; ma non era il nome della patria, non quello della madre, non del fratello. Era il nome della bellissima polacca. Taras fece fuoco. Come lo stelo reciso dal mietitore, come il capriolo col pito nel cuore; cosi F infelice gio- vane piego la testa, barcollo e cadde sul- 1’erba. L’ uccisore del figlio stette lungamente a contemplare 1’esanime corpo. Anche morto era beli o il cosacco. Il suo viso pieno, poco fa fiorido di vita, conservava ancora le sue linee graziose e genlili. Le sne sopracciglia nere e delicate, come funebre seta, ombreggiavano il sno volto impallidito. — Se non fosse nn cos cco! sospiro Taras; ha un volto da nobile, ed in battaglia lasna — 151 — mano era poderosa. Peccato! b morto senza onore, come un cane! — 1'adre, che hai fatto ? lo hai ncciso tu? esclamo Ostap, che era sopragginnto in quel momento. Taras afferino con nn cenno del capo. Ostap rimase immobile a contemplare il viso del morto; senti in cuor sno ana grande compassione del fratello, e disse: — Padre, sotterriamolo onoratamente, per- clie i nemici non abbiano a r dersi di lui, e gli avvoltoi non lo divorino — Lo seppelliranno senza di noi, nspose Taras ; ne mancheranno piagnoni e consolatori a rendergli gli nltitni ouori. Rimase in silenzio un paio di minuti, pen- sando se avesse a lasciarlo in pasto ai lupi ed alle altre bestie čarni vore, oppure se do- vesse rendere il consueto onore al valor mili- tare, che deve essere apprezzato da ogni buon cavaliero, qnand’anche il morto campione sia un suo nemico. Ma in quel momento sopraggionse Goloko- pitenko gridando : — Guni, atamano, guai! I polacchi si sono rianimati; b giun'o loro un potente rinforzo. Non aveva ben finito di parlare, ed eccoti a gran corsa Pisarenko senza cavallo. — Ma dove sei, batko? grido; i cosacchi ti cercano. Il nemico ha gia ucciso 1’atamano Nevelitski; Zadorosni e Gerevicenko sono pure caduti; voiliono che tu ti presenti anche una volta a loro prima di morire. • — A cavallo, Ostap! disse Taras. - 152 — E scomparve per raggiungerc i cosacchi, per vederli ancora un’ultima volta, e percheessi pure potessero vedere il loro atamano prima di morire. Ma noD era ancora uscito dal bosco, che sopraggiunsero i nemici, e lo circondarono Da ogni parte apparivano fra le piante i ca- valieri colle spade e colle lancie in mano. — Ostap, Ostap! non ti arrendere! grido il vecchio. E, sguainata la spada, si mise a percuotere e a ferire intorno a ses. Intanto sei polacchi si precipitarono sn Ostap, ma ebbero la peg- gio ; ad uno balzo dal busto la testa; un altro gettato di cavallo ruzzolb al suolo; ad un terzo Ostap caccio la lanciafra le coste; il quarto, piii accorto, schivo una fucilata, che colpi in- vece il cavallo; ma il cavallo spicco un salto fnrioso, e cadde schiacciando il cavaliero. — Ottimamente, Ostap! gli gridava Taras. Voglio seguirti anch’ io ! E intanto igli stes«o continuava a difen- dersi solo da ogni assalto. Dispensava intorno a s6 colpi disperati e cuchi, ora spaccando la testa a qtiesto, ora a que!lo, e nello stesso tempo non cessava di guardare ad Ostap, che stavagli poco discosto. E cosi, percuotendo e guardando, vide altri otto polacchi piorabare sul figi io. - Ostap. Ostap i non ti arrendere! Bla ecco gia Io vincono, gli gettano il laccio al collo, e stringono tino a soffocarlo. — Ah, Ostap, Ostap! gridava Taras, sforzan- dosi di arrivare fino a lui e tempestando furio- samente silile teste dei nemici. Ah, Ostap, Ostap! — 158 — Ma, come se fosse stato colpito da un grosso sasso, tutto gli traballava allo sguardo, e gli pareva si confoudessero in an orribile gnaz- zabuglio teste mozze, spade, lancie, fumo, lampi di fuoco, e gli stessi alberi del bosco, E eadde a terra come quercia recisa. Tina nube ■oscura gli velo gli occhi. X. — Ho dormito a 1 nngo! disse Taras, risve- gliandosi come dopo una protonda ebrietA e cercando di riconoscere gli oggetti che gli stavano intorno. Ma una debolezza estrema gli si fe’ sentire in tutto la p rsona. Appena pote distinguere le pareti e gli angoli della piccola e ignota stanzuccia dove si trovava. Poi scorse anche Tolkats, che eragli seduto da presso e stava attento ad ogni suo respiro. — Si, hai dormito a Inngo, penso Tolkats; poco ci volle che non ti addormentassi per sempre! Pero noii gli disse mezza parola, acconten- tandosi di fargli cenno che tacesse. — Ma dimmi, dove mi trovo ? riprese Taras. Ed intanto raccoglieva tutti i suoi pensieri per ricordare cio che gli era accaduto. — Via, taci! gli rispose il commilitone; che t’im po rta di cio? non ti basta P esser e pienodi ferite ? Da dne settimane ti t niamo nascosto, e la febbre ti va consumando, e tu vai balbettando ogni sorta di sciocchezze. Sol- tanto ora ti eri tranquiilamente addormentato. Taci, se ti importa di. vi vere! 151 — Ma a Taras importava di riordinare le idee e di ricordarsi di quanto era accaduto. — Non e vero, chiese, che i polacchi m’hanno circondato e prešo ? non e vero che non potei liberarmi da quella masnada? — Taci una buona volta, finiscidi balbettare! grido Tolkats, stizzito. Che ti giova sapere in qual modo sei uscito libero? fiodi di esserlo, e basta! Al mondo c’ e ancora della buona gente che non ti ha tradito, e basta! Chi sa quante notti ancora mi converra trascinarti di nascon- diglio in nascondiglio ! Čredi di essertela ca- vata come un semplice cosacco? Iddio ci usi misericordia, sutla tua testa pesauo due mila scudi d’oro di taglia! — Ah, Ostap ! grido improvvisamente Taras. E fece uno sforzo per sollevarsi. In quel mo- mento si era ricordato che i polacchi avevano fatto prigioniero Ostap, che lo avevano legato in sua presenza e che lo tenevano tuttora prigioniero. II doloretntto lo conquise. Strappo, e scaglio lungi da s6 tutte le fasciature delle ferite; volle d ire qualche cosa, ma balbetto parole senza senso. La febbre e la frenesia gli contnrbarono di nuovo il cervello ; egli agi- tavasi smaniando, e continuava a balbettare. 11 servo fedele gli stava appresso, si dilen- deva ed ascoltava in pace le ingiurie di Taras. Poi lo afferro pei piedi e per le mani, gli ri- mise le bende, lo avvolse in una peiledi bue, lo assicuro con dei legacci alta sella, e via di nuovo in fuga. — 0 vivo, o morto, vogli o salvarti. Non permettero mai che i polacchi abbiano a farti - 155 — a brani e gettarti in acqua, E, se e destinato che debbano cavarti gli occhi gli avoltoi, te ii cavino gli avoltoi delle nostre steppe, non mai quelli della Polonia! Vivo, o morto, vogliotra- sportartiin Ukraina! Cosi diceva il commilitone fedele, e viag- giava cavalcando giorno e notte, finche non giunse col ferito, che era sempre fuori di sd, alla Siets cosacca. Quivi incomincio a modicarlo con radici e con erbe. Aveva anche trovato un’ ebrea che sapeva di medicina, la quale per un tnese a lungo non fece altro che riempirlo di bibite medicinali, finche non lo ebbe gnarito Sia per il potere dei farmachi, sia per la sua costitu- zione ferrea, Taras in capo a un mese e mezzo si rimise in piedi. Le ferite gli si erano rimar- ginate, e ormai non si capiva che dalle cica- trici quanto fossero state gravi. Ma in Taras notavasi un grandecainbiament i; era divenuto malinconico e profondamente pensieroso. Sulla fronte gli si vedevano le traccie di tre gravi ferite, e gli rirnasero per sempre. Egli comincio a guardare un po’ attorno di se, ma alla Siets tutto era nuovo; i suoi vecchi compagni d’arme erano tutti morti; non ne ri maneva neppure uno di quelli che avevano combattuto con lui. Per giunta non si avevano pili notizie di quei cosacchi, che erano partiti col kossevoj contro i tartari. Tutti tutti erano morti. Alcuni erano rimasti uccisi in battaglia, altri erano periti di farne e di sete nelle steppe salate della Orimea, altri ancora erano caduti prigionieri, e non e’era piii sentore di essi; — 156 — il vecchio kossevoj era sparito anch’esso dalla terra insieme con gli antichi commilitoni, e 1’antica piazza dei cosacchi si andava lenta- mente rivestendo di erba. A Taras non seppero raccontare che di nn grande e rmnoroso ban- chetto ; i vasi giacevano ancora stritolati in- torno : non era rimasfa neppure una goccia di vino. I banchettanti ed i servi avevan portato via tutte le coppe e tutti i recipienti di pre- gio. II padrone di časa se ne stava mesto, pensando che sarebbe stato assai meglio che il banchetto non ci fosse stato. Indarno procu- ravano di rasserenare e rallegrare Taras, in- diirno venivano a dne e a tre i bardi cantando le sne gioriose geste; egli restava pensieroso e indifferente a tutto ; sni volto gli si leggeva un dolore indelebile; chinava in silenzio jla testa, e di tanto in tanto mormorava fra se: — Figiio mio! Ostap mio! Intanto i zaporosiani si riunirono di nuovo per nna spedizione marittima. Duecento na- vicelle erano pronte sul Dnieper. Ben presto 1’Asia Minore rivide le teste rase dei cosac¬ chi col ciuffo in fronte; vide messe a ferro e a fuoco le sne floride spiaggie; vide i tnrbanti dei snoi maomettani sparsi come va- riopinti ed innumerevoli flori per la campa- gna e pel lido. Vide migliaia di unti e bisunti šara vari cosacchi, vide le loro nerborute braccia e le negre fruste.. I zaporosiani saccheggia- rono e devastarono tutti i vigneti; neile mo schee lasciavano mucchi interi di immondizie. Dei preziosi tessuti persiani formavansi bende e fasciature e cinture per stringersi ai fian — 157 - chi le sucide sopravvesti. Le loro pipe poi si trovavano per molto tempo ancora disperse per le cittd. Tutti allegri si rimisero in mare per ritor- narsene in patria. Una nave turca con dieci cannoni li insegui, e a fnria di cannonate disperse le loro leggere navicelle come uno stormo di rondini. Una terza parte ne calo a fondo, le altre si raccolsero di nuovo, e ginn- sero aile foci del Dnieper seco recando dodici botticelle di zecchini. lila a Taras nulla ini- portava di tntto ci5. Preferiva la solitndine, e si ritirava nei boschi e nelle steppe come se vi andasse a caccia, ma il suo fucile restava sempre carico. Talora egli, pieno di tristezza sedevasi sulle rive del mare. Ld restava per lunga pezza colla testa reclinata sul petto, e ripeteva sospirando: — Ostap mio! Ostap mio! Davanti a lui stendevasi e risplendeva il Mar Nero ; nel lontano canneto gridava il gabbiano; ed intanto le lagrime si succedeviuo alle la- grime sulle scarne gote del vecchio. Taras non rassegnavasi a non saper nulla del figliuolo. — Che m’ importi di tutto questo ? pensava; andrb a vedere che e di lui, se 6 vivo o morto; puo darsi che non sia morto ancora. Comun- que sia, voglio vederlo. Una settimana dopo cavalcava gia per la citta di Humana, ricco d’arini, colla lancia, colla spada, colla flaschetta da viaggio e con un sacchetto d’ orzo; inoltre con della polvere, con una briglia da cavallo e con altre prov- — 158 - viste simili. Si avvio direttamente ad una ca- snpola sacida ed annerita,con finestrine appena visibili, che non si sapeva di che fossero in- tonacate; il camino era coperto di stracci, e sul tetto sdruscito cresceva in abbondanza il inuschio. Davanti alla porta c’era ogni sorta di immondizie. Un’ebrea, con in testa nn ber- rettino ornato di sucide perle, stava spiando da un finestriuo. — E’ in časa tuo marito? le cbiese Bulba scendendo e legando il cavallo ad nn chiodo presso la porta. — E’ in časa, rispose la donna. E subito si allontano per recare deli’ avena pel cavallo e birra pel signore. — Ma dov'e dunque il tno ebreo? — E’ qui, nella stanza vicina, a pregare, disse 1’ ebrea, augurando la buona salnte a Bulba che si disponeva a bere la birra. — Tu resta qui, e governami il cavallo, mentre io entrero a parlare con tuo marito. Ho nn favore da cbiedergli. L’ ebreo, di cui parliamo, era il noto Jan- kel. Stabilitosi in Humana come bettoliere e fornitore, aveva a poco a poco impigliato nelle sue reti tutti i signori dei dintorni e raccolto nelle sue tasche quasi tutto il denaro, tanto che la sna influenza era di ven tata ormai straordinaria. Per tre miglia ali’intorno non si sarebbe trovata una famiglia in prospera con dizione. Tutto decadeva, e andava in mina, tutti si davano alPubbriacbezza, di modo che ben presto venne la miseria e lo squallore. Tutta quella terra rassomigliava ad nn paese dopo - 159 — iin incendio, dopo una epideraia, e, se Jankel avesse continuato a succhiare il sangue a guella gente ancora per una diecina di anni, avrebbe ridotto al verde 1’ intiero ducato. Taras entro. L’ ebreo, tuttora in preghiera, vestito di un abbastanza sucblo savan i), si volse per sputare un’ultima volta, secondo le cerimonie del la sna religione,quando s’incontro nello sguardo di Bulba, che gli stava a tergo. II primo pensiero, che baleno di subito alla mente delTebreo, fnrono i due mila scudi pro- messi per la testa di Taras ; ma giunse a ver- gognarsi della sua cnpidigia e si sforzo di soffo- care per una volta la brama delToro. — Ascoltami, Jankel! incomincio-Taras, mentre 1’ altro, fatti i debiti inchini, corse a chiudere con diligenza la porta, perche nessnno potesse udirli. lo ti salvai un tempo la vita. I cosacchi ti avrebbero annegato come un cane, se non ci tossi stato io. Ora b venutala tua volta, spetta a te di aiutarmi. II viso deli’ ebreo si oscnro. — Ebbene, come? se b possibile, perche non dovrei aiutarti ? — Non parlare; conducimi a Varsavia. — A Varsavia? che? a Varsavia? domando Jankel ; mentre gli si contraevano le soprac- ciglia e le spalle a un tempo. — Taci, e conducimi a Varsavia. Avvenga che che avvenga, voglio vederlo un’ ultima volta, dirgli un’ utima parola. — A chi vuoi dire ua’nltima parola? 1) Lunga veste. - 160 — — A lui, a Ostap, a mio tiglio. — Ma il signore non ha udito dire, che..„ — So tutto; hanno promesso dne mila scudi per la-mia testa. Davvero che quegli scimuniti sanno apprezzarla! Ma ascolta, io te ne do dodici mila Eccotene due mila subito, disse Bulba, vuotando la cintura carica di due mila scudi d’oro; ilresto Io avrai quando ritorneremo. L’ ebreo afferro il moccichino, e copri con esso il danaro. — Oh, che bella moneta! che moneta pe- sante! andava esclamando con ammirazione, girando e rigirando in mano uno scudo, non senza provare poi anche a stringerlo coi denti. Io čredo, magnifico signore, — continnava — che čolni, al quale avete tolto questo denaro, non sia sopravvissuto una sola ora, ma sia corso tosto ad aunegarsi di crepacuore. — Io non avrei bisgno di te per trovare la via di Varsavia; ma potrebbero qn*ei ma- ledetti polacchi riconoscermi facilmente, sopra tntto perchč io non so fingere. Voi ebrei in- vece siete nati apposta per qnesto; voi, occor- rendo, sareste atti ad ingannare anche il dia- volo. La sapete lnnga in tutto, e percioio sono venuto da te. Anche arrivando felicemente a Varsavia, 1A da solo non potrei fare nulla. Ap- pronta dunque una vettura, e conducimi senza indugio. — Ma voi, signore, credete che si possa avere cosi facilmente un cavallo, che si possa attaccarlo immediatamente e via. Ahi, ahi! aspettiamo nn pochino. Voi snpponete che io ci possa condurvi enascondervi cosi possibilmente? — 161 — — Nascondimi come meglio čredi. Non sa- rebbe possibile, per esempio, che mi nascon- dessi in una botte vnota ? che te ne pare ? — Ahi, ahi! voi credete, signore, di po- tervi nascondere in una botte ? Ma non capite che tntti crederebbero che nella botte ci sia acquavite ? — E che percio ? dicano pure che nella botte ci sia deli’acquavite, quelli che lo vo- gliono dire. — Che? vi pare dnnqne che lo credereb¬ bero da senno? rispose 1’ebreo cacciandosi le mani nei apelli, e sollevandole quindi tntte e due in alto. — Perehe tante meraviglie ? — Ma, signore, non sapete che 1’ acqua- vite e fatta perchd gli nomini se la bevano ? E fra i polacchi ce n’ e molti' ingordi; il nobile correrd dietro alla botte magari per cinqne verste, aspettando 1’occasione propizia per farci un bučo. Ma, quando vedra che ac- qnavite non ce n’ esce, si metterd a gridare: ‘ Badate, signori! 1’ ebreo non conduce mai botti vnote; se non c’ d 1’ acquavite, ci deve essere delPaltro. Dagli alPebreo! legate 1’ebreo! togliete il denaro ali’ ebreo ! mettete 1’ ebreo in prigione! ’ Perehe, se accade qualche in- ginstizia, ne incolpano snbito 1’ebreo; perehe 1’ ebreo d stimato da tntti come un cane, d tenuto da meno che uomo! — Ebbene, nascondimi in un carro di vi- veri. — Mai, mai! non d possibile, signore, non d possibile. In Polonia le strade sono ingom- Taras Bulba 11 - 162 — bre di straccioni affamati come cani; rubano quanto piu possono, e coi viveri potrebbero rubare anclie il signore. — Allora condncimi raagari sul diavolo, purche tu mi conduca! — Un momeuto, signore, un motnento! esclamč 1’ ebreo, rimboccando le maniche ed avvicinandosi a Taras a braccia aperte. Ecco, facciamo cosi: ora si stanno costruendo grandi fortezze e castelli, sotto la direzione di inge- gneri stranieri, vennti dalla Germania; qnindi le strade sono piene di oarri che condacono mattoni e sassi. Voi vi corieherete sni fondo di nn carro, ed io vi copriro di mattoni. A quanto si vede, siete sano e robusto come una quercia, e non vi faranno gran male. Io poi faro per di sotto nn bučo, per cui vi daro da mangiare. — Fa come vuoi, basta che tu mi conduca! In capo ad nn’ ora il carro carico di mat¬ toni partiva gia da Humana, tratto da due cavalli, gnidati dal lnngo Jankel, sotto la cui piccola jalomka, o berretta ebrea, saltel- lavangli i lunghi inanellati capelli. XI. Al tempo, in cui accadeva cio che abbiamo narrato, non vi erano ai confini nš doganieri nž ispettori di alcuna sorta, per cui tutti po- tevano condurro oltre cio che piu loro talen- tava. Se qualcuno faceva perquisizioni ai carri, ciS avveniva unicamente per capriccio. Ma — 163 — di terra cotta nessuno si curava e percio il carro pote entrare in cltta senza ostacoli. Bulba dal suo angusto nascondiglio poteva, udire solo lo strepito e le grida dei carrettieri e null’altro. Jankel, entrato a Varsavia, dopo alquanti giri, infild nna via oscura e stretta, chiamata « fangosa, » oppure anche « degli ebrei », perchd in realta vi abitava la mag- gior parte degli ebrei di Varsavia. Essa ras- somigliava tntto alla parte piu trascurata nell’ interno d’ un castello poco pulito. A quanto pareva, il sole non arrivava mai ad illuminarla tutta. Le čase di legno tutte annerite, con nna selva di pertiehe sporgenti dalle flnestre, accrescevano ancora di piu il buio. Non scorgevasi che qualcbe raro muro di mattoni rossi, ed anche questo finiva un po’ alla volta col di ven tare nero del tutto. Solo qua e cold in alto qualche tratto, into- nacato di bianco, risplendeva, al riflesso del sole, di una bianchezza, che raolto infastidiva gli occhi. La via era tutta ingombra di pat- tume, di fuliggine, di straeci, di cocci, di rot- tami di tinozzi. Ognuno gettava sulla via tutto cio che non poteva piu servire, dando ai pas- santi ampia opportunitd di esercitare 1’olfatto con quelle spazzature. Uno che vi fosse pas- sato a cavallo avrebbe potuto quasi raggiun- gere colla mano tutte quelle pertiehe, che an- davano attraverso la via da časa a časa, e dalle quali pendevano calze, vesti ed oche affnmicate. Di tratto in tratto si affacciava ora a qnesta ed era a quella finestra il viso smunto e pallido di qnalche ebrea, col capo — 161 — adorno di anneriti vezzi di vetro. Un gruppo di ragazzi sucidi e ceneiosi, colla testa ar- rnffata, andava schiamazzando, correndo qua e lžt in mezzo al tango. Un ebreo dai capelli rossi, col viso piccliiettato, guardo da una finestra, e snbito si diede a parlare nel sno gergo incomprensibile a Jankel, rnentre Jankel alla sna volta girava il carro, e lo faceva entrare in un cortile. Un terzo ebreo, venuto dalla via, s’ era fermato anch’ esso, ed aveva incominciato a parlare coi dne; e, quando finalmente Buiba sbuco di sotto i mattoni, vide i tre occupati in un animato discorso. Jankel si volse a lui, e disse che tutto si sarebbe fatto, che il suo Ostap era nelle car- ceri di citta, e che, quantunque fosse difficile comperare le guardie, pure egli sperava di farglielo vedere. Buiba entrd coi tre ebrei in časa. Questi ricominciarono a discntere nella loro lingua. Taras stava osservandoli tutti. Pareva che alcuu che di veeinente lo avesse finaU mente riscosso. Sul suo viso indifferente s’era accesa d’un tratto una fiamma di speranza, di quella speranza, che s’ insinua nell’ animo di chi e al massimo grado della disperazione. Il sno vecchio cuore incomincio a battergli in petto come quello di un giovane. — Udite, ebrei! disse, laseiando apparire nella sua voce la commozione. A voi 5 tutto possibile al mondo; non vi sarebbe di osta- colo neppure la profondita del mare, e il pro- verbio (lice che 1' ebreo arriva a rubare se stesso, se ci si mette. Liberatemi il mio- — 165 — Ostap; dategli modo di fnggire da quelle sataniche mani! Ho promesso a costui dodici mila seudi d’ oro, ne agginngo altri dodici mila. Tutto, quanti vasi preziosi ed oro sot- terrato posseggo,.la časa, tutto tutto voglio vendere, e voglio fare con voi contratto for¬ mule per tutta la vita, che šarit vostra la meta di tutto cio che acquistero in guerra. — Oh, non e possibile, caro signore, non b possibile! rispose sospirando Jankel. — No, non d possibile! ripete il secondo ebreo. 1 tre ebrei si scambiarono un’ occhiata. — Si puo provare, disse il terzo, volgendo timidamente lo sguardo agli altri due; puo darsi che il cielo ci aiuti. I tre si misero a parlare tedesco. Per quanto tendesse 1’orecchio, Hulba nulla pote afferrare. Udi solo pronunziare di spesso la parola Mar- dohnj (Mardocheo), e non distinse altro. — Senti, signore! disse Jankel; b neces- sario consultare un uomo tale, quale non ci fu ancora mai al mondo. Costui e un sapiente come fu Salomone, e, se egli non riesce ad ottenere cio che desideri, nessnn altro al mondo ci puo riuscire. Siedi, e attendi qui; ec- coti la chiave, e non lasciar entrare anima viva. Gli ebrei uscirono sulla via. Taras chiuse a chiave la porta, e si mise a guardare da una tinestrina su quella fan- gosa contrada. I tr« figli d’Abramo si ferma- rono in mezzo alla strada, e ricominciarono con molta vivacita i loro discorsi. Ad essi si ag- giunse ben presto un quarto, e poi ancora — 166 un quinto. Bulba udi nuovamente ripetore il nome di Mardohaj. Grli ebrei guardavano con- tinuamente verso un puuto della via. Final- mente apparvero in fondo allo svolto d’ una sdruscita casupola un piede calzato alTebrea e le falde d’ un kaftano. — Ah, Mardohaj! Mardohaj! gridarono in coro tutti gli ebrei. Mardohaj, secco e un po’ piti basso di Jankel, ma con piu numerose rughe sni viso, col labbro superiore straordinariamente grosso, si avvicino al gruppo impaziente, e tosto gli ebrei uno a dispetto deil’ altro si affrettarono ad esporgli di che si trattasse ; e, rnentre cio suecedeva, Mardohaj si volse piu volte alla piccola fiuestra, tanto che Taras s’ immagind che parlassero di lui. Mardohaj gestiva, ascol- tava, interrompeva il discorso, spesso sputava, cacciandosi la mano in tasca, ne estraeva una specie di sonaglio. Finalmeute essi, animandosi nei loro discorsi, cominciarono a fare un tale diavolio, che 1’ebreo di guardia dovette fare loro cenno di tacere, e Taras stesso comincio a temere per la sna sicurezza. Ricordandosi tuttavia che gli ebrei non potevano consi- gliarsi altrimenti che sulla pubblica via, e che non si capiva la loro lingua, rimise il cuore in pace. Trascorsi altri due minuti, gli ebrei tutti insieme rientrarono nella stanza. Mardohaj si avvicino a Taras, e, batrendogli la mano sulla spalla, gli disse: — Qnando Dio e noi vogliamo qualche cosa, allora certo avviene come fa d’ uopo. - 167 — Taras getto lo sguardo su questo Salo¬ mone, che non aveva, a detta di Jankel, il sno pari fra gli uomini, ed apri Tanimo a qual- che speranza. Veramente il suo aspetto ispi- rava nna certa fiducia: il suo labbro superiore, come s’ & accennato, era straordinariamente grosso. Sni mento di questo Salomone non c’e- rano piii di qnindici peli ed anehe essi tutti daila parte sinistra. Sulla faccia non vedevansi che traccie di bnsse, frutto della sna audacia, e detle qnali giU da lunga pezza non ricor- dava il namero. Mardohaj parti assieme coi suoi compagni, compresi di atnmirazione per la sna sapienza. Bulba rimase solo- Egli era in nna strana ed insolita condizione; per la prima volta in vita sna senti nn po’ di inquietudine. Egli non era piu qne!lo di prima, forte come nna quercia: ina senti vasi timido e debole. Tre- uiava ad ogni piccolo rumore che si facesse, ad ogni nuova persona che šcorgesse in fondo alla via. In quello stato d’animo egli passo ftnalmente la giornata; non mangio e non bevve, 116 mai stacco gli occhi dal piccolo finestrino, che dava silila via. Finalmente presso a sera comparvero Vfardohaj e Jankel. A Taras ve t nne meno il cnore. — Ebbene? ci si riesce? domando con im- pazienza. Ma, prima ancora che i due ebrei potessero raccogliere il pensiero per rispondere, Taras vide che a Mardohaj mancava T nltima ciocca di capelli, che, per quanto sncida, pure gli usciva inanellata con nna certa civetteria di — 168 — sotto la jelomka. Yolle »lire qualchecosa, ma balbetto cosi, clie Taras non capi trn’ acca. Anctae Jankel si portava di tratto in tratto la mano alia bocca, come se fosse infreddato. — Oh, caro signore! disse Jankel; ora b impossibile affatto! in fede mia, inipossibile! Quella gente e cosi cattiva, che bisognerebbe sputarle sulla testa. Lo dica Mardohaj. Mar- dohaj ha fatto cio, che nessun altro uomo ha mai fatto; ma a Dio non piacque che ci riuscisse. Tremila soldati sono la a fare la guardia, e domani li manderanno a morte. Taras fisso ilsuo sguafdo negli occhi agli ebrei, ma ormai senza impazienza e senza ira. —- Se volete vederlo, signore, converra farlo domani per tempo, prima ancora che sorga il sole. Siaino daccordo colle guardie, ed uno dei capi ha promesso tntto. Ma che non possano avere fortuna in questo mondo! Come e in- gorda quella gente! neppnre noi non siarno cosi. Dovetti regalare cinquanta scudi a testa, al capo poi... — Va benissimo! conducimi a lui! disse Taras risolutamente. E parve ritornargli tntta 1’energia delTanimo. Egli approvo la proposta di Jankel, cioe di travestirsi da conte straniero venuto dalEAlle- magna, al quale scopo il provvido ebreo gli aveva di gia procurate le vesti. Intanto era scesa noite. Il padrone di časa, 1’ ebreo dai capelli rossi e dalle macchie sul viso, porto un materasso assai magro, rive- stito di una specie di stuoia, e io distese sopra un i panca, perche servisse di letto a — 169 Bulba. Jankel si coricb in terni sopra un materasso eguale al priino. L’ebreo rosso bevve nn infuso di radici, quindi depose il kaftano, e cosi, rimasto in calze e calzari, rassomigliava in certo modo ad un pollastro spennacchiato; finalmente si ritiro anch’egli a riposare ih un certo mobile, che, pili che altro, aveva del cassone. Taras non dorrni. Stava seduto senza muo- versi, e picchiava colle dita e a cadenza sul tavolo. Teneva la pipa fra i denti e fumava, cosi che a causa del fumo 1’ ebreo si diede nella dormiveglia a starnutare e a ripararsi il našo colla coperta. Ai primi albori del mat- tino llulba sveglio con uncalcio Jankel dicen- dogli: — Svegliati, e damini il tuo vestito da conte. In un moinento si vesti, si tinse a nero i baffi e le sopracciglia, si mise in testa una piccola berrettiua nera, e cosi nessuno degli stessi snoi famigliari cosacchi lo avrebbe potnto riconoscere. Mon mostrava piii di tren- cinque anni. Un sano colore rosso gli tingeva le guancie, e le stesse cicatrici gli davano un certo che di autorevole. Le vesti, fregiate di oro, gli si adattavano a meraviglia. Le strade erano ancora deserte. Id tutta la cittd, non s’incontrava ancora un solo dei ven ditori mattinieri. llulba e Jankel giunsero ad un edificio, che aveva 1’aspetto di un airone appollaiato. Era basso, largo, annerito, e da nn lato gli si alzava, quasi collo di cicogna, una Iunga e stretta torre, eoronata da un pezzo — 170 — di tetto. Questo edificio servivaad una quantita di uffici: di caserma, di prigione, e e‘era an- che la sede del tribunale criminale. I nostri due viaggiatori entrarono pel portone. e giun- sero in una spaziosa sala, o meglio cortile coperto. Dentro dormiva non meno di un mi- gliaio di soldati. Andarono direttamente verso una piceola porta, davanti alla quale c’ erano dne sentinelle, che non si curarono affatto dei due forestieri, e si rivolsero a guardarli solo quando Jankel disse loro: — Siamo noi dne, sentite, signori, siamo noi due... — Passate! disse uno di essi aprendo loro la porta. Essi entrarono in un andito angusto ed oseuro, e da qnello in un altro salone simile al primn, con piccole flnestre in alto. — Ohi ya la ? gridarono alcune voci. E Taras distinse un gran nnmero di sol¬ dati, armati in tutto punto. — Non possiamo lasciar passare alcuno. — Ma siamo noi due! grido Jankel; siamo noi due, illustri signori! Ma nessnno volle saperne nulla. Per buona sorte in qnel momento si avanzo un nomo- pingue, il quale doveva essere un superiore, perche inveiva piit di tutti. — Signore, siamo noi due. Voi ci conoscete gid; il signor conte vi rinnova i ringrazia- menti. — Lasciateli passare, per cento diavoli e per la madre del demonio! Ma cbe non passi piu anima viva! Nessuno deponga la spada. 171 — I nostri due viaggiatori non udirono la con- tinuazione degli eloquenti comandi. — Šiamo noi, sono io, siamo dei nostri! si affrettava a borbottare Jankel ogni volta che incontrava qualcheduno. — Ebbene? si puo adesso? chiese egli ad una sentinella, qnando arrivarono in fondo al corridoio. — Si puo, ma non so se vi lascieranno en- trare nella prigione. Jan non c’e pili; al suo pošto sta nn altro, rispose la guardia. — Abi, ahi! disse sommessamente Jankel; questa e nna indegnitA, caro signore. — Avanti! disse con ostinazione Taras. LTebreo obbedi. Presso alla porta a sesto acuto, che metleva nel sotterraneo, stava un aiduco P coi baffi come qnelli di nn gatto. L’ebreo spaventato non gli si avvicino che di fianco: — Vostra serenissima altezza! illnstrissima signoria... comincid. — Parli a me, giudeo? — A voi, serenissimo signore! — Ma io sono un sempiice aiduco, disse il soldato con un lampo di contento negli occhi. — Ma io, in fede mia, credetti che foste il Duca in persona, disse 1’ Ebreo. Ah, che pezzo d’ uomo! In fede mia, un generale, un ge¬ nerale davvero; e che generale! Bisognerebbe che il signore avesse un destriero, snello e 1) Soldato. — 172 — leggero corae una mosca, e allora come farebbe danzare i reggimenti! L’aiduco si liscio i baffi, e gli occhi gli si illuminarono ancor piu. — Che popolo! continuava 1’ ebreo; che bella gente! Che divisa marziale riccamente ornata! Tutto risplende, come il sole. L’aiduco si liscio di nuovo i baffi. — La prego, signore, d’un piccolo favore! disse 1’ ebreo. Qui il principe e venuto da paesi lontani, e desidera molto di vedere i cosacchi. Non ne ha mai veduti. La comparsa di conti e baroni stranieri in Polonia era freqnente; spesso vi erano attratti dalla curiosita di vedere questo angolo raezzo asiatico delPEnropa (la Moscovia e 1’Ukraina erano, secondo essi, ormai in Asia); 1’aiduco quindi, inchinandosi profondamente, credette opportuno dire qualchecosa. — Io non so, signore, incoraincio, perehč vogliate vederli. Qnesti sono cani, e non uo- mini ed hanno una Ule religione, che nessuno la ha in pregio. — Tu menti, flglio d’ un diavolo! gridb Bulba; tu, tu sei un cane. Come ardisci affer- mare che nessuno apprezzi la nostra fede? La vostrafede eretica, quella nessuno la apprezza! — Eh! eh! sghignazzo 1’aiduco; amico mio, ora so bene chi sei; tu stesso sei uno di quei cani, che siedono qui non lontano da me. Aspetta che voglio chiamare i nostri. Taras riconobbe subito la sua imprudenza, ma 1’ostinazione e la rabbia non gli permisero di riflettere, in qual modo avrebbe potuto ripa- 173 — rare al malfatto. Buon per lui che in qnel momento si fece avanti Jankel. — Ma, serenissimo e potente signore! come (j possibile che il signor conte sia un cosacco ? E se pure lo fosse, dove credete che abbia trovali questi vestiti e questo aspetto signo- rile? — Domandalo a te stesso! E 1’aiduco a veva gia spalancate le sue vaste fauci per gridare. — Vostra reale altezza! tacete! tacete per l’amor del cielo! scongiurava Jankel. Tacete noi vi pagheremo, come non siete stato pa- gato mai ancora: noi vi daremo due scudi d’ oro. — Eh, due scudi! Due scudi sono per me urTinezia. Do dne scudi al barbiere, perche mi rada una sola meth della barba. Dammi cento scudi, ebreo. E se non mi dai cento scudi, io grido subito. — E perche una somma si grande ? esclamo con dolore, tutto pallido 1’ebreo. Cosi dicendo, si tolse di tasca i denari. E fu una fortuna per lui che non ne avea molti e d’altro lato che 1’aiduco non sapeva contare piii in la di cento. , -- Signore, signore! continuo rivolgendosi a Taras; andiamo via di qua presto; vedete che gente cattiva! L’aidnco intanto andava girando le monete in mano, come se si pentisse di non aver chiesto di piu. — Ebbene, diavolo d’un aiduco! disse Bulba; i denari li hai preši, ma non pensi di mo- - !74 — strarci i cosacchi? Cosi non va; ta devi mo- strarceli, avendo ricevuto il denaro. — Via di qua! Se no, do il segnale e voi... Presto via di qua, vi dico. — Signore, signore! andiamo per 1’ amor del cielo, andiamo! Queste le son porcherie tali, da dover sputacchiar un mese a Inngo a pensarei! gridava il po vero Jankel. Bulba abbasso lentamente il capo, si rivolse e parti, e Jankel non finiva di rimproverarlo, addolorato com’era per la perdita degli scudi. — Ghe bisogno v’era di aizzario ? Conviene lasciar abbaiare i cani. Questa gente e fatta cosi, cbe non puo vivere senza contese. Ahi ahi! come sono tortnnati certi uomini! costui s’ e buscato cento scndi per averci messo cosi malamente alla porta. A noi si potrebbe strappare i capelli, ridurci il viso ad nno stato da far ribrezzo, ma nessuno si pense- rebbe di regalarci cento scudi per qnesto. Ma tale contrattempo prodassemolto inaggior impressione in Bulba; lo diceva chiaramente il fuoco che balenavagli negli occhi. — Andiamo! disse improvvisamente come spaventato. — Andiamo in piazza! Voglio vedere come lo tormenteranno. — 0h ; signore, perchi andarci ? Cii non ci giovera per nulla. — Andiamo! gridi Taras con ostinazione. E 1’ ebreo lo segui sospirando. Non fu difficile trovare il luogo dove si doveva dare esecuzione al supplizio. 11 popolo vi si affollava da ogni parte. In quei tempi barbari nna esecuzione costitniva nno dei piu — 175 — importanti spettacoli, non sulo pel popolino, ma anche per le classi piu colte. Una folla di devote vecckierelle, una turba di tirnide fan- ciulle e di giovani donne, le quali dopo non facevano che sognare tutta la notte corpi insanguinati, e che, svegliandosi, gridavano conie solo sa gridare nn ussaro briaco, non mancavano mai di approfittare, con tutto cid, della occasione per appagare la curiosita. — Ah, che tormenti! esclamava piu di una, chindendo gli occhi. Ma cio non impediva che restassero a lungo sul luogo. Alcuni, stendendo le mani, sembrava che volessero balzare sul le teste dei vicini per veder rneglio. In un gruppo di teste ristrette, piccole ed ordinarie risaltava il viso tondo e paffuto di un qualcke beccaio, il quale se- guiva con occhio maestro tutto lo svolgimento della s"ena, ed era in pieno accordo coli’ ar- mainolo, che egli chiamava compare per la sola ragione che la festa era stato piu volte a bere con lui alla bettola. Alcuni disputavano con forza, altri facevano scommesse. Nel primo spazio, presso le guardie di cittA dai grandi baffi, stava, vestito da militare, un giovane nobile (tale almeno appariva) il q.uale s’era messo addosso letteralmente tntto cio che aveva, tranne la giubba cenciosa e le vecchie scarpe, che aveva lasciato in quar- tiere. Due catenelle, una silil’altra, con una specie di medaglioue, gli pendevano dal collo. Aveva a lato una giovinetta, ed era tutt’ oc¬ chi perche nessuno insndiciasse la di lei veste di seta. Egli le dava spiegazioni puerili su — 176 — quanto doveva accadere. Ecco, animuccia mia — diceva — tutta qnesta gen te, che si affolla qui, d convennta per vedere come puniranno i delinquenti. Quello Id,, che tiene in mano la scure ed altri strumenti, e il boia; qnello ammazzera. E quando cominciera a girare la rnota e a dare altri tormenti, il delinquente šara ancora vivo; ma come subito gli taglierd la testa, allora, cuor mio, egli šara morto su- bito. Prima egli gridera e si contorcera; ma appena gli šara tagliata la testa, non potrd pid nd gridare, nd mangiare, nd bere. E la bella ascoltava tntto con terrore e cu- • riosita. I tetti delle čase erano tutti gremiti di gente. Dagli abbaini gnardavano visacci strani con gran baffi. Sui balconi sedeva 1’aristo- crazia. Le bianche mani delle signorine sor- ridenti si tenevano strette alle ringhiere. Le nobili dame giravauo intorno gli occhi con grande sussiego. I servi, in splendide livree, colle maniche arrovesciate, portavano in giro diverse bibite e vivande. Di qnando in quando qnalche capricciosa signorina, dagli occhi neri, si riempiva la mano di dolci, di frutta, e li gettava al popolo. Una turba di cavalieri af- famati tendeva i berretti per pigliare i doni; qualche nobile allampanato, in divisa dal co- lore rosso sbiadito, dai galloni d’ oro anneriti, levava la testa sopra la folla, e, grazie alle sne lunghe mani, pigliava pel prirno i pioventi doni; baciava quindi il suo bottino, se lo stringeva sul cuore, e dal cnore lo rerava alla bocca. En falco, chinso in nna gabbia dorata — 177 — pendente dal baicone, era pare nel namero dei cariosi, e stava considerando con attenzione tutta qnella moltitudine. Ma d’ iraprovviso un mormorio generale si levo da tutto qneH’ ammasso di gente, e da ogni parte si ripete: — Liconducono! li conducono! 1 cosacchi! i cosacchi! Questi procedevano colla testa scoperta e coi capelli lunghi; anche la barba era loro cre- scinta. Procedevano senza dare alcun segno di paura o di abbattimento, ma mostravano una tranquilla fierezza. Le loro vesti di fino panno erano gualcite e a brandelli. Essi non gnar- davano la folla, ne le si inchinavano. Primo nel la tila veniva Ostap. Che sentimenti tarbinavano nelPanimo del vecchio Taras alla vista del suo Ostap ? che suceedeva nel sno cuore? Stando in mezzo alla folla, egli non levava da lui % un sol momenta gli occhi. Arrivarono al luogo del supplizio. Ostap si arresto. Egli primo doveva andare al sup¬ plizio. Si rivolsn ai snoi, alz6 la mano, e disse ad alta voce: — Voglia Iddio che nessuno di questi empi eretici, quanti ce n’ b, possa udire i lamenti dei cristiani martorizzati! nessnno di noi pro- rompa in un solo gemito di dolore! — Ci6 detto, egli ascese il palco. — Benissimo, figlio mio, benissimo! mor- moro Bulba chinando la sua cannta testa. II boia strappo di dosso al cbndannato le povere vesti; poi gli lego mani e piedi ad un Taras Bulba 12 - 178 palo apparecchiato Qnindi... Ma e meglio che 10 non contristi il Iettore col dipingere torture infernali, che lo farebbero raccapricciare. Quelle torture erano in nso in quel barbaro secolo, quando 1’uomo vi veva esclusivamente della sanguinosa vita militare cosi. da rendersi sordo ad ogni sentimento urnano. Indarno combatte- vano quelle barbare usanze i pochi uomini saggi del tempo. Nulla valeva lo sforzo che facevano alcnni principi e cavalieri, di mente perspi- cace e di animo sereno, per dimostrare che tutta quella intemperanto giustizia non riu- sciva ad altro che ad aizzare sempre piri col desiderio della vendetta i cosacchi. Se l’au- torita reale, n& il parere degli uomini saggi valeva punto a frenare 1’ esorbitante audacia ed il capriccio dei magnati e dei ministri del re, i quali, colla lo-ro incredibile cortezza di vedute, col pnerilmente vano e ridicolo orgoglio mutarono la dieta in una vera satira contro 11 governo. Ostap sopporto le torture da vero eroe, con indicibile fermezza. E quando incominciarono a rompergli le ossa dei piedi e delle mani per modo che se ne udiva lo scricchiolare per largo spazio intorno, e le signore inorridite volgevano altrove gli sguardi, non un grido ne un gemito usci dalla sua bocca, ne si noto il minimo mutamento nel suo volto. Taras, il quale stava in mezzo alla moltitu- dine a testa bassa, macon gli occhi levati sul figlio, mormorava approvando: — Benissimo, figlio mio, benissimo ! Ma quando gli sopravvennero le supreme — 179 — angoscie mortali, sembr6 che la fortezza del giovane venisse meno. Giro lo sguardo smarrito sulla folla Tutti sconosciuti, tutti stranieri! Vi fosse stato almeno uno dei suoi presente alla sna morte! Non desiderava la presenza della madre, immersa nella disperazione e nel pianto, ma gli sarebbe stata molto čara la vista d’ nn uomo forte, il quale in quei mo¬ menti estremi lo < onfortasse con qualche pa¬ rola ragiouevole. Cadde privo di forze, e nel 1’ abbattimento deli’animo gli sfuggi il grido: — Babbo mio, dove sei? Mi odi tu? — Si, ti odo! rimbombb sonoramente una voce in mezzo ali’ universale silenzio. E nello stesso tempo migliaia e migliaia di uomini rabbrividirono a quella risposta, e ben presto uno squadrone di cavalieri si di- sperse in tutti i versi a perlustrare gl’innu merevoli drappelli della moltitudine i vi rac- colta. Lo spavento di Jaukel fu indicibile ; im- pallidi come un cencio. Appena i soldati si furono alqnanto allontanati, si rivolse tutto ansante; ma non c’ era piu traccia di Taras. XII. Le traccie di Taras llulba riapparvero pero ben presto; un esercito di cento e venti mila cosacchi si condenso sni confini deli’ Ukraina. E quella non era una turba avida di sac- cheggi, smaniosa di piombare sui tartari;no! quella era una intiera nazione, la quale aveva 180 — perduto la pazienza, ed era insorta per vendi- care i suoi diritti conculcati, la sleale ed ingin- sta morte dei suoi atamani e comandanti, le sopercherie dei fornitori ebrei e per liberarsi insomma da un giogo umiliante. Generale comandante di tutto 1’esercito era 1’ ataraauo Ostranizza, soldato ancora giovane, ma ardente del desiderio di liberare la na- zione dal despotismo. del capriccioso governo dei magnati, di liberare 1’ Ukraina dal giu- daisino, dali’ unionismo e dalla marmaglia stra- niera. Si teneva al fianco il vecchio commili- tone ed esperto eonsigliere Gugna. Otto generali starano a capo dei singoii corpi d’esercito. Subito appresso 1’ atamano cavalcavano due assauli generali ed un bun- f.susnik od ufficiale anziano. L’ alliere gene¬ rale portava la bandiera deli’ esercito; altre bandiere grandi e piccole sventolavano in lonlananza. Molti altri graduati seguivano, sia come addetti militari e gnardie di scorta, sia come scrivani ed amministratori dei reggimenti, parte a piedi e parte a cavabo. Qnanti erano i cosacchi regolarmente chia- mati alle armi, altrettanti circa erano i volon- tari. Erano accorsi da tutte le parti: da Oighi- rino, da Perejaslav, da Baturin, da Gluliov, da tutte le pianure, alture ed isole del Dnie- per. Squadroni innumerevoli di cavalleria e file di carri senza fine si distendevano per la pianura. Fra tutti quei reggimenti di cosacchi, ne risaltava uno, quello comandato da Taras Bulba. f/eta, 1’esperienza, 1’arte tutt i sua di spronar - 181 — F entusiasmo pet' la guerra, I’ odio implaca- bile contro il nemico, tutto rendeva Taras su- periore ad ogni capitano. Agli stessi cosacchi sembrava tropposelvaggia lasua.crudelta. Halla sua bocca non uscivano che parole di morte e di sterminio contro i nemici, e il sno voto stava senipre per il fuoco e per la forca. Tutti sanno che voglia dire in Rossi a un eser- cito in preda al fanatismo religioso. Nulla v’ha di piu potentedella fede. E’ incrollabile e tremenda, come 6 in mezzo al mare tempe- stoso e perpetnamente irrequieto la rupe iso- iata, che dal fondo di esso leva al cielo Tindomabile vertice. Visibile da ogni parte essa sovrasta inimota ai flutti, che le muggi-. scono fnribondi intorno. Egnai alla nave, che va a cozzare contro di essa! I suoi fianchi vanno in frantumi, essa si sfascia, si affonda, trascinaudo nei vortici tutto il carico, mentre echeggia per 1’ aria il disperato grido che chiede ainto. Le cronache di quei tempi narrano difusa- mente come le guarnigioni polacche, in preda al terrore, fuggivano dalle citta; come si vede- vano ad ogni passo penzolare dalle 1'orche i negozianti ebrei senza coscienza; parlano della piccolezza e vilU d’ animo del luogotenente del re, conte Potočki, e del le sne inilizie di fronte alle forze cosacche, descrivono come queste vinsero e dispersero 1’esercito reale, di eni una bnona parte trovo la morte Ira le onde d’nn piccolo fiume; continuano narrando come i cosacchi facevano digiunare per forza i miserandi rimasugli deli’ esercito polacco — 182 - nella piccola fortezza di Polonno, e come gli assediati, ridotti agli estremi, facevano rnille promesse e ginramenti che il re ed i magnati avrebbero dala ampia soddisfazione ai cosac- chi e li avrebbero redintegrati in tntti i di- ritti ed avrebbero restituita loro la libertft. Ma i cosacchi non credettero, e non si lasciarono gabbare'; sapevano per prova quanto valesse ii giuramento polacco. E Nikola Potočki non si sarebbe. di certo mai piti pavoneggiato sni suo destriero circassi, del valore di sei mila scudi, non avrebbe attirato mai piu gli sguardi delle nobili fancinlle polacche, ne avrebbe suscitato invidia negli altri nobili, ne si sarebbe segnalato mai piu nelle adnnanze del go verno, quando con lusso e sfarzo non piu veduto intratteneva i senatori, se non lo avessero sal- vato i preti russi, che erano in cittš,. Quando qnesti, sfolgoranti negli splendidi apparameuti d’ oro, uscirono incontro ali’ esercito degli as- sedianti, recando seco 1' immagine della santa Madre di Dio e la croce, preceduti dal loro vescovo, colla croce in mano e colla mitria episcopale in capo, allora tntti i cosac-lii pie- garono le teste, e si levarono i berretti. Non avrebbero certamente risparmiato un solo, se non ci fosse stato a trattenerli il rispetto alla loro chiesa e la venerazione ai sacerdoti della loro religione ortodossa. I/atanmno, in pieno accordo con gli altri comandanti, sta bili di lasciar andare libero il Potočki, ma volle pero che egh prima ripetesse il giura¬ mento e promettesse di dare ampia liberta alla chiesa russa, di smettere Pantiča inimi- — 183 cizia e rti non molesta-e per milla i solrtati or- tortossi. Ad lino solo dei capi non piacque affatto quella pace, e quest’unico era Taras Bnlba. Nella esasperazione egli si strapp6 una ciocca intera .tli cape’li, e grido : — Ola! atamano e duci tutti, non agite da vili feinminaccie! non prestate ferte ai polac- chi! qnesti maledetti cani romperanno senza dubbio i patti. Quando poi lo scrivano delTesercito reco il trattato, e I’ atamano lo firmo di proprio pu- gno, Taras preše in mano una splendida sci- mitarra turca, della migliore tempera, e, spez- zandola in due, come fragile canna, scaglio lungi da se in direzioni opposte i due pezzi, e disse: — Addio, compagui! come e certo che que- sti due pezzi non si altaccheranno pili insieme, ne faranno piii spada, cosi certameute neppure noi commilitoni mai piii ci riuniremo in que- sto mondo. Tenete bene a rnente le parole che io vi rivolgo per commiato. E qui alzo il tono deli i voce, e parve che una arcaua forza tutto lo investisse, e che le sne parole piovessero a commuovere doloro- samente tutti que'li che lo udivano. — Rammentatevelo : voi vi ricorderete di me in punto di morte! Credete di acqnistare la pace e di diventare da orain poi padroni? Vi accorgdrete troppo presto che non šara cosi. A te, atamano, strapperanno dal capo la pelle, e la riempiranno di crnsca e le cittadelle avranno agio di contemplarla a lnngo in tale — 184 — stato. Aneiie delle vostre teste, o signori, poche riinarraimo incolumi. Languirete fino alta morte nelle prigioni, scavate nel sasso, se pnrenon vi cuoceranno vi vi nelle caldaie come tanti agnelli. — E voi, giovani, volete morire ? domando eontinuando a parlare verso il sao reggimento ; volete morire da cosacchi perseveranti ? Oppnre trovate maggior consolazione nel pensiero di rimanere ancora un poco in qnesto mondo, di sdraiarvi accanto alla stufa e di rimanervi a poltrire almeno fino a tanto che non venga a turbarvi il sonno il nemico ? Ma che e me- glio, cliiedo a voi, miei bravi giovinotti, che b meglio, ritornare ali e vostre čase, dove le donne litigheranno ogni giorno con voi, e dove ubbriacandovi creperete dietro a qualche siepe come nn cane, oppnre da fedeli cavalieri, da fratelli cadere' assieme sul campo e lasciare rinomanza e gloria imperitura? — Tutti con te, signor capitano; tntti con te! gridarono i primi del reggimento. Guidaci, in nome del cielo, guidaci! E molti altri ripeterono qnesto grido. — Ebbene, poichei lo volete, venite meco! disse Taras. E, abbassatosi il berretto sulla fronte, diede nno sgaardo feroce agli altri, ed aggiunse : — Non c’e parola offensiva che ci trattenga! Andiamo, aqnilotti miei, a banchetto coi cattolici! Cio tletto il vecchiofanatico sprono il cavallo, e molti carri si mossero dietro di lui, e molti cavalieri e pedoni cosacchi lo seguirono. Egli - 185 — si volse addietro anche una volta, gettando uno sgnardo terribile e minaccioso. Ormai nes- suno era in grado di trattenere il vecchio co- mandante; ii suo reggimenlo partiva a vista, di tutto 1’ esercito, e Taras partendo guardava ancora addietro e minacciava. L’atamano ed i capitani rimasero tristi sul luogo, immersi in gravi pensieri; tacquero a lungo, come se nn qualche funesto presenti- mento turbasse loro 1’anima. K Taras da vero non fu cattivo profeta; tntto accadde come egli aveva predetto. Non ando gnan che le teste dei migliori condottieri cosacchi, assieme con quella deli’ atamano, furono esposte dagli spergiuri sotto le mura di Kanevo. Ma, ritornando alla nostra storia, che fa- ceva intanto Taras Bulba colla sua schiera ? Egli aveva dato alle tiamme diciotto cittadelle ed una quarantina di chiese, ed era giunto ormai fin presso a Cracovia. Aveva ucciso molti nobili di ogni grado, e saccheggiati i piu ricchi e rinomati castelli. I cosacchi apri- vano le botti e lasciavano spandersi per terra i’ idromele ed il vino piu squisito, che tro- vavano in abbondanza nelle cantine dei ca¬ stelli ; laceravano e gettavano alle damine le piu preziose stoffe e vestiti, e distruggevano ogni sorta di provvigioni. - Nulla vi faccia compassione! non ri- sparmiate anima viva! comandava Taras con- tinuamente. » Indarno gli spedivano contro Soldati, perchž lo arrestassero; egli sapeva evitarli. Compa- riva qua e cola colla rapidita del lampo; na- — f&6 - scondeva i snoi divisamenti e, se questo o quel villaggio o cittadella aspettavano trepi- dando il sno arrivo, improvvisamente cam- biava direzione, e pottava il ferro e il fuoco la dove nessuno lo attendeva. Non c’ & pen- nello, che possa dipingere le crudelta che si commettevano nei suoi ruinosi assalti. Nulla di cio, che potesse somigliare alla compassione, trovava adito nel suo cuore, sitibondo di ven- detta, Non sentiva pieta di nessuno. Le madri infelicissime, le giovani spose e le fanc ulle cercavano rifugio e protezione ai piedi degli altari; Taras le dava in preda alle fiamme assieme alle chiese; e quando, gridando di- speratamente, le poverette, fra il farno e le vorticose fiamme, levavano in alto le palme, e quando i cosaccbi, scorrazzanti per le vie, infilzavano sulle lancie i bambini strillanti e li lanciavano tra le fiamme, Taras guardava con feroce soddisfazione, e diceva : — Ecco, maledetti polaccbi, come si comme- mora Ostap! E la commemorazione di Ostap si ripeteva in ogni villaggio. Alla fine il governo polacco si persuase che le geste di Taras erano qualche cosa di piti che un semplice ladroneccio, e diede ordine allo stesso Potočki di marciare con cinque reggimenti alla caccia delTaudace vecchio. Taras capi il pericolo, e ritorno indietro. E- -gli fuggiva coi suoi cosacchi a tntta notte per vie campestri, e solo i suoi cavalli tartari, di cui per solito conduceva seco una mandria intiera, potevano resistere a quella precipitosa fuga. Ma questa volta il Potočki si mostro degDO deli’ ufflcio affidatogli. Egli segui il ne- mico 6on incredibile costanza, fluche nou lo ragginnse sulle rive del Dniester, dove Taras aveva occupato per un breve respiro una for- tezza abbandonata e inezzo in rovina. Il lnogo fortificato sorgeva sopra un’altura, la qnalo verso il Sume terminava con una parete cosi inclinata, che sembrava dovesse prečipitare di momento in momento neH’acqua. Una cinquantina di metri piu sotto spumeg- giava il Dniester. Quivi pertanto il Potočki circondb collesue milizie i cosacchi. Taras col suo valore e colla suaindomita energia avrebbe potuto mandare a vnoto tutti gli sforzi degli assediatori; ma in quella abbandonata fortezza egli non aveva viveri, ed i cosacchi non sapevano sopportare la farne, particolarmente quando avevano la certezza di avviarsi a lenta morte. Col fiume non potevano avere nessuua comunicazione; c’era bensi una strada che metteva ad esso, ma un recente enortne franamento 1’ aveva interrotta a mezzo, lasciandola sospesa sopra 1’ abisso. Taras stabili di abbandonare il rifugio, di provare se gli venisse dato di aprirsi un pas- saggio tra le file nemiche e di trovare lungo le rive nn lnogo opportuno per guadare coi cavalli il fiume e cosi avere uno scampo sicuro. Egli sbuco dalla fortezza con incredibile veemen7a, ed i cosacchi avevano gia rotte le lile del nemico, e forse i loro veloci cavalli li avrebbero tratti a salvamento, se Taras nella - 198 — vertiginosa corsa non si fosse arrestato ad un tratto gridando: — Ferma, ferma! Mi e caduta la pipa; non voglio che resti nelle mani dei polacchi! Ed il vecchio atamano si cnrvo in cerca della pipa, sua indivisibile compagna, in pace ed in gnerra. In quella nno sqnadrone di polac¬ chi lo raggiunse e cosi rimase in potere dei nemici. Sentendosi avvihto da vigorose brac- cia, egli si riscosse fnriosamente, ma i soldati, che lo circondavano, non rotolarono al suolo come altre volte. — Ah, vecchiaia, vecchiaia! esclamo il co- sacco piangendo di rabbia Ma incolpava a torto la vecchiaia; erano molte forze che soverchiavano una fotza; nna treotina circa di neinici avevano afferrato pel collo, per le mani e pei piedi lni solo! E’ caduto finalinente in trappola il vecchio corvo! gridavano i polacchi; ora penseremo in qual modo lo dobbiamo onorare. II capitano stabili di abbruciarlo vivo alla presenza di tutti. La vicino c’ era un vecchio albero schiantato dalla folgore e disseccato. Essi pertanto lo legarono, alla sommita del tronco con corde e catene, stringendolo for- temente; per maggior sicurezza gli inchioda- rono le mani , quindi cominciarono ad accu- mulare sotto ogni sorta di seccnme. Ma il vecchio eroe non abbadava a questi apparec- chi, ne pensi va al fuoco, che doveva ben pre¬ sto incenerirlo. Tutta la sua attenzione era rivolta ai cosacchi, che sparavano contro i po¬ lacchi. DalFaltodel tronco egli distinguevatntto. — 189 — — Occupate, giovinotti, gridava egli, occu- pate, presto, grido a voi! occupate 1' altura dietro a quel boschetto! essi non ci arrive- ranno! Ma il vento non porto ai cosacchi i suoi comandi. — Ahi! periranno, periranno senza profltto! urlo in un accesso d’ ira e di disperazione, piegando gli occhi sulla lucida snperficie del Dniester. Improvvisamente un lampo di gioia brillo nei suoi occhi. Aveva scoperto qnattro navi- celle nascoste fra le macchie. Raccolse allora tutte le sue forze, e grido in modo da assor- dare i presenti: — Alla riva, giovinotti, alta riva l Sotto la rupe del forte ci sono navicelle, e ven ti passi dietro di voi c’ A il sentiero che conduce al flume! Allontanate tutte le navicelle perche non vi possano inseguire! Questa volta il vento aveva spirato dalla parte favorevole, per cui i cosacchi iutesero tutto. Ma in premio del consiglio un colpo di mazza sulla testa di Taras lo stordi, e gli in- torbido la vista. Di piu i suoi carneflci lo sciolsero, e lo calarono dalTalto lungo il tronco, perchš non potesse piu dare consigli ai suoi aquilotti. Intanto i cosacchi rivolsero i cavalli e si die- dero ad una sfrenata corsa; ma ecco la riva apparire scoscesa eripida. Avrebbero pero rag- giunto lo stesso il Sume, se non li avesse trat ten uti una profonda voragine, larga quasi nna diecina di metri, un di varcata da un pont a , — 190 — di eni piu non rimanevano che le due basi deli’ arco. Dali’ inarrivabile profonditA dell’a- bisso si udiva a mala pena il sordo mugghio d’ nn torrente che si versava nel Dniester. I cosacchi avrebbero potuto piegare a destra, ma avevano alle spalle lo squadrone nemico. Dopo un momento di esitazione, afferrarono le sferze, e le fecero fischiare percuotendo i cavalli. 1 ca vali i s’ impennarono. si contorsero per aria come serpenti, e cominciarono a sal- tare un dopo 1’ altro oltre la voragine. In un momento fnrono salle rive del fiume, perdendo due soli cavalieri, precip tati coi cavalli nel profondo, senza che si potesse udire da essi una sola voce. I polacchi si arrestarono essi pure sulTorlo dell’abisso, stupiti delfaudacia cosacca e dub- biosi se dovessero, o no, seguire l’esempio del nemico. II comandante dello squadrone, va- loroso giovane ed ardito fino alla temerita, fratello della bella polacca cagione della ro vina del povero Andrea, stabili senz’altro di slanciarsi dietro ai cosacchi, e, volendo dare 1’esempio alla sua gente, sprond ilcavallo al terribile salto, ma cadde nel vuoto e preci- pito nella voragine; le rupi aspre e taglienti lo dilacerarono, ed il suo sangue insieme colle cervella spruzzo le pareti dell’orrido abisso. Quando Taras, riavutosi dal colpo guardo di nuovo al Dniester, i suoi cosacchi si erano gid imbarcati e facevano volare sni fiume le navicelle. Gli occhi gli rifulsero di gioia. In- tanto dali’ alto della rupe le palle polacche piovevano come grandine sui cosacchi. Ma — 191 - ■essi non ne facevano caso, e si allontanavano tranquillamente dalla riva. " — Addio, signori fratelli e compagni! — gridava loro Taras, sempre legato al tronco. — Kicordatevi di me e ritornate ogni primavera in qneste parti a portare il ferro e il fuoco! E voi, maledetti polacchi, credete d’ aver vinto ? Di cosacchi ce u’5 ancora ! Aspettate e vedrete; verra tempo... Ma gia le fiamme gli lambivano i piedi, e, alzandosi rapide e divoratrici, tutto lo avvilup- parono nelle crepitanti spire. Puo tnttavia mai darsi in terra fnoco tale, o qualunque aitro tormento, che valga a vineere la forza cosacca ? 11 Dniester non e nn piccolo fimne; ha molte sinuosita, molti e fltti canneti, mol ti gorghi. La sua superficie risplende come uno specchio; lo rallegra 1’ armonioso canto del cigno, sulle sne onde nuota lesta e grave 1’ anitra, e molte beccaccie, oche selvatiche ed ogni sorta di uc- celli vanno pascolando fra le sue canne e sulle sue ghiaiose rive. Mentre le palle polacche piovevano indarno sul fiuine, i cosacchi navigavano lestamente, e schivavano con destrezza i gorghi in vici- nanza delle isole; adoperando vigorosamente i remi, essi commemoravano il loro atamano. Fine. NARODNA IN UNIVERZ!TETNfl