Anno VIII. Capodistria, Ottobre 1910 N. 10 PERIODICO MENSILE II P0U1GRAF0 milim DEL ClfllECEHIO Nella caterva dei letterati di mestiere noti coi dispregia-tivo di poligrafi, che si possono far discendere da quell' uma-nista pretenzioso e girovago che fu il tolentinate Francesco Filelfo e che ebbero sommo rappresentante il tlagello clei principi, il divin Pietro, figliuolo d'un calzolaio iucchese; in codesta caterva di «nebulones et maledici», che sfilano dinanzi agli indagatori della vita cinquecentesca, con la loro boria di ciar-latani, coi loro orpello da saltimbanchi, curvi sotto il peso dei loro volumi, trascinando nella polvere le zimarre logore sui ginocchi, o a testa alta per il protendersi delle epe mercan-tesche sotto i roboni di velluto e di raso gonfiando le gote per soffiare nelle trombe della farna il *feci quod potni, potui quod volni* deli'ineffabile Gianfrancesco Quinzano Stoa, passa con una certa sua malincouiosa gravita la figura di Francesco Sansovino, figliuolo di quell'Iacopo Tatti, che fu cognominato il Sansovino dalla patria d'Andrea Contucci, suo maestro. Nato in Roma l'anno 1521 da una moglie o concubina infedele del gia chiaro scultore e architetto - luechese d'origine, fiorentino di nascita - venne bambino di sei anni a Venezia, tappa scelta dal padre per il viaggio di Parigi, dove lo aveva chiamato il «re cavaliere, il padre delle lettere® ; tappa che divenne dimora quasi ininterrotta, vita natural durante, di Iacopo e del figliuolo; pero che il sacco di Roma e 1'orizzonte minaccioso a ponente e a tramontana, scemavano al vinto di Pavia la fiducia suscitata al vincitore di Marignano. Giunsero, padre e figlio, a Venezia, pochi mesi dopo la venuta del divin Pietro ; e nelTastuto e bizzarro ciurmadore dei potenti, che, accolto pubblicamente da Andrea Gritti, aveva nel Vecellio il medesirao ritrattista che il doge, trovarono, padre e figlio, un appoggio e un'amicizia, dalla quale uscira hen tosto la triade, cantata dalFAretino in un famoso sonetto, di cui 1'Aretino fu il piu ghiribizzoso e sfrenato, Tiziano il piu grande e il piu saggio. Era allora Venezia - coni'ebbe a definirla piu tardi Francesco - »beatissima citta, luce e riposo del mondo.., Concios-siaehe e mirabil cosa il considerare in che modo in questa patria lo uonio sia del tutto felicissimo padronc assoluto di se et delle sue faculta, senza tema di esser insidiato spogliato o tiranneggiato da persona vivente, perciocche qui la giustizia non guarda altrui con occhio di matrigna, ma vivendosi inte-ramente incorrotta assicura il plebeo dali'insolenza del ricco. Onde camminando pari passo la giustizia con la religione (la quale nel principio fu la generatrice di questo luogo et di questa nazione, et la giustizia la tutrice) danno et hanno da ogni uno il suo diritto. Qui il suddito, con dolcezza paterna, e abbracciato e conversa come figliuolo dal nobile dominante, non punto differente dal superiore neH'habito et ne commodi del vivere umano. Qui finalmente ogni uno per la parte sua gode et e partecipe di quella piena contentezza che si puo desiderare da qualsivoglia mortale in qualsivoglia cosa di questo mondo». Quel Giovita Rapicio da Chiari, disertissimo conoscitore della lingua latina, che fu maestro di Francesco, dopo a ver formato insegnaudo molti »ingegni d'adolescenti«, fra i quali Paolo Ramnusio, era un po' miope o retore alcun poco, quando bi compiaceva dei costumi dei veneziani, intenti, secondo lui, meliorem diei par tem vel rei divinae caste pureque faciendae, vel iis qime de Deo, de arcanis naturae rebus de tota bene vivendi ratione in templis dispu/.antur*; ma imbroccava un giudizio mirabilmente sintetico affermando che curavano la cosa pubblica e privata «ut nec animorum nec corporum curarii cullumre neglegerenU; e nel vero essi sapevano accop-piare a un senso paganamente raffinato della vita, una nobilta d' intelletto e un amore ai belli studi tanto grande quanto il loro amor di patria. Non a caso vi soggiornavano o vi ponean dimora tutti i piu eccellenti letterati di quella stagione, dal Sannazaro al Tasso, n6 pri ve d i significato, o per lo meno di buone intenzioni, erjno tante acc-ademie, come quelle dei Pla-tonici, dei Pellegrini, degli Uniti, degli Incruscabili, dei Rico- verati, degli Industriosi, dei Gelosi, dei Rinati, per tacere deli'accademia Aldina e di quella della Farna, la cui serieta d' indirizzo non e chi ponga in dubbio. Poeti storiografi stampa-tori vi si formavano e vi si davano convegno: e il petrarchismo ebbe a culla Venezia, e Venezia, si puo dire, per bocca del Bembo, diceva la piu autorevole se non la prima parola nella vitale questione della premazia del volgare e del nome della lingua. Francesco Sansovino non trovo che il ricordo dello splen-dore a cui Aldo il vecchio aveva fatto culminare 1'arte libraria; gli eredi, Andrea d'Asola e tigli, inconsideratamente s'aftida-vano per la revisione ad uomini incolti ed inetti; ma ben presto — gia nel 1533 — Paolo Manuzio s' adoperava a restituire 1' antica lode alle edizioni che uscivano dalla sua časa, ed altri tipografi,- come il R-impazzetto, il Marcolini, il Giolito, tenevano alto il prestigio deli'arte libraria veneziana. A quel modo che se 1'accademia dei Filelleni s'era disciolta, la coltura umanistica non era andata dispersa, ed i Veneziani erano ancora, secondo il Galateo, «custodes grecae et latinae iutegritatis». Viveva ancora ed insegnava pubblicamente 1' Egnazio, che era stato uno dei piu sapienti e strenui collaboratori d'Aldo; quell' Egnazio che si fe' incontro al trionfatore di Marignano presentandogli un panegirico latino in nome di Venezia, e i cui libri «de Caesaribus» ebbero traduttore il lodatissimo grammatico francese Goffrov Tory. Del sacerdote latinista puo aver udito, il Nostro, le sposizioni di Virgilio e di Cicerone, ch' esso tenne in Venezia dal 1520 al 1549, come insegnante stipendiato d' umane lettere. Oltre al Rapicio, ebbe a maestri, il Sansovino, Stefano Piazzone da Asola e Antonio Fran cin o da Montevarchi; il primo d'umanita, il secondo di lettere greche. Ma quest'ultiroo per poco tempo: il padre aveva fretta di vederlo a Palazzo, e se lo aveva mandato alle lezioni del Rapicio, si era perche la saggezza dei reggitori aveva istituito — il 7 giugno 1440 — quella cattedra d' umane lettere in pro dei giovani destinati alla pubblica cancelleria. L' ambiente era, per avventura, atto a suscitare nell'adolescente 1' amore alle discipline letterarie piu presto che agli istituti giuridici e ai formulari. Aveva il giure cultori profondi e sagaci in quelli ottimati pei quali esso diveniva mezzo e stromento di governo; ma Geronimo Negro, poritissimo giure-consulto, dettava epistole latine; Niccolo Eretrio, versatissimo nel diritto, curava un' edizione di Virgilio; Agostino Valiero, Gian Maria Memo, Andrea Pasqualigo, Marcantonio Amulio, Daniele Barbaro, Niccol6 Liburnio, trattavano 1' cloquenza piu da letterati che da giurisperiti. E dali' intento comune co' i pro-curatori e co' i senatori, 1' utilM, cioe, e 1' interesse per le cose della Serenissima, partivano gli storiografi, uomini di toga e di cappa essi pure, quali Anselmo Gradenigo, Emilio Maria Manolesso, Daniele Barbaro, Giovan Pietro Contarini; e molti che accoppiavano ali' erudizione e al culto delle memorie patrie 1'amoreagli studi umanistici, quali Andrea Navagero, Gasparo Erizzo, Andrea Mocenigo, Marcantonio Michele, Paolo Ramnusio, Pietro Giustinian, ci lasciarono, specialmente il primo, elegan-tissimi versi latini non disdicevoli a quel mirabile artetice dei Lipidina, che fu anche uomo di stato. Di emulare quelli abili imitatori d' Ovidio e di Virgilio, non ebbe il Sansovino la frega e neppure la capacita, a quel che dicono certe sue versiooi di latino in volgare; meno indifferenti all'indirizzo dei suoi studi e clella sua produzione furono e il petrarchismo e 1' agitarsi dello questioni intorno alla lingua. Preceduti dal Liburnio, dal Oalmeta, dal Fortunio, dispu-tavano il Dolfin, il Fracastoro, Bernardo Cappello, Bernardo Zane, Girolamo Gradenigo, Giambattista Amalteo; ma piu au-torita godeva il circolo a cui 1' autore degli Asolani aveva diretto il manoscritto delle Prose, e ch' era costituito da Giovan Aurelio Augurelli, Niccolo Tiepolo, Gian Francesco Valerio, Paolo Ramnusio. Andrea Navagero, Trifon Gabriele. Oh uma-nissimo Trifone! Se il marmocchio dello scultore fiorentino fu, coni' egli afferma, vostro uditore, voi non gli avrete certamente lasciato varcare le siepi degli orti muranesi, che allineavano in riva alla laguna il verde dei loro topiari! Voi certo amavate parlar «rado con voce soave» come nei campi elisi, ragionando piacevolmente coi Bembo e coi Trissino nei crepuscoli d' estate, e vagar pianamente per le redole, profumate di cedri e di rosai moscati, ove il fantastico novellatore Gian Antonio Stra-parola sguinzaglierA il leggero stuolo delle dieci damigelle, corte leggiadra alla figlia del profugo Ottaviano Sforza! Del petrarchismo, poi, Venezia era il centro; era la cucma in cui si condiva con salse prelibate il Canzoniere, ben affet- tato sezionato mondato. In Venezia si mettevano insierne cen-toni e repertori; a Venezia, nel palazzo di Domenico Veniero, il mecenate podagroso, si dava la ricetta a quelli che volevano diventare poeti, eccellenti quanto il cantore di Laura . . . e il Bembo; veneziano era quel disgraziato Gerolamo Malipiero che dava in luee, l'anno 1536, quella grottesca contraffazione ch' 6 II Petrarca spirituale. E sulla falsariga dei petrarcheggianti mosse i primi passi nell' arringo poetico il giovine Francesco; il quale in Padova, ove s'era trasferito appena trilustre, piu volentieri che le lezioni dello Zabarella, dello Scardeonio, di Marco Mantova, frequentava quelle di Lazzaro Bonamieo — uno di quei latinisti che pre-ferivano scrivere alla foggia di Marco Tullio ali'esser fatti re o papi — e di Bernardino Tomitano, lettore di logica in quel «locupletissimo c celeberrimo emporlo d' ogni disciplina*, per definire con Erasmo 1' Ateneo pata vino. E quando, nel '40, si fece degli Infiammati — l'acca-demia sorta appena sotto gli auspici di Leone Orsini, arcivescovo di Frejus, e, nella persona di Cola Bruno, del neo-cardinale Pietro Bembo — non fu perch6 in essa si tenessero, come egli scriveva al padre, declamazioni avcnti attinenza con gli studi legali; si per udire la parola del Varchi, del Tomitano e dello Speroni, che vi leggeva, mentre 1' andava componendo, la sua atrocissima Canace. Frutto de' suoi studi giuridici fu un Dialogo della pralica della ragione, che e bene resti inedito nelle pietose ombre marciane: delle sue relazioni letterarie e delle sue aspirazioni a diventare poeta piu tosto che causidico, son testimonio certe stanze e sonetti e capitoli e canzoni *), che ci illuminano sulle sue precoci dissolutezze, sufficientemente palesi, del resto, per certo prestito che il giovinetto imberbe pregava dall'Aretino «essendo in piatica con una certaputta*, e tenendolo il padre a corto di quattrini. Ma il libertino, che poteva ripetere con significazione contraria le parole d' Ovidio «mores distant a carmine nostro*, *) Codeste canzoni, che si conservano inedite alla Nazionale di Firenze Magl. CI. VII, Strozz. 1178 c. 262 v. sgg.), con una lettera de-dicatoria ad Alfonso Tornabnoni, vescovo di Saluzzo, sono una sciatta rifrittura di pensierini petrarcheggianti in uno schema metlico curiosa-mente coinposto di endecasillabi e settenari alternati senza rima. gli rispondeva con riprensioni ch' erano un suggerimento di messer lacopo, dimentico delle proprie mariuolerie giovanili e ostile un po' sempre a quel figliuolo che anco in punto di mor te, lasciandolo erede, dubitava non suo. Noi non sappiamo se 1' uorao avaro e insofferente si sia meno sdcgnato, se non forse in quanlo distraevano il figliuolo dai Codici e dalle Pandette, alla pubblicazione di certi capitoli imessi insieme dal Navo, 1' anno 1540, con quelli delTAretino, del Dolce «et altri acutissimi ingegni», che fanno onore piu ali' abilita che alla persona del poeta! Uno ve n' ha, diretto al Dolce, due lustri piu anziano di lui, dal quale il giovine apparirebbe macchiato di quel vizio, di cui il Lasca assegna ai perugini i i triste primato, ma che anche in Venezia aveva proseliti non solo come il nobile spiantato e corrotto, ma persino come Celio Magno. L' amicizia col Dolce continuo anche quando Francesco lascio Padova per recarsi a conipletare i suoi studi a Bologna, dopo una capatina a Firenze, do ve ebbe ca ni po d' essere ag-gregato ali'accademia florentina. Da Bologna, ove Andrea Alciati impersonava la dottrina giuridica e 1' erudizione classica, Francesco partecipava al Dolce le. sue impressioni sulic attrattive mondanc della dotta e opulenta cittii. «La quale e quasi un model di Vinezia et e si piena di persone che 6 una maraviglia; inoltre assai bot-teghe di robbe, i gentiluomini son molto magnifici, et cortesi bei personaggi et pomposi onde altro non vede sul vestir che raso et veluto che i doveva metter prima, delle donnc non ne parlo, non posso pur dirvi della lor leggiadria della bel ta et della gentilezza che le rende riguardevoli, et ebbe ragione il Boccaccio quando alta voce esclamando disse o singular dolcezza del sangue Holognese col rimaneute ch' io non mi ricordo che dolcezza pensate voi che sia vederle su gl' usci dopo cena: gl'innamorati hanno buon patto et ecci questa usanza che ogni uomo puo far di capo et salutarle che esse cortesemente risalutano.... «In questo luogo ho riserbato a dirvi de un mercato che si fa il Sabbato grandissimo dove si veggon mille pastorelle in abito succinlo a guisa di ninfe, con alcuni visetti che egli e un miracolo, a questo vo ogni Sabato, et girando la piazza do un' occhiatina alla costa c un altra al volto....» Maggior offetto ebbe sul Sansovino 1'amicizia e 1'esempio del Dole3, quando fece ritorno a Venezia, ove la sanzione dello Studio bolognese gli discbiuse le porte del Palazzo. Due strade gi& si era visto dinanzi, come nel sogno lucianeo, il giovane ventenne. Nell' una la dea Temi, munita di bilance d' oro gli sciorinava per bocca di Jacopo i fasti del suo regno e i vantaggi dei suoi adoratori; nell'altra, Minerva gli si presentava composta a leggiadra gravita con una corte di poeti illustri, che il giovine aveva accostato in ispirito o in persona, e che ne dicevano le lodi; c dietro ad essi piu altri, che parevano ascoltare senza che osassero aprir bocca, fra i quali riconobbe i suoi amici vecchi e recenti: il Dolce, il Domenichi, il Doni, il Brucioli, il Ruscelli E come costoro, che pur egli animirava, mostravano certe faccie sparute e macre, e il padre lo chiamava insistentemente, egli s' incammino per la prima strada, in fondo alla quale sorgeva il Palazzo. E ne fu lusingato, in sul principio; che gli tocco, giovanissimo, 1' onore di assistere *) come collega Giulio Oradino perugino lettore di diritto civile nello studio padovano, e inanimito a secondare i desideri paterni. Egli scriveva, anzi, ali'Aretino nel '43 dedicandogli La retortca: «Gli antichi sogliono haver in proverbio ch' egli e di poco onoie, anzi di molta vergogna cagione, esser lontano dalla cognizion della cosa nella quale lo uomo continuamente con-versa. II qual proverbio avendo io bene apparato, e a tutto mio poter di metter in opra il contrario cercando, conciosia ch' il mio line debba cssere il Palazzo di cotesta Invittissima c famosa citt&, ho avuto ardire scrivendo, manifestare i segreti della Rhetorica sopra la nostra lingua materna». Ma poco appresso egli getto da banda i codici c la toga, e si mise per quella strada in cui 1' invitavano 1' esempio dei maestri, dei protettori, degli amici e in cui doveva travagliarsi e arrancare fino alla morte. Per qualche tempo egli carezzo 1' idea di cimentarsi nella grande avte, di dissetarsi anch' egli al fonte d' Ippocrene, e qualche sprazzo poetico diede, anche *) Forse non per onco dottore, che k lecito credere ciecamente nei Comentari De gymnasio patavino del Riccoboni, che dichiarano il nostro collega deli' Oradino 1' anno 1542. Nel qiial anno Francesco laseio Bologna per Venezia nei mesi tra il maržo e il gingno. molti anni piii tardi, il suo ingegno quasi inaridito da un lavorio sterile e brutale. Per non dire di certi sonetti atnorosi, d' altri a esaltazione di Filippo il Cattolico, d' Enrico III, di Maria d'Aragona, della vittoria di Eepanto; le tre satire, pub-blicate nel '60, non sono al tutto destituite di valore artistico, senza avere, pero, il brio dei capitoli giovantli. Egli stesso si persuase, del resto, — come eonfessa in una lettera autobio-grafica del suo Segretario indirizzata a Filippo ]\lagnanimi <, biava t» , • ' ,, „ che non hanno boi ovvero 1 bo ,, l1/-? ,, . l'/s »Delle quali intrade ogni n.11110 si traseiio spodi do di tVnmento per la chiesa di detto loeo s. Croee et, al quartiere del prete... «Itein og-ni Chiapo di detto loeo paga... uno Formagio al Chiariss. Capitanio... i tem ogni anno il Coinune e obbligato far una eazzia al ea-pitanio o de. Canrioli, over di Cing'hiari, et ,1 detta. eazzia il capitanio e obbligato andar šolnin con eornpagni otto, ;i (jnali il coiiiuiie e. obbligato far le spe.se... in loeo delle opere... sono obblignti a seg-av fen sul Karso o dove parerA. nI lnagnifico eapitanio... Castfum SovigMiachi Ex niargine Pro illis di Draguch clie. 17 aprili s 1">1.'I». Colla resa a Venezia, il eomune non volle pero subir danni che evenlualmente potevano pregiudicare le costumanze avite del paese; e il priiuo pensiero si fu quello di veder ga-rantiti dal nuovo governo gli antichi privilegi, che si riassu-mevan nei seguenti: 1) Privilegio ai sacerdoti della localita di poter serivere testamenti e contratti d'ogni genere; 2) immunita degli animali da qnalsiasi «fazione» (1550 sotto regg. Bembo fu cap. di Raspo); 3) costume, per cui morto il padre ab intestato i beni passavano ai masehi, eseluse le femmine; e morta la madre senza testamento succedevano le femmine, eselusi i masehi; 4) diritto di poter convocare il Consiglio ogni qualvolta le circostanze lo esigevano a tutela deli' ordine interno e a fissare «li prezzi de comestibili et a provvedere a quegli abusi clie fossero diretti a pregiudicare 1' interna economia» e di eleggersi con i soliti metodi «li Beneficiati che assister li devono nella cura spirituale*. — Aveva il Comune la giuris-dizione politica composta di 12 individui ed 1 preside scelti tra i piii onesti a pluralita di voti di questa vicinia: il loro servizio era gratuito Questa Giudicatura (Banca) costituiva un corpo equivalente alle attuali niunicipalita. A capo della Banca stava il «zuppano», il qnale pote v a giudicare negli affari civili sino a qualunque sonima c pronunziar sentenza eorreggendo «li delinquent,i nei eriminali minori* (suppl. al gov. austr. 1805. Arcli. coni.). La sentenza veniva pronunciata, presente il reo, dopo un esame verbale delle ragioni delle parti. Entro M giorni il condannato poteva ricorrere ali' auto-rita superiore, la quale esaminava di nuovo la questione. Tra-sc-orsi gli 8 giorni senza reclamo, la sentenza era ritenuta valevole e senza ultcriori disamine ne veniva realizzata l'ese-cuzione. Si aveva cosi un pronto disbrigo degli affari civili e un freno a quei sudditi, perche rispetto alle risse vocali veniva istantemente provveduto dalla Banca. Questi privilegi sicconie non individuati in origine da carta aleuna, incorainciarono coi volger degli anni c coi cam-biar di circostanze a perder il loro valore; ond'e che per essere sicuro in ogni evenienza, il zuppano Matteo Gregorovich avanzo supplica (24/IX 1758) per mano di Lodovico Belgramoni avv. tise. di Pinguente, al capitano d; Raspo, acciocche conva-lidasse i detti privilegi mediante un decreto. Dopo 2 anni, in seguito a relative informazioni favorevoli da parte del capit. di Ras])0, la Serenissinia spediva il chiesto decreto, che ripro duco interamente: Franeiscus Lauredano Dei Gratia I)ux Venetiaruni nobli et sa])ionti Virn Petro Quirino de suo mandato Cap.noo Rasiurch Fideli Dileeto salutem et dilectionis affectiim. Sin dalli 1 giug'iio 1758 il Pr.eec vostro eni.o accompagno con sue Lettere una Terminazione segnata dalla virtii sua per la conferma implo-rata dal Comune del castello di Draguch di Codesta Giurisdizione delli due privileggi goduti fin dal tempo della sua dedizione, eonsistenti nella esenzione de' propri animali cli qualunque fazione, e di pote.r giudicare le, questioni civili per ogni summa, colla riserva deli' appellazione a Cot.a nostra Carica, e a Tribunali superiori. Conosciuta giusta la Istanza si approva la Terminazione sudetta, ondc abbia da riportare la sua esecuzione. Datum in nostro Ducali Palatio Die XX Dec... MDCCLX. Girolamo Alberti segr. K da suppoire che questo Coinune, oltreche basare i suoi diritli kil speciale convenzionc, doveva aver anche una certa qual superiorita sugli altri, poiche anche i castelli di Rozzo e Colmo — punto iiifcriori per grandezza — s' erano, dopo in-fruttuose pratiche colle autorita, arbitrariamente arrogati simili privilegi, ma ne furono tantosto con formalc decisione privati. Ncl periodo susseguente alla caduta della repubblica veneta (1797), 1'at.tivita del Comune ebbe diverse interruzioni, finche nel 1812, 4/1 la nninicipalita fu di nuovo — se anche per piccolo iiitervallo — dal breve governo francese installata iiell' csercizio del'e .sue funzioni con pubbliclie pregbiere e dimostrazioni di giubilo. Fu eletto a Maire Giovanni Grozich. Per dar maggior pompa alla testa si celebrb una messa solenne col canto del »Te Deum», si accesero fuochi sulle colline cir-costanti, e alla sera si tenne nella sala comunale un pubblico ballo, che si protrasse tino alla mattina susseguente (Sudd. di Capod. Prov. Illir. decr. ol XII 1811). Dragvch, nel nettembre 1910. C. Uregorovicli. LA MADONNA DI MICH. GRIGOLETTI ALL' ESPOSIZiON E ISTRI AN A quadro ad olio Siamo lieti di presentare in zincotipia ai lettori delle Vagine la bellissiraa Virgo Veneranda, che si ammiro in una sala deli'Esposizione di CapodNtria. E opera del prof. Michelangelo Grigoletti che la lego al nipote prof. Cav. L. Schiavi. La figura di Maria —• Krnile cd alla piti che creatura — in una posa cosi modesta, illuminata da quel raggio di profonda ispiraziono religiosa che era un particolar dono del genio di Grigoletti, e piena di un delicato e suggestivo incanto e di quella dolcc virtii comunicativa che commove 1' aniraa del riguardante e gli fa dire: — Quanto e soave, quanto 6 bella! L' arraonia delle tinte, la finezza dei toni, la trasparenza delle ombre compongono uno dei piu bei temi croraatici, e Virgo Veneranda Da dipinto di M. GRIGOLETTI. dimostrano come il Grigoletti fosse un buon erede c conti-nuatore di quella meravigliosa scuola veneta che ha dato — non solo grandi colorisli — raa insuperabili luministi. II Grigoletti naeque a Pordenone nel 1801 e mori a Ve-nezia nel 1870. Fu vera men te un nobilissimo artista. Appartienc alla scuola neoelassiea — un po' troppo calunniata ai nostri giorni — ed e il piu illustre rappresentante in Italia della scuola dei Nazareni, che fa capo nell'estero ali'Overbek ed al Cornelius. Senza appartenere ufflcinlmente a quel cenacolo mise veramente in pratica quello che scriveva 1' Overbek nel suo giornale: «Solo la preghiera ininterrotta del cuore ])uo mantenere 1'entusiasmo deli'artista; soltanto una vita regolata, pura, irreprensibile puo dargli quella pacc dello spirito e del cuore che e necessaria per produrre opere veramente pure*. E in tanto decadimento deli' arte sacra, languente per mancanza di ispirazione e perche soffocata dairindustrialismo bottegaio, ci sia permesso di additare — come maestro e come auspicio — il nobilissimo esempio del Grigoletti. doti. ( elso Costantini *) Aliti lessicali snlla narlata della carauaoa istiiai. A noi cittadini, cui la vita non solo, ma sin la lingua della citta natia e un vanto, il sentir nella campagna istriana uscir di bocca alla ])0])olazione rurale certe parole e riderne di gusto, come di parole assolutamente erronee, e uso, anzi — sembra — diritto. E il parlare cittadino tanto si differenzia *) L'ab. Costantini fu allevato al sentiinento del bello artistico dal fainoso scultore veneto Dal Zotto, Pubblico le Noziont cV avte pav il Ctcro, libro adottato come testo in tutti i Seminari d' Italia, e che ora si traduce in inglese. Di lui pure ora si stampa a Firenze un' Icovoi/rafia del Croci-fisso, rieca di preg-iate vignette. Tra queste egli riporta, come esempio rappresentativo deli'arte neoelassiea, 1' aininirabile Crociflssione dipinta dal Grigoletti per la chiesa primaziale d' Ungheria. (Kota della Redazione). dal parlare cimpagnolo c tanto cntra nel complesso della vita ci vile —• ci vi lo nel senso piu sciceoso — che dal parlare d'uno si argomenta sovente, s'ei sappia 1 roppo, abbastanza o troppo poco di citta. Or dunque per chi venga dalle citta marinare deli' Istria, dove, meno che a Rovigno, risuona vago di tutta 1' innata sua civetteria il dialetto veneto, moltissime parole, usate prevalentemente ed unicamente nella cmipagna istriana, sono addirittura o cagione di ribrezzo o motivo di betfe e risa a gargana spiegata. E poiche nell'interno deli'Istria in molti luoghi gl' Italiani vivono accanto a gli Slavi, onde vi si parla promiscuamente 1' italiano e lo slavo, o piu spesso quel dialetto italo-slavo, di cui le «Pagine Istriane» di Capodistria diedero un saggio nel beli'articolo «Termini e modi di dire italiani (toscaui, veneti ecc.) usati dagli Slavi nel territorio di Al bona* '), sentenclo uno di questi vocaboli che non sono, cliro, cittadini, noi si dti senz' altro dello slavo a chi lo disse. Ricordo a proposito, che avendo io usato le vcci rero s) e vero no per rafforzare le mie affermazioni e le mie negazioni, gli amici stralunarono gli occhi e mi gittarono in faccia 1' insulto «cit-tadino*: — O che ti sei imbaatardito? •— Oonstatato il fatto, osservo tosto, a grande onore delle citta istriane, che cio deriva in gran parte dalla ammirevole gelosia che hanno i lor cittadini, di preservare da ogni corru-zione ed inquinazione il loro glorioso dialetto veneziano, quel dialetto che 6 fra i piu belli d' Italia. Percio si fa oggetto alle burle piu chiassose il parlare di coloro che dalla campagna lian trasportate le tende in citta, tanto che un ex-campagnolo (diciamolo cosi?) in brev'ora sente 1'influsso della citta e vcnezianizza le sue parole, si da parere nato e cresciuto in citta. Cio pero non toglie che i cittadini errino nel tacciar di barbare le parole di cui intendo dire. Ripeto che errano di grosso, t erche sinza tema d'essere smentito posso affermare che certe voci campagnole incriminate sono invece quanto di piu italiano anzi di piu italianamente puro possa darsi: tanto son lontane dalla barbarie di cui noi le tacciamo e tanto son lon-tane dali' essere derivate dalla lingua o dalla sintassi slava. Oh come ci inganniamo! Forse quei di campagna la sanno questa cosa e forse percio ci tengono a bada e soglion dire ') «Pag'ine Istriane«, Capodistria, anno VI (1908), nn 1-2, pg. 4-24 firinati: A. e C. ne muli ne lnulini, ne fiumi per eonfini, ne compari cittadini. Orbene, io che dali' ottobre 1903 vivo in campagna, talche mi son fatto per forza mezzo campagnolo, e vivo in cotidiano contatto con le genti cli questi paeselli, ne devo sentire di quelle che muovono davvero a riso. E veramente le prime volte ci risi, e cli buona lena. Ma il riso non duro a lungo, che messomi un di a leggere e a studiare di pi'oposito il voca-bolario, come ben a ragione suggerisce Edmondo De Amicis'), ci trovai parecchie voci, che mi fecero trasalire. — Ma le sou voci campagnole istriane queste qui! — dissi a me stesso — o come mai le usano anehe gli autori'? o come mai risuonano anehe in riva all'Arno? Ma allora io, cittadino di Parenzo, clie ci rido, che me ne spasso, che le scliifo, sono uno sciocco? Ma dunque non le son voci barbare, grette o derivate dallo slavo, ma italiane del piii bel conio! — E convenni, che il dirmi sciocco era il meno che mi potessi dire. Da una voce passai aH'altra, dalla seconda alla terza, e via via. A corredo di queste voci, presi nota di molti passi utili che rinvenni negli autori si moderni che antichi che andavo leggendo; e cosi, poco per volta, mi trovai bello e pronto il materiale di epiesto mio saggio. Detta la genesi, diro dello scopo. Esso si capisce da se. In questo saggio diinostrerd, che molte voci da noi sfuggite come la lebbra del nostro idioma sono invece italiane, pretta-mente toscane anzi; che altre voci, le quali ci sembrano roz-zamente adulterate o talora slavizzate, sono del genuino parlare arcaico, specialmente dell'aureo Trecento; ovvero sono iden-tiche a purissimi idi"tismi toscani; che altre infine le quali ci paiono derivate da modi slavi oppure ci han sembianze di modi slavi italianizzati, sono invece brillantemente italiche, talune anzi sono genuine del bel parlare c del bello serivere toscano. Ma si vedranno poi le conseguenze, che da se sole vengon dal-1'uso cli siffatte voci e che rieseono un lr.ovo bellissimo arge-mento per la originaria italianita deli' Istria. Per questa volta mi limito a poco piu di sessanta tra voci e modi, scegliendoli fra i piu frequenti. Ad altra volta il resto. l) «L'idioma gentile«, Milano, Treves, 1905, pg'. 127 e seg'g. Sappia poi il lettore, che i lessicografi i tal lani, da me con spe-ciale c ura consultati, sono fra i moderni: Pielro Fanfani, Vocabolario della Lingua Italiana (II ed.), Firenze, Le Monnier, 1865. Fanfani e Rigutini, Vocabolario Italiano della Lingua Parlata, novamente compilato da Giuseppe Rigutini, Firenze, Barbera, 1898. Policarpo PetracchNovo Dizionario Universalo della Lingua Italiana (in 2 voh), Milano, Treves, 1906. E per evitare inntili ripetizioni di nomi, citero questi autori con le sigle: F. (Fanfani); R. F. (Rigutini c Fanfani); P. (Petrocchi). Cio premesso, entro in argomento: 1. Opera. Questo vocabolo per noi cittadini equivale a fatto, come in opere buone o opere catlive, o piii comune-mente a, spettacolo teatrate in musica. In campagna opera equivale quasi unicamente a «persona che va a lavorare nel podere di uno a un tanto il giorno». Cosl un possidente vi dinV. — Ogi go trenta opere solo per colezer le sarmente. — Son sta a Piernonte in zerca de opere. — "Slo ano le opere ,re care. — Noi cittadini ce la ridiamo di quest' opere. Ri-cordo che, quando a Trieste narravo a mio zio delle nuove briglie che ci avevo in famiglia, per essere divenuto tempora-neamente possessore di terre, onde di primavera tra colazioni pranzo c cena le mie donne dovevan rosolarsi tutto il giorno al foco, per cucinar da mangiaro cinque volte al di alle opere, mi sentii ventar in viso una risata sonorissima: — O che opere ci hai — mi disse la Tosca o 1' Ernani ? — Eppure opera in questo senso č termine contadinesco prettamente toscano. Vedi F., 1035, R. F., 829 e P. II, 392. Anzi il Fanfani c il Rigutini riportano 1' esempio — Oggi ci ho rent' opere nel podere — che pare tolto dal parlare istriano. Solo c'e che in Toscana in tal senso si usa piu spesso opra che opera. Dunque navighiamo.... in piena Toscana. Cosl nella campagna istriana vivono questi altri modi del contado «pisano» — per noi ridi-coli: — Ogi rado a opera de mio cugna. — Car o mio, pitosto de perder la zornada in ozio, se va a opera. — Toni xe un'opera, che, lassemolo la, el val bezzi — per dire ch'6 ottimo lavoratore. Parra curioso che tale parola sia usata anche dagli Slavi: — lo leto opere su drage — per dire: quest'anno gli operai son čari. 2. Compagnia. In cittu compagnia equivale a piii persone riunite insieme per i loro scopi, oppure ad una associazione qualunque, religiosa, militare, eommerciale o teatrale. Nei vil-laggi la compagnia e costituita anche da due sole persone che vadan per la strada insieme; e forse con piii giustezza la cre-dono la compagnia per eceellenza, seguendo il proverbio: Compagnia de nn, compagnia de nissun; compagnia de do, compagnia de Dio; compagnia de tre, compagnia de re; compagnia de rjuatro, compagnia de diavolo. Ora, ligio a siffatta idea, salutando persone di sua conoscenza clie non sieno sole, ma abbian seco magari un bimbo, il eam-pagnolo istriano non da il «bon giorno» garbato si, ma secco, lasciando ai salutati la briga di spartirsi il saluto, ma dk il «bon giorno» al piii degno o al piii conosciuto della brigata, soggiungendo la frase: e la compagnia o con la compagnia. Anzi c'e una scala che regola i saluti nel galateo campagnolo: se tra tutti c'e il preie o il maeslro, il saluto va a un di loro; cosi, se c' e un parente o un compare, il capocomune o un ricco possidente. P. e.: Bon giorno, sior paroco, co la com pagnia. — Bon apililo, sior maeslro, e la compagnia. — Bona sera, cugnd, co la compagnia. — Noi ci si ride di questa coda «e la compagnia», e a un saluto siffatto si risponderebbe: — Ehi, compare, non son mica un eapocomico! — oppure ci si risentirebbe pensando: — Pezzo d'asino, non ho mica pi-docchi io, che mi sien di compagnia! — Eppure cjuesto qui e un modo toscano della piii pura e beli' acqua. Vedi Petrocchi, I, 526, coi. 1, che riporta 1'esempio: — Bon giorno, sor Giovanni., e la compagnia! — Notisi che anche gli Slavi usano questo modo di dire c ne hanno fatto la parola kompnnija che non e parola della lingua. slava. NelFampio vocabolario croato dei dottori Ivekovič e Broz (Zagabria, 1901), vol. I, pg. 604, coi. I, trovasi Kumpanijci, ma nell' unico signifleato tecnico di compagnia militare (die Kompagnie, certa militum turba). Onde se lo Slavo d' Istria dirA a me e ai miei amici: — Dobro jutro, gospodine, s kompanijom (= bon giorno, signore, con la compagnia), io ne godro, udendolo usare un modo che sa di toscano. (continua) Francesco liabudri. B I B LI O G R A F I A Cesare Hossi: I ca v ti di Cividale; Trieste, Giovanni Balestra, 1910. Por chi, oltre il diletto estetieo, cerca nella poesia un riposo o, meglio aneora, una eonsolazione dello spirito, i versi di Cesare Rossi dovrehbero avere il pregio delle eose perfette; cosi bene essi sanno scen-dere al cuore, bearlo della loro musica, placarlo della loro carezza, col-niarlo tutto quanto come di una mite sensazione di benessere e di tran-qiiillit;\. Da che cio V Anzi tutto dalla stessa intinia natura deli'arte di Cesare Rossi. II qnale ha della poesia un alto, aevero e, direinmo quasi, classico concetto, e non suoi dare espressione e sfog'o al suo sentimento se non quando ed a quel modo che gli detta dentro il cuore: un cuore mosso dai piu delieati e nobili palpiti, amante d' ogni bello, innnmorato d' ogni vero, entnsiasta d' og-ni giusto. Ne fa di bisogno conoscere perso-nalniente e praticare Cesare Rossi per accertarsi d' un tanto: basta leggere i suoi versi, ne' quali egli mette tutto se stesso, con una siucerita e. un abbandono che ogg-i sono fuori di moda, ma che non eessano percio d' essere uno de' piu legittimi vauti della sua elevatissima e purissima arte. Cesare Rossi ha oramai, come si dice, nel suo attivo, parecchi non perituri volutni di versi, ed il suo nome e quello di un maestro che non si discute ma si animira, si imita e si accoglie nelle antologie. Con tutto cio egli non riposa sugli allori. Mille volte piu solerte ecl attivo di t ari ti e tanti giovani, quasi Miinualmente egli arricchisce il nostro patrimonio letterario di qualche nuova gemnia. E non e a eredere ch'egli ripeta o stemperi se stesso: 1'ispirazione in lui e sempre fresca e nuova, lo stile brili,-tn e, il verso perfetto. Anzi, se mai, il Rossi va tuttavia crescendo tinitczza e perfezione ai prodotti deli'arte sua; cosi che e a ritenere egli non abbia forse ancora toccato 1' apice di cio che e destinato a potere il suo forte ingegno. Ma la lode maggiore che si possa tributare a Cesare Rossi e certo qnella di non essersi lasciato trasportar mai dalla corrente dei tempi e d1 aver sempre mirato, piu che a dilettare, a eommuovere, serbando fede ineoncussa alle tradizioni migliori della poesia nostra. Cio premesso, eccoci all'eleg'ante e lindo volumetto che ci sta dinanzi e raceoglie quelli che il poeta, dali' ultima fonte della sua ispirazione, volle battezzare I canti di Cividale. Conoscete 1'alto FriuliV 1'alto Friuli serrato tutt'intorno d a gli az-zurri vertiginosi culmini deli' alpe, intersecato i floridi colti dalla cheta tremolante onda smeraldina de' fimni che ancor serbano il jirisco sonante nome latino? Quel bellissimo cantuccio d' Italia ha trovato in Cesare Rossi un cantore appassionato che, intuitane appieno, per forza d' afletto, 1' oe-culta anima, con semplice ma efficace magistero d' arte sa tutto rievocarlo ne' lisici aspetti e nelle gloriose memorie. Son versi a volte marradiana-mente melodiosi e scorrevoli, a volte paseolianamente idillici e freschi, sempre insuperabilmente torniti c levigati. Ecco Cividale: Strette ove passan rumorosi e lenti I carri del contado, atnpi cortili Fioriti d' oleandri, e eampanili Sonanti ore e preghiere a' freschi venti; Tra le persiane pallidi profili Di doiine fise con begli oechi ardenti, E tra '1 bel verde ville erme tacenti E lungo il Hume easolari umili; E motiti intorno, e monti ancora, e in fondo Monti sfumanti nell' azzurro, quasi La si chiudesse il termine del monde ; ecco il tempietto longobardo di Cividale, Dove tanto evo sta nell' ombra accolto Tra i freschi e i marmi delle nutra i g'mi de; eceo il Natisone (si noti 1' opportuno eangiamento di inetro): Vien da i monti lento e piano Nel fulgor meridiano II Na tiso azznrro e verde ; E 1' accesa fantasia, Che 1' antica storia spia, Via con lui si volve e perde; ecco Rualis e i suoi platani su cui alta pende La luna di settembrc e tutto bagna Di latteo candore onde risplende L' erma cainpagna. Languon nell' aria 1' ultime campane, E trapungono i veli della sera Le risonanze trepide e loutane Della preghiera. I coutadini col cappello in mano Davanti i carri carichi di fieno Mi salutano e i bovi han nell' uinnno Occhio il sereno. p] mi perdo cosi Jungo il filare De' platani con un tido pensiero Sin dove dorme nell' albor lunare II eimitero; ecco anche le friulane Luininose di sol verdi colline Tutte sonanti di pispigli e trilli ... Ne, di tra le placide e un po' malinconiche visioni friulane, ristanno dal far capolino qua e la, magistralmente fermate a larghi c saldi tocchi sintetici, non appena 1' aucensione fantastica del poeta si libri a piu ampio volo e renda, a dir cosi, piu universale ii canto, alcune classiche figure deli' arte e della storia. Ora ci e dinanzi improvvisa Beatriee bella Cui ridon si che non si puo ridire Gli occhi di steila : E vien con lei la vaga d' Avignone Ch' ha su le trecce ancor nembi di flori E vivi spira ali' itala canz ne Lampi ed amori; ora c' imbattiamo nel Leopardi, Grande anima anelante ali'infinito ; ora seorgiamo (veramente seorgiamo) Safl'o, d' amore poetessa ardente, Che di sidereo vel tutta s' ammanta, E aneor da 1' erma a chi la intende e seute Leueade eanta; che e anche una strofe di meraviglioso inovimento ritmico, una di quelle strofe che paiono la misura stessa della perfezione e restano indelebili nella ineinoria. Se 11011 che, liei Canti di Cividale, oltre la celebrazione della uatura e la commemorazione del passato. v' ha la esaltazione deli' amicizia. A Cividale di fatti Cesarc Rossi e legato anche dali' ospitale cortesia dei Butti, nobile fainiglia di pittrici e letterate. Abbiamo detto e e dovevamo dir ora, giacche la morte ha largainente mietuto fra quelle brave e buone persone; per modo che la famiglia e ormai ridotta a un'unica superstite. E' dunque piu d'una volta anche triste il verso del Rossi; triste d'una calma e rassegnata tristezza chc impronta di se pur il mondo csterioro e la chiudere con un singhioz/.o il libro al poeta : O Adele, i monti vegliano custodi, Gl' itali inouti che tu tanto aniavi, E le campane che tu piu non odi Suonano gravi. Pallida e trista la campagna taco. Sbigottiti gli augei piegano 1' ale, E la tua donne ricomposta in pace Spoglia mortale. Ahi, nella villa che mi fu si cara Sovra il Natiso, treinulo di pianto Guizza e si spegne a pie della tua bara L' ultiino canto. Metricamente, i Canti di Cividale sono per lo piu brevi odi e sonetli; forme che il Rossi predilige e maneggia in modo veramente insuperabile. Si leggano, se i nostri elogi sembrano troppi, le Huenti quartine di A la notle, ia forte saffica Sul ponte di Premariacco, i sonetti bellissimi Da porta San Giovavni, Madonna di settembre e Castel del Monte; il quale ultiino poi ci par opera tanto squisita e perfetta che non possiamo tare a meno di riprodurlo qui per intero: O santuario che nel eiel turchino Ermo biancheggi a sommo la boscaglia, O vegli fosco tra la nuvolaglia. Quasi a stornare il temporal vicino ; Tu non sai quante volte io pellegrino, Cosi 1' intenzione oggi mi vaglia, Nel tempestar deli' intima battaglia Volea dirti segreto il mio destino. A te il cuore sali, non il mio piede, Ed io rima si a vagheggiar la meta Solo a Je falde tue con la mia fede. Tutta cosl la vita mia deserta: Figlio, fratello, cittadin, poeta, Miro a la vetta e resto a mezzo 1' erta. No, o nostro gentile c generoso poeta: non a mezzo 1'erta sei tu rimasto! L'alta cima che arrideva sfolgorante a' tuoi piu puri sogui di cittadino e di poeta, tu 1' hai raggiunta, ed ora inciti paterno di lassu i tardi e gli svogliati col tno canto e col tuo esempio. Possa la tu« voce essere ascoltata, la tua orma ; eguita! (i. tj. Elda Gianelli : Filippo Zamboni ; Roma, tipografia editrice romana; 1910. E, per ripetere la trita trase, e veramente prezzo deli' opera segna-lare ali' attenzione dei puhlico questo opuscolctto in cui Elda Gianelli ristampa un articolo suo gia apparso nel Fanfulla della Domenica (a. XXXII, n. 26) e commemorativo di Filippo Zamboni, il nostro illustre scomparso del maggio scorso: articolo che, ne' suoi non ampi limiti, e un assai felice schizzo biografico. Assai felice per due ragioni : per cono-scenza intitna c vera di cio che fu la vita e 1' opera del poeta di Koma nel mille e per commossa evidenza stilistica. Non mai pero 1' affetto fa velo agli occhi della Gianelli. Ella vede chiaro, giusto, imparziale; e ([uanto vede, nobilmente c vivacemente espone, trasciuando e persuadendo il lettore, dal quale questo unico lagno ])uo essere espresso : che la bella prosa sia troppo breve. Vorra la illustre poetessa triestina allargarla e compierla? Ci sia lecito augurarci un tanto. G. <). NOTIZIE E PLBBLICAZIONI. Per iniziativa della nostra rivista s' e coslituito a Capodistria un comitato per la tbndazione d' un imisco storico-artistico. Presidente del comitato e il prof. Francesco Majer. Nel pros-simo numero daremo ragguagli dettagliati. & Degli articoli pubblicati nelle dispense V-VII degli Atti del B. Istltuto veneto iuteresseranno i nost i lettori specialmente: X. Tamassia, I filosofi goti deli' anonimo ravennate. — V. Crescini, Nuove postille al trattato amoroso d' Andrea cappellano. — II. Bragi, Un parere di Sc. Maffei intorno allo studio di Padova sui principi del 700. — E. Teza, II breviario della chiesa armena. G. Biadego, Pisanus 1'ictor. Nota IV. — G. H. De Toni, Spigolature aldrovandiane. — 1'. S. Leicht, Troctingi c paraninfl nel matrimonio longobardo. & Atti della i. r. Accademia (legli Agiati di Rovereto 1910 fasc. 2: Attilio Štefani, Tartini, Dissertazione su la «Ricerca del vero principio deli'armonia*. — Gnido /Sun t ko, II Concetto di Progresso nella Storia nell' eta eristiana. Gioaechino Da Fiore. & Bollettino storieo piacentino, 1910 fasc. 3-4: Mario Častila, Del-1' antico nome cli Firenzuola. — S. F., II fortunato rinvenimento di un quadro di valore. -— Carlo Zancaui, La Cappella quattrocentesca di S. Caterina in Castellai-quato. — G. P. Clerici, Intorno a undici lettere ine-dite del Botta a G. B. Maggi e a Gius. Poggi. — Cho Caversazzi, Uri roinanzo spirituale ignorato del secolo XVI. — S. F., Un anoniino poeta piacentino del trecento. — D., Artisti piacentini ehe decorarono il Teatro Farne,se di Parma. — /)., La scoperta di un antico nrasaico a Bobbio. * Atti e Memorie della R. Aceademia Virgiliana di Kantova, 1910 N. 5: C. Pascal, II mondo infernale nell'antica commedia attica. ^ L'Arcliigiiuiasio. Bologna, 1910 N. 4: E. Orioli, II primo periodico stampato a Bologna. * Della collezione Maylander La Venezia Giulia e la Dalmazia sono useiti altri due vohuni: «Pirano« del dott. Attilio Tama.ro e «Trieste> di Silvio Benco. E uscito il primo vohune dei Monunienti (li storia Humana: Sil-vino Gigante, Statuti eoncessi al coinune di Fiume da Ferdinando I nel 1530. iS Per 1' inaugurazione del nuovo palazzo del comune il Municipio di Parenzo pubblico un bellissimo volume contenente: Gius. Picciola, Prefazione. — Dott. A. Pogatschnig, Dalle origini sino ali' imperatore Giustiniano. — F. Babudri, Parenzo nella storia ecclesiastica. — Dott. Bernardo Bcnussi, Parenzo nell' evo medio e moderno. — Ugo Inchiostri, II diritto statutario di Parenzo. — F. Salata, L'uItimo secolo. & Del saggio bibliograflco che Bruno Emmert pubblico nel L Sup-pleniento di Pro Cnltnra su Antonio Gazzoletti si parlera in un altro numero. « II nostro collaboratore Avgelico Prati pubblico qualc secondo supplemento della valorosa Pro Cnltnra interessanti Ilicerche di topono-mastica trentina. * Bollcttino Araldico. Venezia 1910: pag. 50 sgg. Dott. F. Madi-razza, II re, d'armi di Trau. — Pag. 53: O. Dndav, Nobilta e lavoro. — Pag. 61 : Cronaca delle famiglie di Verona. ^ Ki vi sta Dalmaticf. Anno V, fasc. 1: Dott. G. Tenti, Tounnaseo e Cardncci. — 1*. Miagostovich, Per una cronaca sebenicese. — V. Bru-nelli, Scrittori di cose dalmate, inediti o poco noti (Historia Fcclesiae Jadrensis avctore Valerio Ponte arehidiaeono). — L. Bmcvenia, La chiesa di S. Francesco- di Zara. — Cav. Riecardo de Erco, Documenti che si rite-riscono alla pešca in Dalmazia a' tempi della veneta repubblica. — V. Brunelli, Appunti bibliograflci. Libnrnia. Anno IX, N. 4-5: Emilio Marcuzzi, Capodistria. — La Soeieta Alpina delle Ghilie sul Monte Maggiore e a Fiume. * Rendiconti del R. Istilnto Lombardo. Milano 1910, fasc. XIV: Egidio Gorra, Origini, spiriti o forme della poesia amorosa di Provenza secondo le piu recenti indagini. Coltura e Lavoro. Treviso 1910, n. 9: Ah. Humor, Due lettere di G. Cardncci a G. Zanella. % Eiiiporium. Bergamo, settembre 1910: Oscar Ulm, Arte e storia veneziana nell' Istria. Per mancanza di spazio rimandiamo varie altre notizie al prossim numero. Giui.ia.no Tesrari editore e redattore responsabile. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodistria.