/ GRANDE ILLUSTRAZIONE D E fi LOMBARDO-VENETO ossia STORIA DELLE CITTA, DEI BORGHI, COMUNI, CASTELLI, ECC. FINO AI TEMPI MODERIVI PER CURA T)I CESARE CANTÙ E D'ALTRI LETTERATI VOLUME SECONDO MILANO PRESSO CORONA E CAIMf EDITOR! Contrada di S. Antonio N. 4006. 185S 116024 Tip. Guglielmmi. — Proprietà letteraria. AL CONTE E CAVALIERE ALESSANDRO MARCELLO PODESTÀ DI VENEZIA CHE LA GLORIA DEGLI AVI RINNOVA CON OPERE DI SAPIENZA CIVILE E CON MENTE FERMA ALLA TEMPESTA E ALLA BONACCIA GLI EDITORI DELLA GRANDE ILLUSTRAZIONE DEL LOMBARDO-VENETO DEDICANO LA STORIA DELLA CITTA CHE MOLTO A LUI DEVE E MOLTISSIMO NE SPERA. STORIA m VENEZIA DEL CAV. CESARE CANTO PIANTA DI VENEZIA a Darsena novissima f|b dell'arsenal nuovo c Canal delle galeazze e conserva quorcie d Darsena cieli'arsenal vecchio e La Colemia f Isola e deposito dei legnami g Campo dulie galeazze h Parco delle palle i Officine e depositi diversi : piazzale campagne k Fonderie 1 Officine m (ìasometri i Piazza san Marco Campo san Stefano 3 I Frari 4 S. Nicolò da Tolentino 5 S. Andrea. Tabacchi i S. Maria maggiore 7 S. Geremia. Galleria Manfrina 8 S. Giobbe. Le Convertite 9 S. Caterina. Liceo 10 II SS. Giovanni e Paolo. Ospedale Civile 12 S. Pietro di Castello. Caserma de' mari naj 13 S. Anna, già collegio di marina 14 S. Giuseppe. Le Salesiane 15 Dogana. S. Giorgio maggiore 16 Ospizio delle zitelle f 17 Casa di correzione 18 S. Cosmo della Zuecoa. Caserma, ÌPua£a,jdeiiaJlott messe il comando; esenti da dazj, tasse d'arti e mestieri, imposte, nep-pur se fosse per lo scavo de'canali interni della città. Giunti a sessantanni, aveano il privilegio di comprare ad un prezzo detcrminato il pesce che veniva dall'Istria, e venderlo al pubblico mercato; stavano in ispocialprotezione del dogo e della magistratura delle Rason vecchie, che trattava le loro quislioni. Il venerdì santo offrivano al doge ottanta pesci chiamati passero, del poso d'una libbra ciascuno: all'Ascensione regalavano alla dogaressa una borsa con cinque ducati in rame, affinchè la si comprasse un par di pianelle. Quando il doge uscisse alle funzioni nella barca dorata , lo accompagnavano in una peota i principali dell'isola di Poveglia, sonando le trombe; nella solennità dell'Ascensione precedeano il bucintoro che andava a sposare il mare, faceano ala sulla destra del ponto per cui il doge vi saliva, e poteano prenderlo per la mano e baciargliela. La domenica seguente a quella feste, i loro]capi, guidati dal cappellano che cernivasi dalle famiglie originarie, entravano nell'appartamento del doge, professandogli l'antica devozione, e chiedendogli continuasse a proleggerli e ne mantenesse i privilegi, e gli baciavano la mano e la guancia, poi erano da esso banchettati con servizio d'argento, e poteano portarsene i rilievi della mensa, olire il regalo di molte confetture e di un garofano. Tutto ciò dovea rammentar un merito tanto raro, qual è la fedeltà al grande dopo caduto. Altra avventura poetica. Le città della costa illirica appartenevano esse pure all'impero greco, che, come solea nei paesi lontani, le lasciava armarsi e amministrarsi da sé, Pericolosa ne divenne la condiziono al rinforzarsi dei Croati e d'altre genti slave nella Dalmazia, tra cui principalmente i Narentini si erano buttati al pirata. Dal paese ove ora ingrandisco Trieste, essi tribolavano il commercio de'Veneziani; avventurandosi fin tra lo loro isolo'; e tentarono impresa audacissima (935). Il giorno della Candclara solcansi benedir le nozze di cospicue fanciulle veneziano nella maggior chiesa a Castello, con corredo d'allegria e dì ricchezze. I pirati postisi in agguato, assalsero i festanti, e rapirono le sposo o i doni. Scoppiò il dolore universale; ma il doge Pier Candiano, il cui padre ora morto osteggiandoli, incoraggiò a far piuttosto vendetta, e armate alla presta quanto navi potè del quartiere di S. Maria Formosa, raggiunse i rapitori nelle lagune di Caorlo, e ricuperò le donne e il bottino. Per vendetta e riparo si portò guerra a morte ai corsari dell' Istria : 1 Comuni illirici collcgatisi per esterminarli, chiesero di sottomettersi alla repubblica veneta, giurandole omaggio, c di marciare sotto lo sue bandiere^ Una flotta poderosa andò a ricevere l'omaggio della storica Pola, di Parenzo, Trieste, Capodislria, Pirano, e delle altre città litorane; poi di Zara in Dalmazia e delle terre fina Ragusi e delle isole: Cùrzola e Lésina, alleale e ricovero de'Narentini, furono sterminate. La feudalità metter radice non poteva dove non s' avea territorio : Tallo clero ccrnivasi sempre tra i nobili, onde s'evitavano gli urti di quello conquesti; il doge nominava il primicerio e i capellani della basilica ; popolo e clero continuavano ad eleggere i vescovi; i quali ricevendo il soldo dallo Slato, restavan alieni dalle pretensioni feudali dei prelati del continente. L'essere san Marco sinonimo dello Stato, dava a questo un aspetto religioso ; il servigio pubblico non importava soggezione ad al-lr'uomo, ma un obbligo verso quel santo; e più d'un doge depose il corno per finire in un monastero la vita logorata a servire san Marco ; fra' quali Pietro Orseolo che lasciò a cento chiese e luoghi pii onde far nflìzj per l'anima sua. Miri dogi cercavano trasmetter ereditariamente l'autorità coli'associarsi il figliuolo. Così fece Pier Candiano HI ; ma il figlio congiurò contro ili lui, clic ne morì di crepacuore. Il popolo elesse quel figlio (039), che si mo • strò crudele nell'interno, prode e potente all'esterno, destreggiando cogli imperatori d'Oriente e d'Occidente; proibì ai Veneziani di trafficare di schiavi coi Saraceni, nò di portar lotterò a Costantinopoli se non passando per Venezia; ricco di beni e di servi, avuti in dote da Gualdrada, sorella del doviziosissimo Ugo marchese di Toscana, per difender quelli assoldò bande straniere ; e inorgoglito del costoro appoggio , tolse a trattare con alterigia la nobiltà veneta e attaccar lite coi vicini ; prese un castello de' Ferraresi, fece devastare Oderzo ; finché i Veneziani, perduta pazienza, lo assalsero* ed appiccarono fuoco al palazzo ducale. La fiamma si dilatò alle chiese di San (Marco, San Teodoro, Santa Maria Zobonigo e a più di trecento case ; e il doge restò trucidato con un suo fanciullo. Gli sollentrò Pietro Orseolo I (97G), d'insigne pietà , -che attento a restaurare i danni, rifece il palazzo e la basilica Marciana; zelò la giustizia; intanto moltiplicava atti di austera penitenza; poi segretamente passato in Francia, visse da frate, e morto, obbe onori di santo. Anche Vitale Candiano suo successore (978), dopo brevissimo comando, si chiuse in una badia, e così Tribuno Memmo (979) succedutogli. Sotto di questo primamente entrò la peste delle fazioni, rompendo a contesa coi nomi beffardi di Caloprini e Morosini, che significano Striscianti e Mezzimatti : e i primi per ottenere il dogato e nuocere agli avversi offerirono all'imperatore Ottone II d'insignorirlo di Venezia. Il Memmo punì gli istigatori col diroccarne le case. Ottone bloccò Venezia, ma i suoi successori le diedero il privilegio pel sale e pel pesce marinato. 1 Caloprini, a mediazione dell' imperatrice Adelaide ottennero perdono ORIGINE 17 e giurata sicurezza ; ma poco poi, i tre figliuoli di Stefano Caloprino in gondola furono trucidati dai Morosini; sangue che chiamò sangue. Pietro Orscolo II (991) ampliò la potenza dello Stato; spedi ambascerie ai Saracini, dominanti sulle coste d'Asia e d'Africa; ottenne nuovi mercati da Ottone III e dal vescovo di Treviso ; compi il palazzo ducale e la basilica; trovò occasione di sottomettere le città marittime della Dalmazia sottrattesi ai Croati. I terribili incendj di cui pati, diedero modo a Venezia di sfoggiare le sue ricchezze con fabbriche solido e belle, le quali, compite allorché non aveva nò miniere nò bestiame nò vino od altra produzione, attestano il prosperar de1 suoi traffici. In fatto, cresciute le navi per tutela e commercio, Venezia si trovò donna del Mediterraneo, e le costituzioni e leggi dirizzava ad alta prosperità mercantile, allettando i forestieri con privilegi, sicurezza, buona moneta, pronta giustizia. Il doge poteva sulle prime essere mercante, e in alcuni trattati si trova stipulata esenzione di gabelle per le merci di lui; poi fu stanziato che, assumendo il corno ducale, liquidasse i suoi conti. La politica di Venezia si limitava al Levante, e durava l'uso che i dogi chiedessero la bolla d'oro in segno d'investitura dagli imperatori di Costantinopoli. Coi quali ebber talvolta guerra, poi ottennero buon accordo e vantaggi commerciali, e la cessione delle città di Dalmazia e d'Istria; col che ebbero resa legale la dominazione che già vi esercitavano. Parenzo, Pola, Auserò, Veglia, Arbe, Traù, Spalatro, Cùrzola, Lésina, Ragusi ed altre, conservando proprj statuti, riceveano il podestà da Venezia ; e il titolo di duca dì Dalmazia per misericordia di Dio fu aggiunto a quello del doge. ■ Questo godeva terre, decime, pesche, caccie, vestire ricchissimo, gran treno di servi; in chiesa udiva cantar le sue lodi; egli insediava i prelati, in qualità di diacono benediva il popolo, dava l'avocazia delle chiese °*el dominio, giudicava liti o spediva messi a giudicarle ; ma da un canto era frenato dall'aristocrazia, dall'altro dal popolo, ancora mobile e rivoltoso. E questo eleggeva il doge, ma già dodici volte l'elezione era caduta su figli di doge ancor vivo; laonde era a temere non si riducesse ereditaria quella dignità, come avveniva delle feudali sul continente. E però ottone Orseolo succeduto a Pietro (1108) fu espulso dal popolo, e si provvide che il doge non potesse associarsi verun congiunto, nè designar il successore; inoltre non deliberasse se non unitamente a due tribuni : poi gli si tolse la nomina de' giudici, istituendo il Magistrato del Proprio. Illustra*, del L V. Vol. II. 3 FI. Crociate. — Formazione del Governo. — Aristocrazia. e crociate, imprese nelle quali si lungamente si« esercitò lo zelo di tutta Europa per liberare Terrasanta dai Musulmani, voi comprendete che Venezia doveva riguardarle meno come entusiasmo che come speculazione. Lievemente partecipò alla prima , ma quando dall' espugnata Ge-rusalmme (1099) vide Genovesi e Pisani tornar carichi di preda, ne volle parte, ed affrontatili, ne battè e depredò la flotta. Però a Domenico Michtel che, divenuto doge (1118), chiedeva la solita bolla d'oro in segno d'investitura, P imperatore di Oriente non solo la negò, ma fe sequestrare tutti i legni della repubblica. Mal per lui: che il doge, colla Bitta che dianzi avea vinto i Musulmani (1123), malmenò l'isola di Rodi, e dettò la pace. Ducento navi venete colarono a fondo la flotta Egizia, e appro- CROCIATE 19 i dato in Siria, patteggiarono coi crociati di soccorrerli, purché in ogni città acquistata ottenessero un quartiere franco, una chiesa, bagno, forno, tribunale proprio, oltre un terzo della città di Tiro contro cui moveano assalto. La presero in fatto, capitanati da Vitale Michiel II, che ricusò d'esservi re ; in una sola campagna San Marco fece maggiori acquisti che Pisa e Genova in molt' anni ; e si assicurò un quartiere indipendente in ciascuna città del regno di Gerusalemme. Avendo poi 1' imperatore Manuele Comneno assalite a tradimento e predate le navi, la plebe chiese tumultuosamente guerra contro PImpero, e il doge Vitale Michiel fu costretto allestire in cento giorni cento galee di 140 remiganti oltre i combattenti: ma le arti dell'imperatore e la peste sfasciarono quell'armamento (1171). Colà perì tutta la famiglia Giustiniani, e un frate che unico ne sopravvivea fu dispensato dai voti, e sposata Anna Michiel figlia del doge, ne generò figli, poi ed esso e lei si chiusero in un chiostro e divennero santi. Sole 17 navi tornarono, e trassero in patria la peste; onde la plebe incolpò della guerra il doge, che dianzi incolpava del non volerla, e lo trucidò (1172). Già nove dogi erano stati deposti, altrettanti costretti abdicare ; sei uccisi. Come prevenir le sommosse ? col restringer i potori del capo dello Stato. Adunare tutti i cittadini all'arrengo dopo tanto cresciuti, era impossibile; onde si pensò a una rappresentanza, da ciascun sestiere scegliendo due elettori annui, che uniti eleggessero 480 persone; maggior consiglio, depositario della sovranità che nominasse lutti gli uffìzj, persino i proprj eiettori. Il popolo non convocavasi più se non nei casi che tutti dovessero concorrere ad alcuni pesi, e votare per acclamazione. I dogi allora, sempre più ristretti di poteri nel governo interiore, volgcansi piuttosto alle cose esterno; e il robusto Enrico Dandolo (1193) ampliò la possa di Venezia in Levante, cercando farla prevalere a Genova e Pisa: e poiché, dopo le conquiste de'Latini, minor necessità sentivasi di blandir gP imperatori d' Oriente, venne a rissa con essi : e tanto più che il Dandolo da queir imperatore era stato personalmente offeso. Menlr'egli dogava, i signori di Francia mandarono a Venezia per chiedere navi di trasporto e ajuto ad una nuova crociata (1201). Il Dandolo diodo volonteroso ascolto ad essi, e gì' invitò ad espor la loro domanda al popolo in San Marco. Ed essi a ginocchio esponeano e pregavano : « Da- • teci navi per trasportare 4500 cavalli, 20 mila fanti, provigioni per nove « mesi, ricevendo in compenso 85 mila marchi ; e se armerete cinquanta ■ galee, vi cederemo metà delle conquiste. Non v' ò che i Francesi che * sian potenti in terra, e i Veneziani in mare ». II popolo assentì .cogli applausi, e viepiù quando il doge, benché nonagenario, promise di mettersi egli slesso a capo dell1 impresa. La quale i Veneziani ebber P arte di voltare a proprio vantaggio. Perocché con quell' armata, la migliore che mai avesse solcato l'Adriatico, cominciarono a prender Trieste e spezzare le catene di Zara, due emule di San Marco. Quivi arrivò il figlio dell' imperatore di Costantinopoli detronizzato e accecato, supplicando lo ajutassero a ricuperare il trono, e prometteva tutti gli ajuti ad agevolar il conquisto di Terrasanta. Invano il papa e i prudenti dissuadeano da una guerra che non era santa ; i politici la vedeano opportuna, sicché drizzaronsi al Bosforo, dopo non lieve resistenza espugnarono la seconda Roma; e da che mondo ò mondo, non s'era visto mai più pingue bottino. I Veneziani aveano proposto di ricomprar tutte quelle prede; invece furono abbandonate ai soldati che ne fecero strazio; si ruppero e depredarono i monumenti e le reliquie, non men che Poro della capitale del mondo romano. A sei elettori veneziani ed altrettanti ecclesiastici francesi fu commessa la scelta d' un imperatore, e cadeva sul vecchio Dandolo; ma esso preferì rimaner capo della gloriosa conquistatrice, anziché esporre Venezia al pericolo di divenir colonia della sua vinta. Quel mal sicuro diadema fu cinto a Baldovino di Fiandra ; e Venezia ottenne tre degli otto quartieri di Costantinopoli e un quarto e mezzo dell'impero, cioè la maggior parte del Peloponneso e le isole dell'Arcipelago, Egina, Corcira, la costa orientale dell'Adriatico, quella della Propontide c «lei Mar Nero, le rive dell' Ebro e del Varda, le terre marittime della Tessaglia, altri paesi coprenti 7 in 8000 leghe quadrate, con 7 in 8 milioni di sudditi, e una catena di banchi, estesi da Ragusa al Ponte Eusino. Anche le chiese di Costantinopoli furono partite tra Franchi e Veneziani, e assunto a patriarca Tommaso Morosini. I Veneziani accasati a Costantinopoli aveano amministrazione elettiva e giudizj e finanze proprie, benché il podestà e i magistrati venisser da Venezia, e dipendessero dal doge, che colà e nelle altre colonie mante- i Ecco l'alto della sommessionc: L'anno del Signore 1202, li giorni avanti la fin d'ottobre, indizione sesta, nella città di Trieste. II signor nostro Enrico Dandolo, per grazia di Dio doge di Venezia, Dalmazia, Croazia che in servizio della cristianità andava oltremare con gran moltitudine di navi, galee, usseri (navi di trasporto) e soldati, il giorno dopo uscito da Venezia approdò a Pirano. E noi di Trieste, che avevam perduto la grazia sua , mandammo de' migliori cittadini, cioè Vitale gastaldo e Pietro giudice ed altri, che per volontà di tulli i cittadini, noi e la terra nostra e i beni tutti facesse sudditi alla sua potenza; e giurassero obbedir tutti i comandi del signor doge : e così giurarono, e noi ricevemmo in città il doge, e ci sottomettemmo alla potenza e signoria sua. Faremo servigio, come le altre terre dell'Istria; prenderemo i pirati da Rovignoin giù, e presi li consegneremo al Ogni anno gli pagheremo 50 orne del miglior vino pretto dei nostro territorio, portandolo a nostre spese alla riva del palazzo ducale la festa di S. Martino. SIGNORIA IN LEVANTE 21 neva quella sovranità che gli si sminuiva nella metropoli, ne traeva danaro, faceasi corteggiare dai nobili che ambivano quelle lucrose cariche, e che speravano farvi acquisti, come ad altre famiglie era riuscito. Perocché la Repubblica, non ismaniosa di conquiste che avrebbe avute a difendere piuttosto che a godere, le abbandonò a' suoi nobili, concedendo che ciascuno potesse con armi proprie sottomettere le isole greche e le citta delle coste, sol ricevendole come feudo dalla repubblica. Pertanto i Sanuto fondarono il ducato di Nasso, i Navagero quel di Lemno : i Michiel il principato di Geo, i Dandolo quello d' Andros, i Ghisi quel di Teo, Mi-cone, Soiros, altri le signorie di Lesbo e Metelino, Focea, Enos, le contee di Zante, Corfù, Cefalonia, il ducato di Durazzo : i Vicari fondarono quel di Gallipoli nel Ghersoneso Tracio : altri paesi furono conceduti in feudo a stranieri. Tutti prestavano giuramento, tributo e sussidio in guerra ; davano traffico privilegiato ai Veneziani, e indipendenza e governo proprio : talché Venezia assicuravasi una dominazione scarica di cure, e facile a conservare mediante le flotte. Essa comprò poi Candia, eh' era più importante al traffico che Costantinopoli, e fu regolata con maggior cura, trapiantandovi 540 famiglie della metropoli, con a capo un doge biennale, eletto dal maggior consiglio di Venezia, assistito da due consiglieri superiori e da altri magistrali : molto occupati nel tener in freno quella popolazione incostante e avversa agli stranieri. Splendidissimo momento, ma più d1 apparenza che di utililà ; troppa gente dai traffici sviossi alle lusinghiere conquiste che poco doveano durare; coir abbatter Costantinopoli si indicava la via perla quale giungerebbero i Musulmani ; i possessi destarono contro Venezia gelosie, dibattute sanguinosamente nei mari di Levante e ne1 nostri. Moltissime memorie hanno attacco alle spedizioni crociate. Da Venezia so-leano prender imbarco i pellegrini per Terrasanta , i quali aveano licenza di girare la città con croci e gonfaloni; uffiziali apposta, detti Tolmazzi, gli assisteano per gli alloggi, le compre, i noli del tragitto : e nelle processioni poteano apparire accanto ad un patrizio che cedeva loro la destra, ed erano regalati d'un cero. I devoti ne riportavano reliquie, onde si ebber da Chio il corpo di sant'Isidoro, da Cefalonia san Donato, da Costantinopoli il protomartire, san Pantaleone, san Giacomo ed altre onde sono principalmente ricchi San Giorgio e San Marco: la pietra dell'altare del battistero di questo viene dai santi luoghi; Santa Maria Nuova di Gerusalemme, fu edificata a persuasione di Gregorio IX, per ricordo d'una dello stesso titolo che allora i Musulmani aveano occupata. I Michiel portavano sopra una fascia d' argento monete .d' oro, perchè il doge Domenico Michiel, essendogli venuto meno il danaro alla crociata, pagò con pezzi di cuojo, che al ritorno cambiò in sonanti. Marin Sanuto il vecchio viaggiò cinque volte noli' India perchè s* accórse che ivi e nell1 Egitto consistea la possa de1 Musulmani, poi nei Secreta Fidelium crucis (1321) die contezza de' paesi da lui veduti, e propose una crociata, divisando i modi degli armamenti, delle navi, de1 pedoni, e la spesa di li milioni; e mentre ravviva lo spirito delle crociate mostrandole ed utili e possibili, cerca vantaggiarne Venezia sua, di cui det' esser la flotta, e i cui marinaj crede soli capaci di guidar le navi tra i bassi canali del Nilo, Espose il suo divisamento a tutte le repubbliche e i principi, ma non trovò ascolto: che il concetto del ricupero di Terrasanta era perito innanzi ad interessi più vicini. Però quel movimento degli spiriti e delle turbe invogliò a maggiori libertà, e fu allora che si costituirono i Comuni in Lombardia e ne' paesi di terraferma che poi spettarono a Venezia, ai quali sarà certamente valso assai l'esempio di questa città, prosperante in governo di repubblica. Perchè non si sottraessero affatto dalla dipendenza degli imperatori germanici, Ecdorico Barbarossa scese a guerreggiarle e distrusse Milano (1162), ma presto si trovò incontro la lega Lombarda (Vedi Vol, I, pač 77). Venezia diede favore a questa, e quando Federico minacciò punirla piantando le aquile vincitrici in faccia a San Marco, risposero alla bravata armando 75 galee, con cui sbarattarono la flotta ausiliaria di lui, e ne fecero prigione il figliuolo. Federico desiderò la pace, e venne a chiederla in Venezia ad Alessandro III che vi si era ricoverato, o lo pitture fin ad oggi rammentano quell'atto, aggiungendo che il pontefice pose il piede sulla testa del Barbarossa, proferendo il versetto del salmo, « Sopra l'aspide e il basilisco passeggerai ». . Vuoisi pure che in quell' occasione il papa cingesse al doge la spada d'oro, e gli desse un anello dicendo: « Il mare vi sia sottomesso come « al marito la moglie, poiché colle vittorie ne acquistaste il dominio ». Di qui la solennità dell' Assensa, quando il doge, troneggiando nel suntuoso bucentoro, usciva dal porto di Lido per gettar un anello in maro, dicendo: « Ti sposiamo, o mare, in sogno di vero e perpetuo dominio ». La pace di Costanza consolidò l'indipendenza delle repubbliche italiane che d' allora si costituirono ed ordinarono, ma che ben presto vennero a risse interne e a conflitti tra vicini, di che profittarono i signorotti per usurparsene la dominazione. E già la terraferma era ciuffata da un'infinità di tirannelli, quali erano i Calepi, i Suardi, i Calini, i Martinengo, i Fenaroli attorno al lago d'Iseo ; i Pelavicini e i Secchi nel Cremonese; gli Estensi e i Carrara nel Padovano; nel Vicentino e nella Marca trevisana i Collalto, i Camino, i Tempesta, i Da Romano, i Capodilista , i Camposanpiero ; nel Veronese i Montecchi, i Sanbonifazio, gli Scaligeri; i Gavelli nel Polesine di Rovigo, e combatteano contro i popoli e fan FORMAZIONE DEL GOVERNO 23 coir altro, senza che Venezia se ne desse briga. Principalmente erano venuti in gran potenza i Signori Estensi ; ma contro di loro si elevò Ezelino da Romano, che fattosi signore del Trevisano, del Padovano, del Bassa-nese, vi esercitava crudeltà e prepotenze, storicamente esecrate. Contro questo nemico degli uomini fu bandita la croce in nome di Dio (4250), e i Veneziani la presero cogli altri, e tolseroPadova, e riuscirono a veder morto Pimmanissimo tiranno, poi nella rócca di San Zenone presero suo fratello Alberico, e spietatamente P uccisero con tutta la famiglia (4260). Come mai Venezia potè andar salva dalle commozioni del continente, e conservar la libertà quando gli altri Comuni cadeano sotto la tirannia? — Lo dovette alla costituzione che poco a poco sviluppò; ma non la guardino coloro che si propongono un tipo ideale, e a quello foggiar vogliono 1 governi e ì paesi. Ormai non v1 è più chi se no ricordi di vista; per esserne informato, pigliale alcuno di quo''pochissimi che studiano la storia seriamente, non riponendo il patriotismo nella misera boria di tutto lodare o tutto discolpare; ma colla lealtà del cercare e la franchezza delP esporre il vero e il solo vero. Pregatelo a dirvi con brevità qual fosse il governo di Veneziana Posposizione sia da voi a lui, altrimenti quanti vi ascoltano, o (pianti vi leggono, suggeriranno un'emenda, una rettificazione , un chiarimento, da non finir più : oltre quegli sgarbati che vi getteranno in faccia un « Non è vero — È un ignorante — È un calunniatore *; frasi troppo consuete, e che voi capite quanto giovino a chiarire materie, su ciascuna delle quali v' è tante opinioni quante sulP iscrizione dei leoni dclParscnalo. QuelPuom sincero e senza pretensione d'infallibilità potrà dunque dirvi che il doge ne'primi sei secoli era scelto .dal popolo; dopo il 1473 da undici elettori; dopo il 4478 il maggior consiglio cerniva quattro commissari, ciascun de'quali nominava dieci elettori, cresciuti poi a quarantuno nel 4249. Cosi durò fin al 4268, quando, per cansare il broglio, s'introdusse una bizzarra complicazione. I membri d' esso consiglio mettcansi a squittinio con palle di cera, trenta delle quali chiudevano Una cartolina iscritta elector: dei nove cui toccavano le fortunate, due venivano esclusi, gli altri designavano quaranta elettori, i quali col metodo stesso riduceansi a dodici. Il primo di essi ne eleggeva tre, due gli altri, e questi venticinque doveano essere confermati da nove voti ; coi quali ridotti a nove, ciascuno doveva indicarne cinque, e tutti i quarantacinque ottenere almeno sette voti. I primi otto tra questi ne cappavano quattro ciascheduno, e tre i tre ultimi; onde risultavano quaranta elettori, che messi ai voti, doveano riportare almeno nove delle undici palle. Se un elettore nel maggior consiglio non conseguisse l'assoluta maggioranza, restava escluso, e gli undici dovevano surrogarne un altro. Così cinque ballottazioni e cinque scrutinj producevan quarantun elettori. Di botto erano chiusi in una sala, come si fa de1 cardinali nel conclave, finche non avessero nominato il doge ; trattati splendidamente ; liberi di chiedere qualunque capriccio, ma quel che uno domandasse era dato a tutti. Per esempio, uno volle un rosario, e se ne recarono quarantino; un altro le favole d'Esopo, e si durò faticaa trovarne altrettanti esemplari. Gli elettori nominavano tre presidenti priori; indi due segre-tarj che restassero chiusi con essi. Allora per ordine d'età venivano chiamati innanzi ai priori, e ciascuno di proprio pugno scriveva sopra una scheda il nome del proposto, che dovea aver compiuti trent' anni, ed appartenere al maggior consiglio. Un segretario, tratto a sorte uno di que' viglictti, ne pubblicava il nome, e ciascuno potea fare gli appunti che credesse. Passati che fosser tutti in rassegna, mandavasi ai voti, e sortiva doge quel che ne conseguisse almeno venticinque. A questo modo fu eletto per la prima volta Lorenzo Tiepolo *. Il doge eletto era condotto pomposamente in San Marco, sul pulpito di marmo a destra del coro mostravasi al popolo: e ascoltata la messa solenne , dava il giuramento, e dal primicerio della basilica era presentato dello stendardo della repubblica, e vestito del manto ducale : allora sedeva in un pozzetto di legno, ed era portato dagli arsenalotti in giro alla piazza, tenendosi accanto due bacili, dai quali gettava danari al popolo. In cima alla scala de' giganti ricevea, di man del più giovane consigliere, il corno ducale, che dopo il 1473 fu tutto d'oro, poi nel GOO valeva ccncinquantamila ducati e custodivasi nel tesoro di San Marco; traen-dosi solo per la coronazione e per la visita alla chiesa di San Zaccaria. 2 Tale complicazione, di cui il lettore non avrà potuto formarsi un chiaro concetto, esprimevasi coi seguenti versi: Trenta elegge el consegio, De'quai nove hano ci megio: Questi eleggon quaranta, Ma chi più in lor se vanta Son dodese, che farlo Venticinque ; ma stano De' questi soli nove, Che fan con le lor prove Quarantacinque a ponto: De' quali, ondese in conto Eleggon quarantuno, Che chiusi tuli in uno Con venticinque almeno Voti, fano el sereno Principe, che coregge Statuti, ordine e legge. È nolo che le palle si estraevano e contavano non colla mano, ma con una bacchetta. IL DOGE 25 Era condotto poi nella sala del piovego, nella quale doveva poi esser esposto morto; indi nel gran salone faceva un discorso alla nobiltà, e finivasi con un banchetto agli elettori. Adunque i dogi non erano più eletti per voto universale; giuravano osservare i doveri a loro prescritti nella promission dogale, la quale veniva sformata ad ogni vacanza, sempre più restringendola, in modo che venne ad essere quasi una rinunzia a tutte le antiche prerogative. Sin dal 1229 fu prefisso che, qualora sci del minor consiglio fossero d'accordo coi più del maggiore nel chieder che abdicasse, egli non potrebbe ricusare. Il doge rappresentava, non operava ; meno ancora di quei re d' oggi, che regnano non governano. Niuna risoluzione poteva prendere se non con sei consiglieri (collegiello), ogni quattro mesi datigli dal senato, uno per sestiere, i quali aprivano fin le lettere dirette ad esso, e le rimettevano Per lo spaccio a' diversi ufficj. Aveano essi voto pari col dogo, col quale costituivano la Serenissima Signoria che faceva proposte nel maggior consiglio. In casi più scabrosi essa pregava alcuni prudenti elio lo desser parere ; e da qui nacquero i pregadi, cioè il senato di 60, eletti dal Maggior consiglio. Con tal forma, cominciata sotto Jacopo Ticpolo, i nobili Sl trovarono partecipi del governo. Sullo moneto imprimevasi il nonio del doge, ma non V effigie nò lo stemma 3 ; in nome suo scriveansi le credenziali, ma non le firmava esso ; gli editti portavano il serenissimo principe fa sapere, vale a dire eh'e' non era se non promulgatore dello leggi; i regali mandatigli da principi spettavano alla repubblica ; non doveva accettar benefizj dalla curia romana, non potea comandar le armi se non con espressa licenza ; e dopo morte tre correttori e cinque consiglieri ne sottopo-neano gli atti a severo sindacalo : come non potea sollecitar la dignità, cos'i non abdicarvi ; non uscir di Venezia senza permissione, e uscitone trattavasi come un privato. Non avea guardie, ma i servi proprj, gli scudieri e 50 uscieri o comandadori ; il cavalier del doge, vestito di rosso, che introducea gli ambasciadori : il gaslaldo del doge vestito di violaceo assisteva alle esecuzioni criminali, e ne dava il segnale col fazzoletto. I Pregadi, secondo il decreto del 1229, doveano essere eletti dal maggior consiglio e durare un anno: gli affari commessi a loro, crebbero a misura che scemava V autorità del doge : avendo la spedizione di ambasciadori ai principi esteri, il commercio, le commissioni ai castellani o provedi- 3 Lo zecchino fu balluto primamente nel 1284, e conservò sempre la rozza impronta primitiva del doge che ricevo inginocchiato lo stendardo da san Marco , colla barbara a devola iscrizione SU libi Christe datus quem tu regis iste ducatus. All'entrar del secolo XV Venezia coniava all'anno un milione di zecchini. Illustraz. del L. V. Vol. II. 4 dori, infine tutti gli affari politici e della guerra. Bisognò dunque aggiungerne altri venti, scelti fra quei che di fresco eran tornati da ambascerie o da governi, i quali aggiunti si elevarono poi a sessanta. Le loro deliberazioni, detti decreti, equivaleano a leggi, nò gli avogadori poteano esaminarle od intrometterle se non davanti al senato stesso. Le molte corti, che giudicavano dapprima in ciascuna delle isole, furono riunite in un-1 alta corte criminale (Quaranlia) che giudicava collegialmente. Dovendo pronunziar dei casi di stato, acquistò attribuzioni politiche, qual collegio intermedio fra la Signoria e il maggior consiglio; e ventilava le proposizioni di quella, prima di esporle a questo. I tre capi della Quarentia di-venner poi membri perpetui della Signoria, alla quale, ovvero ai quaranta, il maggior consiglio affidava 1' esecuzione de' suoi decreti. Un cancellier gronde, scelto da case cittadine non nobili, custodiva il suggello dello stato, assisteva al maggior consiglio e a tutte le solennità ; fin ottantamila ducati 1' anno traeva dalle propine, e appena al doge cedeva in dignità, essendo anch' egli inamovibile. Il primo esempio non in Italia soltanto, ma al mondo, di un pubblico ministero per le accuse ò V Avogaria del Comune, che si fa risalire fin al secolo IX, e certo precedette il 1293. I tre avogadori, specie di tribuni del popolo, avevano autorità di agire e decider nelle controversie tra il fìsco e i privati, « di procurare il profitto e V onore di Venezia, accudire all'erario e alle rendite dello stato che da altri fossero detenute, citando il detentorc ai tribunali, e astringendo i debitori al pagamento »: dappoi ebbero incarico di far osservare tutte le leggi; portavano le cause ai tribunali competenti: faccansi accusatori de' rei, qualunque fossero, nò i parenti proprj risparmiando 4: vegliavano al buon ordine, tenendo i registri di nascita do' nobili ; e col veto poteano sospender per un mese e un giorno gli atti di qualunque magistratura, se non fosse del corpo sovrano. Il governo comunale delle singole isolo era foggiato alla greca, con scuole di mestieri e con tribuni proprj : i quali poi si ridussero a ga-staldi o massaj, applicati all' interna amministrazione. In esse scuole di rado ammottoasi qualche forestiere, sicché gli originar] rimanevano distinti dai nuovi popolani, e soli partecipavano al governo. Gli antichi nobili, molto influenti in questi Comuni, coi quali si consideravano quasi identificati, acquistavano da ciò molta potenza. Le famiglio venete non traevano grandezza dai possessi, come quelle 4 Marin Sanuto, nei Diarj al 14 maggio 1500, riferisce che « Ser Andrea Moroxini era avvogador : suo liol per aver basa ona dona e toltoli uno zojelo fu menato in pregadi ; e lui puhlice diceva: ttnpicheto, lajeli la testa; e cussi fu condannato ». SERRAR DEL MAGGIOR CONSIGLIO 27 del continente, bensì dal discender dai primi abitatori, o dalle sostenute magistrature, o dall'esscrsi arricchite col commercio : sicchò non erano ozianti o minacciose, bensì attente al governo, e legate alla plèbe dal padronato. Vedendo però nella crociata i nobili francesi despoti sopra gl'ignobili, no presero I- aria; e giacché neppur il doge aveva più interesse a carezzar la plebe annichilata, pensarono a risaldarc la loro aristocrazia. Le gelosie di Genova contro Venezia pei possessi in Levante prorom-peano ad ogni piccola occasione. Un Veneziano batte un ragazzo genovese ; i Genovesi l'hanno per pubblico oltraggio, e assalito il quartiere de'Veneti in Acri, ultimo ricovero de'Crociati, feriscono, fugano; a Genova gridasi di volerne una vendetta che mai non sia obliata: le donne olirono le loro doti per compirla; le pulcelle ricusano mariti e dote, purché ricevano teste di Veneziani. Più volte ne furono insanguinate 'e terre ed i mari : poi rottasi aperta guerra , a Curzola fa sdruscita (1293) la flotta veneta, e 1' ammiraglio si uccise per dispetto. Venezia non tardò a rifarsi; e dopo reciproci danni si conchiuso una pace perpetua, che ogni capitano di nave dovea giurare prima di metter alla vela. Ne'gravi emergenti prevale sempre l'aristocrazia, che dee sostener i maggiori posi, e può offrire i modi di salvezza: oltreché la patria quando e in pericolo, non può abbandonarsi ai mareggi della mutabil onda popolare. Pertanto il doge Pier Gradcnigo propose che i giudici della Qua-rentia non esaminassero se i membri delle famiglie allora sedenti nel maggior consiglio dovessero venir rieletti, bensì se meritassero d'esser esclusi: laonde, ballottati quei che ne'quattro ultimi anni v'erano seduti, sì confermarono in posto, e formarono i cinquecento del maggior consiglio. Cosi i'elezione di questo corpo sovrano non spettò più al popolo, ma al tribunal criminale; e proibendosi d'ammettervi gente nuova, restò costituita una nobiltà privilegiata ereditaria. Tal è il senso del famoso serrar del maggior consiglio. Anche case nobilissime si trovarono escluso, per l'accidente che nessuno di esse era seduto in quel quadriennio. Chi possedeva le qualità richieste, a venticinque anni era registrato dalla Quarentia, e così entrava al consiglio sovrano. Stabilita l'aristocrazia, solo ai vantaggi di questa badò il maggior consiglio, ammutolendo fin l'opposizione degli avogadori. Ne restò malcontento non il popolo, al quale si attribuiscono o sentimenti e atti da cui ò alieno : bensì la nobiltà esclusa ; e mancando di legali vie, ricorse alle trame. Era il tempo che Venezia, avendo favorito un bastardo di Azzo d'Este che cercava il dominio di Ferrara, contro il figlio legittimo sostenuto da papa Clemente V, questo la colpì d'una scomunica, che le persone e i beni de' Veneziani abbandonava a chiunque gli assalisse. Ne sofferser immensamente ne' paesi forestieri, poi sotto Ferrara la loro flotta, comandata da Marco Querino, fu disfatta. Allora il popolo a fremere e indignarsi, e i malcontenti a profittarne. Bajamonte Tiepolo, il cui padre era stato escluso dal dogato in competenza col Gradenigo, s1 intese con altre famiglie di primaria nobiltà, quali i Badoero, i Querini, i Barbaro, i Mafl'ei, i Barozzi, i Vendelini, e tramarono d' occupar la repubblica, e ripristinare V annua elezione. Ma al primo scoppiar della sommossa, il doge (13 giugno 1310) aduna gli arsenalotti in piazza; si combatte per le vie; una donna getta un mortajo dalla finestra che colpisce il portainsegna degli insorgenti, i quali vanno in fuga, o son esi-gliali e uccisi, ed abbattuti i loro palazzi. D" una delle tre più antiche famiglie di Venezia era Marin Faliero doge ; uom violento, desideroso di principare come i signorotti d'Italia, e più invelenito perdio, avendo già vecchio sposata una giovinetta, si credette offeso e beffato da Michele Steno, un dei tre capi della Qua-rentia ; e non potendo ottenerne vendetta, cospirò con persona di basso slato, che insussurato il popolo contro gli aristocratici, proposero di trucidarli. Ma scoperta l'ordita, il Faliero fu decapitati), (17 aprile 1355), alla forca i complici, al popolo ribadite locatene, circondato il doge di sempre più gelose cautele, a segno che non potette più ricevere lettere da forestieri, nò carte da sudditi se non presente il suo consiglio; non rispondere tampoco sì e no; non permettere che alcuno gli piegasse il ginocchio o baciasse la mano ; non soffrire altro titolo che di messer lo doge, non posseder feudo o beni fuor del ducato, non imparentarsi con stranieri, nò dare impiego a verun suo stipendiato. A questo decorato pupillo rivedeansi ogni mese i conti ; e se avesse alcun debito, gli si ritonea del soldo : non dovea spender più di mille lire il mese per ricever forestieri ; nel primo semestre comprarsi un vestito di broccato d'oro; nò egli o la moglie o itigli accettare verun regalo: anzi i tigli e nipoti suoi non poteano tener uffizio o benefizio o dignità, nò sedere in verun consiglio eccetto il maggiore e ne'prcgadi, ove pure non aveano voce. Due pagine erano bastate alla promission ducale di Enrico Dandolo, cui aggiungendosi sempre maggiori restrizioni, fin a preveder il caso che « per qualche bisogno conferente alla sua salute » dovesse uscir dall'adunanza, no risultò un grosso volume, com'era quella proposta all'ultimo doge. Pari gelosia estendevasi su tutti i nobili : non doveano sposare straniero, non aver funzioni pubbliche di fuori, non servir principe o stato estero in guerra o in pace, nè tampoco possedere sulla terraferma, sin quando Venezia non la acquistò : il generale degli eserciti era sempre un forestiero, vigilato da provedidori scelti fra i patrizj. FALIENO. CONSIGLIO DEI DIECI 29 E'sui nobili principalmente vigilava il consiglio dei dieci. Era una commissione straordinaria , eletta al tempo della congiura di Bajamonte con poteri estesissimi; ma col protrarre e concatenare i processi seppe rendersi necessaria, tanto da divenir parte integrante della costituzione. Gomponeasi del doge, sei consiglieri ducali, e i Dieci, tutti con voce deliberativa, I Dieci duravano un anno, e sol dopo un altro poteano esser rieletti ; no-minavansi pochi per volta dal maggior consiglio, e durante quella magistratura non poteano tener altro offizio , od accettar stipendio o premio, pena la testa. Era tra gli obblighi loro il visitar le prigioni, riferire dei processi pendenti, sollecitarne la spedizione. Le denunzie segrete, che si deponevano nelle famigerate bocche dei leoni, quando fossero anonime non aveano corso, se pur non concernessero casi di stato: e voleansi cinque sosti dei voti'per procedere dietro di esse: quando firmate, vi volea quattro quinti dei voti perchè vi si desse corso : usavansi esame e prove, nel che si procedeva coi modi fieri che l'età comportava. Delle loro ordinanze tendono le più a reprimere i nobili con procedura compendiosa ; sul popolo esercitavano l'alta polizia, sui falsatori di giojc e moneto, sui giuochi, sulle feste , sulle maschere, sulle gondole , sulle spie: di lor competenza erano i trattati più secreti, gli affari non civili concernenti il clero, le grandi confraternite, i boschi; co'loro decreti obbligavano il senato, e fino il maggior consiglio; disponevano dell'erario ; davano le istruzioni ad ambasciadori, generali, governatori; modificavano la promission ducale. Concentrati cosi la direzione ed i poteri, crebbe autorità e forza al governo; nò persone o famiglie poterono usurpar la sovranità, come avveniva nel resto d'Italia ; ma ogni potere, esercitato da un corpo non responsabile e non appellabile, deve cader negli eccessi : una procedura, dove non erano leggi pubbliche nò pene prefisse, dove i testimonj non erano confrontati, nè tampoco nominati, privava d' ogni garanzia la società e l'individuo, schiudeva il campo alla perfida delazione e al pagato spionaggio, stabiliva il despotismo per conservar il governo, come avviene dove l'uomo, essere vero, soffrente e godente, vien sa-grificato all'essere astratto che chiamasi stato o repubblica. Sta bene l'esigere che un governo sia all'altezza della civiltà del suo tempo, ma e ingiustizia pretenderne di più: e riprovandogli abusi, vuoisi però riflettere che i Dieci dopo un anno ricadeano sotto le leggi comuni, e avrebbero potuto esser chiamati a render ragione di una commessa ingiustizia ; la loro unione non era legale se non vi assistesse un avogador del Comune, il quale potea sospendere 1' esecuzione ; anzi ordinariamente v' erano presenti da cinquanta a sessanta persone, tolte dai principali dello stato : segreti, faceansi i processi, ma scritti ; all' accusato non negavasi un difensore; poi il maggior consiglio poteva e modificare e di struggere i Dieci col non rinnovare le nomine. Nel 1454 questo consiglio scelse tre inquisitori di stato; dne neri dal proprio seno, e un rosso dai consiglieri del doge, che, questo per otto mesi, quelli per un anno incoassero i processi, ed esercitassero 1' alta polizia sopra qualunque persona, neppur eccettuali i Dieci : in unione con questi potevano disporre della cassa pubblica senza render conto, o punire di morto pubblica o secreta. Di tal passo venne a formarsi quel consiglio, per cui tanto fu accusata Venezia: certo con ingiustizia, chi lo paragoni ai tempi : ma il secol nostro, che è secolo £' esagerazioni, pretese di rimpatlo non solo purgarlo, ma lodarlo, somigliando a colui che ora fa vedere i Pozzi di Venezia, c v' assicura che vi si stava come in paradiso, che del resto quelle orride buche non servivano se non pei prevenuti ; e tosto che il reo fosse condannato, metteasi sopra una sedia, poi un laccio, poi in mare, senza che penasse. La consolidata aristocrazia , dedicatasi alla politica , vi acquistò tanta abilità, quanta i signori feudali nelle armi, o si cattivò l'opinione in modo, che questa si mise in coda al potere, anziché a contrapposto. Non venendo da origine feudale, i nobili non ebbero privilegio di fòro, a tutti essendo comuni lo leggi dal doge sin all' infimo gondoliero. Le ricchezze cercavano crescere con traffici in paesi lontani o con ricchi matrimoni w. Tra le famiglie nobili non correva legale distinzione , nè tampoco di primogenitura, non titoli, non abito diverso : pure distinguevansi le case vecchie anteriori all' 800 dalle aggregate posteriormente" le quali prevalsero a segno che, dal 1450 al 1012, nessun dogo fu scelto fra le vecchie. Alcune si assicurarono i posti migliori e una clientela fra' patrizj poveri, col che diedero scacco al maggior consiglio deliberante, e trassero al senato la nomina o almeno la presentazione alle cariche principali; poi dal senato stesso recarono ogni cosa al collegio e infine agli inquisitori ; del qual passo un tribunale divenne il governo, mercè di quel suo potere senza limiti e senza appello. Solo più tardi, nel secolo che l'indipendenza italiana periva, si compilò il libro d' oro (31 agosto 1506), titolo impreteribile di nobiltà; e al- S Dai dodici tribuni che elesser il primo doge credeansi discendere i Gonlarini, Mo-rosini, Badoari, Tiepolo, Michiel, Sanudo, Gradenigo , Memmo, Falier, Dandolo, Polani, Barozzi. Quattro altre, insiem colle predette, nell'810 sottoscrissero fatto di fondazione della badia di San Giorgio Maggiore: ed erano Giustiniani, Corner, Bragadini, Bembo. Paragonavano le prime, ai Vi apostoli, le altre ai A evangelisti. Vi si aggregarono i Queruli, i Dolimi, i Soranzo, i Zorzi, i Marcello, anteriori tutti d'assai alla serrata del maggior consiglio. Nella guerra di Chioggia ottennero la nobiltà i Calzoni, Condulmer, Zuslo, Nani, Trevisan, Cicogna, Vendramin. L'ARISTOCRAZfA. LIBRO D'ORO ol entrarono i malanni dell' aristocrazia , primogeniture, fedecomessi , esclusione de1 matrimoni men nobili, e dietro a ciò lo sprecare in lusso, e ville e fabbriche e neghittosità costose, e far sentirò la propria superiorità alla plebe e ai nobili minori. Perocché tra (fucili n1 avea di poveri, inabili al dispendioso onore degli impieghi, e dalla chiesa di Santa Barnaba attorno a cui abitavano, diceansi Barnabotti. Coli1 arroganza di sovrani reclamavano quel che i comunisti d' oggi intitolano diritto al lavoro, e lo Slato dovea soddisfarvi col mantener cariche superflue e stipendj inutili. Zavorra della repubblica, petulanti verso i popolani, striscianti coi grandi da cui buscavano danari e pranzi, o a cui vendeano i voli, menavano intrighi, sollecitavano cause , corrompeano giudici ; e poiché aveano voto nel maggior consiglio, essi eh' erano i più, vi prevaleano e bisognava comprarli. DÌ qui il broglio, che faceasi sotto Io procuralio e nel cortile del palazzo °, dove nobili ricchi e nobili poveri scialacquavano inchini e baciamani; dove il giovane arrivalo all'età legale era presentato da dodici compari ; dove gli aspiranti a dignità comparivano in atto supplichevole, colla stola sul braccio, menandosi dietro parenti e amici neh' atto stesso, e sollecitando voti. Il popolo dapprima divideasi in convicini e clienti, che potremmo dire ottimati e plebei : serralo il maggior consiglio, gli esclusi formarono un tor-r< ordine detto do' cittadini originar}, a distinzione dei cittadini d' acquisto, perocché la cittadinanza era od originaria o conceduta. L'originaria richiedeva nascita in Venezia, legittimità di natali, civiltà degli ascendenti. Per tre gradi, e loro onorcvolezza, cioè che non avessero esercitalo arto meccanica. Questi soli potoano fare il commercio marittimo sotto la bandiera di san Marco, e diventare cancellieri ducali: per altre cariche e Per esser notajo, scrivano o simili, bastava che uno fosse nato legittimo , a Venezia, e non avesse esercitato arte meccanica, nò esso nè il padre. Per grazia si diveniva cittadini de inlus o de extra. I primi eran capaci di miportanli ministeri nella repubblica, c d' applicarsi ad arti anche principali; gli altri potean navigare e negoziar come Veneziani negli scali del commercio veneto. Ora si allargò or si ristrinse la facilità di ottener la cttadinanza 7. II commercio rimaneva tulio ai cittadini, escludendone i nobili che avrebbero potuto sopraffarò. * Le numerose leggi contro il broglio furono compendiato in quella del 16!)7 , che v'eta qualunque preghiera , maneggio , conventicola per favorir un'elezione; la permutazione di voli ecc. ; i magistrati entrando doveano giurare di far osservar questa legge, e uscendo d'averla fatta osservare. Ma l'effetto fu icarsó. Net Museo Correr è, in 300 volumi non senza lacune, la raccolta di tutte le leggi interne di Venezia, distinte per data e per magistrati, per opera dell'avvocato fiscale Alessandro Priuli. Qual ricco materiale per chi volesse far lui, anziché criticare ciò che fan gli altri 1 7 Marco Fkrro, Dizionario del diritto comune o veneto. Plebe restavano gli artigiani, i mercanti, i medici e la robusta corporazione degli arsenalotti. Le armi affidavansi a mercenari" e sudditi, talché neppure quella carriera aprivasi al Veneziano. Chiunque abitasse Venezia arieggiava un pocolino (li sovranità ; eppure il popolo era talmente escluso da ogni autorità che, quando eragli presentato il doge dopo eletto, non gli si chiedeva « Vi piace? » ma 1' anziano degli elettori diceva: « So che vi piacerà »; il giuramento, che prima prcsta-vasegli dal sindaco quadriennale di ciascun quartiere, fu prestato dal doge dei Nicolotti, cioè dal capo de1 pescatori, il quale era eletto dai pescatori, e confermato dal doge dicendogli: « Siò bon pare de questa famegia, e ossequioso alla pubblica maestà ; se cosi farò , ve sarò sempre protettore, o vi assisterò nelle occasioni. » Una sola volta, nel 1676, quando fu eletto Giovanni Sagredo a succedere al fratello Nicolò, il popolo cominciò a gridare, No, non lo volemo ; e per quanto si adoprasse prima la persuasione, poi la forza, il popolo empiva la piazza colle grida di Non lo volemo, e fu necessario procedere ad un' altra elezione. Del resto il popolo era docile, amava la città come cosa propria, e i capi di essa come genitori ; alla legge conformavansi lo volontà, e nessun sacrifizio pesava per la sua conservazione. Della nullità erano compensati i cittadini colla sicurezza individuale, coli' assicurata prosperità del commercio, colPattenzionc che adopravasi a farli star bene mediante l'abbondanza di vettovaglie, la portentosa ricchezza di stabilimenti caritatevoli, le profusioni dei monasteri, de' conventi, delle confraternite. Quell'aristocrazia fu tutt'altro che tiranna, e il popolo ne deplorò la caduta, e ancora la rimpiange ; caricò se stessa di pesi, e ricordò che non lede tanto il potere, quanto il modo con cui venga esercitato. I patrizj teneansi ben affetti i popolani non solo col patronato e colla ricchezza, ma coll'aver ciascuno tra questi il compare, giacche i loro figli non poteano esser levati al sacro fonte che da plebei. I quali profondeano inchini e adulazioni alle eccellenze, obbedivano al minimo cenno d'un magistrato; sicché invoce di gendarmi e sbirraglia, i^ solo comparire del Messer grande, bargello colla mazza e con un zecchino infisso nel berretto, manteneva l'ordine nelle maggiori folle. La fiacca docilità ispirata dal sentimento della dipendenza vuoisi però distinguere da quella pulizia che cerca sedurre ma senza bassezze : e bassezza ò il venerar il danaro, agognar godimenti e aspettarli da altri, anzi che voler procacciarseli cogli onorevoli sudori ; e in servigi bassi e avvilenti rinnegar la dignità. I sudditi erano trattati male, come servi in Levante, come inferiori nella terraferma, non uguagliando mai la loro nobiltà alla cittadina, né dandole via d' entrare fra questa : i magistrati che vi si mandavano erano CITTADINI piuttosto molli che tirannici ; ma poco si badava al miglioramento dei paesi. Il governo stesso della città e del ducato, vaio a dire delle isole e dèi poco litorale tra le foci del Musone e dell'Adige, era diretto alla conservazione non al progresso, nò a quelle riforme che ò necessario far in tempo, se vogliano provenirsi i radicali sovvertimenti. Fra il tempestar continuo delle altre provincie d'Italia, Venezia stette quieta ; con un' aristocrazia accorta e ricca , con un popolo soddisfatto e gaudente ; ma 1' uomo non vive di solo pane, e il faticoso compito delle generazioni è di educarsi, di procedere, di raggiungere quell'eguaglianza, per cui nessuno scntesi inferiore ad altri se non per merito, di sostituir la giustizia e l'equità alla ragione di stato che soffoga 1' attività personale, e non soffre che alcuno si segnali. In somma chi aveva le apparenze e i simboli del potere non ne aveva la sostanza; chi n'avea la sostanza conservavala per breve tempo: aver bisogno di tutti, aver paura di tutti eran i due vincoli del civile consorzio, addolciti dalla quantità delle famiglie patrizie, dalla eguaglianza fra esse, dallo spavento d' una spada superiore a tutti. Como in ogni aristocrazia, appariva nel governo veneto una politica tradizionale, non fuorviata da personali passioni ; una costanza che non s frange sotto le avversità; un'economia più savia quanto erano maggiori lo ricchezze pubbliche; soprattutto la massima direttiva che il secreto è anima de'governi. Vi mancavano però que'lanci di cuore che fan amare un popolo, la generosità verso i vinti, le aspirazioni che non si valutano a danaro, e, per attribuir al passato i concetti del tempo nostro, l'intendimento nazionale, giacché or difese i popoli liberi, or gli oppresse, or parteggiò coi nostri, ora con forestieri secondo le convenienze. Uustraz. dei /,. V. Vol. II. DOGI DI VENEZIA- Paoluccio Anafeslo , primo Tribuno Mommo . . . 979 doge .... 697 o 712 Pietro Orseolo II . . . 991 Aureo Marcello Tegalliano 717 Ottone Orseolo .... 1008 Orso Partecipazio Ipato 1. 72G Pietro Centranico . . . 102G Mtteitti de' inditi . . 737- -742 Orso Orseolo patriarca, nell'as Teodato Ipato .... 742 senza del predetto Galla Gaulo..... 755 Domenico Flabanico . . 1032 Domenico Monegario . . 75G Domenico Contarmi . . 1043 Maurizio Galbajo . . . 704 Domenico Silvio . . . 1071 Giovanni Galbajo . . . 787 Vitale Faliero .... 1084 804 Vitale Michiol .... 109G Angelo Partecipazio . . 811 Ordolafo Falier . . . 1102 Giustiniano Partecipazio . 827 Domenico Michiel . . . 1118 Giovanni Partecipazio . . 820 Pietro Polano .... 1130 Pietro Tradonico (o Grade- Domenico Morosini . . 1148 nigo )...... 83G Vitale Michiel II . . . 115G Giovanni (figliò e collega) Sebastiano Ziani . . . 1172 Orso Partecipazio . . . 881 Orio Mastropicroo Malipiero 1179 Pietro (fratello, collega) Enrico Dandolo ..... 1192 Giovanni Partecipazio. . 881 Pietro Ziani..... 1205 Pietro Candiano (o Sanudo) 887 Giacomo Tiepolo . . . 1229 Domenico Tribuno (da alcuni) Marin Morosini .... 1249 Pietro Badoero tribuno . 888 Renier Zeno..... 1252 Orso Partecipazio II . . 912 Lorenzo Tiepolo . . . 1208 Pietro Candiano II. . . 932 Jacopo Contarini . . . 12-5 Pietro Partecipazio ( o Ba- Giovanni Dandolo . . . 1279 doero)...... 939 Pietro Gradenigo . . . 1289 Pietro Candiano III 2 . . 942 Marino Z orzi .... 1311 Pietro Candiano IV . . 959 Giovanni Soranzo . . . 1312 Pietro Orseolo .... 97G Francesco Dandolo . . . 1328 Vitale Candiano .... 978 Bartolomeo Gradenigo . . 1339 1 Questo titolo gli fu conferito dall'imperator Leone.'c divenne cognome di famiglia, li cognome del precedente vorrebbesi stiracchiare da De Galliano perchè egli ebbe una missione a Clotario II. Si sa però che questo non era gallo, ma franco. 2 Fin qui la serie comune dei dogi varia da quella data dalla Cronaca Altinato e da Marlin da Canale. DOGI 35 Andrea Dandolo . . . 1343 Pasquale Cicogna . . . 1585 Marin Faliero . . . . 1354 Marin Grimani .... 1595 Giovanni Gradenigo . 1355 Leonardo Donato . . . 1006 Giovanni Delfino . . . 1356 Marcantonio Mommo . . 1612 Lorenzo Gelsi . . , . 1361 Giovanni Bembo . . . 1615 Marco Corner . . . . 1365 Nicolò Donato , . ' . 1618 Andrea Contarini . . . 1367 Antonio Priuli .... 1618 Michele Morosini . . . 1382 Francesco Contarini . . 1623 Antonio Vcnicr . . . . 1382 Giovanni Cornaro . . . 1625 Michele Steno . . . . 1300 Nicolò Contarini . . . 1630 Tommaso Mocenigo , 1414 Francesco Erizzo . . . 1632 Francesco Foscari . . . 1423 Francesco Molin . . . 1646 Pasquale Malipicro . . . 1457 Carlo Contarini .... 1655 Cristoforo Moro . . . . 1462 Francesco Cornaro. . . 1656 Nicola Tron .... . 1471 Bertuccio Valicr . . . 1656 Nicola Marcello . . . , 1473 Giovanni Pesaro . . . 1658 Pietro Mocenigo . . . 1474 Domenico Contarini IL . 1659 Andrea Vendramin . . . 1476 Nicola Sagrcdo . . . . 1675 Giovanni Mocenigo . . . 1478 Alvise Contarini. . . . 1676 Marco Barbarigo . . . 1485 Marcantonio Giustiniano . 1681 Agostino Barbarigo . . . 1486 Francesco Morosini. . . 1688 Leonardo Loredano . 1501 Silvestro Valier . . . . 1694 Antonio Grimani . . . 1521 Alvise Mocenigo II . . . 1700 Andrea Gritti . . . . 1523 Giovanni Cornaro II . . 1709 Pietro Landò . . . . 1539 Sebastiano Mocenigo . . 1722 Francesco Donato . . . 1545 Carlo Ruzzini . . , . 1732 Marcantonio Trevisano , 1553 Alvise Pisani..... 1735 Francesco Venier . . . 1554 Pietro Grimani .... 1741 Lorenzo Priuli . . . . 1551) Francesco Loredano . . 1752 Girolamo Priuli . . . . 1559 Marco Foscarini. . . . 1762 Pietro Loredano . . . 1567 Alvise Mocenigo III . . 1763 Alvise Mocenigo . . . 1570 Paolo Rcnier . . . . 1779 Sebastiano Venier . . . 1577 Lodovico Manin . 1789 —1797 Nicola da Ponte. . . . 1578 III. Le conquiste. — Guerre coi Turchi. ornando ora ai tempi della serrata del maggior consiglio, se T accentramento del governo ne crebbe la l'orza, gravi sventare gli tonner dietro. Il conservare i possessi di Levante molte guerre costò, e sessantanni si vollero per assoggettar Candia (1307-1305), dove gli stessi Veneziani accasati si ribellarono, e bisognò sangue per sottometterli. Anche Costantinopoli non rimase lungo tempo in man de1 Latini: la dinastia dei Palcologhi, fattasi forte e coadiuvata da' Genovesi, sempre gelosi di Venezia, riuscì ad abbattere gli invasori, e ristabilire V impero greco (1259). Venezia conservava in Levante estesissime colonie : sulla costa istriana soggiogava Pola, Capodistria, altre città ; in Dalmazia Sebcnico , Spa-latro, Narenta, che poi lo furono tolte dagli Ungheresi, eccetto Zara. Pretendendo esclusivo dominio ncir Adriatico che abbracciava semicircolarmente , gravò di pedaggi qualunque nave ascendesse oltre una linea diretta da Ravenna al golfo di Fiume ; il che le partorì opposi- LE CONQUISTE 37 fiorii e guerre. Fissa gli occhi al mare, poco li volgeva alla politica italiana, fin quando, alla caduta d'Ezclino, i dominj di esso vennero in gran parte ai signori della Scala, che capitanarono i Ghibellini dell'alta Italia, e possedettero Verona, Treviso, Padova, Vicenza, Bussano e per poco anche Feltro e Belluno (4321-37). Questo incremento sul margino stesso delle sue lagune dette ombra a Venezia ; tanto più che volcano sottrar i loro paesi alla privativa che essa arrogavasi di somministrar il sale, ed eressero fortezze sul Po per esiger gabelle da chi lo navigasse e prolegger le saline ivi stabilito. Venezia si concertò dunque con Firenze, coi Gonzaga di Mantova, i Carrara di Padova, a ruina di Maslin della Scala ; e così nella pace occupò (1338) Treviso, Castelfranco, Ce-neda, primi possessi in terraferma, e la libera navigazione del Po : a Padova ripristinò in dominio Marsiglio Carrara; e mentre gli Scaligeri più non fecero che decadere, Venezia cresceva di dominj e di traffici. Se non che in quel tempo la terribile morte nera (1348) le tolse un terzo della popolazione, estinse novanta famiglie patrizie, e i milleducencinquanta membri del maggior consiglio ridusse a trecentottanta. Ma Genova, vinti i Tartari, aveva acquistato predominio nel mar Nero, sino a non permettere che alcuna nave d'Occidente vi facesse porto altrove che a Caffa sua. I Veneziani non soffersero il sopruso, e per quanto il Petrarca coli'eloquenza, i preti colla pietà si frapponessero, ruppero a guerre sanguinose (1351-55) che dall'Oriente propagaronsi air Italia? e mescevansi alle rivalità de1 nostri signorotti. Nicola Pisani andò a minacciare Genova colla flotta di San Marco, mentre Pagano Doria colla genovese bloccava Venezia; i due ammiragli cercaronsi lungamente in mare, finché all' isola della Sapienza presso la Morea combatterono (novembre 1354) colla peggio de' Veneziani, di cui furon menate a Genova trenta galee, quasi seimila prigioni e fra essi il Pisani: nella pace dovettero pagare ducentomila fiorini, o abbandonare tutti i porli del mar Nero. Invelenì le rivalità la sollevazione di Candia, poi la guerra di Cipro (1370); e Francesco Carrara signor di Padova, resosi mortalo nemico de1 Veneziani, tesso contro di loro una lega, chiamando a danneggiarli fino il re d' Ungheria e i duchi d1 Austria. Venezia fu fortunata di vincerli, e al Carrara impose (1373) dure condizioni, e l'obbligo di demolir le fortezze alla sua frontiera, e mandare il figlio a chieder perdono alla Signoria. Ma egli andò per tutte le corti d'Italia a istigarle contro di San Marco, per modo che una nuova lega proruppe in guerra. Intanto Carlo Zeno, intraprendente veneziano, aveva ottenuto che un pretendente alla corona di Costantinopoli cedesse l'isola di Tónedo ai Veneziani, ma l'averla essi occupata (1378), divenne occasione di rottura co'Genovesi. L'ammiraglio Vittor Pisani vince più volte, ma a Pola (9 maggio 1379) é sconfitto. Quei che l'aveano taccialo di vile perchè ricusava accettar la battaglia, quando accettandola fu vinto gridaronlo traditore, e lo posero in carcere, mentre i Genovesi, dalla vittoria incorati a maggiori sforzi , attaccate le colonie di Rovigno, Umago, Grado, Gaorle, pensarono ridur P emula all' estremo. Venezia è protetta contro il mare da un banco di sabbia, sul quale crebbero coltivazioni e case, e in cui si aprono alcuno bocche *\ La più settentrionale e Trcporti, indi Sant'Erasmo e il porto di Lido , un tempo principale; segue poi quel lungo argine naturale, che ha fama poetica più che aspetto, il Lido, all'estremità del quale apresi il porto di Malamocco; ricomincia poi l'argine di Pelestrina, che, è interrotto dal porto di Ghioggia. Trac questo il nome da un' isola, che popolata da profughi del continente e massime dagli abitanti dell'antico Malamocco allorché fu sobissalo, ebbe titolo di città (il 10), e sceglieva magistrati pro-prj, (indiò nel 1214 Venezia cominciò a mandarle un podestà. Ora le giunsero sopra i Genovesi con flotte numerose, e coli' ajuto del Carrara 1' espugnarono, uccidendovi sei mila o prendendo quattro mila Veneziani ; stabilirono il quartier generale in un' estremità del nuovo Malamocco, e per terra comunicando coli'implacabile Carrarese, minacciavano di fianco Venezia. Questa, sprovveduta d'alleati, di vettovaglie, di tesoro, vide le galee genovesi spingersi fin al porto di Lido ; neppur toccavansi le campane ; talché, chiusi tutti gli accessi con triplice catena, fu posto in deliberazione se abbandonar le lagune e trasferire la sede a Creta; mandasi a implorar pace? l'ammiraglio Doria risponde : « Per Dio, non ascolterò patti, finché non abbia messo il freno ai cavalli di San Marco » ; gli si propone di riscattare alcuni prigionieri ? « Fra pochi giorni li redimerò senza denaro ». Il popolo sostenevasi col coraggio che esso conosce quando si tratta di causa sua ; e tornato l'amore all'oltraggiato ammiraglio, gridava: « Viva Vittor Pisani! rendeteci il nostro ammiraglio» ; il quale sporgendosi alla ferriata del carcere, ripetea: « Non così dovete gridare, ma solo Viva San Marco ». Tratto di prigione a braccia di popolo, come nel 1848 Manin e Tommaseo, egli non ascoltò a chi lo consigliava d'insignorirsi dell'ingrata patria; anzi ricevendo l'Eucaristia, giura non tener conto della usatagli persecuzione, munisce ogni varco, stimola tutti a concorrere alla salvezza della patria; frati, popolani, artieri moltiplicano sagrifizj; il doge settuagenario, coi principali domanda di poter montare sulla flotta; e il Pisani ormai non ha che a temperare queir incondito zelo de' primi momenti, \ Di tutto ciò parlasi a disteso nel cap. XI. V1TT0R RISANI. ZENO 39 fìncliò non abbia esercitato ne' canali gP improvvisati marinaj, e non tomi di Grecia la flotta di Carlo Zeno. In fatti le ciurme sue già si stancavano degli stenti che dovean durare per impedire i Genovesi di uscire, e delle morti ogni volta che gli assalivano : quando ecco finalmente lo Zeno arrivare, che non solo allarga Venezia (gennajo 1380) ma blocca l'armata genovese entro il porto di Chioggia; mediante le bombarde', forse ado-pratc la prima volta, vi fa piovere addosso palle da 150 in 200 libbre. Lo stesso Doria vi perisce, e la flotta, i cui 48 legni eran ridotti a quindici, e gli uomini da quattordici a quattromila, nò nutriti che di cuojo bollito m acqua salmastra, dopo sei mesi è obbligata rendersi a discrezione (21 giugno). Carlo Zeno sottentrato al defunto Pisani, proseguì la guerra contro i Genovesi, e contro Francesco di Carrara; finché, per mediazione di Amedeo VI di Savoja, si conchiuse la pace (1381, 8 agosto). Venezia, ridotta all'estremo d'uomini e di danaro, dava settemila ducati annui agli invasori Ungheresi, purché non molestassero l'Adriatico né vi facessero sale; con Padova restituivansi le conquiste e le prese: col patriarca d'Aquileja stipulavasi la piena emancipazione di Trieste2. L'isola 2 Trieste, come l'altre ciltà del regno d'Italia, fu soggetla ai vescovi; ma nel 1253 comprò da questi i diritti regali, indi nel 1295 non lasciava al vescovo che il titolo di Conte, e si sostenne coli'armi contro le pretensioni di quello, sanguinosamente punendo 'a famiglia de'Ranlì clic lo appoggiava; e infine accordandosi che al vescovo restasser soltanto il titolo, le dogane, le decime (4380). I vescovi dunque, che pretendeano tener il dominio dai re d'Italia, e al cader loro dai marchesi d'Istria ch'erano anche patriarchi, Don potendo conservarlo il cedettero a questi, e il Comune ne riconosceva la sovrauilà, wa senza credersi diminuita 1' autonomia. Nella quale si reggevano al solito con un podestà, forestiero, giudice delle cause maggiori e capo dei consigli, c condottiero degli eserciti ; un gran consiglio di cento., rinnovato ogni anno ; un consiglio di 40 rogatori che proponeano le leggi e i provvedimenti "> discutere nel gran consiglio; l'arengo del popolo che sanciva le deliberazioni più importanti. L'amministrazione era affidata a tre consoli e rettori, eletti ogni quattro mesi ^1 gran consiglio. I Triestini si diedero statuti proprj. Ai Veneziani ricusarono i tributi PRr la marina, onde ne furono assalili nel 12116, ma ajutati dal conte di Gorizia ed Istria: amarono i baroni vicini, parte uccidendo, parte obbligando a giurar il comune; e poterono respinger colle proprie forze i Veneziani tornati ad assalirli nel 1338 e nel 1330; >na poiché mal poteansi reggere, cercarono più volte sottoporsi agli imperatori/.! Carlo IV n(;l 1354, a Sigismondo nel 1336: sostennero un lungo assedio dei Veneziani, a cui onta favorivano i Visconti', i Carrara, i Genovesi; e benché assistili dal duca d'Austria, soccombettero ai Veneziani che fecero Trieste suddita. Come tale, lasciava ai Veneziani il mero e misto imperio, conservando però le leggi patrie, purché non avverse ai Veneziani 036(J) ( [ cjuali con 75 mila ducati chetarono il duca d'Austria d'ogni diritto su quella città. Ma appena sepper Venezia impigliata nella guerra coi Genovesi, i Triestini si ribellano e si dan a Marquardo patriarca d'Aquileja: i Veneziani li ritolgono al patriarca nel , ma subito li riperdono ; s'avvicendano i dominj, finché la pace, mediata dal duca ('| Savoja, l'anno stesso confermava Trieste libera da qualunque sovranità dell'Impero e (,i Venezia, Essa allora preferì d'assicurar tale libertà col darsi alla Casa d'Austria, colla di Ténedo, motivo della guerra, fu perduta per Venezia, come tutta la Dalmazia e la terraferma, e incalcolabili ricchezze. Il Carrarese gioiva della sua vendetta e comprò Treviso e gli altri lenimenti di qua dell'Alpi, che il duca d'Austria aveva occupati; sicché ricingendo la laguna, impediva ogni comunicazione col continente. Il senato istigò contro di lui Antonio della Scala signore di Verona; e mandò Giovan Acuto capobande a desolarne le terrò. Il Carrara si pose in protezione di Gian Galeazzo Visconti, il quale potò aver in mano Verona, che avea patteggiata per sò, mentre al Carrara avrebbe data Venezia: ma invece si offrì alleato a Venezia, contro del Carrara. 11 quale conoscendosi perduto, rinunziò a Francesco Novello suo figlio, e questo non seppe quale slette poi quasi continuamente; a Venezia retribuendo solo la regalia di olio e rf-bolla, cioè vin bianco spumante che oggi dicesi prosecco. Questa regalia cessò di mandarsi quando i Veneti ebber guerra coli'imperatore Massimiliano. Trieste, fatta città austriaca, non acquistò la quiete che se ne prometteva. Al luogo del podestà mutabile ed elettivo, ne ricevette uno a vita, e i duchi vollero intrigarsi della nomina de' vescovi, lo che cagionò gravi discordie. Occupava essa allora il giro d' appena un miglio sul pendio del colle del Duomo, che forma il vertice della piramide a cui essa città somigliava. Al mare giungeva la piazza maggiore col palazzo pubblico. La lingua latina era adoprata negli scritti, e per la diplomazia o la corrispondenza estera: per l'uso comune la vulgare, cioè un dialetto somigliante al veneto. Lo slavo vi era conosciuto, non usato. Per la corrispondenza coi principi tedeschi, il Comune teneva degli jjwocAaneW(Sprachlehrer), Utero-rum Iheutanìcarum interpretcs. Nel sigillo comunale era disegnata la città col motto sistillanvm, pvblica, castillier, mare cektqs dant mihi fines : cioè, il porto di Sestiana, la strada pubblica, il Caslellicre, il mare sono i miei confini. Trieste riconosceva origini conformi a Venezia ; a Venezia aveva U centro del suo commercio, con libertà di trattarvi qualunque negozio*, di tenervi casa, comprar e vendere con ripa propria o qualche benefìzio doganale : tulli voleano aver visitata Venezia, le cui magnificenze formavano il discorso più comune e più interessante, 1' idealo della ric-chezza, del buon gusto, della civiltà : Veneziani di gran casato erano stali podestà a Trieste, fra cui Andrea Dandolo storico e doge ; oppure vescovi e canonici ; il primo codice slatutario per Trieste fu fatto dall'illustre giureconsulto Giovanni Focari: parlavasi lo stesso dialetto ; vestivasi alla foggia stessa; la piazza e il palazzo di Trieste eransi modellati su quelli di Venezia. Pure la relullanza troppo comune a obbedir al vicino , e il vago sentimento di poter un giorno emularla, faceano mal vedere Venezia; e anche dopo le guerre de' tempi precessi, novamentc Trieste le si mostrò nemica in quelle del 14(33 , del 1508, del 1612. Trieste, modellala sopra Venezia, o che piuttosto come questa seguiva lo sviluppo naturale e storico, ebbe una nobiltà, la quale, per iseeverarsi dal popolo , si costituì in fraglia o congregazione, applicata alla chiesa di San Francesco, uel 1246. Tredici erano le famiglie fondatrici: cioè Argento, llasegi, Bello, Bonomi, Burli, Cigolìi, Giuliani, Leo, Pa-dovini, Pellegrini, Peluzzi, Stella, Toffani. Alla congregazione non dovean essere ascritti più di 40, tolti da esse famiglie, nati legittimi e da madre nobile, e non aggregati ad ultra fraternità ; nelle processioni prendesser V infimo posto. Adottossi per stemma della congregazione una stella con tredici raggi, le cui punte portavano V arma di ciascuna famiglia, e durò 537 anni, cioè (in alle soppressioni Giuseppinc del 1783. Così a quei frati francescani era affidato questo libro d'oro della nobiltà triestina. KINE DEI CARRARA. IL FRIULI hi che ritirarsi a Pavia. Il Visconti lo prese, ed occupò Padova e Treviso (1388); però s'accorse d'essersi con ciò procurala la vicinanza di Venezia, ben più pericolosa de'primitivi signori ; e giurava, se campasse cinque anni, ridurla umile quanto Padova. Ma nel 1402 moriva; e subito tutti i signorotti da lui oppressi rialzavano il capo; e Francesco Novello ripigliava Padova, po' "inche Verona. Furongli addosso i Veneziani, lo vinsero, ed essendo venuto a Venezia per trattare col doge Michele Steno , lo presero , e in vendetta di 30 anni di nimicizia, dai Dieci lo fecero condannare al pali-bolo co' suoi figliuoli. Francesco nella prigione non volle lasciarsi ammazzare come un bue al macello, e lottò contro i giudici e i carnefici (IO gennajo 1400), ma fu strozzato, come i suoi figli, egli fu posta questa sola iscrizione che voleasi leggere prò norma liratmorum. Venezia si trovò padrona di quanto aveano tenuto i signori della Scala e i Carrarasi, cioò Treviso4, Padova, Vicenza, Verona: cioè di quanto siede fra la Piavo, i monti, il lago di Garda , il Po, le lagune. Funesti acquisti che la implicavano nelle vicende italiane, e che subito dovette difendere contro l'impcrator Sigismondo. Venuto a far valer gli antichi diritti imperiali sull'Italia, egli ridomandò Zara che i Veneziani aveano compra dai re d' Ungheria, ed entrato nel Friuli, Io mandò a sperpero : ma Venezia, alleatasi coi signori d'Esle, d'Arco, Porcia, Gollalto, Sa-vorgnano, sotto il prode Filippo d' Araceli trionfò (1413). I patriarchi d' Aquileja, i più ricchi prelati dopo il papa, unendo la croce e la spada, aveano esteso la signoria sopra tutto il Friuli, l'Istria, gran parte della Carinlia e Carniola e la Stiria, dai possessi ritraendo 200 mila zecchini. Da tal vicinanza era svantaggiata Venezia : sicchò, avendo il tedesco patriarca Teck favorito 1'imperator Sigismondo, si pensò d'abbatterlo, surrogandogli Antonio Pancora. Cosi nacque uno scisma, che si prolungò anche dopo la morte di questo, e finche i Veneziani non'occuparono risolutamente il Friuli. Col cardinale Scarampi nuovo patriarca si convenne (18 giugno 1415) di riconoscerlo, e lasciargli intera la giurisdizione spirituale e i beni, malgrado le spese sostenute ; nella città" di Aquileja, San Vito, San Daniele conservasse egli il mero 3 misto imperio, eccettuati i feudi e le persone obbligato al servizio militare, che obbedirebbero al principe veneto: il patriarca non lascerebbe in quo'luoghi entrar altro sale che veneto, non accoglierebbe banditi, ribelli,fuggitivi, o li consegnerebbe: Venezia pagherebbe al patriarca 500 zecchini annui, e no difenderebbe la persona a sue spese. Venezia allora toccò 1' apogeo. Trieste , i cui pirati aveano rapito le spose della nascente repubblica, era stata soggiogata da Enrico Dandolo, e costretta a promettere di non molestar il commercio ai Veneziani, tributare le regalie stabilite, e sventolare il gonfalone di San Marco ogni anno a Illustra: del !.. V. Voi 11. « Pasqua sul palazzo, e sul mercato a ogni nomina di vescovo: pure rc-Jutlò sempre dall'obbedire ai Veneziani. Questi pertanto nel 1463 P as-saJsero % ridotta agli estremi, poteano distruggerla, quando s* interposero Pio II che era slato vescovo di Trieste, e il cardinale Bessarione : talché il doge Moro e la Signoria, « per la somma loro riverenza e devozione alla sede apostolica e al santo Padre, e per P affezione e stima verso il reverendissimo signor Legato », concessero pace: dove Trieste, dopo sofferti immensi danni, perdeva i tre castelli c le strade del commercio. Per togliersi al continuo avvicendamento di dominj, Trieste separò le sue sorti da quelle della restante Istria, c si diede alla Gasa d'Austria, per poi, dopo quattro secoli, prevalere all'antica dominatrice. Ma Lepanto e Patrasso per evitar il giogo musulmano, davansi a Venezia: così venivano a suo domìnio le isole dalmate ; Zara le era ceduta dal re d' Ungheria ; Corfiì ribellatasi ai Napoletani, era acquistata da San Marco, come Du-razzo, Argo, Napoli di Romania; e in Italia, Guastalla, Brcseello , Casal-maggiore ; Ancona le si offriva, ma i Dieci temettero nimicarsi il papa : il duca di Mantova mettea suo figlio in tutela di lei : i cardinali sceglieano papa Angolo Cornaro col nome di Gregorio XII fi 400). Queste grandezze invogliavano a maggiori, e i signori d'Italia ve li sollecitavano cercandone l'alleanza. Principalmente i Fiorentini stimolavano Venezia a rompere coi signori di Milano, e il consiglio rimanea diviso tra conservatori della pace e fautori della guerra. A capo dei secondi era Francesco Foscari procurator giovane: c quando (1421) se ne discuteva nel maggior consiglio, il dogo Tommaso Mocenigo così lo ribatteva: * II porto di Venezia non è Firenze; i nostri passi sono il Veronese « confinante nostro, e il duca di Milano; ed egli dev'essere tenuto in ami- * cizia, perchè in manco d' un giorno si va a una sua città grossa, ch'è « Brescia , la quale confina con Verona e Cremona. La montagna del « Veronese è il nostro schermo contro al duca : oltre a ciò difendono tutto « il nostro paese il Paludo e P Adige e tremila cavalli con tremila fanti * e con duemila balestrieri; e se abbisognasse più gente, opporremmo « al duca tremila altre persone. Però godete la pace. Se il duca avrà « Firenze, i Fiorentini, che sono usi a vivere a comune, si partiranno « dalla vinta patria , migreranno a Venezia, e ci porteranno P arte dei « panni di seta e di lana, per modo che quella terra rimarrà senza in-« dustria, e Venezia moltiplicherà, come intervenne di Lucca quando « Casiruccio se ne fece signore, che la ricchezza sua venne a Venezia, « e Lucca diventò povera. Però state in pace... « E ch'io sia in proposito, vel dimostro esponendo il commercio che « fa Venezia al presente, e con chi. Ogni settimana vengono da Milano * ducati diciassette in diciottomila, cioè in un anno ducati novecentomila ARRINGA DEL MOCENIGO 43 4 entrano in questa città3; introduciamo nel ducato di Milano merci per * un milione seicentodiecimila ducati d'oro all'anno. Vi pare che questo « a Venezia sia un bel giardino e nobilissimo senza spesa? Di là ven-' gonoOO mila pezze di panni l'anno, che valgon ducati 900 mila; e per « l'entrata, magazzinaggio ed uscita a ducati uno per pezza, abbiamo ducati 4 200 mila, che montano con le merci a ventottomilioni ottocentomila 4 ducati. Vi pare che questo sia un bellissimo giardino a Venezia? « Ancora vengono canovacci per ducati centomila all'anno , ed altre « assai cose i Lombardi traggono da noi ogni anno; per modo che, fatta a stima del tutto, verrebber ad essere due milioni ottocentomila ducati. * E questo un bel giardino a Venezia senza spesa? « Assai si vantaggia pure coi sali; la cui tratta è cagione di far navi 4 gare tante navi in Soria, tante galere in Romania, tante in Catalogna, 4 tante in Fiandra, in Cipro, in Sicilia, e in altre parti del mondo; per « modo che Venezia riceve, tra provigioni e noli, due e mezzo, e tre per * cento; sensali, tintori, noli di navi e di galere, pesatori, imballatori, 4 barche, marinaj, galeotti e messeterie * procacciano altri seicento-4 mila ducati ai nostri di Venezia senz'alcuna spesa, e ne vivono migliaja 4 di persone grassamente. È questo un giardino da doversi disfare? mai « no, bensì da essere difeso da chi lo volesse disfare. Ci converrebbe * togliere uomini d' arme, che andassero sopra il detto paese guastando « alberi e ville, abbruciando case e villaggi, depredando animali, mu-« rando città e castelli, uccidendo uomini, mentre bisognerebbe metter « tasse alle nostre terre, sì ai cittadini come a'villani, e in città anga-« rie alle case, prestiti alle mercatanzie, alle navi e alle galere, Dio sa 4 quello che faremmo sul paese del duca! ma potrebbe occorrere che 4 egli salvasse il suo, rimediasse al danno, e noi intanto saremmo stati * cagione di peggiorar i luoghi nostri. Che varrebbero allora tante spc-4 zierie, e panni d'oro e di seta? niuno li terrebbe più, perchè non n'a-4 vrebbero i mezzi. Or sappiate che Verona compra ogni anno 200 pezze * di broccato d'oro, d' argento e di seta; Vicenza centoventi, Padova * ducento, Treviso centoventi, il Friuli cinquanta, Feltre e Cividal di ' Belluno dodici; carichi quattrocento di pepe; fardi centoventi di can- * nella ; zenzeri di tutte sorta molte migliaja e altre spezierio assai ; « migliaja cento di zuccari, ducento pani di cera. 4 Come noi devastassimo il loro ricolto, e' non avrebbono di che spen- 3 11 ducato d'argento è fr. 4. 3o ; quel d' oro fr. 17. 4 Messeti o Missetti diceansi anticamente quelli che mezzani nel Bresciano, marossee n«l Milanese, cioè i mediatori. Da qui il nome di Messeteria ad uno de' più antichi ballili imposti alle merci e ai contratti; per la cui esazione, nel secolo XIII fu istituito il magistrato di tal nome, che duròjsin al Uno della repubblica. « dere, e ne deperirebbero tutli i negozj di Venezia. Al duca di Milano * per difendersi, converrebbe, assoldare gente d' arme, mettere angario « ai villani, cittadini e gentiluomini, per modo che non gli resterebbe « danaro da comperare le sopradette cose, in discapito e rovina della « città e cittadini nostri. « Però, signori, siate contenti che rispondiamo agli ambasciatori dei « Fiorentini, eh' essi chiodano alla comunità loro licenza di trattare di ■ pace. So starete in pace, radunerete tant' oro che tutto il mondo vi t temerà, o avrete Iddio per voi. Iddio, signore di tutto, colla Nostra a Donna e con messere San Marco vi lasci preferire la pace eh1 ò il ben « nostro ». Più o mono autentico clic sia questo discorso, non credo mai inutile il ripetere lo lodi della pace; tanto più che, quattrocento anni dopo, siamo ancora persuasi che ogni male ci viene dalla guerra , eppure la invochiamo incessantemente, quasi la libertà e la nazionalità non possa venirci che a cavallo d' un cannone. L' anno che seguì, rinnovando i Fiorentini le sollecitazioni, esso doge in consiglio parlò: — « Signori; voi vedete che, per lo novità d'Italia, « ogni anno vengono in Venezia assai famiglie colle donno, co' figliuoli, ■ coir avere, ed empiono la terra nostra; e così da ogni parte conta-» dini e famiglie buone vengono ad abitare nelle nostre terre per vivere « pacificamente coi loro mestieri, essi e i figliuoli. Vorrete guerra ? que-i sti si partiranno, logorando la vostra città e tutte le altre; e anche « de1 nostri partiranno. Però vogliate vivere in pace, e non temere al-a cuna cosa, e non fidarvi di chi istiga a guerra. « Signori, non ve lo diciamo per gloriarci, ma solo pò*1 far capire la ve-« rità e il ben della pace. Dai nostri capitani d'Acquamorta e di Fiandra, « dalle nostre ambasciate che vanno attorno, dai imstri consoli e dai « nostri mcrcadanti, udiamo ad una voce : Signori Veneziani, voi « avete un principe di virtù e di bontà, che vi ha tenuto in pace, per modo a che siete i soli signori per mare e per terra, siete la fonte di tutte le u mercatanzie , e fomite tutto il mondo, e tutto il mondo vi ama e sì vi a vede volontieri. Tutto l'oro del mondo cola nella terra vostra. Tutta VI-« lalia è hi guerra, in fuoco e in tribolazione, e tutta la Francia e la t Spagna, e la Catalogna, Inghilterra, Borgogna, Persia, Russia ed Un-« gheria. Voi non avete guerra che cogt'infcdeli, con grande vostra laude e « onore. Però, aignori, tinello vivremo, seguiremo simil modo ; e vi con-« foniamo che dobbiate vivere in pace.... » L' autorità del doge ottuagenario elise gli sforzi de'partigiani della guerra; il quale poi sentendosi morire, chiamò alquanti senatori, e prese a dire : — « Signori, nel tempo nostro abbiamo diffalcato i quattro milioni TOMMASO MOCEiNKK) ÌS « d'imprestiti, fatti per la guerra di Padova, di Vicenza e di Verona; ■ il nostro Monte si trova in sei milioni di ducati ; e ci siamo sforzati * che ogni sei mesi si pagassero due rate degli imprestiti, e tutti gli * offizj e reggimenti, e tutte le spese dell' arsenale e ogni altro modo. • Per la pace la nostra città manda dieci milioni di capitale ogni anno ' pel mondo con navi e galere, per modo che guadagnano, tra mettere « e trarre, quattro milioni. Abbiamo navigli tremila, d'anfore (tonnellate) « dieci fino a ducento, con marinaj diciannovemila ; navi trecento , che « portano uomini ottomila ; fra galere grosse e sottili ogni anno quaran-« tacinque, con marinaj undicimila: abbiamo sedicimila marangoni (fale-4 gname). La stima delle case somma a sette milioni di ducati, gli affitti « delle case a cinquecentomila; mille gentiluomini hanno di rendita annua « da ducati sottanlamila fino a quattromila. Voi conoscete il modo con cui 4 vivono i nostri gentiluomini, cittadini e contadini; però ringraziatene * Dio e proseguite così, e sarete signori dell1 oro de1 Cristiani , e tutto « il mondo vi temerà. Guardatevi quanto dal fuoco, dal togliere le cose « d' altro e dalla guerra ingiusta. Per la guerra di Turchia, valentissimi « uomini in mare porrete. Voi avete otto capitani, da governare sessanta u galere e più , e così le navi : avete tra1 balestrieri, gentiluomini che 4 sarebbono sufficienti padroni di galere e di navi, e saprobbonle gui-» dare ; avete cento uomini usi a governare armate , pratici per to-» gliere un'impresa; e compagni assai per cento galere, periti e savj; 11 galeotti assai per galere cento; per modo che ognun dice che i Veneziani » sono signori do'capitani, dei padroni e dei compagni. Similmente avete 11 dieci uomini, provati più volte a consigliare la terra a grandi faccende; » molti dottori savj in scienza e al governo del palazzo. Seguile siccome vi 1 trovate, e beati voi e i vostri figliuoli. « La nostra zecca batte ogni anno ducati d'oro un milione , e d' ar-4 gento ducentomila tra grossetti e mezzanini, e soldi ottocentomila al-4 l'anno. I Fiorentini mandano ogni anno panni sedicimila finissimi, lini 4 e mezzani in questa terra; e noi li mandiamo nell'Apulia pel reame 4 di Sicilia, per la Barberia; in Soria, in Cipro, in Rodi, per. l'Egitto , 4 per la Romania; in Candia per la Morea, per 1' Istria. E ogni setti-4 mana i Fiorentini conducono qui 7000 ducati, cioè 364 mila all' anno 1 per comperar lane francesi , catalane, cremisi e grana , sete, oro, ar-4 gento, filati, cere, zuccheri o gioje, con benefìzio della nostra terra: 4 così tutte le nazioni fanno. Però vogliate conservarvi nel modo in cui « vi trovate, che sarete superiori di tutti. Il signor Iddio vi lasci con-4 servare, reggere e governare in bene ». Alla guerra invece propendeva Francesco Foscari, conosciuto come abilissimo in intrighi, animoso all' intraprendere e felice nel riuscire. Non accettando che ambascerie di prima importanza, erasi amicati i Barnabiti col fare stabilire dotazioni pei figli loro ; e quattro figliuoli e molti amici gli erano d' appoggio a molto sperare. Vacando il dogato, scaltreg-giò per modo , da prevalere a quei che il temevano perchè giovane e perchè attivo; e ottenuto il berretto (1425), esercitò sui consigli della Signoria maggior efficacia che non solessero i predecessori suoi. Favoriva quelli che lusingavano la boria patriotica coir idea di prepotere in Italia, e mettersi a capo d' una lega che equilibrasse i Visconti: sicché la guerra, così temuta dal Mocenigu, allora proruppe, e Vonezia fu tratta fuori dalla natura sua commerciante e pacifica per balzarla nelle belliche avventure. Prima lottò felicemente con Filippo Maria Visconti (1420). Costui disgustò il proprio generale Francesco Carmagnola, il quale, U Conte di Carmagnola. FRANCESCO FOSCATU 47 passalo a servigio de1 Veneziani vinse la battaglia di Maolodio sul Bresciano (1427, 11 ottobre). Il Carmagnola, com'era stile fra i capitani di ventura, rilasciò i prigionieri fatti, sicché Filippo non ebbe altra perdita che delle armi. S'insospettirono i Veneziani che egli tenesse intelligenza coli'antico padrone, e chiamatolo a Venezia (1432), lo fecero processare a quel loro modo e mandar al supplizio. È un' altra delle macchie che contaminano il manto di Venezia. Intanto Francesco Sforza e Nicolò Piccinino , altri famosi capitani di ventura a servizio del Visconti, osteggiavano il leone veneto ; e tra l'altre imprese ò notevole che i Veneziani , volendo soccorrer Brescia assediata e non potendo mandare navi pel Po nel Mincio e da questo nel lago di Garda attesa la minaccia del duca di Mantova, avviarono sull'Adige due galere grosse, tre mezzane e 25 barche, poi a forza di cavalli e bovi le strascinarono attraverso al monte Baldo, e le gittarono nel lago a Tórbole. Ostinatisi a voler conquistare la Lombardia, dopo la vittoria di Mezzano i Veneziani si spinsero fin a Monza e a Milano, sicché il Visconti affidò pieni poteri a Francesco Sforza , facendolo anche suo genero, e poco dopo mori (Vedi H>l. I, Pag. 141). (1447) Non avendo egli che una figlia, sorsero pretensioni d'ogni parte, il popolo stesso milanese proclamò la repubblica, e Venezia sperò in quel torbido ampliarsi. Stendeva essa allora il suo dominio in Italia dall'Isonzo al Mincio; oltre il litorale dell'Adriatico sino alle foci del Po , aveva ad obbedienza fra terra le Provincie di Bergamo, Brescia, Verona, Crema, Vicenza, Padova, la marca Trevisana con Feltre, Belluno , Cadore, il Polesine di Rovigo, Ravenna, il Friuli, l'IstriaH; supremazia sulla K Ordine dogli acquisii delle provinole di terraferma: Istria si sottomette al fine del X secolo. Marca Trevisana, ceduta da Francesco della Scala , 18 dicembre 1338; dai Veneziani ceduta all'Austria 2 maggio 1381 ; da quella venduta al signore di Padova 1382; conquistata dai Veneziani t."> ottobre 1388. Vicentino, Bellunese , Feltrino, datisi spontanei e ceduti alla repubblica da Caterina Visconti reggente di Milano: 2o aprile 4404. Veronese, tolto a Francesco Carrara ed annesso al territorio veneziano il 23 giugno 1403 : così il Padovano. Cadore, conquistato sul patriarca d'Aquileja 1420. Bresciano, conquistalo sul Milanese, e assicurato colla pace 30 dicembre 142G. Bergamasco, altrettanto, pel trattato 18 aprile, Friuli conquistato sul patriarca di Aquileja il 1417 : assicurato alla repubblica col trattato del 1420, confermato nel 1450. Cremonese, conquistato sul Milanese neH449, riconosciuto col trattato di Lodi, !> aprii; 1454. Polesine, dato in pegno dal marchese d'Este il febbrajo 1403 : restituito al marchese di Ferrara, ripigliato dalla Repubblica il 1483. Alle città dedilizie non si mandava il podestà, ma il Comune Io eleggeva fra i bene- contea di Gorizia, che prima faceva omaggio al patriarca d'Aquile j ri; sulla costa orientale delP Adriatico teneva Zara, Spalatro e le isole che fronteggiano la Dalmazia e P Albania; avea tolto Veglia ai Frangipani, Zante a un Catalano; in Grecia occupava Corfù, Lepanto e Patrasso; nella Moroa Modono, Corone, Napoli di Romania, Argo, Corinto aveva avuto a prezzo dai possessori che non poteano difenderlo dai Turchi ; teneva altre isolette dell'Arcipelago, e qualche parte del litorale; finalmente Can-dia e Cipro. Mentre dapprima in Italia si era limitata ad opporsi a chi vi predominasse , tenendo per lo più coi pontefici , allora aspirò a dominarvi ; donde le guerre , nelle quali, se saliva in credito nella penisola, svia-vasi dal commercio, e rimaneva esposta agli arbitrj dei venturieri, coi quali usava or rigore, ora carezze; or mandava al supplizio il Carmagnola, or ascriveva fra i nobili il Gattamorta e Michele Attendolo. E d' acquistar il Milanese le dava lusinga lo sfasciarsi di questo alla morte di Filippo , e al dichiararsi della Aurea Repubblica Ambrosiana. Alla quale Venezia continuò la guerra cominciata a Filippo , accostandosi minacciosa all'Adda, sicché FMilanesi affidarono la somma delle cose a Francesco Sforza (1448). Egli a Caravaggio sconfisse i Veneti, ma patteggiò lascerebbe loro Bergamo, Brescia, il Cremasco, la Geradadda, cioè tutta la sinistra dell'Adda, purché Pattassero a succedere duca di Milano, come ottenne. Valeasi la repubblica de' migliori condottieri d'allora; Gentile da leonessa, Carlo Forlebraccio, Matteo Campana, Evangelista Salvetto, Jacobo Piccinino, mediante i quali osteggiò lo Sforza dopo fatto duca, finché Io sgomento entrato nella cristianità per la presadi Costantinopoli indusse alla pace, ove lo Sforza (5 aprilo 1454) lasciò a San Marco tutte le terre del Bergamasco e Bresciano, e questo a lui quanto giace fra POglio e l'Adda. Illustro condottiero della repubblica fu in questo tempo Bartolomeo Collcone bergamasco, che n' era onorato come principe, e che morendo ricchissimo (1475), dopo molti legati costituì crede di 210 mila ducati e d'un credito di 70 mila la serenissima, oltre 10 mila in contanti, perchè gli si erigesse una statua in piazza, che fu posta invece nel campo di San Giovanni e Paolo. visi ai Veneziani. Questi gli scriveano Pro comuni AT. A', polestas: oppure A N. A'. podestà antico carissimo : mentre i dispacci a quei dei paesi sudditi ialiloluvansi A'. Ar. per lo serenissimo ducale dominio di Venezia podestà di A'. ; e dirigevasi Al fedele nostro A. Ar, di nostro uni mia lo podestà di X. 1 FOSCAIU 49 Che clic però ne l'osse della convenienza d'aver surrogato una politica guerresca alla pacifica di Tommaso Mocenigo, Francesco Foscari avea per trcntaqnattr' anni coperto Venezia di gloria militare, e campatala dalla minaccia dei Turchi. Ma come si tornò in pace con questi e colf Italia, dentro rivisse la fazione dei Loredano, che implacabilmente aveano osteggiato il doge. Non paghi di contrariarlo in ogni proposta, in ogni interesse , vollero trafiggerlo nella parte più sensitiva, cioò in Jacopo unico figlio sopravvissutogli. Poco innanzi (1441), le costui nozze eransi celebrate con pompa principesca. La sposa fu condotta al palazzo ducale coi parenti d'ambe Io famiglie, fra cui da sessanta dame; ivi si diodo un ballo con lauta cena ; indi la sposa ritornò a casa sua. Pochi giorni appresso, fu celebrato privatamente il matrimonio, presenti il doge ed altri parenti ; e stabilito un giorno Per accompagnare solennemente la sposa al palazzo. La mattina si po-■ser in ordine diciotto giovani Compagni della Calza fi, fra' quali trovavansi due fratelli della sposa e lo sposo stesso, tutti vestiti di velluto cremisino e con grandi berrette alla sforzesca , seguito ciascuno da due scudieri colla giornea a quartieri, e con le calze della Compagnia, e montati sopra cavalli bellissimi, copertati di velluto verde a spillette d'argento. Aprivano il corteo trombetti e pifferi, poi scelta banda di soldati a cavallo. Lo sposo, coi Compagni della Calza, era scortato da venti cavalli, ed altri venti ne aveva il priore della compagnia, che portava berretta verde, zimarra di velluto sino a terra e con sei servi a piedi attorno al cavallo. Cosi girarono intorno alla piazza di San Marco e per la corte di palazzo, poi passati a San Salvatore, per un ponte di barche sul canal grande arrivarono a San Barnaba ove abitava la sposa. Ella andò alla chiesa fra due procuratori di San Marco, accompagnata da sessanta damo, e ascoltala la messa sul campo riempito di popolo, alla presenza del doge, degli ambasciatori, de'principi o di buon numero di gerì -t'iuoniini, le fu recitata un'orazione in lode di loro e degli antenati. Tornata la sposa a casa, i Compagni della Calza, montati novamente a cavallo, s» misero a girare per la città , nei campi di San Polo, di Santa Mam Formosa e in sulla piazza di San Marco facendo delle corse, e fìngendo combattimenti. Si ridussero poi a convito noi palazzo ducale, e dopo radunatesi ivi cencinquanta dame con gale bellissime, montarono nel bucintoro seguilo da alquante barche, allestite dalle varie contrade della città e da primati, e con lieto accompagnamento di suoni, di trombe e pifferi si portarono al palazzo della sposa. Entrò essa, con cento altre damo, nel bucintoro, 11 quale fu condotto al palazzo del conte Francesco Sforza, allora generale fi Che cosa fossero diremo nel capo seguente. Illustra*, del L. V. Voi.II. della repubblica e dappoi duca di Milano. Entralo pur esso nel bucintoro tra la sposa e 1' ambasciatore de' fiorentini, trionfalmente la comitiva mosse al palazzo ducale. Alla sposa venne incontro il doge nella piazza, e datole luogo fra se e lo Sforza, col priore della Compagnia della Calza vicino, accompagnolla alla scala, al cui piancrolto venne a riceverla la dogaressa con cinquanta damo; poi si cominciò la festa da ballo, tramozzata da lauta cena. ÀI domani la Compagnia della Calza diodo una nuova cavalcata, e dopo pranzo Francesco Sforza l'eco una giostra sulla piazza San Marco, alla quale intervennero quaranta giostratori, posta per premio una pezza di drappo d.1 oro del valore di 140 zecchini. La sera nel palazzo ducale si rinnovò il l'ostino con cena da'Compagni della Calza, che per altri due giorni fecero un corso di barche bene adorne e fornite di stronfienti musicali. Altro duo giostre fecero, i Fiorentini e gli orefici, i quali posero per premio una giornea guarnita di centoventi marche d'argento, finendosi sempre la sera con cene e ballo. Nò volendo il doge essere da meno degli altri, ordinò nuova giostra sulla piazza, e por premio una giornea di velluto chermisino ricamata d'argento, del valore di cenlo zecchini7. Più è grave la caduta quanto ò più da alto. A Jacopo, allora così festeggiato, fu data accusa (1445) d'aver ricevuto regali da principi forestieri , e interrogatone avanti al padre e al Consiglio do' Dieci, alla tortura confessò. Relegato in Romania, per fievole saluto ottiene di fermarsi a Treviso. Ma dopo cinque anni essendo ucciso Ermolao Donati, uno de'suoi giudici (1450), ri' è imputato Jacopo, e messo di nuovo alla tortura, benché negasse, fu bandito alla Canea, né gli si consentì il ritorno, sebbene un Erizzo morendo si confessasse reo di quel sangue. Jacopo allora, struggendosi di rivedere la nativa laguna e i cadenti genitori, si volge al duca di Milano perchè gli impetri di recare in patria le ossa infrante. Era alto tradimento l'interporre stranieri in maneggi di Stalo ; perciò essendo intercetta la lettera ed egli citato, « dopo trenta squassi di corda « confessa (1454) averla scritta apposta ond'essero ricondotto in patria almeno pel processo ». Un nuovo giudizio lo confina a Candia , concedendogli d' abbracciare i parenti, ma sotto l'occhio dell'autorità. « Il doge, decrepito e appoggiato al bastone , parlogli molto coli stantemente che non parca fosse suo figliuolo. E Jacopo disse : — Padre, » vi prego procuriate eh' io torni a casa » e il doge rispose: — Jacopo, va e * obbedisci a quello che vuole la patria, e non cercar più oltre ». (Saluto) Il figlio morì di crepacuore; il padre rimase continuò bersaglio alla ni- 7 Jacobo Morelli nel 170.» poi nei stampò una memoria sulle solennità e pompo nuziali de' Veneziani, ove a lungo divisa queste pel Foscari, quali dai fratelli della Con-tarini sposa furono narrate a un altro fratello che trovavasi a Costantinopoli. [ FOSCARl si mici/ja de'Loredani; essendo morti due di essi quasi'subiianeamonle, ne fu imputalo egli stesso; e Jacopo Loredano finse crederlo, e s'impegnò a vendicarsene. Fatto dei tre inquisitori, imputò il Foscari d'aver mostralo per la perdita del figlio un dolore che sapea di rimprovero, e come vecchio e acciaccoso propose di deporlo. Due volte il Foscari aveva esibito d'abdicare, ma, non che consentirglielo, era stato indotto a giurare di non rinnovare la domanda , finché la guerra il rendeva necessario : allora (cosa senz'esempio) fu obbligato a rassegnare la sua carica fra ventiqual-tr'ore, e dal palazzo, dov'era abitato per trentaquattro anni, uscì senza figlio, nò amici, nò forze, tra un popolo che l'amava, ma che più temeva l'Inquisizione di Stato, allora appunto istituita. Quando la squilla di San Marco annunziò sortilo a successore Pasquale Malipiero, il vecchio Foscari spirò (23 ottobre 1457), e sulla magnifica tomba erettagli ne'Frari fu scritto: * Eccovi, o cittadini, l'effigie del vostro doge Francesco Foscari, per in-' gegno, memoria, eloquenza, giustizia, forza d' animo , consiglio, a dir « poco pari di gloria ai più gran principi : non mai troppo mi parve l'a-« more verso la mia patria; gravissime guerre in terra e in mare per la « salute e dignità vostra con somma fortuna sostenni; più di treni' anni « sorressi la pericolante libertà d'Italia; i turbatori della quiete repressi c colle armi; Brescia, Bergamo, Ravenna, Croma aggiunsi allo Stato no-« stro; d'ogni ornamento crebbi la patria; data a voi la pace, stretta Italia * in tranquilla lega, esausto da tante fatiche, dopo otlanlaquattro anni di « vita e trentaquattro di dogato all'eterna pace passai. Voi la giustizia e la « concordia conservate, acciocché sempiterao sia quest'impero ». Il romanzo fe gran giuoco in tali avventure, o soggiunse che il Loredano avesse aperta su' suoi registri una partita : — Deve Francesco Foscari per la morte de Marco e Piero Loredan me pare e me barba ; e allora vi contrappose — Paga. Venuta la moda di scagionare Venezia, si trovarono e ragioni e cavillazoni su questi fatti, e noi le lasceremo ad altri; noi che le ingiustizie e le tirannie riproviamo, vengano da repubbliche o d» principi, da forestieri o da nostrali. IV. Costumi — Arti — Feste — Commercio. traffici c la comunicazione coi due popoli più colti (Greci ed Arabi) dovettero raffinare i costumi a Venezia prima che altrove. Mentre persino i principi fuori d'Italia firmavano solo con una croce, abbiamo una donazione del 1090, sotto a cui non meno di 140 persone scrivono il proprio nome e cognome. Mentre in Inghilterra si stendeva paglia sui panconi ove dormiva il.re, una prammatica veneziana del 1270 vieta agli ostieri d'alloggiar meretrici, aver più d'una porta pubblica, nò vendere COSTUMI 53 altro vino che quello dato dai tre giustizieri; inoltre non tengano meno di 40 letti, l'orniti di coltri c lonzuoli. Il vestire arieggiava al greco; ampia tunica, larghe maniche, cappuccio, e la barba pettinata ; tutti lo vedeste nella maschera del Pantalone. Perchè nessun nobile soverchiasse l'altro, severissime leggi suntuarie, applicate dalla magistratura delle Pompe, prescrivevano la forma dei vestili, il colore uniforme delle gondole, lo giojo, fin la dole delle fanciulle, che non doveva eccedere i 2000 ducali o 0000 franchi; la qual misura restò costante, sicché il di più era stradotalc. Questa restrizione al lusso non era fatta perchè si temesse la ricchezza o volesse evitarsi la corruzione, bensì per conservare l'apparenza di eguaglianza fra i nobili, sicché i meno ricchi non restassero mortificati dai danarosi. Tant'è ciò vero elio, c certi tempi e per feste più solenni, sospcndeansi tulio le proibizioni, e ognuno potoa vestirsi, calzarsi, pettinarsi a talento. Quando nel 1058 si festeggiò la venuta del figlio del duca di Savoja, « l'andò parte che, nonostante altro in contrario, sia « deliberato che, a ciascuna delle donne che saranno invitate a delta fe-« sta, sia permesso il portar qualunque sorta di vestimenti e giojo che « loro parerà meglio por ornamento delle loro persone ». E alla venula di Enrico III, duccnto gentildonne slavano nella sala del maggior consiglio lutto vestite di bianco, e coi capelli, la fronte, il collo, le spalle, il petto, le braccia coperte di pietre preziose, magnificamente montate in oro e stupendamente cesellate;' onde si valutò che ciascuna avesse indosso più di 50 mila scudi *. Ma i più vi erano casalinghi e parchi, com' è naturale fra persone di commercio. Le case architettavansi non ad imitazione, ma qual conveniva al paese, con grandi sale e magazzini aerati e chiari; perciò facendo correr un fincstrato su tutta la fronte. Quivi si introdussero i comignoli fatti a campana e imparati dai forestieri, i quali pure imitarono i terrazzi di pietre e calcis-truzzo battuti. No' palazzi anteriori al cinquecento vedeasi ordinariamente il cortile, siccome quello di casa Bembo che poniamo nella pagina seguente, colla scala scoperta ; e nelle scale sì sbizzarri, in alcune raggiungendo vera bellezza : chi non va ad ammirare quella a chocciola presso 1 Cesare Veceluo, Degli ha>hi{i (mtir-hi ri moderni 1 Un secolo c mezzo più ''"'di , de Itmsses scrive» die la sua padrona 'li casa gli fé voler le gioje più belle, che :ilr"n particolare possedesse, c quattro forniture complete di smeraldi, za li ri, perle, diamanti. . àlfpofi ih fchoq fi] óiq ui itnovito"! ic ■/)')n\\ DiiiWfloà ino aUtìp bI .QiaemfiJleiib olecuso lue hb STORIA DJ VENEZIA la quale era comune invece ai conventi; e per lo più la porta di acqua dà sul canale direttamente. CASE 65 Ài pozzi sono apposto viere eleganti, talvolta formale con capitelli antichi sforati, sieno talvolta di putcali scolpiti o fusi apposta, come i bellissimi del palazzo ducale *. La scala riesce a un piancrolto, il quale introduce alla sala principale o portego. Noi offriamo qui due case, che alla disposizione caratteristica congiungono l'importanza storica. La prima, di forme più - 1! Stsmohdi pur (arilo benevolo alle repubbliche, dice che i nobili veneziani telano i pozzi entro il palazzo ducale, per polcr a voglia far morire di sete il popolo. Eppure noi vedemmo a Ginevra taccialo il .rimondi d'aristooialico, c come tale escluso dal governo. antiche, è quella de' Salviati, che era contigua al palazzo Cappello, o dove abitava colui che sedusse la famosa Bianca. Quest'altra appartenne a Tiziano. (luti Lo case impiantano sopra palafitte, ma a farle così solide non si cominciò che uscente il secolo XV; ed ora il fondamento costa da 200 lire al metro di superficie; ed è mirabile l'abilità degli opera j nel restaurare gli odilizj avvallati o sconnessi. Qualcuno voleva edificar il suo palazzo con sole pietre d'Istria; altri con sole di Grecia ; o farne i fondamenti con tutte travi di cedro, come il Fini a Santa Maria Zobcnigo 24 36^476 EDILIZIA 57 Le finestre chiudeansi con invetriate di tondi (rui, rulli) ondati, ritenuti con piombi filati, e che diminuivano la luce. I camini nelPinterno sono spesso ornati con tutta eleganza, e a guisa di edifizj compiuti, come vedesi in questo di stil lombardo, che ò nella camera degli Scarlatti nel palazzo ducale. WUCLNl IMS Piazza è nome serbato alla maggiore, colla vicina piazzetta; le altre diconsi campi, o campieli se piccoli, o corti se chiuse fra abitati : calli chia-mansi le vie ; salisade le prime che furono selciate ; fondamenta so 'ungo i canali fra questi e le case; rive dove c'è un approdo : piscina, polno chiamasi ancora qualche piazza che un tempo doveva esser acqua, come rio terrà i canali interrali. Ma di canaio non si dà nomo che ai*più larghi; gl'interni s'intitolano rio. Diamo qui dietro la figura d'un sottopongo de1 più pittoreschi, e che porge un saggio delle costruzioni veneziane a ('l'i non le vide. Illustra:, del L. V. Volt H STORIA DI VENEZIA Ponte del ParadUo. Quando le strade non erano selciato, e i ponti a piccola inclina/Jone, molto usavano i cavalli e i muli; il dogo stosso vantavasi d'averli piò belli di qualunque principe d'Italia; la Signoria no manteneva ad alcuni magistrati per andare a palazzo, o come grazia particolare concedoasenc l'uso a qualche signore: e lin al iiììi era proscritto in quali strade potesse passarsi co' cavalli, e in quali no. Selciate lo vie, alzati i ponti, e postivi gradini per varcarli, divenne sempre più disagiato il cavalcare, e si raffinò la gondola. Trae nome da concilia latino, o da komli/lìon greco ? Ardua sentenza! ma tutti sanno che son barchette di forma snellissima, nero, alla cui prora s' alza un rostro dentato (ferro), e a mezzo un cielo di stoffa nera (felze), chiuso davanti da una porticina vetriata, con finestrelle an- bèlle arti d! che ai Iati, c capace di due persone; se di più, vi si sta a disagio. Guida la gondola un solo rematore , ritto in piedi sulla poppa , con un sol remo lestissimamente spingendola sull' acqua e fra lo tante altre sguizzando senza urlare, mercè T abilità e i gridi. Avvicinandosi allo sbocco d'un canale, grida, ohe; poi se vuol indicare a chi arriva di tenersi a sinistra, dice, Premi; se a dritta, Stali; se di fermarsi, Seta; incontrandosi di fronte, s'interrogano se slogare o premere; cioè se devano tenere a manca o a ritta. Delle belle arti non venne mai meno il sentimento in Italia; e i Veneziani ne vedeano esempj in Levante, e ne riportavano di che abbellire la patria. Capolavoro di tal genero è la pala d'oro in San Marco, tutta a smalli e gemme 3, dove vigore ingenuo e maestà di pose jeraticho ri-conoscesi in ciascun pezzo preso distintamente, sebbene alla scompigliata siano disposti i gruppi, scorretto Io particolarità, secco il disegno, falsa la prospettiva, sparuto lo siile. Anche pittori dovettero venir di Grecia, massime allorché gli imperatori iconoclasti impedivano che colà si effigiassero i santi e la divinità; e attorno al 1200 è memoria del greco Teofane che qui fece scuola. Guarda ogni casa, ogni chiesa di Venezia, e t' accorgi che nave non tornava dalle corso, la quale non recasse qualche cimelio artistico. E allor quando la patria deliberò di erigere una rappresentanza della sua unità con una cattedrale « che fosse senza uguale al mondo », ognuno alfrol-tossi a portar colonne, capitelli, cimase, bassorilievi, specchi di porfido, pezzi di altro pietre, e un architetto innominalo disposo quella fa raggine in un insieme, lontanissimo dalla classica euritmia, e non ostante, anzi forse perciò, stupendo. Cominciato nel 977 dal dogo Pietro Orsoolo, San Marco nel 1071 ora finito, press'a poco qual oggi Io vediamo 4, in uno stilo che, non legato a verun ordine, profitta di tutti, più del greco, qualcosa dell'arabo e del gotico. È disposto a croce greca di metri 7G. 50 sopra 02. 00, e del circuito di metri 330. 50; col centro coronato da gran cupola, e ciascun braccio dà una minore, non emisferiche, ma oblunghe, e con trafori arcuati. Le colonne, portanti capitelli quadrali, son congiunto per archetti tondi, che attorno alla nave e ai bracci sorreggono gallerie : 3 Millo trecento pietre, -iOi) granali, HO omoti sto , 300 zaffiri, ."00 smeraldi, 1!» baUsci, Ì lopozj, 2 preziosissimi cammei v'erano al tempo del Meschinello. La illustrò ultima-inente in libro apposito il professor Hellomo. 4 Prima dunque delle altre insigni cattedrali, poiché quella di Pisa cominciossi nel 'Olii : quella di Modena nel 10'J'J ; quella di Ferrara nel 1138; quella di Siena nel HXO; •di Padova nel 1231, e più tardi le altre. Soffri incendj nel 1106, 1730, 111« 1*20. sopra un'altra serio di ardii imposta il letto; c un velo copre il santuario, all'orientalo. Nella facciata, larga quanto l'edilìzio, apronsi cinque porto, in isghembo o di curva variata, elio introducono a un atrio , da cui si ascende poi alla chiesa per altre porte, contornato di fino e variato lavoro, e chiuse con imposte metalliche storiale. Quella a destra, probabilmente tolta da Santa Solia di Costantinopoli, ha nielli e tarsie di diversi metalli, e ligure a caratteri greci. Ad imitazione della quale, Leone da Majno , procuratore di San 1Hanta di S(tn Mayc0i Marco, nel 1112 fece fonder la media; le porte di mezzo della facciata, del 1300, sono scarsa maestria d'un Uerfuccio. Tulio è una profusione di marmi, di pietre dure, di bronzi, o ben 500 colonne di porfido c marmi lini, ed altri materiali costosi, che uniti ai musaici di cui fu successivamente rivestita, ne formano il più bel tipo dell'architettura bisanlina in Italia, regolare nel piano quanto licenzioso diran altri, libero diciamo noi, nello particolarità. Il vescovo Orso Orseolo , avanti il 1008 fabbricava Santa Maria di Torcello, a foggia delle basiliche romano, col presbitero elevato, dietro dì cui la cripta ; sovra questa l'altare, e più addietro l'absida semicircolare con magnifico trono. Contemporanea, ma di modo bisanlino, è Santa Fosca nell'isola stessa; e da per tutto quel misto di regola e d'indipendenza, eh'è carattere d'ogni istituto del medio evo, ponendosi lo piante e lo elevazioni coli' arte tradizionale sia do' Greci, sia de' Franchimuralori comacini o settentrionali, e negli accessori licenziando il genio inventivo di ciascuno. Ecco perchè non son nominati gli architetti. Nel 1304 vi verino Andrea Pisano a lavorar l'Arsenale. Il quale, comincialo verso il 1104 sulle isolo Gemolo, fu successivamente ingrandito nel 1304 dogando Pier Gradcnigo, poi nel 1325 e nel 1473, sino a formare quel gran complesso , che comanda 1' ammirazione anche cadavere. Chi non islupisce alvcdere la Tana, cioè la corderia, lunga 310 metri, e divisa in Ire navate da colonne toscano, dove si trecciavano lo gomene pc'vascelli, alcune composte fin di 1908 funicelle attorciglialo? Oltre i monumenti, quell'edilìzio raccomandasi alla storia per alcuno belle armadure antiche, e pei modelli delle navi che un tempo si usavano. La chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, cominciata pei Domenicani fin lì DI FI ZJ GÌ nel 1240, e terminala nel 1430, e clic mal s'attribuisce a Nicola da Pisa, ò bella produzione della maniera gotica, e i tanti monumenti la fanno un panteon veneziano. Santa Maria gloriosa de'Trari fu eretta nel 1230 dai Francescani colla severità gotica, un'absida elegantissima ed un bel campanile , fatto linire il 1380 dai mercanti milanesi e monzasebi che colà avean la loro confraternita. Del quale stile erano pure i Servi, il Volto santo, la Madonna dell'Orto, .Santo Stefano, la Carità; e in edifizj civili il palazzo Foscari in volta di canale, il Giovanelli, il Cavalli, la Ca d'oro, il Sagrcdo, il Bembo, il Giustiniani a San Moisè, il Pisani Moretta a San Polo, dove pure il Soranzo, lo Zaguri a San Maurizio, il Molin a San Fantino, il Correr a San Benedetto, e non pochi altri. Entriamo in gondola, scorriamo il Canalazzo, e ci apparrà come, desumendo molli concetti dal Levante, abbellendo il germanico, riformando in guis.c originali, si ottenesse un'immensa fecondità d'invenzione con arditezza d'esecuzione. Voi, arroganti disprczzatori del medio evo, paragonateli alle fabbriche d'oggi, e ditemi se non vi stanno come i cantori del Tasso degli antichi al premi e stali dogli odierni gondolieri. Ma il monumento più insigne è il palazzo ducale, che da solo merita un'opera d'illustrazione, e l'ha. Comincialo da Angelo Partecipazio ncH'809, più volte soffri incendio : fu ingrandito dogando il Foscari, poi via via. Nel 1309 si foce il salone del maggior consiglio: e non v'ò chi non ammiri la facciata verso la Piazzetta e massimamente l'angolo sorretto da una sola colonna. Pare che non il tradizionale Calendario, ma abbia a tenersene architetto Pietro Basegio ; riservando forse al Calendario gli stupendi capitelli che ben possono dirsi senza pari al mondo s, vuoi pel pensiero o per I' csccu- 8 Sono descritti nell'opera The Slane s of Venice by jhon Ruskin , Londra 18U3 , il quale li fece fermare in gesso. Ebbero un'ampia illustrazione, quest'anno passalo negli Annate* Archcolorjitjucs del signor Didron. Questo differisce dal signor Dour-ges nell'ordine con cui vorrebbe veduti e inlesi que'capitelti, l'uno partendo dalla porta delta Carla, l'altro dalla riva degli Scliiavoni, ma probabilmente è vano il cercarvi SS STORIA DI VENEZIA zione, proponendosi di mostrarvi tutto lo condizioni delia \ila umana, gli animali, le piante occorrenti all'economia del mondo, i pianeti, i venti. Così atluavasi quell'arte schematica, che non si sgomenta di dover tradurre, mediante la plastica, idee che a tutta prima parrebbero troppo una sistematica progressione. I capitelli rappresentano: 1. la giustizia; 2. lanciulli; 3. uccelli; 4. virlù e vizj ; 5. scuola di legisti; li. mostri; 7 vi/.j; 8. virtù; 9. virty * vizj ; 10. frulli ; 11. dame c cavalieri ; 12. i lavori de'mesi; 13. matrimonio; 14. 'nazmn1 varie con cui Venezia aveva all'ari; 15. età dell'uomo; 1(J. mestieri ; 17. animali; 18. scultori; 19. pianeti e san Michele , sulla colonna più grossa di angolo; 20. sapienti; 21. Veneziani ; 22. dame e cavalieri ; 2a. animali ; 24. leoni ; 2!i. vizj e virtù ; 2(i. uccelli 27. vizj ; 28. virlù ; 29. mostri ; 30. virlù e vizj; 31. donne; 32. imperatori ; 33 fanciulli; 34. cavalieri; 35. uccelli ; 3G fanciullezza: poi i tìgli di Noè, Tobia e san Rafaele. Per attribuirvi qualche metodica distribuzione, potrebbe dirsi che l'arcangelo'Gabricle domina la prima divisione; Michele la seconda; Rafaele la terza. Quello è messo.'alla porta della Carta, colle virlù cardinali, col capitello della giustiziaquasi preside alla politica. Michele sovrasta alla mela del palazzo, con una bandiera iscritta, euge, b0n0s tego J malorum crimin'a purgo, espressione della giustizia difesa dalla forza. Rafaele, verso la riva degli Scbiavoni, proteggo i mercanti, e gli è diretta la preghiera, Effige qu.-eso fuetum, Raphael rrverende, quietum. Ciascun capitello rappresenta da pò quasi un poema, con eflìgie varie aggruppale o distinte, ed iscrizioni parte italiane, parie Ialine. Così sul XV le parole lapidurius, aurifìces, cerdo sum, carpcnlarius, mensuralor, agricola, fal/cr sum, nolarius sum, sono sotloposte a figure di que'mestieri. Nel XIV sono Latini, Tartari, Turchi, Ongari, Greci, Goti, Egiptii. Nel XIII, che suol mostrarsi di preferenza e con particolari favo-leggiamenti, il primo quadro presenta una fanciulla al balcone, e a fianco un amoroso colla mano sul cuore : nel secondo it garzone e la fanciulla riccamente vestili, disror-rono: nel terzo ella mette una corona in testa a lui e gli fa un dono: nel quarto si baciano: nel quinto sou a letto: nel sesto è nato un bambino: nel settimo il fanciullo cresciuto sta fra padre e madre: nell'ottavo il tìglio ò morto, e i genitori si desolano. Al di sopra di questo capitello vedesi la personificazione di Venezia , seduta sopra duo leoni, sostenuta da una tavola che galleggia sul mare. Essa licn nella destra una spada( di metallo come il fermaglio al pollo, e coi capelli c la corona dorate; nella sinistra ba una bandiera coli' epigrafe fortis justa trono furias, mare sub fede tono. A destra sotto le gambe del l'ione giace un uomo, o piuttosto una furia, che lacerasi le vesti: a sinistra un guerriero in atto di spavento: forse ad esprimere la rivolta civile e la rivolta militare domale. Sovente è ripetuto il tema de' vizj e delle virtù, sempre con simbolismo e con iscrizioni variale; ed e notevole che tanto nel VII come nel XXVII capitello i vizj capitali sono otto, aggiungendovi la vanità. Merita maggior considerazione il primo capitello, i cui soggetti sono intrecciati al fo-iiYmna.f Vedasi qui contro) E primo l'angelo della giustizia, con ali e corona senza aureola, siede fra due leoni, e nella destra aveva una spada, or rolla; com'è rolla la man sinistra: ha nudi i piedi, c cosi la più parte delle figure. Nel secondo quadro, guasto del tulio, è Aristotel che die legge: nel terzo pare Mose che dà la legge ad Israele : nel quarto Soli (Solone) uno dei selle savidi Grecia che die legge. Nel quinto Scipione che restituisce la figlia prigioniera. Nel sesto iXuma Pompilio impcrador edipchador di tempi e chiese astratte, e che svelano la potenza magica dello spettacolo per P immaginazione , mentre per 1' intelletto han la potenza quasi illimitata del linguaggio scritto. Come il palazzo de' papi appoggia il fianco destro alla chiesa di san Pietro, così il ducale a quella di san Marco ; simboleggiando il governo rinlìancato dalla religione meglio che dallo bajonette ; ma il ducalo è edilìzio eminente laico, poiché, nella sì ricca composizione de1 capitelli, non appajono monache o frali. La facciata interna e la scala de1 Giganti non sono del Bregno, so pur questo non fosse il soprannome di Antonio Rizzo, autor dell'Adamo ed Eva che ora si vedon da quella scala, e forse della facciala verso il rio. Un' iscrizione infissa nella gran finestra che dà sul molo, porta ; M\\\e quadrigcnt'i currebant quatuor anni Hoc opus illuslris Michael dux Stellifer auxil. Cioè Michele Steno: laonde già allora parlo della facciata era costrutta; e forse nell'anno 1424, che ò additalo da due cronache contemporanee, si fece la porzione che va dalla tredicesima colonna fin alla insuperabile porta della Carta. Il lavoro continuò fino al settembre 1403 quando fo saldado la raxon a maistro Pantalon et a maistro Barlolamio lajapiera per ci lavor del palazzo a lor deliberado. Questo Bartolomeo Bon 6, autore d' essa porla della Carta nel 1430, e differente dal Bartolomeo Nel settimo quando Moise riceve la lege sul Monte. Nell'ottavo Traiano imperadorc che fe juslilia a la vedovaK Sovrasta a tulli il giudizio di Salomone. Anche alla cattedrale di Charlres, che è per avventura il monumento architettonico più completo del Belgio, si vede effigiato un calendario colle occupazioni di ciascun mese: poi le virtù dell' individuo, della famiglia , della società. Qualcosa di simile appare nella- cattedrale di Reims. Ma non mi ricordo che alcuno abbia confrontato il palazzo ducale con quello del Cairo, che pur tanto gli somiglia. 0 Nel 1463 fu preso parlo in consiglio che Bartolomeo Uon finisse la fronte del palazzo ducale, azio che tanta degna opera per piccola cosa noji restasse esser compieta. Consta che la porzione nuova del palazzo crasi cominciata a fondare nel 1424, e finito al L" maggio ÌW: onde non dovean essere che lavori accessorj e ornamentali quelli che s'affidarono al Bon; ma poiché incessa parte si ragiona di lavori già pagali a Bartolomeo e Pantaleone Bon, forse è vero che essi fecer tutte due le facciate. Più ragionevole parrebbe l'attribuir ad essi le colonne coi-suHodatl capitelli, e anche la sola dello scrutinio collo stanze sottoposte, e la scala Foscara che slava dove ora la slalua di Francesco dalla Rovere, e che fu demolita nel 4618 quando il Monopola riformò quel lato. Sarcbber a tenere opera dei Bon tulli gli ornamenti delle due facciate, e le statuette sui cuspidi dei duo tali intc/ni, e fors' anche le arcate acute del primo piano. A ogni modo la porta della Carta per cui s'entra in palazzo, con si begl'intagli e le (piatirò statue allegoriche, bastano a immortalare Bartolomeo. Vi sovrastavano il leone e il doge Foscari , ma nei giorni che parve libertà l'insultar alla vecchia patria vennero abbattuti dalla frivolezza del popolo ingannato. La spesa non fu sostenuta però dai Foscari, bensì dai magistrati del sale, in ducati 1700. Vedutisi Cadorin e Selvatico. HELLE AHTJ U Buono, che al principio del secolo seguente diresse la fabbrica, o piuttosto la ricostruzione del campanile di San Marco, che elevato 98 metri sopra palafitte verso il Millo ?. rimane inconcusso dopo tanti secoli. Allo stesso son dovute lo Procuratie vecchio, ove dispose 450 aperture nella fronte d'una fabbricasela, con accortissima distribuzione, gentilezza di sagome, sobrietà d1 ornamenti. Molti Lombardi operavano allora a Venezia, con un'architettura gentile quanto la greca, magnifica quanto la romana, Jibera e variata quanto la nordica. Qual effetto più stupendo che la Scuola di San Marco, ora ospedale civico, dovuto a Martin Lombardo? Pietro Lombardo nel 1480 fece Santa Maria do' Miracoli, ch'e un portento di decorazioni nobilissime e intagli francamente graziosi, e la più ricca di marmi dopo San Marco. Guglielmo Bergamasco, colla cappella Emiliana a San Michele s'assicurò un posto fra gl'insigni. Dee ben essere sprovveduto di senso artistico, o intorpidito nella pedantesca idolatria de' classici chi non ammira San Zaccaria, già delle Benedettino, e attaccato alla storia veneta per tante tradizioni. Il doge vi veniva processionalmente alla Pasqua; e una abadessa gli regalò il corno, lutto d'oro con 24 perle e un grosso rubino, e con croco di 28 smeraldi e 12 balasci, con cui soleasi far la coronazione. Fu noli' uscir da questa visita che venne dai congiurati trucidato il tloge Pietro Tradonico nel 804. La vogliono fondata lin da san Magno nel secolo VII, poi gì' imperatori d' Oriente diedero reliquie e danaro a erigerla; nella presente magnificenza fu erotta il 1450, da Antonio di Marco Lombardo. E in tre navi regolari, con bellissimo effetto prospettico terminate dall'absida a trafori, felicemente innestando il gotico col romano, il quale appare viepiù nella libera ricchezza della facciata; dentro e fuori poi 1' arricchiscono pitture e sculture, come avviene di tutto le chiese di Venezia, ciascuna de.le quali altrove costituirebbe un museo. Già precoci frutti di buona scultura, e distinta dalla Toscana, sono le statue che nel 1393 Jacopo e Pier Paolo delle Masegne posero sopra P architrave dell' absida di San Marco; e i già detti capitelli del palazzo dogale, lavoro che alcuno crederebbe di Filippo Calendario, il quale fu condannato a morte nella congiura di Marin Falliero. Esaminato quel della Giustizia che noi diemmo disegnalo, Didron, abbandonandosi forse soverchiamente all' ammirazione per le opere del medio evo, conchiude : « Ben vorrei mi si mostrasse, proveniente da Egina o da Atene, da Pesto 7 Si sa che la guglia del Duomo di Milano è 109 metri, la cupola di San Paolo a Londra, metri 110; il torrazzo di Cremona ISl; la torre di San Michele d'Amburgo, 130; quella di San Stefano a Vienna, 138; quella di Strasburgo, 14'2; la piramido maggiore d'Egitto, 14«. Illustra z. del L. V. Vol. II. « no STOMA DI VENEZIA o da Efeso, da Roma o da dove si voglia, un gruppo e un capitello cli»3 equivalessero a questi ». E un grande scultore di cui son calde le ceneri, David d'Angers, diceva: « Più vedo i monumenti gotici, più provo contentezza a legger quelle pagine religiose, cosi piamente scolpite sulle mura secolari delle chiese. Erano gli archivj del popolo ignorante d'allora. Bisognava dunque che questa scrittura diventasse tanto leggibile mediante la verità delle espressioni, che ciascuno potesse comprenderla ». Alessandro Leopardi nel deposito di Andrea Vendramin in San Giovanni e Paolo fece i migliori bassorilievi d1 arte veneziana, oltre il monumento Goleonc e i pili di bronzo in piazza San Marco. Ad Antonio Rizzo, a Paolo, a Lorenzo, tutti da Bregno cioè comaschi, sono dovuti molti mausolei, e singolarmente quelli del doge Foscari e di Dionigi Naldo da Brisighella ; altri a Pietro, Antonio, Tullio Lombardi, che segnano il passaggio fra l'ingenuo scolpire di quei delle Masegne e la raffinatezza più leziosa nel ricco deposito del doge Pier Mocenigo in San Giovanni e Paolo. Altri di quella piuttosto colonia e scuola che famiglia di Lombardi, operarono di decorare ed architettare al modo dell'1 alta Italia ; e nominatamente la cappella Zeno in San Marco, alla quale preferisco il vicino altare ; e a tacer altro, il palazzo Vendramin, la ricca torre dell'orologio, 0 il fianco dei cortile ducale verso San Marco « esempio d'aurea ed elegante ordinanza ». Intanto Io Scarpagnino facea le Fabbriche vecchie a Rialto e l'incantevole facciata dell'arciconfraternila di San Rocco. Fra 1 molti palazzi di questo stile lombardo, nomineremo il Vendramin , il Gontarini delle figure, il Trevisan a Canonica e l'altro a Santa Maria Formosa, il Mocenigo olla posta. Il dialetto, che volle paragonarsi allo jonico de' Greci, ommette molte volte la n (lornao, andao), scempia le lettere doppie ; la z addolcisce in s; la sigla gl pronunzia come lo lettere fossero trasposte (filai); non ha gutturali, nasali, aspirate: in generale allarga i suoni, egli addolcisce se aspri. Vestigia se ne hanno fin verso il 1250 8, del qual tempo potreb-b'essere la scritta sull'angolo esterno della stanza del tesoro di San Marco, presso alla porta della Carta: « L'om po far e die in pensar. E vega quelo che li po inchontrar»: e più certa questa sepolcrale: « MCCLXIX dej sier Michiel Amadi, franca per lu e per i so heredi. » Notevole è l'iscrizione posta ad infamia della congiura del Tiepolo nel 1310: 8 Vedi Gamia, Serie degli scruti impressi in dialètto veneziano-, 1832. DIALETTO. LETTERATURA 67 De Bajamonte fo questo terreno : E mo (ora) per suo iniquo tradimento Posto in comun et per altrui spavento E per mostrar a tutti sempre seno (senno). Alla Carità, ora Accademia delle belle arti, un'epigrafe del 1347 racconta che » a di XXV de zener, cerca ora de brespero, fo gran teramoto « in Venexia e quasi per tuto el mondo, e caze molte cime de campanili « e case e camini e la glesia de San Basejo : e fo sì gran spavento che t quasi tutta la gente pensava de morir, e no sto la terra do tremar circa t dì XL e può driedo questo comenzà una gran mortalidad, e moria la « zente de diverse maladie » ecc. ecc. Anche scritture lunghe si stesero in quel dialetto, e tutta la legislazione dell' impero di Romania, e le Assiso del regno di Gerusalemme. In mezzo agli affari non si neglesse la letteratura, e nel secolo X avoansi maestri di umanità e delle altre discipline. Nel 1293 il trovatore Bartolomeo Zorzi, catturato in viaggio dai Genovesi, e tenuto prigione sette anni, vendicossi maledicendoli : poi liberato, fu posto castellano a Corono ove morì. Calo da Chioggia e Bartolomeo vescovo di Torccllo scrissero di storie e leggende ecclesiastiche, e meriterebbero esser più conosciute le Laudi di Leonardo Giustiniani, fratello del santo patriarca °3 nato circa il 1388. Dal 1310 al 20 presso San Giacomo di Rialto aveansi scuole pubbliche di filosofìa. Nel 1293 fu invitato il famoso Taddeo medico bolognese con due discepoli a curare gratuitamente i poveri della città, e dare ordinamenti in caso d'epidemia. Nel 90 vi si trova un maestro Anselmo, che poteva esser consultato gratuitamente; oltre che dodici medici e chirurghi erano stipendiati dal Comune. Dante vide certamente questa città, alloggiando forse presso Giovanni ■ 9 0 sole, incoronato Da sette adorni lumi: 0 foco temperato Che abrusi e non consumi, Tanto mie' rei costumi Amor, vieni a purgare: ' E degnati abitare Nel core acceso sol del tuo fervore.... Tu (Spirito Santo) sei soave fiume De bei parlar profondi: Tu sei mediante lume Che illustri e non confondi : La tua lucerna infondi Nel tenebroso ingegno Sì ch'io diventi pregno De la tua verità ch'è senza errore*.. 68 STORIA DI VENEZIA Querini a cui diresse alcuni sonetti; rammemorò l'arsenale, nella Commedia, benché la sua ira ghibellina trovasse i Veneziani « di ottusa o bestiaio ignoranza, di pessimi e vituperosissimi costumi, e sommersi nel fango d'ogni sfrenata licenza. »10 Opponiamogli il Petrarca, che diceva nell'alta Italia non essere miglior luogo a riposarvi un amico della virtù e della quiete, che la nobilissimacillà de' Veneti. Un Paolo Albertini nel 1430 vi commentava Dante: e l'anonimo autore della heandriade introduce esso Alighieri a noverare i famosi poeti, fra cui diciotto Veneziani che scrissero soltanto in vulgare, dicendo : Se de"1 tuoi civi tutto il ceto bello Io dovessi narrare, il mio sermone Appena capirebbe esto libello. Celebre astronomo fu Tommaso Pisan, chiamato in Francia da Carlo V (1308) colla figliuola Cristina di appena cinque anni, la quale vi si diede agli studj, e rimasta vedova giovanissima, continuò a scrivere in francese, la storia di Carlo V, la Città delle Dame, ed altri libri, per cui fu l'ammirazione del suo secolo. De' cronisti antichi il più accreditalo è Giovanni Diacono, detto il Sagomino , che scrisse sotto Pietro Orseolo VI ; ma ed esso e gli altri furono superati da Andrea Dandolo doge, istrutto nelle leggi e nelle lettere, tutto decoro, gravità, amor patrio e prudenza; che tirò una storia dall'era vulgare fin al 1342, esangue e senza critica pe'tempi vecchi, pe' successivi ricca di documenti, e meno parziale che non s' aspetterebbe da nobile e repubblicano. Lo continuarono Benintendi de' Rovegnani, poi Rafaello Caresini, mentre altri tessevano varie croniche, delle quali com-paginossi quella che chiamasi Altinate : ma più piacevole e circostanziata ò quella del Da Canale, scritta il 1207 in francese o in francese tradotta. Fin dal 1290 fu preso il partito che gli ambasciatori esponessero al magistrato un ragguaglio della condizione fisica e morale del paese a cui erano spediti: poi nel 1425 si ordinò di ridurli in iscritto e conservarli neh" archivio pubblico, donde ora si traggono a preziosissima rivelazione dei tempi e dei casi. Nel 1510 poi si assegnarono ducento zecchini l'anno ad uno che registrasse i fasti patrj; e il primo fu Marcantonio Coccio detto Sabel-lico, abborracciatore; Bernardo Giustiniani s'appigliò a buoni documenti per indagare l'evo conghietturale, ma si arrestò all'809. 10 La lettera a Guido da Polenta ove sono tali espressioni, vorrebbesi aprocrifii da Veneziani. • FESTE 69 Piuttòsto che per gli sludj, Venezia era riverita per la sapienza civile, e tutta Europa guardava con riverenza quel governo, cosi mirabile pei tempi, così inconcusso contro le popolari esuberanze e i tumulti che quotidianamente sovvertivano le altre città ; quivi cercavano ricovero tutti i profughi; quivi i principi caduti; quivi chi amasse libertà di costumi e letizia di feste. Che un carattere di Venezia son le rinomale sue feste. I giovani sentono tuttora ricordare da noi vecchi la Giustina figlia del doge Re- nier, nipote del doge Manin, levata a battesimo dal doge Foscarini, sposata in Marcantonio Michicl, oratore presso la santa sede (1755-1832); la quale, in uno di que' circoli che non sono l'intimità, ma neppur sono il pubblico, raccoglieva attorno a se il meglio di Venezia quando ancora 1' u-sarsi benevolenza e urbanità si considerava come elemento del vivere onesto, e come carissimo piacere il ragionare o chiaccolare. Noi la mettevamo spesso sul discorrere de' tempi passali, o di nulla più volentieri parlava che delle feste, sulle quali lasciò un lavoro che compendia la storia veneta. Già vecchia e sorda, eppur vivace ed epigrammatica, e piena di lancio nelle comunicazioni, quando non fosse interrotta abbando-navasi a reminiscenze che somigliavano ispirazioni, o diceva : « Talmente delle feste era antico qua il gusto, che il doge Pietro Or-seolo nel 978, abbandonando il mondo pel chiostro, dispose delle sue facoltà mille libbre d'oro a favore de' parenti, mille pei poveri, mille pei divertimenti pubblici. Già nel 1094 erano segnalati i carnevali, che fin a jeri traevano da ogni parte chi amasse sollazzarsi. Al qual uopo era dalle leggi protetta la maschera che sottraeva I1 uomo alle indagini, permeo eagli di penetrare lin nel maggior consiglio, avvicinava il plebeo al nobiluomo, il Barnaboto al frate, la merciaja alla dogaressa. « Feste particolori poi rammentavano avvenimenti patrj. Il ratto delle spose (pag. 15) si solennizzò colla festa delle dodici Marie, dove la Repubblica dava la dote ad alquante fanciulle, che recavano le donora entro arsellc. I casclleri, cioè casseltaj, che avevano somministrato il maggior numero di barche, chiesero in guiderdone che il doge venisse ogni anno alla loro parrocchia il giorno della loro festa. « Ma e se « piovesse? — Vi daremo cappelli. — E se avessi sete? — Vi daremo « a bere. Sia e sarà sempre. » Ed anche dopo dismessa la cerimonia degli sposalizi*, il piovano di Santa 'Maria Formosa andava incontro al doge, presentandogli due cappelli di paglia, due aranci e due fiaschi di malvasia. Tradizioni poetiche, che Venezia custodiva gelosamente, e che fin a jeri congiungevano il passato al presento. « Vinto Ulrico patriarca d1 Aquiloja, che aveva favorito al Barba-rossa, i nostri gF imposero di tributare al doge ogni mercoledì grasso dodici porci e altrettanti grossi pani; e tagliata la testa ai porci e ad un bue, davansi a godere al popolo, mentre nella sala del Pio-vego il doge e i senatori demolivano piccoli castelli di legno : poi dall'antenna d'una nave tirata una corda alla sommità del campanile di San Marco, un marinaro v'ascendeva, e di là calava alla Loggotta per offrir al doge un mazzo di fiori. I fabbri ferraj erano gli eroi di quella festa, come di quella delle Marie i caselleri. « Il giorno delle palme ad uccelli e colombi davasi la libertà dalla loggia di San Marco, e i popolani schiamazzavano nel rincorrerli: e da alcuni di loro, sfuggiti alla caccia e annidatisi sulla torre, derivano quelli che ancor vedete sin qua rispettati dalle rivoluzioni e dai despoti ; ed era ordinato all'intendente de' pubblici granaj, di sparger per essi ogni giorno una misura di grani. Il giorno di Santa Marina cclcbravasi la presa di Padova, e sebbene Padova non sia più suddita nò Venezia regina, e la chiesa stessa distrutta, pure il 17 luglio vi trovate un concorrer di gente e un frigger di pesci e un votar di bicchieri, come un mezzo carnevale. « Che vi dirò della maggiore delle nostre solennità, quella dell'Asscnsa ? Ahimè ! io ho veduto con questi occhi Francesi e Veneziani insieme acca- 99 nirsi ridendo e insultando nello sfasciare il bucintoro e bruciarlo per levar Toro delle dorature. Non era più quello famoso del 1520, che dio soggetto al poema di Ferdinando Dona; ma ora stato fabbricalo 70 anni prima (1727), su disegni di Antonio Corradini. Avea la forma di una galera, lunga 200 piedi, composta di duo ponti , di cui l1 inferiore occupavauo 100 rematori, i più belli e robusti della fiotta, elio quattro a quattro stando su panelli ai due bordi e colle mani sul remo, aspettavano il seguo; 40 altri marinaj in piedi compivano l'equipaggio. Il ponte superiore ora diviso per lo lungo da una tramezza forata da porte arcuate; negli interstizj ornata di figure dorate; e ricoperto da un turno o tetto sostenuto da pilastri a foggia di cariatidi, tutto sormontato da una magnifica tenda di velluto cremisino, ricamato a oro. V'erano disposti 90 sedili, e in poppa una sala più ricca, col trono del doge, e al disopra sventolava il gonfalone di San Marco. La prora avea doppio sprone, colle figure della giustizia, della pace, del mare, della terra ed altre allegorie e fregi clic s'estendevano a tutti i fianchi del legno. « Lasciatemi immaginare quei tempi: e il gusto de' vecchi. A mezzogiorno , udita messa nella cappella del collegio , il doge scende dalla scala de' Giganti, esce dalla porta della Carta , passa per le botteghe de' merciaj e vetraj, erollo in occasione della fiera che alla vigilia cominciava. Lo precedono ottu bandoraj cogli stendardi della repubblica rossi, turchini, bianchi, violetti, donali da Alessandro III al doge Ziani: poi sei trombe d' argento appoggiato alle spallo d' altrettanti fanciulli, il loro squillo mescolavano al suono delle campane di tutta la città; dietro vengono i servigiali degli ambasciadori collo livree più pompose; i cinquanta comandadori in lungo abito turchino "colla berretta rossa, portante in mezzo uno zecchino: seguo lo stuolo de' pifferi, e gli scudieri del doge in velluto nero , poi i custodi del doge, due suoi cancellieri, i segretarj de' pregadi , un diacono vestito di pavonazzo che porta un candelliere col cero; sei canonici, tre residenti , tre parroci in piviale, il cappellano del doge vestito di cremesino. Il cancellier grande si conosce alla veste cremesina; ecco il ballottino; due scudieri recano il sedile e il cuscino del doge di panno d'oro. E il doge? il rappresentante e non il padrone della patria; l'emanatorc non il fabbricatore delle leggi, cittadino e principe, riverito e custodito, sovrano degli individui, servidor dello stato, viene in lungo manto d'ermellino, sottana azzurra, zimarra e calzari di tocca d'oro, col corno d'oro in testa, sotto all' ombrella portata da uno scudiero, e circondato dagli ambascia-fiori stranieri, dal nunzio pontificio, mentre la spada sguainata è sostenuta da un patrizio, recentemente destinato per alcun governo di terra o di FESTE 73 mare, e che fra breve partirà. Trae dietro una folla di personaggi: il capitano grande della città, i giudici del proprio, i tre capi della quaranta, i tre avogadori, i tre capi del consiglio de' Diaci, i tre censori, e i sessanta del sonato, coi sessanta dell'aggiunta, tutti in vestone di seta cremesina. « Sul bucintoro ciascun prende il posto assegnatogli, e il principe grandeggia sul trono; l'ammiraglio dell'arsenale e del Lido stan davanti come guide; al timone l'ammiraglio di Malamocco; attorno gli arsenalotti. Raddoppia lo scampanio e il trar de' cannoni e le sinfonie di varie gondole quando il bucintoro si stacca dalla riva e maestosamente solca la laguna, circondato da clfentinaja di barche d'ogni forma e grandezza. « Il patriarca, che già aveva mandato duo o tre vassoj di rose e fiori al bucintoro per far gentilezza alla compagnia, lo raggiunge all'isola di Sant'Elona e vi sale, aspergendo il mare. Giunti così al porlo di Lido, un tempo si usciva al largo, ma a' miei tempi vi si facea sosta, e rivolta la poppa al mare, fra il tonar delle artiglierie del forte, il doge prendeva l'anello, benedetto dal patriarca, e mentre questo versava un secchiello d'acqua santa nel mare, il dogo avanzavasi in una gallcriolta dietro al suo trono e vi gettava l'anello, pronunziando, Desponsamuste, mare, in signum veri perpeluique domimi. Passandosi poi alla chiesa di San Ni-coletto e uditavi la messa solenne, tornavasi a Venezia ove i grandi eran accolli a un pasto, mentre la folla, schiamazzante senza tumulto, disperdeasi fra il labirinto delle botteghe, erottesi per la fiera.... » Raccontava allegrie, oppure il volto della buona veneziana »' imbruniva, le si rimbambolavano gli occhi; taceva alquanto, e tacevamo noi tutti, ricambiando per simpatia la mestizia come la gioja; poi, con un modo che non era semplice recita, nò però canto, ella proferiva: O Lido, incolta sponda, O mare ancor più squallido! Quando a sposar quest'onda Cadea l'anello pronubo, D'amor fremevi tu. De' gaudj di San Marco I giorni ahi non son più 1 Muto ò Rialto al canto Del navicchier. S'offuscano La seta e l'or, che ammanto Peano a bissone e a gondole In vividi foston. De' gaudj di San Marco I giorni ahi più non soni Uustraz, ilei L v. Vol. lì 10 Invan d'ombre tranquille Ornano, o Brenta, i platani Le tue deserte ville. Più gloria e amor non vengono Qui posa a ricercar. De' gaudj di San Manu I giorni, ahimè, passai* E taceva di nuovo, e tacevamo noi; sin ch'ella, quasi rannodando un racconto appena interrotto, ripigliava: « A quella l'osta esponeansi ali1 ammirazione anche capi d' arte, e alla curiosità un fantoccio di donna che dava norma al vestire di quell'anno: conformandolo su quel che meglio appariva nello dame nostre, sfoggiano vezzi e nudità sotto Io Procuratie affollate. « Le frequenti regate ", di cui la prima ricordata ò del 1315, servivano a formar buoni marinaj (vedi la fig.) Una volta la settimana nobili e popolani esèrcitavansi al bersaglio a Lido : da settembre a Natalo faccasi il pugilato sui ponti, allora senza sponda, e perciò gettandosi un l'altro in canale: nelle forzo d'Ercole gareggiavano i due partiti popolari de' Castellani vestiti a rosso, o de* Nicoloiii a nero ,2, vincendo quelli che si elevassero a maggior numero di palchi: poi finito, traevano spade smussate, e paravano e ferivano come in moresca, e ballavano la furlana. * I monaci della badia di Sant'Ilario, fra Gambarare e la laguna doli E bizzarro clic in celtico realka vuol dire corsa. 12 Sopra una guèrra fra Castellani e Nicololli nel l!i'21 è un poemetto in ottave vernacolo di quél tempo. ■ Per eerte risse, antiche de mil' ani Ogn' ano se sol far una gran guera Do Nicolo!] contro Castelani Su ponti ora ile legno, ora de plora. A dar se vede baslonac de' cani, K chi cascar in acqua e chi per tera Con gambo rote e visi mastrazal li qualcun de sla vila anche cazzai. Come ve digo, siando qucsl' usanza, Per mantegnir clic no l'andasse in fumo I Castelani feva una gran smanza. Celli diseva: « Pota! oh me consumo, No vedo l'ora d' esser in sta danza, li in t' i zuli zufar de (inali un grumo; Rompergli i denti, slrapargli i zenochi, Trazerli in lenza po come ranoclii ». E cussi i Nicoloti d' altra parte Voleva far broeto e zeladia De Castelani ; tuli feva ci marte In piazza, per Rialto, in pescaria, ecc. ecc. veano prestare al doge cani e cavalli qualvolta vi andasse a cacciare, e nutrirne i bracchi c i falconi, e la vigilia di Natale faceasi una gran caccia, le cui prese erano distribuite a ciascun magistrato e ai padrifa-miglia. Nel 127« il maggior consiglio avea decretato che a ciascuno de1 suoi membri si desser in dono cinque uccelli di valle, che doveano essere mazzorìn (anas boschas); ma non potendosi sempre coglierne bastc-vol numero, nel 4521 si preso il partito di distribuir in loro vece una medaglia che n' avesse il valore, cioè un quarto di ducato d'oro. Cominciarono dunque col doge Grimani Antonio, e finirono col Manin le medaglie dette oselle, d'argento, coniate a questo sol uso, e la raccolta delle quali è oggi una preziosità, in numero di 275; e potò sfoggiatisi l'abilità degli incisori e quella do' letterati nel trovare simboli e molti r\ Al giovedì santo il doge riceveva il tributo del pesce che parimenti distribuiva. « Cinque banchetti pubblici egli imbandiva ogni anno ; à san Marco, all'Asscnsa, a san Vito, a san Girolamo, a santo Stefano, per lo più di cento coperti, invitandovi antichi magistrati c persone di recapito; nella sala si sfoggiavano argenti del principe e dello Stato , trionfi dei nostri cristalli colorati ; un popolo di curiosi vi assisteva in bautta, e fra loro anche insigni personaggi : le donne correano da un convitato all' altro, motteggiando colla vivacità sì propria a noi altre : non mancavano mu- LI Le Oselle posson considerarsi come la storia metallica di Venezia, a lo lai senso ne fece la monografia il conte Leonardo Manin, Illa?(razione delle medaglie dei Dogi di Venezia denominale Oselle; Venezia 1857. Anello la cittì di Murano ogni anno lacca coniare una moneta d'oro o d'argento del peso dell'osella, coli'epigrafe Munus comuni/atis M urani, e le distribuiva al doge, al podestà e al consiglio del luogo e ad altre cariche. Portava sul dritto lo slemma del Comune, del doge, del podestà, del camerlengo proprio, e nel rovescio i nomi dei quattro deputali comunali. FESTE 77 sica, spettacoli, improvvisatori. Allo sparecchio gli scudieri dogali presentavano a ciascun convitato un paniere di dolci, e mentre i padroni accompagnavano il principe al palazzo, il gondoliere di ciascuno entrava a prendersi quel paniere, e portarlo a chi gli era stato imposto ; invidiato testimonio di predilezione. « Come era naturale in città commerciante, nelle leste aveano principale comparsa le arti, distribuite in maestranze; e la cronaca manoscritta del Da Canale ne divisa molte, fra cui mi ricordo quelle del 1208, quando il Tiepolo fu fatto dogo, e se siete contenti, vi leggerò un estratto di quel suo prolisso francese : « La prima festa fu fatta in mare davanti il palazzo del doge, passan- • dovi le galee fra le grida di « Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera ;. « a nostro signore Lorenzo Tiepolo , la Dio grazia inclito doge di Vc-« nezia, Dalmazia c Croazia, e dominatore della quarta parte e mozzo « dell'imperio di Romania, salute, onore, vita e vittoria: San Marco « Io ajuti ». Poi le fece il capitano navigare per mezzo Venezia; e se « ne andarono a vedere a Sant'Agostino la dogaressa, che li ricevette a • lieta ciera. Di poi vennero alla visita lutti i mestieri, riccamente appa-« recchiati. Prima que'di Toreello e dell'altro contrade col loro naviglio : « quelli di Murano vi portavano galli tutti vivi, che son la loro insegna. I « maestri fabbri e loro serventi andarono insieme sotto un gonfalone, cja-« scuno con una ghirlanda in capo, e trombe ed altri stromenti e mon-« tarono in palazzo, e salutarono il doge, augurandogli ciascuno vita e vit-« toria; ed egli rendette loro salute e buone avventure. « I maestri pellicciai addobbaronsi di ricchi ermini, vaj ed altre pelli STORIA DI VENEZIA bianco, c tutte le botteghe riccamente ornate di quadri, broccati d'oro, merli, trapunti d'oro e d'argento; maschere e popolo avvivavano lo spettacolo. II procuratore, conducevasi alla chiesa di San Salvatore, accompagnato da tutti i procuratori vestiti di porpora e dai parenti ; udiva messa solenne, e poi moveva al palazzo ducalo a prestare il giuramento ordinario, passando poi nelle Procuratie nuove. Per tornar al proprio palazzo montava in gondola alla piazzetta; tiravano le artiglierie di tutti i navigli palvesati lungo il Canal Grande; i servi della casa, montati in barche, si mescolavano al corteggio delle gondole ed accompagnavano quella del procuratore a suon di trombe e a grida festose. I gondolieri di ciascun traghetto erano obbligati arredare una peota a dieci remi. Continuavano le danze per tre giorni noi palazzo dol nuovo procuratore, con profusione di rinfreschi, fuochi d'artifizio colà e dai parenti e amici di lui. Per Almorò Pisan al 2 maggio 1796 si spesero 93,633 lire, oltre il pane e il vino: e cento ghinee costò il ritratto di esso, fatto incidere dal Bartolozzi. « E sempre il Veneziano fu ghiotto de'divertimenti ; anche oggi vende o impegna le masserizie per goder d' una festa ; persone in cenci voi vedete andar sui carri a prender aria in terraferma o nelle gondole a Lido; e principalmente in autunno, intere famiglie tragittansi colà a gozzovigliare, poi ballonzare, e far, come dicono, il bacanal. Quando per la festa del Redentore si congiungon le Zattere colla Giudecca mediante , un ponte mobile, quanta folla, quanta letizia, quanto vestir di festa e cantare! chi allora rimarrebbe al telajo, agli affari? chi non vorrebbe essere stato ne' giardini del signor Checchia ? chi non vuol avere ecceduto in bere e mangiare ? « Più popolana è la festa di santa Marta, forse derivata dalla pesca delle sogliole, a cui andavasi m luglio, cambiata poi in ccnette, ove arrivando d'ogni parte e in ogni foggia di barche, la notte, al chiaro di mille facelle, sotto pergolati e padiglioni e fra l'armonia si gode il ben di Dio, nè si lascia il campo finche 1' aurora non chiami a bere il caffè a Rialto. « E tuttodì quante feste all'entrar d'ogni parroco t quante agli imenei 1 e si ricordano che non è gioja intera Dove la voce delle muse è muta. Che festa ne' giorni quando i nonzoli dispensano i fioretti 18 ai signori t8 Fiori di seta e di foglio, come quelli onde qua e là nel Veneto contadine e Contadini si adornano la testa e scappelli. FESTE 87 della parrocchia, che nella messa grande delle maggiori solennità, vengono a baciar il manipolo e offrir qualche monetai Che sfoggio quando s'illumina la Merceria, gareggiando ogni bollegajo a metter fuori quan-t'ha di più prezioso o di più vistoso. E questa piazza non è una sala da festa, la sala più magnifica del mondo? Avvivatela di sinfonie, d'una luce più sfarzosa , del tumulto dello maschero carnovaleschc e del fremito della tombola, datele per vòlta questo cielo splendidissimo, por pareti le Procuratie nuove e vecchio e la facciata di San Marco, per candelabro il campanile, per isfondo la Piazzetta, e dite so spettacolo eguale o simile può offrire altra città del mondo ». Così press' a poco diceva la Giustina , non in questa scolorata prosa che noi imparammo a scuola , ma con infinita vivezza « modulando i lepidi delti del patrio suon ». E conchiudeva : « Oh sì, i Veneziani erano mercanti , come dice insultando l'età nostra, battagliera sotto i continui piagnucolamenti di pace, o aristocratica fra le ostentazioni di democrazia; ma quel commercio non era freddo, semplice, austero, avaro, bensì fastoso, poetico, brillante, voluttuoso ». E un preticino, laudalor, temporis adi anch' osso, ch'era niente meno che il bibliotecario Morelli, quasi rispondesse a sò medesimo, soggiungeva: « San Tomaso dice che la magnificenza è una virtù quando regolata dalla ragione ; ben differente da quel lusso che è solo vanità e ruina ». Quasi tali parole fossero state scintilla sulla polvere, se ne scoteva un vecchio che pareva sonnecchiare ; il conte Jacopo Filiasi, che con molta dottrina e pochi pregiudizj storiò i primi tempi veneti ,0: e pigliava a dire: Clio no li creda che Venezia facesse sempre domenica: la gli' aveva i suoi giorni di lavoro, e come ! Il commercio era slato il latte di lei bambina, e già Cassiodoro, segretario del goto re Teoderieo, salutava i Veneziani siccome corridori del mare e dei fiumi e « Si-« mili ad uccelli acquatici, spargeste vostre case sulla faccia del mare; « per voi furono congiunte terre divise, opposti argini all'impeto dcl-« l'onde; basta la pesca ad alimentarvi, e il povero non e difieren-« ziato dal ricco; uniformi gli abitari, non distanza di condizioni, non « gelosia fra cittadini; voce di campi vi tengono lo saline ». Pure in quo' primordj s' badava anche all' agricoltura e 1' attestano 1' isola della le Vignale per le viti, una Bovese pei bovi; a Torcollo si stabilì 19 Olire molle opere idrauliche e di altri generi, scrisse sui Veneti primi e secondi e sutl'Aulico Commercio, Arti e Marina dei Veneziani; argomento svollo con pessimo stile e senz'ordine nè esattezza ili documenti, ma con ampiezza e cognizione da C.arlaiitonio Marin nella Storia Civile nel Commercio di Venezia: 171)8; il quale, valendosi dell'opera incelila del Muhz/.o, ben divisò le interne trasformazioni del governo. per chyrographorum šcripta di misurare a jugeri i terroni da darsi a coloni, i quali per ogni jugero di vigna doveano al vescovo due tralci carichi , e ogni massaro otto danari ; e gli abitanti contribuirebbero ova, galline o siffatti. t Costantino Porfirogenito imperatore nel IX secolo menzionava magnimi emporìum Torzellanorum, il gran mercato di Torcollo: perchè i Veneti di buon'ora si diedero a trafficar di grano, tirandolo di Sicilia, d'Egitto, dalla Barberia, dal mar Nero ; e quando non trovasser colà condizioni migliori, lo cercavano dalle repubbliche italiane, nelle relazioni colle quali tendevano ad assicurarsi il commercio del Po. Cosi traevano dalle coste d'Africa il sale, del cui monopolio erano talmente gelosi, che sostenner guerre por impedire che altri ne cavasse, massime i Padovani, e sotto la statua del doge Gradenigo fra altri vanti è scritto A [adendo sale Pa-duanos marte coégi, , « I nostri trasser partito dallo miniere di ferro e rame del Friuli, del Bellunese, del Cadorino, della Carintia, e le loro fabbriche serbarono un pezzo il secreto d'agevolar la fusione col borace. Il borace tiravano dall'Egitto e della Cina, ma soli i nostri sapevano prepararlo, come il cre-mor di tartaro, la biacca, la lacca, il cinabro, il sublimato, che probabilmente avoano imparati dagli Arabi. La famosa triaca confezionavasi con arcana solennità, parlandosi di certi uccelli, di certi personaggi ignoti che recavano gl'ingredienti, i quali alla presenza di magistrati-giltavansi nella gran ealdaja, li davanti al ponte di Rialto dove ancora è l'unica dispensa di quel polifarmaco, la spezieria della testa d'oro; e sempre si credette alle meravigliose virtù ili essa lino a guarir dal morso di scorpioni, di vipere, di cani arrabbiati, e dalla peste, preservar da ogni contagio, cacciar di corpo gli umori viziati, sanar da ogni infermità anche dello spirito, e fin dalle passioni. « La cera traevasi dall'Anatolia, dall'Arcipelago, dalla Moldavia e Vala-chia, per purgarla qui dove prelcndosi esca più pura por non esservi polvere, e spedirla dovunque fosse culto. Fu anche Venezia la prima città di ponente che raffinasse lo zuccaro, che poi trasmetteva in mille foggio. Del suo sapone, della biacca chi non intese parlare? « Le cotoncrie di Venezia cran in qualche pregio: e vi si preparavano le pelliccio di Russia; e così i cuoj anche dorati per tappezzerie. In altre manifatture non molto ingegnami ; ma traeva dal solo Milanese per 300 mila ducati in panni e per d00 mila in canovaccio, lane francesi e catalane, tessuti d'oro e di seta, pepe, cannella, zenzero, zuccaro, verzino e altre materie coloranti, e saponi e schiavi. Di seta lavoravano piuttosto le contrade suddite di terraferma e di levante. A Marino da Cataponte veneziano nel 1456 il re di Napoli dava mille scudi a pre- INDUSTRIA 89 stilo porche in quel regno mettesse fabbriche di drappi di seta c oro; immune d1 ogni gabella ciò che vi servisse; gli operaj sarebbero trattati come i natii, nelle loro cause ricorrerebbero solo ai proprj consoli, che ogni anno venivano eletti da quelli iscritti nella matricola,, e ogni sabato tenevano ragione. «Fin dal 1123 appare indizio delle smaniglie d'oro, che ogni Veneziana poi volle aver a più giri attorno al collo e ai polsi, e eh' eran dette mtrigosi « I negozianti nostri che giravano l'India e la Cina vedendovi universale l'uso de' rosarj tra le popolazioni devote al culto di Budda, pensarono trarne guadagno, e invece delle pallottoline di cocco e dei frutici ivi consueti, cominciarono a farle di vetri. Parimenti vedendo come le popolazioni africane vagheggiassero i colori vivaci del corallo e delle conchiglie, le servirono di vetri, imparandone le paste dai musaicisti bi-sanlini, e ricevendone in baratto avorio, aromi, oro. Cosi nacque l'arte delle conterie, per la quale anche oggi Venezia guadagna 4 milioni all'anno. Già nel secolo XIII si usavano, e ne espose i metodi il patrizio Nani. Neil' isola di Murano si lavoravano le canne, che mandavansi in Germania, e di colà ricevevamo le perline, finché nel 1510 si volle tener qua tutta 1' arte, proibendo di portar fuori le canne ; e allora si costituì la compagnia de' Margaritieri. E passo passo si andò sempre in meglio, lavorando e conterie e finte gemme, vasi comuni e costosi cristalli, vetri di finestra e specchi suntuosi. Una fontana di.cristallo di argento fabbricata a Murano, fu comprata tremila e cinquecento zecchini da un duca di Milano. « Una legge del 1255 provvide per gelosamente conservare quest'industria al paese. L'operajo che ne migrasse, faceasi reo di morte. S'introdussero poi i soppialumc, che col cannello ferruminatorio combinano le guise e le screziature più complicate; e nel 1529 Andrea Vidacre ottenne privilegio per quest'invenzione. A metà del XVIII erasi trovata la Venturina artifiziale, che poi riperdemmo, *° e moltissimo erano cerchi i vetri reticolati, a filigrana, a millefiori. Mentre le altre corporazioni stavano sotto l'ispezione di inferiori magistrati, a questa soprintendevano i Dieci (1490), ed arricchivasi di privilegi tali, che il matrimonio d'un patrizio colla figlia d'un vetrajo neh derogava là nobiltà, e la moglie del nobile muranese sedeva pari a quelle della dominante. Chi di voi non ha ammirato nelle cose patrizie le stupende ciocche, cioè lumiere di cristallo fin di sei e sette piedi di diametro? b » , la Fu trovata di nuovo ai dì nostri dal Bigaglia e perfezionata. • Ulustraz. del L. V. Vol. II. * 12 « Quelle fratellanze \ che oggi si considerano solo corno avanzo di schiavilo ti di monopolio, orano di stimolo invece e di mutuo soccorso: ed anche al secolo orgoglioso di dottrino possono mostrare corno nella pratica si conoscessero i melodi più appropriati a eccitar I' industria , garantirla dai disordini, mettere in stima, ed elevar l'elemento popolare. Statuti proprj aveano i carteri, i coroneri, i berctteri, i calegheri tedeschi, i merceri, i cortelleri e spaderi, gli specchieri e vitrari di Murano, i perleri e giojellieri, i passamanteri, i pittori, i velluderi, i corrieri, e molt'altrc. E tulte cominciavano i loro statuti In nome de Dio, de la so Mare e de (ulta la corte celeslial, de l* evangelista messer San Marco go~ vernador de questa città, de messier .... il santo protettore di ciascun arte *>. « Nel commercio in grande Venezia fu delle prime ad adottare gli artifizj che oggi lo fan prosperare. La legge del 1 253 impone già le assicurazioni marittime, ignote a' Romani. Alla scarsezza del denaro e alla difficoltà dello comunicazioni provvidero i nostri coli' istituire banche private, poi con pubbliche di deposito e di giro. « Collo statuto del 31 marzo 1405 aveano stabilito che per i debiti 20 Quel degli scarpellini, del 1307, dice: « A laude de Dio c de Ingloriosa Versene » Maria madre sempro nostra advocata; ad honor de misicr lo Doze, acrescimonlo de la » repubblica, et a mantenimento de la juslizia, et ad ulilità et beneficio de tutti de la • dita arte, e de quelli che vivono in quella*. E al 14311 aggiungevano: «Perchè le bonu ed utelc cosa a pregar per le anime nostre, « che quelle Dio rezi e governi, per tanto presa fo parte che, ila mo uvanti, ol gaslaldo « nostro con'i so compagni debino ogni marti far celebrar una messa a san Zuancevan-« gelisla» a reverentia dei nostri quattro martiri, i quali per nui a Dio intercede, ecc. » Vedi Sagrboo, Salta consorteria dell'arti edificative. Ccntrcntaduc etano le arti della Dominante , sicché non v'era mestìero che non fosse serralo in maestranza. Molle altre importantissime cognizioni si raccolgono dalla relaziono di M. A. Dollin al principe il 9 settembre 1752, ove mostra i mali che derivano dalla chiusura delle arti. Ma la signoria, meno prepotente do' principi contemporanei, sentiva I' obbligo di rispettar la proprietà quando non s'era ancora proclamato quel che passa per lo stillalo della politica odierna, che lutto dee sacrificarsi al ben dello Stato. Quelle arti aveano debiti e crediti : a buoni contanti aveano comprato il diritto di vender in certi luoghi: davano doli, soccorsi a maiali, tasse a luoghi pii. La libertà, cioè la distruzione di tutti quo' corpi fatta d' un colpo, abolì tutto, e insegnò alle plebi che il diritto della proprietà può darsi e togliersi con decreti e colla forza. Francesco II, divenuto padrone di Venezia nel 17117, chiese intorno a tal fatto un'informazione, che fu stessa da Apollonio Del Senno patrizio islrioto.il «inalo palesò tutti questi diritti, e la necessità di proceder a passo lento nell'abolir alcune maestranze, e di conservarne altre. Napoleone fe tavola rasa, incaricando il monte Napoleone de'crediti e debiti; il pagamento di quelli fu di nuovo promesso nel 1816; ma solo promesso. Secondo la relaziono del Del Senno, • tutte le arti, col cader della repubblica, componevano un numero di 30 mila persone, in gran parte capi di famiglia ; pagavano all'ciario annui ducali 45 mila; avean un fondo di capitali passivi a censo di ducali '221,000, e senza interessi ducati 21,000; possedeano iuviamenti calcolati più di 3 milioni di ducati. Il ducato velea franobi 4 se effettivo, fianchi 3. 10 se correlile. COMMERCIO 91 le mercanzie e i contratti fatti, i Veneziani dovessero esser convenuti a Venezia: norma che stette in vigore fin al 1819 e che sebbene ripugni alle abitudini odierne, per cui ognuno è convenuto davanti al proprio giudice personale, veniva però giustificata dalla postura singolare di Venezia. « Fin verso il 1156 trovandosi esausto l'erario, il doge Vitale Michicl propose un prest;'o forzalo sopra i megliostanti, meritandoli al 4 per cento. Si formò cosi la prima banca di deposito, non di emissione; i contratti si facevano e i viglietti si traevano dai mercanti, non al corso della piazza, ma in moneta di banco, cioè in ducati effettivi del titolo più fino. Nuova forza acquistò dacché il governo introdusse di fare i suoi pagamenti in cedole siffatte: poi si aprì partita di dare e avere, talché i fondi depositati si giravano da un nome all' altro, pagavansi cambiali per conio di privati. À principio il banco rifiutò i capitali di forestieri, e nel prestito del 1390 si volle un decreto speciale per accettar 300 mila scudi da Giovanni re di Portogallo. Tanto credito ispirava , che si potò estrarne quasi tutto il contante. A questo monte vecchio s'aggiunse il movo del 1580 per sostener la guerra di Ferrara, infine il novissimo del 1610 dopo la guerra coi Turchi, indi delle loro reliquie si costituì nel 1712 il banco del giro che continuò fin alla morto della nostra repubblica. « Le lettere di cambio usammo nel XII secolo, e subito s'introdusse il diritto bancario. Il doge Renier Zeno fece, da Nicolò Quirino, Piero Radoer e Marco Dandolo, compilare un codice di navigazioni e commercio ( Statuta et ordinamenla super navibus et Ugna aliis) con egregi provvedimenti, semplicità, esattezza e brevità imitabili; prescrivendo il modo degli armamenti , il giuramento de' marinaj, i doveri de' patroni e de' consoli, il carico, le provvigioni, il prezzo del tragitto, e le armi e bandiere; e divenne modello a tutta la legislazione marittima. Era prefinito il numero delle navi e delle persone; quando prender il maro; dove sbarcare, quali e quante merci trasportare nell'andata e nel ritorno. Gli oggetti da cambiare con merci asiatiche non doveano tasse o moderatissime. « Il commercio di maro Venezia divise con Pisa, Amalfi, Genova, colla quale ultima sola al fine si trovò in concorrenza come fattora dol traffico europeo. • Costantinopoli, oziosa e corrotta capitale d'uno Stato senza industria, considerava il commercio men tosto come elemento di pubblica prosperità, che come rendita fiscale, onde le speculazioni di quell'immenso mercato rimanevano a Veneziani e Genovesi; che dapprima tollerati, presto furono trovati utili, infine necessari; e i deboli imperatori, per mantener- sene la vacillante amicizia rinnovavano ed estendeano i loro privilegi 2I, Ne rampollarono calde rivalità fra Genova e Venezia, che furono combattuto nei mari nostri e negli orientali, perocché a tutte le città marittime importava l'amicizia di Costantinopoli centro delle arti, del lusso, dell'eleganza, emporio delle merci provenienti dall' Indie per la via di Alessandria. Ma gli Arabi, gente trafficante sin dal tempo di Giacobbe, le natie abitudini conservarono anche dopo che la battagliera religione di Maometto li piantò sulle rive del Mediterraneo. Occupato l'Egitto, resero necessari più lunghi tragitti per aver le merci dell' India, sicchò i nostri, invece di comprarle a Costantinopoli, preferirono andarle a raccorre in Aleppo, a Tripoli e in altri porti di Siria, dov' erano recate dall' India sul golfo Arabico, poi per l'Eufrate e il Tigri fino a Bagdad, traverso al deserto di Palmira riuscendo al Mediterraneo. « Dal Settentrione per la piccola Tartaria vettureggiavansi canapa, legname, gómene, pece, sego, cera, pelli, opportuni trattati conchiudendo coi Mongoli che aveano conquistato la Russia, la Polonia, l'Ungheria e la Moldavia, e da cui compravansi il bottino e schiavi. All'India ci spingevamo pel mar Maggiore, come chiamavano il Nero, nel quale il Tanai, il Boristene, il Dniester, il Danubio portano le variatissime produzioni di estesissime contrade, mal accessibili per terra; e principale posatojo era la Tana, cioè Azof, all'imboccatura del Don, ove da un lato si avea la Moscovia, dall'altro l'Armenia, l'Arabia, la Persia per cui poteasi arrivare al Mogol e alla Cina. I nostri per giungere al Catai doveano lasciarsi crescere le barbe, e avere un buon interprete e servigiali che sapessero di tartaro. « Al doge e storico Enrico Dandolo, fanno gloria di aver riaperto l'Egitto e il golfo A.abico collo spedire un'ambasciata a quel soldano offrendosi mediatore in una discordia suscitatasi coi Tartari. I Veneziani , rassegnandosi agli oltraggi e alle gravi esazioni dei Musulmani, s'impancarono principalmente ad Alessandria, ove le merci dell'India sui camelli traversavano il dosso che divide il golfo Arabico dal Nilo. A questo annue carovane dall'Africa interna portavan gomme, denti d'elefante, tamarindi, papagalli, penne di struzzo, polvere d'oro, Negri : di là partiva quella per le città sante d'Arabia, e l'altra pel monte Sinai, occasioni di utili permute. I Mamelucchi, unica entrala avendo le gabelle, favorivano i Veneti; e di rimpatto ne riceveano ogni riguardo: ma venivano urti? ecco i nostri apparir sulle coste in minaccioso apparato, come oggi costuma l'Inghilterra. 21 Negli Urkundcn zurjilteren Ilandcti-und Slaatsgeschichte der Repubtilc Ve-nedig, mit besonderer HiivksivfU auf Byzanz und die Levante f vom IX bis zum Ausgange des XV Jahrhnnderts (Vienna 1850 ) sono raccolti 160 documenti dall'812 a' 1205 concernenti le relazioni di Venezia con Costantinopoli. COMMERCIO 93 « Dispensati dalla scomunica contro chi portasse ai nemici della fede legname da costruzione, grani ed armi, i Veneziani continuarono sempre regolari comunicazioni coi Musulmani, tenendo console ad Alessandria, banchi nella Siria, trattati coi Barbareschi! « Anche in Armenia soli introducevano i camelotti ed estraeano il pelo delle capre d'Angora, con esenzione da gabelle, con magistrati proprj, assoluta franchigia, per le merei che, tratte da Tauris e dalla Persia, traversavano il paese. Di questo tragitto profittava Trebisonda per popolarsi di numerose colonie, trafficanti di spezierie, e noi n' avemmo un quartiere con propria giurisdizione, donde ci spingevamo alla Persia e alla Mesopotamia, privilegiati di libero passo, e di banchi per giro di cambj e traffico di vino. c Crescemmo poi di stabilimenti sulle coste della Grecia, nella Propon-tide, a Adrianopoli, in buona parte del Peloponneso, e in molte isole e porti della Morea sin in fondo all'Adriatico; a cittadini nostri s'investirono come feudo le isole di Lenno, Scopelo, quasi tutte le Cicladi; acquistammo Negroponte. Venezia, dopo l'infausta guerra coi Genovesi, avea dovuto umiliarsi a un trattato, che per tredici anni la escludeva dallo stretto dei Dardanelli, per modo che vedovasi quasi intercise le vie del commercio per l'alta Asia e i paesi del Caucaso; ma presto si tolse di sotto il rasojo, e l'ammiraglio Giustiniani, assalita Costantinopoli, ottenne nuovi diritti ; e sempre durò la gara di averne di maggiori, palpeggiando e favorendo or uno or un altro competitore. « Ma l'antica preponderanza nel mar Nero più non recuperammo, e per avervi accesso patteggiammo coi litorani del Danubio il diritto di traversarvi ; talché il commercio colla Germania, coir Ungheria, colla Polonia, colla Russia , le alleanze coi Bulgari e coi Danubiani fino alla Tauride, gli scali in tutta Italia, in Francia, in Spagna, in Fiandra, in Inghilterra, insomma da Astrakan lino all' Africa interiore, offrivano rilevantissimi guadagni, a ristoro del popolo, al quale, dopo la metà del secolo XIV, restava privilegio il commercio, come de'nobili era privilegio il governo. « Dappertutto tenevansi consoli o balii che assicurassero rispetto alla patria, e protezione e pronta giustizia ai concittadini. Quel di Costantinopoli, che era insieme internunzio della repubblica, giudice de'Veneziani e ispettore del commercio, portava i calzari scarlatti come l'imperatore, usciva colle guardie, esercitava piena giurisdizione sulla colonia; e dopo presa quella città dai Turchi, tenne in protezione altre genti, massime Armeni ed Ebrei. « L'inglese colonnello Cooper dice, che fin oggi gli Asiatici dal Mediterraneo alla Cina non conoscono altra moneta che lo zecchino veneto , nelP Yemen è tenuto in gran conto, e gli sceichi ne fondono per for- marne piccole moneto ; o no conservano entro vasi di vetro ; laonde a Bruco domandarono so soli i Veneziani possedessero miniere d' oro in Europa, o se conoscessero la pietra filosofale. « È noto dall'arringhe del dogo Moeenigo quanto prosperasse il com-mei'Ciio nel secolo XIII : allo scorcio del seguente i marina] erano ere -sciuti a trontoltouiila sovra tremila trecentoquaranlacinquo legni. L'arsonal0 Pianta dell'Arsenale. il più glorioso, ed ora il più compnss:oncvolc monumento , veniva go- vernalo da duo magistrature di senatori: cioè tre sopravveditori per P alta ispezione, tre patroni che ordinavano i lavori e vi sorvegliavano, e dormivano in tre palazzi ivi contigui detti Paradiso , Purgatorio, Inferno. Gli arsenalotti formavano la guardia del corpo del sovrano; popolazione numerosa, devotissima alla signoria, da cui riconosceva il suo bene stai e ; * Le isole e le coste di Levante provvedeano abbondanza di legname; ristretti poi que' possedimenti, e sovra tutto dopo che i Turchi occuparono P Albania e la Schiavonia, fu mestieri rifornirsene ne'proprj possedimenti: e certo già prima del 1479 servivano i boschi che or lasciansi devastare di Montello nella Trevisana e quelli di Montone nelP Istria, tanto rinomati finché la barbarie diplomatica de'giorni nostri non gli annichilò. « Di cinque sorta galee usava Venezia ; le grandi pel viaggio di Fiandra e Inghilterra; altre diverse per la Tana e Costantinopoli; le sottili, le navi quadre, le latine. Il Petrarca, qui dimorando, vedeva sarpare navigli, simili a monti che nuotino nel mare, per trasportare in mezzo a mille pericoli i nostri vini agli Inglesi, il nostro mele agli Sciti, il nostro zafferano, i nostri olj, il nostro lino ai Siri, ai Persi, agli Arabi, agii Armeni, e, ciò che appena uom crederebbe, la nostra legna agli Achei ed agli Egizj, e ritornare con altre merci: veleggiano (segue egli) fin al Tanai, e si lasciano indietro Gade e Calpe, creduti confini del mondo occidentale, tanto può sugli uomini la sete dell'oro. «Le imprese mercantili erano secondate dalla marina pubblica, spedendosi in giro ogni anno venti o trenta galee del traffico, della portata di mille in duemila tonnellate, e del valore di centomila zecchini ciascuna, capitanate da nobili, eletti dal maggior consiglio o dai pregacti. Il governo non ne ritraeva che modico nolo; ma con ciò le teneva esercitate per un' evenienza di guerra, e faceva anche in pace rispettare il leone, nel mentre rendevano servizio ai particolari. Di esse squadre, quella del mar Nero dividevasi in tre: una costeggiava il Peloponneso, per ispac-ciare a Costantinopoli le merci levate da Venezia e da Grecia ; la seconda dirigevasi a Sinope e Trebisonda, nel mar Nero caricando produzioni asiatiche recatevi dal Fasi e dalla Cina; la terza, sorgendo verso settentrione, entrava nel mare d'Azof, e nei porti di Calla procacciava pesci, ferri, antenne, grani, pelli. L'altra costeggiava la Siria, facendo scala ad Alessandretta, a fìairut, a Famagosta, a Candia ricca di zuccaro, e alla Morea. La terza metteva dapprima in Armenia e a Lajazzo, dappoi in Egitto le merci del mar Nero, destinate pel gran mercato di Tauris, massime schiavi di Georgia e Circassia, barattandoli colle derrate del mar Rosso e dell'Etiopia. La quarta volgeva alla Fiandra con vascelli di du- COMMERCIO 97 gento remiganti almeno; e rinfrescato a Manfredonia, Brindisi, Otranto fatto levata in Sicilia di zuccaro ed altre produzioni, ne'porti di Barberi^ permutava frumento, fruiti secchi, sale, avorio, schiavi, polvere d'oro; sboccata quindi dallo stretto di Gibilterra, forniva i Maroccani di ferro , armi, panni, utensili domestici; costeggiava Portogallo, Spagna, Francia; toccava Bruges, Anversa, Londra, e faceva cambj co' vascelli delle città Anseatiche; poi aspettata stagione e mare acconcio, tornava libando Francia, Lisbona, Cadice; in Alicante e Barcellona comprava sete greggio e còsta còsta rivedea la patria, un anno dopo lasciata. « Ogni viaggio di lungo corso dovea prender le mosse e finire a Venezia, ove noli' intervallo esponeansi le merci, cui venivano a cercare i mercanti mediterranei, in modo di fiera continuata. Fin dal 1180 si trova istituita la fiera dell'Ascensione per otto giorni; che poi divenne delle più famose, avvivata dalle indulgenze concesse da papa Alessandro III, dallo sposalizio del maro, e dall'opportunità della stagione che allora chiamava le vele a lunghi viaggi. La squadra di Fiandra nel 1406 portava un carico di 350,000 ducati d'oro; quella di Siria nel 1407, merci per 160 mila, e 360 mila in contanti per compre nei porti di Levante. « Una galea di media portata costava pel mantenimento d'un anno 4200 ducati d'oro, e 7200 pei viveri: aggiungete le spese di costruzione o ri-stauri, le armi e munizioni da guerra, e avrete almen 20 mila ducati per una campagna sola; talché una flotta di cento galee costava 30 milioni di franchi. « I dieci milioni di mercanzia che annualmente asportavano que' legni, guadagnavano il 40 per cento ; altro s'utilizzava dal traffico mediterraneo, avendo istituito fiere nelle nostre città, a Pavia, a Roma, altrove dove spacciar quanto potesse recare guadagno; compravamo armenti che pascolassero nel Friuli e nell'Istria ; prendevamo in appalto le gabello d'altri paesi per disvantaggiare gli emuli ; le salino del litorale o cavavamo per proprio conto, o ne acquistavamo il prodotto, come pure il sale minerale di Germania e Croazia, e un re d' Ungheria costringemmo a chiuder le sue saline. « Fin nel 1370 la nostra città proclamossi sovrana dell'Adriatico, obbligando a contributo le navi che Io corressero. Fu generale Io scontento, ma il papa chiesto arbitro, diede ragione a noi altri, come che,.difendendolo dai corsari musulmani, avevamo diritto a un compenso; ma poiché il lodo non chetò gli emuli, dovemmo sostenerlo con buone armi. Ci assicurammo anche il commercio dell'alta Italia coli'acquisto della terraferma e stipulando vantaggiosi accordi coi vicini dove non potessimo estenderò l'impero. « Malgrado le due guerre contro i Turchi e col duca di Ferrara, nel illustra*, del L. V. Vol. II. 13 d490 entrava al tesoro per un milione e ducentomila ducati, quasi il doppio dello Stato di Milano, e un quarto di quel che fruttava il regno di Francia dopo ingrandito da Luigi XI. A tal punto i nostri si erano resi necessarj agi' Italiani, che qualora essi rompessero le relazioni con un popolo, il riducevano a povertà ; e i Napoletani costrinsero il re Roberto a pace, asserendo non aver più danaro da pagargli le imposte dacché i Veneziani non comparivano ne' suoi porti. « Or comprendano i forestieri donde venga la sontuosità del più magnifico corso del mondo, qual è il nostro Canal Grande. Andrea Vendramin, il primo che non nobile salisse doge dopo la serrata nel 1476, era ricco di censessantaduemila ducati, liberale, di gran parentela ; sei figlie maritò con cinque in sette mila ducati, e diceva non badare a spesa onde aver generi a suo modo. Quando nel 1497 fallirono i Garzoni , molti ripeteano i loro fondi dal banco Lipomano per più di trecentomila ducati ; onde, sebbene la Signoria Tajutasse di qualche somma, dovette fallire, c dice il Sanuto , < È peggior nuova ci falimento de questi due banchi, che se fosse perso Brescia ». Lo sgomento fu per rompere i banchi Pisani e Augustini ; se non che la Signoria mandò alcuni savj che assicurassero de'pagamenti. I Lipomani dovettero rassegnar i loro libri, dai quali appare che una casa dominicale valutavasi da tremila ducati ; una a Murano duemila; milleducento un mulino; aveano in argenti e gioje per seimila ducati, e ottomila in un cappello di perle e gioje. c Cent'occhi doveano dunque aprire i nostri ondo mantenersi questi vantaggi, e vi adoperavano buoni mezzi e cattivi. La gelosia li faceva duri coi mercanti forestieri, imponendo doppie gabelle, ritardando la giustizia, escludendoli dalle comandile ; pretesero che i sudditi comprassero lana, cotoni, seta, zuccari, saponi soltanto dalla dominante; non rizzassero manifatture fuor della dogana, nè cercassero o spedissero merci se non passate per Venezia ; talché, per esempio, Verona dovea mandar qua i panni, che poi la traversavano di nuovo onde dirigersi alla Germania 91. « Convien però dire che i lucri fossero grassi, se i forestieri non badava-io agli impacci ; avvegnaché in Venezia troviamo corporazioni d'ogni paese; nella chiesa de'Frari avevano un altare i Milanesi, un altro i Fiorentini, lavoro del Donatello, i Lucchesi una chiesa vicina ai Servi, fondaco i 12 Dobbiamo però accennare un apostolo del libero scambio. Al 27 agosto 1GH, Simon Giogalli scriveva ai savj della mercanzia: « Parerebbe ottima risoluzione il ridurre lo «cose in stato, che ancora le navi forestiere potessero trafficare questo porto di Venezia « senza aggravio, concedendosi che con libertà negozi! chi sa echi può negoziare ; dovendosi il bene pubblico tanto gradire da'sudditi quanto da'foreslieri, massime nel tempo ♦ presente, che è facile riceverlo da questi e diflìcilc da quelli •. COMMERCIO 99 Turchi nel palazzo che già fu del duca di Ferrara ; fondaco i Tedeschi là presso Rialto con 5C magazzini, e attorno 22 botteghe, e dentro pitture di Tiziano e Giorgione : serban nome la piazza dei Mori, e la ruga Julfa degli Armeni, stabilitivi da Marco Ziani, che in Armenia erasi arricchito; oltre i Greci che v'ebbero sempre congrega religiosa, e dopo presa Costantinopoli ottennero anche di far qui libero commercio e acquistare possessi. Ciascuna nazione potea regolarsi a leggi proprie; alcuni paesi vi godeano privilegio di qualche arte; Bergamaschi i fornaj, Friulani anch' essi fornaj del pane altrui, e sartori e facchini ; muratori i Bellunesi ; Valtellini e Grigioni 23 gli osti, i facchini pel commercio, i caffettieri. * Nelle provincie ripartivansi i lavori ; seterie, cartiere, fabbriche di lana nel Friuli ; filande e fabbriche di panni nel Bassanese ; refe 6 telo nella riviera di Salò ; nel Bergamasco filature e torcitoj di seta fina, cartiere, stoffe di lana leggiere; nel Bresciano cave di ferro che lavoravasi in arnesi rurali e in armi : il Veronese , il Vicentino, il Padovano manifatturava la seta e la lana; e Padova anche i cappelli Gli Ebrei, principali fattori del commercio nel medio evo, v'erano trattati meglio che altrove; durante la lega di Cambray dal ghetto si diffusero anche per la città : ma poiché le idee d'allora repugnavano da tal mescolanza ; alla pace furono collocati in un quartiere distinto presso San Geremia (Ghetto vecchio), che poi fu ampliato nel C00 , e dov' erano tenuti colle precauzioni, le quali in molti paesi durano ancora, potendo entrar e uscire per due sole porte, che la sera chiudeansi, e sotto la sorveglianza di quattro cristiani e di due barche. Le nazioni levantina, ponentese, tedesca, formavano l'università ebrea, che tassavasi per pagare l'imposte di H mila ducati prima, poi di 14 ». Qui il Filiasi, come tutti gli storici de'popoli decaduti, terminava l'inno in elegia, paragonando colla decadenza di Venezia a'suoi giorni, ma dalla tristezza rialzava il prelato Placido Zurla, soggiungendo : « Ella non ha detto tutto; non ha accennato che, nell'andare per traffici, i Veneziani qualche volta riuscivano scopritori. Nicolò e Mafeo Polo mercatando, verso il 1150 passarono da Costantinopoli a Soldania, indi alla corte di Capciak, poi con un persiano ambasciadore raggiunsero a Kan-fu l'orda tartara di Cubilai-kan successore di Gengis-kan, che aveva 27» Noi 1766 v'erano 2000 (ìrigioni nello Sialo, che s'arricchivano, ^oi lornavan a casa il privilegio della maestranza trasmettendo ai figliuoli. Godeano libertà di coscienza, ma non di culto..Nella sola Venezia contavano 78 botteghe da càlzolaj, SO d'acquavite e cafT 20 d'arrotini, 6 di fabbricatori di pettini, 3 di finestra j. è 24 Girolamo Zanetti scrisse sulle arti Veneziane; ma si restrinse all'architettura civile e alia navale, allo carte idrografiche, alla scultura, all'oreficeria. esteso il dominio dal cuore dell'Asia fino alla Cina. Cubilai accolse cortesemente i due Italiani, e li richiese de'costumi e della religione ne'loro paesi; de'modi delle guerre e delle battaglie; del papa e della condizione della Chiesa romana, e dei re e principi poi li munì di lettere e d'una lastra d'oro portante ordine a lutti i sudditi di rispettarli, e fornirli di vetture e di scorte, franchi di spesa per tutte le sue terre. Traverso all'Asia giunsero ad Acri, e di là a Venezia, ove Nicolò trovava di quindici anni il figlio Marco, che avea lasciato nell'utero materno. Con lui e con due frati datigli dal papa , per mezzo ai pericoli passarono sino a Kan-fu, dove ragguagliarono il kan dell'ambasciata. Marco, intelletto svegliato, da Cubilai fu posto fin assessore del consiglio privato, e spedito a raccorrò notizie statistiche nell'impero e ad importantissime legazioni e governi : onde, attonito d'un mondo così differente dal nostro, cominciò a notare quanto parcagli degno di ricordo. Morto Cubilai, i Poli risolsero tornare alla patria, per la quale combattendo a Ciirzola, Marco restò preso da un legno genovese; e tenuto prigione, consolò la cattività raccontando « diverse cose secondo ch'elli vide cogli occhi suoi ; molto « altre che non vide, ma intese da savj uomini e degni di fede; e però « estende le vedute per vedute e le udite per udite, acciocché il suo libro « sia diritto cicale e senza riprensione. E certo credi, da poi che il nostro « signor Gesù Cristo creò Adamo primo nostro padre, non fu uomo al « mondo che tanto vedesse e cercasse , quanto il detto messer Marco « Polo ». Reso alla libertà e alla patria, mori carico d'anni; e la sua relazione de'paesi donde venivano le spezie, la seta, le porcellane, volata tosto per Europa, valse a invogliare a nuove scoperte, le quali poi confermarono la veridicità d'un libro, che non mente neppur quando s'inganna , e che prima erasi creduto esagerazione, a segno clic glien' era venuto il titolo di Milione, « Anche Nicolò Conti viaggiò, venticinque anni in Oliente; e avendo rinnegato la fede per salvare la vita, Eugenio IV gl'impose per penitenza di raccontare i suoi viaggi con fedeltà al Poggio fiorentino, la cui relazione è tanto arida, da lasciar appena accertare la traccia di lui lino a G java e al Soylan : eppure fa veridico ritratto dei costumi indiani. Caterino Zeno scrisse il viaggio che fece in Persia per sollecitare quel re a romper guerra ai Turchi. Al qual uopo fu pure, nel 1471, spedito a Usun Casan con vasi d' oro e stoffe di Verona , Giosafat Barbaro sopra due galee ; e sebbene non arrivasse alla corte degli Sciali, non tralasciò di vantaggiare la repubblica, e da uom d' ingegno e di retto intendimento ci diede il primo ragguaglio , che la moderna Europa avesse di que'paesi. V'andava pure ambasciatore Leopoldo Battoni per Trebisonda, e nel 1474 Ambrogio Contarmi per la Polonia, la Russia, la Colchido, VIAGGIATORI. GEOGRAFI 101 il Fasi, la Georgia, la Mingrelia, l'Armenia, tornando pel Caspio; e trovato presa Cafla dai Turchi, sali da Derben a Mosca fra un paese selvaggio, e riscosso denaro dal granprincipc per conto della patria, per la Germania rimpatriò due anni dopo: viaggio arditissimo per le scarse cognizioni d'allora, e fra le minacele di gente barbara e i sospetti dei Turchi. c Pietro Querini negoziante a Candia, veleggiando alle Fiandre nel 1431 fu da spaventevole bufera gettato di là delle Sorlinghe, e naufrago prese terra sull' estreme coste scandinave, donde ritornando per la Svezia, la Norvegia, l'Inghilterra, la Germania, raccontò in modo commovente le sue disgrazie, come pur fecero i suoi compagni Cristoforo Fioravante e Nicolò Michicl. « Aluise Cadamosto patrizio nostro, corso già molle volte il Mediterraneo, mentre tornava dalle Fiandre il 1454, si trovò cacciato da un rifolo di vento al capo San Vincenzo, e il principe Enrico di Portogallo, saputo l'arrivo di quelle galee, mandò a chiedere con istanza se alcuno volesse pericolarsi ad una spedizione oceanica. Arrise la proferta al Cadamosto, il quale arrivò (1455) alle inesplorate isole di capo Verde e fino al Ilio Grande. Da uomo esperto e sincero ce ne diede un ragguaglio, che è il più antico di navigazione moderna: forse già prima avea steso il portolano dell'Atlantico, del Mediterraneo e dell'Adriatico. «E vuoisi che già dal 1300 i Veneziani segnassero i gradi sulle carte marittime; e di Veneziani sono lodo cinque carte che accompagnano i Secreta fìdelium Crucis di Marin Sanuto il vecchio, dove P Africa si disegna triangolare e breve, ma con evidente comunicazione fra il gran-d'Oceano e il mar Rosso: il planisfero del Pizzigano del 1367, fatto a penna con diligenti miniature, e colla rosa dei venti; le dieci carte di Andrea Bianco del 1436, che delineano il Giappone, VEstotilandia le Antiglie, il Brasile, parte del Canada. Nel 1440 fra Mauro camaldo-' lese in San Michele di Murano delincava in un planisfero tutto il mondo allora conosciuto, sparso di simboli, figure e descrizioni, e dove è tracciato tutto il viaggio di Marco Polo, e, ciò che importa agli eruditi, il capo Verde, il capo Rosso , il golfo di Guinea , e il girabile vertice dell'Africa, tanto'prima di Bartolomeo Diaz. Il re di Portogallo incaricò esso fra Mauro d'un planisfero, di cui potessero giovarsi quelli che mandava a tentare scoperte. «Nella Rasondel martologio, codice del 1428 o poco poi, che conservasi nella nostra libreria, è spiegata la regola de navegar a mente, appli cando la trigonometria alla nautica; il raggio ò ridotto in decimali, an-~ zichè in sessagesimi : si adoprano le tangenti nelle operazioni trigonometriche , ben prima del Regiomontano che se ne fa scopritore. « Nicolò e Antonio Zeno, fratelli di quel prode Carlo che salvò la pa- tria, verso il 1380 si elevarono fin alle coste della Groenlandia, e ne stesero un' informazione. Nicolò Zeno lor discendente dice averla stracciata per fanciullesca inconsideratezza, e pretese valersi della memoria e d' altri amminicoli per darne nel 1558 un ragguaglio. Poca fede merita dunque; pure ci resta la mappa delle terre da loro vedute : ò corredata digradi geografici; fa supporre il maneggio dell'astrolabio; ed ha questa singolarità , che più di mille miglia ad occidente delle Fcroe, mostra due coste, nominate 1' Estotilandia e Droceo, le quali non potrebbero essere se non Tcrranuova e la Nuova Inghilterra, e diccansi indicate da naufraghi. Avrebber dunque conosciuta l'America i nostri, assai prima di Cristoforo Colombo. « Il quale, non più per caso, ma per deliberato proposito andò a scoprir il Nuovo Mondo, o piuttosto a mostrare le grandi vie marittime, abbandonando le coste e lanciandosi allo sconfinato Oceano. Sebastiano Cabotto, rnercadante nostro, all' udire quelle imprese, senti « un de-« siderio grande, anzi un ardor nel cuore di voler fare anche lui « qualche cosa di segnalato » ; ed esibì ad Enrico VII d' Inghilterra d'arrivare al favoloso Catai per altra via che non quella di Cristoforo , cioè pel nord-ovest: e con Sebastiano suo figlio, e con quattro navi sovvenutegli dai negozianti di Bristol, toccò il continente americano al Labrador il 24 giugno 1497 , cioè un anno e sci giorni prima che Colombo mettesse 1' orma su quel continente. Morto il padre, Sebastiano spinse un altro viaggio in quell'altezza, e paro scorresse a dilungo la costa dalla baja d'Hudson all'estremità della Florida: ma sgomentato dai geli e dalle lunghe notti, voltò indietro. Cabotto, in un nuovo viaggio, rimontò il gigantesco rio della Piata, poi fu fatto gran piloto d'Inghilterra , e presidente della compagnia istituita onde tentare fi passaggio pel nord-ovest. « Antonio Pigafetta vicentino, trovandosi in Ispagna al seguito di Francesco Chiericato ambasciatore, partì collo spagnuolo Ferdinando Magellano per esplorare 1' estremità meridionale dell' America , e datovi la volta il 21 ottobre 1520, compiva il primo giro del globo. * Col solito carico erano partite le nostre galee di traffico per distribuire le droghe ne' porti dell' Oceano, quando Piero Pasqualigo, ambasciatore a Lisbona, diede avviso alla Signoria che i Portoghesi avevano schiuso un altro varco alle Indie, ed offrivano le spezie ed il legname di costruzione a più fiorito mercato. Fu tenuto come pubblico disastro della repubblica: ma che la voltata del Capo di Buona Speranza, trasferendo a Lisbona il commercio di Venezia, questa mandasse in subitanea rovina, 6 men vero, giacché nel secolo XVI fu più ricca che mai; e ancora nel 1G0O il Serra scriveva che tutte le merci provenienti in Eu- SCOPBHTE 103 ropa dali1 Asia passavano per quella città. Tardi si abbandonano le vie del commercio, nè Venezia perdette il suo posto fin quando non si cominciò diretto traffico da Marsiglia col Levante. Se dunque ella avesse persistito nella natura sua di potenza marittima , avrebbe potuto gareggiare colle nuove, e assodare il suo trono noli1 Adriatico. Ma mentre Spagna e Portogallo si avventuravano per altre vie, ella ostinavasi alle antiche, attraversava i passi degli emuli con ignobili maneggi, invece di precorrerli con generosa gara; mentre a buoni patti sarebbesi potuta accordare coir Egitto e assicurarsi il passo di Suez, spedì a insusurrare il soldano d'Egitto che gravi pericoli deriverebbero al suo paese e alla religione maomettana dalla prossimità di que'nuovi e intraprendenti mer-cadanti, e gli offriva braccia, consigli, cannoni per esterminarli. Egli di fatto il tentò , unito ai principati di Cambaja e di Calicut; ma il valore di Vasco de Gama, poi dell'Albuquerque disperse le resistenze. « Consiglio più generoso e insieme più profittevole alla repubblica sarebbe stalo il mettere in comunicazione il Mediterraneo col mar Rosso traverso all'istmo di Suez o all'Egitto, pei canali del Nilo, e non mancò chi lo suggerisse : ma forse lo impedì quell'empia lega, in cui tutta Europa si strinse allora appunto per distruggere Venezia, la quale fu costretta ajutarsi delle astuzie del secolo stf ». Così ci parlavano que' buoni vecchi, ed ora che, vecchio anch' io, vi ripenso , peno a credere potessero passarsi delle serate intere senza ragionar di teatro, nè dar pareri ai re, nò rimpastar la carta d'Europa. 25 Esso Zurla, che fu poi cardinale, slampò Di Marco Poto cdcnli altri viaggiatori veneziani illaslri (1818) : i quali viaggiatori sono gli Zeni, Cadamosto, Nicole de'Conti Giosafat Barbaro, Ambrogio Contarmi, Aloigi Itoncinollo, Cesare Federici, Gasoero Balbi Pietro Querinì, Cabollo , Paolo Trevisani , Ambrogio e Gio. Bembo , Giannantonio Sode-rini, Benedetto Dandolo, Bonajulo Albani, Tommaso Gradenigo, Nicolò Brancaleone, Antonio Priuli, Carlo Maggi, Cecchino Martinello, Andrea Navagero, Marino Gredenigo, Nicolò Manuzzi. Quel Gaspare Balbi era un giojelliere, e il suo viaggio alle Indie orientali, pubblicato nel lìitlO, è il primo ove si desse notizia de'paesi di là dal Gange. Dei viaggi primitivi fece una raccolla il Francali za no a Vicenza nel 1507 , poi il Ramusio a Venezia nellSiiO: nel 180.1 Jacopo Morelli slampò una dissertazione « intorno alcuni viaggiaiori eruditi veneziani poco noti » che sono Paolo Trevisano, Gio. e Ambrogio Bembo, Feltrino Bocardi, Gio. Ani. Soderini e qualch'allro. r ""V v. I Turchi. Lega di Cambray. Guerra di Cipro. iù che a rimestar le cose d' Italia avria dovuto Venezia attender a quelle d' oltremare ; ma le colonie considerando piuttosto come un campo da mietere, non pensava a quel che solo giustifica la dominazione straniera, incivilirle, prosperarle, farle partecipi della cittadinanza; non nazionalizzò le coste d'Istria e Dalmazia : dell' acquisto d' una provincia sul continente italiano trionfava assai più che del conservare quo' boi possessi ; e mentre 18 mila cavalli e altrettanta fanteria pose in campo contro il duca di Milano, in Morea. non mantenne mai meglio di due mila uomini di truppe regolari. Eppure i Turchi si avvicinavano sempre più TURCHI • irs minacciosi all' Europa e, finalmente Maometto I assali Costantinopoli. Venezia e Genova, padrone del commercio sul Bosforo e nel mar Nero , invece di accordarsi contro il comun nemico, si osteggiavano inconciliabilmente, e struggeansi con tanto maggior danno, quanto più micidiali riuscivano le battaglie di mare. Fortunatamente non è del nostro compito il divisare quelle fraterne guerre, nelle quali i Genovesi ottennero il sopravento , e soli ornai usufruivano le coste di Trebisonda. Venezia da un Palcologo , che credeva cosi salvarla dai Turchi , comperò la robusta Salonichi (142-1), ma dal granturco se la vide strappata dopo avere logorati 700 mila ducati a difenderla (1429). Fin neir assedio di Costantinopoli pare che i Veneziani non disfavorissero i Turchi 1 , affinchè i Genovesi perdessero i vantaggi che vi .godeano (1455); e la gran città cadde , e Maometto II le decapitare il bailo di Venezia, ed arrestare quanti Veneziani vi colse. Dall' eccidio dei loro cittadini, dal saccheggio dei fondachi, dalla successiva distruzione de1 loro stabilimenti, dallo umiliazioni, a prezzo delle quali soltanto ottennero una tolleranza precaria c quasi vergognosa, Venezia e Genova conobbero la gravezza d'una perdita, che con previdenza o lealtà maggiore avrebbero potuto impedire o ritardare. Non restarono però snidati dall' Oriente, attesoché gli emiri musulmani, stabilitisi lungo la costa settentrionale e orientale dell' Àfrica e sui golfi Arabico e Persico , non aveano fatto causa comune coi loro fratelli di Siria, e lasciavano elio i Cristiani continuassero i traffici. Vero è che il mar Nero restò chiuso a'Veneziani, anzi fin al 1829 non fu riaperto alla cristianità: ma nell'Arcipelago ottennero libero commercio mediante un tributo. Erano però costretti a difendere Creta, Negroponte , parto della Morea e dell'Albania, attesoché i Turchi, pretendendo succedere agli imperatori romani, voleano estendere i proprj acquisti quanto l'antico impero. Lievissimo cagioni bastavano dunque a venire a rotta: e avendo uno schiavo rubato danari in Atene , poi rifuggitosi a Corone, terra veneta e fattosi cristiano, e non volendo i Veneti restituirlo, il granturco dichiarò guerra (1463). Tutta cristianità parve voler armarsi a salute di Venezia e ricupero della Morea; papa Pio II benediva a quell'ardore come a una nuova crociata, disposto a diro non Antlnle, ma Andiamo; i Veneziani in fatti menavano l'impresa con fortuna; Luigi Lorodano e Bertoldo d'Estc presero la Morea, assalsero Corinto, ebbero la Laeonia, l'Arcadia, ma i Turchi ricoverati nelle fortezze, ben presto le recuperarono; entrambi le parti usando 1 Allora come adesso, gli uni accusavano gli al 1 ri d'aver favorito il nemico di tulli ; c probabilmente nò Veneti, nò Genovesi erano in colpa. ìl'wtraz. dèi ì. V. Voi II. li modi barbari, c spartendo Io prede fra uffìziali e soldati, il che incoraggiava al saccheggio, e vendendo sui mercati i prigionieri. Maometto II, stanco de' guasti recati a terre che considerava come sue , giurò pel Dio sa baoth di mandar Venezia a consumare il suo sposalizio in fondo al mare, e con 400 navi e 300 mila guerrieri (se il terrore non esagerò) assalse Negroponte e prese la città (1470), benché ostinatamente difesa, e minacciò morte a chi risparmiasse un sol prigioniero maggiore di 20 anni. Paolo Erizzo che teneva la cittadella , si rese a patto di aver salva la testa: e Maometto gliela salvò, ma lo fece segar in due, per espiazione dei 77 mila Turchi che si dissero periti sotto l'eroica città. Questa vittoria mostrava che i Turchi erano potentissimi anche in maro, onde viepiù i papi esortavano i nostri a sospender le guerric-ciuole e opporsi a coloro; ma tutti sfogavansi in parole, e Venezia Tostava sola a combattere la mezza luna sotto Pietro Mocenigo, il quale devastava isolo e coste, e prometteva un ducato ogni tosta di musulmano recatagli; barbaro contro barbari. All'assedio di Sculari, Antonio Loredano si ostina alla difesa, e perdio popolo e soldati chiedeano di rendersi per mancanza di cibo, si presenta collo stendardo di San Marco, e snudando il petto, « Ecco le mie carni; saziatevene, ma continuato a resistere». Emulava così Paolo Erizzo e sua figlia Anna, di cui son conte le novelle; Alvise Galbo, Giovanni Iìondumier, caduti martiri della religione e della patria a Negro-ponte. I Turchi, por far una potente diversione, spingonsi fra l'Isonzo e il Tagliamento fin a tre miglia da Udine , menandone schiavi 15 mila cristiani, dopo' averne uccisi 18 mila, e sperperate le messi e gli armenti. Lasciaronvi anche la peste, che diffusasi in Venezia, vi mieteva da cencinquanta persone al giorno, e il maggior consiglio si trovò ridotto a non più di ottanta persono. Stremata da quindici anni di guerra fìerissima , non soccorsa dalla cristianità, insidiata dai re di Napoli e d'Ungheria, Venezia chiede pace (25 aprile 1479), cedendo Scufari, Statimene e quanto aveva in quella campagna acquistato, conservando giurisdizione propria in Costantinopoli , ed esenzione da dogane pel compenso di annui diecimila ducati. Gli abitanti di Scutari, dopo generosissima difesa, uscirono tutti cogli averi, le reliquie e i vasi sacri. La cristianità, accidiosa a soccorrere Venezia, i principotti italiani che avcanle fin aizzato incontro il Turco, ed ora temevano ch'ella torcesse in loro le armi, gridavano: «Fu viltà il far pace col barbaro »; il papa pronunziava : « Non poteasi senza di me finir una guerra santa: i Veneziani son disertori ». Fortunatamente Maometto mori, e l'impero turco cominciò il suo declino (1481); ma mentre allora sarebbe stato a profittarne, e tutti, almeno gli Italiani, dar AQUISTO DI CIPRO 107 addosso a quel nemico, Venezia si uni con papa Sisto IV a danno dì Ercole d'Este signore di Ferrara e Modena, che impacciava il corso del Po (1484), e sussidiala dal marchese di Monferrato, dalla repubblica dì Genova, dai signori di Parma, affrontò Napoli, Milano, Firenze, Mantova, Bologna avversar]". Divampò dunque la guerra, e già Ferrara stava per cadere quando il papa si uni ai nemici di Venezia, e colpi questa di interdetto se non lasciasse subito la guerra e le conquiste. Ricusò ella; richiamò da Roma P ambasciadore, i negozianti, i prelati ; si appellò al futuro concilio ; e disposto esercito e flotta sotto il comando di Roberto Sanseverino, costrinse l'Estense alla pace, togliendogli il Polesine di Rovigo (1484), anzi tenendo il condominio di Ferrara, ove il senato spediva un gentiluomo, che governasse alternativamente col duca. Quanto al Levante, delle molte perdite si rifece coli'acquisto di Cipro, Pisola più grande del Mediterraneo dopo la Sicilia e la Sardegna, e per la posizione sua fra la Siria, l'Egitto, l'Asia Minore, e per Pubertà del suolo in vini, biade, olj, ramo, predestinata a vivo commercio. Era rimasta ne'Lusignani; poi alla morte dell'effeminato Giano III (i 458), Jacopo, suo figlio naturale, pretendeva ereditarla a scapito della sorella Carlotta, maritata in Luigi di Savoja, e n'ebbe investitura dal soldano d'Egitto (14G4). Carlotta fu costretta fuggire, ed intraprendente quant'era dappoco il marito, impegnò a favor suo il papa, i cavalieri di Rodi, i Genovesi ; ma i Veneziani si chiarirono pel bastardo, e poiché questo mancava di danari onde man-tencrvisi, Marco Cornaro veneziano suo banchiere gli esibì centomila zecchini so volesse sposare la bella sua nipote Caterina. Acciocché non fosse diseguale al regio parentado , questa fu adottata dalla Repubblica di San Marco. Il titolo di vana onorificenza divenne occasione d'importantissimo acquisto: perocché, ucciso Jacopo (1475), e tempestando Pisola fra i pretendenti, la Repubblica si dichiarò erede eventuale di Caterina, come la madre della figlia , poi col pretesto delle minaccio dei Turchi, la indusse ( 1480) a rinunziare Cipro, dandole in camino il Castel di Asolo nel Trevisano, dove conservando il titolo, o circondandosi di lusso, di piaceri, di lettere, poco ebbe a ribramare il regno perduto. Venezia ottenne così quell'isola ricchissima e a chi parlasse male di tale acquisto, intimò sarebbe annegato. Lo credeva dunque immorale. Nella pace di Bagnolo ove tutti gli acquisti le furono conformati, Venezia avea patteggialo con Lodovico il Moro di non opporsi a' costui divisamene, che erano di soppiantare il proprio nipote, e farsi duca dì Milano. Per riuscirvi, egli invitò in Italia Carlo Vili di Francia, donde cominciarono le guerre di conquista r\ Carlo vinse (1494), ma corsa l'Ita- 2 Vedi Vol. 1, Pag. 161. Le battaglie contro Carlo Vili sono descritte da Alessandro 408 STOMA DI VENEZIA lia, dovette accorgersi che non era possibile conservarla, e ripigliò via verso il suo regno. Venezia, visto i mali che derivavano da quella conquista, erasi fatta contro de' malcontenti, e negoziò una lega per la difesa d'Italia. Con essi affrontò Carlo a Fornovo (1495, 6 luglio), che tenne per forluna il poter andarsene salvo dagli Italiani, i quali fu P ultima volta che uniti combattessero perla comune indipendenza. Perocché, morto Carlo Vili, Luigi XII suo successore trasse in campo diritti, non solo sul Napoletano (1498), ma anche sul Milanese, e see-sovi mandò prigione il Moro e stette dominatore. Ma nel Napoletano aveano preso stanza gii Spagnuoli ; sul Milanese ostentavano ragione gli imperiali, e delle loro battaglie tormentavano i popoli. Venezia poca parte vi potoa prendere, impedita coi Turchi che accampavano quasi sull'Adria-lico. La causa di essa era dunque europea, tutti credeano sacro dovere il soccorrerla, ma sol corno un dovere il faceano, cioè coi minori scomodi possibili. Minacciata da Bajazet e perduto Modone, essa avea mandato il grido di angoscia; e Fernando il Cattolico le spedi una flotta, la quale fece buono prove all' assedio di Cofalonia, sinché fu chiamata alle guerre di Napoli. Alessandro VI vi destinò un buon rinforzo, e il ricavo delle indulgenze che si vendeano nello Stato veneto, le quali fruttarono ottantamila ducati. Una flotta spedita dalla Franci i , per mancanza di soldi ripartì, avanti che rendesse alcun servigio. Meglio valse la guerra mossa alla Porta dal sofì di Persia, onde Andrea Gritti, ch'era caduto prigione dei Turchi, potè introdurre una trattativa, che finì colla pace del 1503, vegliata sin al 1537. Oltre il dogato, cioè il litorale dall' Adige alla Piave, Venezia dominava la Marca Trevisana, il Padovano, Vicenza, Verona; avea tulio Cervia e Ravenna ai Polenta nel 1441 ; il Bresciano e il Cremasco ai duchi di Milano: Lonato, Valeggio, Peschiera, al signore di Mantova; a quel di Ferrara il Polesine, cioè la penisola fra l'Adige e il Po: dal lago di Garda e dal Bassanese spingeasi verso il principato vescovile di Trento, stando sull'intesa d'averne qualche lembo. Nel 1420 avea recuperato la Dalmazia dal re d'Ungheria, eccetto Trieste città imperiale, e Ragusi repubblica in protezione dei Turchi : dominava pure le isolo di quella costa fino a Cattaro, Corfù nel maro Jonio, Tenedo, Candia, Negroponte e le minori isole frapposte nell'Arcipelago ; sulle costo del Peloponneso Argo, Napoli di Romania, Patrasso, Lepanto le erano disputate dai Turchi. Di Cipro dicemmo. Benedetti di Legnago, modico in capo degli eserciti veneti, insigne anatomico, clic primo n stilili un teatro per tale studio, primo accennò l'anatomia patologica, la litotripsia e a sifilide. INTERNO DI VENEZIA 109 La metropoli, ricca di 280 mila abitanti, dava alimento a ogni sorla di arti utili e belle, ricetto a forestieri d'ogni paese; e se lo strepito delle industrie, delle musiche, della popolaglia li sturbasse, gli studiosi potevano ricoverare in amenissimi giardini delle vicine isole, come erano la villa Ramusia del famoso collettor di viaggi ; a Murano quelle dei Bembo, di Trifone Gabriele, dei Priuli ; in altre a Murano stesso, alla Giudecca , a San Giorgio Maggiore adunavansi gli accademici Pellegrini. Commines, il più filosofico scrittore d'allora, non ritma d'ammirarla come « la più bella contrada di tulio il mondo e la meglio co-c strutta; i casamenti sono grandi e alti e di buon sasso: quelli che « sono antichi, dipinti : quelli da cent'anni in qua hanno tutti le facciate « di marmo bianco, ed anche adornate con pezzi di porfido e serpen-« tino: è la città più trionfale ch'io abbia veduta mai, e che meglio « d'ogni altra saviamente si governa, e dove il servigio di Dio si fa più « che altrove solennemente ». L' aristocrazia si era rinserrata sempre più , escludendo dal governo l'elemento popolare a segno, che nel 14G2 fu cancellata persino la parola di Comune delle Venezie dalla promission ducale, surrogandovi dominio: e [lochi nobili sopra i nobili minori, sopra il popolo, sopra la terraferma esercitavano una signoria, non diversa da quella de'duchic de'mar-chesi sul continente. A chi gliene desse accusa, Venezia poteva opporre due argomenti di peso; la durata e la potenza. Perciò il Machiavelli non vedeva che tre repubbliche al mondo degne di lode, Sparta, Roma e Venezia: il Guicciardini, il Giovio, il Varchi, gli altri speculativi nostri partecipavano a quest'ammirazione; e qualvolta si trattasse di riformare uno Stato, affacciavano quel modello. Anche esternamente era protetta dall'opinione di ricchezza e prudenza; aveasi per buon augurio quand'olia si unisse a una potenza ; « v'è un' opinione universale (scriveva un loro « ambasciadore) che tanto sia dire la Signoria di Venezia, quanto sia « dire monti d'oro; e credono che, non solo l'erario pubblico sia tutto « pieno, ma ancora gli scrigni dei particolari, e che infine tutta la città i sia oro e argento ». Ma Venezia, che al capitano di una galea imponeva di accettar battaglia anche contro venticinque navi nemiche, proibiva ai nobili di comandare più di venticinque uomini di terra, e per gelosia si metteva all'arbitrio di venturieri; e doveva presto mostrare come mal provvedano gli Stati che, invece di svolgere tutte le proprie facoltà, sperano nel comprimerle. I nobiluomini distolti dall'arme, s'aftinavano nella politica : e poiché allora tutti aspiravano a crescere, Venezia, trovandosi stretta dall'Austria da un lato, dall'altro dai Turchi, si buttò sull'Italia, dove eccitò gelosie che le costarono oh quanto 1 110 STORIA DI VENEZIA È vero ch'ella area tanto perduto in Levante; ma le potenze emule esclamarono che scompigliava l'equilibrio coll'avere acquistato quei brani della Romagna e del Milanese e alcune fortezze della Puglia: papa Giulio II non men che il Machiavelli ne mostravano sgomento , e lo ispiravano agli stranieri : e queste deplorabili gelosio , diedero pretesto alla prima lega che, dopo le crociate, tessessero i principi d'Europa; lega di momentaneo amicizie e dispetti personali, che porgeva tristo iniziamento al nuovo diritto pubblico col divisare Io sparlimento d'uno Stato libero, di una repubblica, la quale, governata dall'immortale sapienza del senato, senza dispcndj di corte, con appena tre milioni di sudditi e un territorio equivalente appena a un decimo della Francia o della Spagna, avea tenuto testa a Turchi e Tedeschi , prosperalo di commercio e manifatture; ed elevatasi tra i maggiori potentati, ardiva dir di no alla curia romana, impediva ai Francesi di prevalere in Lombardia, ed agli imperatori di calarvi quando volessero. Re Luigi XII, che nelle sue strettezze non solo aveale consentito il possesso di Bergamo e Brescia conquistate, ma ceduto Cremona e la GeradadJa , pentito come chi cessò il bisogno , protendeva ricevere intero il Milanese. Massimiliano, come successore degli imperatori romani, diceva: * Rendetemi Padova, Verona, Vicenza; e come duca d'Austria: « Rendetemi Rovercdo, Treviso, il Friuli * Giulio II indispetti che Venezia non volesse accettare un vescovo di Vicenza da lui nominato , e ridomandava Ravenna, Cervia , Faenza , Imola, Rimini, Cesena : il re di Napoli voleva Trani, Brindisi, Otranto, Gallipoli, Mola, Polignano, da Ferdinando II consegnate in pegno ai Veneziani; il duca di Savoja, pretendeva Cipro, di cui egli portava il titolo regio; Estensi e Gonzaghi, le terre un tempo dominale : infine V Ungheria le città della Dalmazia e Schiavonia, spettanze della corona angelica. Quando comincia la legittimazione d'un possesso ? Sarà sempre il problema più groviglialo di quella politica che]si fonda unicamente sui fatti. Certo però Venezia possedeva almeno tanto legittimamente quanto gli emuli suoi ; eppure questi divisarono spartirsela, e tesserono a Cambrai una lega (1508, 10 dicembro) per mettere freno a quella usurpatrice, tiranna, seminatrice di risse, e' tutto quel peggio che sappia opporsi a chi si vuole opprimere. Il re di Francia menerebbe l'esercito ; Giulio II, quel desso che volea risciacquar l'Italia dai barbari, farà strada ai barbari lanciando interdetti contro le città più'italiane; Massimiliano, dimenticando i torti ricevuti da Francia e d'aver tregua coi Veneti, campeggerebbe qua! protettore della Chiesa; ciascun pretendente occuperebbe la destinatagli porzione ; ciascuno che avea temuto Venezia , le tirerebbe una stoccata, « per ridurla a non occuparsi che della pesca ». II ministro LEGA DI CAMBRAI ili di Francia cardinale d'Àmboisc raddoppia d'attività nel sollecitare la spedizione prima che la riflessione sottentri ; ed egli stesso, tutto gottoso, traversa le Alpi in lettiga. Già la guerra era rotta smT Adda, quando un araldo di Francia si presenta alla Signoria veneta, e gettato il guanto T annunzia al doge Leonardo Lorcdano e a lutti i cittadini « uomini infedeli e violenti usurpatori ». Insieme il papa , in una bolla che allungasi per ventidue pagine di stampa, mise all'interdetto Venezia, lo autorità, i cittadini, sicché tutti dovessero aversi in conto di nemici al nome cristiano, e schiavi di chiunque li pigliasse; scomunicato chi desse loro rifugio ; tutto ciò se fra ventiquattro giorni non facessero incondizionata sommessione. Il doge risponde: « Tali sfido convengono piuttosto a Turchi « che non verso una repubblica cristiana, e sempre amica a quel''re; « coll'ajuto di Dio ci difenderemo quand' anche io stesso dovessi mo-« nar nei campi l'ottagenaria mia persona ». Ma Venezia era sola ; oltre aver le finanze peggiorate dal perduto monopolio delle spezie indiane e dalla guerra contro Carlo VIII e contro i Turchi, la polveriera vicina all' arsenale prese fuoco, il fulmine diroccò la cittadella di Broscia, diecimila ducati spediti a Ravenna naufragarono, arsero gli archivj': Io che, oltre il danno, funestava gli animi come sinistro presagio. In tanto frangente la prudenza dei padri mostrossi nel porre al miglior servizio le ricchezze pubbliche e private, ed accorgersi che bastava tenersi sullo difese, giacché non durerebbe a lungo un'alleanza di elementi così eterogenei. Si poser le forze al comando del conte di Pitigliano come capitami generale, e di Bartolomeo d'Alviano come governatore, ambi degli Orsini : ma 1' uno vecchio, lento, ostinalo non volea fidar nulla alla sorte per non perdere; l'altro giovane e ardito sarebbesi avventurato a una sconfitta nella speranza di una vittoria. Fra il dissenso di essi la Signoria pretese ordinar il loro piano, e così ad Agnadello (1500 14 maggio) toccarono dai Francesi una rotta sanguinosa. Subito tutte le piazzo si rendono ; Ì nemici segreti di Venezia gettano la maschera; re Luigi XII si spinge sino a Fusina, e fa tirar alquanti colpi contro l'inespugnabile Venezia. Il magnanimo Gastone di Foix, Bajardo senza paura e senza rimproveri guastavano da barbari questo bel paese, di cui pareano invidiare la civiltà ; Svizzeri stipendiati univansi ai Tedeschi per rinnovar orrori da selvaggi ; e ciascuna delle ciltà ebbe a soffrire assedj, inccndj devastazioni. L' ammiraglio Angelo Trevisani entra nel Po per punire il duca di Ferrara, e ne devasta le rive; ma Alfonso I di Napoli, che aveva la miglioro artiglieria d" allora, a Lagoscuro fulmina le navi, sicché il Trevisani fugge, lasciando 15 galere, molti legni minori, da 2000 soldati o marinaj, e CO bandiere. Lo scoraggiamento invadeva gli animi, ma il Sonato palesò il vigor solito delle aristocrazie ; e munita la domi nantc, abbandonata la terraferma , aspettò il tempo. Infatti le Provincie, malmenate da Francesi e da Tedeschi, subito rimpiansero la prisca signora : i sette Comuni Cimbri, poi Padova respingono i Tedeschi in modo , che l1 imperatore Massimiliano più non osa tener la campagna. Intanto Venezia maneggiava , e placò ben presto papa Giulio, patteggiando di non disporre che di benefizj secolari : che le cause beneficiarie o di giurisdizione ecclesiastica potrebbero recarsi alla code di Roma ; che non si metterebber imposte sui boni ecclesiastici ; rinun-ziava ogni pretensione su terre della Chiesa; lo grazie ottenuto dai papi precedenti avrebbe per nulla se pregiudicassero alla Camera Apostolica; non terrebbe più un visdomino a Ferrara, e i sudditi di Santa Chiesa lascerebbe navigar liberamente nelf Adriatico senza visita o pedaggio. Morto Giulio e succedutogli Leon X; morto Luigi XII e succedutogli Francesco I, rinforzarono trattative e guerre fino al 1517, (piando anche Massimiliano conchiuse pace co' Veneziani, lasciando loro Verona o lenendosi Riva di Trento, Roveredo e quanto aveva acquistato del Friuli: mentre già nel trattato di Noyon aveano dalla Francia riavuti i paesi verso Lombardia, eccetto Cremona e le rive dell'Adda. Cosi da una guerra dove tutta Europa erasi congiurata a suo danno, Venezia usciva con interi i suoi possessi : aveva potuto trovar al 5 per cento i prestiti che Francia avea solo al 40; ma intanto essa avea speso 70 milioni : molte migliaja d'uomini d'ogni nazione erano stati uccisi: rovinato il commercio, esposta Italia ai Turchi e agli ambiziosi, che presto vennero a toglierle P indipendenza. Poiché allora cominciano quello rivalità fra Carlo V o Francesco I che per mezzo secolo fecero versare torrenti di sangue. Venezia barcheggiò fra ossi, inlenta a ripararsi da colpi diretti : e benché uscisse appena da si gravi tempeste, potò alleviare le imposte, fortificar di nuovo Padova, Treviso, altro città, c sovvenire Francesco I. So non che la minacciavano anche i Turchi ; Selim (1512) parvo un tratto voler distruggere la cristianità : e con meno fanatismo e maggior proposito suo figlio Solimano il Grande (1520). Al pericolo rial/ossi il grido antico dalle crociate , massime allorché egli prese Rodi, occupò l'Ungheria, assediò Vienna; eppure l'Europa sfava a guardare, e lo armi del re cattolico e dell'imperator romano si volgeano a depredar Roma e strozzare la libertà di Firenze (1530). Talora con minacce od arme provocavatìsi Ì Turchi, poi mossi che fossero, lasciavansi soli i Veneziani a difendere la cristianità. Lo scettro de'mari era passato a Spagna, Inghilterra, Olanda, eppur Venezia slava ancora corno sentinella avanzala per vigilar sempre, combattere talvolta contro il comune avversario della cristianità, ne tesori nò sangue risparmiando. Dopo presa Costantinopoli dai Turchi, due guerre avea sostenuto con questi, e sempre con iscapito: nella prima perdette Negroponte e molte piazzo della Morea e dell'Albania; nel-T altra molte sulla costa di Grecia ; or in una terza Solimano assalse Corfù, ma non riuscì che a prender alcune isole minori, poi, appoggiato dalla Francia, minacciò Candia e il Friuli: sicché Venezia, a cui l'inazione calcolata del genovese Doria avea fatto perdere una gran battaglia nella rada di Corfù, conobbe nocovolc l'alleanza dell'imperatore, e cercò pace al Turco (1540), cui dovette cedere tutta la Morea , i castelli di Nadino e Laurona sulle coste di Dalmazia, Sciro, Palmo, Egina,*Nea, Stampalia, Paros, Anliparos. I Cristiani, desolali di vedersi ceduti ai Turchi, migravano a frollo , il popolo di Venezia non sapea darsi pace di tanto disastro. Vero ò che Venezia aveva acquistato Cefalonia , Zante, Cipro, che lo dava padronanza sullo coste dell' Asia Minore, della Siria, dell'Egitto; ma le conservava pagando alla Porta e al soldano d'Egitto un tributo, mascherato col titolo di compenso poi privilegi mercantili, e non impedendo i Turchi dallo correrie che continuavano, rapendo avori e donne dai lidi d'Italia. Pure 30 anni durò la pace coi Turchi, finché la ruppe Selim ondo avere Cipro, di cui amava i vini (15G9). Nel primo accendersi di questa guerra, e forse per opera del nemico, scoppiò la polveriera dell' arsenale di Venezia (13 settembre), moltissime vite e case distruggendo, e le munizioni navali e guerresche; fracassando le navi nel porto, buttando lo sconforto negli animi, già afflitti da carestia. Ed ecco arrivar una lettera del granturco, rinchiusa nella borsa di (ilo d' oro al solito, che diceva: « Noi vogliamo Cipro o por amore o per forza: non .provocate « la mia terribile spada, o faremo mover guerra terribilissima da ogni « paese: non confidate nel vostro tesoro che faremo scorrer via a guisa « d'un torrente ». E subito 100 galee, 224 legni minori, più di 80 mila Turchi con CO falconetti e 30 grossi pezzi d'artiglieria assalsero quell'isola. Venezia vi oppose 70 legni di guerra ; chiamò soldati e gentiluomini d'ogni parte: ma Nicosia fu presa, scannandovi 20 mila persone, poi Palo e Limasol, e cinta Famagosta. La difese intrepidamente il procuratore Marco Bragadin, ma respinti sei assalti e tutta l'arte che allora si raffinò degli assedj c ^c'le mmc > dovè capitolare (1571, 4 agosto). Lala Mustafà volle conoscere quell'eroe ed Astore Baglionc c Anton Quirini o Luigi Martinengo, poi li fe trucidare, edanzi il Bragadino scorticar vivo, e la polle impagliata recar in trionfo ; martiri in terra, gloriosi in cielo. Moltissimi fatti eroici segnalarono qucll' impresa. Tommaso Morosini, assalito da 40 navi nemiche, si difonde finché due galeazze sopraggiunte lo salvano; Tommaso Costanzo di 17 anni comandante d'un legno, GUERRA EOI TURCHI ilo" combatte finche caduto prigioniero è martirizzato, senza però voler rinnegare. Una gentildonna di Nicosja, caduta in poter del nemico, fa saltare in aria la nave per salvar V onor suo e dello compagne. Le dame di Fa-magosta emulano gli uomini nel difender la patria e perire per la fede. Tardi la cristianità si riscosse, e uni un grande sforzo, col quale a Lepanto riportò l'ultimo trionfo che ricordasse le crociate. Gran parte vi ebbero i Veneziani, comandati da Sebastiano Venier vecchio di 70 anni, ohii col provveditore Agostino Barbarigo e col principe Colonna vinsero le esitanze del genovese ammiraglio Doria, e indussero don Giovanni d'Austria ad attaccar la battaglia. Mustafà, ancora lordo del sangue del Braga-dino, avventossi contro il legno di don Giovanni, che irreparabilmente era perduto e con esso la battaglia se Antonio Loredano e Francesco Mali-piero non si fosscr interposti, e con disperato combattimento non avessero salvato il generalo. I contemporanei sinceri riferiscono ai Veneziani tutto l'onore di quella giornata (7 ottobre 1571), ove si segnalarono i Braga-dino, il Canaio, il Cicogna, Benedetto Soranzo, G. 3. Benedetti, Cata-rino Malipiero , Giovanni Loredano , Patlaro Buzzacherino , Alessandro Negroni od altri; e per la quale solennissime feste celebrò Venezia, e edificò in San Giovan e Paolo la ricchissima cappella del Rosario : e composo inni Giuseppe Zarlino, padre della musica moderna. Era il momento per Venezia di recuperar quanto avoa perduto,.ma gli emuli di essa ne ingolosirono, e la abbandonarono; talché ossa conchiuse col gransignore una pace (1573, 15 marzo), per la quale riacqui-sia\a i privilegi mercantili in Turchia, cedeva Cipro, pagava le spese: cioè dopo una segnalata vittoria accettava patti peggiori che dopo le grandi rotte. VI. Arti e Lettere nel Cinquecento. iposiamóci alquanto nella contemplazione delle arti e del sapore.'[ Dalla Grecia vennero i primi artisti a Venezia ; o lin dal secolo VI una colonia bisantina ornava di musaici le chiose di Grado o di Torcello (vedi par/. 12) ; una migliore fu nel 1000 chiamata dal doge Orseolo a decorare San Marco; de' cui musaici se alcuni palesano mano greca altri s* accertano di nazionale ; e sempre quella Aim i 17 basilica fu una palestra e rimane un tesoro di musaicisti. E memoria d1 una confraternita di pittori, eretta a Venezia sino dal 1290; e in tutte le città venete ricordatisi dipinti in rame o in tavola, anteriori a Giotto. Questo insigne toscano le lunga dimora e lavori nel Veneto, e principalmente a Padova, e se ne sente la scuola in Giannantonio padovano, nel Semi-lecolo , nel Giusto, nell'Àldighiero, nel Guarititi, clic storiò il palazzo ducale. Per quasi un secolo fiorirono attorno al 1400 i Vivarini di Murano, non ignari di prospettiva, e con un fare bello e schietto, modellato sugl'Italiani men tosto che sui Fiamminghi e Tedeschi, molti de'quali onerarono a Venezia, e massime Giovanni da Brugia e rileinuielmL il più grazioso pittore mistico di quel secolo. Maniera propria tennero Paolo veneto e Lorenzo ; Carlo Crivelli sfoggiò di colorito, di gemme e rabeschi. Gentile da Fabriano, cresciuto nelle devote tradizioni dell' Umbria, invitalo dalla Signoria a storiare il palazzo ducale, con un ducilo al giorno e il diritto di portar la toga senatoria, qui allevò Giacomo Bellini, e questo i due figliuoli Giovanni e Gentile, i quali, a concorrenza con Luigi Vivarini, col Carpaccio , col Pisanello , rappresentarono in esso palazzo i patrj fasti. Sicuri di pratica, pittori insieme e architetti, miniatori, orefici, i Bollini mettevano i loro quadri in armonia coll'ordino della chiesa per cui li facevano, colle cornici di cui gli ornavano, sicché lo spostarli ne decima il merito. Gentile (1421-1501) fu chiamato a Costantinopoli; e narrano che, per dargli un modello di decollazione, Maometto facesse balzar la testa d'un paggio. Più acconcio alle sceno popolose e alle prospettive , e dedito all' arte classica, non falliva però alla poesia religiosa : mentre Giovanni, disegnatore savio , e meglio intendendo il chiaroscuro , escludeva qualunque leziosità potesse frastornar il patetico severo , la dignitosa gravità e la religiosa espressione ; nella lunga vita andò sempre di bene in meglio, e fu dei primi a crescer vigore colla pittura a olio. Aveva ot-tant'anni quando fece la mirabile tavola in San Zaccaria (142(5-1510). Il sentimento di lui si trasfuse noi Cima da Conegliano, non inferiore a verno quattrocentista per bolla convenienza ed intonsa espressione ; mentre la grazia di Vittore Carpaccio commove anche gì' ignari dell'arte in molli soggetti leggondarj, e principalmente nello storio di sani'Orsola, piene di popolo e di addobbi quale doveva esser Venezia allora. 11 padovano Squarcione mirò poi agli effetti, all'anatomia, agli scorci; e secondalo dal Mantegna e più tardi dal Giorgione, portò la scuola veneta allo sfarzo, a non vedere il concetto se non traverso al colorito ; la moda dei ritratti, invalsa ne'patrizj, fe cercare più ch'altro la materiale imitazione del vero, che divenne il carattere di questa fra le insigne scuole d'allora toscana , romana , parmigiana. Ai maestri dello quali Venezia contrappone Tiziano Yecellio cadorino (1417-1576). Terminando open1 di Gian Bellini nel palazzo ducale e in quo' di Ferrara, si rese attentissimo alle particolarità , e fin minuto quando volesse ; e per virtù de1 contrapposti ottenne un ombreggiar robusto di insuperabile effetto. Ti:nun YecelUa. È vero che le opere sue per la patria son meno accurate di quelle commessegli di fuori? forse perchè erangli retribuite scarsamente ? Capitò a Venezia 1' infame Pietro Aretino . il quale , sprezzatore di Dio e adulatore dei potenti, non potea che contaminare una scuola educala nella fede. Tiziano ne comprò l'amicizia e le lodi, e per suo mezzo commissioni di cortigiani, onde si tolse dall'unica ispirazione de'suoi maestri, la patria e la religione; sfoggiò di mera bellezza naturale nelle tante Veneri e Danai : fin le composizioni sacre non anima di devozione affettuosa , i concetti subordinando alfell'etto, e questo cercando dal colorilo, fin a trascurare il segno. Cresciuto di gloria e denaro, a Venezia in palazzo ricchissimamenle addobbalo riceveva principescamente; ottenne trionfi a Roma, alla corte dell'imperatore , in Ispagna , ove lasciò le opere sue più encomiate. K fin 500 quadri suoi si conoscono. Inarrivabili nel maneggio della luce , nelle invenzioni non palesa gran fantasia ; ma chi agli uomini improntò TIZIANO. TINTO H ETTO. LE SCUOLE 119 maggior espressione e dignità senatoria? Pereiò gli chiesero l'immortalità del ritratto tutti i regnanti d'allora. Visse quasi un secolo senza conoscere nò tardità nò decrepitezza; morto in tempo di peste, il senato dispensava il suo cadavere dall'essere bruciato come gli altri, e riposò sotto umil pietra ai Frari, fin quando testò gli si poso un macchinoso monumento. (Vedi qui avanti). Poco paziente all' insegnare o forse geloso, non formò scolari : pure una famiglia di pittori gli si all'oliò dietro, senza la poesia e il sentimento della scuola milanese, ma sempre con splendore c forza e composizioni macchinose e trascurate; ed attenendosi alla natura, volle esprimere tutta la forza mediante il colorito sereno e splendidamente armonioso, negligendo il concetto e il disogno. Nei frequentissimi ritratti non avendo campo a inventare, raffinavano sulle particolarità; donde la loro maestria in riprodurre panni, velluti, metalli, oltre le architetture, le mense ed altri accessorj. Il Tintorelto (Giacomo Robusti) avea scritto sul suo studio, II disegno di Michelangelo e il colorito di Tiziano, e su fai modelli più che sul vero s'esercitava. Dicendo non potersi trovare corpo perfetto, disponeva figurine di cera o creta, e le illuminava a suo talento per copiarle, ottenendone un ombreggiare tetro, che lo discerne dal chiaro e vivace di Tiziano benché incanti col bianco leggermente doralo. Dell' acquistata facilità abusando, senza coscienza precipitò lavori, de'quali alcuni pajono appena sbozzi, e asseriva che accurandoli li fredderebbe. Buon uomo , ambiva la gloria, purché scevra di macchia: gli scolari ne imitarono i difetti, non la potenza che si fa ammirare in molte opere, e principalmente nella Scuola di San Rocco. E poiché delle Scuole ci cade spesso menzione, dirò come queste confraternite fosser numerosissimo, ma sei erano le grandi: San Rocco, la Carità, la Misericordia, San Teodoro, San Marco, San Giovanni Evangelista. Insignite di moltissimi privilegi , il loro guardian grande annuo ed elettivo era pari di dignità ai procuratori di San Marco ; i ricchi testatori le istituivano amminislralrici dei legati che lasciassero ai poveri. V'entravano cittadini d'ogni classo e gran ricchi, ma non i patrizj, acciocché non vi formassero relazioni e clientelo, pericolose alla libertà. Degli aggregati parte erano detti padroni di scuola, perché amministravano le rendite ed eloggevan i confratelli nuovi; parte eran fratelli di disciplina e quasi inservienti, talora con stipendio, sempre con diritto alle largizioni. l/arciconfratei'ni!a di San Rocco aveva la rendita di CO mila ducati , 24 mila once di argenterie, 80 mila libbre di cera sempre disposte per lo solennità, un baldacchino di tócca d'oro che costò 18 mila ducati di argento. Il doge vi andava solennemente il giorno del titolare e vi ora m storia di yem-zia ricevuto dalla banca, cioè dalle principali cariche della confraternita, e dopo messa riceveva egli e tutto il suo seguito candele di cera in grandissimi bacili d'argento. Oltre promovcre il culto divino, l'arciconfraternita profuse in occasione di pubbliche calamità, soccorse in ogni tempo spedali e poveri, dava ogni anno 200 ducati alla scuola della dottrina cristiana; 150 por prigionieri infermi ed altrettanti a redimer incarcerati per debiti; 800 per maritar fanciulle: in ogni guerra della repubblica mantenne soldati c navi del proprio, e negli ultimi momenti diede spontaneamente SO mila ducati, oltre 18 mila once d' argento, e garanti il prestilo di 200 mila lineati. Allora avea 800 mila ducati a censo nella pubblica zecca,-e li perdette nella rivoluzione, oltre gli ori, gli argenti, le suppellettili preziose: inline fa soppressa nel 1800. Ma insigne monumento lasciò l'edilìzio presso i Frari, che costò 47 mila zecchini, e (con figure degne del tempo dice il Boschini) t ben con ragione si può diro l'erario della pittura, il fonte del disegno, la miniera dell'invenzione, l'epilogo dell'artifizio; il moto perpetuo ddle figure, e il non plus ultra dello meraviglio, essendo tutta dipinta dal monarca dell'arto, il bizzarro Tintorctto ». I pregi e i difetti della scuola veneziana più che in altri si rivelano in Paolo Caliari (1528-88), che ingrandì dietro al Tiziano e al Tintoretto e sulle stampe e statue antiche , il cui studio accoppiando a quel della natura, con pennello sempre in festa tradusse piena ed esultante la vita, con pompose architetture, gente briosa, metalli e vetri smaglianti, giojelli, banchetti, A dipingerla volta della Libreria vecchia concorsero il Salviati, il Franco, Andrea Schiavono, lo Zelotli, il Pordenone, il Varotari dal tocco voluttuoso, facendo ciascuno tre compartimenti; e per giudizio di Tiziano la palma fu data a Paolo, che dai procuratori di San Marco ebbe allora la commissione dc'quattro suoi quadri migliori; due Maddalene a'piedi di Cristo, Gesù coi pubblicani, le nozze di Cana. In quest'ultimo, di ben centroma ligure, lutti ritraiti fin il cane di Tiziano, con una sunluosità degna del secolo in cui viveva , tra sfoggialo vestire o cani e mori e nani e infinito servidoranio fingo un concerto, ove ciascun artista suona lo stramonio che simboleggia la sua qualità; e Carlo Y siedo da imperatore a quel banchetto do'mal provvisti artigiani gal ilei: tanto il naturalismo gil-lava a tergo e convenienze o tradizioni. Nò Paolo badava a costumo o carattere; ja stalla di Betlemme pa reggia va a una reggia; le donno di Dario svisava col guardinfante; fa Ester presentarsi ad Assuero col corteggio d'una dogaressa; ma chi potrebbe esser severo davanti a quella gaudiosa serenità, a quell'insuperabile freschezza e trasparenza di colorito, qual, per esempio, appare in San Sebastiano? Anche le 'santo sono spesso ritratti di quelle tutt'altro che virtuose con cui viveano, per esempio la bella Violanta, figlia del Palma vecchio , amorosa del Giorgione, amata da Tiziano, baccante de! Veronese. ARTI 121 A malgrado di questo irrazionalo naturalismo, il palazzo ducale, che è la vera galleria veneta, con tanta profusione di dipinti, di stucchi, di oro, d'intagli, respira sempre devozione e patriotismo. La galleria Medicea a'Pitti denominava le sale da Giove, da Apollo, Flora, Prometeo, Ulisse : la nostra dai fasti patrj e dalla devozione. I ventiduc quadri della sala del maggior consiglio, ove il Pisanollo, il Guaricnfi od altri aveano dipinto il convegno di Alessandro IH col Barbarossa, essendosi guasti precocemente, nel 1174 si decretò fossero rinnovati da Giovanni e Gentile Bollini, Alvise Yivarini, Cristoforo da Parma ed altri, fin a Gior-gione, Tiziano e Tintorotto: ma l'incendio del 1577 li mandò in rovina. Quelli che si vedono ora, esaminati separatamente, palesano più elio altro la ricerca dell'elleno, eppure qual formano grandioso complesso 1 Il medio evo metteva tutte le belle arti a servigio d' una sola idea, restando cosi intimamente legale scultura, architettura, pittura ; poiché la religione faceva una gran sintesi delle scienze e delle arti che avea conservate e resuscitate. L'architettura segna le maestose linee, e propara immense vòlte agli inni di Dio e alle invocazioni del popolo, (alto libero * e accomunato. La scultura vi dà il finimento necessario, ora terminando le cuspidi con statue, ora fregiando finestre e porticine, ora aggettando mensole dalle colonne per collocarvi santi. La pittura non maschera le grandi linee architettoniche , ma riempie i vuoti e trasforma la luce , decomponendola in ricchi e armoniosi colori che traverso alle \< 1 l'iato dipinte si riflettono graziosamente sulle robuste membrature. Che i mezzi materiali fossero tanto al disotto dello idee, come cianciano i precettori, noi dirà chi veda Venezia. Ma l'architetto era insieme scultore e pittore, sicché prevedeva l'effetto che deriverebbe dalla concordanza delle arti; donde l'unità intima che signoreggia l'infinita varietà del gotico, Tutf altro dal pittore o dallo statuario moderno, che eseguisce i suoi lavori nello studio, per ottenere applauso in una esposizione. Tanto basta già a discernere le opere antiche dalle nuove di Venezia; ove nell'architettura continuò quel misto di generi chele dava originalità e carattere, finché il veronese Falconetti introdusse l'idolatria dello stile classico Vi arrivò poi da Firenze il Sansovino che, nominato protomastro, sgombrò la Piazzetta e vi pose la loggetta ammirata , riparò le cupole di San Marco, fe la chiesa di San Geminiano o la più semplice di San Francesco della Vigna, la scala d'oro, i bei palazzi Cornaro ì Date un'occhiata al palazzo ducale, poi leggete il Vasari in Fra Giocónda, ove dice che, prima ilei Falconetti « in Verona, in Venma e in tutte quelle parti non ora stato ehi sapesse pur fare una cornice o un capitello, "è chi intendesse nè misura nè pronÒT zione di colonna, nè di ordine alcuno*. Wustraz. dei L. V. Voi. IL 1« presso San Maurizio c Delfin a San Sai\adoro * c nella facciala della Libreria, uno dc'raigliori edifì.ìj moderni, prelese sciogliere l'arduo problema di far cadere la mrlà d' una molopa noli1 angolo del fregio dorico. Gli succedette il vicentino Andrea Palladio, che ornò le villeggiature sulla riva della Brenla, e a Venezia nel chiostro della Carità (VnU In (ìtjura rimpello) effettuo il piano dalo da Vilruvio per lo case romano: nella chiesa refettorio di San Giorgio Maggiore fenile le basiliche, più che il tempio gentilesco; e all'ammirabile Redentore, fallo per volo della peste del L"i70, impresse tutta la grazia della correzione : ma limilandosi ai pochi elementi esibiti dall'arte classici, tre volte riprodusse la medesima facciata, senza relazione col compartimento interno, uè riguardo al divario tra due chiese di poveri Francescani ed una di lauti Benedettini. Concependo poi separate l'architettura e la scultura, lasciava deturpare le sobrie sue linee da stucchi e statue farraggino.se del Vittoria e del Uidolli. Cosi via via la grazia pigliava piede sopra la grandiosità) fa leggerezza sopra la forza, la varietà sopra Punita, e sempre meno si cercava di combinar l'intelligenza della bella natura colle Convenzioni dell'arie pratica. Celiar un ponte che cungiungesse le due rive del Canal grande fu studio di fra Giocondo , del Sansovino . del Palladio . lilialmente venne eseguito a Rialto da Giovanni da Ponle. sopra disegno di Giovanni Allùse Balchi, artista ignoto. Compito in Ire anni; ha di eorda metri 27. 70, s' alza suiracqca ordinaria moiri 7; largo sul dorso metri 22. divisi fra due ordini di botteghe e tre vie. 8 4 Venezia fu veramente il più bel campo dell'architettura civile; e ingegnose pròve vi fece il vicentino Scamozzi ; se non che trovando già occupati i primi posti, volle segnalarsi con bizzarrie, in cui l'aspetto di novità mascherasse P imitazione de' maestri, che solo con vilipendio nominava. Lavorò la fronte della Libreria, superando felicemente l'ineguaglianza dello spazio: e lo Procuratie nuove, deteriorando il disegno del Sansovino col sovrapporvi un altro piano, e adoperandovi tre ordini, al qual modo venne finito da Rabbassare Longhena. Il Sanmicheli, segnalato principalmente per 1' architettura militare , che adattò alla riformata artiglieria, fabbricava i bastioni di Verona, Le-gnago, Orzinovi, Castello, Sebonlco, Cipro, Candia, Napoli di Romania, e qui la fortezza di Lido, sopra terreno molliccio e flagellato dalla marina, eppur robustissima ed insieme elegante. Altri ingegneri veneti ben/meritarono coll'adoprar Parte a schermire dai Turchi l'Europa. Delle lagune corno difesa trattò Luigi Cornaro, famoso per la longevità, raggiunta con una monacale sobrietà di cui lasciò precetti. Fra i palazzi di quello stile son notevoli il Grimani, ora dello poste, grandiosamente ornato alla corintia ; il Corner a San Polo, avente due porte, una delle quali serbata unicamente ai morii: il Dalla Vida a San Felice, con atrio escale nobilissimi; il Grimani in Ruga Jufa, che vorrebbesi di Raffaello. Del palladiano tengono il palazzo Loredan in campo San Stefano, il Valmaraófl a San Canciano ; del sansovinoseo la Ca grande a San Maurizio, il palazzo Manin a San Salvadore con vestiboli e scal*1 magnifiche, il Da Ponte a San Maurizio, il Cornelio a San Silvestro. Allo Scamozzi attribuiscono il Conlarin degli scrigni. Tarsio di Giovanni da Monloliveto o d'altri frali Olivetani s*ì ammirano in molle chiese, più sobrie che non le posteriori del Brustolon. Le vetriati-! dipinto in San Giovanni e Paolo certo non appartengono ai Vi-varini. Stupende fusioni di bronzo olirono la loggctta , e in San Marco la porta della sacristia e il monumento del cardinale Zen. Moriva questo nel iìiOi lasciando cinquemila ducati perchè gli si facesse questa sepoltura di bronzo ; altri milleseicento per ornar la cappella e duemila in beni sodi, del cui reddito vestire gentiluomini di casa Zen con mantello nero ogni suo anniversario, e cinquecento per un paliotto broccato con velluto e oro, da mettere quel giorno; al Sant'Antonio di Padova ducali cinquemila per una cappella con messa quotidiana; al duomo di Vicenza ducati cinquemila per unii messa quotidiana e altre operi' pie; in Venezia al San Marco, nove gran vasi d'argento, ai poveri diecimila ducati , dodicimila per la fabbrica di San Fantino, oltre minori legati; dell'avanzo in oro, argento, gemme, costituiva eredi Alessandro VI e la repubblica. LETTERE 125 Anche le lettere si erano, non dirò rideste, che è un torto a Dante e Petrarca, ma imbellite collo studio ripigliato declassici. Da Costantinopoli e dalla novamentc vinta Grecia una folata di eruditi versossi sull'Italia: persone sprovvedute di genio, ricche d'erudizione, e che di questa vivendo, rimisero in onore greci e latini sino a far negligere allatto i nostri; e se estesero la conoscenza de' classici, introdussero pedanteria di stile e idolatria della regola, a scapito di queir originalità che consiste in verità nuove, vivamente sentite e naturalmente espresse. Molti stettero a Venezia; come molti Veneziani coltivarono le lingue dotte; fra cui Marco Barbo, vescovo di Treviso poi cardinale e patriarca d'Aquileja, adoprato in a ilari scabrosi: Francesco Barbaro (1398 1454) senatore, capitano e difensore di Broscia, che scrisse de re uxoria, opera tradotta in più lingue; Ermolao Barbaro patriarca d'Aquileja, che procurò un'edizione di Plinio correggendo 5000 errori, ma lasciandovene troppi altri. Enea Vico dissertò primo sulle medaglie antiche, e Sebastiano Erizzo poso i fondamenti della numismatica. Il risorgimento non si divisava che come un ritorno al passato; laonde i sapienti si appoggiavano ad Aristotele. Deh con che devozione ne parlano i frati Paolo Nicoletti, Paolo Gergolano, Paolo Àlbertini ! fin a sostenere che, se nella fisica parlò da uomo, nella morale parlò da Dio, e pelea dubitarsi se si mostri più giureconsulto o sacerdote, più sacerdote o profeta, più profeta o Dio. Ma coi Greci fuggenti da Costantinopoli, arrivarono ammiratori di Platone, che altrettanti incensi ardevano al loro idolo, mentre berteggiavano Aristotele e i Peripatetici. Le fiere baruffe trascesero fin a coltellate e scomuniche e decreti dei Dieci; qualche moderato volle mostrare che alla fin fine Platone e Aristotele non erano tanto dissenzienti : conciliazione propugnata dal veneziano Nicola Tomeo e dal Bessarionc. Quest'ultimo, venuto coi Greci e qui dimorato e fallo cardinale, con 30 mila zecchini pose insieme una biblioteca che regalò a Venezia « città retta dalla giustizia, dove le leggi regnano, la saviezza, la probità governano, abitano la gravità, la buona fede », e divenne il nocciolo della libreria di San Marco. Francesco Colonna domenicano, bizzarro ingegno che avea viaggiato assai, insegnò lingue e teologia, e le moltissimo sue cognizioni architettoniche espose in uno strano libro, la Hypnerotomachia di Politilo o Pugna d'amore, dove finge veder in sogno molte avventure, e magnificenze di belle arti, dandone descrizioni che son piuttosto a diro progotti ; appoggiandosi a Vitruvio, ma con grande indipendenza : scrivendo in italiano latineggiantc che lo rendo illeggibile (—1527). Girolamo Balbi, pel./Me/or gloriosus venne chiamalo professore a Parigi di diritto canonico o civile e di filosofia, poi a Vienna ; lodato per ingégno, espulso per costumi, che poi mutò quando in Ungheria fu fatto maestro ai figli di re Ladislao, e vescovo di Gurk (1522). Poi,appena fu inventata, la stampa qui s'introdusse *, e il Beco? puma-rum cOl nome di Jenson e la data mcccclxi sarebbe il più antico libro fuor di Germania, se non fosse per mero sbaglio ommesso un x, onde va portala al 1471, cedendo il primato alle epistole di Cicerone, edite nel Ì469 da Giovanni di Spira 3. Questo fece molti lavori, come Vin-delino suo fratello o il francese Nicolò Jenson : ondo al 1500 vi si erano Stampate 2835 opere. Presto vi vennero da Firenze i Giunti, il Paganino, Ì Ferrari, che poi si dissero Gioliti, de'quali Gabriele non badando a spesa, facea lavorare il Dolce, il Domenichi, il Doni, il Brucioli, il Turchi, il Sansovino, il Fiorentino, il Bettussi, il Toseanclli, il Boldelli, traduttori e compilatori, e accoglieva in casa il fior ile'lettorati. Poi Aldo Manuzio romano cominciò qui la rinomata stamperia, continuata da'suoi figli, e vi uni un'accademia, ove Benedetto Ramporti, Battista Egnazio, Marin Sanuto , Bombo, Marco Musuro , Angelo Gabrielli, Andrea Navagcro, Daniele Ro-nier convenivano perdiscutere sugli autori da stamparsi, e sulle lezioni da preferire. Qui primamente comparve il dizionario poliziotto del bergamasco Calepio, che poi divenne antonomastico di siffatti lavori. Qui si stampò la prima bibbia ebraica, e nel 1547 una traduzione, per verità insulsa, del Corano, del quale la miglioro stampa fu fatta a Padova nel 1008. Il più antico libro di tenere scrittura è « Domenico Manzoni quaderno doppio col suo giornale ». Venezia 1540. Nel 1G03 il senato ordinò si deponesse una copia d'ogni stampato nella pubblica biblioteca; primo esempio di quest'uso. Alla stampa soprintendevano (1502) i riformatori dello Studio di Padova che, visti i certificali dei censori, davano la licenza d'imprimere; e gli stampatori, col 2 Un curioso documento de' prirnordj della stampa è lo slalulo di Verona, che lei-mina così: llec presens slatulorum et ordiiounentoraiu, eum quìbasdam reforma-tionibus ad ea perlinentibus, prlvitegiis et ti/eris ducalìbus nobili» civilnlis Vcninr, cum summa prudenlia tmpressio accuratissime farla est in urbe preclara Vicende ad requisilionemetespensam providorum virorum Antonu, derni dt, ioannis, l'etri, Bartholomeì fralrum et fi liorum quondam S. Zaroti de Ptacentia, činu m Veronce* non alramento nec pluviali calamo, ncque stillo lerco, sed artificiosa quadam mirabili adi uve ni ione impr intendi seu cavai herizandi. Hoc opus sic effigia/um impres-sum est per liermannum Lcrilapidem Coloniensem, anno Dni mcccclxxv, dievero mercurii xx mensis decembri* in. vigilia sancii Thomw Apli. Amen. 3 Al 18 settembre 1469, i consiglieri, veduta la supplica del maestro Giovanni di Giovanni da Spira, e l'aver egli stampate le epistole di Cicerone e la Storia Saturale di Plinio; gli concede il privilegio di quell'arie per 5 anni in Venezia e suo distretto. Ma il privilegio cessò per la morie di Giovanni, mentre stampava la CiIJk di Dio, compila nel 1470 da Vindelino suo fratello. Vedi Monumenti del principio della slampa in Venezia. Venezia, ITtJ, felle? del More' > LA cornara. IL bembo 127 far registrare le opere che mctteano sotto i torchi, ne ottenevano privilegio per un decennio, purché 1' opera uscisse nel tempo prefisso e commendevole. Non taceremo che Ermolao Barbaro tremava non la frivolezza di troppi scrittori nocesse al pubblico, e perciò proponeva non si stampasse verun'opera se non approvata da giudici competenti. Un decreto del senato del 7 marzo 1625 stabilisce siavi un precettore in ciascun sestiere della città per istruire i cherici ; poi furono due per l'educazione letteraria di tutti i giovani, e in ogni contrada duo nobili e un cittadino avevano incarico di sollecitare a frequentar le scucio. Molte ne istituirono i frati, e massime i Gesuiti, e alla Riva degli Schiavoni tencasene una di nautica. Appena acquistata Padova , fu favorita quell'università, sempre illustrata da prestanti ingegni. Caterina Cornaro, invece del regno di Cipro ottenuto Asolo, castello sopra Treviso alle prime falde dell' Alpi, coli' assegno di ottomila ducati , ivi spiegava qualche1 lembo avanzatole del manto regio; alla corte, fastosa di ottanta servi e dottici damigelle e giuliva di mille delizie, aggiungendo la compagnia di letterati e artisti, visitala or da Teodora d'Aragona Sanscvcrino, ora dal marchese di Mantova, ora dal cardinal Zeno, più spesso da Pandolfo Malatesla di Rimini, che venivano a godervi caccio, pesche, corse, balli, o le nozze di qualche a lei prediletta. E v'interveniva giovinetto galante Pietro Bembo (1470-1547), e v'ideava i dialoghi degli Asolani « per esortar i giovani ad amare »; introducendo però un Dardi Giorgi, pio solitario, elio dal terreno li solleva all' amor divino. Quando comparvero, dice monsignor della Casa che « furono ac-« colti con vero entusiasmo, e subito in Italia si lessero: tutti gli impa-« rarono, sicché non aveasi per colla persona chi ignorasse quelle di-« spulo». Ora chi li legge? Buon avviso a chi confida nella gloria contemporanea 1 E quei che il lodano lo lessero? Il Bembo usò altrettanto bene il latino che l'italiano, cioè limando, e per quattro portafogli successivamente passando le scritture; pedantesca diligenza, come pedantesche e mal sicure sono le regolo che porse dello scrivere vulgare. Fu secretano a Leon X, poi cardinale, e lasciò poesie lambite e gelate, neppure eccettuandone la vantala canzone in morte del fratello, e i sonetti in morte della Morosini, madre de'suoi figliuoli. Guarda un' opera sua, tu credi sempre che tanta fama sia dovuta ad un'altra: gli encomiatori devono arrestarsi sulla compassala eleganza; ma 4 Eccettuiamo almen parte di un sonetto: 0 pria si cara al Ciel del mondo parte, Che l'acqua cigne e'I sasso orrido serra ; 0 lieta sovra Ojpft altra e dolce terra Che/1 superbo Apenniu segna e diparte, a questa si può giungere colla fatica, e perciò molti lo toJsero ad imitare fra quo1 tanti che cercavano, non qual cosa dire, ma come dirla. Marin Sanuto, dal 1495 al 1531 notò ciascun giorno quel che accadeva in Venezia e « de' successi dell'Italia, e per conseguente di tutto t il mondo in forma di diario..., a honor della patria mia veneta, e non « per premio datomi dalla repubblica, come hanno altri che (amen nulla « o poco scrivono ». E registra gli avvenimenti suoi personali, importanti come di cittadino partecipe alla sovranità; abbonda di documenti privati e pubblici; e il Consiglio dei Dieci gli permise di valersi dell'archivio e dogli spacci ulìiziali. Oltre lo stampate sue Vite dei dogi ; cinquantotto volumi in-folio di sua mano lasciò a quel Consiglio, unico asse d' una famiglia dogalo e sovrana di Nasso e di altre isolo dell'Arcipelago. La carica di storiografo della repubblica, creata pel romano Sabel-lico, mediocre e venale, fu poi coperta da Andrea Navagero, illustre poeta o ambaseiadore, che continuò il racconto sino al 1498, e non l'avendo finito, lo bruciò avanti morire; ma la vera o finta traduzione italiana che ne esiste, è delle più sincere e palriotiche storie. E questo, e Pier Giustiniani che in Ialino narrò fin al 1575, furono tolti a rifare in italiano da Pier Morosini, ma non giungo che al 1486; e non allegando le fonti si scema autorità. Al punto ov'egli cessa comincia Pietro Bembo, tirando fino al 1513, il tempo più momentoso per la sua patria. Estraneo agli all'ari pubblici in paese ove tanti vi partecipavano, non anima il racconto colla sicurezza della spositura , colla vivezza delle particolarità, colla prurigine di fatti reconditi; ai Dieci che gli esibivano le carte scerete, s'accontentò di chiedere i Diarj del Sanuto; talvolta»dipinge bene ma da retore, nò mai s'addentra nelle cause, talché raffittisce tra le mani, frivolo quanto una gazzella, ed indiscreto/ encomiasta della Signoria. Scrisse la storia In latino e in italiano, e che nell'una emuli Cicerone, nell'altra il Boccaccio, lasciamlo dire a chi ama le lambiccature, il periodare labirinteo, le ideo nuove camuffate con espressioni arcaiche e con mitologiche allusioni; pone il mese e il giorno de'fatti, ma tralascia l'anno, ovvero lo indica romanamente dalla fondazione della città :i. Clic giova ornai so'I buon popò! di Marte Ti lasciò del mar donna e della terra? Le gelili a te già serve or ti fan guerra, E pongo!) man nelle tue trecce sparte. Lassili nò manca ile' tuoi tigli ancora. Chi, le più strane a le chiamando insieme, La spada sua nel tuo bel corpo adopre. S Nel 17SS il Consiglio dci.'Dieci prese parte che i codici di cose letterarie passassero dal suo archivio nella biblioteca di S. Marco. Allora si trovò che li; mulilazioni che faceunsi alle storie provenivano di lull'allro che gelosia di stato. Di quella del Bembo fu procurala un edizione da Francesco Foscarb per cura del Morelli nel 17(10, ripristinandola secondo l'originale d'onde apparve chele varianti erano stale introdotte da alcuno cui non piaceva la prosa lambiccata del Nembo. storici Aliti reti Xartigern. Tariamo altri storiografi, per ricordare Paolo Parata (1540-98) clic con gravila più che eleganza narrò la guerra di Cipro e i fatti dal 1513 al 52. Sporto negli affari e ne'pubblici sealtrimouli. gli espone colle circostanze e le cause, annestando gli eventi di Venezia con quelli di tutta Europa, riducendo le varie fila ad un nodo principale, e desumendone riflessi istruttivi: e vagheggia la libertà, « lolla la quale, ogni altro bene è nulla, anzi la stessa virtù si rimane oziosa o di poco pregio ; principale condiziono dell'uomo che abbia a divenir felice panni il nascere e vivere in città libera » Hi usi rti z tlel L. V. V..'. H. 17 e < chi commette il govorno della rida alla legge, lo raccomanda a Dio... chi lo dà in mano all'uomo, lo lascia in potére d'una fiera béstia ». Ne* Discorsi Pollini pose idee non vulgari sopra il crescere e dibassare di Moina; posato e senatorio, meno assoluto e negro del Machiavelli, propone a modo di dubbio, lasciando al lettore il decidere. Gian Michele Bruto scrìsse gli Annuii ili Firenze con libertà maggiore che non facessero i toscani: Gasparo Contar ih i ben delineo il governo ili Venezia; Andrea Mocenigo i fatti della Lega di Camhray. Chi vorrebbe noverar la fungaja de" poeti che rampollavano allora, a imitazione del Petrarca o di qualche suo imitatore stillando freddi affetti? Girolamo Malipiero fece un Petrarca spirituale: Bernardo Cappello, ammaestrato, nella poesia dal Bembo, che poi no chiedeva i consigli, stampò un canzoniere, che è dato per de' migliori da coloro che forse noi lessero, Ebbe guai col governo por cui fu relegato ad Arba, poi ricoverò alla corte d'Urbino e a Roma ove mori nel 1505. Lodovico Dolce, inesauribile scribacchianle di grammatiche, retoriche, orazioni, storia, filosofia, satira, lirica, editore, commentatore, correttore di stamperia, traduttore di Aristotele, Cicerone, Ovidio, Plinio, Euripide, Virgilio, Omero; compose ben sei poemi, tra il riso e lo sbadiglio. Nicolò degli Agostini fece la continuazione del Bojardo, che invogliò l'Ariosfou far tanto meglio: Francesco Lodovici celebrò Carlo Magno in 200 canti, ciascun canto ili 50 terzine, sostituendo alle falinvliierio l'allegoria, a Dio il Vizio, l'Amore, la Natura, la Fortuna, e alle lodi dei re quelle del dogo Andrea Gritti, e sostenendo opinioni materialiste. Domenico Veniero, che col Ba ■ doer fondava nel 1558 l'Accademia Veneta, fu do* poeti più vantati ; ma chi vuol della poesia vera, guardi le vernacole di suo nipote Maffeo (/1550-86) che vissi- in corti , e giovane fu arcivescovo di Corfù , e ci lasciò nella SttajSZOià quanto ha di più garbato il dialetto veneto ''■ Amor, vi verno tra la gala e i sli/./.i, In l'olia e;ì :i pò pian, Dove C tu lutile e 'I pan Sii» lulo in l'un, la roca, idiapLe'l vin. La vecchia e le l'a.-siiie, I puli e lo galinc, L ine/o il cavezzaI solo ci CiilJJni, [love, tace a un arzin Gli'è, in modo de trofeo, La fersora, una seulia e ia grada, La KUCOB ilo l'aseo LI cestii e la sportela. . In pc d'un papagù se allieva un'oca. In pò d'un cagnoletti «ih'ò un pnreheto gentil che basa in buca, SCIENZIATI 151 La Cassandra Fedele, ammirata per erudizione classica e teologica, e pel vigore onde improvvisava musica e versi; dadi studj non lasciò logli ersi la pietà eia grazia, sempre semplice di vestilo, e Gian Bollino la ritrasse con una lisonomia quasi infantile eppure vagamente ispirala. Di lodi fu colmala la Gaspara Stampa, dotia nei classici latini e greci, e che petrarcheggiando cantò un Collalto di Treviso, bel cavaliere, che non la-sciolloso non rammarico o pentimento. Benché Venezia non vanti giureconsulti insigni, atteso che i suoi applica vansi piuttosto al patrio diritto interno, non taceremo che la maggior raccolta di materie legali fu stampata qua da Francesco Z i Letti il 1584 in 28 volumi, col titolo Tractatus juris universi. Intermedia fra P Europa e il Levanti; e centro del commercio, Venezia polca raccogliere o trasmettere novità, ondi; introdusse i giornali politici, foglietti che stampavansi quando vi fosser notizie, e roslavano una gazzella l'uno, donde ebbero il nome. Quel crescere dell' erudizione non sempre dava forza al pensiero , e eredeasi ancora dal vulgo allo stregherie, dai dotti alla magia, all'alchimia, all'astrologia. Queste però, e la medicina taumaturgica, e lo scienze occulte, e le discussioni sui principj, o su fatti non accortali cominciavano a cedere luogo : e se Zaccaria Contarmi, Leonardo Dandolo, Ermolao Barbaro, Nicola da Lonigo si contentavano di tradurre o di ragionar peripateticamente su fatti asseriti da antichi, altri ricorrearto all' esperienza o alla osservazione. Alla biblioteca Marciana si ammirano alquanti codici botanici, fra cui uno lin dal 1415 di Benedetto Uinio, con 432 pianto mirabilmente ritratte da Andrea Amadio, o coi nomi latini, greci, arabi, slavij tedeschi; e una storia generalo dello pianto di Pierantonio Michiel, in cinque volumi, con un migliajo di specie disegnale e colorite, i nomi in diverso lingue, buone descrizioni, o distribuzione sistematica dedotta dalle radici, dalle foglie, dai semi. Venezia possedeva un orto botanico fin dal 1330, poi ne istituì uno a Padova nel 1545, e 20 fcnfli dopo cattedra de' semplici, e presto numerò nelle sue provincio più giardini botanici che tutto il resto d'Italia. Dol padovano fu direi toro Luigi Anguillara, famoso per la composizione W/./oso animatelo, Soavi' compagnia, dolci! concerto! L'oca, la (rata e Luti l.a vecchia, ci porco, i puli, |> galinc, ri mio amor sol' un coverto Ma m rento parte averlo, ecc., ecc. Fra tanti veneti che coltivarono la poesia, si disonorò Francesco Lorenzo, allievo dell'Aretino. storia 1)1 venezia della teriaca, di.) viaggiò assai, o (enne scientifica corrispondenza. I ho-lanici trovavano preziose rarità ne'giardini veneti: il Brasavola la malva arborea o la cassia in quello dei Gornaro a Murano, e il pistacchio di Sorla in quel dei Morosini; il Rauhino l'uva -pina e l'irido fetida nel suddetto dei Gornaro; il giacinto orientale, l'eritonio, il galante in quel di Lorenzo Priùli, ove prima borì la scamonea d'Àleppo, ed ove s'avoano la carruba e il leucojo; in quel del Bembo il pisello americano, il ci-corio spinoso; P Anguillaia vedeva lo storace o i'amomo in quello do' Micino!; la tuja, il pistacchio selvatico, la lacrima di Giobbe; in quel dei Pasqualigo ; Prospero Alpino il Insorpizio in quel dei Bembo ; in quel de' Contarmi lo stramonio d' Egitto ; in quel del Ramnusio il rabarbaro; uno dei Moro aveva recata dalla Mecca la pianta del balsamo. I patrizj favorivano questa scienza ; i Calergi , signori del monte Ida a Creta, vi ospitavano i cercatori di rarità; Marin Cavallo, nunzio a Costantinopoli, secondava i viaggi del Guilandìno in Oriente; Girolamo Cappello, proveditore in Candia, mandava piante od erbe, od ajutava lo ricerche di Prospero Alpino o i viaggi di Giuseppe Renincasa; Giorgio limo Condusse al Cafro esso Alpino, la cui opera postuma dello piante esotiche fu fatta stainiare da Nicolò Contarmi Alvise Corner e Giovanni Dona, consoli al Cairo, esploravano col Yeslingio l'Egitto (iianandroa della Croce, nella Chirurgia universale espose le scoperto fatto sin allora nell'anatomia (- 1575); quivi dimorò o stampò lo opere sue il famoso Vesalio , che morì a Zanle medico militare della repubblica (1504): nell'università di Padova insegnavasi comunemente la circolazione del sangue, allorché ve l'intese Ilarvey, che la ridusse a verità scientifica ; o vuoisi elio già il Sarpi avvertisse la contrazione o dilatazione dell'uvea. D'Ogni parte aocorrevasi a udire I' eccellente anatomico Santorini, che primo segnò la dottrina dell' arteriosi, illustrala ultimamente, da Aglietti e Zannini. Paolo II, eli' era di casa Ilarho, diede al Collegio medico di Venezia il diritto di conferire laurea ; e vi insegnarono tre Rragadin, due Foscarìni, un Corner, un Giustiniani, un Trevisan, un Mo_ cenigo. Giovati Rallista Benedetti (1530-90) a 23anni pubblicò la risoluzione di dilli i problemi d'Euclide con una soia apertura di compasso (1553), condiziono difficile che con grande sagacia superò. L'opera sulla caduta 7 Viviam, delle benemerenze de' Veneti nella botanica. Il Pignori» a'26 dteem-lire IGM ila l'ailova scriveva a Paolo Gualdo in Roma: — Non occorre die mi faccia gola «dei flori clic si vedono còsti, perchè Jer sera alla cena tucul Ica del signor Sandclli ■ io mangiai degli sparagi belli, verdi e Freschi; s' i idi nagi in mo il resln .. Al (piale (ina blu il V\ elsi r da Augusta avej scritto il 10 gennajo 1610: ...... "Se Padova c Vicenza si vol- • lana a. domandar semi e piante da queste parli, si può dire che 'iji.si fontes siliunt. I.e fri t (arie di qua soie, poche, e tqtto venule o d'Italia o di Fiandra: Viro è che quelle., i Fiandra pare f eciano miglior riuscita SCIENZIATI l">3 romission ducale di Marino Morosini nel 1341,per la prima volta si legge: Ad honorem Dei et SOCrosanclce matrìs Ecclesia et robur et defensionem fìdei c/tt/m-lica», studiosi erirnus, cani Consilio nostrornm consiliariorum, vel majoris par tis quoti probi et discreti et cathoUcì viri eliganlur et conslituautur super inquireudis in Vencciis. Et omues qui illos dati erunt prò hereticis per dominam putriaream (iradensem, episcopato, Castel/unum, vel per atios episcopos provincia dveatus Vc-»eciarum, combciu iac.ik.mcs de Consilio vostrorum consiliariorum vél majoris partii ipsorum. Ecco una commissiono per gli assistenti a Venezia al Sant'Uffizio; ISos Eranciscus Donati» dux Veneliarum, eie. Conoscendo, nlona cosa esser più degna del Prencipc Chrisliaun, che I'essere studioso della Religione, c difensore della ledo Cattolica , il che etiam li'-è commesso por la commissione nostra durale, o, stalo sempre istituito dalli Maggiori nostri; però ad lionore della Sanla Madre Chiesa liavemo eletti in questi tempi col nostro minor Consiglio voi, dilettissimi nobili nostri., Nicolò Tiepolo, dottor Francesco Con tari ni é Marco Antonio Ycnier dottore, come quelli che sete probi, discreti e cattolici huomini, e diligenti in tulle le azioni vostre, e massimamente dove conoscete trattarsi dell'honore del Signore Iddio. E vi commetterne, die dobbiate diligentemente ipquìrere contro gli He-rotici, che si trovassero in questa nostra città, e etiam admetlore querele contro alcuno di loro, che fossero dale, e essere insieme col Reverendissimo Legalo e Ministri suoi.col Rev. Patriarca nostro, e Ministri suoi, col Venerabile Inquisitore dell' bcrelica pravità , sollecitando cadauno di loro in ogni tempo, e hi ogni caso che occorrerà alla formazione de'processi: alla quale eliarn sarete Assistenti, e etiam procurando, che siano fatte le sentenze debite contro quelli, che saranno conosciuti Pél; E di tempo in tempo no avvisante tutto quello che occorrerà, perchè non vi mancheremo d'ogni ajulo o favore, secondo la forinola della Promozione nostra, eie^ data ti ti d'aprile ìliil. CONTROVERSIE RELIGIOSE 141 Ma la Chiesa aveva opposto ai novatori Tarmi che più le convengono ; la predica, l'esempio, lo zelo. Nuovi Ordini regolari si crearono, ri-formaronsi i vecchi. Sant" Ignazio, istitutore de1 Gesuiti, da Spagna passando in Terrasanta, primamente concionò a Venezia ; più tardi al doge concedette duo de1 suoi, i quali alloggiarono nello spedale dei santi Giovanni e Paolo, con tanta affluenza di donativi che dovettero protestare dal pulpito nonne riceverebbero più oltre: poi provveduti di casa dal Lippomano. i Gesuiti crebbero in ricchezza e ingerenza, assistendo a poveri e infermi, mentre educavano la gioventù e dirigevano i signori. Veronica Franco, da vita libertina ridottasi a penitenza , aprì a Venezia ricovero per le pari sue. Girolamo Miani, caduto prigioniero nel difonder contro gli alleati di Cambray la fortezza di Caslelnovo in Canal di Piave, si diede a vita pia, e principalmente a raccoglier donne pentite e i tanti orfani lasciati dallo guerre: servì gì1 incurabili in Venezia, come già aveano fatto san Gaetano, sant'Ignazio, san Francesco Paolo Tiopolo. ambaseiadore a Pio V, quando questo esortava a metter l'inquisizione a Venezia, rispondeva: « Noi usiamo più effetti che dimostrazione, non fuochi e fiamma ■ ma far morir sourclanienle ehi merita. Quelle dimostrazioni palesi, più grandi, severe • e terribili diesi faceano, portavano maggior danno che utile; e piuttosto poterò con- • fermar quei che seguirono i loro umor che spaventarli. E in Franza e nei paesi di • Fiandra si erano fatte ammazzar le decene di migliaja di persone non solo senza fruito, • ma con veder ogni giorno moltiplicar le gelili nella opinione de'morti. Però, trovando « noi il nostro modo di proceder buono , non era da tentarne altro ciré potesse esser • dannoso ». STORIA DI VENEZIA Saverio; fece fondare ospedali iu molti paesi, poi istituì l'ordine de1 Somaschi (IKSi), dedito a questi martirj di carità K Con simili atti cercavasi la riforma nel senso cattolico, ed a questa principalmente fu diretto il Concilio di Trento, I' iliade di quel secolo, compiutosi dopo lunghissimo tempo ed inestricabili difficoltà. Venezia fu la prima che ne adottasse senza restrizione non solo i pronunciati dogmatici, ma anche le regole giurisdizionali : eppure di là dovea venirgli il più acre contraddittore. La curia romana, secondo si suole nelle reazioni, trascendea la moderazione ; e come erasi assodata la fede chiarendo i dogmi e rannodando i credenti, così nella giurisdizione si voleano rintegrare antichi privilegi, formolati nella bolla In coma domìni. Il governo di Venezia, più robusto forse di qualunque altro d'allora, amava che ogni attività fosse sottoposta a sé; adombravasi di qualunque merito insigne, fosse pur quello della virtù sacerdotale ; sottoponeva anche gli ecclesiastici alla giurisdizione dei Dieci, e gli escludeva da ogni uffizio civile ; qualora si met-tesser in discussione affari relativi a Koma, era mandato fuor del consiglio chiunque (Papalino) tenesse aderenze con quella corte, o avesse figli o nipoti negli ordini sacri: volevasi esiger un decimo di tutte le entrate di ecclesiastici anche cardinali, in compenso dei 500 mila scudi che costava ogni anno il difender Corfù e Candia , antemurali della cristianità : le 37 sedi vescovili del dominio erano provvedute dal doge stesso in nome di Dio e di san Marco, finché la Santa Sede non gli lasciò che la nomina d'un quarto, promettendo però che delle altre non investirebbe che sudditi veneti: difficilmente consentivano che un patrizio otlenesse la porpora, ed ai reclami rispondeano; « Noi semo schiavi delle nostre leggi, edin ciò consiste la nostra libertà ». A questa resistenza passiva repugnava ia bolla In coma Domini, sicché proibirono di riceverla e possederla ; avendo inteso che in casa del nunzio ricambiavansi discorsi contrari alla autorità del principe, gli inquisitori gli fecero sapere, gli ecclesiastici che vi partecipassero sarieno notati, e se si ostinassero, puniti a ferro e fuoco. E nelle istruzioni soggiungeano: « Se « i curiali del nunzio tengono lali propositi fuor della corte, si procuri « ammazzarne uno, lasciando correr voce che fu ammazzato d'ordine no-« stro, e per la causa suddetta ». Consentanei a ciò, fecero arrestare un frate reo, benché portasse in mano il Sacramento ; giustiziarono un prete marchigiano , benché il patriarca 4 Fra le lettere di san Carlo che si trovano nella Biblioteca Ambrosiana , n' è una del ti>80, ove al suo agente a Roma dà ragguaglio del governo di Venezia nelle cose ecclesiastiche, e de'gran frulli che si trarrebbero da una visita; un'altra intorno all'uffizio passalo col doge per riparar agli eretici d'ollrcmoute che dimorauo a Venezia e a Padova. L'INTERDETTO 143 negasse sconsacrarlo; altri posero in arresto, insieme ordinando che gli ecclesiastici non acquistassero beni sodi, e i ricevuti in testamento vendessero. A Paolo V ne parve lesa l'autorità papale di cui era zelantissimo, e usate invano le minacele, lanciò monitorj, poi una scomunica furibonda, dove proibiva di celebrar sacri uffizj, privava il doge e il senato di qualunque feudo, o bene ecclesiastico, o privilegio, o indulto (17 aprile 1606). Il senato ne mostrò rincrescimento, ma non cambiò tenore; guai a chi lasciasse pubblicare il monitorio! i preti continuassero l'uffìzi a ture : e perchè Gesuiti, Teatini, Cappuccini vollero obbedir al papa più che al principe, furono mandali via (9 maggio). L'Europa intera prese interesse a questo conflitto, in cui erano implicate non solo le simpatie degli eretici, ma le convenienze di moltissimi Stati; altri respingeano come scomunicali gli ambasciadori veneti, e fin i mercanti : e in moltissimi consulti fu dibattuto pubblicamente se si possa o no esaminar i motivi degli ordini pontifìzj e delle scomuniche. Campione dei diritti laici presentossi fra Paolo Sarpi, per ciò esaltato allorché parve liberalismo il concentrare tutta l'autorità in mano de' governi ; e non volere che alla autorità loro si sottraggano nò persone, né beni. Lo spalleggiava fra Mieanzio bresciano, che ad un eretico pareva un altro Melantone o Lutero, suscitato da Dio per l'Italia. Essi e i loro amici adopravansi soprattutto a screditare i Gesuiti, « vinti i quali, Roma è presa k e v'erano confortati da lettere d'ogni parte e dagli amhascia-dori che risedeano a Venezia, e che di quo' disgusti col papa profittavano per diffonder libri del loro sentimento ; nò pochi de'nostri se ne pa-sceano, lodati dagli eterodossi per pietà, per zelo evangelico. Teneva principal mano a tali pratiche I'ambasci ad or e d'Inghilterra, spintovi dal suo cappellano Bedeli famoso libellista, che delle speranze di prontamente veder riformata la Chiesa veneta scriveva al Diodati, discendente da profughi lucchesi, il quale a tal uopo vulgarizzò la Bibbia, e « Spero farne volar degli esemplari in Venezia, dove la superstizione ha « già ricevuto una gran breccia, per la quale entrò la libertà, cui Dio santi-o ficherà a suo tempo.... A Venezia lo stampare a parte il Nuovo Testa-* mento in elegantissima forma, perché serva agli avventurosi priucipj che « Dio vi ha l'atti apparire. Né solo colla penna s'avrà a servir a Dio : molti « progetti sono formati, e vicino molto n'è il tempo » (1608). E al.Duplessis Mornay, detto il papa de'Calvinisti in Francia, dava contezza come da due anni stesse in pratica di protestantizzare Venezia, dove già liberissimi discorsi teneansi, massime da fra Paolo e fra Fulgenzio, di modo che parrebbe d'esser a Ginevra, e già tre quarti de' nobili aveano raggiunta la verità: fra Paolo, che ebbe ordine dalla Si- la criminale, di cui i presidenti sedevano nella Signoria, e i membri nel senato. I procuratori di San Marco, prima dignità dopo il doge, gratuiti, e dispensati da ogni altro oflìzio se non fosse d' ambascerie a teste coronate, tutelavano la basilica, i poveri, i pupilli, le pie istituzioni e le ultime volontà. Essi e il doge erano a vita: tutte le altre magistrature erano a tempo, e tante, che il consiglio faceva sin nove elezioni per set? Umana, oltre quelle competenti al senato. I podestà di Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Belluno, Padova? Treviso, il luogotenente d' Udine, il provveditore generale di Dalmazia, gli ambasciadori a Roma, Madrid, Vienna, Parigi, il nobile a Pietroburgo, riceveano tenuissime proviste e arbitrarie gratificazioni; ma trovavano occasione di sfoggiar abiti e lusso 7 ; poi se ne faceano scala al ballato di Costantinopoli, che fruttava copiosamente per ricche eventualità, senz'aggravio della Repubblica. Anche le magistrature portavano leggerissimi stipendj , ma i patrizj le sostenevano senza sparagno, per decoro della patria c proprio. Come in tutte le oligarchie, frequentavano gli abusi e le malversazioni sulP esercito e nelle linanze : vivissimo il broglio, dove i nobili ricchi accarezzavano i nobili poveri per ottenerne i voli, e questi i ricchi per averne impieghi, protezione, pranzi. Le donne mediavano questo traffico 7 Per esempio l'ambasciatore di Francia, clic fu sempre imo de'principali, nel ISj'211 avea lineati 1I>0 d'oro al mese; poi nel 4Si la somma fu cresciuta a 1751 ; e nel secolo seguente a 'JOtì; e ealeolavasi spendesse l'anno 4000 ducali , od altrettanti ne' prepara li vi. Grande sontuosità spiegava , c il ricchissimo suo vestilo di gala consisteva in calzoni di seta uni a varj giri di merli neri paralleli al fianco, con dieci bottoncini di diamanti per parte ; calze di seta nera, montanti sopra i calzoni ; alle scarpe legaccio rosso, panciolle, per lo più della stoffa stessa dei calzoni, con belloni di diamanti ; sopravcsle aperta di seta nera , che dava lino alle calcagna e talvolta anche con lungo strascico: foderala di nero con lunghe maniche adorne di bottoni pure di diamanti. Pendevano dal collo sul pollo due bavari di merletto bianco di Venezia. In lesta la parrucca, i cui ricci lunghissimi dividendosi in duo all'occipizio, ricadevano sul petto. Il cappello nero a tre corni ornaviisi di un fermaglio di diamanti sopra la parte sinistra. Quando là politica s'avviluppò, c gli ambasciadori forestieri crebbero a dismisura e si resero stabili, al II gennajo lSi'^1 nel maggior consiglio si prese parlilo, di cessar dal dare cosa alcuna nò in dono, nò in uso ad ambasciatori forestieri, non l'aflìtto e lu masserizie della casa,non addobbi, nò barca, nò esenzione di dazj, uè denaro sotto 00 ducali por ambasciadori di leste coronale, o 4200 per gli altri. L'appaltatore del vino, che ora dapprima tenuto a somminb sitarne al pubblico dugenlo anfore per uso d'ossi ambasciatori, d'allnrjnnanzi pagherebbe in quella voce !IO0 ducati all'uffizio dalle Ragion vecchie. Però in quel secolo si trascorse di mollo quel segno, ricevendo pomposissimamente gli ambasciadori, e donandoli ricca-menlc; si permise loro d'introdurre da Fusina corta quantità di pane senza dazio, poi altre licenze, che divennero coperta del contrabbando, sinché nen furono abolite: pure il pretenderle recò gravissimi disturbi alla Signoria, GOVERNO. STATUTI 147 de' voti, degl' impieghi, della giustizia; nella quale i caneellieri potevano implicare gP innocenti e dimettere i rei. Nei possessi oltremare estremo il disordine poiché gl'impiegati vendevano la giustizia, intanto che malversavano gli assegni fatti dalla Repubblica per mantener le fortezze e i porti 8. Le forme di governo , sebbene invecchiate e inservibili, forse non era possibile riformarle secondo i tempi, e intanto davano una stabilità che non mancava di merito. Alquanto migliori de' soliti statuti sono per avventura quelli di Venezia, meno sbricciolandosi nella specialità de casi per attenersi piuttosto a principi generali; e spesso brevi e semplici nelP espressione del concetto legislativo ; non ammetteano per supplemento il diritto romano ; nel secolo XV erasi proibito di farvi chiose ed annotazioni, pure le aggiunte li complicarono inestricabilmente ; sebbene si variassero ed emendassero, mai non si fece un'ordinata compilazione •'. Valeano unicamente per Venezia : alle terre dominate essa conservava i privilegi egli statuti, e il violarli era punito dai Dieci. Anzi volta veniva che gli statuti provinciali fossero avversi alla dominante, come quelli di Brescia che a qualunque forestiero, neppur eccettuati i Veneziani, proibiva d'acquistar possesso, o dominio, foss* anche onorario: di beni stabili nel territorio bresciano , nemmeno per dote o eredità, se pur non andasse a stabilitisi colla famiglia, e si sottomettesse allo leggi civili criminali. All' incontro i beni del territorio padovano erano quasi tutti posseduti da signori veneziani. A patrocinare i poveri eleggeansi due patrizj del maggior consiglio, retribuiti dallo Stato, e vi s'aggiungeano dieci de'migliori avvocati, che al- 8 Ultimamente sì stampò: tttfri t-^c no^iTt^; xztì^txiìw; xni iittu.^oo ini Kvìtojv vTto Epjwauvou Asuvt^i, Alene » Nel 430H il Consiglio dei X aveva ordinalo che si regolassero e collocasser nell'uffizio degli Avogador di Comun le cario riguardanti il gius pubblico e il privalo: nel l.'iK il maggior consiglio elesse cinque savj nobili che esaminasser quel cumulo, cancellassero i provvedimenti abrogati o disusali, riunissero quelli che trattavano di una stessa materia, proponessero ai pregadi ciò che occorreva chiarire od emendare. Tal compila-zione durò lin al iìili quando, sentendosi il bisogno d'un'allra che comprendesse le successive aggiunte, furono eletti tre nobili che v'attendessero. Nel \WÌ il giurista Giovanni Finetti offerse di dispor le leggi sotto certi capi, ma I' opera non fu compiuta. Nel 1142 il senato eleggeva due nobili sopriutendeudatta formazione dei sommar] delle leggi, perchè ratinassero o sistemassero le leggi del maggior consiglio e dei progadi. La tiratira del palazzo veneto acquisii) autorità pubblica, benché di privalo incerto autore; ma non comprese l'intero corpo delle costituzioni patrie. Nel ttl07 Marino Angelo si esibì a compier tale impresa,e vi impiegò l'i anni, dopoi quali pubblicò LegamVenetaram, coll'indice, diviso in due parti; una della giustiziadislribuliva, l'altra della commutativa. NoltT-H il stamparono Le leggi criminali del serenissimo dominio veneto, compilale da Angelo Sabini, e colla sanzione pubblica che mancava allo raccolto anteriori. • Tuopo cooperassero alla difesa gratuita. Un uffìzio di conciliazione era stato istituito dogando .Tacobo Tiepolo, col titolo di wcj e anziani àeUa pace, con giurisdizione sopra le risso della bassa plebee le piccolo offese corporali. Ogni contrada aveva un capo, eletto a tempo, che ne regolasse il buon ordine; i mancamenti processava, puniva anche con tonno multa 0 breve detenzione; se la colpa trascendesse la sua competenza, recavala al capo d'arte, al deputato politico, direbbesi oggi, di ciascuna fratellanza di mestieri, che cogli anziani decideva sui trascorsi degli ascritti alla sua matricola; sol quando il delitto fosse più grave portavasi alla Qua-rentia criminale. Il magistrato dei conservatori od esecutori delle leggi, istituito nel 1853, composto di senatori, dovea vegliar sul procosso giudiziario. I famosi avvocati veneziani dipendeano dall' avvogador del Comune, e .lineano essere palrizj o cittadini originarj, nati in Venezia od ivi accasali da dieci anni, non condannati di delitti: parlavano per lo più all'improvviso; o dirigendosi a tribunali numerosi e dove dcoideasi per equità, più che per diritto stretto, usavano il patetico, la celia, e qualunque fosse spediente: solo prefiggersi non oltrepassassero un'ora e mezzo di tempo, misurato Mal polverino. In ogni provincia, Venezia spediva un podestà, sotto il quale racco-glievasj il consiglio de"nobili, rappresentanti di ciascuna città; e un capitano, che presedeva ai rappresentanti del territorio. E città e territori tenevano nunzi e patrocinatori nella dominante, oltre .scegliersi un patrono fra que1 nobili. Sotto un'amministrazione savia, economica, stabile, le provincie sarebbero prosperato ; ma non trovavansi assicurate contro 1 mimici che da ogni parto le stringeaHo : oltreché Venezia, quasi ignorasse che una repubblica può farsi conquistatrice sol por aumentare di citta-' «lini, non di sudditi, trascurò d'associar i-I fiore delle provincie alla sua sovranità. La cambiata via della navigazione , la dilferente costruzione di legni, portala dai viaggi transatlantici, la crescente potenza della confinante Austria . la vicinanza dei papi divenuti priori di Ferrara, l'impiegarsi in latifondi sulla terraferma i capitali sottratti al commercio, noeevano a Venezia. Il popolo sentiva diminuirsi i mozzi di guadagno; I' aristocrazia scemava di numero, in poche mani concentrandosi gli onori, mentre una ciurma di nobili pezzenti vivea del broglio, del sollecitar cause, de! travolgere la giustizia. Perchè anche natura paresse congiurare cogli uomini, una sformata procella nel 1613 conquassò quante navi si trovavano nei [ìorli del Mediterraneo. Eppure nei mari, di cui le avevano tollo lo scettro Olanda e Inghilterra , Venezia compariva ancora degnamente ; da SO a 80 galee te- Prosperità' hi» Beva in assetto; le due prime navi che Pietro czar pose sul mar Nero, uscivano dai cantieri di Venezia, dove egli spedi sessanta giovani ufti-ziali per istruirsi. Secondo I1 informazione del Redmar. la città contava da 150mila abitanti ; entravano all'erario circa quattro milioni di ducati, de' quali quasi metà provenivano dalla sola metropoli, ottocento mila dai paesi di maro: e spendea meno di tre milioni, fra cui 127,660 per l'arsenale; 420,245 per compra di legname, canapa, chiodi, pece; 2157.306 por l'esercito ordinario; 400,000 perdonativi alla Porta; 40,000 per la cassa che [irestava a chi avesse bisogno; circa 200,000 si erogavano in comprare frumento pel pubblico o in fabbricare biscotto per rannata. L'avanzo ripongasi nvÀ cassini, da toccar soltanto in occorrenze straordinarie. Imprestiti. \ endite di beni comunali , tasse sul clero e sull'aristocrazia , il crear nuove dignità da vendere, offrivano ripieghi in maggiori emergenti. I debiti della passata guerra già m'ausi estinti, e s'aveva di che rialzare il palazzo du- • Cale, compier la piazza San Marco, il ponte di Rialto, la chiesa votiva del Redentore.. Noi 1577 misurato tutto il territorio, si accatastarono un milione dueentomila campi fertili e ducentornila sterili, sopraveduti da un particolare magistrato. Nel L'iòti eivisi permesso d'introdur l'irrigazione al modo della Lombardia ; o subito le seriole ridussero a valore possessi da prima abbandonati. Negli anni successivi s'attete a sanar le valli di Battaglia, d'Esto, di Cologna, Anguillara. Castelliamo, poi di Lendinara, di Conselve, e i territori fra Bacehiglionè e Po. Questo fiume avea colmato i seni e le paludi ; e ristretto fra le arginature . allungavasi più sempre in mare, e intorri il canal Bianco di modo, che, elevandosi sopra lo bassure del Polésìne, più non ne riceveva gli scoli. Fu dunque taglialo il canal nuovo di Porloviro ">, ma poi anch'esso si prolungò mediante alluvioni ; e tali prolungamenti erano cosi calcolali, che il pubblico vendeva le terre obesi formerebbero (Vendila di onde di mare),. Venezia polca mostrare come nell'eguaglianza si spegnesse la libertà , persino a Firenze, la quale appunto avea stabilito il più largo governo popolare (1293) tre anni prima che Venezia serrasse il gran consiglio, e perì mentr'essa durava florida e sicura. i-suoi nobili orano ricchissimi in grazia della parsimonia, del commercio e degli emolumenti; ma sostenevano anche i maggiori aggravj, mentre se ne teneva alleviato il popolo. Fu gran tempo onnipotente il senatore Molino, uomo di Slato che nelle sue veduto abbracciava l'intera Europa, e per tenore in equilibrio la Spagna lece spender 1« L'opera ora stala suggerita da Luigi Crollo, (tolte il Cieco d'Adria, clic quantunque perdesse gli occhi sin da fanciullo, studiò attento, e l'u valente idraulico. Nell'inazione che recitò su tal soggetto in senato, adnprava il principio enunciate un secolo dopo dal famoso padri» Castelli, che un riuso d'acqua di determinala misura può passar per una si/.ione più o meno ristretta, secondo la maggiore o minor sua velocità. meglio di dieri milioni di ducati in sussidj or alla Savoja, or agli Svizzeri, ora all'Olanda. Altero della sua nobiltà, mai non comunicava con popolani; eppure n'era riverito ed anche amato, perchè all'occasione proteggeva e soccorreva i suoi amorevoli, come chiamavansi i clienti, e mostrava operare pel pubblico bene, nulla cercando per sé. Intanto però rimanea padrone del broglio; le cariche principali facea cadere su'suoi amici; fu lui che ispirò fra Paolo, massime nella lolla contro Paolo V, e morendo non lasciò ricchezze. Potentissimi fuori, i nobili in città erano tutti eguali , e allorché più irrompeva il farnetico dei titoli, fu preso parte (1576, 21 nov.) che non dovesse « alcuno arringando usare i titoli di umilissimo da una parte , preclari ss imo, illustrissimo, eccellentissimo dall'altra, ma col messere o ad summum magnifico messere ». • * Non sa uscirme-della memoria (diceva il doge Foscarini) quello che « ho leto fin da la zovenlù in un scritor del secolo prossimo trascorso. « Vien a Venezia un signor spagnolo de alta sfera, che andava, se no * m'ingano, viceré a Napoli ; e] gera intervenudo molti anni avanti ne la « bataglia de le Curzolare, servendo su la flotta ausiliaria de Spagna, e * però l'avea conossudo assae de vicin quel grand' omo de Sebastian Ve-« nier, che gera el teror de la Grecia, e che soleva uscir in pubblico co! t corlegio de cento e più nobili, dipendenti dal so comando. Richiestoci « viceré al so arivo in Napoli cossa l'avesse osserva ne la cita nostra, che « a lu paresse più degna de amirazion, se la chiesa o la piazza de San « Marco, o pur lo scale, o la copia de le piture ezzelenti, o la lina indu-« striade l'arte vetraria, o altra somigliante rarità, Onerile de questo (so- * giunse el Spagnolo) m'a feria la fantasia; Tunica mara vegia per mixe « slada quela de osservar Sebastian Venier, sotto le Procuratie nove, in atto * de suplicanfe: e come m vil Grego, che al tempo della guera avea Servio « ne Varmada, glie sia passa davanti senza ne pur cuvarse el capelo; e l'ha « termina sclamando : Oh beata città ! oh divine leggi, vulevoli a conseguir « che Vabilo d'una quasi sovrana autorità gustada nei governi oltremarini, « e le signorili rappresentanze sostenude in mezo el fasto de le corti, no guasti « per gnente al ritorno la moderuzion de la vita civili » Se la nobiltàprovinciale, improvvidamente esclusa da ogni partecipazione alla sovranità della dominante, abborriva quel governo perchè l'invidiava, il popolo vivea soddisfatto, poiché la Signoria gli manteneva l'abbondanza e ne favoriva le industrie; dai commerci lontani e protetti ritraeva compiacenze e lucro; non sentiva il peso della guerra, perchè fatta con mercenari e' discosto dalla capitale ; giustizia pronta colpiva egualmente il nobile, anzi con più rigore; lo frequenti feste dislraevano tutti. Nel 1577 e nel 1030 il senato veneto ordinò l'apertura delle arti, cioè che costumi m potesse nelle maestranze entrar anche gente nuova, mentre prima ne restava escluso chi non avesse fatto il garzonaggio e le prove. Questo bastò perchè molti forestieri accorressero alla dominante, quando appunto la Lombardia si spopolava. Nihil de prìncipe, panivi de Dea; nulla intrigarsi della politica, poco discutere di religione era canone universale; del resto si facesse a volontà. Il mendicare era escluso; pur tolleravansi alcuni accattoni ai ponti della Pietà, di Rialto, de' Pignoli, di Canonica, ed anche in San Marco, per concessione del doge, sicché diveniva un privilegio lucroso, perlino dato in dote e trasmesso per eredità. In nullità così spregiata , da soffrire che i nobili sputassero sulla platea dai palchetti, il vulgo mostrava sempre c riverenza e affetto ai pafrizj, a cui il costume cercava avvicinarli con varie gradazioni di patronato. Il nobile diveniva compare di san Znane cioè patrino do' plebei, che con ciò divenivano sue creature, suoi amorevoli. Di rimpallo al battesimo di patrizj fin cencinquanta compari assisteano, tutti plebei; pena l'csiglio al sacerdote che ne tollerasse uno patrizio : fin coloro che portassero lo stesso nome (senso) riguardavansi in qualche modo imparentati. Rispettosa lin alla bassezza, la plebe sfuggiva d'urtare in questi, più fastosi che soperehiatori, alle cui spalle viveva allegra, senza gloria ma senza bisogni, piuttosto irriflessiva che rassegnata. Il freno posto alla nobiltà ratteneva i disordinati puntigli del punto d'onore; e il nobile veneziano essendo inerme non facilmente correva alla spada per vendicar un'ingiuria o sostener un puntiglio: ma sapea pagare bravi di mestiere, i quali pugnalassero un offensore, o col rasojo dessero uno sfriso traverso al volto d'una bella. Il bravo, secondo la descrizione di Cesare Vecchio , bestemmia senza motivo, sfida senza causa, commette scandali e omicidj: ha sempre spada e pugnale; non parla che di baruffe e duelli : provo-cansi l'un l'altro per un nulla, e son chiamali tagliacantont ; vestono assai bene, e cambiano spesso di foggia; portali berretta di velluto e seta, alta e cinta d'un velo che forma nappa sul davanti ; al collo lattughe o collari; mantello di capretto 0 di camoscio; e sotto un giusta-corpo con maniche di tela di Fiandra, calzoni di seta larghi lin a! ginocchio , uose di pelle; non di rado han corazzo e maglie, e sono i favoriti delle meretrici, che so ne valgono a punire i torti ». Costoro, che a mazzate e coltelli finivano \" uomo oscuro, e còlto all'agguato il buttavano in canale, quando si trattasse d'un gentiluomo metteansi in arnese di difesa, e aspettavamo in qualche angusta calo, dove l'investivano, provocandolo a un duello, il cui esito era troppo preparato : e cosi davano aspetto d'un affar d'onore a un assassinio, delle cui conseguenze li salvata la protezione del mandatario. Il conte Lechi di Brescia sfuggito, alle prigioni, seppe a la] modo far colpire Ibi 20 de'suoi avversar]. Il brave* talvolta serviva a difesa d' un minaccialo e avendo un patrizio debitore assalilo in armi il creditore insistente, l'inquisitore di Stato obbligò quello a pagare un bravo, che vigilasse continuo sulla vita del minacciato. I ricordi del tempo sono pieni di violenze pubbliche e private; e ne cresccano occasione le immunità, di cui godcano i palazzi degli amba- narla al dispregio quando ricadde Montaigne, che di questo tempo visitava Venezia, vi trovava 150 gentildonne da mercato, che l'accano grandi spese in mobili e vesti '-, man-lomilo pubblicamente da^nobili e si vivea con poco, non («peddendosi in cavalli e in (piantila di servi. I giovani traevamo nelle loggie del teatro le cortigiane, parlavano, schiamazzavano, talvolta recitavano ossi medesimi sul [taìco, sputavano in platea e vi gettavano la smoccolatura delle candele; e per soperchiare impunemente tenevano all'ingrosso dei bravi mascherali. 11 II povero Tasso celebrava anche lo nozze ili Bianca Cappello sublime donna, della quale canta in prima: La nobiltà eh'è del calar colonna; e lodati i merili insigni del granduca maggior di tulli Irova il discernimento suo, pel quale, come l'aride, seppe preferire Bianca che ha vero candore, anzi splendor sereno ; e cero e casta amor \ e non rilina sui vanii di questa: Casta beltà di alto giudizio elesse: t'adira moglie in lieta pace e santa, chi di candore e d'onestà,. . s' ammanta. l'i Le cortigiane j secondo Cesare Vecellio, non aveano vestire iiniforinc, variandolo secondo la fortuna. Fu generale , avean un abito somigliante al virile, con giuslaoorpn di seta guaritilo di largite frangio e colmo d'ovatta ''(ime i giovani: camicia d'Uomo, lina r bèlla a proporzione dell'avere, in estale pongono sopra di questa un accappatoio di scia o di lela che va sin ai piedi: all'inverno una vesla foderala , di šula o di panno: tengono scarpe alle un quarto di braccio, ornate di frangio con calze di scia e stivaletti alla romana. Molte hanno i calzoni come uomini. A tali distintivi si conoscono e al bottoni d'argento: non slatino alle tinoslro; mg piti libato alle porte di strada per cogliere gli uccellarci, e cantano canzoni amorose , ma fon poca grazia perchè il mestiere ne rende rauche le voci. sciadori e lo contrade attorno a quelli. E poiché

'2 diceva: • Tfgno • per domestica tradii ion la grata e tenera memoria de quel zorno 16 gennaro llì'JÌ , • quando xe slada dieliiarada nel maxor consegio con golene parte, e po resa nota a tulio «le Corli, la tragica vicenda caduta sora un ciladin, che aveva soslenude le prime dignità « della patria. Xe sta allora che la povera mia casa ha accollo un prodigioso numero do « nobili, concorsi a manifestar sentimenti misti de lagrime e de eònsolation ecc.». l'n fornaretto, andando la matliua a portar il pane per le case, trovò il fodero d'un pugnale e se lo pose in lasca : la ronda, clic aveva tratto dal canale un ucciso , arrestò il l'ornarotlo, e gli trovò addosso quel fodero corrispondente al pugnale che portava in cuore l'assassinalo, lìcn bastava per accusarlo ; la tortura avrà fatto il resto. Il caso vorrebbe mettersi al ISOj, ma pare una favola. sua politica i:ì:ì proclamando la legge come la cosa pia vicina alla divinila, e lodando le costituzioni miste. Anche il piemontese Bollerò vantò Venezia, ricca pel commercio, per la zecca, per la dovizia de1 particolari ; quel chi: altrove si butta in mantenere il re e la sua famiglia, ivi accresce la flotta e le fortezze. Nel ilìi)0 orribil fame (die' egli) desolò tutta Italia, tin le pingui Parmi e Piacenza ; sola Venezia provvide in modo che nessuno soffri, e v'ebbe concorso di forestieri; i ricchi adunarono somme poi poveri, e furono imitati nell'altre città. Egli avverto che a Venezia si uccide men gente che altrove: non crede le nocessc l'essersi impacciata delia terraferma, e ben avvisa corno due distinti governi avesse, di sò stessa c dei sudditi; e che in lei, siccome in tutte le aristocratiche, non predomina l'impulso guerresco quanto nelle democratiche, perdio colà bisogna che i governanti apprestino i mezzi od espongano le persone, nèutra là, dove si obbedisce agli schiamazzi, « La sciocca turba grida Dalli, dalli, E sta lontana e le novello aspella. » In somma piazza San Marco era come la sala, ove si davano la posta tutti i popoli dei mondo; ivi non prepotenza di feudatari; ivi liberi pensatori ; ivi libera la stampa, purché non toccasse al governo. Sebbene 1' Europa, foggiata a monarchia, sempre più si scevrasse dalle idee fra cui ora grandeggiata Venezia, la politica di questa era tradizionalmente riverita, temuto ancora lo sue armi. In Italia ora proposito di essa il conservar 1' equilibrio, coll'impedire gli incrementi principalmente della Spagna, che, consolidatasi nel Napoletano e nel Milanese, la minacciava dappresso, obbligandola a fortificare Bergamo, Brescia, Verona; sicché Venezia rappresentava il partito nazionale, se tal nome avea senso in quei tempi. Il papa san Pio V diceva al veneto cardinal Gàmhara: « La repubblica è principe libero, senza alcun supe-« riore: ed è il sostentamento della gloria e libertà d'Italia, che altrimenti • da un pezzo sarebbe proda degli oltramontani. Ma tutti i principi dal « maggior al minore la odiano, e dicono ch'essa non ha rispetto a nessun « di loro, nessuno cerca gratificarsi. Né è maraviglia: giacché dagl'Italiani « non è amata per invidia, e dagli stranieri perchè impedisce i loro di-« segni sull'Italia ». In fatti, costretta a tenersi in guardia contro la Turchia, non polca fidarsi dell'Austria, la quale sempre agognando di met loro in comunicazione diretta i suoi possessi slavi cogli italiani , la ricingeva d'insidie. Maria sorella del re di Spagna dovendo da Napoli andar a Trieste sposa di Ferdinando re d'Ungheria, si fe sapere alla Signoria che la accompagnerebbe la fiotta spagnuola: Ma la Signoria mandò dire che sovrana del golfo era Venezia, e non vi lascerebbe entrare altro legno da guerra; però si farebbe onoro dì riceverla sullo galee proprie, come il suo grado richiedeva; altrimenti olla si esporrebbe al cannone. Il re di Spagna non insistette, c la giovane regina fu accompagnata con istraordinaria magniliccnza dalla flotta di San Marco (1630). Venezia leticasi bene coila Francia; fe pomposa accoglienza a Enrico 111 (Vedi pag. 78), al quale ne1 suoi bisogni prestò centomila scudi senza interesse: ad Enrico IV succedutogli essa non ruppe fede benché eretico, gli prestò denaro, poi buttò sul fuoco le ricevute, il fuoco più bello (diceva egli) che mai avesse visto: quel re chiese d'esser iscritto nel libro d'oro, e l'ottenne per decisione del gran consiglio passata con 1430 voti favorevoli e due contrarj: egli di rim-patto regalava alla repubblica la spada con cui avea riportate le maggiori vittorie: esibiva ìnterporsi affinchè il granturco le restituisse Cipro; o le destinava la Sicilia e T Istria in quel romanzesco suo rimpasto dell' Italia. Le dissensioni religiose che vedemmo minacciar la pace di Venezia, sovvolscro altre parli d'Italia, e ne nacque aperta guerra dopo il macello dc'Protestanti fattosi in Valtellina. Vi si complicò la politica delle maggiori potenze: Spagna favorendo ai Cattolici, ai Protestanti Francia, e con essa Venezia, che perciò fe lega coi Grigioni, o dio mano al duca di Savoja, il quale fin d'allora aspirava al rogito dell'aita Ilali.i. Nuovi disturbi le cagionarono gli Uscocchi, cristiani fuggiti dai paesi conquistati dai Turchi, e che ricoveratisi sulle coste orientali d eli7 Adriatico, molestavano la navigazione dol golfo pirateggiando. « Giacche San Marco si dichiarò padrone del golfo, almen lo tenga sicuro ai naviganti », diceano i principi d' Italia « Avete pace con me , dunque assicurate le navi di mia bandiera » diceva il Turco. E Venezia combatteva gli Uscocchi, ma l'imperatore dì Germania proteggenti come opportuni I tener in soggezione i Turchi; talché i Veneziani furono costretti dichiarar guerra ad esso imperatóre per disfar quel coviglio di ladroni (1617). Spagna, dominata da Austriaci come l'Impero, secondò lanimicizia di questo colla penna, con armi, con macchinazioni; e il marchese di Ued-mar ambasciatore di Spagna a Venezia, l'Ossuna viceré di Napoli, il Toledo governatore di Milano cospiravano alla ruina di Venezia. Sfavasi dunque in sospetti; quand'ecco il consiglio dei Dieci fa arrestare ed uccidere alquanti stranieri. Il popolo esagera, come avviene nelle arcane processure; prima dai togati sotto le Procuratie, poi dai mercanti 1S La quistionc del dominio sul mare fu dibattuta nel 1563 in un congresso nel Friuli tra i commissarj imperiali, di cui era principale il dottor Andrea Rapicio , e dai Veneziani col dottore Giacomo Chizzola. La riferisce, sul finire della storia degli Uscocchi, fra Paolo, il (piale pure scrisse molto in proposito, e sosteneva la padronanza di Venezia sul mare, perchè qtiaud'ella nacque esso mare non era di nessuno; onde per la ragione slessa e fu libera e padrona dell'Adriatico. CONGIURA PESTE 137 in Merzeria e Frezseria, poi dai Narice dalle Cale in ogni cale, in ogni campo, si buccina clic i prosi e i morti sieno ccnlinaja; che s'è scoperta una congiura, dirotta a mandare in damme la città, a capitombolo la repubblica; che vi partecipa molta nobiltà: e che testa e centro n' e il marchese di Bcdmar. Questo mistero a mille ciancie dio luogo; gli sbizza rr imen ti de'caccia-tori di novità furono adottati dagli storici; e restò la credenza che il duca d' Ossuna avesse ordito d' annichilare Venezia, mettervi il fuoco, trucidar il doge o i senatori, occupar la terraferma; che.se l'intendesse a tal uopo con molli Francesi, col Toledo, col Bedmar; già lutto era sullo scocco, quando il caso o un traditore lo sventò. Quanto c'era di vero? Dio lo sa; certo il Bedmar andò via, ma presto fu ornato cardinale, nò colla Spagna s'interruppero lo relazioni; il governo non pubblicò veruna informazione del fatto, ma ordinò ringraziamenti a Dio perchè la repubblica fosse salvata. E sembra veramente che una trama fosse sul telajo, opera di alcuni mercenari sbanditi da Francia al cessare delle guerre civili, c postisi al soldo di Venezia, e massimo di un Giacomo Pierre normando, noni di mano c praticissimo corsaro, il quale, per guadagnare compagni, prometteva ajuli dalla Spagna: ma la cosa fu sul principio scoperta o sventata colla morte di poche persone: se la Spagna teneva il sacco, Venezia ebbe l'astuzia di non accorgersene. Poco dopo scoppiò la terribile peste, della quale diconsi perito nella sola città 82 mila persone e 000 mila ne dominj di terraferma Ir'; e per voto della liberazione da quel male fu eretta la chiesa della Saluto, scorretta, ma magnilica opera del Longhena, arricchita di lavori spenditiis-simi e di pessimo gusto (Vedi la figura qui dietro): fra i quali merita distinta menzione il candelabro in bronzo di Andrea d'Alessandro bresciano (Vedi la figura a parte). Perocché il pomposo, dominante no'costumi, con abiti gonfi o svolazzanti, macchinose parrucche, turriti tu pò, movimenti smorlìali, appariva anche nelle arti belle, sfolgoreggiami di colorito, di atteggiamenti energici, di Ili Le cronache veneziane ricontano pesti ne^li anni 93 i, 938, 1007, 1010. 107.", 1089, 1093, 1102, 1H8, 1137, U4», HSJ, 1137, 1101, 1163, 1160, 1170, H7'2, 1 177, 1182, 1201, 1203, 1217, 1218, 1248, WJ, 1205, 127;;, 1277, 1285, 121(3, 1301, 1307, 1143, ir>i7 (la famosa morte nera, per cui si estinsero cinquanta rasane nobili) Ì.'.'IO, IImI, ir»,f;7,1339-60-61, 1382, 1393, 13117-98, «100, INI. 1423-21, 1427-28, 1447, H56, 1161, 1408, 1178, 1484, H83, 1198, 1503, 1S06, 1510-11-13, 1327, i:i3U, 1356, 1303, 1873-70, 1380, 1629-30. In quest'ultima morirono quaranluseimila Irentasei persone, e comprendendovi Murano, Mala-mocco, Chioggia, oltnnfaduemila centoseltanlalre. Ai\ GÀLLICIOLL1. Due donne portate a seppellire al Litio, dieder segno «li vita, e rimesse al Lazzaretto, guarirono, ed una sposò un giovano cui era Incontralo lo slesso caso. PALAZZI. GH1ESE \m formo erculee, con ardimenti di disegno e risalti alla berninesra, a scapilo del disegno e dello storiche convenienze, II Tmioreito avea fallo TinlarettQ. credere fosse merito il far presto; e Jacopo Palma il giovane guastava con ciò P ottima sua altitudine i il Forabosco, il KidoKi, il Varotari, il Ricci non resìstettero all'andazzo. Le moltissimo fahhrichc civili o religiose di quell' età, sono distinte dall' abbonamento alla retta, dalla sovrabbondanza di ornamenti . di stucchi, di sporti, di membrature adoperate a rovescio, di temerarie smodatezze , di piante ghiribizzose, di ligure atteggiate smorfiosamente. Sulla facciala di S. Maria Zobenigo, eretta dal Sardi a spesa dei Barbaro e dei Coniarmi , pompeggiano slalm; in enormi parrucche, o sui piedestalli le piante di molte città. In quella irrazionale di San Moisò del Tremignan, scialacquò 30 mila Longhena; e gli Scalzi, cosi ricchi di marmi e di follie, bene stanno coi palazzi Balbi a San Pantaleono, Antonelli a Santa Maria della Misericordia, dove ammirano un cumino a foggia di tempietto; col Pesaro a San Gassiano che costò 500 mila ducali, col Rezzonieo a San Barnaba, le cui grandioso proporzioni scapitano nello strabocchevole ornamento; col Bei-Ioni Battaglia a Sant'Eustachio; col Widman a San Ganci ano; coi quattro palazzi Moccnigo. La Dogana, opera del Benoni, ò scorretta, ma ben profitta del piccolo spazio e presentasi pittorescamente. Su quello architetture poi il trentino Vittoria (Vedi figura qui diamlro), Tiziano Aspetti, il Campagna, che fo lo strampelato altare del Sacramento in San Lorenzo, sparpagliavano statue ammanierato di angoli e genj e figure simboliche; il bellunese Bruslolon v'intagliava meravigliosamente il legno; L'iINTEB DETTO irli Vittoria. e questo e gli stucchi erano prodigati principalmente nella cappella del Rosario in San Giovanni e Paolo. Si spinse il mal gusto sino a fingere fossero tappezzerie a fiorami i marmi d'una intera chiesa, e il tappeto del pulpito , come ne'Gesuiti, dove il padre Pozzo e il Rossi gareggiarono a chi più commettesse controsensi. Questa scultura, che voleva emulare il movimento pittoresco, sbizzarrì ne' mausolei. In San Giovanni e Paolo una donna , guardandosi nello specchio, dee vedersi alle spalle uno scheletro, che sostiene su cartello lacero e accartoccialo l'epilafio: altrove il cartello è sorretto da un'aquila: nel monumento Moceoigo,-da due morti nere: nel Valter un immenso manto, aggettandosi dalla base, rinvolge tre statue, lussureggiantemente drappeggiate dal Baratta. In San Pier di Castello nella cappella Vendra-min, Virtù e Vizj s'atteggiano come sul teatro ; una figura fa capolino dal sepolcro. Nel mausoleo Pesaro ai Frari, sopportano il cornicione quattro Mori, da' cui laceri panni traspajono le nere carni : Virtù e Vizj e scheletri recano epigrafi; su due cammelli poggia un trono; angeli e festoni, e putti in alto o bassorilievo, danno prova della scorrettissima fantasia del Longhena, e della buona scoltura del Bar tei: fin l'iscrizione è soleggiata colla medesima vanità (Vedilo nella pagina seguente). La letteratura gonfiatasi di pari passo colla fastosa nullità del barocco: pure Venezia ebbe l'ultimo dei buoni cinquecentisti in Celio Magno segretario dei Dieci (—1002), che celebrò le vittorie sopra i Turchi, e nella canzone su Dio sorvoli a tulli i contemporanei. Illustrai, del L. V. Vol. II. 24 Si continuò ad usare il dialetto non meno in lepidi componimenti 17 che in austero discussioni. Il gusto dello antitesi e de' giocherelli ingegnosi era comparso già nel secolo precedente, e Domenico Vender, amico del Bombo e fondatore dell' Accademia Veneziana, da lunghissima infermità legato a letto, poetò abusando dello spirito, e introducendo affettati riscontri, come nel sonetto, Non punse, arse o legò strai, fiamma, laccio; 17 // Tasso strarcslio da barcarola da Simon Tomadoni, anagramma di Tommaso Moudini, e citalo dal Gamba, Serie di scrittori in venezìavo, il (piale ignorò Calmo Lettere dì lingua volgare veneziana, libri quattro: nell'ultimo dei quali le lettere sono indirizzate • a diverse donne sotto molte occasioni d'innamoramenti ». Venezia, IK84. LETTERATI SECENTISTI 163 e in quello Per la morte del Bembo un sì gran pianto, strano quanto i peggiori secentisti. Essendo morto Pcrison Cambio, egli cominciava un sonetto : Non perì '/ suon. qual suona il nome stesso; e nel secondo terzetto : Quando egual ramino in cambio a noi lìa dato Di si gran cambio ? Monsignore Girolamo Fenarolo rispondendogli cantata : In un punto perì suon si pregialo, E 'n sua vece mandò tristi lamenti (Duro cambio) il mar d' Adrja in ogni lato. Marcantonio Magno (—1530) padre di Colio, sbandilo per delitti, attenne illustri impieghi nel Napoletano, ebbe medaglie, e dall' Ariosto fu pregato di limargli un canto dell' Orlando, eppur lambiccava concettuzzi, come potete vedere in questo epigramma: Caron, .Caronl —Chi è si' importun che grida? — Gli è-un amante ledei che cerca il passo. — Chi è stato sto crude!, quest'omicida Che talmente I' ha morto? — Amore, ahi lasso ! — Non varco amanti : or cercati altra guida. — Al tuo dispetto converrà eh' io passo, Ch' ho tanti strali al cor, lant' acqua ai lumi. Clf io mi farò la barca, i remi e i fiumi. Questi arzigogoli divenner regola e moda nel Seicento, e s'insinuavano anche nelle scritture gravi. Allora s' udiva lo Ziliollo carpire gli applausi con panegirici, di cui vi fan ridere sino le intestazioni: Fucina ùVamore che scopre impietosito di tempra celeste il Santo Chiodo de' piedi di Cristo, per più di Ì00 anni adoralo ìieì sacro tempio ili Santa Chiara in Venezia, ■1070; ha Minerà del Calvario, produttrice tW Chiodi sacrati ss ini i della Croce di Cristo, I(Itilo. — Pietra dì Paianone per provare con diligente sàggio la prrtinsa finezza del sanlissimo Chiodo, 1678. — Arma di fina tempra lolla dalle armerie del cielo a difesa delV infelice umanità. Cosi il Boschini scriveva la Catta del mi rigar pittoresco e le Ricche minere della pittura ceneziaun. Fin il gravissimo Giovanni Sagrodo, ambaseiadore, e magistrato e preconizzato doge (1000), dall'Inghilterra scriveva che Cromwc] chiuse il parlamento perchè egli stesso parla e mente abbastanza; ch« a Londra non si vedono più dame alla corte, ma solo damme da .chi va a caccia, no si parla d'amore ma di morte; non si vedono mosche sui volti, ma moschetti sulle spalle; e lutto è pieno di difetti, di sospetti, di bruttissimi aspetti. In Francia trova che Parigi è un picco! mondo o il mondo un gran Parigi, e che non v'è paradiso in (erra, o Parigi è il paradiso terrestre: le donne sciolgono la voce e cantando incatenano , augelli al suono, angeli al volo : cantano le più bollo arie, ed bau aria celeste, e conchiude che Parigi è il cielo dello dame, l'inferno dei cavalli, il purgatorio delle borse IS. Dei trastulli letterari" citerò puro il Musarum lìber ad Domlnkum Molinum, pubblicato a Venezia da Baldassar Bonifazio, che sono 20 l'accie stampato e 22 incise, dove i componimenti son disposti in modo, che le righe figurano una torre, uno scudo, una colonna, un fuso, una scure; una scala, un cuore, un calice, un altare, e così via. Fra gli scienziati Doroteo Alimari fu orco da Pietro czar, e diede un metodo particolare per calcolar le longitudini in altomare. Livio Sa-nuto , aspirando ad essere « il Tolomeo della sua età », inventò strumenti per precisare le osservazioni astronomiche ; lesse diarj, storici, viaggiatori per ridur più esatte lo mappe, o pubblicò la Geografia in 12 libri (1588), dividendo la terra in tre continenti; Tolemaico, Atlantico, Australia, ma non compì l'opera. Fra Vincenzo Coronelli (—1702) fece a Parigi due globi, del diametro di 12 piedi, famosi più che utili, ed un profluvio di libri geograliei, fra cui un Atlante veneto, un Isolarlo, una Guida do' forestieri in Venezia, o più di quattrocento carte sempre belle, non sempre esatte. Come storiografo di Venezia il Sanuto era proseguito in latino da Andrea. Morosini, erudito e sporto del governo ; pti da Michele Foscarini. Giambattista Nani (—1078) a ira le fatiche o i sudori di molti impieghi, e in più legazioni pellegrino per corti e paesi .stranieri espose i falli dal 1013 al 71; il secondo volume riempiendo, della guerra coi Turchi. Si gloria di voler dire la verità, e di « poterlo, atteso il suo accesso a * principi, il negozio coi ministri, il discorrere con gli esecutori delle « cose più insigni, il veder i .siti, l'ingresso nei pubblici arehivj e ne' « più segreti consigli », c T'essere le imprese state maneggiato in buona parte da suoi maggiori e da lui. Chiaro sposilore o non inelegante, abbastanza mondo da antitosi e metafore, di rado però s'incalora , e nei rillessi va generico e comune. Mentre questi cransi stampati sol dopo morie, a Pietro Garzoni (—1719) impose la Signoria di consegnare ogni duo anni quanto avesse terminato. 18 Egli Uscio Memorie storiche de' Monarchi ottomani, e l'Arcadia in Brenta. I TURCHI. GUERRA DI CANDÌ A 165 Uomd' all'ari e testimonio oculare, ebbe ad esporre le geste gloriose contro Maometto IV e successori suoi ; e l'opera fu accolta con gran favore; ma de'sacrifizi a cui costringe la protezione diede novella prova l'ordine, trovato non è guari, di sopprimer passi concernenti l'acquisto e la perdita dell'isola di Scio, in cui egli « con pericolosa esattezza avoa svelalo materie' arcani; o geloso ». E veramente spiegano ala più sicura gli scrittori veneti quando parlano della guerra contro i Turchi, che è la parte epica di quella storia. 1 quali, non fiaccati dalla rotta di Lepanto (1571), ricomparivano lino alle rive dell'Adriatico : anzi, per provedersi contro di loro, Venezia fabbricò Palmanova, Italia; et Christiana; (idei própugnacuiùm, la fortezza maggiore che allora si conoscesse (1590). Con Solimano il Grande erasi patteggiato libero commercio (l;)21), e di tenere a Costantinopoli un bailo triennale, tributando diecimila ducati l'anno por il possesso dell' isola di Cipro, e cinquecento per Zanle. Dopo la terribile guerra di Cipro, accorasi che dai Cristiani poteva aspettare esortazioni e poesie ma non ajuti, Venezia rinnovò pace col Turco (1572J crescendo a millecinquecento ducali il tributo por Zante; e con ottomila redimendosi da quello per Candia. Ouest'isola, ampia ben sessanta leghe, e situata in modo di signoreggiare l'Arcipelago, con grosse città, bei porti, pingue territorio, centomila abitanti, era l'ultimo avanzo delle conquiste Ialine, in Oriente; e Venezia profuso oro e «angue por conservarla traverso a venti ribellioni de'paesani i quali consideravano come una tiranna straniera, ed ali-borrendo i governatori, negligenti della giustizia e avidi di guadagni , speravano fin ne'Turchi, Ed ecco (1644) sopra Candia veleggiare, pei pretesi i che mai non mancano , trecenquarantolto navi con cinquantamila Turchi, fra cui settemila giannizzeri o quattordicimila spabi, ed approdati assediar la Canea. La repubblica era accorsa alla difesa; e dietro al patriarca, il clero o i gentiluomini fecero offerte generosissime; si vuotò il cassone, si chiesero prestiti all'un per cento perpetuo o al quattordici per cento vitalizio; si crebbero a sei, poi lino a quarantuno i procuratori di San Marco, per vendere quest'ambita dignità, come anche il diritto di entrare prima dell'età nel maggior consiglio; si ascrisser Ira i nobili que'cilladini o sudditi che pagassero per un anno io stipendio di mille soldati, c così per olio milioni di ducali si aggiunsero settantasette famiglio al libro d'oro : le manimorte diedero tre quarti di;' loro argenti ; si ridussero a cartelle i deposili di minorenni e delle cause pio ; si assolsero delinquenti e banditi. S'imocarono tutti i potentati cristiani ; ma mentre essi sottilizzavano nello provvigioni, e perdeansi in diverbj, la Canea, cannoneggiata per cinquanlasettc giorni, avea dovuto capitolare, lasciando ai Turchi tre- censessanta cannoni e munizioni e spoglie e un robusto punto d'appoggio. Allora Doli Ussein , già bascià di Buda, poso a Cantila un assedio (1645), il più lungo dell'età moderna, e abbellito da splendide geste delle flotto veneto. Vi fu capitano generale Francesco Erizzo, doge ottagcnario e alla sua morte Giovanni Capello , poi Battista Grimani, poi Leonardo Morosini, famiglia illustrata pure da Lazzaro o Tomaso, la capitana del quale tenne tosta a cinquant.adue galee nemiche (1647), e la sua vita fu pagata con ([nello di millecinquecento Turchi. Giacomo Riva (1649) con venti navi no sbaraglia ollanlalro ottomane, distrugge a Focea quindici galee e settemila vite, col perdere solo quindici uomini. I Contarmi, i Tiepolo , i Badoero , i Soranzo, i Pisani , i Dollìn Valier, i Bembo. i Foscarini, i Giustiniani.... attestarono che un popolò di mercanti, sa resistere e vincere. Venezia costretta a tener in piedi ventimila uomini, logorava da quattro in cinque milioni l'anno in d ettaro, i! triplo in munizioni, cioè più che noi tre anni della guerra di Cipro, bisognando a Candia mandar ogni cosa, lin il biscotto e la legna; oltre che vedovasi interrotti i commerci di mare. Ma i Turchi raddoppiando di valere, di armamenti, di ferocia, alzarono una piramide di cinquantamila teschi di Cristiani, prendeano e impalavano gli ambasciatori; ebber morta] clic lanciavano bombe fin di ottocento libbre; primi si valsero dello parallèle, che aveano imparate da un ingegnere italiano; oltre abilissimi artiglieri, erano espertissimi nelle mine e nelle strade sotterraneo; e poiché i nostri gì'imitavano, il ^uoìo era lutto solcalo, e tratto trailo scoppiava dove men s'aspettasse, e sotta terra coubat-tevasi «piasi altrettanto che sopra. Chi può descrivere lo slato della città? lo vie ingombre di palle o frantumi di bombo e di granale; non chiese; non edilizio elio non avesse le mura sconquassale; le case erari ridotte a mozziconi; dappertutto puzza, e soldati morti, feriti, storpiali, (ili oscuri pericoli dell'agguato. P aspettare rolla pancia a terra il nemico per giornale intere, I" essere balzati in aria nel cuor della notte, non Scoraggiavano la briosa gioventù francese, accorsa a quei rischi: però nel cavalleresco orgoglio essa recavasi a sellilo d'obbedire ai Veneziani, e disapprovando il pro-veditor Caterino Cornaro che feneasi sulla difesa, appena cadde ucciso fecero una sorlila collo scudiscio in- mano e la baldanza in cuore: ma furono sbaragliali, e le teste dell'ammiraglio e di molti lor signori andarono proeessionahnenle pei* le vie di Costantinopoli. Cinque lustri durò la guerra, e i giannizzeri minacciavano rivoltarsi se non si Unisse il terzo assedio, che, con 56 assalti, 45 combattimenti sotterra, 96 sortito, 1173 mine degli assediali e il triplo de' Turchi, costò, come si legge, in 28 mesi ai Veneti 30,903 uomini, ai T.iv'ii 118.754. G L'E URA DELLA M ORE A 167 La guarnigione, ridotta a tremila uomini, respinse ancora l'ultimo assalto de'Musuhnani : alfine Francesco Morosi'ni (1009), abbandonato solo in paese consunto dalla peste, dovette capitolare, ottenendo che i Veneti partirebbero a bandiera spiegata quando il tempo l'osse propizio; chi solesse, potrebbe per dieci giorni uscirne eoll'armi, le robe e gli arredi sucri; la repubblica conservava nell'isola i tre porti di Spinalonga, Suda e le Grabuse, le conquiste fatte sullo rivo deila Bosnia e Glissa: scambiati i prigionieri, ripristinate lo relazioni di commercio e amicizia. I quattromila cittadini sopravvissuti inularonsi lutti a Parenzo, e la cattedrale di Candia ridotta a moschea, eccheggiò del grido. ■ Dio solo è Dio, e Maometto è il suo protei a ». Vincitrice di dieci battaglio in 25 anni di guerra contro lutto le forze ottomane, Venezia scapitava di possessi non di gloria: che una lotta ineguale per difesa della libertà e dell'incivilimento onora anche chi vi soccombe. Ma il vulgo vuol sempre bestemmiare ed uccider alcuno nelle gravi sventuro; o per dolore infuriandone, (piasi minasse la repubblica, alzava urli e pianti, come se il nemico fosse a Lido. L'intrepido Moro-sini fu accusato al maggior consiglio di \igliaccheria nel difendersi, di ecceduti poteri noi capitolare, e se ne domandava la lesta! Mosso prigione. Giovanni Sagredo per salvarlo affrontò coraggiosamente quella tiranna de' codardi che s'intitola la pubblica opinione: e il Morosini potette presto ricomparire terror dei .Musulmani. Perocché rinnovatasi la guerra ( 1085), della flotta fu dato a lui il comando , il quale occupò Santa Maura e Preveša, 0 col favori; de' Maino! t i o Cimairotti ricuperò tutta la Mo-rea fin all' istmo di Lordilo: fu prosa Atene (1087), dove una bomba mettendo fuoco alla polveriera, diroccò il più beli'edilizio trasmessoci dell'antichità, il Partenone. A Francesco Morosi a i peìopohesìuco virente fu posto un busto nel palazzo ducale ; il papa gl'invio lo stocco e il cappello; reduce, ottenne il corno dogale, e recò molte spoglie, fra cui il leone che stasa all'entrata del Pireo, oche adesso orna l'arsenale. Mentre il principe Eugenio di Savbja combatteva i Turchi sul Danubio, Venezia continuava la guerra felicemente sotto Giacomo Cor-naro, sinistramente sotto Domenico Moeonigo ; ondo il Morosini, grave di settantacinque anni odi molti acciacchi, pregalo a riprendere l'invitta spada, con ollantaquallro navi arrivò a Napoli di Romania. Ma morii; il colse sul campo di sua gloria (5 gennajo 101)4); e Antonio Zeno, succedutogli nella capitananza, mantenne l'ardore degli eserciti, prese Scio (8 settem- bre), ma non potè o non seppe difenderla dai Turchi ; onde richiamato, morì prigione mentre gli si tesseva il processo. Ai raddoppiati sforzi dei Turchi per ricuperar la Morea si oppose felicemente "Alessandro Molina: ma le momentanee prosperità non conducevano a durevoli risultamene. Aitine a Carlovitz fra i Turchi, l'imperatore, la Polonia, la Russia e Venezia fu concordata la pace più notevole (16 gennajo 1699) fra quante la Porta ebbe con potenze cristiane. Posto termine all'umiliante tributo che pagava per Zanle, Venezia conservò la Morea fin all'istmo, le isoli* di Egina, Santa Maura e Leuoado, abbandonando la terraferma. Lepanto e le isole dell'Arcipelago, e distruggendo i castelli di Romelia e Preveša. Il Turco non sapea darsi pace della perduta Morea : e non tardò a intimarle guerra (1714) come a violatrice degli ultimi accordi. Rincorato dal sapere che Venezia, in sicurezza di paco, tenea le fortificazioni sfasciate, e l'esercito occupato verso Italia nella guerra di successione, arresta il balio di Costantinopoli, chiama tutti i bascià e i barbareschi, e irrompe d'ogni parte: Corinto è presa a macello, così Napoli di Romania, così Modone; favorendo ai Turchi la popolazione greca, che lo scisma rendeva avversa ai Cattolici. Venezia armò anch'essa a furia, e cercò soccorsi ; o in belle campagne successive lo stendardo di San Marco prosperava , appoggiato dalle vittorie del principe Eugenio; quando l'imperatore (21 luglio 1718), conchiuse la pace di Passarovv itz, e Venezia non potò più che accettar i patti impostile, e rinunziare non solo alla Morea, a Tine, alla Suda, ma fin a Scutari, a Dolcigno, ad Antivari, conservando soltanto lo scoglio di Ce-rigo, e in Albania Butrinto, Parga e Preveša, che proteggessero a levanti' il canale di Corfù. State certi che i primi ad accusarla di viltà saranno stati quelli che meno l'avevano ajutata nel conflitto. Vili. Decadenza. hi, sboccando dalla Merceria, si soffermi alParco sotto P orologio, e vedasi a man dritta la gran piazza, lunga metri 176 e larga da 56 a 82, circondata da portici di diversa età e di complessiva impareggiabile magnificenza; a sinistra la piazzetta de' leoni, con un fianco della basilica, più ammirevole degli altri per certi riguardi; poi coIPoc-chio segua la fronte d'essa basilica, e trovi i tre pili di bronzo, squisito lavoro del Leopardo, colle antenne che sostengono gli stendardi festivi; in fila ad essi il gran campanile; a'suoi piedi la Log-gotta, ricca di tanti marmi e bronzi; poi tra gli aerei trafori del marmoreo palazzo ducale da un lato, dall'altro lo eleganti masse della li-Uluslruz. del L V. Vol 11. Ti 55 Candelabro di Andrea d'Alessandro bresciano. LEALTÀ' STOHICA 171 brcria e della zecca , contempli la teatrale Piazzetta, lunga 97 metri e larga da 41 a 48, e dietro alle due colonne del leone e di san Teodoro (Marco e Todoro), la laguna solcata da mille gondole, colla dogana di mare, e Pisola di San Giorgio, e via via le minori, schierate quasi a corteo, esclama: c Venezia, e non altro che Venezia: tutto v'ò bello, tutto grande, tutto stupendo ». Chi invece sia portato laggiù negli angustissimi calli e nei fetidi chiassuoli di Canarcggio e di Santa Marta, fra casipole affollale, senza luce, senz1 aria, senza pulizia, con pescatori e operaj sucidi, pezzenti, accattoni , scioperati, esclama: « Trista Venezia, inoperosa, miserabile, pitocca ». Cosi avviene nella storia, e in generale ne'giudizj umani, quando si voglia un lato solo considerare. E fu fatto, e si fa tuttodì con Venezia. Dapprima non era colpa che non le venisse inflitta da coloro che Paveano assassinata; dappoi la blandirono di lodi intemperanti per compiangerla : e cessate anche le ragioni vivaci e personali, un coro continuò a dire : « Venezia era immorale, dovea dunque cadere »; un altro oppose: «Venezia era il capolavoro della sapienza politica, e perciò non potea perire che di tradimento ». E da questo tema trassero villane variazioni, e se le buttarono a vicenda in faccia, e chi n'andò guasta fu la verità, la quale ha bisogno di essere cercata con sincerità, e per lo più si trova nel mezzo. Non abbiamo alla mano i recenti stereoscopj, dove la visione binoculare è necessaria per iscorgere il rilievo degli oggetti? Pensando sia dovere il dire Pingrata verità anche ai più insofferenti, sebben di udirla non abbia diritto chi si ponga al di sotto d' ogni critica colla inurbanità delle forme e la slealtà de'propositi, un prudente si collocò in mezzo ai battaglianti, e disse: » Anziché accapigliarci come Ni-eolotli e Castellani, uniamoci alla indagine del vero, all' attuazione del buono, alla vaghezza del bello; non adulatori, non detrattori, seguiamo traverso ai secoli i fenomeni della coscienza, misurando alle età della specie i passi che verso il fine supremo fa Puomo di cui essa è immagine : per via repulsiamo Perrore con tutta l'energia che permette la creanza; reprimiamo la passione senza soffogar il sentimento; e così soltanto potremo raggiungere Io scopo dello storico, ch'è la coscienziosa ricerca e Pintrepida esposizione della verità; render persuasi i lettori che, se anche c'inganniamo, non tendiamo a ingannare; ed oltre far amare, e, che più importa, far conoscere il nostro paese, coopereremo a quel ch'è primo dovere degli scriventi allorché Io spirito di partito sgangherò la coscienza e abolì la sincerità; voglio dire ridestar il buon senso, restituire il coraggio della propria opinione in faccia ai tranelli de' ciurmadori e alla intolleranza dei tirannelli, e render profondo ed efficace il sentimento del giusto e del vero ». A chi cosi diceva, lanciaronsi sassate da tutti due i cori; ma egli ricordandosi del proverbio, La parola no la xe mal dita co no la xe mal intesa , prosegui, persuaso che in ogni tempo si dova e si possa dir la verità, ed altrettanto persuaso che non la riconoscono i passionati illusi e i sofisti ingannatori; lasciando questi calunniare e corbellare, e accompagnando con mesta riverenza il deperire della « più longeva figlia del senno umano ». Dopo la pace di Passarovitz, Venezia possedeva il dogato, cioè le lagune e i contorni ; in terraferma le provinole di Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, Crema ; il Polesine di Rovigo e la Marca Trevisana con Feltre, Belluno, il Cadore; al nord del suo golfo il Friuli, a levante l'Istria e la Dalmazia colle isole attinenti ; perduta la Morea, conservava nell'Albania il territorio di Cattaro, Butrinto, Parga, Preveša, Vonizza ; nel mare Jonico le isole di Corfù e Paxò, Santa Maura, Ce-falonìa, Teachi, Zante, Asso, le Strofadi e Cerigo : contando nel 1722 quattro milioni e mezzo di anime. Sempre oggetto delle meraviglie e delle favole de' viaggiatori, il Do Brosse vi ammirava l'illuminazione dei tre ordini delle Procuratic, in cui la notte di Natale consumavasi più cera che in un anno in tutta Italia; poco s'invitano a pranzo i forestieri, die' egli ; le famiglie tengonsi unite di mensa e di beni; i giovani studiano, poi a venticinque anni mettonsi ne' pubblici affari; l'accettare gl'impieghi è obbligo, ma uno può sottrar-sene col farsi abbate; le modo francesi vi penetrano a stento: i Veneziani sono sobrj, bevono poco vino, vanno a romper l'aria in terraferma, dove in magnifiche ville ricevono molte persone e bene, e dove radunansi ogni giorno al caffè. In questi, come ai casini, vanno anche le signore, allo quali il cavalier servente è necessario per dar la mano all'uscire e all'entrare in gondola. Era in fatti il tempo che, cessato di guadagnare, sottentrava la cupidità di godere, all'amor del lavoro gli ozj fastosi, e quel vivere molle e spen-sanfe, che parve l'aspirazione del secolo scorso. Rimase in proverbio la voluttuosa suntuosità de' patrizj. Da Mestre fina Treviso, il Torraglio era sparso di ville signorili; tra una continuità di queste serpeggiava il Brenta, dove primeggiavano quella de' Foscarini alla Malcontenta, architettata da Palladio, dipinta da Paolo Veronese e dallo Zelotti; quella d'Angelo Qui-rini ad Altichiero, affollata d'ogni sorta anticaglie e preziosità, raccolto ne'suoi viaggi, illustrate dallo Zoega, dal Morelli, dalla Rosenberg; quella dei Pesaro alla Mira, ove il Ticpolo storiò il ricevimento ivi fatto a Enrico III di Francia; e l'altra a Stra, disegnata dal Frigimclica, dipinta da esso Ticpolo, da Fabio Canaio, da Jacopo Guaranà, con magnifiche balaustrate di Giuseppe Cesa e Pietro Danieletti padovani, e stanze LUSSO. CORRUTTELA 173 sfavillanti di rarità cinesi, turche, persiane e di quadri e statue, con camere distinte per la musica, pel giuoco, per lo studio, per la pittura. Faceasi gara nelle fabbriche, ne1 numerosi cavalli, nel lauto spendio, non limitato qui dallo leggi suntuario della città; una l'olla di parassiti, venduta l'anima e lo spirilo per lauti bocconi, ricambiavano con celie continue e maligni aneddoti. L'asse domestico affidavasi ad agenti scaltriti , che sapeano deviare alla borsa propria i denari del padrone; l'educazione de' figli ad ahbatucoli, che gli allevavano a credere l'onnipotenza del denaro e il delitto della povertà. Nella dominante, la corruttela trovava seduzioni nella gondola e nella maschera. Questa, cioè tabarro o bauta, cappello a due punte, e mezzo viso nero, permetteasi dal 5 ottobre al 10 dicembre, poi da santo Ste- fano a tutto il carnevale, in oltre al giorno di san Marco, alla quindena dell'Ascensione, alla creazione del doge e ai solenni suoi banchetti, e in feste straordinarie. Allora il patrizio polea deporre la toga e la parrucca, e colla maschera al viso o nel cappello girare pertutto, e sin favellare coi ministri esteri in piazza, ne'casini, al teatro. Alcuni monasteri riservati a donne ricche e nobili ( in San Sepolcro erano professate cinque di casa Giovanelli) e dove in una vestizione spendeasi fin 20,000 Illustraz. del L. V. Voi. If. 23 scudi, erano centro di brogli, di spassi, d'amori ; ne' parlatorj buffoneggiavano pantaloni e pagliacci, o ballavansi minuetti signorili e popolari l'urlane. Le meretrici erano un commercio infame di Venezia: bambine venivano regolarmente vendute o accaparrate dai genitori, perchè restassero allevate nelle arti del piacere, fin all'ora che il fiore ne fosse còlto da ricchi pagatori, che ben presto le abbandonavano alla venere vaga. Alcune erano mantenute, e chi non fosse abbastanza denaroso per ciò, as-sociavasi con altri ; spesso il millennario patrizio col bottegajo rincalzato, o il giovane balioso col vecchio smidollato. La necessità di intervenire anche più volte nella giornata al palazzo ducale, indusse i patrizj, che abitavano lontano, a procacciarsi casini presso San Marco, camerette di disimpegno, che ben presto divennero palestre di eleganza e di voluttà. Dietro le Procurale stavano i più, messi con ogni squisitezza di lusso, e i nobilomini, disertando dalle famiglie, vi si ritiravano a ricever gli amici, a far pranzi e festini: ed anche a nascondersi giorni e settimane come neh" isola d'Alcina, fra i solletichi del lusso e i fascini meretricj; poi delle avventure l'accasi pompa, e d'aver a braccio la mantenuta, e suscitare clamorose gelosie. Così scomponeasi il primo elemento della civile moralità, la famiglia ; le donne abbandonate se ne ri-faceano colla protezione della baula ; laonde, a tacere i patrimoni' scialacquati, dal 1782 al 00 si sporsero al consiglio dei Dieci 264 petizioni per scioglimento di matrimoni, ed ebbero corso. Una volta esso consiglio sbandi ma tosto dovette richiamare le nostre benemerite meretrici, perchè le costoro case o il parlatorio erano i soli campi franchi, dove non davasi ombra al governo, perchè vi manteneva spie. Quando oneste malrone osarono affrontar le dicerie, e aprire convegno di persone oneste a onesti trattenimenti , operavano una di quelle rivoluzioni di cui non si suole valutare nè gli effetti , nè il coraggio. Oltre i casini privati, ve n'avea di pubblici, simili ai clubs inglesi, dove Ì Veneziani che non volessero la spesa e il tedio di ricever in casa, stabilivano quasi il domicilio, vi tornavano più volte, vi passavano la serata, anzi la notte; vi ammetteano i forestieri presentati, e in quel conversare acquistavano la facile parola e le cortesie, che sempre furono rare nel resto d'Italia. Palestra d'immoralità era il ridotto, ove, a sessanta o settanta tavolieri il giuoco frenetico spostava le fortune : il presederli era privilegio de' nobili, che, stipendiati dalle compagnie, vi stavano in parrucca e toga da magistrato, fra gente tutta mascherata ; ambascia-dori e ministri venivano a cercarvi le alternative d'opime illusioni e di angoscio disperate. Vi accorrevano i bari di tutto il mondo per truffare: molti non viveano che di quella professione : sbanditi, cambiavano paese e nome, e proseguivano, e tornavano, usufrutlando le stolide speranze. CASINI. GIUOCO. I DIECI 175 (// Ridotto.) La legge del 1539 proibiva severamente dadi e carte,"pena^afnobile una multa e di restare escluso d1 ogni officio per due anni, ed al non nobile il carcere per un anno, e il bando per quello nella cui casa si tenesse giuoco. Proibizione ripetuta spesso, c sempre con aumento di sanzione. Nel 1774 i correttori della promissione ducale fecero chiudere il ridotto « come sorgente perniciosa di mali alla repubblica e allo Stato », ma i giocatori sparsero quella contaminazione in centina,]"» di privati casini, più rovinosi perchè non sorvegliali. Era proverbio * La mattina una messelta, Tapodisnar una bassetta, e la sera una donneila ». Il cupo gonio di quei Dieci, che incutevano spavento ai forestieri, e che porsero tanti foschi colori [ai romanzanti, riducevasi ad un abjetlo spionaggio sulle ciaccok del paese, e a dare qualche regola al mal costume. Il canal Orlano più non riceveva il tributo infausto d'ignoti cadaveri; i Pozzi rimaneano vuoti: i Piombi additavansi a chi era curioso di sapere in che modo il Casanova fosse potuto fuggirne : le bocche de1 leoni erano aperte non a denunzie di Stato, ma a rivelazioni della cronaca scandalosa, su cui ridere doveano i non più arcigni inquisitori. Una volta v'è accusato un patrizio, che, destinato ambasciatore, già da un mese ritarda la partenza, trattenuto da un'Armida. Ecco la mattina gli si presenta il terribile fante del zecchin d'oro; fra lo sgomento de'servi penetra fin nella camera, e « Udito che oggi vostra eccellenza parte per la sua ambasciata, mi son « voluto procurar il piacere di augurarle buon viaggio », e si ritira, ed è capito. Altre volte , quando un forestiero di recapito desse ombra, gli mandavano dire: « Eccellenza, l'aria de Venezia la xe cattiva ». Pure anche allora si raccontavano paurosi fatti. Il principe di Craon lagnossi pubblicamente d' essere stato derubato : ma quando partiva, a mezzo la laguna il raggiunge la gondola degli inquisitori di Stato, e gli mostra il cadavere del servo ladro, con in mano la borsa contenente il denaro. Fermato fu pure Montesquieu nella sua partenza, forse perchè avesse dato sospetto il suo vederlo osservar molto e notare tutto; ond' egli sbigottito buttò in laguna le sue scritture, e di Venezia parlò di volo nello Spirito delle leggi. Anzi quel tribunale voleva mantener la riputazione dì fare più che non fesse, e Kosciuszko, il difensor della Polonia, vide una mattina tre impiccati in Piazzetta col cartello di cospiratori, ma fu assicurato ch'erano tre cadaveri tolti all'ospedale, e impesi per isgomentar il popolo. Avendo Giovan Mocenigo in teatro sparato due pistole contro due fratelli nemici, benché questi gli avessero concesso perdono, ed egli discendesse da famiglia di quattro dogi e di tanti eroi, e imparentalo eoll'altre principali, e avesse 22 anni, gli fu lanciala una condanna spaventosa;mdecaduto dalla nobiltà ; bandito, e se fosse còlto sarebbe immediatamente appiccato fra le colonne ; 2000 ducati a chi lo consegnasse vivo o morto entro i confini veneti, e 4000 se fuori, e la liberazione d'un prigioniero o bandito reo di morte ; i beni passati e presenti del Mocenigo, fosser puro feudi o fedecommessi, erano confiscati, e cassi i contratti fatti sei mesi avanti la sentenza : a qualunque luogo si accostasse, si sonasse a martello, e fosse preso, altrimenti i funzionari sarieno condannati sulle galere : nessun nobile o suddito, sebben parente, potesse parlare o corrispondere con lui, pena la confisca e dieci anni di galera: esso non po-trebb'essere graziato mai, neppure per grandi servigi, o per rivelazioni, o perchè consegnasse qualche peggior reo, riè per intercessione di sovrani stranieri : anzi il parlare in suo favore o intercedere, portava 2000 ducati d'ammenda. Clamorose vanità 1 Continuavano le solite feste per venule di principi, e per le commemorazioni nazionali, e per le frequenti nomine de'magistrati (Vedi pag. 85); e splendidissimamente fu accollo in tutto lo Stato Pio VI nel suo pel- DEPRAVAZIONE 177 legrinaggio a Vienna; e molte iscrizioni ricordano i luoghi dove stette o celebrò, e la benedizione che diede sul campo allora ampliato di San Giovanni e Paolo. Vero 6 che egli stesso ebbe a dire di scorgervi più curiosità che devozione , e gP inquisitori di Stato disapprovarono le prostrazioni del doge Renier, e l'ammonirono che, in altra evenienza, tenesse modi convenevoli alla dignità conferitagli dal maggior consiglio. Non leggo che tali gelosie siano occorse nelle feste per Federico IV di Danimarca, Gustavo di Svezia, Pietro czar, Giuseppe II. Gran segno di depravato costume è l'esser potuto sorgere a Venezia quel Giacomo Casanova, che abbandonatosi agli istinti d' una natura frivola e sensuale, di sue avventure contaminò il resto d'Europa, e continua a farlo nelle sue Memorie, dove si mostra cavalleresco nelle relazioni, lupo a tavola, satiro nelP intimità, impasto di lascivia e d' amor proprio, trattando le donno tutte come cortigiane, tutti gli uomini come soggetti da spogliare; sempre bisognoso di accidenti, di bindolerie, di brutalità, incredulo eppure superstizioso, superbo perchè sentivasi nulla ; sbolzonato dalle corti ai postriboli; sicché l'Aretino è un novizio a petto a lui: mentre, sempre vivo, drammatico, originale, Gilblas noi raggiunge a pezza nel raccontar le sue marachelle, scritte siccome operava, senza pensarvi , e che fortunatamente non si possono prendere per tipo nè del veneziano, nè dell'uomo (1775-1803). Anche il Baffo nel patrio dialetto affrontando le frasi tecniche del bordello, nel brago della lascivia strascinando la devozione, l'onore, la virtù , piantando i simboli osceni nel parlatorio e sugli altari, incoraggiando gl' intrighi e il giuoco, gridando Viva il vizio, negando Dio per surrogare al culto sin « la santa semplicità dell'oro » ; visse fra la gente di recapito, era scritto sul libro d'oro, o otteneva quel rispetto che sovente è ispirato dalla paura. Intanto s'insinuavano le idee de'filosofisti, più pericolose dove l'educazione non rendeva polenti a confutarne l'epigrammatica miscredenza, a riconoscer i pericoli di quel loro volere innovar dalla radice la società secondo certi canoni razionali, ad onta della storia e delle consuetudini. Uno de'primi colpi tentali dallo spirito filosofico fu la soppressione de'Gesuiti, acclamati rei ili quante colpe si possono mai fantasticare, e tutte le Corti si accordarono a domandar al papa che gli abolisse. In Venezia molti libri bersagliavano le pretensioni curiali di Roma e i Gesuiti , ma altrettanti li difendeano ; e per verità ossa doveva a questi bellissime fabbriche, numerosi e fiorenti collegi, e v'apparleneano anche allora insigni uomini, quali il Lorenzi poeta veronese, il Tiraboschi bergamasco, il Roberti bassanesc, lo Zaccaria storico; Luigi Canonici, il Giuliani, il Pellegrini, il Masotti, il Martinelli, PAvesani, il Vio, lo Scardila oratori, i matematici Borgo, Belgrado, Ricali, ed altri assai. Li difese risoluto Carlo Rezzonico veneziano, che essendo vescovo di Padova, rifabbricò il seminario ; e che elevato papa col nome di Clemente XIII (1758), tentò sottrar la santa Sede alla depressione cui la riducevano i principi ; e sebbene questi occupassero Yarj Stati suoi per costringerlo ad abolire i Gesuiti, e1 li colmò di solenni lodi: e nella fiacchezza comune lasciatemi ammirare questo mercante, che osa resistere ai re e agli scribac-chianti; e che meritò d'esser onorato dalla più originale scultura di Canova. Men coraggioso il successore Clemente XIV abolì i Gesuiti ; ed anche la repubblica veneta incamerò i costoro beni, per uso di beneficenze e scuole. E già anch'essa aveva cominciato a osteggiar i papi, i quali pure l'aveano con ogni loro possa sostenuta nelle guerre col Turco ; e considerata sempre come antemurale della cristianità '. Avanzo d"una gran potenza sfasciata, il patriarca d'Aquileja stendeva la giurisdizione sul Friuli veneziano e sull'austriaco; sicché erasi preso accordo che verrebbe eletto una volta dalla serenissima, l'altra dall'arciduca; ma Venezia se ne assicurava sempre la nomina procurando che ciascun patriarca si prendesse un coadjutore coll'aspettativa. Maria Teresa, gelosa dei proprj diritti, volle rivendicare questo; e natane disputa, BenedettoXIV proferì (1751) si dividesse quella sede in due arcivescovili ; una a Udine, una a Gorizia. Venezia, chiamandosene lesa, pregò il nunzio a ritirarsi, e minacciò Ancona: poi gettossi ai provedimenti di moda, col determinare il numero de' frati per ciascun convento, riformarne la disciplina ; non avessero relazioni con capi forestieri, ma dipendessero per l'ecclesiastico dal vescovo, pel temporale dal governo: non si mutassero da un convento all'altro ; dovessero denunziare i beni, fe rendite, fin 'e limosine che ricevevano. Da una indagine allora eseguita si chiarì che annualmente, per ricavo di benefìzj ecclesiastici, andavano fuori Stato ducensessantamila franchi all'anno: per pensioni ecclesiastiche, settantadue in settantottomila: ventotto bolle d'istituzione canonica per sedi patriarcali e vescovili in dieci anni erano costate cinque milioni, non contando le spese di viaggi a Roma; le bolle di badie e priorati, franchi cinquantamila in dieci anni; centodieci bolle per pensioni accordate, franchi seltantotlomila ottocento; dncen-venticinque bolle per chiese parrocchiali, franchi centrentamila ; cenven-tisette per canonicati, franchi ottantamila; per quarantacinque collazioni di benefìzj semplici, franchi dodicimila seicento: nel 1768 arrivarono da Roma mille centotrenta rescritti, indulgenze, privilegi di altari, dispense por ordinazioni, diplomi di conte ecc., dell' importare di franchi quaran- 1 H Daru, enciclopedista e imperialista, pone fra le cause del corrotto spirito pubblico e quindi della caduta della repubblica, i provvedimenti sopra istituti ecclesiastici, tatti dal solo potere civile. RESTRIZIONI ECCLESIASTICHE t79 taquattromila cinquecento: inoltro cinqueccntottantanove dispense di matrimoni, valenti circa un milione. La Signoria proibì di mandare denari a Roma; restrinse la facoltà di lasciare alle manimorte; impose taglie sui beni ecclesiastici, senza licenza di Roma; escluse la bolla In coma Domini; tolse al papa la collazione dei canonicati e benelìzj in cura d'anime; nessuno si vestisse chierico prima dei ventun anni, né si professasse prima dei venticinque ; niuna bolla valesse se non autorata dalla Signoria, nò veruna dispensa se non data dal patriarca. Clemente XIV, credendone progiudicate le ragioni della Chiesa, ammonì il senato colla mansuetudine che i tempi imponevano; ma esso rispose con alterigia, ed avvocò a se le cause ecclesiastiche. Chi vuol battere la Chiesa suole dar soddisfazione alla morale con provedimenti esagerati in fatto di costumi. E allora appunto, quasi rimedio alla baldanzosa scostumatezza, si chiusero i caffè e i casini, si rinnovarono le prammatiche contro il lusso, s' interdissero i libri empj; ma la moda ruppe quegli argini ; la pubblicità de' giuochi e delle meretrici tornò; alle feste si sfoggiò un lusso mai più veduto, e i teatri superarono in magnilicenza quelli di tutto il mondo. Chiuder i monasteri e riaprir bische e lupanari uon parve il più filosofico procedimento ad alcuni, che misero fuori l'epigramma, Destructis templis, Insorta teda resurgunt : Fortuna) et Veneris sunl hwc communia tempia. Il Labia tolse la poesia vernacola dal consueto uffizio di fomentare le vul-gan passioni e i malevoli istinti, e « se un poeta che cantò solo per. iscan- * dolezzare coli' oscenità e l'irreligione, era lodato da tutti, e nessuno * zittì contro di lui, perchè lutti gridano contro di me, mosso da pa-« tria, religione e Dio? » E ai senatori gravemente occupantisi, come i re, di vessare monaci od emanar regolamenti sulle messe e sulle fraterie, « Eh via (diceva), prendete piuttosto cura di questa libertà, di questo « lusso, delle truppe, dell'arsenale, della mercatanzia, così abbandonate. « Una volta si era ricchi, con palazzi e botteghe piene; ora ciò sparvo, ma « ci vantiamo d' esser guariti dai pregiudizj. Questi spiriti forti dichia-« rano corbellerie i miracoli c birberie di frati; e che basta creder in « Dio, se pure, giacché neppur Lui abbiam visto; così la pensano, e poi « vogliono sostener l'onore della moglie e della madre, incerti dei figli « e del padre. Vero cittadino repubblicano son io, che solo la mia patria « ho in vista; e come tale, vi provo che in politica non si dà di peggio che « scemar la fede nel popolo. Provedere alle pompe, chiuder i caffè, altre « correzioni particolari sono follie, mentre si vorrebbe eleggere buoni ma- * gislrati, che no.» dirazzassero dai primieri; impedire questa depravazione * delle donne, impedire l'infezione dei libri ». E diresse un'arringa in versi al senato, per mostrare che cotesto abolizioni di Irati repugnavano alla ragion di Stato, alle leggi costituzionali, all' arti, al commercio *. Pensate se le Procuratie e il ridotto fecero scene contro il codino, contro il santocchio ! Alle idee sovversive non mancava chi facesse guerra: e Antonio Gandini, vescovo di Crema, al predicato diritto naturale oppose le Venia di teologia naturale e le Verità cattoliche; il conte Giovanni De Cattaneo colla Ura-nide confutava atei e machiavellisti, Voltaire e Montesquieu; Troilo Ma-fi) Le se prova clic de dar un'oehiada In prima allorno questa dominante Da sto progelo meza sflgurada. Le zira per un poco tute quante Le contrade, e le cerca ogni sestier, I canali, le cale, e tante e tante Strade dove sia chiesa o monastier, E le diga se alcune ghc ne resta Imune, salva, illesa da veder... Le prego accompagiiarme sin al Lido Dove me par che su la spiagia un grido Tuto a l'intorno assordi e cielo e mar De zente priva de socorso e nido-Questa, le su la poi imagiuar, Questa xe quela lai popolazion Che ogni dì se soleva alimentar Da una nobile insigne roligion, Che a setecenlo e più de quel dislreto, Mossa da religiosa compassion, La ghe somministrava, oltre et paneto, m La carne, ci riso, el sai, ci vin, la legna, L'ogio, i medicinali, el soldo, e'1 leto, E a compimento d'opera si degna, A tanti e tanti l'abito, e 'I mantelo... San Nicolò de Lido, monastier Cussi famoso un tempo e cussi antigo, Convertido le 'I vede in un quartier... Eh via, tiolè per man con più rason Sta libertà, sto lusso, sle angarie, Ste trupe, sto arsenal, stc mercanzie, Che pur troppo le xe in desolation... Con manco scienza ma con più cervelo Alora oh se pareva assai più boni Tutti mercanti gera in marzarìa De lane, d'ori, arzenti, merli e sede, La città tutta rica e ben fornìa. Ancuo sle cosse più non le se vede È vero, ma la testa xc guarla De tutti i pregiudizi de la fede... Ma sto metter la man in sacrestia E T resto lassar correr sin che 'I va No so da dove el vegna e cossa el sia. FRAMASSONL LA NOBILTÀ» 181 lipiero stendea quattro Notti in versi contro Rousseau. Deplorando i guasti dell1Enciclopedia francese, l'aitate Zorzi ideò un'Enciclopedia italiana, secondo un albero differente da quello del D'Alembert, e mandò fuori il programma con duo articoli di capitale importanza, sulla libertà e sul peccato originale: ma poco dopo moriva a trentadue anni, e con) lui il suo divisamente. Chi resistesse alla piena doveva aver il coraggio d' attendersi insulti ed epigrammi dai despoti dell'opinione, pronti invece ad inneggiare chi andava colla corrente. E i concetti avversi alla fede e alla società erano propagati principalmente dalle società de'Franchimuralori, invenzione inglese, propagatesi in Francia e di là in Italia, benché scomunicato dal papa e perseguitate dai principi dopo che le conobbero dirette non alla beneficenza, e all'allegria come in apparenza, ma a sovvoltarc l'ordine sociale. A Venezia pare le impiantasse un Sessa napoletano; e vi si affigliarono conti, abbati, negozianti, massimamente gioventù, che se ne trovava giovata nel viaggiare in paesi forestieri. Gli inquisitori ne vennero a conoscenza per un rotolo di carte, dicesi, da un Girolamo Zulian dimenticalo in gondola. Subito invasa la loggia presso San Simeon Grande, se ne asporta quel mistico e burlesco corredo di teschi, di pentagoni, di compassi, di tamburi, di cazzuole, di grembiuli, e son bruciati al cospetto del popolo, che li crede stregherie; ma non s'inllisse castigo agli aggregati, potenti troppo e numerosi; e ben presto nuove loggie furono surrogate. Le idee dell'universale egualità ivi professate doveano render esosa un'oligarchia, che, per conservarsi teneva chiuso il libro d'oro, mentre nobili nuovi vi avrebbero introdotto altre capacità, giovinezza operosa, idee più franche. E vaglia il vero, noi veneriamo la libertà dovunque un lampo ce n'appaja, e comprendiamo donde traggano gli astj coloro che, in senso diametralmente opposto, piacionsi a calunniare Venezia o ad insultarla ; ma inverte I' ordine della libertà chi la riduco monopolio di pochi sovra la moltitudine, concentrando lo Stato in una città, e la città in poche famiglie. Anziché creder unica forza sua la debolezza degli obbedienti, un governo ha l'obbligo di sviluppare gli elomenti vivificanti della società, e rimovere i deleterie! ; che se la libertà illimitata lascia che i cattivi germi crescano insieme coi migliori, l'incatenata isterilisce anche i buoni. Nel 4775 il libro d'oro fu riaperto per 20 anni a famiglie anche di terraferma che godessero un'entrata di 10 mila ducati e nobiltà di quattro generazioni, ma sei sole concorsero, nò col diploma si dà la tradizione dell'amor patrio e della grandigia. Invece la classe dei Barnabotti, cioè nobili poveri che sono pericolosissimi in libero Stato, brogliava, sollecitava, biscazzava, scroccava, strisciando avanti ai ricchi per isbraveggiare i poveri: carichi di debiti e di superbia, insultavano ai creditori come a villani, Illustra:, del /,. V. Vol. II. M Ifl* STORIA DI VENEZIA 6 li costringevano a lunghi processi, donde sguizzavano all'appoggio di altri nobili: le mogli di essi contavano fra i loro privilegi il poter mendicare in zendado. Se filosofi e framassoni dicessero a' cosiffatti che era un'ingiustizia il non pareggiarli agli altri nobili,oche, per diritto naturale,do-\eano a lutti esser comuni gì" impieghi e gli onori, erano ascoltati come chi Oggi vanta al povero il diritto di a\er nutrimento, o di divider le ricche//.e ilei dovizioso. Pertanto costoro ordirono di sovvertir la repubblica, uccidere il doge Paolo Renier, la Signoria c gli affezionati al governo; ci si vide, al solito, foro austriaco, e che avesser intesa coll'imporatoro, il quale darebbe diecimila soldati purché essi gli ned ossero la Dalmazia. <;i' inquisitori di Stato scopersero dove Giorgio Pisani teneva il piano della congiura, e un pitocco potè carpirglielo senza ch'egli se n'avvedesse. Il Pisani si presenta candidato alla dignità di procuratore di San Marco; e riuscito per appoggio dei Barnabotti, fa la solenne entrata, ma al domani è arrestato e chiuso in fortezza, e cosi Carlo Contarmi, Pier Alvise Diedo, Matteo Dandolo: e il popolo gongola di non esser cullilo in man de'nobili poveri, che ai vizj degli altri avrebbero unito l'avidità, .stimolata dal lungo digiuno. Primeggiava tra i Franohiniuratori Angelo Quirini, che nei viaggi averi conosciuto i lilosofisti svizzeri e francesi, riverito a Fermo, Voltaire, a Colmar Corrado Pfelfel, loro patriarchi: teneva sulle dita i libri del maggior consiglio e la legislazione arcana, e divenuto avogador del Comune * mi 1701, usò ogni [»rova per mozzare la potenza dei Dieci. Ma gl'inquisitori Io fanno arrestare e tradurre in terraferma. Si esclamò alf attentato e, siccome solcasi alla morto del doge e in gravi urgenze, si adunarono i cinque correttori delle leggi, che proponevano riforme, su cui il maggior consiglio risolveva prima di nominar il principe. Quelle spaventoso tribunale dei Dieci poteva esser distrutto da oggi in domani, bastando che nessuno ottenesse voti sufficienti per entrarvi; e cosi avvenne allora in ben quattro votazioni. Ad alcuni però de*correttori ne spiaerva: e .Marco Foscarini, insigne per letteratura e ambascerie, e per la franchezza con cui palrocinò la Dalmazia conlro lo sciagurato governo che se ne faceva, proferi un'arringa, ch'ò delle più eloquenti fra le politiche, mostrando ch'era esagerato il concetto della fierezza di quel tribunale; giovar che le denunzie sieno scerete, altrimenti per paura non si farebbero; mentre l'oscurità de'giudizj pareggia ogni esterna accidentale differenza della nobiltà, ed anche i patrizj più altamente locali sottopone al- 2 Questi magistrati inconvnno i processi criminali, ficcano pubblica lettura delle leggi anUrhe, e custodivano il libro d'oro, quello cioè dove erano registrate le nascile de' figli legittimi di nobili e i loro matrimonj. ATTACCHI ALL'ARISTOCRAZIA 183 l'eguale giustizia; ogni cambiamento nel governo tendere alla sua distruzione; le soddisfazioni concesse all'imperita moltitudine aprirebber la via a nuove pretensioni; e ne sarebbe avvilita in faccia ai principi l'opinion del governo, c minacciata la città di corruttele sconosciute ai maggiori. « Molte disuguaglianze, el savcmo tutti, passa fra i nobili. I somi uf-« lizj o lo dignità, lo maggiori aderenze o minori, le fortune domestiche, « e l'istesso favor dei animi gode più o meno introduzione de notabili di-« fcrenzo fra i omeni de rcpublica; ma nessuna de queste fa ingiuria a « la sostanziai parte che corre fra loro; parità coetana a la nascita, c che « forma la base d'ogni governo aristocratico, la qual \e posta no l'uniforme « libertà, ne l'indistinta sogezion a le leggi, e no l'aver comuni i pericoli, » e comuni pur anche i riti e la contigenza dei giudizj. Se un patrizio, « apena venudo in major consegio, se fosse avicinà a mi stamattina, e « m'avesse dito: Sior procuralor, ella che sa lauto ben le cosse de la pa-« tria, la prego a sincerarmi se, come citladin de republica, la mia condì-« zion xt> pari o no a la soa, son certo che avria risposto, stupirme assae * de la so mala educazion, e che l'ignorasse le verità più necessarie a sa-« verse da omo libero: dopo de che, Nessuna differenza (prenderia adir) * corre fra la soa e la mia persona, mentre eia poi eceder per virtù dal « grado mio, e mi all'incontro posso decadere per colpa. Ma quando sto « medesimo citadin, ascolta che sia la parte dei do coretori, me rinovasse « la ricerca, doveravo alora pianzendo ritratarmo, e po amoniiio frater- * riamente per ci so mogio a sfugir, de qua in avanti, ogn'incontro coi ci- * ladini esenti. Le vede che no parlo per mi. Sostento la parità do la « censura, vai a dir l'uguaglianza de la vita civil, messa in pericolo do-« piamente, e per l'animo vario nei delatori, secondo la varia condizion « dei omeni sogeti a l'acusa, e per Pimunità del giudizio somario, espres-« samente concessa a le dignità più sublimi ; e però me sento inorridir * nel figurarme che sti momenti estremi del mio parlar possa esser i ul-« timi ancora de la comun libertà ; mentre, guastada la civil uguaglianza « nei Stati liberi, poco avanza per discioglier le restanti compagini de la « republica. In logo de un sol tribunal antico , anuo , temperato, le se « aspcti de sofrirne molti ad un tempo, e privati e licenziosi e perpetui. « Regna qua drento l'uguaglianza del privato costume, perchè avemo trova ■ maniere de tener viva l'uguaglianza de la censura; ma introdotti che « sia novi sistemi ne la cita, no sentiremo più alcun straniero a far ma-« ravegia de le costituzion veneziane ». Anche quando Alvise Emo sorse a concionare per la conservazione di quel tribunale, gli avversari cominciarono uno scalpiccio, un bisbiglio, e sorrisi, e P altre arti di chi non ha migliori ragioni ; ma egli imperterrito proruppe: « A mi ve indiferente el parlar o el desccnder de sta t bigonza, ma ben me maravegio de eie, che, nel zorno che le xe qua chia-« mae per stabilir i fondamenti de la libertà de la patria, le vogia fiscar « la facoltà de parlar a un citadin che no cerca onori, che no cura le i lodi, che disprezza i biasimi, e che passeggia sora tutte ste inezie ». La proposizione per allora venne messa da banda, fra immensi applausi del maggior consiglio e della popolaglia, che volea bruciar le case dello Zeno e del Malipiero oppositori, mentre facea falò a quella del Foscarini : ma nel 1770 fu riprodotta da Domenico Contarmi, barnaboto che coli' avocheria s' era acquistato denaro e nome ; e che tratteggiò al vivo la corruttela de'costumi, il caro de'viveri, gli abusi degli uffiziali, che pieni di miseria e di fame, non servono e mangiano ; e scarsamente provisti, pure vivono da gran signori. Molti anni si protrasse il dibattimento, e ne provennero scissure. Paolo Renici-, salito doge, contrariò di tutta forza ai novatori coi quali aveva intrigato nel 1702, e diceva: « Le eccellenze vostre vogliono il ben ap-c parente o il ben reale ? Se il reale, non v' è bisogno di correzione : « basta che lo vogliano e l'hanno. Il loro ben reale ò di curar la re-« pubblica , è la concordia degli animi, è il sospirar tutti d'accordo al « decoro, alla grandezza, alla gloria della nostra patria . . . Noi che ab-« biamo servito e dentro e fuori, sappiamo che i monarchi, per la loro < organizzazione, per la dilfercnza del governo , per la grandezza loro, t per le speranze, per la soggezione dei sudditi, odiano mortalmente « tutte le repubbliche, e muniti di somme forze, hanno coperto di viiì— « pendio le repubbliche, ormai ridotte pochissime in Europa. Le eccel-« lenze vostre fortunatamente, per la felice situazione del Loro Stato, sono « sicure pel sito , ma non Io sono già pel dominio. Oggidì tutti i mo-« narchi stanno oculati sulla repubblica per vedere lo sviluppo di nuove « cose, poiché, se l'ambizione e l'interesse sono passioni potenti in noi, « sono potentissime ne' monarchi, attenti a non perder occasione di dar « loro nuova esca. Da queste nostre combustioni, i sovrani stanno per » formare il loro giudizio. Io mi trovai a Vienna nei tempi torbidi € della Polonia, e là ho sentito più volte a ripetere: I signori Polacchi € non vogliono aver giudizio, vogliono contender fra loro ; V aggiusteremo c no%'} ci divideremo la preda : perchè uno Stato che si governa male \da * si\ chiama gli stranieri a governarlo. Se c'è Slato che abbia bisogno « di concordia siamo noi, che non abbiam forzo terrestri nò marittime, « non alleanze, viviamo a sorte, colla sola idea della prudenza del go-« verno della repubblica veneziana. Questa è la nostra forza ». È lode l'aver preveduto i pericoli: ma è troppo vulgaro il distoglier dalle riforme col mostrarne i possibili eccessi; l'impedire che si correggano gli istituti, colla speranza che si migliorino gli uomini. La proposizione del MIGLIORAMENTI INTRODOTTI 185 Contarmi fu rejetta ; si continuò nel letargo vizioso, e la plebe esaltò agli oppositori: il Contarini fu relegato a Cataro, altri altrove; e i conservatori applaudendo a sè stessi, aspettavano dal turbine quelle mutazioni, che latte a tempo lo avrebbero prevenuto. Pure quel die accennammo basterebbe già a mostrare che Venezia non rimase stazionaria allorché il progresso avventavasi ad una rapidità disordinata. Un paese che eleggeva per dogi Marco Foscarini, Pietro Grimani, Paolo Renier ; per procuradori di San Marco Angelo Emo, Andrea Tron, Lorenzo Morosini; per senatori Alvise Emo, Jacobo Nani', Francesco Fo-scari .... potea dirsi sfruttato o rimbambito ? a chi lo sostenesse, basterebbe citare i Murazzi, gigantesca diga opposta al mare, ausi» romano, cere vsnelo, dal 1744 air 82. La beneficenza, impacciatone l'esercizio nel clero, prese altre vie, e la sola confraternita dei poveri vergognosi di Sant'Antonino somministrava medicinali a tulli i bisognosi della città. E poiché il lato buono del filosofismo d'allora portava la filantropia, cioè la carità senza la fede, tendevasi da ogni parte a svecchiare, e introdur novità utili, sebbene non sempre savie. Nel 1783 fu dichiarata porto franco la città, per imitar ciò che l'Austria avea fatto con Trieste , e il papa con Ancona. Il Goldoni, tornando da' suoi viaggi, rallegravasi nel vedere illuminata Venezia, mentre buje rimanevano le vie delle metropoli da lui visitate. Nel 70 l'architetto Macaruzzi inventò l'edilizio per la fiera, di legno si ben congegnato che in cinque giorni si piantava, in tre si riponeva. Nel 70 il senato fece raccogliere tutte le leggi di massime di i/orerno, cioè di materia feudale dal 1328 innanzi: vera legge nuova fu il codice per la marina mercantile, che si pubblicò neh"88 8: il magistrato delle acque radunava pure tutte le ordinanze relative ai porti e alle lagune : le prime leggi organiche sullo scavo delle miniere son dovute a Venezia (0 marzo 1079 e 18 settembre 1784); e prepararonsi gli statuti civili e criminali che furono presentati al senato nell'89: nel 72 e 73 si moltiplicarono commissioni per varie riforme, delle quali si han le relazioni or di buoni or di grami provedimenti. Per la censura de'libri all'inquisitore ecclesiastico fu accompagnato per conto della Signoria l'erudito Natale Delle La-ste, alla cui connivenza rifuggiva chiunque altrove incontrasse difficoltà. Per Pietro Arduino botanico veronese s'istituì la prima cattedra d'economia rurale in Italia nell'università di Padova (1703), il cui giardino egli provido di tutte le piante utili, insegnando quali opportuno a intro- 3 Gli Stallila navitim del 1253 furono pubblicati solo dal Canciani nel 171)2 sopra UH codice di Andrea Quirino nel vol. I delle Barbarorum teges, poi dal Pardessus [nella Collectùm des lois inaritimes, e testé nei Fonte» Rerum Austriacarum, esprimendo il desiderio che qualche veneziano vi faccia le troppo necessarie interpretazioni e filologiche e storiche. ilursi, e largheggiando di consigli alle società agrarie, allora crescenti nel dominio. Nel Friuli Antonio Zanoni migliorò viti e gelsi, aperse commercio operoso coli'America spagnuola, istituì una Società georgica e una scuola per disegnare stoffe di seta, e dettò con buone idee pratiche; il conte Fabio Asquini tornò in onore le viti del piccoiit, introdusse la patata e la robbia vegetale, e l'uso della torba, e per le febbri l'erba sentonica (artemisia cwrulescens, L.); propose ripari alla devastazione dei boschi, lin d'allora deplorata. Il marchese Manfrin piantò tabacco a Nona in Dalmazia. Il conte Marco Carburi di Cefalonia (1731-1802) quando venne professore di chimica a Padova, non trovò tampoco un'oncia d'alcali puro odi verun acido concentralo, sicché tutto dovette creare; ad invilo della Serenissima viaggiò nel Settentrione per conoscerei metodi metallurgici; inventò il modo migliore di fondere il ferro, e se ne valse pei cannoni con cui Emo bombardò Tunisi, naturalizzò l'indaco, lo zuccaro, il caffè a Cefalonia, dove nel 17G0 s'apriva un'Accademia agrario-economica. Jacobo Nani, oltre il piano per la difesa delle lagune e altre scritturo di guerra, diede impulso a scavare combustibili fossili, e regole alle miniere ; trattò tutte le parti dell'economia, o ne sollecitò le migliori applica/ioni. Lorenzo Selva friulano, nel 1772 dichiarato ottico pubblico con generoso assegno, introdusse i binocoli e migliorò gli occhiali. Le riforme economiche ebbero apostoli, tra i quali fra Giammaria Ortes (1713-90), originale o stravagante come vorrà chiamarsi. Indispettito con t un popolo di studiosi, che fatto uno zibaldon d'economia, di ricchezza, di politica, di letteratura, confondevano e corrompevano le uno colle altre, e in luogo d'insegnare e promovere il possibile e il vero, insegnavano e promovevano l'impossibile e il falso », volle esporre le sue dottrine, che reputava « migliori di tulle quelle degli altri » ; ma comunicarle solo « a que'pochi-che credeva disposti a riceverle ». In fatti de'suoi libri poche copie distribuiva, e pochissimi vi prendeano interesse, massime che rin-volgeasi in formole matematiche e bujo gergo, senza gusto o discernimento nella molteplice erudizione; onde passò non solo inefficace ma ignorato. E notevole per aver cercato di dare alla scienza un'unità, dell' occupazione facendo il principio, da cui move a tutte le particolari analisi delle funzioni civili. Il coltissimo Alvise Zanobi esibì all' accademia di Padova cento zecchini per chi indicasse il mezzo più efficace a ravvivare il veneto commercio, ma la Signoria veneta vi si oppose, perchè non s' addice ad un corpo dipendente dal governo occuparsi in oggetti di pubblica amministrazione, se non invitato da esso. Però Matteo Dandolo, alla traduzione dei Saggi di Hume sul commercio, antepose una lettera sui modi di rifiorir quello di Venezia. LETTERATI 187 Non che le mancasse splendor di lettere, pochi altri paesi pareggiavano Venezia. Volete poeti ? ecco il satirico Antonio de Luca, la Cornelia Barbaro Gritti, amica del Metastasio, del Goldoni, del Frugoni; suo figlio Francesco, che tradusse il Tempio di Guido e la Pulcella, e lasciò apologhi in veneziano; un altro Ermolao Barbaro; il Vitturi e il Chiribiri fecero versi troppo lepidi per preti; Angelo Dalmistro, ammiratore e editore del Gozzi, parve emularne il brio e la correzione : Giuseppe Manzoni scrisse favole che ancora si ristampano : Leonarducci, la cantica della Providenza in modi danteschi: tragedie discrete l'abate Antonio Conti, eccellente matematico: Zaccaria Valaresso nel Rutzvanscad parodiò le tragedie orribili, e singolarmente V Ulisse del Lazzarini: Zaccaria Sceriman fece il Viaggio di Enrico Wanlon ai regni delle scimie, e Francesco Gritti La mia storia, opera narcotica del dottore Pifpuf (1767), romanzi ben superiori a quelli de! Chiari, come delle migliori memorie del secolo furono quelle del Goldoni, Carlo Gozzi, del Gratarol, del Casanova. Voi mi suggerite Francesco Algarotti (1712-G4) che menò vita di trionfi, festeggiato dalle belle e dai filosofi, da Benedetto XIV e da Voltaire il quale lo trovava « non meno amabile nella società che negli scritti »; da Augusto III di Sassonia e da Federico di Prussia, che lo titolava conto e lo voleva compagno ai viaggi e alle orgie: e morendo ancor giovane a Pisa, ebbe un monumento ov' è chiamato emulo d'Ovidio, discepolo di Newton. Di questo in fatti espose meschinamente le teorie per (Algamlti) 188 . STORIA DI VENEZIA uso delle donne; fu poeta, fu mecenate, fu incisore; e scrivea sempre come viveva, in manichini e spada e passi da minuetto, ornandosi di nei e di belletto, anziché de' veri e puri colori della sanità; tra le rifioriture e i rabeschi e le chincagliuccie non mostrando mai vigoria, né tampoco nei viaggi, dove gela con riflessioni insulse e sfoggia di citazioni e fronzoli retorici, invece di rivelare le personali impressioni, ed istruir la sua nazione degli interessi, delle idee, de'costumi dell'altre. Bizzarra famiglia era la Gozzi, poeta Gaspare, poeta il fratello Carlo, poetessa la madre Angela Tiepolo, poetesse le sorelle; talché Gasparo, miglior di tutti (1713-8G), viveva in un « ospedale di poeti » , circondato da angustie domestiche, viepiù cresciute quand'egli « apprese da Tetrarca a innamorarsi,... e s'ammogliò per una geniale astrazione poetica 4 » colla poetessa Bergalli, la quale recogli per unica dote campi d'Arcadia e il nome d'Irminda Partenide, e insegnava a far versi a tre figliuole, ed ajutava il marito a comporre e tradurre N, ma lasciava a capopiedi l'economia. Tutt'altro che allottante era la condizione finanziera de' lettorati d'allora. Due lire o due e mezzo venete compravasi un volume di ducento e più l'accie ; cinque soldi la gazzetta di Gaspare Gozzi, sicché un nulla do-veansi pagare i manoscritti; le traduzioni, tre o quattro lire al foglio; per sei furono tradotti l'Enciclopedia dello Chambers e il Middleton ; per un sonetto la tassa consueta era mezzo filippo ; Carlo Gozzi calcola che, a dodici lire il foglio in-12, un verso era pagato meno d'un punto da ciabattino. Pertanto Gaspare fu costretto abboracciare traduzioni, e Tin porre il proprio nome alle altrui, e cosi svaporare una potenza poetica, che nei Sermoni mostrò somma. Con volto lungo, pallido, "malinconioso, ma aria ingenua, occhi lenti eppur significanti, guardava, rideva, e a questo modo formò VOsservatore, serie d'articoli vivaci, che titillano l'orecchio, ma lasciano l'animo vuoto, né tampoco ritraggono gli ultimi respiri di quella repubblica, dissipandosi in novclluccie e mariolerie generiche e scolorato. Diciamo altrettanto de' moltissimi altri suoi lavori, tutti però in lingua corretta e stile sobrio e a modo: perocché, stomacato dei poeti, che aveano ridotta l'arte a una canna di bronzo applicata ad un mantice sicché facesse gran rumore, egli richiamava alla semplicità. Con altri begli ingegni radunavansi negli orti della Giudecca, e ai loro convegni dato nome d'Accademia de' 4 Memorie di Carlo Gozzi. !> La Ik-rgalli fe le tragedie di Agide , Teba, Elettra; i drammi musicali di Elena, Bradamante; le Avventure dei poeta, commedia; tradusse le commedia di Terenzio; raccolse i componimenti postici delle più illustri rimatrici d'ogni secolo. LETTERATI E MECENATI 189 Granclleschi, faceano componimenti consoni al titolo goffo e alPembefmà osceno, e ad un prete ridicolo, intitolato Arcigranellone, nanerottolo che mettevano sur un seggiolone immenso, che diceangli essere stato del Bembo, e all'estate il servivano di thè bollente, mentre gli altri di sorbetti; nell'inverno di bibite ghiacciate, mentre gli altri di caffè. Fra tali scempiaggini proponeansi di correggere il gonfio gusto, e far guerra al Chiari, al Goldoni, ai versi martelliani, alle afielterie misteriose; e ravvivar l'amore del toscano, della vivacità, della naturalezza. Nò i patrizj dormivano. Girolamo Giustiniani, lodato in magistrature, teneva in casa un' accademia di eloquenza estemporanea. Una per le scienze ecclesiastiche s'apri in San Francesco dello Vigne, e n'era segretario Giacomo Agostino Gradenigo, dappoi vescovo di Ghioggìa e di Ceneda , e scrittore. Quasi un'accademia erano le case della Giustina Michiel (pdf/, (il)) e d'Isabella Albrizzi, alle cui conversazioni i forestieri sollecitavano l'onore di esser presentati. Angelo Querini facea stampare la grammatica di Ferdinando Foretti (1729) che per un pezzo sitino-roggio nelle scuole. Alessandro Pepoli sapea di ludo; lingue antiche e nuove , sonar di fiato e di corde, compor musica, ballare, regger al nuoto, al corso, alla lotta, discorrere abilissimamente in consiglio e celiar in conversazione; scriveva tragedie e commedie e poesie, presedeva ad una tipografia di lusso, o i 20 mila zecchini d'entrata non gli bastavano a gran pezza per vivere scialosamente, e cercarsi una gloria, che avrebbe ottenuta perfezionandosi in un genere solo. Tre fratelli Barbarigo furono tutti frati e buoni letterati. Teodoro Correr con mediocri mezzi procacciò un tesoro d'arti e letteratura patria, che divenne uno de'più preziosi possessi del Comune. Filippo Farsetti, oltre spendere un milione di ducati nella villa di Sala, fece modellar in gesso i capi della scultura antica e. moderna, in sovero e pomice i ruderi di Roma , copiar le pitture di Bafacllo nelle loggic Vaticane e del Carracci nella galleria Farnese , e insieme con bronzi, modelli, schizzi gli espose nel suo palazzo a chiunque volesse profittarne, incoraggiandovi anche con annui promj. Suo cugino Giuseppe Tommaso, cavaliere di Malta, che. scrissi; versi in italiano e meglio in latino, e raccolse una biblioteca che emulava la raccolta del cugino, e che con pari liberalità apriva agli studiosi, invitò i poeti a illustrar ciascuno qualche capo di essa galleria , la quale.da Natale Dello Laste fu descritta in latino, sicché la fama se ne propalò. Questi Farsetti menavan in viaggio il Morelli, come il Trevisano menava Apostolo Zeno; il senatore Zulian incoraggiava il Canova; Fierantonio Serassi dal Volpato faceva incidere la pianta di Padova di Giovanni Valle; e, consuetudine di questi nobilomini, menò seco a Costantinopoli il lllustraz. del L. V. Vol. II. 21» naturalista Forlis, il botanico Cirillo, Io Chevalier che illustrò la pianura di Troja, e raccolse insigni anticaglie fra cui il Giove Egioco, uno dei più vantati cammei antichi, che lasciò alla Marciana con altre preziosità. Il cavaliere Antonio Cappello, procuratore di San Marco, che fu tra gli uomini più opranti e tra gli statisti più avveduti, come mostrano i dispacci che, essendo ultimo ambasciadore in Francia, scrisse nel 1788 alla Serenissima sulla situazione di quel regno, e nel 1790 sui primi atti della rivoluzione, procurò molle belle edizioni, fece eseguire a bassorilievo i l'alti della guerra di Troja dal Canova, al quale innalzò poi una statua nel prato della Valle a Padova, come il sonatore Falier aveagli ottenuto le prime assistenze e commissioni. Francesco Pesaro procurò 1' edizione genuina della storia del Bembo e delle opere del Gozzi. Francesco Fo-scari senatore fe pubblicare grandiose opere, quali il Tesoro delle amichila sacre in trentasei volumi, e la Biblioteca de"* padri antichi greco-latini. E raccolte naturali e artistiche e, librerie possedeva può dirsi ogni casa : il Giovanelli lasciò la sua alla basilica di san Marco ; la sua Gio-van Giustiniani univa alla Marciana, come Pietro Grimani, d'eloquenza ammirata, membro della Società reale di Londra, e doge nel 1741 ; quella di Matteo Pinchi, descritta in sei volumi dal Morelli, fu poi venduta a Londra, come l'altra del medico Paitoni. Il quale Jacobo Morelli fece il catalogo de' manoscritti posseduti dai Nani, e delle slorie d'Italia dai Farsetti; un trattato Della letteratura veneziana nel secolo XVIII, un Saggio sulle pompe nuziali dei Veneziani (1793), uno sulla coltura della poesia fra' Veneziani, ove non nomina il Goldoni; fu un Varrone per dottrina, giovandone chiunque il richiedeva; e introdusse di stampare qualche vecchia scrittura inedita, invece delle scipite raccoìte per nozze e monacazioni. Quando Luigi XVI chiese le Assise di Gerusalemme per trarne copia, il Morelli faticò perchè il senato ottenesse che la copia ne fosse fatta qui, ed egli vi assistette diligentemente. Fin d' allora la-gnavasi che tante preziosità bibliografiche e artistiche si vendessero a Inglesi; palpitava quando Eugenio viceré gli chiedea conto di qualche bell'opera della Marciana, e tripudiò quando nel 1815 l'imperatore di Austria gli disse: c Le ho recati per la biblioteca i codici che ne erano stali rubali °. » (ì Dalla Dissertazione storica intorno alla pubblica libreria di San Marco (1774) di esso Morelli ricaviamo che i libri donati dal Petrarca furono pochi; e deposti in uno stanzino dietro al pronao della basilica tU San Marco, vi giacquero lino al 4739 quando furono messi nella Marciana, e i più pregevoli sono un messale del secolo XII, e una Terapeutica di Galeno, tradotta in latino da Burgundio di Pisa nel 127». Il cardinale Bessarione nel 1468 donava la propria libreria, per comodo de'Greci dimoranti o avveniticci a Venezia; ed erano da 800 codici fra latini e greci, da Jui salvati dall'invasione turca, ag- BIBLIOTECHE. RACCOLTE. ERUDITI 191 Anche il poeta Girolamo Aseanio Molin lasciò alla Marciana molti libri e numismi; e ricca collezione di dipinti e incisioni all'Accademia di belle arti. Si hanno a stampa i cataloghi delle biblioteche Pinelli, Pisani, Svajer, e di molte corporazioni religiose; il cav. Giacomo Nani commise di illustrar la sua per la parte latina e italiana al Morelli, per la greca e copta al Minga-rolli, per la siriaca, persiana, arabica a Simone Assemani ; e le sue monete culiche vennero alla Marciana. Il gesuita Luigi Canonica adunava un medagliere prezioso, una raccolta singolare di crocifissi, e moltissimi libri, fra cui quattrocento edizioni della Bibbia in cinquantadue lingue, che parver gloriosa conquista all' Inghilterra, come la libreria del Barozzi vescovo di Padova. Il senator Andrea Memmo, mecenate del Lodoli, governando Padova vi fece il prato della Valle e l'ospedale. Lorenzo Memmo stampò il Codice feudale della repubblica. Il vescovo Nicolò Antonio Giustiniani' pubblicò molle opere ecclesiastiche; e a Padova alzò un ospedale, e lasciò la sua biblioteca all'università. E ospedale e biblioteca pose a Udine il vescovo Gian Girolamo Gradenigo , autore delle Cure pastorali, della Brma Christiana, e della Letteratura greca in Italia. Pier Antonio Zorzi, vescovo di Ceneda, poi di Udine o cardinale, fu studioso della poesia e dell'eloquenza. Gian Andrea Avoga-dro era stato predicatore lodatissimo, prima d'aver la sede di Verona. Lodovico Flangini, traduttore deWArgonaulica poi cardinale, succedette nel patriarcato di Venezia al pio quanto dotto Giovanclli. Pietro Zagtrri vescovo di Vicenza a quei poveri lasciò il poco che vivo non atea distribuito dell'aver suo , e confutava o Iacea confutare Rousseau nel Piatto per dar regolalo sistema al moderno spirito filosofico. Giacomo Coleti gesuita continuò 1' lllgricum sacrimi del suo confratello Daniele Farlati: Demetrio Coleti proseguì l'opera dell' Ughelli, e l'eco un giuntavi la libreria di S. Nicola d'Otranto. Il tulio fu deposto in casse numerate, presso i provveditori del sale, aprendole sul davanti in modo clic si vedessero, come nelle scansie finché fabbricatasi nel 1846 la famosa libreria dal Sansovino, ivi furono disposti, incatenali come si soleva. Molti concorsero ad aumentarla: poi, per decreti del IfM e 1622, dovea darvisi una copia d'ogni libro che si stampasse nel dominio; più cataloghi ne furono editi; gli erodili forestieri se ne valeano , ma non di rado li disperdevano, oppure le attribuivano ricchezze che non avea; del che tutto il Morelli adduce esempi-Grand'dsO se ne fece, appena introdotta la stampa, per formare migliori le/ioni. Esso Morelli cila tulli i bibliotecarj (così chiamayasi un personaggio che sovrintendeva) e i custodi, che erano quelli che òggi diconsi bioliotecarj. Caduta la repubblica, la biblioteca venne trasferita nel palazzo ducale, e moltissimo accresciuta. Ora possiede 2648 manoscritti latini* 1177 greci, 22." orientali, M stranieri, 3086 italiani; fra cui 12011 son di cose venete: non contando i recenti lasciti del Contarin e del Bossi. Il Vangelo in greco con miniature appartiene all' Vili secolo. Il Breviario Gri-mani, insignemente miniato dall'Hemméling, non la cede per ricchezza e belle/za nep-pur al libro di preghiere dei Brentano di Francoforte. Dizionario storico statistico dell'America meridionale (1772), dove a luogo dimorò, e le Note e sigle delle monete o iscrizioni romane: Nicola Goleti diressi' la ristampa de? Concilj del Labbe, molto arricchendola; e in loro famiglia si fece la più ampia collezione di storie generali e particolari d'Italia. Il librajo Modesto Fenzo dio fuori la Iodata Biblici sacra cum selectissimix lilccnlilais nmuuenlariis. li Mittarelli, oltre far il catalogo della libreria di San Michele a Murano, ajutò il padre Anselmo Gostadoni pur veneziano (1714-S,">) noli'illustrare le cose ecclesiastiche e principalmente l'Ondine de'Cainaldolesi. nel quale egli era abate a Murano, dove viveva allora Mauro Cappellani, divenuto poi Gregorio xvi. La storia ecclesiastica dei paesi veneti fu illustrata con monumenti antichi in 15 volumi (1749) ila Flaminio Correr , patrizio di severa virtù che, essendo dei Dieci e dei Tre, rigorosamente lacca bruciar lo merci proibite, benché spettassero ad amici suoi, ai (piali poi mandava regali per mostrare che il dovere di magistrato non gli diminuiva la benevolenza; lo pene pecuniarie destinava a poveri e a chiese, cui spesso anche lo merci confiscate; zelò il culto, o procurò la riedificazione di molte chiese, e nominata-monte dello facciate di San Rocco e della Carità. Sullo prime, le chiese e le confraternite esitarono a comunicargli i documenti, temendo non so ne valesse a mozzicare i privilegi, dappoi glieli largheggiarono, ed esso ne formò una congerie ricchissima, molli errori correggendo, molti dubbj rischiarando con documenti autentici, preziosi e ben trascritti. Il senato die incarico a don Nicola Delle Lasto di scrivere la storia dell'università di Padova, e poiché egli non tirava nulla a riva, la affidò al conte Francesco Colle. Marco Foscarini, dopo onorevoli missioni fu fatto preside dell'università di Padova, custode della biblioteca, poi procuratore di San Marco infine doge, nella qual dignità visse solo un anno. L'opera della Letteratura veneziana che non compi, ha ricchezza di nuo\i documenti, e critica e stile meglio forbito del correlilo 7. 7 Avendone, il Tarlarotli preparata una recensione , non solo il Foscarini ne fece proibire la stampa dalla Riforma veneta , ina ottenne che Maria Teresa ingiungesse all'alia camera del Tirolo di sospenderla. Nelle sue ambascerie presso/varie Corti, il Foscarini informò della politica , e ne diede assennati ragguagli, fra cui singolarmente curiosa la Storia arcana di Carlo VI, «diretta (dic'egli) a mostrare i disordini nati in quella Corte per essersi introdotto un governo di Spagnuoli, de'quali Cesare, condusse seco un popolo infinito a Vienna, e formò di essi il consiglio d'Italia, soccorrendo i restanti con pensioni ed altre larghezze; quindi le animosità nella Corte fra le due fazioni tedesca e spaglinola, le corruttele, le profusioni, i disordini nell'amministrazione delle finanze ed altri vizj, i quali corruppero in guisa il governo e debilitarono le forze di Casa d'Austria, che, all'aprirsi della guerra del 17."»."! per la morte del re Augusto, la potenza austriaca non sostenne di gran lunga quell'opinione di predominio che ne avevano concepito tutte le Corti, alle quali non erano bastantemente palesi le infezioni chel'aveano logorala all'interno'. ERUDITI. GIORNALISTI 193 Sebastiano Crolla lasciò Memorie storico-civili sul governo della repubblica; la cui storia ulìizialc, dopo l'aspro e incolto Garzoni, fu scritta da Marco Forcarmi, poi da suo figlio Francesco nel 1774, e la illustrarono pure Giannandrea e Gian Benedetto Giovanolli, e più rinomato Viltor Sandi, che dello la Storia curile dalla fondazione di Venezia sino al 1707, con goffo stile ma cognizioni estesissime, e profittevole ai posteriori. Gian Domenico Tiepolo scrisse sugli ufiizj municipali di Chioggia, c più tardi confutava il Daru. Giambattista Galliciolli, testa forte e coscienza retta, instancabile a raccogliere profane e sacre memorie intorno agli usi di Venezia , le lingue orientali parlava come la natia , fece la Fraseologia biblica, un Trattalo dell'a nuca legislazione degli Ebrei, XOrigine dei punti, Pensieri Sopra le settanta settimane di Daniele. Orientalista valentissimo era Carlo Visconti, prete di San Trovaso; e il Labiale dà per uno dei maggiori ellenisti Giambattista Scliioppalba. V abate Toderini informò della letteratura turchesca ; F Agostini della vita ed opere degli scrittori veneziani (1752-54). Francesco Zanetti, per la dissertazione sull'Egitto, avanti i Tolomei, ebbe premio dall'Accademia di Francia, e cosi per quella sugli attributi di Saturno e di Rea; e suo fratello Anton Maria, custode della Marciana, pubblicò il catalogo do'manoscrifti di questa e della pittura veneziana. Il padre Giacomo Maria Paitoni una Biblioteca de* volgarizzatori di greci e latini, ben più ricco doll'ArgoUali; il Canciani raccolse le Leggi delia rba ri ; il Rubbi un Parnaso italiano e uno do1 traduttori, un epistolario, ed altro compilazioni non isprovislo di gusto. Alessandro Zorzi dava nel 1774 il Vero metodo per apprendere facilmente la lingua Ialina, pieno di buono osservazioni : il padre Bergantini lo Voci italiane dì autori approvati dalla Crusca (1745) e le Voci e difficoltà incontrale neW ultimo Vocabolario della Crusca (1758), arsenale di quelli che poi s'arrabattarono in questa litigiosa palestra. Apostolo Zeno lungo tempo stese il Giornale de Letterali, coadjuvato dal fratello Caterino, dal Malici, dal Vallisnieri, da altri; emendò e supplì l'opera del Voss De hìstoricis lalinis , primo ideò la raccolta de'cronisti italiani, che poi dismisi! quando udì occuparsene il Muratori. iS'on vedendosi rosa giustizia dal Fonlanini , cui aveva somministrato materiali, preso a rimorderli quel mordace, con una infinità d'annotazioni e di supplementi convincendolo di presuntuosa vanità. A Venezia molto lavoravasi di tipografia o di fonder caratteri, e son ancora in pregio Io edizioni dei Volpi, dei Cornino, degli Zatla, dei Re-mondini. Qui si stampavano i migliori giornali, siccome la Raccolta a" 0-puscoli del Calogerà e del Mittarelli: il Giornale letterario suddetto; il Nuovo Postiglione dello Zanetti; la Frusta letteraria delBaretli; l'Osservatore del Gozzi ; la Minerva, il Corriere letterario , la Biblioteca modi ina che dava estratti de'libri nuovi; il Giornale de'confini d'Italia; oltre i giornali medici dell'Aglietti e dèh" 0?teschi, e quel di scienze naturali e commercio del dottor Griselini. Il padre Zaccaria, che cento cinque opere stampò, in cui un volume di Aneddoti del medio evo (1755), nella Storia letteraria esaminava le opere uscite ciascun anno, con giudizj piuttosto benevoli, ma non sceveri da consorteria e personalità. Il Fortis nel Giornale enciclopedico e neb Genio letterario faceva critiche amare, talora velate d'encomj, ond'ebbe molti ripicchi, e massimamente da G. B. Mutinelli (77 giornalista, poemetto) che ne morse i costumi e lo tresche colla Ca-miner Turra, eompilatrico anch'essa àeW Europa letteraria, mentre il padre di lei tesseva la Storia dell' Anno, per 30 volumi. Nelle scienze positive il padre Giovanni Crivelli diede elementi di geometria, fisica, aritmetica, e prese parte alla questione dì Leibniz sulle forze vive, come pure il Polleni. Giambattista Nicola trattò della soluzione analitica del caso irreducibile. Lo Zendrini primeggiò fra gl'idraulici. Il Lorgna fece importanti lavori attorno all'Adige; poi nelle piene del 1774 offrì spontaneo i suoi servigi alla Serenissima, e studiò in complesso il sistema idraulico del Veneto; donde cominciarono lunghe discussioni sul sistemare il Brenta e il Bachiglione, lavorandovi Frisi, Xi-menes, Strafico. Giovan Gerolamo Zanichelli modenese, medico-fisico di tutto lo Stato veneto, e che ebbe il privilegio delle pillole di Santa Fosca, raccolse quantità di fossili, e tessè la storia delle piante che nascono ne'dintorni di Venezia. Illustri medici vi fiorivano, il Lotti, il Paitoni, il Pellegrini, il Pezzi, il Cullodrovitz, il Gallino, l'Aglietti. La carriera forense, che tanti allettava per la pubblicità e pei guadagni, die fama al Gallino, afPÀlcaini, allo Stefani, allo Svario, al Santonini, a Carlo Cordellina, che per la reputazione di probo , pratico, eloquente, acquistò ingenti ricchezze, e ne usava accogliendo il fiore de'grandi, de'dotti, do'forestieri; un superbo palazzo alzò a Montecchio maggiore, ove per cinquantanni continuò splendida villeggiatura, un alleo a Vicenza, architettato dal famoso Calderari, dove si ritirò a vivere gli ultimi anni, e di cui fece poi dono a quella città. Toaldo Giuseppe (1719-98) scrisse principalmente di meteorologia, applicandola all'agricoltura; credette grandemente all'influenza della luna lin sul taglio dello unghie e dei capelli, non che sulle variazioni atmosferiche; col che per altro giovò suggerendo le osservazioni astrometeo-rologiche, e cominciandone una serie in Padova, imitate poi in Francia, io Germania, in Olanda. Fra molte sue operette ricorderemo quella del Merito dey Veneziani verso Vastronomia, dove, contro il Bailly che asseriva lo studio del cielo non aver mai fatto grandi progressi nelle repub- SCIENZIATI. ARTISTI 193 bliche perchè richiede grosse spese,sostiene esserne assai benemerite le repubbliche d'Olanda, di Svizzera, d'America, e ira noi quelle di Bologna e Venezia; e Ira i Veneziani nota Giambattista Donato, che nella Letteratura de' Turchi determinò le latitudini di Belgrado , Adrianopoli , Selimbria e di Costantinopoli ove fu balio; ed espone un'antica regola del vavigare de'Veneziani, donde si raccoglie che lino dal 4462 applicavano a ciò la trigonometria, e con pochi numeri di facile ricordo po-tevasi senza carte nè conteggi conoscere il viaggio fatto e la direzione. Fra i naturalisti, oltre Ignazio di Vio, Giuseppe Olivi di Chioggia studiò le conferve e altre produzioni, e fece la Zoologia adriatica molto lodata, ma morì giovanissimo; inesorabile nel ribattere gli errori altrui, ingenuo nel conlessare i proprj. Le arti intisichivano in lezj arcadici, facili fantasie, voluttuosi garbi. Pure il Piazzetta seppe disegnare corretto, invece però delle grandi composizioni attenendosi a teste e mezze figure, dove affetta il nero per ottenere grandi contrasti d'ombra e luce. Il Tiepolo, intrepido macchinista, che mori a Madrid il 1769, allargandosi in vasti dipinti allorché i più sfrivolivano in bagattelle, e ritornando a Paolo invece di capriolare dietro ai Barocci, studiò i modelli all'aperto, non sotto la luce artificiosamente indotta nelle camere. Come Pietro Longhi le scene di costumi con comica verità, ingegno, allegria e talvolta procacità, cosi il Canaletto, sulle rovine romane acquistata mirabile esattezza di prospettiva, diffuse le vedute di questo paese, ed insegnò a usar destramente la camera ottica. Il governo pensionò artefici per conservar i quadri e restaurarli, principio d'un' arte nuova. Nel pastello fu tutta grazia e maestà la Rosalba, che poi morì cieca e mentecatta. Andrea Tirali ben architettava, secondo il gusto d'allora. Pier Antonio Zaguri, discreto poeta, fu non infelice artista, e col Sardi, il Massari, il Comincili, il Visentini, il Rossi, il Gaspari, il Monopola lasciò edifizj, che ritraggono l'esilità del secolo e la mediocrità imitatrice. E potete giudicarli dalle chiese di San Canziano, Santa Maria delle Penitenti, San Biagio, dalla pretensiva facciata che il Fattoretto pose all'Assunta de'Gesuiti; dai Santi Simeone e Giuda, rimpetfo alla strada ferrata, modellata liberamente sul Panteon dallo Scal-furotto (V. la fig. qui dietro), di cui è l'interno della chiesa di San Rocco, seguitata dal Macarucci; dai Gesuati del Massari sulle Zattere, ricca di marmi e con magnifico soffitto del Tiepolo ; sono del Massari stesso Sant'Er-magora e la Pietà; del Bognolo San Tommaso Apostolo, del Boschetti San Barnaba a gran marmi dell'Istria; del Corbellini San Geremia; e fra i palazzi il suntuoso Grassi a San Samuele, lavoro del Massari, come il Gradenigo a San Simeone profeta con ampio orto, il Cornaro della regina a San Cassiano, il cui approdo costò 24 mila ducati. (Sini Simone e Giulio.) Lo scultore Ferrari Torroni sentiva il bello, pur accorgendosi di non saperlo raggiungere; ma quanto procedesse verso il meglio appare dalla differenza che corro tra le statue della facciata de'Gesuiti, e quella dell'Emo all'Arsenale. Anton Maria Zanetti scrisse la storia della pittura veneziana, con franco sentenziare. Tommaso Tcmanza buon idraulico, e la cui Santa Maddalena è dello migliori fabbriche del secolo , oltre le Vile de" celebri architela e scultori veneziani del secolo XVI, illustrò Vitrnvio o le antichità di Ri-mini e di Venezia. Molto lo flagellò Carlo Lòdoli . frale bizzarrissimo di vila e d'ingegno, cinico e provoeaforc, il quale ripudiando ogni autorità per appellarsi alla pura ragione, sentenziava che i grandi architetti MUSICA 197 avesser offeso le basi (T un' arte, cui merito è la comoda e ornata solidità. Criticando al Massari il disegno della chiesa della Pietà, e mostrandogli ch'era contrario alla logica, « Chi mai (s'udì rispondere) pensò a far entrare la logica nell'architettura? » Il Lodoli non sarebbe conosciuto se il patrizio Andrea Memmo, suo scolare, non avesse pubblicato alcuni Apologhi che n'aveva uditi, e gli Elementi dell'architettura lodoliana. L'arte che qui primeggiava era la musica. Passione universale era il canto; « cantano i mercanti spacciando le loro mercatanzie; cantano gli operaj abbandonando il lavoro; cantano i barcajuoli aspettando i loro padroni; il fondo del carattere nella nazione è l'allegria; il fondo del linguaggio veneto è la lepidezza » (Goldoni). Dacché le prime regole ne furono date dal Marchetti di Padova nel 1274, venne coltivata sempre, principalmente per uso di chiesa, e la cappella di San Marco voleva avere i più famosi maestri fiamminghi o spagnuoli. Giuseppe Zarlino di Chioggia passa per ristauratore della musica moderna: Claudio Mon-teverde, maestro ad essa cappella, affinò la madrigalesca, e introdusse la dissonanza, che avviava alla tonalità moderna. Essa cappella fu sempre rinomata per maestri che traeva principalmente di Fiandra, e che, prima ancora che si conoscesse la vera melodia, v' introdussero i cori rispondentisi di numerose voci. Principal merito in ciò ebbe Andrea Villarst di Bruges, chiamato il 1527 a dirigerla, da tutta Europa acclamato gran contrappuntista e insieme compositore originale. Gli succedettero il Menilo, il Rore, e principalmente il veneto Zarlino (- 1599), che coli' Orfeo precorse l'invenzione del dramma musicale, ed oltre comporre egregiamente, scrisse con grande erudizione le Istruzioni armoniche, donde tanto attinser i teorici successivi; mentre le sue Dimostrazioni armoniche, irte di calcoli, conforme alla scuola fiamminga, diedero origine a varie dispute sull'arte. Gian Gabrieli veneziano (-1612), appartenente ancora ai puristi anziché ai novatori, mostrò ardita originalità ne' grandi accordi di 2, 3 fin 4 cori, che alternandosi fra loro o con istromenti, formavano maestosi contrasti con ritmo abbondante di combinazioni, e meglio d'ogni altro arrivò agli effetti drammatici che sono il carattere della scuola veneta: seppe tener calcolo della voce e dell'estensione de' varj stromenti, scrivendo a posta per bassoni, tromboni, viole, e combinandoli in maniera di crescere l'effetto generale; e s'affaticò di esprimere il senso generale della parola, e rialzar il particolare mediante figure di ritmo, e capricci di vocalizzamene. Così iniziò la rivoluzione, compiuta poi dal cremonese Monteverde, che trentasei anni diresse questa cappella, e proclamò dover la musica cercare men tosto le regole astratte, che di dilettare, e riprodurre i movimenti dell'anima, e arrischiò l'accordo della settima dominante senza preparazione. Illttstraz. del L. V. Vol. II. « Dopo di lui, rapidissima crebbe la musica veneziana, teatrale fosse o da chiesa : Costanzo Porta fu capo della scuola lombarda ; Francesco Cavalli musicò ben 40 melodrammi; il Pollajuolo 53 per la sola Venezia; del Lotti cantasi ancora il Misererc nella settimana santa, e puntò 10 drammi di Apostolo Zeno: nel 1749 Caterina di Russia domandò il Galuppi por Pietroburgo, e il senato glielo concesse con solennità. Jacopo Carissimi (1049), maestro della cappella pontifizia , che avea trovato gli accompagnamenti d'orchestra nella musica di chiesa, in prima sostenuta soltanto dall'organo, modellò con maggior grazia e semplicità il recitativo, inventato da Peri e Montoverde ; primo regolò il basso, e ai semplici madrigali sostituì le cantate; graziose, di pura armonia, ingegnose insieme e vere; die forma regolare all'oratorio, o restarono famosi il suo Jefte e il Lamento det dannati Così il miglioramento passava dalla chiesa al teatro. La scuola veneta era sostenuta dai conservatorj detti gl'Incurabili, i Mendicanti, l'Ospedaletto, la Pietà, dove le fanciulle erano educate al suono e al canto ; e molto ambito n'era il posto di maestri, i quali dolevano puntare ogn'anno alcuni oratorj in latino, che dalle zitelle ese-guivansi le domeniche ai vespri, altro degli spassi di Venezia. Ai famosissimi fabbricatori di violini cremonesi Stradivari, Amati, Guar-nerio, buoni emuli oppone Venezia il Gobbetti (1090-1720), Santo Serafino (-1745), Domenico da Monlagnana e i fratelli Gofriller. La calcografia musicale avea resi insigni lo Scotti e il Cardani. Benedetto Marcello magistrato (1680-1739), non ancora ventenne die un corso di istruzione musicalo; puntò i primi cinquanta salmi, tradotti da Girolamo Ascanio Giustiniani. Girarono tutta Europa; e sono pozzi variatissimi per una, due o tre voci, con un semplice basso, e talvolta accompagnamento di viola; ispirazione interpretata dalla musica , e spoglia de'capricci che la vanità dei cantanti e la condiscendenza de'compositori aveva introdotti, volendo egli ridur la musica al suo vero uffizio di secondar la poesia nell'espressione de'sentimenti e nell'interesse delle situazioni, e ciò con bella semplicità. A tal uopo pubblicò un'arguta satira pariniana, che varrebbe- anche oggi. Col Marcello parve venir meno la gloria della musica veneta, sebbene ancora la sostenessero Galuppi, Bertoni, Bonaventura Furlanotto che mai non volle scrivere pel teatro: nò ai dì nostri può dirsi perita mentre vivono Tonassi, Buzzola, Pcrucchini; quest'ultimi fecero anche arie popolari, diffuse in tutta Europa; intanto che altre nuovo ad ogni stagione escono da autori ignoti, fra' quali il Bartolini senza studio preparò insigni cori. Veneziano d'origine è quello Scudo, che, ardito quanto in altre arti il Selvatico, della musica italiana diffonde in Francia la storia e le teorie. ■ TEATl'.O. (i(H.I)OM m II miglioraménto della musica contribuì a quél dello composizioni; si cominciò a far parlato gli eroi con meno smancerie, si sostituirono soggetti storici ai fantastici, si separò il serio dal bullo, il sacro dal profano; da cinque furono gli atti ridotti a Ire, tolti i prologhi, relegate in coda alla scena lo arie, fatta parsimonia di decorazioni. In tal fatto ben meritò Apostolo Zeno (10C8-1750) che chiamalo poeta cesareo da Carlo VI, « Non erodo (diceva) essere mai stato amato da alcun amico quanto dall'imperatore ». No1 soggetti sacri o negli oratorj meglio riusciva; ma in generalo pecca di lentézza negl' intrecci, di prolissità nelle scene, di viluppo negli incidenti ; si vaio a man salva dei Francesi, talvolta fondendo duo o tre composizioni, corno fece d'Euripide e di Racino noli'Ifigenia : se si forbisce dello consuete gonfiezze, manca di spontaneità ed eleganza nello stilo; e ben di rado raggiunge la fluida armonia che al canto si richiede, e che fu poi il vanto del suo successore Metastasio, Allora entrarono la frenesia dei pagare cantanti, e le bizzarre pretensioni di questi; e l'opera e il ballo diminuirono importanza alla commedia. Da tre in quattrocento lire no pagavano gì' impresari una al Goldoni o al Chiari; tre zecchini quelle a soggetto, quaranta il dramma. Si notò corno uno straordinario che al Convitalo di Pietra, commedia a soggetto, la porta fruttò scicentosettanlasettc lire. Quattro teatri davano commedia, e ai più cari il biglietto valeva una lira (00 centesimi), due per l'opera seria, una e mezzo por la buffa, oltre nna lira per la sodia. San Benedetto s'apriva al tocco dopo mezzodì ; San Moisò e San Samuele allo nove, altri all' 'Ave Maria. Le migliori parti nobili toccavano sessanta o settanta luigi 1' anno , quando in Inghilterra settecento. L'avvocato Carlo Goldoni (1703-93), ricchissimo di «loti naturali, ma scarso di coltura e del coraggio dispettoso che vince le angustie del tempo e della patria, ai libri poco badò, molto alla società, ma qua! gli cadeva sottocchi in un secolo fiacco, in un governa ombroso, dove un nobile che si fosse crollalo offeso, bastava a farlo il mal capitato. Pertanto, senza melanconie o sentimentalità o metafisica , la ricca varietà e la finissima arte d'improntar i caratteri rivolse a dipingerò fatuità d'uomini, civetteria di donne, parapiglia di frivole vanità, costumi triviali, passioni superficiali, vigliacchi vantatori d'onorcvolezza, donne indelicate, fìsonomic sgorbiate, anziché quelle veraci che son d'ogni tempo. Ma chi meglio maneggia la scena e il dialogo? chi ne'caratteri , per quanto prosaici, adombra meglio quella mistura che s'incontra nella realtà? dove trovare altrettanta copia di stile famigliare? La lingua letteraria, o piuttosto la curialesca, che sola egli conoscea, non porgevagli il brio arguto, i rizzi efficaci, l'evidenza che solo dal dialetto ponilo essere dati, e che fanno di gran lunga superióri le commedie che detto in veneziano. Fosse nato francese, il suo lìourru bienfaisoM palesa a che altezza sarebbe salilo; fosse mio fra quo' Senesi e Fiorentini ch'egli chiamava testi vici, quanta espansione non avrebbe dalo alla lingua parlata 1 Le vessazioni indeclinabili de' compatrioti il Goldoni sopportò senza fiele, poi no cercò consolazioni in Francia: ma narrando gli applàusi che ivi 10 ristoravano, non sa trovar espressione più efficace che dire: « Mi parca di trovarmi nella mia patria ». Carlo Gozzi (1720-1801) irato allo stile forense del Goldoni, al ventoso del Chiari bresciano, di cui applaudiansi a cielo lo commedie meschine, sguajale, carezzai ri ci dell'istinto vulgare, li bersagliò principalmente nella Tortona tirali influssi; e poiché gli si opponeva che tanta folla corresse allo rappresentazioni del Goldoni, egli si propose di trarne altrettanta a scempiaggini da veglia. E scrisse le Tre m clava ne ir, fiaba di pura fantasia; e gli applausi che oli enne maggiori dell'aspettativa l'animarono ad altre, 11 Re Cervo, Re Turandole, i Pitocchi fortunati, la Donna sn-pcute, il Mostro turchino, VAugel bclrerde, rubacchiando commedie spaglinole, benché le chiamasse strane o mostruose. Accortosi dell' efficacia popolare, proclamò che non si dovesse abbandonar la commedia dell'arte, produzione nazionale, bensì migliorarla; non abbiosciarsi no'precolli, ma ringalluzzire d'immaginativa. È la via vera di giungere alla novità, ma purché si sappia reggerla colla ragione. Il Gozzi invece le giltò la cavezza sul collo; traeva sulla scena i petegolezži del giorno, lo schermaglie letterarie; talvolta l'attore volgevasi alla platea, talallra additava uno spettatore; e si rideva, e applaudivasi l'arguzia, per quanto inurbana e scorretta. Amoreggiava egli una Teodora Ricci commediante, quando a costei poso assedia Pier Antonio Gratarol, uom maturo e segretario del senato. So n' adontò il Gozzi; più so n'adontò la procuralorcssa Caterina Vitalba, (in allora corteggiala dal Gratarol, o si accordarono alla vendetta. Il Gozzi adattò alle scene Le droghe iramore, dramma spagnuolo di Tirso di Molina, c sparsone il segreto, indicibile folla accaparrò posli al teatro di San Luca: la Caterina aveva combinato che un alloro, somigliante di figura o più di addobbo e di portamenti al Gratarol, rappresentasse il don Adone, e andava dicendo • Vegni a Veder me mario sulle scene ». Il Gozzi, sbigottito dall'eccesso dello scandalo, coivo invano impedirlo: già il pubblico se n' era insignorito : i battimani non furono pari che alla risa, tanto più che il Gralarol istesso volle intervenirvi: il quale però ne'giorni seguenti fatto bersaglio alle celio popolari, non trovò paco che andando a finire i suoi giorni nel Madagascar, e quell'avventura levò un rumóre, che neppur cessò colla rivoluziono. Bo dallo costui Memorie inutili, dal Labia. dal Goldoni, dal Gozzi, dal Pino, dal Bona, dai gustosi é talora lubrici dipinti del Longhi, cerchiamo COSTUMANZE. CA PLEBE 201 i costumi (li quel tempo, ci sembrano mascherate e sogni: impossibili nella realtà quel lusso in onta delle leggi suntuarie, que'mucchi d'oro messi al repentaglio d'una carta, quello sfarzo de' patrizj, circondali da stuoli di servi e camerieri ; quello ville pompose come roggie, tripudiane di banchetti e di compagnia ; que' teatri, divenuti materia da diplomazia; e il frenetico giuoco, e le caccio fragorose, o lo spendio in cavalli e vestiti, e le donne sfavillanti di gomme e di spirilo quanto scarso d'educazione e di condotta; e il ligio abate , e le cameriere civetto, e i gondolieri mezzani, e i cortigiani bravacci, o i sorvigevoli parrucchieri, e la fatuità dei calìe, o la tentazione della gondola. Intanto il popolo, senza pensieri e senza progresso, vivacchiava. Sulla terraferma un umore bravo e manesco facea frequenti lo risso e gli omicidj; e gl'illustrissimi si vendicavano dell'inferiorità loro coli'esercitarvi una prepotenza, di cui i plebei si rifaccano nella ristretta lor cerchia. Ma Paolo e Caterina di Russia, assistendo in Venezia alla caccia del loro, stupivano come la gente affollata fosse tenuta in online da soli quattro fanti degli inquisitori colla verga nera: stupiva Lalande come in Venezia senza truppe o con poche guardie non succedessero assassinj e neppure duelli. Però quel popolo restava abbandonato all' ignoranza, alla depravazione, alla seduzione de'forestieri, all'esempio do'signori. Lettura consueta de'buoni era il Perfetto leggendario, zuppo di baje: certe cartine portanti una preghiera all' Immacolata Concetta, davansi da inghiottire a malati e perfino a bestie, e ne conseguivano guarigioni : la religione laccasi consistere nelle grandi feste, nello processioni sfarzose con lanternoni e baldacchini d'oro c mascheralo d'angeli osanti. Nel 1732 fu introdotto il lotto 8 e il popolo vi si appassionò, quanto alle non mai estinto gare di Castellani e Nicololli, quanto allo gare della regata o delle forze d'Ercole (Vedi figura qui dietro). Facile riesce il metter in beffa quo'popolani, che si divideano in fazioni sin pei varj candidali a beccamorto; che dovendo partire anche per un sol giorno, profondeano addio di qua, addio di là; che all'udir una fucilala scappavano come i colombi. Chi vede anch' oggi esprimersi le slesse meschinità degl'istinti in sceno che non palesano tampoco bonlà di cuore, sci il osi inclinato a compatire, e a piuttosto rimpiangere quelle giornate s Marin Sanulo lìn al 1522 scriveva : • Si attende a aerar un altro Ioli» ili ducali (ìllOH, fosti per Znan Manenti sanser, con fincati IO pef mio, e a liti .1 mila di ulilo. Li magior prrej sono ducati oOO l'imo. .. e domenica a podìsnar si cave-i à nel monastero di san Zuan e l'oli». E il predicatore di san Zuan c Polo, o/i a la predica, (jua! è di grandissimo onor o nomi', rem' assai parole su questi lotti, parlando clu »f>n e lécito, e si dovriè preveder libe non vadi drio. Bt io palanti tonilus sum omnibus clic su fossi in loco che potesse, prevederla questi lotti, eco .. di un tempo, ove il popolo intero e moltissimi forestieri in begli abili o in tjaata piazzeggiavano sotto lo Procuratic, o sedeànO da Florian , o scivolavano in gondola ehiaecolando, celiando, pizzicando ciliegie, uva, lichi, gustando un1 infinita varietà di zuccherini o canditi, e di sorbetti e gelati, e rimlispensabile vin di Cipro e il prelibato caffè di Levante : 0^7477 GOVERNO 20r, mentre la poveraglia dilettavasi ai popponi, ai cocomeri, alle zucche, ba-rucche, ai frutti di mare; e giovani sollazieri cercavano rinomanza di eccellenti al vogare, al lanciar il pallone, ad abbattere tori; e icortesun'* pompeggiavano; e tutto ciò fra una incessante armonia di violini e chitarre, e i lazzi di un Pantalone o d'un Arlecchino, o Pimprovisaro d'un poeta, o il cantarsi Rinaldo ed Erminia; spensierati sul domani, che sarebbe vuoto e sereno non men dell'oggi. Coleste non le chiameremo no felicità, mancandovi quel progresso ch'ò laboriosa missione dell'uomo quaggiù : pure son fiori sbocciami fra i bronchi della vita; e quando si trovino surrogati da un sistematico fremere e indignarsi, e deplorare i tempi, e riprovare il governo qualunque sia, e da uno scontento segreto sotto all' ossequiosa servitù, non so a chi basti il cuore di maledire. Né so chi creda bastino queste condizioni a spiegar la caduta di Venezia. Perì forse l'Inghilterra, sentina di ben peggiori depravazioni? o forse meglio valeano gli altri paesi d'Italia? De'quali se men si parla . gli è che Venezia spiccava per più gloriose tradizioni, ed ebbe scrittori che ne tramandarono ai posteri, come i vanti, cosi l'abjezione. Vero è che i danni risentivansi maggiori perchè a Venezia dell' abilità politica restava la fama, e mancavate il coraggio che deriva dalla conoscenza dei proprj diritti e la volontà energica e persistente di acquistarli e mantenerli. Ove si consideri come un bene pei sudditi il pagar poco, lo godeano quei di Venezia, poiché nel 1783 le entrate non eccedevano sei milioni e seicentoventicinquemila lire, nò il debito i quarantaquattro milioni !,). Questa tenuità dell'imposta costringeva nei bisogni a far prestiti, 0 aggiun- ti Corlesani ■ erano bottegaj, artisti e qualche prete, uomini destri, onorali, conoscitori di tutto il mondo veneto, bravi, rispettali dalla plebe per il loro coraggio, per le loro inframmesse nelle baruffe, e per il titolo che s'erano acquistato di cortigiani, e sapevano come si fa a poco spendere e a molto godere». Carlo Gozzi, Memor ie, pag. tr>.l. 10 II ducato equivale a lire 4. i». Il bilancio del 1783 portava: Entrata per gli appalli........ducati l,30l),tiW Da/.j nella dominante........ Nella terraferma......... Nella Dalmazia.......... In Levante ........... Gravezze della dominante. ...... Della terraferma......... Della Dalmazia.......... Del Levante.......... La spesa ammontava......... di cui le milizie di terra e di mare e lo fortificazioni assorbivano..... L'istruzione pubblica....... Le pubbliche costruzioni i,01t>,«77 ì%m Di,!) li i t>l)l>,444 si 0,034 o*,7M si,:;or> (i, u 4,«!»!» al, U '2 Una minuta descrizione dello Slato veneto nel secolo passalo fu fatta dal Tentori , 204 STORIA DI VENEZIA geme di straordinarie, le quali, mal ideate o mal percette, rendeano scarsamente, e così esponeano la repubblica a soccombere a paesi, dove nelP esigere non s' avea rispetto a necessità di sudditi, e in tempi in cui non si trattava di far felici i paesi ma di farli forti. Lusinga della filantropia corrente erano la pace e i progressi pacifici, nè Venezia avrebbe voluto sprecar in armi i tesori eh"' erano reclamati dai miglioramenti civili. Ma una autorità è stabile solo se apprezzata dal sentimento; se no, bisogna si circondi d' armi e soldati. La marina mercantile contava quattro o cinquecento navi, e la militare una dozzina in acqua, e venti interminabilmente sui cantieri. Per ab-borrimento alle innovazioni, si conservò ai vascelli la foggia antica; segrete le pratiche di costruzione, come i processi della chimica li. Eccellente canapa si traea dal Padovano; e la Signoria, invece di farne proviste pel sartiame, obbligava a deporre nell'arsenale tutta quella che giungesse a Venezia; col che i mercanti trovavansi accomodati di magazzino gratuito, e il governo conosceva di quanto potesse disporre; avea priorità nella scelta, e non ne comprava più dell' occorrente. Le corde riuscivano si bene, che si davano per ogni nave quattro soli cavi di rispetto, mentre Inglesi e Francesi ne davano sei. Però le navi di Venezia erano costrette avere poca carena in grazia de' bassifondi, e quindi poco minacciose : alcune da cento cannoni non uscirono che per pompa. ÀI crescere della potenza turca erasi sentito il bisogno d'avere galee stabili, e nel 1545 s'istituì il magistrato alla milizia di mare. Le ciurme si cernivano nel dogado fra i sedici o i cinquant'anni, iscrivendoli ogni due anni; in caso di bisogno levavansi, ed erano divisi in artigiani, pescatori, gesuita straniero di grande abilità, e che tolse a difendere il patriziato. L'amministrazione era divenuta tanto dispendiosa, che le entrate non bastavano a coprirla ; e benché la politica adottala risparmiasse qualunque spesa straordinaria, il debito crebbe sempre; e le azioni erano al 60 del varlor nominale. Nel 47H5 si aperse un imprestilo al 3 010; ma i nazionali non offersero somme: a Genova pure non si riuscì: infine lo si ottenne stentatamente ad Anversa. 11 Le galeazze eransi riformate nel secolo XVII, e secondo la descrizione e il disegno dati dal Coronelli, erasi cessato di disporre i remi a tre per banco, come nelle antiche, ma equamente lungo i due fianchi, in numero di quarantanove, lunghi quarantadue piedi, mossi ciascuno da sette uomini. Oltre questi trecenquarantatre remiganti, ogni galeazza portava duecento soldati cogli uffiziali, sessanta marinaj, un cornilo, un pedota^uno scrivano, un chirurgo, un medico, quattro capi bombardieri, otto bombardieri, due rema J, quattro calafalti, quattro marangoni. Il governatore e il nobile teneano per proprio servigio un capellano, un computista, e uffiziali e ministri; sicché l'equipaggio constava di settecento uomini. I trentasei pezzi d'artiglieria di bronzo pesavano da ottantano-vemila libbre venete ; aggiungansi i moschettoni da forcine, appoggiati alle sponde i brandistocchi, le spade ed altre armi. Una galeazza bellica costava centoventimila du.' cali, e l'annuale mantenimento dell'arme, ducali ventiseimila quattrocento, non computando il biscotto, la polvere e le altre munizioni. La repubblica ne aveva sei. NAVI E ARMI 205 gondolieri, posti su galere serbate al solo esercizio ordinario; e sebbene volontari •> teneansi alla catena lin all'imbarco. Per le navi grosse volcansi marinaj già esperti. I forzati subivano pessimo trattamento; non ospedale, e ammalandosi doveano pagare medicine e medico; si permetteva andassero a terra come facchini e servitori per guadagnarsi le prime necessità ; si gravavano di debiti, e così scontata la pena bisognava rimanessero por ispegnerli. Ai capitani stessi delle galee spettava la spesa dell1 approvigionamonto e degli uomini; nò la repubblica li stipendiava se non dal punto che mettessero alla vela. Con ciò voleasi impegnare i ricchi agli armamenti, e rimovere i nobili poveri dai comandi, sicché ne rimanesse il lucro ai denarosi. Gl'impieghi dell'arsenale erano poco più che titoli senza peso, sotterrando ai padri i figli, se n'intendessero o no. Da seicento ragazzi, ignoranti malgrado i dicci maestri, vagabondavano scroccando, finché giunti all'età, per impegni o per riguardo venivano accettali nell'arsenale, dove erano obbligati al lavoro appena un giorno alla settimana o al mese. I famosi boschi erano dilapidati, intanto che le navi non reggeano al maro; mancavasi d'ingegneri, di maestranze, di marinaj, tanto più dacché la Russia, che allora compariva a competere la padronanza del mare, ingaggiava i Greci e i Dalmatini. Nel 1774 si mutò sistema, e lo Stato assoldò gli equipaggi, mentre il progresso degli stranieri induceva a migliorare anche qui le costruzioni navali. Venezia non era mai stata potenza guerresca di primo ordine ; non volle addoltarc eserciti stabili c nazionali come la restante Europa; e nelle guerre comprometteva 1' unità del comando col mettere a fianco degenerali un proveditorc. Lo Schulenburg avea nel 1729 esibito un sistema d'armamento, composto di diciotto mila cinquecento fanti, e due mila fra cavalleria, artiglieria e genio; ma l'artiglieria principalmente rimase trascurata. Pochissime truppe tcnea Venezia in terraferma; di più in Dalmazia e nelle isole di Levante, formato di forestieri, olire il Reale macedone, reggimento di Albanesi: ma accettavansi senza cautele; non si esercitavano per risparmiare la polvere; lasciavansi sparpagliali in modo da perdere ogni uniforme disciplina e soggezione; ridicoli per divise cucile a loppe, temuti per fame e sete insaziabili, mal ricoverali sotto fras«he, intesi coi contrabbandieri e coi masnadieri, dei quali talvolta usurpavano la professione, se più innocentemente non applicavansi all' agricoltura. 1 tre reggimenti di cavalleria, croati, corazzieri, dragoni, sparsi a drappelli per paesi donde non erano mai mutati, il più che facessero era portar i messaggi e le intimazioni curiali. Le cevnih poi, che assumevano l'armi in caso di guerra guerreggiata nel paese, vi si ascriveano solo per aver licenza di portar armi e agevolezza di contrabbandare tabacco, sale, polvere. I soldi faceansi stentare, e i provveditori bisognava supplissero con llluslraz. del L. V. Vo>. 11. '27 prestili sul proprio- credilo. Dopo la pace di PassarowiU le fortezze lascia-ronsi conquassate e cadenti, con moltissimi cannoni ma smontati, moltissima polvere ma spesso guasta e fradicia; sottilissime le guarnigioni; nelle fosse si seminava; sugli spalli cransi piantati ulivi e gelsi, e la vile intrecciava i pampani ai vilucchi e ai caprifichi delle feritoie : in città qualche rara volta i bombardieri l'accano spettacolo di sè; del resto se la passeggiavano al sole della riva degli Schiavoni o all'ombra delle Procuralie. Venezia avea bel coniare in bronzo che Se-iìea cauta, soryea pronta; fatto è che la politica esteriore più non le badava che come a una preda agognala; il Turco lo lasciava pace, salvo a rincorrerne qualche volta le navi: i Barbareschi non erano repressi che da un tributo. La prudenza vantata ilei senatori si limitava a conservarsi neutri fra le potenze belligeranti in Italia, per non interrompere il commercio, non veder ribellate le serve provincie, non aggravezzare i sudditi, non porre in evidenza la propria fiacchezza: per ciò rassegnandosi ad ingiustizie, violenze, soprusi. Benché estranea alla briga della successione di Spagna , scoppiata al principio del secolo, Venezia si trovò costretta a mantener in armi ven-tiquattromila soldati; grave jatlura quando appena usciva dalla guerra turca; e senza di lei fu sbocconcellata P Italia ; le potenze violarono il suo territorio qualvolta il trovarono opportuno; logorato il cassone di riserva, il debito crebbe lino a ducenlo milioni, e si dovette ricorrere per pre-Miti anche a forestieri, malgrado il divieto della legge. Avendo I1 ambasciator veneto soserillo per ignoranza alcune cambiali false d'un mercanto a carico d'un Olandese, ne derivò caloroso carteggio, poi minaccia di guerra dall'Olanda, che fortunatamente si finì con un accordo. Nella guerra per la libertà d'America, protestando che i Veneziani fossero alleali dell'Inghilterra, Spagnuoli, e Francesi ne assalivano le navi, por modo che l'assicurazione montò fin al Cinquanta per cento. Il commercio serbava appena ombra dell'antica floridezza, e ritraeva una specie d'infamia dall'esser interdetto ai nobili. Vero è che nel 1784 si animarono i signori allo speculazioni: ma il credilo, che nò anima, deperiva: il bancogiro fu ad un punto di rompere; la istituita fiera di Sinigaglia faceva dannosissima concorrenza a Venezia; navi inglesi ed austriache baldanzeggiavano nel golfo eh' essa chiamava suo , e l'imperatore aperse a Trieste un porlofranco, con fortificazioni ed arsenale. EMO 207 Oli sii appena jeri Venezia ha mostralo che P incomparabile sua posizione può farla resistere a un grand'imporo ; ma a tal uopo voglionsi e concitazione di sentimenti, ed esempio ili vicini, e speranza in lontani, e concordia interna, e robusta risolutezza: e di questa appunto aentivasi il supremo difetto non colà solo , ma in tutta Italia. E lin dal 20 aprile 1780, il doge Renicr nel maggior consiglio diceva: « Conciti adi ni, le se « ricordi che non semo in grado ili difesa, al caso fatai de una esterna * aggression della perieli tante repubblica ». Pure sfavilla sugli ultimi giorni di Venezia l'astro di Angelo Emo. Conobbe egli i difetti della marineria, e cercò introdurre nelle costruzioni lo teoriche di Bouguer; ed essendosi fatto un vascello da settantaquattro con gli alberi connessi, mentre prima anche i maestri erano d"un pezzo solo, quali ne porgevano le selve di Cansiglio e di Auronzo, egli fu spedito con questo e con due fregate a rincacciare i pirati del Mediterraneo, dove abituò lo disusato ciurmo a sfidare gli elementi e il fuoco nemico (1705). Como almiranle sforzò il doy d'Algeri alla pace, e fu eletto ammiraglio (1700). Ne1 magistrali pacifici fece migliorare il modo delle esazioni, levare la pianta dell'estuario e impedirne le colmalo; ottenne dalla gelosa Inghilterra laminaloj pel ramo da rinvestire le chiglie; pensava all'asciugamento dello valli veronesi: coli'Austria, che pel lido degli Incocchi spingendosi al mare, incessantemente turbava i Veneti, fece un accordo per la navigazione del canale della Morlacca (1784). Spedilo poi contro Tunisi, inventò le galleggianti ", con cui affrontò e gli scogli di Fax e i bassifondi di quella Tunisi, che, sebbene assai meno fortificata, avea respinto Carlo V; e quivi formò quo'marinaj, che da poi fecero bellissima prova, ma a servigio di stranieri. Costretto a ridursi nell'Adriatico per l'infausta guerra fra la Porta e la Russia, lasciò navi chi; tenessero in soggezione i Barbareschi, contro i quali accingeasi di nuovo allorché a Malia morì non senza sospetto di veleno prima di vedere i disastri della sua patria. VI Giù nel settembre 17H2 il cavaliere D'An-on aveva adopralo ballerie galleggiant all'assedio da Gibilterra, e consistevano in grosse navi, armate di iti bocche di fuoco, riparando i fianchi e il ponte con sacchi di lana e pelli bagnale; ma furono distrutte e incendiale dagli Inglesi. Emo invece costruì zattere che pescavano appena Ufi centimetri, caricate di due cannoni di ferro da 24, sicché potevano avvicinarsi mollo alla spiaggia non venivano affondale dalle batterie da costa, e basta un giorno perchè dieci uomini ne, costruiscano una. Le poche volte che d'allora in poi si adoprarono baitene galleggianti ^ ^eguì il metodo di Emo. In quella spedizione Silvestro Dandolo acquistò l'esperienza di mari1', con cui ti fe segnalato sotto i nuovi padroni sino al 1847. La quale gli sopravvisse appena tanto da fargli erigere un monumento da un altro immortale suo figlio, di cui i primi passi erano slati incoraggiati da palrizj veneti, la prima bottega era stala una tetto fa nel cortile di Santo Stefano, lo prime opere erano stato applaudite alta fiera dell'Assunta, nella quale, al modo de' giuochi olimpici, t'accasi mostra d'ugni bellezza d'arh ingenuo eir.duslri, IX Fine della repubblica veneta. a vita politica ora perita in Venezia; la testa conservavasi buona, ma cessavano i balliti del cuore; e solo per P unione di questo coli* intelligenza può ingrandire un popolo. Manifestatasi debolezza nel non conoscere più, e in conseguenza non tutelare i proprj diritti; debolezza nel voler deboli tulli i sudditi e in dormiveglia, disposti non solo a obbedire ma a servire ; debolezza nclPacceltarc alla cieca le opinioni altrui, e cessare dalle proprio consuetudini por adottare le straniere. Anche Francia perì, ma per trasformarsi ; anche F Inghilterra mancava di moralità, ma aveva palriotismo, confidava in sè, lavorava; tutte cose di cui Venezia difet- tava. Aveva appreso a ridere dell1 entusiasmo e della fede, tra cui era cresciuta; a credere a Cagliostro dopo cessato di credere ai santi e al papa; ogni slancio immolare a quella logica che decompone le idee in sè medesime senza tener conto dell1 esperienza; pel nome di nazione dimen-ticavasi quello di patria ; col titolo di filantropia e di universale cittadinanza disamavansi non solo, ma cuculiavansi le usanze patrie; come gli abili alla Montgolfier o alla Figaro, i cappellini alla Basilio, e i Caracas spagnuoli e i reading goats inglesi surrogavansi alla velada e allo zendado, così voleansi comedia francese, libri francesi, adottando (come lagnavasi il Chiari) il linguaggio e i v i z j forestieri senza spogliarsi de1 pregiudizi nostrali; nelle medaglie vanlavasi la concordia de1 cittadini (V. la osella qui a fianco); e invece disentivano sui punti essenziali : se una volta parea religione il lodar tutto ciò ch'era patrio, or diveniva tono il vilipenderlo, e rider delle repubbliche, e bestemmiar l'aristocrazia, in nomo d'una filosofia, che rimpastava il mondo senza riguardo a temperamento, a carattere, a situazione, agli elementi varj che il tempo fonde per costituire una nazione. Ed ecco appunto una gran nazione prende ad attuar quelli; dottrine, e ne'suoi « sublimi scotimenti >• si compiace a distrugger tutta l'opera del passato. Povera Venezia 1 incrocia lo braccia sul petto , e preparati a scendere nel sepolcro, insultata vestale che non seppe custodire il fuoco sacro. • I Manini di Firenze, ramatisi dalla turbolenta patria a Udine, col soccorrere generosamente ai bisogni di Venezia ottennero il patriziato in questa. Lodovico, di essa famiglia, nel governare Vicenza, Verona, Brescia tanto ben meritò, che la serenissima lo elesse procuratore di San Marco, poi doge il 1780. Negli otto giorni che i quaranta elettori stettero in conclave, si spese in pane, vino, olio, aceto, lire 129,421 ; in pesce 24,410; in carni, polli, selvaggina 23,300; in salami e prosciutti 3080; in confetti e candele di cera 47,000; in vini, caffo, zuccaro 03,845; in fruiti, fiori, condimenti 0314; in masserizie di cucina e combustibile 31,851; per guasto di mobili noleggiati 41,024; in minute spese 108,910; in stuzzicadenti 23; tabacco 4931; tabacchiere 3007; carte da giuoco 200; altri giuochi GOG ; berrette da notte 506 ; calze e borse di seta nera per la coda 04; pettini 2150; essenze 1802. L'eletto gittò denaro a profusione alla plebe nel giro consueto della piazza, distribuì diecimila ducati ai nobili poveri, pane e vino a chi no volle; ma basta leggere la promissione ducalo impostagli per isca fonarlo in gran parte dalle accuse MANIN" — PERICOLI 211 di negligenza e debolezza. Fasciar un uomo, poi dirgli cammina! E tocco a lui di veder morirsi nelle braccia la sposa dell'Adriatico. La rugiada filosofica erasi risolta in turbine, e la rivoluzione francese fra torrenti di sangue proclamava l'abbattimento della società antica, per riformarne una noli' universale eguaglianza. La canatteria giornalistica e le tribune parigine rintonavano d'imprecazioni contro la nobiltà di Venezia, i suoi Dicci, i suoi Inquisitori, i suoi Piombi, i suoi Pozzi ; accuse davvero convenienti ai proveditori della ghigliottina 1 Vera colpa di Venezia era l'ostinarsi a custodire gli ordini, anziché lo scopo a cui quegli ordini erano diretti: da ottani'anni sussisteva unicamente, perchè mancava lin forte che la soggiogasse, dacché il predominio della forza armata era venuto; ma chi la taccia di non avere chiarito guerra alla repubblica francese , nou venga poi a maledire la Francia repubblicana dei 1848 d'avere portato le armi contro la repubblica romana. Venezia sentiva sotto mareggiarsi il terreno; minacciata dai democratici, diffidava dei despoti, e principalmente dell'Austria, di cui sapeva il lungo spasimo; e, come avviene dei fiacchi, credette stornare il pericolo col non confessarlo; e co! vietare si comunicasscr al senato nò al maggior consiglio i sinceri ragguagli, rese impossibile il fare proposizioni opportune. Ma la perplessità rendoasi impossibile quando 1' esercito francese con impetuosità irreparabile dilagato dalle Alpi, piantò in Lombardia una repubblica Cisalpina, e serrossi al territorio veneto. » Risogna armare (gridarono gli oligarchi), mettersi in parala, e guai a chi primo viola i conlini. Abbiamo quindici milioni di sudditi (soggiungeano colf'aritmetica delle passioni); sul continente italiano venti città popolose e ricche: soldati trarremo dalle isole e dall'Albania, addestrali nell'incessante nimicizia coi Turchi; le cerne della Carnia e del Friuli ci daranno bellissimi granatieri; robusta gioventù le valli ilei Brenta, dell' Oglio, del Serio, come le pianure del Polesine, del Trevisano, del Veronese, e i colli padovani e bellunesi; pieno è l'arsenale, e lo vittorie recenti dell'Emo attestano che l'antica bravura non è morta: esperti ingegneri restaureranno lo fortezze: restano risparmi abbondanti, e il patriotismo de' privati si collctterà a soccorso ». Così gli animosi; non mancata chi consigliasse ferro e fuoco contro i cospiratori, rammentando che quel gran liberale di Irà Paolo avea detto ; « 11 maggior allo di giustizia che un principe possa fare 6 di conservarsi ». 1 timidi avrebbero preferito gittarsi in braccio all'Austria. Ma « Perchè ■ non piuttosto alla Francia? (diccano altri) Essa vincitrice e repuhbli-* caria; essa non interessata a distruggerò la nostra repubblica, ma « solo a svecchiarla secondo le sue ideo ». Si scelse il peggio, la neutralità inerme; e la Signoria protestò di riporre la sua esistenza nella felicità c neh1'' alletto de' sudditi, non aver altra ambizione die di non esporre questi ai mali d' una guerra. Parole d'oro per un congresso della pace, e che avranno solleticato a un riso inestinguibile i Sanculotti. Tristo chi non si sveglia che al suon delle ruine! Di fatto, come le operazioni belliche lo portarono, il generale Buo-naparte entra sul Bresciano; i Tedeschi ne tolgono pretesto di violare anch'essi il territorio, e sorprendere Peschiera senza che si l'osse pensato respingerli. « Quest'è tradimento; marcio sopra Venezia per recarne que-« rela al senato; voglio mi si dia l'arsenale », disse Buonapartc, e si dililò sopra Verona. Vedendo che il senato s'umilia per chetarlo, egli si rigonfia; e soppiattando quel che farebbe contro, minaccia con una collera non Hneera, ma di progetto. In fatti scriveva al Direttorio: « Se volete trarre « 5 o 6 milioni da Venezia, v'ho preparato a bella posta qucst'allac-« cagnolo: se avete più decise intenzioni, credo bisognerà continuare « questo bisticcio, e lasciar ch'io aspetti luogo o tempo. La verità ò « che il tedesco Beaulieu gl'inganno; chiese il passaggio per 50 mila « uomini, e occupò Peschiera ». Altrettanto fingeva a Verona, e giuntovi il 3 giugno 1796 scriveva: « È città grandissima e bellissima; vi lascio buona guarnigione por « dominar l'Adige. Ilo chiarito gli abitanti che, se il preteso re di Fran-« eia non avesse lascialo la loro città prima che varcassi il Po, avrei « messo il fuoco a una città, tanto audace da credersi capitale dell'im-« pero francese. » Alludeva a Luigi XVIII che crasi ricoverato a Verona: ma già da due mesi Venezia Io avea pregalo d'uscire da'suoi stati: e Buonapartc, che senlivasi qual cosa meglio d'un brigante, non pose le fiamme a Verona; bensì tenne tutta la linea dell'Adige, così agevolandosi l'assedio di Mantova. Con altrettanta fede il generale Cervoni avea sorpreso il castello di Bergamo, levalo le lettere da quella posta, e dalla casa Terzi il tesoro, lasciatovi dal duca di Milano quando fuggiva. A tal modo traltavasi un'amica, una repubblica, affiggendole poi tante accuse quante si suole a chi vuoisi sagrilicarc; e Buonapartc scriveva al Direttorio: « Di lutti i popoli d'Italia il veneziano ò quel che ci odia • di più; son essi armati, e in qualche luogo gli abitanti son prodi ». (i> ottobre 1796). Frattanto vi si mandavano emissarj « per promovere lo spirito pubblico, sviluppare l'energia, consolidare la libertà »; il che volea dire fomentar gli odj e le fazioni. I nobili esclusi dal libro d' oro macchinavano contro l'oligarchia; i nobili poveri contro i ricchi, i nobili della terraferma contro quei della dominante. Venezia non aveva più che la scelta fra darsi ai Francesi o ai Tedeschi; a Beaulieu vinto o a Buonapartc vincitore; coi Tedeschi potevan durare la nobiltà e il libro d'oro; TRAME. 1797 213 dai Francesi speravasi libertà democratica e gloria. Poteano dunque esser di buona fede anche quelli che assassinavano la patria, e che forse prendeano il male per medicina. In Milano un comitato espresso attendeva a rivoltare la terraferma veneta, capi il Porro milanese, i bresciani Lechi, Gambara, Beccalosi, i bergamaschi Alessandri, Calcppio, Adclasio. Da un uffiziale francese veniva denunziato alla Signoria che a Bergamo, a Brescia, a Cremona con-giuravasi una sollevazione, d'accordo col comitato di Milano. I congiurati non se ne sbigottiscono, anzi quei di Bergamo ( 12 marzo ) inducono il comandante francese ad arrestare il corriere che portava a Venezia il dispaccio del podestà, contenente il piano della congiura e i nomi; e gridando spia e traditore quel che faceva il suo stretto dovere, per poco non l'ammazzano; proclamano la repubblica di Bergamo, e piantano lo stendardo tricolore sul castello. Brescia imita poco dopo (18 marzo),-altrettanto Croma, cacciando a strapazzo i magistrati veneti; ed esse, e Padova, Udine, Vicenza, Bassano per un momento furono repubbliche distinte, cioè senza forza nò ordino, e perciò esposte agli arbitrj o della violenza armata, o de' militari. La serenissima avea mandato proveditore in terraferma il Battaggia, ma costui sollecitava anzi i movimenti: Buonaparle esibì di venir colle armi a sottomettere egli stesso le città ribelli, ma non consentirebbe mai che lo facesse la repubblica. Questa dunque doveva aspettar inerme il proprio sfasciamento, e intanto con un milione al mese "alimentare le truppe francesi ; le quali non solo esigevano prepotentemente i viveri, ma guastavano e soprusavano, toglievano i bovi e i cavalli occorrenti all' a-gricoltura, disperdeano il vino nelle cantine, tagliavano gli alberi fruttiferi, batteano, violavano, uccidevano, mentre gli abbondanzieri impinguavano sulla miseria de' soldati e degli abitanti. Perchè gl'Imperiali avrebbe? operato più moralmente che i Repubblicani? e chi n'andava di mezzo era la neutra Venezia, era il popolo incolpevole. I paesani domandavano armi per difendersi; ma la Signoria calmava, assopiva, esortava a pazienza; chiunque mostrasse sdegno o compassione veniva in grido d'aristocratico ed austriacante. Ma i montanari delle valli Camonica , Trompia, Sabbia insorsero armati contro le novità; Salò respinse i repubblicanti. Al cambiar governo non erano dunque indifferenti come in Lombardia ; e Buonaparte, pur fingendo sensi e parole, scriveva al senato (9 aprile): « Tutti i sudditi « della serenissima son in armi, e gridan Morie ai Francesi: molte cen-« tinaja de'miei soldati rimasero lor vittime. Invano affettate disapprovar * gli attruppamenti, che voi medesimi formato. Credete che le legioni * d'Italia lasceranno impuniti i massacri da voi eccitati"? Il senato rispose Hluititiz. aet L. V. Voi. H. n « colla più nera perfìdia al generoso nostro procedere. Se non dissipate « gli attruppamenti, se non punite gli assassini, guerra ; e il popolo be-« nedirà forse un giorno i delitti che avranno obbligato l'esercito francesi: « a sottrarlo dal vostro tirannico governo ». Poteasi ben rispondere che i tumulti eran cominciati ne' paesi protetti od occupati dai Francesi; ma questo avrebbe avuto aria d'una recriminazione, e poteva irritar il generale. Si mandò a calmarlo; cosa difficile quando la collera era artefatta, e diretta ad uno scopo. Egli in fatti spediva al generale Kilmaine di disarmare le guarnigioni veneziane di Padova, Treviso, Bassano, Verona; i governanti e gli uffìziali portar prigioni a Milano; sistemar nelle città un municipio con guardia civica; arrestare tutti i nobili veneziani e chiunque mostri affezione al senato, perchè colla loro testa rispondano di ciò che si opererà a Venezia. Violenze tante meno giustificabili, perchè il senato piegava il collo rassegnato, a segno che Junot scriveva al generale: « Ordinate pure quel « che volete; il senato e il governo, vili quanto dissimulati, sono a gi-« nocchi ». Il pericolo era però reale, e in Verona, ridotta a fetido quartiere militare, la popolazione indignata afferrò le armi, e in cinque giornate trucidò da quattrocento Francesi. Buonaparte accorre a punirla ferocemente, e ne versa ogni colpa sul senato. Pel quale la terraferma già era perduta, mentre i democratici nella dominante urlavano contro il patrio governo, non meno che contro i re e il papa. Secondo soleasi ne1 frangenti, Venezia aveva intimato che nessuna nave estera penetrasse nell'estuario. TJn legno francese di corso, inseguito dagli Austriaci, ricoverò sotto il cannone di Lido, e fu fulminalo e preso dagli indignati Schiavoni (17 aprile). Crebbe allora lo scalpore, e Buonaparte ai deputati spediti a scagionarsi rispondeva: * Quando avevo a fronte il nemico, offersi l'alleanza di Francia, e fu * ricusata: ora che dispongo di ottantamila uomini, non voglio udir con- * dizioni, ma dettarlo. Io sarò un altro Attila per Venezia; non più in-« quisitori, non più libro d'oro, rimasugli della barbarie; il vostro go-» verno ò decrepito » ; e dopo trucissimi vanti, promesse, lungagne, le indice guerra. Venezia, sebbene perduto il continente, numerava ventidue vascelli dai settanta ai cinquantacinque cannoni, quindici fregale, ventitré galero e molti legni minori; nell'arsenale, oltre immense provigioni di legname e di sarte, aveasi una preziosa raccolta d'armi vecchie; e parchi di ben 5293 bocche da fuoco, delle quali 1518 di bronzo; inoltre ne'forti di Venezia, di terraferma, di Levante e sulle navi, non contando le piazze dell'Istria, della Dalmazia, dell'Albania, v'erano pezzi 44G8, di cui 1924 MINACCIE E SBIGOTTIMENTO. 1797 215 di bronzo, e quanto occorreva onde allestire la flotta e le fortezze. Per munire le lagune e provedere al passaggio delle truppe straniere impose il dieci per cento sullo pigioni, una tassa sulle gondole ed i servi, una taglia sulle arti; ma a fatica ricavò seicento sessantadue mila ducati, mentre i doni spontanei salsero a novecento mila; fece prestiti, levò i pegni ai Monti di pietà, le argenterie alle chiese e alle confraternite|:>. Se avesse ado-prato tutti i suoi spedienti come contro la Lega di Camhray e nel 1848, chi polca valutare quanto tempo costerebbe ai Francesi l'impresa? e per poco che durasse, qual effetto la resistenza produrrebbe sul resto d'Italia? Ai consigli mancava la risolutezza che salva; l'occupazione de' beni in terraferma desolava i patrizj; d'altra parte trapelava che Buona parte volesse vender Venezia all'Austria, e che anzi ne avesse già patteggiato nei preliminari della pace stessa, che aveva allor allora imbastiti a Lcoben. Del terrore profittavano i democratici, cioè i fautori de' Francesi, che di 17» Forfait, neW'Exlrail d'un Mvmoire sur la marine de Vénise, espose le forze di questa al suo cadere; ma più attendibile ci pare il quadro esibilo dal Tonello nelle Le- ioni intorno alla marina, Venezia 1820, e eh'è siffatto: Vascelli da 70 cannoni............N. 10 da Btt...............» .il da SU................ 1 Fregale da 42 a 44.............■ 1 Tt » da 32 ................ t Galere................... 23 Bombarde.................» 4 Cutter..................• 2 Barche cannoniere, armate di un cannone da 4, e quattro da 6................... iti Brich da Ni a 18 cannoni...........> ,> Golette da 10................» 4 Galeotte da .>0 a 40 remi............ 7 Sciabecchi.................. 7 Feluche................... 5 lìarche obusiere armate con due obici da 40 0 da !»0, e quattro cannoni da (1 ............. ,>1 Galleggianti sulle botti, armati con due cannoni da 31 • 10 Passi, armati d'un cannone da 20 0 quattro da ti. . . » 40 Batteria galleggiante di selle cannoni da 50 sul perno, detta Idra................... 4 Baraguay-d'llillicrs, al 16 maggio 1707, scriveva a Buonaparle: « Ilo visitalo l'arse* - naie, e l'ho esaminato minutamente; è uno de'più belli del Mediterraneo, e c'è dentro • ogni cosa a proposito per armare in due mesi e colla spesa di due milioni un'armata • da sette ad otto vascelli da sctlantaquatlro, sei fregate da trenta a quaranta, e cinque « cutter. C'è un'immensa artiglieria sì di ferro che di bronzo, fonderie, legnami, una « corderia superba, cantieri supremamente belli, 1 fondachi sono zeppi di legnami, di ca-■ napa, di ferro, di catrame, di sartiame e di tele. Ci sono circa duemila fucili . seimila « pistole d'arcione, e pezzi per montarne altri assai, e tulli i lavorieri sono nel massimo • buon ordine ». questi imitando le arroganze, davano d'urto a tutto che sentisse d'italiano. Spcrossi salvare il leone col torgli dalle branche il vangelo, e mettergli i Diritti dell'uomo, ma non bastò, e veniva abbattuto da ogni parte e scorbacchiato; Padova minacciava interrompere i canali che avvicinano l'acqua dolce alla metropoli; a moltissimi tardava di disertare dalla patria per accaparrarsi posti e guadagni nell' ordine nuovo. Ma mentre gli appalloni inibrestierati, soffiando nella lor saponata, gridano Viva la liberiti, il popolo grida Viva san Marco, e rumoreggia contro di quelli; gli Schiavoni saccheggiano le case; i Dalmati si ammutinano, trucidano i novatori, e bisogna domarli col cannone. II Manini, oggetto di rimbecchi pettegoli, non seppe che esibir di abdicare, e « Non t semo ncmmanco sicuri sta notte nel nostro letto 14 ». Mandasi a Parigi a patteggiare a qualunque siansi condizioni, e per averle mori tristo si profondo oro al venale Direttorio );i;poiil maggior consiglio rinunzia all'ereditaria aristocrazia, riconoscendola sovranità del popolo, e alla repubblica francese consente sei milioni, venti quadri e cinquecento manoscritti: e come quella vuole, scarcera i detenuti politici, cioò quelli che tramavano; punisce gl'inquisitori e il comandante del Lido, licenzia la milizia schiavona. Vedasi da ciò quale depredamento fecero gli avvicendati conquistatori. Dopo tanto rubare che questi feeero, dopo aver mantenuto diciotto mési l'esercito, collo sperpero che si suole, l'erario veneto potè sussidiare tulle le città di terraferma pia devastate dai Giacobini, e diede per provedere 1' esercito francese a 200,010 Padova ......... 800,781 82,332 21,000 Feltre......... 7,000 Treviso, Belluno, Céneda, Cadore, Pordenone. » 91,026 4,000 S,000 10,000 30,000 70,071» Quadrò economico delle rendile straordinarie, percepite dal veneto aristocratica governo dal ghigno 1706 fin al cadere dell'aristocrazia. Italia 1790. 1! Il Manini morì poi quietamente il 23 ottobre 1802, e lasciò 100 mila ducati da ado-prarsi a mantenere pazzi e figliuoli derelitti, finché sia loro trovato impiego, e allora diansi ai radazzi 20 ducati, SO alle fanciulle. Così il suo nome vive in uno de'meglio ordinati istituti di beneficenza. ili L'ambasciadore Quirini avea promesso a Bnrras 200,000 ducati, ed emesso obbligazioni. Iluonaparte sventò il negozio, e Venezia perì : pure venne obbligato il Quirini a pagare que' 600 mila franchi, e non avendoli, fu tenuto prigione, a riuscì a fuggire. CADUTA DELL'ARISTOCRAZIA. 1797 217 Colle bassezze speravasi salvar almeno l'indipendenza; ma dentro trescavano i demagoghi; e n'era centro Yilletard segretario della legazione francese, e principale turcimanno il Battaggia. Giunto il tempo, alzano il capo ( 12 maggio), spingono il maggior consiglio a decretare sia introdotta guarnigione francese, e viene istituita una nuova municipalità. Da un pozzo gemeasi e fremeasi sull'efferatezza delle carceri di Venezia; vollero s'aprissero gli orribili Pozzi e i Piombi ricantati (16 maggio), e vi trovarono... un prigioniero. Lo scomporre Venezia era lungo proposito di Buonaparte, e scriveva al Direttorio parigino: « Essa continuò sempre a decadere dacché fu dato volta - al capo di Buona Speranza, e crescono Trieste e Ancona: difficilmente « può sopravvivere: popolazione inetta, codarda, non l'atta per la libertà. « Senza terra, senz'acque, par naturale sia lasciala a quelli, cui non diamo « la terraferma. Ghermiremo i suoi vascelli, i suoi cannoni, svaligeremo « il suo arsenale; distruggeremo il banco, e terremo per noi Corfù ed « Ancona ». Lieto perlanto d'un'occasione che gli diminuiva l'infamia, Unse un accordo col maggior consiglio; ma, secondo avea concertato, il Direttorio francese ricusa le stipulazioni fatte con un corpo che era cessato d'esistere; ricusa le condizioni ma tiene gli obblighi; onde si decreta abolita l'aristocrazia, diano tre milioni in denaro, tre in munizioni navali, tre vascelli di guerra, due fregate. Breve: la rivoluzione repubblicana di Francia era nemica delle repubbliche e degli Stati piccoli, e voleva ingagliardire i forti e saldare le dinastie; cioè far ij preciso opposto di quel che vani ava. Dovea dunque abbatter Venezia acciocché se ne rinforzasse l'Austria. La rivoluzione era nemica dichiarata della storia, e dovea farle uggia la repubblica più storica e longeva del mondo. La rivoluzione volea tor via tutte quelle varietà, che son natura dell'uomo ed espressione delia sua spontaneità; e in conseguenza Venezia, il più bello sviluppo della civiltà non ristretta da dinastia. La rivoluzione per amore della regolarità geometrica, volea arrotondar la Francia, acquistando i Paesi Bassi; perciò avea mestieri d'un paese con cui compensar l'Austria, alla quale rimarrebbe Venezia anche quando Francia perdesse il Belgio. Infine, la rivoluzione è predominio della forza, e Venezia non avea cento mila uomini da oppor ai cento mila stranieri. Son ragioni abbastanza concludenti, mi pare; bisogna però aggiungere che troppo poco amore restava per le patrie istituzioni ; dacché l'opinione e la consuetudine non metteano limiti nei desiderj della vita e nei diritti dell'intelligenza, l'aristocrazia non poteva sussistere; e contro di essa fu fatta la rivoluzione, in modo che potrebbe ben risorgere Venezia, ma la sua aristocrazia mai più: il Dona, ultimo storiografo, non seppe dedicar una pagina a narrar l'assassinio della patria: il Cesarotti ebbe solo incensi per l'assassino; VitLorio Barzoni, che dal paese, poi da Malta seguitò a bersagliarlo, passò per un matto. Stabilita la municipalità democratica, cominciano le solite gazzarre plebee contro tutti i resti dell'antico dominio; si sciolgono i galeotti; si distribuiscono al popolo quattordicimila ducati; il dì della Pentecoste piantasi l'albero parodiando il Veni Creator, e si manda a sperpero e saccheggio il palazzo ducale, testimonio di tanta sapienza politica, tanta virtù patrio-tica, tanti omaggi di re, tante devozioni di ministri; 1 tributi di tutto il mondo, e la rarità di cui da secoli i viaggiatori faceano patriotica offerta, e i doni dei sultani di Ragdad, d'Egitto, di Costantinopoli, buttati in Piazzetta alla rinfusa, sono arraffati dal vulgo sovrano e dagli speculatori; stracciànsi le bandiere, monumenti d' insigni vittorie; si pone il fuoco al seggio ducale e al libro d'oro con ischiamazzanle solennità. Era spirito di disordine non di vendetta, perocché il basso popolo era quello che meno aveva a dolersi della Signoria. Buttaronsi specialmente sull'ai' elùvio degli Inquisitori di stato, e ne sottrassero o dispersero processi e carte, non de' tempi ultimi che s'avesse interesse a distruggere, ma degli antichi. Vien un momento, momento sciaguratissimo, ove i popoli infelici ridono di sè stessi e delle proprie miserie: delirio imbecille, che dà di-speranza di guarigione. E qui pure voltavasi in riso e in caricatura tutto quanto aveva formato la gloria e la compiacenza della patria U]. Seguirono le consuete depredazioni delle casse, poi dei capi d'arto nelle chiese e ne' musei; il Giove Egioco della biblioteca, il San Pietro martire, la Fede, il San Lorenzo del Tiziano; lo schiavo liberato e la Sant'Agnese del Tintoretto; il ratto d' Europa, il convito tli Paolo Veronese, una Madonna di Gian Bellino ed altri dipinti, e ducento preziosi codici furono preda della nazione liberatrice: fin da gallerie private si tolsero quadri e medaglie, e per ultimo insulto il leone della Piazzetta e i cavalli che diconsi di Lisippo, e portaronsi a Parigi, sciagurato monumento. Che Napoleone non avesse il sentimento del bello artistico ce ne assicura Denon, direttore de'suoi musei: ma volea radunar capi d'arte perchè così aveano fatto i Romani, perchè il vinto sentisse la sua vergogna, perchè anche in ciò s' attuasse quella centralità, eh' era la sua t(» Vedi la figura qui di contro. La caviamo da una serie di caricature pubblicatesi allora, la prima delle quali son ragazzi che scompisciano i diplomi; in un'altra Arlecchino e Brighella portanti al doge notizia della sollevazione di Bergamo. In questa che diamo, Arlecchino dice a Pantalone: « Per il passaa avi riduu addosso a mi; adesso mi rido addosso^ a vu ». In un'altra, Buonaparte e il principe Carlo partono dall'osteria, e l'albergatore domanda chi pagherà? Buonaparte risponde: .Non tocca a me;» il principe dice: - lo non ho denari. • Pantalon che sta dietroja carrozza, dice: « Amigo, pago mi ». passione. Spogliò dunque Venezia, e so non bastavan chiese e musei prese la galleria Bevilacqua, ricca di busti, oreficerie, ceselli, oltre i quadri: i medaglieri di casa Verità e Musclli in Verona17. A Lallemant, capo del sistematico ladroneccio, furono regalati sette cammei. Ogni patriotu vi ricorderà come delle armi bellissime e storiche, conservate presso il consiglio dei Dicci, facessero preda gli uffiziali; saccheggiato l'arsenale, andassero arsi o conquassati il bucintoro e i peatoni, di cui la ricchezza e gl'intagli 17 Le nozze di Cana di Paolo Veronese in San Giorgio Maggiore era lela tanto ampia ohe difficilissimo ne riusciva il trasporto e pericoloso,- eppure fu levala: ina se nel 181!» avesse dovuto ritornare, non sarebbe giunta che la polvere; onde Canova consentì rimanesse a Parigi; dove un inetto restauratore la danneggiò così che più non si riconosce. Quanto il fatto, fa ribrezzo il modo e l'inverecondo vantarsi. A Parigi pubblicavasi il Catàlogo dei quadri raccolti in Italia, che si esporrebbero tre giorni ogni decade al pubblico, e vi è detto che non sono che une potile de la moisson che i commissari ban fatto in Lombardia, e restava ancora a unir quelli di Venezia e di Roma; dappoi si ^minuzia che l'entrée trioinphalc da grand ennvoi d'objets d'atte et de sciences a eu J>-'« le 9 Icrmidor, an vii. E quando nel 1815 deveano restituirli, lagnavansi che e'est nous prive-r éu fruii sacre de nos vicloires. destavano meraviglia nelle feste del doge; si affondassero alcune navi; fossero distrutti tutti i segni tradizionali dell'autorità, fin Panello che il doge portava come distintivo di sua dignità, e che il giorno dell'Assensa buttava in mare, legato a una cordicella. I pii deploreranno tanti preziosi reliquiari' del tesoro di San Marco, e quel famoso della Croce, riposto in San Giovanni evangelista, ornato di bellissimi ceselli alla gotica, e rinomato (vi diranno) per numerosi miracoli, due dei quali attestati da decreto dei Dieci, e pei quali ogn'anno era processionalmente portato alle chiese di San Lio e di San Lorenzo; fu gettato anch'esso nella paniera degli argenti destinati alla zecca, e nel trambusto essendo cascalo il vasello che contiene il legno della santa Croce, uno spirito forte vi die del piede per cacciarlo da banda. Ben presto il profano ammalò gravemente di quel piede; confessò il fallo, e pregò che la reliquia, riscattata a oro da un pio e restituita alla chiesa, fosse portala al suo letto, su cui poco appresso egli spirava fra i dolori. Tanto denaro non basta : e Haller e Serruricr fanno darsi per ducento-cinquantamila franchi in catrame, il doppio in sartiame, altrettanto in ancore e ferraglie, treeentocinquantamila in sego e ragia, qualtrocento-mila in tela da vele, settecentomila in canape : Berthier aveva V ordine di spegnere fin le ultime industrie veneziane, quella delle margheritine ,s; e vuoisi valutare a 50 milioni di ducati lo spoglio pubblico. Fremcano i migliori Francesi contro questa soldatesca violazione di tutte le libertà, contro questo operar da rivoluzionarj al tempo che l'anelito ferino di sangue e turbolenza s'andava deprimendo per tutto: « Non « siam noi (diceva Dumolard) il popolo che proclamò come prinoipio, e « sostenne colla forza che sotto niun pretesto potenze straniero devono « mescolarsi nel governo d' un altro Stato? Oltraggiati dai Veneziani, - « avevam noi diritto di dichiarare guerra alle loro istituzioni? Vincitori « o conquistatori, potevamo noi prendere parte attiva alla rivoluzione, in « apparenza inopinata? Non cercherò qual sorte si riservi a Venezia « e alla terraferma; non esaminerò se 1' invasione di questa, meditata « prima d' averne motivi, non ò destinata a figurar nella storia come un « degno riscontro dello sbrano della Polonia ». E tale era il fremito in Francia, che Buonaparte scriveva al Direttorio (15 luglio), che i suoi soldati temeano di vedersi assassinati pei trivj di Parigi; che egli non potea reggere ai giornalieri attacchi di ottanta giornali; che bisognava finire cotesta tirannia; e come sua giustificazione mandava uno stilo, trovato adosso agli assassini di Verona. 18 Je n'ai pu rèussir, comme vous m'en aviez chargé par votre lettre, à enlever à Verme la fabrique des marguérilcs, scriveva Berlhier al Dircllorio I DEMOCRATICI m Ma Venezia straziavasi collo proprio mani. La popolaglia vedendo i Francesi rubare, rubare i predicatori di libertà, sì buttò a rubare anch'essa : nitri Veneziani, e non tutti ebrei, compravano il rubato dai Francesi e dalla popolaglia. Allora irruppe la febbre di mutar mestiero : un cattivo abbate si rendea politicastro, finanziere un filologo, oratore demagogo uno screditato giornalista, arruffato!' di plebi un adulatore di patrizj, libellista un serio filosofo inascoltato: alla democrazia, che schiude un'arena a tutto le forze e capacità, sottentrava quella che porta a spallucce i nani, che produce apoteosi senza virtù, avanzamenti senza merito, cariche senza cognizione nò probità; che impone silenzio alla moderatezza, alla riflessione, alla gravità, nccessarj contrappesi del moto smanioso. Ajudacia, ciancio e convulsioni bastavano ai saccenti, che vengono a galla ogni qualvolta si sciaguatti la feccia, è che por l'ingordigia d' essere qualcosa affollano mozioni e decreti, antesignani ogni qualvolta si tratta di dile-tiearc i potenti del giorno, siano o re o piazzaiuoli, purché lascino loro una settimana ondo soddisfare un'ambizione, un rancore, una cupidigia. Quella bordaglia, che ogni cominci amento di libera slampa contamina quasi col proposito di farla detestare, imbrattava fogli, tutti iracondia o fraterni vituperj ed empio diatribe, e denunzie e provocazioni contro chi non partecipasse al suo parossismo, e non no accettasse servilmente tutte le smargiassalo. Dai circoli palriotici partivano proposizioni spesso insane, sempre smisurate, come di chi parla e non opera. La sapienza e 1' esperienza accumulata dai padri in tredici secoli si sberteggiavano per razzolar nelle ceneri di Bruto e Timoleone, e Ingrazianirši i nuovi padroni ; non si sapea che ripeter lo massime divulgate in Francia; ogni re esser tiranno ,-puntelli suoi i proti e i nobili; sovrano unico il popolo, che può in qualsiasi tempo o modo recuperare gli usurpatigli diritti; unico governo legittimo la repubblica democratica; tutti pari davanti alla legge, e la legge è arbitra «lolle vile e delle sostanze, conio dominali ice del patio sociale. Il municipale Dandolo ordinava una lista di tutti i benestanti, per confiscare quel che avessero d'oro, argento, contanti, gioje di là del necessario: e solo 1' accidente impedì d' attuare un insano decreto della municipalità, che traeva al fìsco le sostanze eccedenti la rendita di cinquemila ducali. Cangiata la frasca, restava eguale il vino; al posto degli arisocratici faceano da tiranno i generali , i commissari di guerra, i municipalisti, più duri perchè nuovi, più avidi perdio sorti di ventura , più tediosi perchè vicini. Pèste di quella spedizione, i commissarj di guerra dilapidavano lo provinrie por impinguar so e le bagasce; o da per tutto prezzi ad arte rincariti, finte carestie, contratti finti, finii soldati, finti illustrai drl L. v Vol. II. Vi magazzini; si requisivano telo per gli ospedali, e andavano in vendila; promettcasi preservar da contribuzioni ohi pagasse, e pagato che avesse veniva disanguato; della chinachina, allora costosissima, laccasi traffico, mentre i soldati morivano di febbre; e Italiani teneano il sacco, e la connivenza de' superiori compravano a prezzo della coscienza, delle mogli, della patria. Che importa? il carnevale durava; in maschera uomini e cose: le Procurale nuovo e le vecchie dovean nominarsi Galleria della liberià e dell'eguaglianza ; sul libro del leone si scrisse, Dirmi e doveri dell'uomo e del cittadino; e tutti a legger giornali, tutti in teatro applaudire agl'insulti contro ai re, ai nobili, ai proli, ai magistrati; cittadini indossavano la carmagnola degli operaj; le donno procedeano seminude in tuniche all'ateniese aperte sul fianco, in farsetti all'umanità, cappellini alla Pamela, chioma raccorcia alla ghigliottina; e in satire e caricature scom-pisciavansi il lacero manto c le glorio di tredici secoli. Vero ù che non mancavano insulti all' albero della libertà, e alla putta col berretto surrogavansi in più luoghi le aquile e Viva l'Austria e l'arciduca Carlo; il che causò qualche supplizio. L'Austria pensò pescar nel torbido, e * volendo preservar la tranquillità de' suoi sudditi dallo spirito di vertigine delle vicine Provincie », occupò T Istria e la Dalmazia , e si stese fin a Cattaro , facendosi giurar fede da quello strano misto di razze, di culti, di lingue. Venezia chiedeva a Buonaparte snidasse quegl'invasori; ed egli le permise d'allestire una spedizione pel Levante. Como doveva essa andar a difendere i possessi suoi da quello, cui già era convenuto eh' essa medesima sarebbe data? Ma la ora una nuova perfidia del Buonaparte per trarre la flotta fuori del porto, e lasciare sguarnita la capitalo. Veleggiò essa in fatti a Corfù,ma con insegne francesi, e da Francesi fu preso anche il governo delle Jonie. Buonaparte facea far feste a Venezia, e sciorinar bandiere e canzoni e viva; e lasciava caricar di regali sua moglie; esso intanto a Campofor-mio conchiudeva il mercato (1798, 1G ottobre), assegnando 1' Adige e Mantova alla riconosciuta Cisalpina; Magonza e l'Isole Jonio alla Francia; a Casa d'Austria la lungamente agognata Venezia, col Friuli, l'Istria, la Dalmazia, lo Bocche di Cattaro. Il Villetard, infatuato e forse non colpevole stromcnto di quella infamia, annunziò alla donna dell' Adriatico (1798 gennajo) la sorto destinatale, promettendo ricovero e patria in Francia o nella Cisalpina a chi volesse : come un compenso, ai magistrati suggerì d' arricchirsi colle spoglie della patria; ma l'indignazione aveali tornati al sentimento del dovere, ed ebbe a roscrivero al Buonaparte: « Trovai ne'municipali animo troppo « alto sicché volessero cooperare a quanto per me proponeste: Cerche-. remo tfbera terra, risposero, preferendo all'infamia 11 libertà >. VENEZIA VENDUTA E COMPIANTA 8*3 Huonaparle rispondeva insultando al solito : « E che? la repubblica fran-« cese spargerà il suo prezioso sangue per altri popoli? I Veneziani sono « ciarlieri disennati e codardi, che non sanno se non fuggire. Se riliu-« tano arricchirsi delle prede pubbliche, non ò probità, non altezza « d'animo ». Ma quando ai loro lamenti (gli replicò, « Ebbene difendetevi », una libera voce proruppe: « Traditore, rendici quell'armi che ci hai carpite ». Perchè la fusione paresse spontanea, si volle qui pure la scoda dol voto popolare, e si disposcr bossoli nelle parrocchie dove votasse bianco chi per la liberici, verde chi perle circostanze. È inutile dirvi qual fu prevalente, e a grida di popolo volcasi inalberar senza indugio la bandiera austriaca, se i Francesi non avesser proclamato: // n'est pas convénable qu'en notte préscnce vons arboriez attenne couleur... Attendez apres notre de-part ». Venezia, ch'era vissuta tredici secoli rf423-l797) con pochissimo sommosse e neppur una guerra civile, cascò di sfascio, per cangiar poi sei governi in 50 anni: eppure, fra tante mine di quel tempo, questa eccitò indignazione e rammarico, a molti per interesse, a tutti per la viltà del baratto e pel conculcamento d' ogni pubblica fede, e lasciò un affettuoso desiderio in quegli stessi che erano compianti come suoi servi. Gli abitanti dell'Istria e della Dalmazia, che già avevano tumultualo contro i Giacobini, non sapeano darsene pace, e nel consegnare all'austriaco generale il vessillo di san Marco, versavano lacrime solenni al cospetto do' nuovi padroni ; alcuni no mostravano tale accoramento, che lin i soldati austriaci commossi permettevano che il conservassero. A /ara, portatolo in duomo, il maresciallo Stratico lo consegna al vicario generale monsignor Armani, che intonato il De profundis e lasciatolo baciar con entusiasmo ai cittadini addogliati, lo seppellisco. Gli abitanti di Porasto, nella cattedrale gli celebrarono esequie e lo deposero sotto P aitar maggiore come reliquia nazionale; e il primo magistrato del luogo, interrotto dalle lagrime, così parlò : « In « sto amaro momento che lacera ci nostro cor; in sto ultimo sfogo « de amor, de fede al veneto serenissimo dominio, al gonfalon della « serenissima republica, no sia de conforto, o cittadini, che la no-« stra condotta passada e de sti ultimi tempi rende più giusto sto atto ■ fatai, ma doveroso, ma virtuoso per nu. Saverà de nu i nostri fioi, ■ o la storia del zorno farà saver a tutta P Europa, che Porasto ha « degnamente sostenudo fino all'ultimo Ponor del veneto gonfalon, onorandolo co sto atto solenc, e deponendolo bagna del nostro univcrsal « amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti, coi quali sigilcmo la nostra gloriosa carriera, H't SjOfìiA DI \ I^XKZÌ A « corsa sotto al serenissimo veneto governo, rivolgemose verso sta in-« segna che la rappresenta, e su de eia sfoghcmo ci nostro dolor. Per « 377 ani la nostra lede, el nòstro valor l'ha sempre custodia per torà « c per mar, per tuto dove ne ha ciamà i so nemici, che xc stai pur « queli dela religion. Per 377 ani le nostre sostanze, el nostro sangue, « le nostre vite le xc stae sempre per ti, o san Marco; e felicissimi sem-i prò se avemo reputa ti con nu, nu con ti; e sempre con ti sul mar « nu semo stai illustri e vittoriosi; nessun con ti ne a visto scapar; nes-« sun con ti ne a visto vinti e paurosi. E se i tempi presenti (infelicis-« simi por imprevidenza, por dissension, por arhitrj illegali, per vizj of-* fendenti la natura e el gius dello genti) non te avesse tolto da l'Itali Ha, per ti in perpetuo sarave le nostre sostanze, el sangue, la vita « nostra, e piuttosto che vederse vinto e disonora dai toi, el coragio « nostro, la nostra fede se avarave sepelìo soto de ti. Ma za che altro « no ne resta da far per ti, el nostro cor sia l'onoratissima tua tomba, « e el più puro, el più grande to elogio, le nostro lagrime ». Intanto i vincitori e i trafficanti tentavano usurpare a Venezia fin l'ultimo diritto della sventura, la pietà, dilaniandola a guisa del giovinastro 'lic espone allo risate la donna ch'egli contaminò. Età odierna. o] 18 gennajo 1798 gli Austriaci occupavano Venezia e le 71 sue Provincie fin all'Adige, ponendo governator civile e - militare il conte Wallis, poi Francesco Pesaro, lodato da alcuni d'essersi assunto l'odio di quell'incarico onde risparmiar qualche male alla patria, diffamalo da altri per avere, dopo mostrato tanto amore per la vecchia patria, rappresentato i nemici di essa Dodici nobili furono scelti perchè giurassero fedeltà a nome degli altri ; e ben presto Erizzo, Gradenigo, Almorò, Tiepolo, Quc-rini-Stampalia , Giustiniani, Contarmi, Zusto accettarono impieghi, e così diminuirono il ribrezzo della do- 4 Si balle Io zecchino col nome dell'imperatore Francesco II, perchè servisse al commercio di Levante; ma i Turchi lo credettero falso, non conoscendo verun doge di quel nome. turnazione forestiera. Ma tutto vestiva aspetto di provisorio: allo antiche imposte convenne aggiungere quello di guerra; si ristabilirono i fedecommessi, aboliti dalla democrazia. Pure sotto Tali dell1 aquila, Venezia avea bonaccia fra le procelle che avvicendavano signori agli altri paesi d' Italia , laonde vi s' erano ricoverati la maggior parte dei cardinali, espulsi da Roma repubblicante; alla morte di Pio VI, vi si potò raccogliere il conclave nel convento di san Giorgio Maggiore: e restò eletto Barnaba Cbiaramonti (1800, 1G marzo) col nome di papa Pio VII. Ma il fondatore delle repubbliche italiane non seppe tenersi a quest'altezza, raccolse dal fango una corona, e presto s' intitolò Napoleone imperatore de1 Francesi e re d'Italia; poi rotta nuova guerra all'Austria, nella paco di Presburgo costrinse questa a cedere Venezia e le terre riservatele sulla sinistra dell'Adige, colla Dalmazia e l'Albania. Venezia dunque (1806, 3 febb.) diventava parte del regno d'Italia; il viceré Eugenio venne a riceverne il giuramento e le feste; e la repubblica distrutta in odio dell'aristocrazia, dio il cognome a nuova nobiltà, costituendovi dodici titoli di ducati, per premiare gli eroi ammazznpopoli -, fissandone la dotazione in 40 milioni che doveano prelevarsi sulla vendita delle co-mende maltesi. Napoleone, quasi ad espiar la colpa d'averla strozzata, moltissimi miglioramenti recò a Venezia; ancor più ne decretò venendovi il novembre 1807, ove gli si procurò lo spettacolo di cui era più ghiotto, quel d'una forza marittima. Incaricò Prony e Sganzin di scandagliare questo litorale; istituì un tribunale di sanità marittima, preseduto dal podestà; riordinò la carità pubblica, per un cimitero a San Cristoforo assegnò 100,000 lire; 23 mila per la biblioteca Marciana; 100 mila annuo per ripa- Duca di Dalmazia il maresciallo SouH d'Istria » Uessiòres del Friuli ■ Duroc" di Treviso Mortier di Belluno Victor di Conciliano » Moucey Cadore il ministro Champagny lìassano Maret di Feltro il general Clarke Padova • Arrighi Rovigo » Savary oltre il duca di Uagusi maresciallo Marmont. l.a Dalmazia conservò J'antico sistema, governala da un proveditor generale: tinche nel 1H10 fe parte delle Provincie illiriche, amministrate direttamente dalla Francia, e ehe cuinprendeano l'Istria, la Carinlia, la Carniola , il Friuli, le due Croazic , la Dalmazia, Callaro e Uagusi. REGNO D'ITALIA 227 raro i ponti o i canali; la riva degli Schiavoni si prolungasse lino ad un giardin pubblico, pel quale si distrussero cdifizj ricchi di pitture e sepolcri, spendendovi 400,000 lire; un altro alla Giudecca con piazza d'arme; consolidò cento milioni che la repubblica doveva alla Zecca e al Banco; protesse le lagune coi forti di Malghera o Brondolo; eresse un palazzo regio che distona fra lo due Procuratie, e dove Moro, Borsaio, Berioiani, Dentin, Haycz, Giani s'ingegnarono d* emulare i grandi pittori della repubblica. Da Antonio Selva che n'era professore fe ridur la Carità ad Accademia di belle arti (Vedi qui dietro), ponendovi presidente Leopoldo Cicognara, storico della scultura: uria strada, partendo da Lizza Fusina, per Padova, Vicenza, Verona, Brescia arrivava alla porta Orientale di Milano, percorsa da regolari diligenze. L'isola di San Giorgio fu ridotta a deposito franco di merci forestiere non inglesi. Venne riordinata l'istruzione con licei in tutte le città. Venezia diceasi seconda città del regno, e dava titolo a! principe ereditario, ma realmente era nulla più che capo di provincia; tollo ogni commercio, perfino il traffico dello conlerio e dei drappi che spedivansi in Levante; i beni nazionali non trovavano compratori che lo Sialo o forestieri. Prefetti del piccolo dipartimento furono il conte Marco Ser-bclloni di Milano, poi il barone Francesco Galvagna di Novara: patriarca Francesco Gamboni dopo il sant'uomo Giòvanolli. Intanto di 228 cdifizj dedicati al culto, 170 si chiusero, confiscando 30 milioni di franchi, appartenenti a quelli, locchè chiamavasi toglier i beni agli ecclesiastici, por disporne secondo i canoni. Le parocchio da 70 furono ridotto a 30 come ora sono, col che belle chiese si sottrassero alla demolizione, toccata ad altro poi decreti del 1806 e 1810. Nel 1812 si istituì una Casa d'industria per escludere i questuanti. Conlinuavasi anche ad asportar capi d'arte pel museo Napoleone ~. Per esigere Io imposto fu ." Jacobo Morelli, passionali) por la biblioteca yrcdi pa27 iti una straordinaria carestia. V'eri pure il soccorso per lo convertite dalla mala vila, uno pel catecumeni, uno per le zitelle pericolanti; tulli governali da congregazioni laiche. BENEFICENZE. C AH ATTERE 23"> Seeriman, di famiglia persiana ricchissima, da duo secoli accasata in Venezia (1850). I cavalieri Giacomo c Isacco Trcves nel 1851 davano al Municipio 00,000 lire per fondar quattro grazie annue da distribuire a poveri e aitivi operaj o barcnjuoli di esemplare condotta , secondo il giudizio del parroco e de"' promotori. Abramo Lattes, rabbino maggiore della Comunità israelitica, nel 1857 istituiva un sovvegno per reciproco soccorso degli Israeliti. E generosa ili carità la Fraterna 7, divisa frale 30 parrocchie, che va anche a cercar il povero nel suo tugurio mediante visitatori; ma a tacer le riforme che altamente reclamatisi al suo regolamento, questo palesa a che grado sia la miseria, giacché viola di concedere soccorso maggioro di lire 0 in una volta (art. SS), nò di dar al povero più che un pagliericcio con 30 libbre di paglia, tavola su cavalietti, e la coperta solo da novembre a marzo, quando gli ò ritirala. Eppure il popolo, stracciato di panni e di biancheria, e campando di misero vitto, si mantiene gioviale, spensierato, voglioso di foste. Ma più non può dirsi che sente bisogno del canto Come i pesci han bisogno del mar, e le vi liete, cantato sulla chitarra o sul colascione, e i balli del nió cessero il luogo ad arie di teatro e acanti fatti da maestri. Ancora conserva un rispetto istintivo per chi porla la velada : e mentre si ride degli illustrissimi d'una volta, che, mal colla toga ricoprendo le brache sdru-scito o il panciotto lacero, a tulli però esibivano la loro casa, la loro borsa, la loro protezione, anche adesso si profondono cortesie ed esibizioni senza conseguenza; ogni rivendugliola vi dirà una graziella, pronta a convertirla in grossolani rabbuili. Se quel poltrire fosse un Confidarsi nella Frovidenza che « manda la piegorina e po anche V erbesina », sarebbe solo a compassionare, ma uno scrittore che non la cede a veruno nel 7 Le deputazioni Internai] furono organizzate noi 18!ì(l. Tulli i parrocchiani che contribuiscono liro 2. 31 l'anno costituiscono la Fraterna, al cui convocato generale Spetta il nominar un cassiere, i visitatori, medico e chirurgo. Vi presiede il parroco con tre promotori triennali, e a tulli il patriarca col podestà e con IO deputati , fra cui Ire legali, e divisi in Ire sezioni, amministrativa, eleniosiniera, della cassa. Possono insinuare i meritevoli di soccorso agli altri istituii pii di Venezia, ma non hanno inferenza alcuna su di essi, eccetto sul Manin. Giusta il conto del isso, la totalità attiva fu in capitali lire 8,348,791 d'interesse ÓUII.No'J la passiva di capitali lire 8ÌM,733, d'annuali 400,7j0. Le oll'erto annuali degli abitanti nel 4836 sommarono a L. 7!>,tl'i:[nel lSo« L. 38,818. Il numero de'poveri registrati era nel 1837 di {0,779: nel 1848di 3'»,l!):i : nel 1 SoU di 3:;,i,"0. cioè più del 30 percento della popolazione, olirei poveri Israeliti. Con gran fatica si ricu" però alcuna parie degli ingenti capitali che la benclieenza avea sulla Zecca della repubblica' Nel 4837 si slampò dallo Sceriman un buon libro Intorno alt"amministrazione detla pubblica beneficenza in Venezia; e lin dal 1840 uno del, Castrini Sulla miglior distribuzione della pubblica beneficenza. 254 STOMA DJ VENEZIA lodar la patria, e che non rifina di protostarlo prima di dir il vero, trova che « il peccato principale nelle pareti domestiche del popolo è la imprevidenza nella educazione dei figli, lasciati in balia di sè stessi, e ancor bambini esposti ai mali esempi dei trivj, e sopratutto a quello tli sozza e bestemmiatrice favella che sventuratamente fra noi è radicata. Parlare e bestemmiare è ora continuo s... La imprevidenza del popolo (segue egli) è grandissima: il domani è vocabolo ignorato da gran parte del popolo; il futuro si confida alla carità pubblica. Un domani solo si conosce, e sono le feste. Ne' giorni di pubblici spassi si sciupa il guadagno della settimana, e se non basta, si mettono a pegno vesti e masserizie domestiche. Gli allettamenti crescono ogni dì, e specialmente i luoghi dove si abusa dei liquori alcoolici. Ivi le veglie sono protratte lino al nuovo sole, vi si conducono le mogli e i figlioletti, e imparano quello che dovrebbero ignorare. Il lotto è una delle piaghe più inciprignite e dolorose del popolo di Venezia, che si toglie il pane dalla bocca per la speranza di arricchire senza fatica. Abbiamo la Gassa di risparmio, ma non ottenne mai il suo scopo: poi chi l'ha mai fatta conoscere al nostro popolo? La Cassa di risparmio, alla quale esso ricorre è il Monte di Pietà. IVha poi una segreta, alla quale consegna tenui ma continue somme, pagando esattamente la lassa ogni settimana a un cosi detto cassiere , per far in capo ad un anno uno o due giorni di gozzoviglia (La peata). S'aggiunga il trasmodare nelle esteriorità religiose, a tale da renderle meglio profanità che altro, farle argomento ti' invidio, di gelosie, di superbie, del voler sopraffarsi una all'altra chiesa nello splendor do'lumi, nella teatralità delle musiche e degli apparali, nello scampanio che assorda, nella scella de'più magniloquenti oratori » *. Tralasciamo il resto; e ricorderemo solo che le antiche confraternite sussidiavano ciascuna i suoi membri; e v'avea sovecjui cioè compagnie 8 » Noi Veneziani fumino teslimonj di non remolo pqrVellimonio del linguaggio del popolo, impregnatosi d' imprecazioni, di esecrande bestemmie, di oscenità portino nell'a-miclievole celiare; trasfusosi con rapido corso tino a' fanciulli, clif, a giudicarli dalla parola, li pajono già eruditi in ogni maniera di sensualità e di stravizzo, appena sciolti dello scilinguagnolo it, Sorriaian delia pubblica beneficenza. Il Sagrbdo, Sulle consorterie delle arti edificative, ÌK1J7. ' (Jià nella relazione fatta in Prepadi il 18 aprile MV1 sopra le rifoime ò scritto: < Il nostro popolo, se si osserva la frequenza ne'sacri lempj e le opere di pietà diesi sono falle,e che tuttavia si fanno, è uno de' più devoli fra' cattolici: con lutto ciò, porche a torto lusingasi ogni venditore che l'industria propria, benché god Urico dell'altrui danno, non sia per aggravar la coscienza, però regna una lai mala fede nel!' universale e così sfacciala e tanto immune, che, per quanto un simil vizio derivar possa dalla nessuna educazione, oi conviene pensare alla maggior necessità di ripararne i danni cercando di far bene succhiare all'universale lutti rpiei principi, die spiegano i doveri del suddito VCW8 il principe, d'ogni particolare verso i suoi sjmili ». CARATTERE 23o di carità fraterna; i gondolieri di traghetto poi raccoglievano, e raccolgono tuttora, il soldo per l'amala, dando un soldo al giorno ciascuno per soccorrere al fratello infermo. E il tipo che sopravvive di Venezia è il gondoliere; servitore e amico della casa, turcimanno del padrone'e confidente della padrona, che si appassiona pei loro come pei fatti suoi: che, finito di servire di remo, dà mano a rassettare la casa, a servir in tavola, riservando a se il cuocere certi pesci: ama la sua gondola come il dragone ama il suo cavallo, la lava, la spazzola, si gloria di non dare mai d'urlo con un'altra per quanto angusto sia un passaggio, e lancia bestemmie al camerata che gliela strisciò; e v'assicura che colla sua potrebbe andar lino a Trieste. Ma del resto quella vita cosi caratteristica della Venezia antica va cedendo alla uniformità che intitolano civilizzazione: il faziol dell'opc-raja come il sondatelo della cittadina fan luogo alle mode di Francia , divenute prepotenti nel vestire come nel pensare; non trovi forse uno che sappia il Tasso, generalmente cantato or fa 50 anni. Bisogna andar nelle isole, o no' quartieri più segregati, chi voglia trovar quelle donne ciaccolone, e quegli altri caratteri che vivranno eterni nel Goldoni; vederli ancora mangiar la fritola e la zucca barucca, non mcn cara alla plebe che ld caramelle alla gente di recapito. La quale conserva l'abitudine di poco adorare gli Dei Penati, e non farsi trovare in casa, ma piuttosto sotto le Procuratie e ai caffè, disimpegno ed economia: un vero veneziano dichiara perduto il giorno che non sia andato in piazza. E volentieri neglige i proprj affari, affidandoli a merecnarj agenti, mentr' egli si crogiola in letto, lingueggia sulle pancacce, o si occupa al teatro. Va dileguandosi quella generazione, che, fedele alle consuetudini paesane, durava sul caffè sino alle 3 o alle 4 dopo mezzanotte, o a dondolarsi, a tassar il terzo e il quarto, a ripetere e occorrendo inventare cronache scandalose, a stillare allusioni osceno , a rifrigger motti, a dir male di tutto e di tutti, in mezzo a frasi le più dulcoratc di anima mia, mio tesoro, caro vecio. Per verità il sor Tonin Bonagrazia cede alle abitudini soldatesche e inurbano del nostro progresso, al quale però dicono non siano soccombuti don Lelio e don Marzio: quell'ignorante e rozzo Chioz-zotto, che fin davanti a persone civili, fin a donno, teneva in bocca un mozzicconc di pipa, se era allora il tipo della plebeitì, or ha imitatori fin tra persone che portano la giubba e si educano ne' giornali. Ben' è smarrito quel Florian, amico e confidente di tutti, conscio di tutti gli all'ari pubblici e privati; al cui calte faceasi ricapilo per tutte le lettere, pur tutti gli appuntamenti; da cui sapevasi come stava ogni malato, e chi fosse partito, e chi arrivato, e chi il galante d'ogni donna, e chi il creditore d'ogni casa, e la sanguisuga d'ogni patria)aio, e quali fossero m STORTA DI VENEZIA molli dabbene del Sior bìloba l0, e gli arguii del Gobbo di Rialto. I caffo iO II Sior Antonio Rìoba, equivalente al Pasquino di Roma e all'Uom di pietra |di Milano, è una golia caricatura infissa a'un palazzo ardi iaculo ilei secolo XVI, clic pare appartenesse a mercanti Turchi, donde alla vicina strada venne il nome di Campo dei Mori. Sulla fondamenta che vi conduce si trova la casa del Ti Morétto, che è questa: AUTISTI 237 oggimai son quelli che allrove, luoghi di consumazione e di ritrovo, dose si leggono lo gazzette o per maggioro urbanità si fuma ; e se sono meschini nel!1 interno, di fuori si estendono sulla più magnifica sala che la luna rischiari, piazza San Marco. Tutl'altri diventano in carnevali', con quel via va di mascherine vivaci e di sguajati mascheroni a dir una graziola o un'impertinenza, a dar una lilla alla gelosia, alla dabbena.uruiui\ all'avarizia, finché giunga il martedì finale (V. pag. 70;, in cui tra liscili e schiamazzi si seppellisco il carnevale; poi quando i rintocchi del campanile annunziano mezzanotte, a quel baccano sollentra il silenzio in piazza, por rinserrarsi alla Cavalchina nella Fenice lin a giorno; — e lascia die se ne lamenti a sua posla il patriarca. Se alla taccia d'amar troppo il dolce far niente, i Veneziani non mostra no adontarsi, e ne versano la colpa sul clima, sullo scirocco, non si creda però abbiano negletto i buoni studj. Una nuova scuola artistica si insignì coi nomi de'[littori storici Hayez, Demiri', Lipparini, Grigo-lelti, Santi, Schiavoni, Lorenzi, Querena, Busato, Servi, Darif, Fabris, Dusi, Molmcnti, Bello, de Andrea...; dei paesisti Borsaio, Cecchini, Viola, Stella, Bosa, Pividor. ..; degli scultori Zaiidomeneghi, Miriisini, Bosa, e di quel Ferrari che Val pei tanti che tacio. L'architetto Diedo, segretario all'Accademia, scrisse d'arti collo stile e l'ammirazione ridondante che usava allora, e con giudizj preconcetti e incoerenti, così diversi dagli incisivi d'un suo successore; die molti progetti regolari, simmetrici, ma miseri, accurandovi i rapporti aritmetici e le regole di Vitruvio e di Palladio, al quale inginocchiandosi, scorbacchiava il medio evo ed il rinascimento. Del Santi, immaginoso ed eccletico, sono le illaudevoli costruzioni di San Silvestro e del palazzo patriarcale. Il Selva disegnò il giardino pubblico, troppo regolar.; e senza sorprese, tantoché or si si ima meglio rifarlo; o per quello, come allrove, non rispettò le fabbriche vecchio; lodevole però nel teatro della Fenice, eretto su area ir-regolarisalma, sebbene con gretta decorazione: celie arso il -12 dicembre 1836, fu ricostruito sul piano slesso dal Meduna. Il teatro di San Benedetto, lavoro del Costa nel 1785, fu rifatto nel 1804 dal Chezia; quel di San Samuele fu eretto nel 1747 dal Mauri; il vecchio di San Griso-storno fu denominato Malibran da una famosa contatrice. Il lavoro delle stamperie lornò vivo , c dopo quella d' Alvisopoli , piantata dall'ardito Bettolìi e assistila dal diligente bibliografo Gamba, borirono quello del Gondoliere, del Tasso, dell' Antonelli, del Nara-lovich... Gli studj ebbero felici cultori, e i Veneziani ricordano con amorevol rimpianto i lor poeti Career o Pezzoli; gli antichi nomi dei Manin, dei Sagredo, Foscarini, Contarmi, Dandolo, Giovanelli... furono ripetuti con lode Ittmiraz det L. v. Vol II. ."51 letteraria Al teatro portarono novità od ebbcr lodo Dall'Acqua, Fambri-Solmini, Piemartini.... Lo storia fu rifatta, por le arti da Cadono, Lazari, Selvatico...; por la musica dal Caffi; por lo leggi da Chiodo, Manin, Fapani..; per le monete da Manin e Zon; perla erudizione da Cicogna, Cappelletti, Tiopolo...; por lo famiglio dal Vollo; pe' luoghi pii dal Po-rotti; per le hiogralio da Veronese e Zon; por la descrizione dal Quadri, dal Paolelti, dal Soravia, dal Moscioni, dal Fontana, dailo Zanotto , dal Dicdo; per io veduto da un'infinità, sinché la luco stessa ebbe incarico dalla scienza di ritrarle inarrivabilmente. La storia di Venezia è venuta una moda; molti forestieri la stesero, la compilarono, la romanzarono; moltissimi nostri la tentarono in lungo, in breve, con presunzione, con studio, con petulanza, curi coraggio, con pusillanimità. Ma qual sinora fu compita, elio possa darsi ai nostri e agli stranieri in sostituzione di quella tanto parziale del Daru? E par che i più industri si proponessero piuttosto di rovistare ciascuno gli errori dei precedenti, con qualche nuovo qualsiasi documento abbatler una serio di l'alti che si rinfiancano a vicenda, schernirsi e vituperarsi l'un l'altro, e tutti insieme avventarsi contro qualche sincero che osi toccare al manto della antica regina, prendendo per ingiuria ai vivi la lode data ai morti, per rafi'aecio ai disutili l'incoraggiamento dato agli operosi. Nessuna, che io sappia, fu tradotta dai forestieri; lo forestiere noi traduciamo, e lo critichiamo si, ma a quelle ò almen concesso dispensarsi dall'esagerazione, che dai nazionali si esige. Perciò, mentre tanto si rimugina e indaga il passato, mentre non va nozza, non altra solennità senza che si pubblichi qualche inedito documento, non e fatta una statistica del"paese, quasi l'eloquenza dei numeri e la rivelazione dell'attualità svogli e sbigottisca Troppo ò facile, nelle storie "municipali, angustiare la morale e la politica con vedute parziali, dar valore a fatti e aneddoti che alterano il giudizio e immeschiniscono i concetti: ma che non può sperarsi ora dai lavori discordi eppur convergenti di Romanin o Cappelletti, di Mulinelli e Dandolo e d'altri? E coll'austero culto della verità,degna di uomini; non con adulalorj allu-cinamonti quali si convengono a stamacuzzi di carta, non con pateticume o ti L'averne fallo particolareggiata menzione nella Scorsa d'un Lombardo ci dispensa dall'invidioso compilo di (ini ripeterà gl'illustri viventi. l'2 L'opera più importante resta ancora quella pubblicala in occasione dell'ultimo congresso scientifico, in tre enormi volumi col titolo: Venezia e le sue Lagune. Neil' Istillilo di scienze, lettere ed arti esisle una commissione apposita per I' illustrazione topografica, idraulica, fisica, statistica, agraria, medica delle provincie venete; e dee trattare 1.° la geogralia e climatologia; '2° l'idrografia ; r>." la geologia e mineralogia, 4.° la botanica; li." la «oologia; 11." l'agraria; 7." la medicina; 8." la statistica civile, riguardante la popolazione, la moralità, r Industria LETTERA! J 250 con declamazioni si rigenera una nazione; ma neppur so chi abbia ritrailo la vita del paese in qualche romanzo vitale: e mentre Francesi, Tedeschi, Inglesi ci hai) pieni di Foscari, di Bianca Capello, di Fallieru, di Erizzo, di Hallo delle Spose, di Canal grande,-avvezzando il mondo a una Venezia di teatro, di romanzo, di canzoni, totalmente diversa dalla vera; e mentre libri si fecero per confutare gli sbagli deIF'*4nto»?o Fosčafmi di Niccolini, del Carmagnola di Manzoni, del Bravo di Cooper . . . ., ci manca t? equivalente, non dirò do" Promossi Sposi,, ma fin del Damiano. Giornali nascono e muojono tulli i dì, e di savia moderazione o di gusto educalo porge esompj Punico annoso: quelli schernevoli o denunziatori mal v'attecchiscono. Ma degli scarsi frulli non ultima causa è il predominio del genio critico. Che chiunque lavori sopra Venezia, di due coso è certo: la prima di trovar copiosissimo e sconosciuto notizie, un' eccollenlo'disposi-zione di materiali, e affabilissima liberalità nel comunicarli, sia dai pubblici, sia dai privati tesori ; la seconda, di veder la propria opera accolla collo spallnccie, malmenata, derisa, non solo dai petulanti ai quali il diritto di disapprovare; chi fa nasce dal non aver essi mai fatto nulla o dei nulla, ma lin da quelli che gli avranno coadiuvalo, o che furono invocati a renderla più compilila e meno fallace. « Piglia del legno e fa it dieoa quell'artista, Mala cosa! (scrivea quell'altro). Chi esamina, chi logge? nessuno. Comprai! tulli la gatta in sacco: basta un1 occhiala al frontespizio e tuli1 al più alla prima pagina. Dicon brave non già per intima convinzione; non che sappiano perchè lo dicono; ma por complimento, per moda, perchè si tratta d'un articolo scritto in biasimo altrui; e del biasimo dato agli altri ciascuno si piace quasi di lode che a lui sia data ». E il Veneziano ha por proverbio « Xe più facile consegiar che far » ; del che, seno mancasse altra, avreste in prova la presento storia, o lettori, che noi abbiamo inteso darvi breve e spiccia, affinchè nel visitare o nello scorrere Venezia, siato ajulali a conoscer le memorie di cui essa è piena, e in alcuna guisa connetterle. Se degli storici anteriori alcuno avesse trovato la lilosolia di quella storia, cioè il punto supremo al qual rannodare i falli parziali, noi vi avremmo risparmialo il tedio di questa, che alle dispulazioni de' gran savj abbandoniamo, modestamente ricoverala fra una schiera di collaboratori. Ma allorché il caleidoscopio del lSi7 o gli spasimi del 48 ni' accingevo ad esporre, un amico mi appuntò che ripetevo cose da me stesso già altrove distesamente e intrepidamente narralo Meglio dunque Lse ir> Vedansi i cap. IDI e {'VI della nostra Storia degli Italiani. voi ricorrerete a qualche veneziano testimonio e parte, allineilo vi racconti come Venezia Non rinnegò le splendide Glorie del suo passato; Neil' agonia d'Italia.... Sola nel campo uscì: E rovesciò le vigili Falangi.... S'assise sulle inutili Bocche dei lor cannoni ; Del sangue il gran battesimo Ai ligli suoi donò: Poi nel suo lotto d'alighe A riposar tornò. Oh! chi incolperebbe una decorosa compassiono per falli che il vin-ciloro medesimo rispettò o compianse? Udrete dunque come, venuti, mercè do'pensatori prudenti e dell'opposizione legalo , i tempi in cui la ragiono può chieder conto alla forza, nell'autunno dol 1847, quando tutta Italia s'arrabbalta\a a schiodarsi di croce, fu radunato a Venezia il congresso degli scienziati n o questa dell'Adria ondoso Donna afflitta ed irnmorlal, Dal suo gelido riposo Di conchiglia e di coral Levò il capo e mutò i panni * Contemplando un segno ancor Do'suoi mille o dugent'anni Di fortezza e di splendor. La marea ascendente dell'opinione, che vi si manifestò nelle dispute e nello dimostrazioni, nell'applauso e noi silenzio, fu, non la causa, ma il sintomo d'un esantema, eh' erasi appigliato anche alla serena vedova nell'Adriatico. Al rumor della rivoluziono di Vienna, si esultò qui d'aver ottenuto la costituzione (18 marzo 1848), eri, oboli dali olla gran mendica, restavano nulla più che promesse : o tre milioni al mese voleansi per le spese. Furono chiesti gli ori e gli argenti delle case, e lìiron «lati volonterosamente; si aperse un prostilo di dieci milioni con ipoteca sui palazzi pubblici; si slabili un banco che emise biglietti «li corso forzato: i privati offrivano cambiali, letti, vesti, biancherie; il Comune offriva garanzia pei presi iti. Intanto bisognaci difendere 70 miglia di fortificazioni, ma so in terra si lecer mirabili prove, la flottiglia non secondò altrettanto : o già le inni nemiche aflacciavansi ai Murazzi, o 110,000 Austriaci con Ilavnau e con tremendo materiale d1 assedio circondavano il litorale. Riferiscono i suni storici che 20,000 vite costò quel ricupero all'Austria, e più lesoci o sangin1 che non le due campagne di Piemonte. Il po^daccio, come do-vea chiamarsi ogni volta che non imitasse i fragorosi, nel grido di t Viva Manin • esprimeva l'amor dell'ordine e la sentita necessità «li subordinazione; e mostrò: eroismo meno nel combatterò che nel sostenere le privazioni, le lentezze d'un blocco, poi «l'un assedio, l'abbandono de' potentati, le sonoro esibizioni dei fiacchi, la fame, il cholora, infine le bombe che, da pezzi inclinali a 45 gradi, erano lanciate alla non più veduta disianza di fjOOO metri, arrivando fin presso San Marco. Quivi e a Castello s'all'oliava a pazientare e a perire il popolo de"(|iiarlieri più settentrionali , «love intanto i prodi pugnavano, sostenendo, morivano. Diciassette me i di resistenza ben redensero l'obbrobrio dell'altra caduta senza ostacolo. La gazzetta dell'11 agosto diceva: « Pari a questi giorni non vide mai il sole, che illumina da 14 secoli quest'unica città. La grandine de' projelli spesseggia. Gran parto, le bombe seppollisconsi innocuo nell'ampiezza dalla laguna; non poelie danno sui tolti, sullo piazze, sui trivj. l'alfe, infoca tic o no,-battono assai più nel cuore della città. Le granate o racchette solcano l'aria senzn interruzione, c, da tanti scoppi non di rado il fuoco si apprendo ad un edilizio. Lo svolgersi «lei fumo e disila fiamma ò rapido: più rapiilo l'accorrere do'nostri pompieri: ivi arrampicarsi come scoiattoli su per le mura, guadagnar i tetti, sospendersi su' pivoipizj, lottar col fuoco che gli avvolge, o con quello che l'inimico rigurgita sul sito cui s'avvede d'aver colpito......Clio sia stato coraggioso il nostro patire n'è questa una prova, che, nella periferia soggetta al turbinar nemico, poche case emersero immuni; o ben 2i,000 proietti avrebbero cagionato morti innumerevoli, ove o l'esigilo «lai «lolci tolti, o il caso o ìa Previdenza non ne avessero preservato tante vile preziose *. Alla fine fu forza cedere; e benché il tempo dei patti fosse passato, si ottenne da Radelzlsv piena amnistia, solo obbligando alquanti a partire: si eonserverebbe valore alle ccdblc comunali, spegnendoli1 a carico della città stessa; nessuna multa di guerra. DII-KSA E CADUTA }|3 Al 28 agosto l'aquila tornava a metter il suo nulo noi covile del leone Prima elio la storia possa raccontar quei fatti, li raccontò la tiranna opinione, e ancor s'intesero i solili cori di voci opposte. E gli uni gridavano: — Venezia insorta, per istoria e per località non poteva essere che repubblicana; suoi capi quei ch'avevano sofferto per essa; suo uffizio, profittar della postura per reggersi, foss' anche da sola. Volle adulterar coi re; meritò di cadere. E gli altri gridavano: — Venezia non poteva che unir le sue. sodi a quelle di tutta Italia. Che libertà? che storia? bisognava redimersi, ne altro modo n'avea che ricoverar sotto un manto regio, eliminare per tal modulo invidio delle -ótllà^sorello, e meritar riguardo nei consessi de" diplomatici, e veder palleggiata la sua redenzione da chi tenea la spaila per poterla imporre, E ancora qualche voce isolata ardiva dire: — O esagerati, voi nulla dimenticaste e nulla imparaste: voi credete sempre di poter compierò colf'a■■ zinne ciò che sapete esprimere colla parola; voi sterminaste le speranze di jeri, voi aduggiate quello d'oggi, vm impedite lo schiudersi di quelle di domani. I civili torsero le albagiose spalli; da chi cos'i parlava; i beffardi, razza tanto cresciuta, lecer una risata e schiavo; qualche fanciulla, qualche madre continuò a recarsi religiosamente a versar lacrime sulla fossa d" un prode che cadde da eroe ma inosservato (redi la figura'); il gondoliere buttò per terra il berretto che solca buttar sotto ai passi di Manin, poi ripigliando rassegnato il suo faticoso guadagno, esclamò: « 8c xc àmia i miei, no xè andà i dei 1:1 ». E Venezia stette al ben e al malo della Lombardia, attraverso al luugo governo militare provando quanto soffrano i popoli sotto un potere eh' è costretto provedere alla propria conservazione : puro con dignitosa mestizia, ricordando che un'ora di solo può rasciugar molti bucati, assistette al lento rimettersi dell'ordino civile e pacifico; restaurato il quale, essa potò di nuovo allietarsi di quo' progressi, che invocano pace, sicurezza degli averi, giustizia esatta, moralità, intelligenza, fiducia che i governanti vogliono il bene, e che lo conoscono "\ il\ Se SOrt perduti K'i anelli, non son perdute le dita. tli Tulli questi beni appariranno dalla nostra statistica. Dei due prirnarj iierxuiaggi quella rivoluzione, uno vive poveramente a Torino della letteratura, in cui è sommo; l'altro morì leste a Parigi, dove si sostentava colle proprie fatiche da maestro e di» avvocato; mori redole alla causa assillila, ma esecrando chi vuol farla trionfar coi deliU,., e ■ strazialo il cuora dalla vergogna del sentire ogni giorno di falli atroci, di pugnalato ''he succedono in Dalia . . . opera d'uomini che si chiamano patrioti, e clic furono pcr-vei-t i ti dalla teoria del pugnale Lettera del Manin 2o maggio IMI: DIOCESI E PROVINCIA DI VENEZIA CHIESA DI VENEZIA a) Origine e svolgimento della Chiesa veneziana. Dal trasportarsi che fecero nelle lagune i vescovi di Àquileja, di Concordia, di Aitino, di Oderzo e di Pai lov.a, come in luogo più sicuro per l'arca del Signore, nacquero i vescovati di Crado, di Caorle, di Eraclea, di Jesolo od Equilio, di "Porcello, di Alalamocco e poi di Chioggia , molto prima che Venezia n,' avesse uno proprio. \ In questo capo ci c.oudjuvò l'aliale. Pietro Magna. Por noli/.ie maggiori rimelliam alla Italia sacra deirtJghclli, al senatore Flaminio Cornarti nella sua vasta opera Ialina sulla Chiesa Venata e torcelhma; al prete Galncciolli rieffe Marnarle venete■avttìche, profane ci ecclesiastiche; al padre Grandis nelle Vite e memorie de'santi spettanti alle c'iìeyte della, d/aceti di Venezia, con una storia succinta della fondazione delle medesime; e a tacer di altri, all'abate Cappelletti che ora conduce una storia della Chiesa di Venezia dalla origine fino ai giorni nostri. Caprile (Caorle), così detta dalle sue capre, e silo un dì ragguar devole della Venezia marittima, ad otto miglia dalla prima città cresciuta pei rifuggiti da Concordia, fu la prima ad avere proprio vescovo ne] t')dc\ da san Gregorio Magno: durò (ino al 1818, quando tal sede fu unita a quella di Venezia. Eraclea, prima residenza dei dogi, comincia la serie de' suoi vescovi con san Magno, già vescovo di Oderzo, e continuò sino al 1440, quando fu incorporata al patriarcato di Grado. Più a mezzo giorno gli Opitergini, gli Asolani e quei di Feltro fondarono altra città, trasportandovi dalla patria infìno alle pietre, e chia-maronla V esulo (Jesolo) ed anche Equilio; ebbe vescovo proprio, e destò la gelosia di Eraclea, con cui sostenne lunghe e micidiali lotte. Sì per questo che per lo incursioni di re Pipino e degli Ungheri, e per la mala aria decadde a segno, che Paolo II nel I4GG ne soppresse il vescovato, assegnandone il territorio al patriarca di Venezia. Alcuni pii nel 4487, giovati efficacemente dal patriarca veneto Maffio Girardi, vi eressero una chiesa sotto il titolo della Nunziata c de1 santi Giambattista e Rocco, in servizio e a conforto spirituale de' poveri coltivatori di quo1 terreni : ma di questa, come delle molte antiche chiese e d'altri edifizj « appena i sogni delle ruine il lido serba ». Altino ai tempi romani nella Venezia terrestre fioriva per commerci e frequente passaggio da Ravenna ad Aquileja. Convertita di buon' ora al cristianesimo, divenne sede di vescovi, fra cui santo Eliodoro, che ella prese in patrono speciale. Da Aitila distrutta nel 452, non no riinane che la memoria, e a mala pena si può determinare dove sorgeva. Gli abitatori dispersi ripararono in sei delle isole circostanti che, dai nomi tleli e porte della cara patria, vollero chiamare Torcello, Mazzorbo, Durano, Murano, Ammiano e Costanziaco : queste due ultimo sono scomparse. Partito d'Italia l'invasore, al luogo nalio in gran parte ritornarono ; ma costretti abbandonarlo di nuovo innanzi alle micidiali incursioni di Rotari re longobardo, col vescovo Paolo e col clero, e portando quanto aveano di più diletto e prezioso, si stabilirono a Torcello, che apre la serie do' suoi vescovi col suddetto Paolo e continuolla sino al 1818, (piando ne fu aggiunta la diocesi al patriarca di Venezia. Così i molti sopraggiunti da Aitino, che aveano fin dai tempi romani ville e giardini a Torcello, scorti dalla religione in questa ultima emigrazione del secolo Vii, e dalla religione soccorsi specialmente ne' due preti Geminiano e Mauro, vennero benedetti in opere di commercio. A Malamocco vuoisi siasi rifuggito il vescovo di Padova nel 452, come a porto commerciale de' Padovani fin dai giorni di Roma. Crebbe di popolazione nelle nuove invasioni de' Barbari sino ad avere per primo vescovo, # I VESCOVI PRIMI 249 col consenso di Giovanni IV, verso il 040 Tricidio già vescovo di Padova, là riparato, con giurisdizione anche sovra le isole di Rialto e di Olivólo, e a divenire per 70 anni la capitale de'Veneti Secondi. Battuta però continuamente dal mare, andò quasi per intero sommersa nel 1102; ed otto anni dopo, la sede vescovile fu stabilita a Chioggia, mentre i suoi abitanti poco lungi edificarono il moderno Malamocco. Innanzi che V aumentata popolazione ed i bisogni spirituali de' fedeli sorger facessero quelle sedi vescovili, i rifuggili a Rialto aveano un sacerdote e una chiesa, dipendenti dal vescovo di Padova. Giusta l'opinione più ricevuta, la prima chiesa nello lagune data dal 421, ed è quella forse di San Jacopo di Rialto, in origino di legno , come furono le altro per lungo tempo, se fino nel 1505 si pose mano a costruire in tal ma-, tcria quella di Santa Maria Maggiore da Pietro matto bergamasco , il gufile d'nimndava limosina (cosi in vecchia cronaca) sonando una piva; compiuta poi da'AIvisc Malipiero ivi sepolto nel 152(5, e fornita di campanile (Gai.i.icciolli). Dissi forse, perdio un'altra chiesa antichissima, e certo fra le prime, si fondò nel!1 isola non meno importante di Olivolo. La chiosa di San Jacopo si pretende eretta per voto in causa di incendio scoppiato in casa di un Eutinapo di Candia, consacrata il 25 marzo dai quattro vescovi, Severiano di Padova, Flavio o, secondo il Sansovino, Ambrogio di Aitino, Epodio di Oderzo e Giocondo di Treviso. Guado , porto della grande ed importantissima Àquileja , conosciuto vantaggiosamente poi lavoro della porpora nella Venezia e nell' Istria, formava una isola, sicchò tornò asilo opportuno contro il furiare di Attila. Molti de' principali di Àquileja col loro vescovo Marcelliano vi cercarono ricovero, pure Marcelliano rimase sempre vescovo di Àquileja, come aquilejesi continuarono ad intitolarsi que'patriarchi, sebbene più tardi, per la insalubrità del sito, fermassero la loro dimora a Cormons, a Cividale e in Udine. Sebbene altri cristiani anteriori fabbricassero a Grado cappelle e chiese, per fondatore di quella sede passa Agostino vescovo di Àquileja, il quale, al cominciare del secolo V, vi murò il castello. Da tali principj e dal convenire di nuovi profughi, crebber la importanza e la estensione del luogo. Tornate le cose a calma, Marcellino successore di Marcelliano, potè col suo clero ritornare alla vera residenza. Tennero dopo lui quella sede Stefano I milanese circa il 513, poi Macedonio verso il 539, poi nel 557 Paolo, quantunque sia invalso, contro la verità storica, di chiamarlo Paolino I. Probabilmente Macedonio, condotto da Narsete a Ravenna, prima sede dopo Roma, trasse la Chiesa aquilejese nello scisma de* Tre Capitoli, in cui si confermò sotto il successore di lui Paolo, trasferitosi a Grado con tutti gli 250 STORIA DIWENKZfA arredi sacri e i tesori della sua chiesa per timore de' Longobardi. Papa Pelagio I chiama intruso Paolo, perchè consecrato dal milanese Vitale scismatico, e perchè convocatore di un sinodo contro il V ecumenico : non ostante però la disapprovazione di quel papa, non si passò a nominare un nuovo vescovo, e così non fu tolto dalla radice il male. Paolo fu il primo ad assumere il titolo ili patriarca. JXè tale titolo, comune più tardi al vescovo di Grado, divenne stabile e fermo che nelf Vili secolo , confermato prima ad Aquileja e poscia a Grado. Paolo ebbe successore Probino nel 5G9, Elia nel 571, poi Severo, (ulti scismatici malgrado le cure di Gregorio Magno. Alla morto di Severo si formarono due partiti per la elezione del successore : P uno scismatico elesse in Aquileja l'abate Giovanni di San Servolo, protetto dal re longobardo Agilulfo e da Gisulfo duca del Friuli ; cattolico l'altro, soslenuto dall'esarca Smaragdo, nominò in Grado Candidiamo, il quale assunse il titolo di patriarca di Aquileja nuova, per distinguerla dalla aulica e vera. Così la sede si divise in due: c lo mene e le brighe de' patriarchi aquilejesi a spodestare i nuovi patriarchi, scandalosamente continuarono con più o meno fervore, finché nel 71G fu costituito il patriarcato di Grado con la sua provincia metropolitica. Cosi Grado divenne la metropoli e'cclesiastica della nuova Venezia; ma per le niniiei/.ie e guerre de'patriarchi di Aquileja, anteriori e posteriori alla canonica separazione, ili cui non erano determinati precisameli le i conlini , andò più volt»; devastata. E siccome decresceva col temilo sensibilmente , e quel patriarca, che teneva palazzo anche in Venezia a San Silvestro, con giurisdizione sovra parecchio chiose di essa città, era cagione di contrasti frequenti col vescovo veneziano di Olivòlo o di Castello, venne quella sede patriarcale definitivamente trasferita a Venezia nel secolo XV. Impaludato il suo terreno e divenuta l'aria malsana, Grado discese a povera sede di vignajuoli e pescatori -. Dogando Maurizio Galbajo , la popolazione delle isole era aumentata, onde per decoro del paese oyc già sedeva il governo, si sentì il desiderio di un vescovo proprio. Pontificava allora in Gradu il 2 Nel Fu/ilrs Rerum otistrìacarum, che si pubblicano dall'Accademia delle scienze di Vienna, nel Ì8IJ7 furono stampati .192 documenti della storia venda, principalmente relativi ai possessi di Levante. Fra questi è il privilegio papale per ;le onorificenze del patriarca di Grado, concesso nel Ì2I!G, dove sono annoverate e le chiese su cui ha giurisdizione, e.il diritto della croce e del pallio. E per quel misto di comando e di consiglio che trovasi spesso negli alti del medio evo, papa Alessandro lo esorla che, nel correggere i dipendenti, più valgasi della ragione che della potenza, si mostri dolce ai buoni, severo ai cattivi ; ami le persone, persegua i vizj, io modo che la correzione non divenga PATRIA UGHI DI GRADO patriarca Giovanni triestino, tenacissimo de1 suoi diritti; e a contentare quella giusta brama de'Veneziani, nella cattedrale di Malamocco convocò un sinodo nazionale, ove, presenti tutti i vescovi della giurisdizione gradense, il doge, i nobili, il clero ed il popolo, Obelerio, figlio del tribuno di Malamocco, venne eletto vescovo di Olivólo, investito dal doge e consecrato da quel patriarca. Con lui si apre la serie de" vescovi di Venezia, dipendenti come suffragane dal patriarca di Grado, e che appellaronsi Olivolcsi, finché il vescovo Orso I Partecipa zio, in luogo della angusta cattedrale dei Santi Sergio e Bacco eresse la nuova di San Pietro di Castello ; dal che il nome di vescovi Castellani. Dopo Giovanni I, altri 58 patriarchi tennero la sede di Grado fra vicende diverse e spessi e forti contrasti di giurisdizione co' patriarchi aquilejesi, e talora co1 vescovi di Venezia; 34 di essi, a cagione della grande decadenza e malsania di Grado, sedettero a Venezia, dove aveano ; palazzo proprio a San Silvestro , cominciando da Enrico Dandolo nel 1131 e scendendo all'ultimo, che fu Domenico VI Michiel. Come vescovi di Olivólo, al primo Obelerio seguì Cristoforo I nel 798, greco e giovanissimo, raccomandato al doge Maurizio Galbajo da Nice-foro, logoteta dell' impero, poi imperatore, e cagione nefasta della morte violenta del patriarca Giovanni I, che si rifiutò costantemente di conse-crarlo. Però da Fortunato successore di Giovanni, potò averla tanto contrastata consecrazione, ma non la quiete (827). Sotto lui, si aperser il monastero e la chiesa di San Zaccaria, e venne risarcita quella di San Giovanni in Bragóra, e donato ai monaci di San Servolo ii casale di Sant'Ilario di Fusina, che divenne ricco e potente convento. Tra i vescovi ci fermeremo a quelli, che più notevoli si mostrano per fatti esterni, concernenti lo svolgimento e il lustro della Chiesa veneziana. Sotto Orso I Partecipazio nel 827, Buono, tribuno di Malamocco, e Rustico, crudeltà, nò perda quei che desidera emendare ; tagli le piage in modo di non esulcerar ciò eh'è sano ecc. Dodici sono oggi i patriarchi cattolici, di cui in Europa quelli di Venezia, Lisbona, Costantinopoli; 7 in Asia, cioè a Gerusalemme, Antiochia, Antiochia dei Mechilaristi^ Antiochia de'Maroniti, Antiochia de'Siri, Babilonia, Cilicia degli Armeni; in Africa quel d'Alessandria; quel dell'America spagnuola. I vescovadi, compresi i suddetti, sono 830, di cui 620 in Europa, e il maggior numero sono in Italia, cioò 37U: talché contandovi 2t> milioni d'abitanti, s'avrebbe una diocesi ogni iH,434 anime; mentre in Francia è una ogni 418,000. Il regno sardo neha 41, 20 il Lombardo-veneto, 4 Parma, li Modena, 21 Toscana, 70 lo Stato pontificio, 114 le Due Sicilie. cittadino di Torcello, portarono miracolosamente da Alessandria a Vene-eia il corpo del già venerato evangelista san Marco (Vedi. pag. 12). Si pretende, che sotto Maurizio Businiaco e Busdanego, già pievano di Santa Margherita, venisse a Venezia Benedetto III nel 855, albergato presso lo monache di San Zaccaria. Lorenzo I Timensdeum, spedito afnbasciadore noi 833 dal doge Giovanni Partecipazio a Carlo il Grosso, ne ottenne un diploma in favore de1 Veneziani. Domenico III Orciano, fu eletto a forza dal popolo (911) per le sue esimie virtù, quantunque avesse moglie e figliuoli. Pietro I Tribuno, famiglia poi detta Tron, in Santa Maria Formosa pose i corpi de'santi Saturnino e Nicodemo e il capo di san Romano, sotto lui trasportati a Venezia. E di simili traslazioni la storia veneta tocca assai spesso, perchè Venezia come un possesso riguardava l'acquisto di una santa reliquia. Da ciò tante belle chiese innalzate: da ciò onorati di stupendi monumenti alcuni santi quasi esclusivamente suoi, che attestano le sue relazioni molte col Levante e il suo estendersi in quelle parli; sue glorie superstiti alle tanto sciagure e alla ingloriosa caduta. Domenico V Gradonico, con grandissima pompa il dì dell' Ascensione, perciò qui solennissimo e più ancora dopo la vittoria in tal giorno ottenuta sopra la flotta di Federico Barbarossa nel 1177, benedisse a bandiera da consegnarsi al doge Orseolo II in sul partire per la spedizione contro gli Slavi; nella quale vittorioso, aggiunse al dominio la Dalmazia e Croazia, assunte d' allora pure nel titolo ducale. Sotto lui sursero le chiese di San Samuele e di Santa Sofia, e furono portate da Costantinopoli il 1005 le reliquie di santa Barbara, vergine e martire di Nico-media. Prima che Enrico Contarmi, s'intitolasse vescovo Castellano (1091), dopo tre giorni di digiuno e affollatissima processione, ritrovossi in un pilastro il corpo di san Marco, che credevasi perduto da un secolo: si accese a quel pilastro uni lampada che arde tuttora: e il corpo, riposto sotto la mensa dell'altare maggiore, vi rimase fino all'ultimo scoprimento del 1811. Sotto questo Contarmi si portò da Bari nel 1097 gran parte del corpo di san Nicolò di Mira; come sotto Vitale I q tei del protomartire santo Stefano, recato da Costantinopoli dal doge Or delalo Falier nel 1110. Giovanni III Polani fu memorabile per l'acre questione che sostenne col prete Bonfilio Zusto, fondatore do" canonici regolari di Sant'Agostino in San Salvatore; per avere regolata nel 1143 la solennità che celcbravasi a Santa Maria Formosa in memoria del fausto ricuperamento delle spose rapite, e pe' diritti e privilegi insigni ottenuti da Lucio II alla sua chiesa. Sotto lui surse San Clemente con 1' unito spedale. PATRIARCHI 253 Marco I Nicolai villo Tarmo confederalo degli Europei, .sotto al vecchio prode Enrico Dandolo, conquistare Costantinopoli, occasione fra altro di arricchir la sua chiesa di nuove sante reliquie e della immagino di .Maria, detta la vincitrice (Nicopeja) perchè portata in campo, e segno tuttavia iu San Marco della comune devozione. Circa questo tempo san Francesco di Assisi visitò Venezia ; semplice e innocente corno era, si godeva in solitario ritiro parlare e comandar agli uccelli cantanti, là dove poi innalzossi in memoria del suo soggiorno una chiesa con monastero, detto San Francesco del deserto presso Mazzorbo. Nò voglio taciuta una cerimonia particolare operata da lui, e fu P indossar solennemente l'abito vedovilo a Benedetta Gradenigo. Marco II Michiel consecrò nel 1228 la chiosa di San Giorgio in Alga, o Tanno dopo tenne un sinodo diocesano a consultare il suo clero circa la quarta parte che dovea sottrarsi al quarto delle decime de"morli, per sollievo degli indigenti, o per mezzo del vescovo. Per queste decimo, introdotte in sostituzione di quelle che pagavansi altrove sui frulli della campagna, chiunque morisse, della sua sostanza doveva lasciare la decima parte, da dividere fra il vescovo, il clero, il mantenimento delle chiese e del culto, e i poveri causarono gravissimi dissidj, finché decretò il governo la somma di 5500 ducali, in sostituzione di esse, divisi, secondo le costituzioni veneziane, fra il vescovo, il clero, i poveri e parte al mantenimento delle fabbriche sacre e del culto. Simeone Moro, che qual primicerio di San Marco fece il Ceremoniale ducalis basilica' Sancii Marci, fondamento e norma a simili opere che poi si stesero, sali vescovo nel 1201. Fra Ramperto Polo bolognese domenicano, circa il 1310 formò un registro delle rendite del vescovato e degli usi vigenti, conosciuto sotto il nome di Catastieo del vescovo Iìamperlo. L'anno dell'esaltamento di Angelo Doffin (1329), l'arcivescovo di Ravenna per delegazione apostolica ridusse a 12 i canonici veneziani, compresi l'arcidiacono, l'arciprete ed il primicerio; e consacrò la chiesa de'santi Ennagoni e Fortunato. Nel 1379 Angelo II Correr, mollo operoso nel riformare la disciplina ed i costumi del doppio clero, fu trasferito, a capo di dieci anni, patriarca di Costantinopoli, poi, fatto cardinale nel 1405, e Tanno seguente papa col nome di Gregorio XII. A Marco III Landò por gli agitamenti del funesto scisma occidentale lardò la conferma pontilizia, finché divenne papa Martino V. Fu premuroso della riforma del clero, e decretò sotto pena di scomunica che i suoi canonici rechinsi in coro con bircio, almulia sine zanjarda, et coita, e che i beneficiati recitino l'uffizio nella propria chiesa secundum antiphonarios fi alias libro* Ecclesie, obbligali a residenza. Lorenzo li Giustiniano priorede' canonici regolari di San Giorgio in Alga da lui fondati, splendeva delle più Wusiraz. del L. V. Vol, II. 35 belle virtù j ricalcitrò assai al vescovato oll'ertogli, ma cedette al cenno di Eugenio IV, papa veneziano (1433), Nel 1451 per bolla di Nicolò V delPS ottobre sopprimente il patriarcato di Grado ed il vescovato di Castello, fu erolla in patriarcale la Chiesa veneta, e il primo investito fu esso Giustiniano. Osservante ed esemplare, voleva tali puro gli altri ; al (jual line radunò un sinodo por la disciplina e per la promozione do' titolati nello chiese La mensa era tult' altro che pingue, quantunque accresciuta dalle reridite di Grado a cui orano sitate già unite quelle di Eraclea, e poi si aggiunsero nel 14G0 anche le altre di Equilio e Jesolo; il patriarca Antonio II Contarmi impose al clero nel 1508 un sussidio caritativo ; ma col lempo migliorò, mercè di piì testatori e di patriarchi ricchi, o per benefìzj ad essa riuniti e per assegni destinatile dal senato sullo entrate della chiesa. Carico di merili e tenuto santo già vivo, Lorenzo chiuso i giorni nel bacio del Signore |'8 gennajo 1456; rimasto insepolto 40 giorni per lìle insorta sul luogo, la vinsero i canonici e fu posto nella cattedrale, dove ha l lilla via cullo devotamente, amoroso. Quale e quanto uomo egli fosso, olire le belle e Lante opere degne della sua vita (1380 - 1105), si può raccogliere dalle molle lettere, dai sermoni e trattali ascetici chi1 lasciò in latino, stampati più vile e tradotti, Sisto IV dichiarilo bealo nel 1472: la repubblica nel 1013 fece istanza a Roma acciò venisse ascritto fra i santi ; processo compilo soltanto nel luffO sotto Alessandro Vili. Dopo la peate del 4630 fo nominalo prolettore della città, la (piale si obbligò con volo a venir solennemente a venerarne il corpo nella cattedrale, dove anche gli si eresse superbo aliare, per la guerra di Candia, inauguralo col porvi, entro apposita urna, il santo corpo nel 1605: donde princìpio la visita solenne annua ilei doge e di tutta la Signoria. Infine gli si ottenne olli/.io proprio del 1752. 11 successore Malìio Contarmi mutò in romano il rilo gradonse , cioè raqUìlejese o patriàrchino, Le virtù claustrali che lo resero venerando fra i Camaldolesi di Murano, insignirono Malìio II Girardi, operoso nel riformare i costumi del clero, e ornalo della porpora ". Antonio II Coniarmi al Greci sempre crescenti accordò, if intelligenza col senato e con Leon X, di erigersi la chiesa di san Giorgio, mentre o PontHfeando lui, Paulo il pepa venerano delti («miglia Barbo, abilitò (Iti diccm-1 « re 1 STO) i suoi cittadini ad aprite, una Università, ingrandendo così il collegio de'medici, e volle be'tosse cancellieri' imo tempore il pievano di San Giovanni ili Bragóra cuut htìnoribuhonèribm et emolnmenUs von&ueiisìad instar a fior um sludiofutn universa* >inm. Questo titolo fu poi cangiato in quello di cancelliere del collegio medico ; soppresso anche questo collegio, restò il (itolo, cui si aggiunsero insegne prelatizie, liuchè le lolse il patriarca Pòker: ma nel iS.Sfl si fece rivivere quella prerogativa, concedendo a quel pievano vesti prefatìKie >■ nominandolo éaneetHere apostaìiea detto studiò generate di 1ì nczia. PATU I ARCI 11 fctsi prima si servivano di quella ili san Biagio promiscuamente coi Veneziani; attese a riformare le monache, specialmente di San Zaccaria, cadute in maggiore lassezza perchè ricche e di nobili famiglie : al che si riferiscono tre bolle di Leon X, il quale volle i pievani si nominassero dai parrocchiani legittimamente convenuti, escluse le schede eh" erano cagioni iFirregolarità e disordini il chi! fu confermalo da Clemente VII sotto Girolamo Quirini domenicano. Il quale, nella riforma della disciplina ecclesiastica che allora s'introduceva per toglier ragione alla protestante, si mostrò piuttosto aspro che rigoroso: convocò due sinodi, insistendo si caldamente, che venne in rotta con parte dei clero, e scontentò pure il governo: questo ricorse a Roma, la quale approvò le antiche consuetudini circa relezione do" piovani e de1 titolati ; ma il patriarca non volendo cedere, lasciò la sede, e mori a Vicenza nel ISS4. Come que1 lunghi contrasti ascriveansi alle dure abitudini claustrali del Contarmi, cosi per due volte si elesse a patriarca un senatore, poi tornóssi a'conventi, eleggendo Giovanni 11 Trevisan, già benedettino in San Cipriano di Murano, assai benemerito della Chiesa veneziana, che lo ricorda con amoroso rispetto. Il successore Lorenzo II frinii, benché tolto da ambascerie sostenute in Toscana, in Spagna, Francia e Roma, e dal senato, moslrnssi pratico delle cose ecclesiastiche come vi l'osso cresciuto, l'omo di virtù e prudente dottrina, cominciò subito dal riformare i costumi del clero, adunando due sinodi, rivolse lo cure al seminario, accrescendone lo entrate e rendendolo capace di maggior numero col trasferirlo nel priorato de' cavalieri Teutonici alla Santissima Trinità. Lo virtù o i grandi meriti gli meritarono sepoltura accanto al san Giustiniani, Giovanni HI Tiepolo, che fondò, giusta le prescrizioni del concilio tridentino, il canonicato di teologo nel suo capitolo, diede in luce parecchie opero che attestano la sua pia dottrina, e lasciò inedito un pregevole Catalogo de*Santi, Unii <• Venerabili Veneziani, conservato alla Marciana. Federico Cornaro successore fu prima prelato a Roma, poi vescovo di Bergamo nel 1622, poi di Vicenza nel 1027, e duo anni dopo di Padova. Una legge veneziana proibiva le onorilicenze de' principi sira- 4 Mano titano che si ergevano chiese, il fondatore riseryavasi il diritto di scegliere il prete al loro servigio e l'eletto venia dal vescovo confermalo. Ma siccome il gius patronato implicava l'obbligo di mantenere le cinese e. provedérne ai bisogni, così se ne mostrarono col tenuto, gli investiti generalmente tult'altro che gelosi, e quel diritto passò ai convicini. Le elezioni quindi si l'accano dui clero ad istanza ilei popolo, e colla conferma del vescovo. Fino però dalla metà del secolo XII i parrocchiani proponevano; sceglieva il clero, il vescovo approvava: poi dal liill al iì3'2 i pievani e i titolati veni vano eletti dai soli capitoli delle collegiate, e talvolta dagli slessi papi. Mutò poi l'uso de' parrocchiani, nò bastava possedere nella parrocchia, era mestieri abitarvi e ricevervi i sacramenti a poter votare; modo di elezione confermato da Leone X nel 1ÌU7. Piti lardi, anche il governo vi volle aver parie, per decreto dei Dicci !) gennajo M3I, 186* STONIÀ DI VENEZIA «ieri, massime ai figli del doge. E doge già da due anni era il padre del Cornaro fjuando fu l'atto cardinale (I(>26), sicché, a non troncare la carriera del figlio, mostrossi pronto a deporre il durai corno, ma guadagnassi con tale disposizione il senato, che decise non essere compresa fra le dignità straniere la cardinalizia. Sorvoliamo agli altri patriarchi sino al Giovanelli (1.778), ohe in tempi difficilissimi ed agitati edificò la sua Chiesa con l'esempio di modesta liberalità e pie virtù. Reduce da Vienna, Pio VI visitò nel 1784 Venezia, ed assistette solennemente alla messa pontificale del patriarca ai Santi Giovanni e Paolo. Caduta poi la repubblica e data ali Austria, quarantacinque cardinali, fatte prima solenni esequie per nove giorni in San Pietro a Pio VI morto in Valenza (1799), convennero qui a conclave in San Giorgio Maggiore. Il Ciovanelli, nominato delegato apostolico per le cose di religione in queste parti, pubblicò una dotta e assai calda pastorale; e s'aita-prò con tale operosità, da soccombere il 10 gcnnajo 1800, compianto da tutti e più dai poveri, e onorato dai cardinali di splendido funerale in San Francesco della Vigna. Il giorno 14 marzo si annunziò papa Pio VII: e perchè tal nomina non piacque gran fatto all'Austria, ebbe la incoronazione dove fu eletto, anziché in San Marco; finché le cose si componessero in modo da permettergli la via per Roma, rimase qui più mesi, ne1 quali visitò parecchie chiese parocchiali, nella cattedrale poi di San Pietro tenne le funzioni della settimana santa non altrimenti che a Roma, e proferi anche una omelia latina :;. Quasi due armi corsero dalla morto ilei Giovanelli all'elezione del Flangini. e tre da questo al successore suo Nicola Saverio Gamboni napoletano, già vescovo di Capri, poi di Vigevano, in tempi di turbolenze e sovvertimenti che comunicaronsi pure alle cose della Chiesa. Allora il nuovo patriarca, portalo dal prepotente andare di que-1 di, da San Pietro trapiantò la cattedrale in San Marco, e i due capitoli fuse in uno, al quale ottenne da Pio VII nel 1808 l'uso della cappamagna sopra il rocchetto e la colta, raro privilegio ; e ai sollocanoniei o mansionari 1" uso della cappamagna con pelliccia d1 inverno, e semplice cotta di stato, quando i canonici adoperano il solo rocchetto sopra quella c\ ti Al convento di San Giorgio donò magnifici candelabri passati poi alla cappella reale di Milano. In tale occasione questi Greci mostraronsi apertamente scismatici col ricusare di assistere ai pontificali del papa, e di cantarvi nella loro lingua la epistola ed il vangelo, sosliluiti da due monachi armeni di San Lazzaro. li Qui limi sarà fuori di proposito narrare come fosse, solto la repubblica, ufOziato San Marco, basilica ducale. Primo fra i suoi preti era il primicerio, che data dai dogi Giustiniano e Giovanni Parteeipazio, appena compila quella basilica: eletto tra quelli, confermalo e investilo sempre dal doge e con giurisdizione parrocchiale. Lra obbligati) intervenire alle funzioni ogni volta che vi si recava il doge, die egli doveva ricevere alla l'A T HI AUGI 11 267 Tale trasferimento fu seguito dalla concentrazione delle parrocchie da 72 a 40 e poi a 30, e via via soppressi i capitoli delle chiese e conseguentemente i titolali; abolito il privilegio di potere qui essere ordinati a titolo di servire a qualche chiesa, esigendosi invece il patrimonio ecclesiastico. Di lai dolori la Chiesa veneziana iu in parte consolata pel felice scoprimento del corpo di san Marco, di cui s'ignorava ogni traccia, quando sonavasi appunto il vespero della sua traslazione, specialmente por le insistenti cure del sottosagrisla abate Agostino Correr. Riconosciuto e verificato poi meglio nel 1834 quel santo tesoro, entro nuova cassa segnata da apposita iscrizione fu riposto onorevolmente sotto il maggiore altare. Vedovò tre anni questa Chiesa; poi nel 1811 l'intruso Stefano flou-signore, già vescovo di Faenza, la governò quale amministratore capitolare sino al 1814. Vennero sottoposti a penitenza quanti ebbero da lui il presbiterato: ad otto giorni di esercizj spirituali i promossi agli ordini maggiori, e a tre quanti ricevettero i minori. Il nuovo patriarca Francesco Maria Milesi, già pievano di San Silvestro e vescovo di Vigevano, conoscendone i bisogni, potè in brevissimo tempo far tanto, da rimanerne in benedetta memoria. Fondò una commissione generale di pubblica beneficenza con saggi ordinamenti, sotto la presidenza perpetua de'patriarchi : regolò le scuole della dottrina cristiana sapientemente; il seminario potè collocare alla Saluto 7. porta e porgergli l'acqua santa. Dapprima veniva eletto indistintamente ila ogni classe, nel 1471 e nel 1478 tinche si decretò fosse nobile e almeno di 2!» anni, e non legato in parentela. <*ol doge. Accrebbe i privilegi del primicèrio Alessandro Vili nel Milo con l'accordargli l'esame de'clierici da promoverc agli ordini saeri, è l'approvazione delle licenze a confessare In San Marco e nelle chiese dipendenti. Gli altri preti poi, varj di numero a varj tempi, da 26 a 12, chiamaronsi cappellani per più secoli, e canonici abusivamente circa il 1331, tinche , ad istanza del doge Francesco Foscari, ottennero coll'almuzia canonicale legittimamente quel nome da Martino V, nel 1427, appellati d'allora sotlocanonici i loro ministri. A qoe'canoniei poi vennero aggiunti nel 1JJ02 i due sagrislani con la cura delle anime nella parrocchia ducale Subito dopo il primicerio veniva il vicario, eletto dal doge fra i pievani della citlà, e doveva assistere quél prelato nell'esame degli ordinandi e nelle cose riguardanti la basilica ducale. Due canonici aveano a vita I uffizio di Ixis'dkarj, cioè vegliavano sugli Interessi ilei capilolo, amministravano le offerte dei fedeli, annunziavano al doge la morte de'loro; come due archivisti custodivano le carte del capitolo. A questa basilica, come espella ducale esente da ogni altra giurisdizione, tranne quella del doge, con pieni poteri e libero negli all'ari di essa di scrivere e mandare a chiunque, cosa vietatagli nel resto, servivano un maestro di cerimonie, quattro diaconi con altrettanti suddiaconi, due sollosagreslani, un cappellano ed un cherico , detti del doge, e finalménte alcuni giovani di coro, che ascendevano poi mano mano alle cariche nominale, e fra' quali uno veniva dai procura-lori scelto ad appuntatore, a segnare, cio.\ chi mancava al suo uffizio. Tutto questo clero addetto ;dla basilica ducale, alloggiava nella Canonica, nome tuttavia sussitenle, dove aveva 24 abitazioni. 7 Anticamente qui i eherici aveano istruzione, come nel resto d' Italia e per tutto , nelle scuole annesse alle cattedrali. Primo ad ordinarle meglio fu Eugenio IV Condul-mer, il quate dololle anche convenientemente assegnando loro le rendite della parrocchia Nel 1818 si vide accresciuta la diocesi de1 due vescovati di Caorle e Torcello, soppressi da Pio VII; e fatto suffraganeo P arcivescovato di l dine, disceso a sede vescovile 8. Per queste ed altre modificazioni, min-tre prima il patriarca veneziano non estendeva la sua giurisdizione metro-polotica che sopra Caorle, Torcello e Chioggia, la estese ad Udine, Feltro e Belluno, Coueda, Concordia, Treviso, Padova. Vicenza, Verona, Adria: e in Istria a Capodistria, Parenzo, Ciltanova e Pola, che sotto il patriarca Monico cessarono di appartenergli, latti sulf'raganei invece dell' arcivescovo principe di Gorizia !). Morendo dopo duo anni e mezzo operosissimi, diviso tutto il suo fra la pubblica beneficenza e il seminario, donato pure de1 molli e buoni suoi libri. Fatti i vescovadi elezione dei re, gli succedette Giovanni Ladislao Pyrker tedesco e poeta, che pur seppe farsi amaro e stimare, quantunque con qualche ordinamento urtasse quei che slan tenaci ai vecchi usi, siano buoni 0 no. Dichiarò metropolitana San Marco in luogo di San Pietro, trasferendovi quel capitolo, e precisandone il personale, le attribuzioni, i diritti, i privilegi, e novamento regolando il clero inserviente amovibile e soggetto al corpo canonicale ,w. Al seminario fece molto bene, obbligando i di San Giovanni elemosinano con bolla T,\ dicembre Li il, cambiate in quelle di Ire be-nelicj semplici da lunoccn/.o Vili (14H-1I2) sesto papa dopo Eugenio, allorché venne rimessa quella parrocchia. Vero seminario perù ancora non vi era e quantunque insistesse presso la doppia autorità di l'io IV (IliliSMìli) acciò se ne fondasse uno, andò mollo prima che il bel desiderio avesse citello. In parte lo contentò prima la repubblica, aprendone uno sotto la vigilanza del primicerio, superiore ordinario, u affidalo ai Somascbi, non solo pc'eherici della basilica ducale e delle chiese dipendenti) ma altresì per quelli delle altre net 1579. Questo seminario, anteriore di ti anni al patriarcale ed approvato da Gregorio Kilt, cominciò nel convento de'Sanli Filippo e Giacomo, donde passò a San Nicola di Bari, vulgo San Nicoletto al Castello, e di là nello spedale di Gesù dove stette sino al cadere della repubblica. 8 Udine in quest'ultimi unni fu rimessa arcivescovile. H 11 titolo di primate della Dalmazia non fu sempre di puro onore, ma in origine e per più secoli dopo ebbe annessi rispondenti diritti. La città di Zara , benché arcivescovile , era suflraganea di Spalalro sino al 1184, quando gli Zaralini, scontenti di quel titolo senza soggetto nc'loro supremi pastori, ottennero a questi di avere diriiii metropolitici sovra i tre vescovi di Ossero, Albe e Veglia, lolla conseguentemente ogni dipendenza di essi e de'tre vescovi suffragane'» nominali ila quello di Spalalro. Ma Zara eia già venula in potere de'Veneziani, e questi , a maggiore decoro del loro patriarca ili (Jrado ed eziandio ad unito più compalla del governo ecclesiastico , cercarono di unire quell' arcivescovo sotto il toro patriarca. Adriano IV (llliì-li'J) acconsenti alla domanda : gli Zaralini si opposero protestando, e cacciarono il rettore veneziano: si venne anche all'armi, c soccombettero que'di Zara , costretti ad acconciarsi a quelle necessità , benché iiialvolontieri, e ricalcitranti. Perciò come l'esercizio 4\ tale giurisdizione primaziale da parte de'patriarchi di Grado e poi di Venezia pei' ben cinque secoli, sostenuto dai papi c dalla repubblica, non fu senza frequenti malumori ed anche senza ribellioni, così per amore di paco 1 patriarchi veneziani si contentarono, verso la mela del secolo XVII, del semplice titolo. 1U Invece della croce pettorale chiesta ne ebbero una stellata, ma per pollarla legittimamente si ricorse a l'io IX nel 1N!>". Anche i pievani allora, fondati sopra un PATRIARCHI m teologi a studiarvi internamente con piazza per lutti gratuita ; concessione benefica dopo lui ristretta d' assai : l'u largo verso i poveri, anche dopo trasferito arcivescovo di Erlau, ove mori nel 1847. Jacopo Monico vescovo di Cciieda, datogli successore, seppe entrare nell'amore de1 Veneziani con la espansa facilità de'semplici modi e con l'ingegno letterariamente colto. Gregorio XVI, che tenevasi quasi per veneziano a cagione del suo lungo soggiorno in San Michele di Murano, il volle nel 1833 fra i cardinali sotto il titolo de'santi Nereo ed Achilleo, come Tanno innanzi aveva conceduto ai dignitari del capitolo P uso della mantelletta e della veste pa\mia/za, al simile di;1 prelati romani, e agli altri canonici la mozzella pavonazza. Il Monico inaugurò solennemente nel 1838 la nuova congregazione de'oberici regolari dello scuole di carità, con voti semplici e vita in comune: generosa e benefica fondazione de1 due fratelli Antonio Angelo o Marcantonio conti Cavanis, tutti in essa e per essa. Sopraggiunsero tempi ne'quali arte e prudenza non bastano. Tornate poi allo sfato di prima le cose, e andato a Vienna con altri, dirò a sua lode che ad indebiti rinfacci rispose con franca e calma dignità, «la imporre silenzio sul dilicato argomento. La sua morte (25 aprilo del 1851) destò compianto anche in quei che l'avevano avversato: ammutirono garrulo conversazioni, cessarono giuochi in corso, segno evidente che quell'affabile pastore era generalmente ben voluto e riverito. A sostituirlo venne dal vescovato di Verona Pietro Aurelio Multi bergamasco, già abate benedettino di Praglia, preceduto da bolla fama di dottrina od eloquenza o di grandi virtù: ma gracile per natura e per età, non aveva piò quel coraggio religiosamente franco che si bello Iraluce nella faconda pastorale diretta ai Veronesi : e in quella ai Veneziani è di getto ben differente e di altro spirilo. Negli onori che non aveva desiderati, conservossi sempre monaco in corpo e in anima, quale fu per ripetuta elezion sua. Singolarmente pio, liberale, largo coi poveri, indulgente cogli litri quanto severo con sò stesso, andava incontro sereno e tranquillo al suo ultimo giorno. Varj lodatori pubblici fecero conoscere quale e quanto uomo fossi; egli, chi più sotto questo aspetto, chi più solfo quello: qui poco dopo s'imprese una ristampa di tutti i suoi scrini, arricchita di quanto frovossi d'inedito. Or ora t'Iebbrajo Ì858) gli fu destinato successore Angelo Ramazzoli milanese, che dal 1850 sedea vescovo di Pavia. breve supposto insci ilo nella conti Questione del Bollarlo Romano dell'avvocato Andrea Barbieri, persuasero il patriarca ad accordar loro la mozzetto nera sopra il rocchetto, siccome era ricordalo in quel breve, e così ne invalse l'uso. stoma di Venezia ff) Serie de' Vescovi e de' Patriarchi. Vescovi di Oìkolo, 1 Obelerio, ovvero Obeliebato.......775 2 Cristoforo I............TW — Giovanni Diacono intruso.......80 i — Cristoforo I ristabilito........807 3 Cristoforo II...........810 — Cristoforo I di nuovo......... 813 4 Orso I Partoripazio......... 627 5 Maurizio o Mauro Businiaco o Busnadogo . . 854 0 Domenico I Trodonico........ 864 7 Giovanili I Candiano.........877 8 Lorenzo I Timonsdeum........880 9 Domenico II Vilinico.........5)01) 10 Domenico II David Orciano...... Oli 11 Giovanni II............ 020 12 Pietro 1 Tribuno (Tron)....... 029 13 Orso li Magadisi.......... 038 14 Domenico IV Talonico........ W8 15 Pietro II Marlurio........> 055 16 Giorgio o Gregorio di Giorgio (Zorzi) . . . 004 17 Marino Cassianico.......... Oliti 18 Domenico V Gradonico....... . Olii 19 Domenico VI ( i radon i co....... 1026 20 Domenico VII Contarmi....... 1044 Vedovi di Castellò] 21 Enrico Coniarmi, primo a chiamarsi vescovo Ca- stellano........... • itiw 22 Vitale I Michiel.......... 23 Fr. Bonifazio Falier.......1120-113! 24 Giovanni III Polani.........*,:{;* 25 Pietro III Grandaliconi........H 64 26 Vitale II Michiel..........Mir* 27 Filippo Castolo...........'181 SERIE DEI VESCOVI 201 28 Marco I Nicolai..........USI 20 Marcò II Michiel..........1228 30 Pietro IV Pino..........1238 31 Fr. Gualtiero Agnusdei........1255 32 Tommaso I Orimondo........1257 33 Tommaso II Franco.........1261 34 Bartolommeo I Queruli........1274 35 Simeone Moro . . . . ,......1291 36 Bartolommeo il Querini........1293 37 Ramperto Polo...........1303 38 Galasso Albertini..........1311 39 Jacopo Albertini..........1311 40 Angelo I Dolfm..........1329 41 Nicolò I Morosini.........1331» 42 Paolo Foseari...........1367 43 Giovanni IV Piacentini . .......137(1 44 Nicolò 11 Morosini.........1379 'i-i Angelo II Gorraro, poi Papa Gregorio XI! . . 1379 40 Giovanni V Loretlano........1390 47 Francesco 1 Falier......, . . 1391 48 Leonardo Delfino..........1392 49 Francesco II Bembo.........lidi 50 Marco III Lamio..........1417 ■il Pietro V Donato..........1426 52 Fra Francesco III Malipiero......1428 53 S. Lorenzo II Giustiniani.......1433 Palriaixhi di Venezia ELETTO. MORTO. 1. L'ora detto Giustiniani 8 ottobre 1 451 9 gennajo 1456 B. Maffìo I Contarini 23 gennajo 1436 20 marzo 1460 3. B. Andrea Bondimcro, fon- datore de'' can. regolari di S. Spirilo 7 aprilo 1 ',(;<> 6 agosto 1464 4. Gregorio Correr 9 agosto 1164 19 novembre 1464 5. Giovanni I Barozzi gennajo 1465 aprile l'itili <;. Maffiò II Girardo, cardinale nel 1489 9 aprile 1466 14 settembre 1492 7. Fra Tommaso Dona 1 ottobre 1492 il novembre 1504 8. Antonio I Suriano 27 novembre 1504 lì) maggio 1508 Illustra:, ilei !.. V Vol, II. ELETTO. MONTO. 9. Lodovico I Contarini 19 maggio 1508 16 novembre 150 S 10. B. Antonio II Contarini 30 novembre 1508 7 ottobre 1524 II. Fr. Girolamo Queruli 7 ottobre 1524 49 agosto 1554 12. Pietro Francesco Contarini 21 agosto 1554 24 dicembre 1555 13. Vincenzo Diede 27 dicembre 1555 8 4559 14. Giovanni II Trevisan 11 » 1559 3 agosto 15! Hi 15. Lorenzo II Friuli 4 agosto 1590 26 gennajo i eoo 16. Matteo Zane 28 gennajo 1600 24 luglio 1605 17. Francesco Vendramin 26 luglio 1005 8 ottobre 1619 18. Giovanni II Tiepolo 10 ottobre 1619 7 maggio 4031 19. Federico Cornaro sino al 1644. Morto a Roma 7 maggio 1631 5 giugno 465:; 20. Gianfrancesco Morosini :;:) aprili; 1644 6 agosto 1678 21. Lodovico 11 Sagredo 10 agosto 1678 43 settembre 1688 22. Giovanni III Badoor sino al •1700, quando cardinali' e trasferito a Prescia dove mori 16 settembre ■1688 47 maggio 4 71 ì 23. Pietro Barbarigo . 8 giugno 4706 2 maggio 1725 24. Bartolommeo, detto Marco Gradenigo, già vescovo di Verona 1714 5 maggio 1725 14 novembre 1734 2:;. Fra Francesco Aut. Correr 20 novembre 1734 17 maggio 1741 26. Lodovico III Foscari 25 maggio 1744 28 ottobre 175S 27. Giovanni IVBragadin, già vescovo di Verona dal 1733 13 novembre 1758 23 dicembre 1775 28. Fed.MariaGiovanelli,già ve- scovo di Chioggia dal 1773 5 gennajo 4776 10 gennajo 180!) 29. Lodovico IV Flangini, car- dinale nel 1780 14 novembre 1801 29 febbrajo 1804 30. Nicola Saverio Gamboni, già vescovo di Capri nel 1776 e di Vigevano nel 1805 11 gennajo 4807 20 ottobri1 480S Stefano Bonsignore. intruso, che governò quale ammi- nistratore capitolare sino al 0 maggio 1814 9 febbrajo 1811 31. Francesco Maria Milesi, già vescovo di Vigevano nel 1807 8 dicembre 1845 18 settembre 4849 SERIE DEI PATRIARCHI 2G5 ELETTO. MORTO. 32. Giovanni Ladislao Pyrfcèr vescovo di Zips in Ungheria sino al 182IJ, quando trasferito all'ungherese arcivescovato di Erlau, dove morì il 3 novembre 1847, avendo lasciata Venezia il 2(5 aprilo -1827 2 ottobre 1820 33. Jacopo Menico, già vescovo di Coneda dal 1823, prete cardinale nel 1833 0 novembre 1826 25 aprilo 1851 34. Pietro Aurelio Mudi, vesco- vo .li Verona dal Ì840 28 luglio 1851 0 aprile 1857 35. Angelo Hamazzotti, vescovo di Pavia dal 1850 28 febbrajo 1858 e) Immunità. — Congregazioni. — Privilegi. — Ordini religiosi. Chi sì vuol dan; la pena di riassumere e coneentraro \i.i via in un quadro lo notizie varie e inolio qui e qua da noi sparse, si vedrà quasi sotto gli occhi svolgersi la Chiesa veneziana da lievi principi, crescere di estensione e potere, abbellirsi di templi superbi e di monasteri, andari! in una parola come a gara con la grande e borente repubblica ; perocché à Venezia, unica in questo pure, Chiesa e Stalo furono, almeno per lungo tempo, stretti tanto unitamente insieme, che aveano per poco una vita comune. Da ciò lo spettacoloso e il teatrale di tante feste sacre, costume in gran parto non dimenticato, quantunque tarilo siano mutati i tempi. Ora a contornare il quadro di questa Chiesa , ci restano a dire poche cose, e prima quanto alle immunità ecclesiastiche, locale e personale. Queste, Iranno poche eccezioni già clamorosamente conosciuto, ebbero sotto la repubblica pieno rispetto e vigore, mentre ora esistono nel diritto e non nel fatto. Notiamo in questo proposito, che, per le mancanze strettamente ecclesiastiche , il patriarca Pyrker, di accordo con l'autorità civile, destinò a casa di correzione risola di San Clemente, pei sacerdoti di tutta la sua giurisdizione metropolitica. Qui pure si eresse la santa inquisizione nel 1240, e l'indagine apparteneva a giudici secolari: il giudizio e vi fosso si o no eresia, ai vescovi Iutlj sacri orano ijui in amori; e coltivati. Venezia, che nelle manifestazioni esteriori di religioni1 non la cede a nessuna città, ebbe moltissimi monasteri e assai ragguardevoli ; de' quali direni sol quanto basti a far conoscere anche da questo lato la Chiesa veneta. Il primo nelle lagune è quello de'Benedettini a S\n Servolo, già nel 810 troppo angusto a1 monaci, sicché il doge Agnello Par-tecipazio' donò loro il casale di Sant'Ilario di Fusina. Qui se no fabbricarono un allro, il (piale lauto crebbe e prosperò, da non abbisognare più del primo, dato in perpetuo nel 1109 alle Benedettine di San Basso di Malamocco, fuggitivo dalla sommersione quasi totale /li quell'isola. Questo monache, riformale nel 1434 da san Lorenzo Giustiniani allora vescovo di Castello, rimasero ivi fino al principio del secolo XVII, (piando ebbero dalla repubblica il convento all'Umiltà (1015), scacciatine i Gesuiti all'epoca del famoso interdetto. San Servolo dal novembre 1030 all'aprile 1634 ricoverò gli appestali, poi nel 1041) duecento suore fra Agostiniane. Domenicani! e Francescane, qua rifuggile dalla guerra di Candia; ridotto da morto a due sole, messe altrove nel 1710, fu convertito allora in ospedale militare sotto quattro Fate-bene-fratelli, invitati da Milano dal senato; e cominciò dal 1725 ad ammetterò alcuni pazzi, e lutti nel 1797, finché nel 1804 si decreiò la isola ricovero a tali infelici di tulle le provinole venete. Crescendone il numero, i più tranquilli si posero dal 1820 nel civico spedale ai Santi Giovanni e Paulo, lincile nel 1854 si l'eco di essi il cambio con lo donne mille, tulle là raccolte. I Fate-bene-fratelli non abbandonarono più quella isola, dove a spese della repubblica si ebbero chiesa e spedale, architettando quella il Temanza, Giovanni Scalfarotto questo, compiti l'una e l'altro dal 1734 al 759. CHIESE E CONVENTI 207 Il convènto de'Benedettini di Sant'Ilaito di Fi sina. giacente fra i due rami drl Brenta, diretto Timo per Un'ago, l'altro \erso Piove di Sacco di contro a Chioggia, donato da Giovanni Partecipa/io e da altri lautamente, favorito piò tardi dagli imperatori Lotario II, Arrigo IV e Ottone IV, crcblie in ricchezza e l'ama, talché quattro dogi vollero ivi esser sepolti; il fondatore, cioè, Agnello Partecipazio, il figlio di lui Giustiniano, Pietro Candiano IV o Vitale Candiano. fu esposto altresì a gravi danni nelle guerre frequenti fra Venezia e Padova, saccheggiato al principio del secolo \I da Jacopo di Sant'Andrea, eternato infamemente da Dante, e celebre non meno pet la vita prepotente e scialacquatriee, che per le clamorose avventure della madre Speronella , moglie a sette mariti. Qui entrò ardilo Soverchiatore tre volte, sicché quo1 monaci si trasferirono ali1 ultima nel loro monastero di San Gregorio a Venezia nel 1215. Ritornati e fuggiti di nuovo per le guerre fra Gregorio IX e Federigo II, poi ancora ai tempi del tiranno Ezelino: il gioco si ripetè ancora più Hate sino a che la intera rovina del loro convento venne dalia guerra di Chioggia nel 137!). Ora non si vede più traccia di osso, né ili un altro già esistito lin dai tempi romani, occupato tutto dalla marea. La chiesa di San Zaccaria fu fondata da san Magno: e quando venne rifabbricata l'imperatore greco Leone l'Armeno, spedì marmi e artefici valenti; compila verso I'8z7, fu affidata alle Benedettine con ricca abbazia. Grandi favori non mancarono inai a questo monastero: la fama virtuosa delle sue claustrali mosse a gara anche ricchi stranieri ad accrescerne i possessi e l'entrate: distrutto dal vastissimo incendio del 1105, prèsto risorso più hello per pia concorrenza insieme con la chiesa. Se non che la crescente opulenza, P entrarvi giovinette per lo più di famiglie doviziose e potenti, e la comunanza di monaci lin dal declinare del secolo X, siccome monastero doppio, cioè di uomini e femmine , diedero origine a disordini. Vi vennero concentrali nel ISOti i due monasteri di santa Croce e de'santi Cosma e Damiano alla Giudeeoa , finché esso puri' andò avvolto nella generale soppressione del 1810. Chiusa per alcuni mesi anche la chiesa, si riaperse a parrocchia, quale fu dall'origine, nell'ottobre di detto anno. San Lorenzo, altro monastero benedettino doppio, fu l'ondalo di Romana, sorella di Orso Partecipazio vescovo di Olivolo, non prima dcll'853 con la chiesa di San Severo strettamente unita; preda dell'incendio del 1105, non prima del 1287 si potè ripararvi. Verso ir 1466 cominciò ad introdursi qualche disordine: fu soppresso nel 1810; chiusa la chiesi e riaperta poi nel 1817 per cura del podestà Marco Molin, a comodo specialmente della Casa d'industria in cui fu convertilo il monastero; poi i Domenicani nel 1845 si accomodarono ;id uso ili convolilo alcun vecchio o.isc. San Giorgio Maggiore, terzo monastero doppio, data dal 982, ma óra assai diverso dall'odierno, e la chiosa fu ricostruita cinque volto; largamente da mólti donato o dal dogo Vitale Falior di beni a Costantinopoli nel 1100, più lardi divenne ricchissimo. Ebbe nel IMO il corpo del protomartiri] santo Stefano, divenuto contitolare; lo tennero i Benedettini CHIESE E CONVENTI 2(50 sino a clic furono incorporati coi monaci di Santa Giustina nel 1800: noi 179G soccorso la repubblica con 00 mila ducali. La chiosa fu riaperta nel 1808 . ma senza nulla del passato lustro, con un cappellano mantenutovi dalla camera di commercio, essendo eretta quell'isola in porto franco; ridata pòi a due o tre Benedettini. Dopo le sciagure del 40, San Giorgio rimase staziono militare, e guarda minacciosa la città. San Secondo, quantunque venuto 50 anni dopo Santo Erasmo, ebbe durabile prevalenza nel dar nome ali1 isoletta verso .Mestre, ora desolata distruzione dopo i falli del 48 e 49. Vi sorgeva un convento di Benedettine lin dal lOU't, fra le quali, sebbene non doviziose, si cacciò col tempo una rilassatezza ostinata tanto, da indurre Clemente VII nel 1Ò27 a trasferirle nel monastero dé1 Santi Cosma e Damiano alla Giudecca, e a cedere quel convento ai Domenicani, entrati dopo rifallo il convento, da malizioso incendio distrùtto. Per decreto della repubblica venne aggregalo alla provincia di Venezia,e riformato poi dal b. Jacopo Salomoni; e d'allora appartenne alta congregazione di lui, finché fu soppresso al •1800, e il corpo di san Secondo portato ai Domenicani sullo zattere. Più oltre fra Malghera e San Secondo emerge un'altra isoletta, segnata nelle auliche carte Tom ili Sun Zulian, «love prima era un convento di Francescani sino al 1401, e poi di monache sotto il titolo di San Giuliano ospitaliere. I passeggeri che, prima del ponte, fecero tragitto da Fraina a Venezia e viceversa , devono ricordare che fra San Giuliano e Malghera avvicinatasi una barchetta chiedente l'obolo ad onor della Vergine, attaccata in piccola immagine ad un palo con accesovi un lumicino : unica memoria dell'antico oratorio, sacro a Maria all'Anconetla, con un rettore, investilo dal patriarca e sostenente quella chiesuola con le offerte de*passeggèri. San Giuliano, ridotto a sia/ione finanziaria per le gabelle, mosira ora gli Spaventevoli frutti che dà la guerra. San Nicolò di Lido surso nel 1053 per opera di Ire Domenichi, Marengo patriarca di Grado, Contarmi vescovo d'Olivolo, e Contarmi doge; ebbe nel 1090 le spoglie del santo vescovo di Mira suo titolare; e fu dato ai Benedettini; i quali salirono per esatta osservanza in bel nome, ed aveano parie principale nella festa dello sposalizio del mare, che alla loro soppressione fu affidata alle nove Congregazioni del cloro. Santa Maria della Carità'w eretta ai canonici regolari di sant'Agostino circa il 1120 per opera di Marco Zulian nobile veneziano, assenziente Calisto II. che gli spedi la pietra benedetta per le fondamenta; Innocenzo li, quattordici anni dopo lo assoggettò al priorato ravennati! di Santa Maria in Porlo. Impoverito per disastri sofferti, si riebbe pei donativi de'Col-laltO nel 1505, e per l'acquisto di tulli i beni del monastero poftuense di Ravenna. Durò cosi tino alla soppressione generale, quando il convento, IH»*!,,,:, tlel L. \. |(, ;;;; 270 STOlltA IM VENEZIA la chiesa e la scuola della Carità si convertirono nella presente Accademia belle arti. (Vedi te /!;/. a piuj. 228.) Sima Maria in capo io Broglio fu ospizio con chiesa che si eressero i Templari, fondati a Gerusalemme nel -MIN. soppressi nel concilio di Vienne del 1311. D'allora, parto di!1 loro beni, con questo ospizio, passò ai cavalieri Gerosolimitani, che lo cedettero nel 1321 ai procuratori di San Marco. Nel I82G la confraternita dello Spirilo Santo dell'Ascensione l'ebbe in proprietà. Chiusa la chiesa nel 1810 e ridotta a magazzino, venni1 demolita il 1824, ed aggiunta all'antico albergo, ora delto della Luna. San Giovanni Battista del Tempio, pure fondazione de'Templari, passava nei cavalieri Gerosolimitani, che lo perdettero nello sterminio degli ordini religiosi, e lo ricuperarono allorché Francesco I di Austria ristabilì quo" cavalieri, di cui ora siede un priorato a Venezia. San Salvatore esisteva sotto tal nomo e come parrocchia lin dalla prima metà del secolo Vii, per opera di tre pie famiglie, mosse da san Magno vescovo di Oderzo, rifuggito in Eraclea, ed ospite a limilo dopo apparsogli il Salvatore. II pavimento dell'antica chiesa, fatto a graie di ferro, consentiva la vista dell'acqua. Il monastero di voi i m I o lateraiiense. prosperò grandemente , fregialo di privilegi insigni . e favorito peculiarmente da più pontefici , sicché gli fu facile di risorgere dalle fiamme nel 11X2, più bello e in nuova ricostruzione con la chiesa dal 1500 al 1534, sovra insegno di Giorgio Spaventa, riformato da Tullio Lombardo con la cooperazione di Jacopo Sansovino, di cui è il chiostro in-lerno, mentre la facciala posteriore appartiene al 1003. 1 pontefici si videro costretti a darlo, sul declinare del secolo XIV, in commenda a persone straniere, o rivenne per Eugenio IV agli Agostiniani, aggregati nel 1442 a quelli di San Salvatore a Bologna, finché soppressi nel 181(1. la loro chiosa ritornò parrocchia sotto il clero secolare, come era slata in origine, ed il convento si mutò in caserma. So volessimo dire di lulli i frali e conventi che furono a Venezia, richie-dcrebbesi un volume, ma chi il leggerebbe? a chi importano oggi (pelle mutazioni e riforme, quo'privilegi, que'corpi di santi? Un tempo erano jnezza la vita di Venezia; ogni famiglia ricca vi annettea memoria di benefizi fatti, ogni povera di benelizj ricevuti: un frate era in ogni casa, a condurre dagli uni agli altri la istruzione, la carità, le pie consolazioni, diciain pure le devozioni incondite, fin lo superstizioni, cosi ragionevolmente stigmatizzate dalla sapienza giornalistica dell' età nostra, la quale vuole invece soldati e caserme , ed ascrive a suo vanto veder trasformati in questo e in prigioni molti de1 conventi e de' tempj antichi. Noi osanniamo al secolo, e Io-preghiamo a compatire se, tacendo moltissimi, accen-nerem ancora qualcuno do' monasteri, i quali, se l'anno conoscere la CHIESE K CONVENTI *M religione splendida de1 Veneziani, furono puro cagiono elio por monumenti .sacri Venezia non restasse seconda a nissurf altra città. I Domenicani verniero qua circa il 1234, dogando Jacopo Tiepolo, il quale donò loro il terreno, ove ora sorge il magnifico tempio de'Santi Giovanni e Paolo. Cominciossi a fabbricare nel 1240, e già nel 1207 -Nicolò Boccalini trevirano, lor capo, elio poi fu papa Benedetto XI, vi po|ò tener capitolo generali». I! convento fu compito assai prima della basilica ; die lo fu nel 1395; tesoro di arte, c sepoltura monumentate di piò dogi, fra' quali il donatore Tiepolo. Vi borirono uomini venerati' per dottrina e santità, fra cui il b. Jacopo Salomoni: ninna meraviglia se ebbe larghi benefattori e divenne' ricco. Soppressi gli Ordini, la chiesa fu eretta in parrocchia secolare; e sotto l'ultimo patriarca tornò ai Domenicani per indulto apostolico del 29 maggio 1850, con dipendenza immediata .lai Generale, che ha diritto di presentare il parroco amovibile. Nel 1227 arrivaron qua alcuni francescani clic passavano il giorno nella preghiera, nel lavoro, nell'istruzione; limosinando la sera, e dormendo la notte negli atrj dello chiese. Questa vita di nuova austerità li poso in generale venerazione, ed il governo assegnò loro una badia abbandonata di Benedettini, Cresciuti ili numero, nò la chiesa, nò il convento più bastarono ; ma con doni nel 1250 si potè metter mano a rifabbricarla,/ divenne cogli ingrandimenti posteriori quella stupenda chiesa che è Santa -Mmua gloriosa de'Faàrj "'. .Mollo sapere e virtù illustrarono questo convento, che diede anche 28 vescovi. Soppresso nel 1810, la chiesa fu eccita in parrocchia secolare, o il convento destinato all'archivio generale, una dello meravìglie di Venezia. Presso ai Frari sta la chiesa di San Hocco, la cui pretenziosa facciala è opera del Macaruzzi. Che MANTOVANI 50 io {Vedi qui dietro) li moni inorilo etiti si vite -\ nini sinisin, più in allo b qu d'i Pesaro, da noi riferito ;i pag. .«»). Il più baSìo è quél drl Cànova, eseguito ila lì.ir- STORIA DI YK.NKIZA {Intorno dì San fa Maria da' Irari.) grandezza avesse Punitavi arciconfraternita, già lo divisammo (Vedipogina 119), o la sua l'acciaia, die qui esibiamo in iscorcio, col bellissimo abside dei Frari, è una delle opere più insigni dello stile lombardesco, co- tolomoo Ferrari, Rinaldo Rinaldi, Luigi Zandomcneghi, Jacobo De Martini, Antonio Bosa nel 1S'27, sopra disegno elio il Canova stesso aveva predisposto por far il mausoleo del Tiziano; al quale invero In erodo quello dirimpetto, ohe dieinino disegnalo, opora di Luigi e Piero Zandomciieglii, terminala da poco lempo. In questa ehiesa ora la cappella dei Milanesi, i quali a Venezia formavano una confraternita, la cui istoria fu indagala ed esposla minutamente e per la prima votla da C. Canh'i nella Scorsa di un lombardo hcjli archirj di Venezia, Ivi è a cercar puro la descrizione dell'archivio generale. DIOCESI ATTUALE 273 umiliata nel 1517 da Bartolomeo Bon, proseguita da Santo Lombardo, compiuta da Antonio Scarpagnino, con elegantissime bifore, stupendo cornicione, e bolla porta. Là dove credersi approdato san Marco, Marco tiglio del doge Pietro /iani, conte di Arbe, volli; sorgesse un convento, e si ampliasse la vecchia chiesuo|a9 legando a tal uopo una sua vigna, dal che il '<°me di San Fka.v-ei.sco mai. a Viu.na, porcile vi si accolsero i Francescani Osservanti,col consenso di Alessandro IV. Il tempio fu architettato da Masino da Pisa, ma si dovette ricostruire ned XVI con facciata di Palladio, mal rispondente pll'interno. Fra altri illustri, vi dimorarono san Bernardino da Siena, san Giovanni da Gapistrano, il bealo Giacomo dello Marche, il bealo Alberto da Sarzaua, il beato Angelo da Clavasio, il beato Bernardino Tornitami da Feltro, gran promotore de'Monti di pietà, fra Antonio Pagani veneziano, fondatore delle Dimesse, fra Pietro da Assisi che raccolse i fatò» ci ulti esposti, donde la casa della Pietà, ce. ti) Stato presente della Diocesi. Le parrocchie della città da 72 furono ridotte a 10, per decreti del I7. Cosi egli salvo da grave pericolo quel degno monumento di arte , condotto dal 1340 al 1481 alla nobile magnificenza che vi si ammira, albergo già della scuola grande di tal nome, chiusa con le altre nel nefasto 1707. Ora quanto al clero foraneo,,esso va diviso in tre vicariati: I. di Tor-cello, frazione di Murano: Santa Maria assunta con San Michele del Quarto in ricostruzione, distretto di San Dona; San Martino «li Bucano, San Giambattista di Cava Zuccarina. Santa Maria Concetta della Grisolera, SS. Pietro e Caterina di Maz/.orbo, San Magno delle Palàde, SS. Trinità de1 Tre l'orli, Santa Maria Elisabetta del Cavallino, fraziono di Burano. II. Vicariato di C a orle: Santo Stefano protomartire. Ili Vicariato di Murano : Santa-Maria assunta e San Donato con San Pietro martire. In città esistono 8 conventi di frati, e 12 di monache, con Ire comunità religiose secolari , comprendendovi le suore oblato di san Filippo .Neri dal 1840 , quantunque non ancora costituite in vera Comunità : fuori di città quattro conventi, cioè i Fate-bene-fratelli a San Servolo dal 1733, gli Armeni a San Lazzaro in isola dal 1710, con un collegio in città; i Riformati a San Michele di Murano dal 1820, custodi anche de! emulerò, e le Agostiniane a San Giuseppe di Murano dal 1829, H, « •c ■g ^ E < — o T: 't? S S • 6 — C — u S E Cine; vari seco!; 4. & § §? U. In rillù 7>l) Ti ti . \ K, K :;o 101 1 i:;,'jt*j Fuori . li '1 •1 11 i \ i !>." 41 ii,lis Totale . i i 24 17 43 'j '20 iti :,o ti'> t ii7 ACATTOLICI. KMtKI ilo e) Altre comunità religiose. Conquistata Costantinopoli per i crociati (1204), dai paesi «Iella Grecia marittima toccati a Venezia o da altri venutile più lardi, come anche, per ragioni di commercio, molti Greci venivano avisitar quésta metropoli, eziandio vi si stabilivano. Dapprima scrvivansi di questa o di quella ed chiesa pel loro culto, liriche ottennero una cappella propria in San Biagio, per decreto dei Dieci del 1470. Sull'esempio degli Schiavoni, degli Armeni e di altri, chiesero ed ebbero ne] 1498 una scuola propria, formante il capitolo, limitata però a 2,"iO maschi e senza limite per lo femmine. Cresciuti assai di numero più- cause varie, principalmente pel dominio do'Turchi temuti dopo presa Costantinopoli (1453), Innalzarono domanda al consiglio do'Dieci (14 oli. Ioli) di potere acquistare il fondo ed eriger*! una propria chiosa, come poi ottennero facilmente d;i Leone X (cosa che li fa credere allora non apertamente dissenzienti dai nostri, quai si mostrarono ai giorni di Pio VII in Venezia) un breve del 11 giugno Ioli}, coi quale veniva loro concesso di costruire la chiesa desiderata, con campanile e cimitero. Speso qualche anno a cercare lo spazio opportuno, finalmente sovra un fondo, comperato il 27 settembre 1526 sorse un povero San Giorgio de'Grcci a Sant'Antonino, e \i si celebro la prima messa il decimo giorno di quaresima dell'almo dopo, dal primo lor cappellano Giovanni Augerino di Cefalonia. Divenne poi bello com'è al presento dal 1539 al Lj72, mai musaici, gl'intagli, i dipinti ed altri ornati vanno lino al 1696, oltre i fregi ch'ebbe recentemente dai Papa-dopolo e da altri. Da un primo od unico cappellano si arrivò ad avere già nel 1577 un arcivescovo, che s'intitola di Filadelfia, primate di tulle lo chiese greche in Dalmazia sino al cadere della repubblica , col suo cancelliere, tre Cappellani «! talvolta sei, eon due diaconi, due cantori ed altrettanti lettori, se non anche più, tutti addetti al servigio di quella chiesa e al decoro del cullo. Aveauo i Greci altresì un monastero femminile, durato fino al 1829: come hanno dal $604 il collegio, fondalo dal Flaugini. Questa colonia di Greci ebln: domini chiari nelle lettere e benemeriti, ed oggi pure l'onorano, fra altri, Emilio de Tipaldo e Giovanni Veludo vicebibliotecario della Marciana. La comunità evangelica di confessione Augustaua data dall'anno Dio7. 'piando i mercanti tedeschi sotto Bertuccio Valioro ebbero libero culto privato, dapprima nel fondaco do'Tedeschi, poi in case private, e dal 1812 nel presente lor tempio, che era la scuola dell'Angelo Custode in campo dei SS. Apostoli, abbellito da un egregio dipinto di Tiziano. Il culto e la cura delle anime spettano ad un predicante, eletto dalla comunità, confermato dal governo, con dipendenza dal soprintendente e dal concistoro di Vienna. L'amministrazione è in mano di tre presidi. Varie famiglio di Ebrei vennero qua da Germania c vi posero stanza ne'primi anni del secolo XIII, dalla provenienza chiamati Ebrei tedeschi, benché vi si aggiungessero altri arrivati dopo. Gli Ebrei di Levante ottennero concessioni favorevoli alle loro speculazioni negli anni lf>20, K>2.!. 1523, c nominavansi Viandanti Levantini, compresi pure quei di Corl'ù, benché distinti per altri titoli, e godenti privilegi speciali. Cacciati gli Ebrei di Spagna e di Portogallo nel 1402, non pochi fra loro si ricoverarono nelle lagune , sicché il cresciuto numero rese necessario un definitivo regolamento, che ebbero nel 1516, e poco dopo libero esercizio di culto. Ora vi sono Ebrei 2300 circa, onorati peculiarmente dalla liberale e splendida famiglia Treves Bonfìli: hanno 7 case di orazione, fra le quali distinguesi la spagnuola, compita nel 1651, e abbondano in beneficenze. XII. Ragguagli statistici. a città di Venezia siede a 45° 2G di latitudine,: 10" 1' irp di longitudine; e dista dal mare, dove meno, metri 25. 00. % È un aggregato di 72 isolo, congiunte per mezzo di 320 ponti, intersecati da 150 canali minori o rivi, e tre maggiori Cioè il Canalazzo, o quei della Giudecca o di San Marco: con rw)h 113,525 2551 6889 ■122,965 Somma 59,951 Non sono comprasi gli appartenenti allo Stato ed all' amministrazione militare sì di terra, che di man1, riè la guarnigione. Il numero dei morti, nel decennio 1848-57 fu di 47.061, dei quali maschi 24,633, femmine 22,428. Di questi, 14,165 morirono assistili nei varj stabilimenti, a domicilio 32,896. 1 nali furono 41,065, dei quali 21,190 maschi, femmine 19,869. I malrimonj arrivarono a 8741 \ Anni (Sol Maschi Femmine SS'tó SO, 474 Totale 443,406 itoti isss 32,8ì3 SI>,2."1 6*iSl2 «1,392 143433 447,623 u:i'< nt,s ri 148,981) rtiss 4 ss» 3h,:>:ìs 62421 02,310 115) ,90'* 420,808 3 — NATI Y, O MORTI K < 'rullile Maschi Femmine M ATRI Totale Alaseli i Femmine tSi« 4080 '201(1 '.070 PXM mi 2308 228 D Itt tU 4048 2114 IU4 7',; 3 9981 41)31 3033 IMI 3:;-57 4 UGO 1054 37.11 2003 1727 1 HM 4W7 '2 212 w:>:> 887 IMI 2003 19(1 \ uh :.!>:ì'j mi ■ 1MHS 871 .".Vii 1710 4 711 inii 2147 2073 898 4034 2894 4100 t s:; t 20|2 14I-C3 80G 4871 '2338 '2313 4855 4239 2'21'J 2040 8'2lì 4039 3303 2330 183(1 im 2424 2029 Sili 38 59 1892 1037 ts:;7 I6«9 'j.i 71) 2229 830" 3892 1017 1073 ìi m- 21,t Olì lo.stio 4 7, Olii 24,(133 22,428 POPOLAZIONE 281 Sulla mori al ita del decennio mi si porgono alla mente due importanti osservazioni. Nel 1849 fu di 9981, dai quali detraili anche i 3839 cholerosi, resta la mortalità di 0145, d'assai superiore alla consueta: fatto spiegato dalle miserie storiche di queir anno. Inoltre i 47,061 morti dal 1848 al 1857 non devono ragguagliarsi tutti sulla popolazione di Venezia; e meglio di 17,000 possono essere calcolali forasti cri non compresi noli1 anagrafe, come ad esempio quasi lutti i morti nell'ospedale dei pazzi che appartengono alle varie provincie, grandissimo numero dei morti all' ospedale che appartengono alle varie comunità della provincia, i forestieri che muojono durante la loro dimora in città, ed il maggior numero degli esposti. Si può dunque dir francamente che i morti veneziani, compresi nell'anagrafi, in dieci anni non arrivarono a 30,000. Calcolandosi pertanto il medio di 3000 morti per anno, e la popolazione a 120,000, si avrebbe il rapporto di 1 a 40. Dei 47,061 morti nej decennio non aveano raggiunto un anno . 10,174 dagli 1 ai 4 anni..... 7,900 dai 4 ai 20 ....... 3,325 dai 20 ai 40 ....... 5,955 dai 40 ai 60 ....... 7,242 dai 60 agli 80...... 10,436 dagli 80 ai 100 ...... 2,028 dopo i cento....... 1 L'età media adunque può fissarsi sopra anni 31 e mesi 4; e dopo superato il quarto anno d'età, su anni 51 e mesi 7. Le morti per accidentalità furono: per sommersione . . . », . . 151 » ferite......... 72 » ustione......... 69 i caduta......... 45 » avvelenamento ...... 2 ». appiccamene...... 3 » assideramento...... 1 » idrofobia........ 1 giustiziati......... 3 Wuitraz cel L. V. Vol. IT. 57 285 STORIA PI VENEZIA Nell'anno 1857 si ebbero morti 3892, di cui 1917 sono maschi. giunti a un anno da un anno a 4 859 909 318 487 550 017 140 2800 1032 dai 4 ai 20 dai 20 ai 40 dai 40 ai 00 daj 00 agli 80 . . oltre gli 80 . . . a domicilio morirono no1 pubblici stabilimenti Col nuovo censo stabilito nell'anno 1846, la rendita censnaria di Venezia è stata ritenuta in austr. liro 2,207,921 Il municipio dall' anno 1830 al 1857 spese: per riordinare pavimenti e condotti sotterranei , Lir. 3,167,446.07 » nuove opere di fondi, strade, fondamenta . . » 4,188,603. 76 » acquisti ed atterramento di case e botteghe per » 178,370. 60 > acquisto o riduzione per stabilimenti pubblici . » 1,316,380. 19 • sussidi agli stabilimenti di pubblica beneficenza » 10,729,647. 74 Nel 1857 per approvigionare d'acqua le cisterne pubbliche spese lir. 80 mila, c cogli intraprenditori de' pozzi artesiani non riusciti fece una transazione, per la quale si obbligano di attivare un acquedotto, che abbondantemente proveda di acqua la città. E pure stabilito di scavare a gran profondità un pozzo a Lido, per assicurare quanta e ijuale sia l'acqua dolée che cova fra quello dune, onde utilizzarla, Questi furono i Podestà di Venezia, i quali sono provveduti di austriache lir. 9000, ed hanno sei assessori. Renier nob. conte Daniele, nominato con sovrana risoluzione del febbrajo 1806; installato il 14 febbrajo 1806, continuò a tutto gennaio 1811. Gradenigo nob. Bartolomeo, simile 21 genna.jo 1811; installato il l.n febbrajo 1811, continuò a tutto agosto 1816. Molin nob. Marco, simile 3 gennajo 1817; installato il 3 febbrajo 1817; mancò a vivi il 2 aprile 1818. Somma totale Lir. 19,580,448. 36 JLCOHtJNE 283 Calbo Grotta conte Francesco, simile 44 settembre 1818; installato il i.n ottobre 1818, e continuò a tutto marzo 1827. Morosini conte Domenico, simile 29 ottobre 1827; installato il 20 novembre 1827, e continuò a tutto 20 aprile 1834. Boleto conte Giuseppe, nominalo con sovrana risoluzione 0 aprile 1834, mancò a vivi il 23 dicembre 1837. Correr conte Giovanni, simile con sovrana risoluzione 19 giugno 1838, installato il 13 luglio 1838, e continuò a tutto 13 agosto 1857. Marcello nob. dott. Alessandro, simile 24 luglio 1857, installato il 14 agosto 1857. Il comune di Venezia fu costituito nel 1807, e senza verun patrimonio, nò tampoco la casa dove collocare il municipio. Dopo il 1837 fece qualche acquisto, e riattò la propria residenza, comprò il convento Ognisanli , la casa Bassi, lo stabilimento di San Ciovanni Laterano per scuole, i palazzi Foscari e Italiani, che dovè lasciar al Militare. L'ingente dobilo che avea dovuto garantir il comune nell'ultima rivoluzione, fu perdonato alla venuta dell'Imperatore nel 1857, quando fu pure dato un grosso assegno per la conservazioni! e i restauri della basilica di San Marco, e regalala una statua di Marco Polo, che formerà un monumento elevalo 10 metri, e con altrettanti incirca per ciascun lato della base, e pare voglia collocarsi nel campo di Santo Stefano. Attorno al palazzo ducale si spese, in questi anni, circa un milione ; e meglio si conserverà ora, che alcune camere vengono destinate ai grandi ricevimenti, CONTO PREVENTIVO DELLA CITTA' DI VENEZIA PEL 1868. SPESE Somme Somme approvale dall'Autorità tìtolo della sprsa, proposte dal Municipio pel Ì8S7. pel i«3«. 434,788. 78 Rimanenza dell'anno 1857 e retro 00,423. 52 Sopravvenienza 048,380. 73 Carico generale........ 048,750. 44 Ordinarie. 155,772. 42 Onorar]........... 150,000. 02 20,288. 06 Spese d1 ufficio........ 20,000. 75 20,580. 70 Pensioni........... 20,717. 94 41,004. 54 Fitti passivi......... 41,755. 54 8,890. 50 Interessi di capitali debiti..... 9,323. 07 5,312. G4 Livelli, censi, e decime..... 5,312. 00 111,840. 50 Manutenzione di strade, ponti e canali 112,001. 40 8,353. 40 Idem di locali e beni comunali . . . 11,973. 05 32,000.00 Spurgo dello nevi e del fango . . . 31,042. 5\ 250,595. 45 Illuminazione pubblica...... 257,113. 52 15,847. 09 Pie prestazioni e congrue..... 15.843. 40 542,499. 85 Beneficenza pubblica...... 557,153. 89 84,099. 22 Compensi ed abbuoni passivi. . . . 55,148. 91 255,000. 00 Fazioni militari........# 305,797. 92 227,282. 41 Speso diverse ordinarie.....* 233,100. 00 Totale delle spese ordinarie, compreso 3,200,177. SI il'carico generale.....Lir. 2,788,349. 29 Straordinarie. 55,000. 00 Nuove opere per acque e strade . . 100.512. 58 99,828. 82 Idem per locali e beni comunali '. . 112,523. 70 125,831. 00 Finzione di capitali debiti .... 204,915. 05 0,805. 07 Impiego di capitali od acquisto slabili. 40,125. 00 10,105. 00 Spese diverse straordinarie .... 54.840. 95 23,741. 50 Fondo di riserva........ 24,000. 00 3,531,489.00 Totale delle spese dell'anno Lir. 3,451,207.21 Si aggiungono, dietro ai risultati del 1857, rcstanze passive..... 400,529. 82 Totale Lir. 3,857,797. 03 It I N DI T F. Somme Somme approvato dall'Autorità titolo dkm.a rendita, proposte dal Municipio pel 1887. , pel IH!!* 434,685. 42 Rimanenza dell'anno 1857 e retro . . Sopravvenienze........ 50,000. 00 048,386., 73 Carico generale........ 948,759, 44 Ordinarie. 36,994. 48 Pitti ili rase fondi, e spazj .... 34,201. 48 3,043, 96 Livelli, censi, decime e rendile perpetue 5,085. 00 2,500. 00 Tasse d' ufficio........ 5.000, 00 Idem per licenze, e multe per con- 20,958. 30 trawenziorii......... 21,000. 00 24,172. 25 Idem sulle arli e sul commercio . . 24,172. 25 223,500. 00 Compensi ed abbuoni attivi .... 281,867. 92 60,604. 50 Prodotti diversi ordinar]..... 60,000. 00 Totale delle rendite ordinarie, compreso 1,754,845. 64 il carico generale.....Lir. 1,426,084. 09 Straordinaris. 1,000. 00 Esazioni di capitali dalla Cassa di risparmio ......... 263,561. 03 Totale complessivo delle rendite del- 1,755,845. 64 Y anno........Lir. 1,689,645. 12 Sovrimposta sui generi di consumo per 760,000. 00 la Complessiva somma di ... . 800.000. 00 Simile di centesimi 43.5 sull'estimo ilei comune di austr. lir. 2,210,625. 50 dedotto quello inerente alle proprietà 4,015,644. 02 particolari della città o del comune 961,622. 09 3,531,489. 66 Totale a pareggio.....Lir. 3,451,267. 21 Heslanze attive........ 484,561. 84 Totale Lir. 3.935,829. 05 RIASSUNTO DELLA PARTE PASSIVA DEL PREVENTIVO SECONDO I VARJ TITOLI DEL SERVIZIO COMUNALE. Carico generale, ossieno imposte e contributo che vengono esatte per conto del regio tesoro, e pagate allo stesso, quindi partita di giro .... Lir. Salarj per ul'ficj municipali. . . . Lir. 109,072. 25 Spese d'ufficio, comprese le spese forensi » 20,100. 75 Pensioni...............» Interessi di capitali.......» 9,323. 07 / Livelli, censi, ecc. fra cui lire 3,000, delle f Grazie Treves, partita di giro . . » 5,312. 00 948,759. 44 135,179. 00 20,717. 94 14,035. 07 PUBBLICHE COSTRUZIONI. Stradi', ponti e canali. a) Manutenzione e lavori semiradicali Lir. 112,001. 40 b) Nuove opero per escavo di rivi interni, ristauro di pozzi con incanalamento di gorne, ricostruzione del ponte Sant'Antonio alla Maddalena, della fondamenta Burchiello e Tabacchi a San Nicola da Tolentino e della fondamenta del Carbon .... » c) Dette per locali e beni comunali, cioè per ristauro del palazzo Priuli a San Giacomo dall'Orio: pel locale a Sant'Alvise; parziale ristauro del palazzo municipale........» Illuminazione a gas. ...:..» » a olio..... . » Compensi ed abbuoni, cioè ai Comuni di Murano c Ma-lamocco per compenso fisso sul dazio consumo, corrosi iettivi all' esattore, prediali e retrodazioni. » Prestazioni militari. Alloggi e caserme, somma che vien rifusa nella quasi totalità dal regio tesoro e dal fondo territoriale e quindi partita ili giro, spese per la coscrizione > 160,512. 52' L. 345,513. 92 67,000. 00 20,1 13. 52? 31,000. Oo\ 257,113. 52 •)5,148. 91 228,997. 92 GOVERNO E PROVINCIA Pie prestazioni, cioè sacre funzioni e culto . . . Lir, Spese per la pubblica istruzione, cioè onorar] ai maestri, fitti e manutenzione dei locali, e spese diverse or-dinarie, compresa la prima annualità per la nuova scuola di canto, di nautica e commercio . . . » Spese per polizia comunale. a) Per incendj, cioè assegno ai pompieri; fitti dei locali, e premj per fortuiti incend]........Lir. b) Per la guardia municipale: acqua po- tabile; pulizia stradale; macello e traghetti.........» Spese per beneficenza pubblica, cioè sussidio all'ospedale civile, agli istituti Terese e Gesuali; casa d'industria, ed ospedale San Servilio; mantenimento di esposti legittimi ; mantenimento e cura di sifilitici, partorienti legittime, maniache; onorarj al personale sanitario; rimborso ad ospedali foresi per cura di malati poveri appartenenti a Venezia, ed altro ...» Sussidio al Gran Teatro della Fenice.....* Estinzioni di debiti............» Impiego di capitali od acquisto di .stabili, cioè resto per T acquisto del palazzo Fogazzaro, acquisto del palazzo Friuli, e del locale a Sant'Alvise ...» Spese straordinarie, comprese quelle per la nuoMB anagrafe, pei spettacoli nella stagione estiva......Lir Spese diverse......... Fondo di riserva........ 287 15,843. 40 02,680. 74 56,190. 00 201,745. 51 145,555. 51 28,145, 22( 6,784. 18< 684,955. 81 80,000. 00 264,915. 63 40,123. 00 34,929. 40 24,000« 00 Totale Lir. 3,451,267. 21 RAGGUAGLI. Lira veneta . . — franchi . . . 0. Si 2 ^ Libbra grossa. . motrichc . . 0. 477 — sottile. . = 0. 301 . Mastello. . . . » some metriche 0. 7Iil — Secchio . . . . = , 0. 107 = Braccio da lana. =» metri ...(*. 683 = da seta. = . (I BÒS = Piede da fabbrica =■ . 0. 318 ~ tir. aust. 0. 5874/87 =* karant, 11, pfennig S pfund 0. tolti 27, quinto! t » 0. • 17 eimcr 1. maas 13 • « < 7, seilel 2' alien o. 28/^ • 0. 26/ 3-2 piede 1, oncia 1, linee 2, punti S. À Venezia siede la Luogotenenza Imperialo por la porzione del dominio che s1 intitola Veneto. Consta questo di 8 provincie: Capo luogo Disia ria Venezia Distretti Numero dei Comuni Anime Venezia . . Miglia — 7 511 285,559 Padova . • * 26 8 102 317,882 Rovigo. . 50 8 05 170,814 Verona. . 74 11 113 310,545 Vicenza . 44 IO 123 528,284 Treviso. . » 17 8 104 298,482 Belluno. . 59 7 07 160,582 Udine . . » 8;I 19 182 437,697 2,321,625 Il dogado antico a levante finiva al porto di Sdoba, ove sbocca P Isonzo; a mezzodì al porto di Coro, ultima foce del Po; ad occidente confinava col Polesine e col Padovano, a tramontana col Trevisano e col Friuli. Divideasi nei 9 distretti di Grado, Caorle, Torcello, Murano, Malamocco, Chioggia, Loreo, Cavàrzere, Gambarare; ognuno retto da un podestà patrizio. Ora la provincia di Venezia comprendo i paesi della primitiva consociazione, aggiuntivi Porlogruaro che spettava al Friuli, alcune parti del Trevisano, del Padovano, com'anche del Polesine e dell'isola d'Ariano già spettanti alla Santa Sede. A levante è lambita dal mar Adriatico; a mezzodì il Po, dove discende alla marina, la separa dagli Stati pontifizj; a ponente tocca le provincie di Rovigo e Padova; a settentrione quelle di Treviso e LMine; copre la superfìcie di 740 miglia geografiche, e precisamente di pertiche metriche 2,069,862. 67 (da 1000 metri q. corrispondenti a un decimo di ettaro). Pertiche 121,388.33 sono infruttifere; 1,948,474. Si-fruttifere; e sono censite in terreni . . Lir. 3,150,162. 49 in fabbricati . . » 3,084,697. 17 in tutto. . . Lir. 6,234,859. 66 di cui esentandosi » 83,134. 91 resta pagante . . » 6,151,724. 75 La popolazione è di ... 138,826 maschi in famiglie....... 54,776 case........ 47,551 parrocchie...... 161 comuni censuarj .... 120 ditte di possessori . . . 25,024 TOPOGRAFIA, STATISTICA 281) Rizzi Zannoni, Valle, Marchetti già nel secolo passalo aveano l'atto operazioni geodetiche sopra alcune parli del territorio, e massime il primo sulla provincia di Padova, il Marchetti sul Polesine. Geografi tedeschi dal 1800 al 1805 tracciarono la gran carta degli Stati Veneti con esatta triangolazione, combinata poi con quella del restante regno d' Italia, per opera di Oriani e Carlini. Venuta la dominazione austriaca, Campana, Fallon e Marieni diressero le operazioni trigonometriche, di cui fu frutto la gran carta del Lombardo-Veneto in 44 fogli. Contemporanei andavano i lavori del Censo, la cui direzione pubblicò testò una carta generalo delle Provincie venete, lìase delle determinazioni celesti vien presa la latitudine dal-l'osservatorio di Padova, già assegnata nel secolo passato da Toaldo e Chiminello; ma questi commisero il piccolo svario di 22 minuti secondi; conosciuto dal barone di Zach nel 1807, poi dal direttore della specola Santini, che la fissarono a 45°. 24'. 2"" Già lamentammo la mancanza di buone e compiute statistiche di Venezia e della sua provincia, della quale manca perfino il ragguaglio che sulle altre vien dato ogni triennio dallo Camere di commercio; pubblicazione utilissima quando sia l'alta da persone che sentano il dovere di dir tutta la verità, e la sola verità, e di non blandire nò la boria nazionale nò le ufficiali esigenze. Noi raccogliemmo dalle fonti che più [iure ci parvero le poche notizie necessarie a dar un concetto del paese che descriviamo; ma ci è d' avviso che b statistiche speciali di qualche provincia o di qualche territorio limitato abbiano poca o nessuna importanza qualora non le accompagni lo studio dello causo che producono ciò che esiste, e gli effetti che da questo possono derivare. Pure, tanto per uniformarci all'usanza, seguiteremo dicendo come nel dominio veneto si calcolano 200 mila pecore, che danno 1,200,000 libbre di lana lorda, colla quale si alimentano le fabbriche di panni ordinarj di Crospana, Valstagria, e in parto di Schio e Pollina. Nelle Alpi, massime verso il Tirolo, si fabbrican buoni formaggi e burro4. La coltivazione dell'ulivo ò generalmente negletta, e più l'arte di cavarne buon olio. k L'antica repubblica calcolò che, dal il»71 al 1721, si spesero ,"0 milioni dì ducala per tirar dall'estero bovi da macello. Se ne diede per ragione la .scarsezza dui prati c la falsa industria degli uomini, che credendo maggior vantaggio il ricollo del frumento e del vino, che de'fieni e degli animali, ha ridotto la maggior parta dei campi ad arativi. Nel 1700 l'approvigionamentode'bovi costava 800,000 ducati, e un milione nel 17G8. Fu allora che ii cappuccino G. B. da San Martino scrisse Sulla più uliie ripartizione dei terreni fra le praterie e i seminati dello stalo veneto. Illustraz. del L. V. Vol. II, ."><< Neil'Miao 1832, che vuol assumersi come normale, produssero la provincia di . . Venezia . chilogrammi 300,000 di seta: Udine ... » 1,800,000 Verona. . . » 4,300,000 Treviso. . . » 1,500,000 Vicenza. . . » 1,200,000 Padova. . . » 500,000 Rovigo...» 350,000 Belluno. . . » 180,000 Chil. 10,130,000 cioè due terzi della produzione di Lombardia. Molte sono le filande, ma non numerose, e poche a vapore, eccetto alcuna del Friuli dove fìlansi bozzoli di Gorizia e del Litorale, mentre di quei di Verona e Vicenza gran parte passa alle fdande lombarde. Da 000,000 chilogrammi di seta greggia vicn lavorata, il valore della quale stimasi a 34 in 35 milioni. Il nuovo indefinibile morbo guastò ultimamente questo prodotto. E poiché pare che tutti i mali siansi in questi anni accumulati sui nostri paesi, una nuova malattia distrusse quel eh1 è ricchezza principale d'alcune, importante di tutte queste provincie, il vino. L' equità sovrana trovò di darvi qualche ristoro, condonando parte dell'imposta prediale; e sopra le lire 42,243,207 che questa versò ncIP erario per gli anni 1854 e 55, furono rimesse lire 2,509,071 ai comuni vinicoli, vale a dire qualcosa più della sedicesima parte :I. Se credessimo ad una relazione presentata poc'anzi all'Istituto Veneto, mentre la Lombardia cresce sempre di capitali e ricchezze « il territorio veneto, vissuto prosperamente (ino al 12 maggio 1797 , dallo spegnersi di quella repubblica prese un movimento economico discensivo, che lento nel primo decennio, più corrivo nel secondo, allentato nel terzo, fu in quest' ultimo lustro tanto precipite, che ormai nelle pianure spariscono le piccole proprietà e fra i monti appajono le scene lagrimcvoli dell'affamata Irlanda ; e la pellagra, testimonio orribile della miseria, al monte del pari che al piano gira ogni giorno più larga la falce0 ». Non v'è S Si pagò d'imposte erariali e territoriali: eolle comunali nel 1831 L. ». 44,004 L. 0. 94.014 m:> . o. 4ì,o:j:» • t. »a,8M 185G . 0. 41,-76 • 0. 9 1 ,372 cioè per medio, d'imposte regio L. 0,432, di comunali L. 0,i>27 ; in tutto quasi % centesimi por ogni 100 centesimi di estimo. 0 Zannimi, Della ristorazione economica delle provincie venete, 1853. Trattò il medesimo tema il conte Sccritnan, con tinte meno fesche, c vedendo il paese avviato già a miglioramento. MIGLIORAMENTI 201 dubbio che le condizioni naturali sieno assai più favorevoli in Lombardia, e vi furono secondate d> grossi capitali e dal coraggio, mentre i signori veneti, tra pochi possedendo la maggior parte dei fondi, legati anche da vincoli feudali e fedecommissarj, si limitarono a trarne quel che bastasse al suntuoso vivere, senza pensare a miglioramenti, che avrebbero vantaggiato solo i posteri. Caduta la repubblica, sciolti i vincoli, vennero isoliti scompigli dall'urto fra l'abitudine inerte e i violenti sobbalzi; lo fortune si sfasciarono; sorsero nuovi ricchi e ricaddero; e l'agricoltura, sempre lenta ne'suoi progressi, trovossi ancora scemata di braccia, toltele dalla coscrizione; sprovedula di case coloniche, di strade, di sfoghi, e con piccoli proprietarj mancanti di capitali, o con grossi che intendevano ad ampliare i possessi anziché a migliorarli. Dagli spostamenti della ricchezza in prima' in appresso dalle enormi imposte, massimo dopo il nefasto 1841), restarono esausti i capitali, che si distolsero dall'agricoltura per voltarli a sostenere P ecclissante lustro dello famiglie; al credito personale dovè sopperire il credito ipotecario; non che farsi impossibili i risparmj, si dovettero accumulare debiti; mentre i capitalisti preferivano avventurar il denaro nelle laute speranze della borsa e delle grandi industrie. I legami feudali non furono ancora sciolti; innumerevoli enfiteusi impacciano la trasmissione delie proprietà; vi si aggiungono le decime e i quar-tesi. Inoltre le terre venete restavano in molta parte affette dalla servitù di pascolo, detto pensionalico, la quale fu sciolta per l'ordinanza imperiale 25 giugno 1850. Per esso i pastori montani e terrieri, nella stagione vernale, poteano condur le greggie a pascolare sopra determinate estensioni di terreno, dalie quali dilfondendosi anche sul vicino seminato, recavano inestimabili danni. Si dica inoltre come la sistemazione comunale era nuova nel Veneto, e non prese pieno sviluppo. Il sistema de' consorzj o comprensorj con libera amministrazione fu sancito già dal regno d'Italia, ma non seppe usar bene di quella libertà; e dei 148 consorzj, che coprono più di sei milioni di pertiche, ben pochi provedovano all'asciugamento e alla bonificazione dei terreni, le acque lasciando spagliar dannosamente , benché si potesse in alcuni luoghi emulare l'irrigazione lombarda, in altri surrogar ai giunchi e agli equiseti il riso 7. Tale industria prese attività in quest'ultimi anni, fognando, colmando, sanando: industria che pure è antica in queste provincie. Perocché, tosto che si regolarono con argini gli emissarj di liumi che alzano il letto, si potè profittare di molti terreni bassi, che qui diconsi valli, col- 7 1>b Uosio Sui Consorzj d'acqua. Verona 181ÌU. Nel Veneto si; contano 12 canali »I irrigazione e di navigazione. tirandoli a cereali appena naturalmente diseccassero in primavera. A tal condizione trovavasi il Polesine e F estuario veneto da Brondolo al Po. Ipiù depressi terreni, formati di torbe, riescono di stupenda fertilità; ma negli ultimi anni avveniva di rado che restassero in secco. Si pensò dunque asciugarli artificialmente; e prima, con macchine inventate o applicate dal Japelli, nel 1834 il baron Testa tentò gli asciugamenti nel litorale di Brondolo e Fossone. Ma per quanto venissero migliorate si conobbe ohe la sola pompa a vapore non era sufficiente. Si introdussero dunque negli ultimi anni le ruote a schiaffo, vale a dire a doppio effetto, e con robusti motori si applicarono nel 1852 al territorio di Gavarzero, e se n' ebbero evidenti vantaggi. Una macchina di 80 cavalli asciugò 45,000 pertiche censuarie dei signori Dossi Valieri. Oggi noi terreni dell'estuario fra il Bacchigliene e il Po ben 20 macchine della forza di 000 e più cavalli asciugano meccanicamente circa 290 mila pertiche censuarie, che daranno sei milioni di lire, e risaneranno quell'aria mctifica, mentre poc'anni fa, chi da Pontelungo scendesse a Cavarzere ed Adria sul Po, nella solitaria via traversava solo terreni acquidosi, deserti e impraticabili, ora li vedo impiantiti e verdeggianti di piote erbose ; fin 40 volte raddoppiando di valore. Il buon esito vaglia ad incoraggiare, e 300,000 campi che nelle Provincie covano acqua, aspettano la mano e la perseveranza dell'uomo per ridere di ubertà. L'opera in fatto serve ne' territori di Verona e di Vicenza: ed ora, mercè le largizioni sovrane, credesi che in 5 anni saran rasciute le valli grandi veronesi; e l'esempio vorrà certo essere imitato. Qual ne verrà frutto, basti a indicarlo questo cenno, che circa seimila campi fracidi posseduti in quel circondario dal comune di Legnago, gli anni addietro erano affittati per lir. 8000, adess' adesso salirono all'asta a 40,000 annue, oltre l'obbligo di costruirvi edifizj e far rilevanti riduzioni. Perchè i miglioramenti avessero insigne effetto, bisognerebbe cessasse ».», sopra 813, il che metteva le amministrazioni in mano di inetti o Intriganti., e finiva per Insciar ogni arbitrio ai commissari distrettuali. Al contrario del sig. Zanntni, il Collolla deplora il concentramenlo dei Comuni, e gume che, mentre la Lombardia ne ha '2109, il venelo, con sole 400 mila anime di meno, ne conli poco più di 8110. XIV. ' La Laguna, ì Porti, le Isole. i mare, ne'primi secoli cristiani, occupava tutta la linea da Ravenna ad Aquileja, internandosi molto miglia nella pianura italica, ove formava seni e paludi. Su questa spiaggia occidentale dell'Adriatico, a differenza della orientale, non vi sono isole, nò vicino montagne, bensì lo foci di tutti i fiumi dell'Italia settentrionale e di parte di quei della media. Portano ossi tante materie, che allungano il continente ad occupar il dominio del mare, il che volgarmente si traduce in dire che questo si ritira. Aquileja sta va sul maro, ed ora ne dista 14 chilometri di pianura a prati e risaie. L'Isonzo, il Tagliamento, generarono grandi ventagli. Portogruaro, il cui nome indica la postura sul mare, ne dista 18 chilom.: Eraclea, pur essa stava sulla costa quando vi si rifuggirono i Veneti del continente; e così Aitino, or diviso per 9 chilom. Il Brenta, il Bacchigliene, il Musone colmarono molti cstuarj e seni, lasciando solo la laguna di Venezia, e al nord di essa quelle di Caorle e di Grado, al sud quelle di Gomacchio. E dicesi laguna od estuario uno spazio fra terreo e acqueo, che stendesi in semiluna, le cui corna appoggiansi alla terraferma, e la concavità abbraccia il mare per una corda di 21 miglia da Jesolo a Bron-dolo e colla maggiore freccia di 12 miglia; occupando 25 minuti di latitudine sul 45° parallelo e 30' di longitudine sul 29 e 30" meridiano. Tutta la laguna veneta è di 170 miglia geografiche quadrate : alcuni terreni poco elevati sopra la marea ordinaria, consistenti in argilla fangosa coperta di vegetazioni marine, si chiamano barene: veline quelli che sol nella marea bassa restano scoperti, interrotti da laghetti, chiamati fondi o valli, opportunissimi alla pesca. Quattro volte al giorno la laguna cambia aspetto; squallidissima allorché il riflusso la riduce a un piano limaccioso, rotto appena da qualche alga o canna ; e allora prendon sembianza di carri le gondolo che serpeggiano fra gli angusti meandri : quando poi l'acqua fluisce, ecco un lago increspato dai venti. Perchè anche allora il navalestro distingua i canali, cioè gli spazj più profondi, son piantate di distanza in distanza delle paline, dette gruppi, o pennelli, o mode, a un solo o a molti insieme, sporgenti 4 o 5 piedi dall' acqua, e le barche li lambiscono. La differenza tra I' alta o la bassa marca ne' tempi di luna nuova e piena, ò di 85 centimetri: ma se venta da scttentrione,Ja marea alzasi appena a 33 centimetri sopra la bassa comune ; mentre ascende lin a ra. 1. 50 se soflia scirocco. Allora il mare entra ne'canali della città, mentre noi riflusso vedesi uscirne l'acqua, asportando le sozzure. Entro questa laguna giaciono Venezia e trenta isole, e sette altro all' estremità. Il paese dove vengono a sfociare tutte quasi le acque dell'Italia settentrionale non fa meraviglia se di buon'ora dovette occuparsi delle quistioni d'idraulica pratica; tanto più che dalla laguna dipendeva la esistenza così singolare della.sposa dell'Adriatico. La laguna è separata dal mare mediante un argino naturale, quasi tlaportutto più strotto di mezzo miglio, che serve di difesa a Venezia, e che è interrotto da bocche, por lo quali la laguna è messa in comunicazione col mare. E sono il porto Treporti e quel di San-t'Erasmo, quasi affatto ostruiti; il porto di Lido, più vicino e miglior di lutti, ma che ora è accessibile soltanto a legni che non peschino più di 7 in 8 piedi; quel di Malamocco, di preferenza frequentato dopo <'•••• ' o :*"''t. . •• • — volo l.n comunicazione colla città mediante FORTI. CONSERVAZIONE DELLA LAGUNA 207 canali di ben 9 miglia geografiche. Il porlo di Chioggia ha la foce più profonda ma tortuosa. Anche per quel di Brondolo, dove shocca il Bacchigliene, possono entrar barche di 5 piedi al più di morto. .Quest'argine fu munito di forti, uno verso Treporli; uno al litorale di Sant'Erasmo; uno a Sant'Andrea di Lido; uno a San Nicolcto: poi la batteria dello Fontane e il fortino di Malamocco e il forte Alhcroni e quei di San Pietro: il castello San Felice difende l'entrata del porto di Chiog-gia; quello di Brondolo ha pure un forte ; alcune isole son munite di batterie, e verso terraferma il forte di Malghera fe bellissima prova neh" ultima guerra; dalla quale restarono distrutti anche quelli di San Giuliano e San Secondo, che proteggeano i canali e la strada ferrata. In alcuni luoghi dell' argine la sabbia , rigettata dal mareggio, levasi altissima ; in altri è si depressa, che non proteggo la laguna dalle burrasche. Più la minacciano i fiumi che v'entrano a pieno sbocco, e nel tragitto depongono i materiali che traggono seco, formando nel fondo un letto che più sempre s'eleva, in modo da interrirò la laguna. Allora traverso alle proprie alluvioni apronsi un corso, per gittarsi direttamente nel mare. Quivi urtando le acque salse, si rallentano, e quindi depongono altri materiali, talché allo shocco di ciascun fiume formasi uno scanno che diventa un'isola, biforcando il fiume, i cui due rami tornano a costituire un'isola e una biforcazione. Se non che questo ventaglio allungandosi arriva dove le acque del mare più infuriano in tempesta, e perciò non solo impediscono il procedere, ma a tratto distruggono qualche parte dell'antica formazione. Da questa duplice tendenza del mare a invadere, e della laguna a interrirsi, i Veneziani sentirono di buon' ora come fosse minacciata l'eccezionale esistenza della loro città. Al gonfiarsi delle pieno, i Padovani rompevano gli argini verso la laguna; i Veneziani voleano mantenerli e rinnovarli: donde lotte, riuscite fino in guerre; e man mano che acquistavano forzo e possessi, sviavano le acque dolci, serbando solo quelle che venissero già chiaro, ed occorressero per movere macine. Impossessatisi poi della terraferma, inalvearono gli ultimi tronchi dei fiumi, ma sul modo di farloìliscordavano gli scienziati e i pratici, in conseguenza or escludendo, or immettendo i fiumi, or pensando solo alla laguna, or anche ai guasti che ne verrebbero alla terra ferma. Principalmente la Brenta diede esercizio agli ingegneri. Nasce essa nel Trentino , e poco sopra Primolano entra nel territorio veneto , dirigendosi da nord a sud fino alla Brcntolla, indi verso levante fino al Dolo, poi a mezzodì fino al porto di Brondolo ove sbocca neh' Adriatico, dopo scorsi 159 chilometri. Anticamente pioveva tutta per quel che dicesi Brenta vecchio; a Fiesso, divideasi in due rami: uno diri-geasi a Pieve di Sacco ; passando per quella che ancor chiamasi Villa di Illustra*, del L. V. Vo!. II. 39 Brenta, a Conche sì univa al Bacchigliene, e pel canale di Montalbano metteva nel porto di Chioggia. L'altro ramo più povero, pel Dolo, la Mira, Oriago sfociava nella laguna presso Fusina. Ma i Vicentini con derivazioni impoverirono il Bacchigliune a segno , che più non bastava a Padova, la quale perciò nel 1314, vi procuro altra acqua col canale Bren-tella, oltre che impedì il Jluiro del Brenta nel canal principale, per nuocere a Venezia. Questa allora pensò allontanar le acque portandolo a Mala-mocco e Chioggia, donde cominciarono le tante arginature sul lembo della laguna, e gli emuntorj della Malcontenta, di Oriago, di San Bruson. No restava sempre più impoverito il tronco principale, onde ad un punto più alto si aperse un alveo nuovo, che è iIBrentone, il quale giungerà a Conche por unirsi col Bacchigliene. Poi sembrando da tale confluenza derivassero danni, si pensò separare i dno fiumi, sicché in alveo distinto giungessero direttamente al mare come fa ora «. Alla metà del XVI secolo dal Brenta e dal Bacchigliono restarono libere le lagune di Venezia, Malamocco e Chioggia; cui che combinando la escavazione dei canali e Io sbasso di vaste estensioni di barena, potò assicurarsi a mezzogiorno la navigazione di Venezia : a settentrione poi si sistemarono il Sile e il Piavi;, e nella cosi detta Linea di conterminazione di lagune si mantenevano rigoroso discipline -. 1 11 Brenta aRa foce non può navigarsi elio col favore del flusso ; poi l'altezza ne varia, ma è quasi sempre navigabile nel tratto et)e propriamente dicosi Nume, da Campo san Martlnotn gìtì. Comunica con Padova per mezzo della Brentellà e del Canal Piovego; con Venezia pel canal naviglio Brenta, in cui si entra al Dolo; colla laguna di Chioggia per la ronca di Brondolo. Fra le infinite opere in proposito meritano essere veduti Vincenzo Coroneu.i < la Bresta quasi borirò di Venezia, delineata e descrìtta ». Tentori « Della legislazione veneziana sulle preserva/ioni della laguna ». GIACOMO MARIA FIGARI Trattato massimo delle venete Eagone, consacrato al serenissimo principe Kornaro, Miì », e le recenti di Paleoeopa, Fossombroni, ecc. '2 II decreto per la conservazione dell'estuario fu ridotto ad epigrafe dal valente latinista G. B. Egnazio, prete dì Santa Marina morto il l'i.'),"; VENI5TORVM vrrs divina DISPONENTE PRQVIDBNTIA AyVIS fvndata aqvarvm amiutv CIRCVMSBPTA AQVId PRO MVRO 81VNITVR. qvisqvis I01TVB QV6QV0 modo detiumentvm PVBL1GIS AQVIS in l'eri! K aysvs FVERIT hostis PATRI JE IVDICETVR nec minori l'lkctatvr Pa:na QVAM qvi SAt'.lios MVROS PATRI* violasset. hvjvs edicti 1VS ratvm peupetvvmqve esto. ISPETTÓRI DELLE ACQUE 299 Suite acque ayevan ispezione il Senato e i Dieci, finché nel l'i 15 furono eletti sei Savj per sovrantendere alla laguna, ai porti e lidi; nel 1501 si ridussero a tre, scelti dai Pregadi, e durevoli 24 mesi. Nel 1505 si creo un collegio, portato poi a 75 membri, per eseguir le deliberazioni di tale magistrato; con giurisdizione criminale in materia di laguna e tagli d'argini. Nel 1542 si cominciò a elegger un pubblico matematico, soprantendente a tutte le acquo dello Stato, a vigilar che non si riducessero a coltura Un'altra iscrizione dal ifi'i", die or leggesi nell'Uffizio delle pubbliche costruzioni, dice; VT A'jVAI'.YM ÌUI'KRIVM RELIGIONE ET CONCORDIA UV.ESITVM ATQVE .K-iTVAHIA HMC I.IIIERTATIS SACROSANTA SEDE» VI1I11S VEI.VTI SACRA M OKNI A .ETERNYM CONSERYEXTVR A Kit E l'YHLICO CV IlATORVM DILIGENTE ET SKVEIUTATK AMMKS ELIMINATI COEKCITl DIVISI AMO TRAI)VETI IPSIQVE MARI ET LITORIBVS IMP0SIT.A LEG US. Uno di quelli che più saviamente discorsero sulle lagune fu Cristoforo Sabbadiuo, i cui scritti vennero deposti, con Iscrizione magnifica, nell'Archìvio secreto, l'anno Idoli. Egli Messo scrisse in proposilo questo sonetto : Quanto fur grandi le tue mura il sai, Venezia: or come ysse s'altrovin vedi: Che se al bisogno lor tu non provvedi, Deserta e senza munì resterai. Li fiumi, il mare e gli uomini tu bai Per inimici; il provi e non lo credi: Non tardar, apri (ili ocelli e movi i piedi, Che volendolo poi far noi potrai. Scaccia i limili da te; le voglie in ironie Degli uomini raffrena, e poi dal mare Rimasto sol, sempre sarai obbedita. Deh non aver le orecchie al tuo ben sorde, Perchè con gran ragion posso affermare Che il cie| ti die nell'acque eterna vila. L'iscrizione posta nel UHI ai Murazzi dice: VT S \CI1A .KSTVAIUA VlUilS ET I.IUEHTATIS SKDES l'Elil'ETV V.M CONSEB V ENTYII CÒLÒSSBAS Moi.es EX SOLIDO MAR MORE • Ci INTRA MARE POSVERE CVRATORES AQVARVM AN. SAI.. 1umxi.I AB VHM CON. MCCGXXX. i boschi di qua del 'ragliamento, a vender i terroni di alluvione del Po 0 della Piave. Yavea poi specialmente tre Provcdilori sopra la regolazione delPÀdige, cominciati nel 1077. Le campagne bagnate dai fiumi pagavano il Cautpalico, tassa per le riparazioni occorrenti. Il problema capitale era sempre la conservazione delle lagune, e \i s'affaticarono attorno fra Giocondo, il Castelli, il Morelli, il (iugliolmini, il Cornaro, il Montanari, il Lorgna, il Filiasi, il Poleni, il Sabliadini, il Leoni, il Lucchesi, il Romano, il Ximcnes, il Frisi, e ai dì nostri Io Stra-tico, il Sanfermo, il Fossombroni, l'Artico, il Paleocopa. Cresceva l'urgenza dacché, non deponendo più le materie negli stagni, essendo ristretti negli argini sempre piò prolungati, strascinando maggiori sassi'dai monti più diboscati, i dumi allungavano maggiormente i loro coni d'alluvione. 1 Proti alle acque deposero negli arci i i v f documenti, che fan conoscere il progresso de'fiumi, e noi 475G Eustachio Manfredi tracciò in tre tavole 10 stato delle estreme diramazioni del Po a metà del 1500, al principio del 1000, e del 1700. Verso la metà del XVIII secolo il progresso dello alluvioni, sin allora rapidissimo, si lento, forse perchè trovarono maggior fondo in cui s'inabissarono. Alcuni idraulici sostenevano che, per conservar la laguna, ò meglio che i fiumi vi sbocchino, determinando cosi una correrne ai porti, che li tiene sgombri. Pareva ad altri per lo contrario che con ciò interrissero la laguna, sicché bisognasse assolutamente escluderli; laonde lo operazioni variarono ora in un senso, ora nell'altro. Ma dopo le orride pieno del 181G, che si stimò avesser danneggiato di 12 milioni le provinole di Padova o Venezia, invaleva il partito di restituire i fiumi al loro .andar naturale, quasi lo scavo che faceano col correr loro fra le lagune l'esse più che compensar gli interrimenti che vi portavano. Mentre se ne discuteva, nuove rotte terribili nel .1823, nel 25, nel 27 desolavan il paese, onde fu chiesto il parere del conte Vittorio Fossombroni, che, uom d' all'ari insieme e di scienza, vide che esageravano gli oppositori , ma esagerava anche l'antica Venezia col bandire ogni acqua dolce dalle lagune; e nel 1855 diede un piano, che si lasciò dormire fin quando una nuova piena del Brenta nel 1831) sommerse tutte le terre sulla sua dritta e Padova stessa. Non vi si vide miglior rimedio che il progettato da Fossombroni di gettar 11 Brenta nella laguna di Chioggia: lo che veniva effettuato il 28 agosto 4840, sboccando a Conche mediante un taglio, mentre un altro vi immetteva il Novissimo, colator d'acque del Brnita, del Brcntonc o d'altri corsi. Anche il Dose, lo Zero, il Mezenego, il Silo furori fatti sfociare nella laguna, opere che fin ora parvero collaudate dall'esito. Ma altre se ne richiesero per tenere sgombri i porti. La corrente litorale, elidendo quella delle acque rifluenti, fa che i fiumi sboccanti pie- DIGHE E MURAZZI r>Ol ghino a sinistra, lasciando a destra banchi più estesi ed elevali che non quelli a sinistra: al contrario i canali di marea, come quelli che escono dai porti di Venezia animati solo dal (lusso e riflusso, voltano la foco a destra, perchè non fan depositi di materie, e secondano la corrente litorale. All'ingombro riparatasi in prima con palafitte, dietro cui accumulavansi terra e ciottoli, o diceansi guardiani o speroni, quali possono ancora vedersi nel litorale di Malamocco e Pelestrina: poi vi si provide più grandiosamente coi Murazzi. II padre Coronelli nel 1710 propose di fabbricar una muraglia di marmo a gradinata verso il mare; ma fu preferito il divisamento di Bernardino Zendrini, autor delle Memorie storiche tirilo stalo antico e moderno della laguna di Venezia. Cominciossi il 24 aprile 1744 nel litorale di Pelestrina, a formar una muraglia, di 111 in 14 metri alla base, e che elevandosi rn. 4. 50 sopra la comune; inarca alla, strin-gesi a circa un metro; verso la laguna quasi verticale; verso il mire scendi' a scaglioni ineguali; alla radice è disposta una scogliera, che franga il primo impoto dei flutti, E s'allungava 4027 metri nel litorale di Pelestrina, 1200 in quello di Sottomarina, e la repubblica vi spese da 20 milioni di lire veneto in 38 anni, oltre 6 milioni por gli argini a strati di ciottoli, con zoccolo di marmo, che per 7483 metri fronteggiano le sponde di Pelestrina e Ghioggia 3. (Pro/ilo degli antichi murazzi di Pelestrina a ,'r. di metro.) o / 3 3 U S C t S \) /O Assassinata ch'olla fu, trase unissi l'opera l'incile i danni se no risentirono, massime per le straordinarie procelle del 1825 ; onde dal 183(1 al 43 vi si spesero 1,194,000 lire. Agli scanni chi; l'ormansi allo " I Murazzi di Pelestrina e Sottomarina valutanti lire'20110 austriache iti metro cor. "'"i", cioè in tutto tO milioni. Le dighe lire 460: sicché (|uolle fra Pelestrina e Chioggifl cosarono 5 milioni e mezzo. sbocco do'fiumi si provvido con speroni di palafitte, che a fianco ad essi porti sviassero la'corrente. Pure il porlo di Malamocco principalmente deteriorava sempre più, sicché il governo napoleonico incaricò Prony, lìertin de Vcaux, e Sganzin di ripararvi con una diga. Non se ne fece nulla fin al 1835, quando se ne formarono due esterno ed ima interna, con pietre {Profilo della dign di Malamocco.) d'Istria, non minori d'un terzo di metro cubo; e spendendovi circa 5 milioni: e nello intento che le acque affluenti e rifluenti da quella bocca solchino lungo la diga una foce più profonda. Finita la diga settentrionale di metri 2200 , 1' effetto ne fu sentilo più presto e maggiore che noi provedessero i periti: giacche una porzione dello scanno, rotta dalla diga, si portò molto verso il maro, lasciando un canale per cui già si può venire alla bocca del porto. Perchè poi il movimento delle acque nel llusso e riflusso rendasi più efficace, si incanalano le acque mediante una sponda, che dall'altra estremità della bocca del porto si sporge in mare; od è la controdiga, o diga esterna meridionale, ordinata nel 1852, e già ben innanzi, e che dovrà misurare metri 200 (V. al fin del capitolo). La corrente determinata fra lo due dighe spazzerà quel che resta dallo scanno, e procaccerà un largo o profondo canale d'entrata. Restava a migliorare il canale interno che da Malamocco viene aila porta Nuova dell'Arsenale, seguendo il canale de'Mar ani lungo l'isola di Santa Lena, poi volgendo a San Servolo entra nel Canal Orfano, e per lo isole di San Clemente, Santo Spirilo, Poveglia, col nomo di canal di Malamocco s'avvicina al forte Alberoni, donde il canal della Rocchetta mena difilato al porto. Quest'ultimo era tortuosissimo e anche tutto il restante offriva difficoltà e pericoli, massimo alle svolto risentite di San Clemente, Santo Spirito, La Madoneta, Poveglia; ma vi fu già in gran parte riparato; al resto si lavora, acciocché la profondità normale sia di m. 0. 50, la larghezza di 14, per modo che le navi anche da guerra possano QL DIGHE E MURAZZI 503 andar dritto air arsenale, le mercantili al bacino di San Marco. Il giovano arciduca, destinato capo della marina e governatore del dominio, aggiunse ai decreti l'efficacia d'una volontà risolutissima; e Venezia stupì quando, il 20 ottobre 1857, osso arciduca Massimiliano conduceva nel suo porto una squadra di 12 legni, fra cui 4 fregate; la prima squadra che in alcun tempo mai vi penetrasse armala ed equipaggiala. E il destino degli uomini grandi di far adottarti dal mondo e lo verità e gli errori, quand1 essi li proclamino. Gol!' inserire una nota di Prony, nel suo Discorso preliminare alle ricerche sai fossili, Guvier rese divulgata la notizia che il letto del Po è più alto elio i tetti di Ferrara, e si continuava a ripeterlo, per quanto le misure e l'occhio, e lin il senso comune lo neghino. Lo stesso Cuvier disse che « Venezia a fatica man-« tien le lagune, e malgrado gli sforzi, sarà inevitabilmente congiunta « alla terraferma, come accadde di Ravenna e di Adria ». Sta bene: ma quello non erano protette dall'arto; mentre questa, col liberar la laguna dalle torbe de' iiumi, fico che non si veda in (piai modo potrebbe divenir terrestre. Ciò che fosse la navigazione di Venezia, dopo che ebbe resurrezione dal portofranco o dalle altre cure superiori, appare da questo prospetto delle navi che entravano nel suo porto. PICCOLO cabotaggio grande cabotaggio lungo COIISO Anno Navi Tonnellate Navi Tonnellate Pfovi Tonnellate IB36 2706 104,674 24S 25,971 76 n,!12(l 1845 3553 235,085 52« 48,5 ì 2 151 27,215 La tabella seguente mostrerà il crescere dell'attività navicchiera ili Venezia, e servirà di confronto ai progressi, che senza dubbio l'a-spettano, or che da presso è vigilata con cuore, volontà e potere. 504 503 MOVIMENTO DELLA NAVIGn/, DALL'ANNO 1851 A TUTTO L'ANNO 1857 , ovc i Padovani fuggendo posero una città, divenuta sede del governo prima che venisse trasferito a Rialto. Le tempesto sciroccali attorno al 1102 la inghiottirono, e lasciò il nome di Malamocco a quest'altra che, popolala nel \| secolo, con un vescovado durato sino al 1107 poi trasferito a Chioggia, ISOLE DELLA LAGUNA 307 venne ad avere un migliajo di abitanti, in una parrocchia. Il suo porto è il più comodo fra i veneti, come dicemmo. Questo canale era famoso nella leggenda per la rotta che vi toccò Pepino re de' Franchi (pay. 13), e per la strage avvenutavi, domi' ebbe il nome di Canal Orfano ; nome reso poi funesto dalla muta giustizia, che colà esercitavano i Dieci, allogando i condannati. Le stesse procelle sciroccali interrirono qui vicino il Lido maggiore, che or chiamasi Porto Secco o Pelesthina. Sono due striscio di terra abitate da 7500 persone. Possiamo visitarvi tre chiese, Sant'Antonio, San Vito, e la piovana d' Ognissanti. Lo donno lavorano merletti , e cogli uomini attendono agli ortaggi, di cui vedonsi condurre cariche le barche a Venezia. I forestieri la visitano per la meraviglia de' Murazzi, scorrendo i quali, mentre abbiamo da un lato lo spettacolo della sconfinata marina, dall'altro ci rallegra l'industria con cui vengono coltivati gli orti, adoprandovi le spazzature di Venezia e della laguna, tenendo bassi i frutteti, e proteggendoli con siepi dal soffio indiscreto; industria costosa, ma ripagata. È ancora uno degli spettacoli più graziosi di Venezia il vedere le gondole che, cariche di civaje e di frutte, vengono dalle isole ai mercati e principalmente alle Fabbriche di Rialto ; cosi bene son disposte quello fragranze appetitose, con colori assortiti, e una pulizia che fa contrasto col barcaruolo sucido e sciamannato. Ne' tempi andati, quando elcggeasi il doge, i fruttajuoli venivano a offrirgli de' meloni. Sei mazzieri con bastoni verdi portanti lo stemma del doge procedeano, seguiti da quattro trombetti e tamburi, tre stendardi della propria arte o una barella, su cui quattro forti portavano Timrnagine di san Giosafat, inghirlandata di fiori. Due bimbi vestiti di nero, con mazzetti di fiori su bacili d'argento precedevano il capo dell'arte, e il doge de'Nicolotti in veste ducale nera, e il vicario dell'arto in ferajuolo ; gli accompagnavano diversi fruttajuoli, tutti con mazzi in mano, poi due che portavano i meloni su piatti d'argento. Due facchini recavano una corba tutta a colori e dorature e svolazzi, piena di meloni: indi 24 fruttajuoli con piatti de'frutti stessi coperti di fiori : poi un'altra corba ad argento e 20 fruttajuoli coi soliti piatti e un'altra corba di fiori e meloni, infine 24 fruttajuoli : e così presen-tavansi al doge. Povegua. Quando nel 804 fu ucciso il doge (iradonico, i numerosi suoi famigli si munirono nel palazzo ducale, risoluti a vendicar il padrone e a vantaggiare sè stessi. Fu dunque forza venir con loro a patti, e alle 200 famiglie di essi (tanti erano I) assegnare l'isola di Poveglia , eoi larghi privilegi che dicemmo a pag. 14. Positivo era quello di rimorchiar le navi che entravano pel porto di Malamocco. Nella guerra di Ghioggia, per la quale i Povegliesi armarono tante navi quante la popolosa Murano, l'isola fu per necessità di difesa smantellala (1380), e gli abitanti trasferiti nella parrocchia di Sani'Agnese a Venezia; e molti do'monumenti a Malamocco, fra cui un Crocifisso in plastica, celebre per miracoli. E di miracoli son ricche queste isole, e molte immagini vi narreranno o comparse o prodigiosamente rinvenute, massime della Madonna, stella del mare invocata dai naviganti. Nell'isola era stato eretto il forte, detto Ottagono, che restaurato or comanda a tutta la laguna. Fin dal 1249 esisteva la chiesa di Santa Maria di Nazaret sopra un'isola dove s' allunavano i pellegrini di Tcrrasanta. Nel 1403 san Bernardino da Siena persuase il sonato a destinarla alle persone prese o sospetto di peste, e allora ebbe il nome di La/.ahktto; il quale divenne poi comune a tutti i luoghi di ricovero o d'osservazione degli appestali. Poi nel! 407 fu posto un Lazaretto Nuovo all'isola di Sant'Erasmo, che divenne tristamente famoso nella poste del 1570. Dopo quella del 1630 si istituirono saviissimi provedimcnti, imitati dal resto d'Europa. Secondo questi, nel canale di Poveglia teneansi le navi sospette di peste, la quale in fatti vi si sviluppò nel 1793; ma mediante rigorosissime pratiche fu sopita nell'isola stessa. D'allora \i si tenne il lazaretto, nò ha quasi altra popolazione che gl' impiegati di questo e alquanti soldati. Lino chiamasi quella duna che dicemmo fra la laguna e il mare; a mezzodì morente in una spiaggia sabbiosa, che il mare copre ogni giorno, e spesso flagella fremendo; di qua lavorata a campi e giardini. Alla sua estremità orientale è il porto di San Nicoleto, con una fortezza, e colla chiesa di quel santo, costruita nel 1244, ricostruita nel 1020, e notevole per capi d' arte e pel coro saviamente intagliato, c per l'altare a tarsie di marmi più ricche che di buon gusto. Ve sepolto il famoso tiranno di Ferrara Salinguerra Torello, morto prigioniero ai 25 luglio 1244. Vi si custodiva gelosamente il corpo del santo, portato da Mira nella Licia ; il monastero suntuoso abbondava di gloriose memorie, tinche abolito nel 1770, lasciò deserto quel terreno e poveri quegli abitanti, che ne traeano esempi, soccorsi, medicine, conforti. Tirando a ponente s'incontra il cimitero degli Ebrei, disadorno, e notevole solo per gli epitafi in loro lingua; poi la terra di Sant'Elisabetta colla così detta Chiesuola. UDO SOD Il forte da Sani1 Andrea di Lido che difendo quell'entrata, è bella opera del Sanmiclieli, a 5 faccie, con 40 cannoniere a fior d' acqua, e con bastione ornato di tre archi dorici. Trae nome dall'isola di Sant'Andrea, delta anche la Certosa, molto estesa, girando quasi quadro chilometri, consegnata dal senato ai Certosini nel 1422, ed ora deserta. Vi rimane una bella chiesa di Pietro Lombardo con buone pitturo e monumenti sepolcrali, fabbricata dal patriarca Antonio Suriani. Sul Lido si raccolsero i Crociati francesi, quando con Enrico Dandolo passavano alla conquista di Costantinopoli. Qui i signori di notte in giorni solenni venivano ad assistere al tiro di balestra che faccasi dai giovani. Qui compivasi la solennità dello sposalizio del mare. Qui coloro eh' eran giovani quando noi eramo fanciulli (1817) vedevano galoppare on bel zove-neio inglese flPtm serto nome stravagante, lord Byron, cercando terra ed erba ed ombre fra una citlà simile a bastimento ancorato: e sul lembo estremo della duna, davanti alla pace dell' ampia marina voleva farsi seppellire, eoo un epilafio che dicesso : « Byron implora pace » 4. Adesso tutti i lunedì d'autunno i popolani vi vanno tra suoni e canti e grida, a godere ce-nette, e far, come dicono, il bacanal; ma il luogo è ben lungi dal rispondere ;| quel patetico che le descrizioni vi trasfusero. Però testò il coraggioso si- 4 Nel Dostro libro giovanile su lord Byron'descrivemmo la sua dimora a Venezia, e h donne eh' ebbero la sventura d'ottener una pagina nella vita di esso. gnor Fisola vi aprì uno stabilimento di bagni, con comodità che finora mancavano. ■ Da San Marco movendo in barchetta verso i Giardini, do])o circa mezz'ora di amenissima gita si tocca la terra. Un allegro viale fiancheggiato d'alberi, in men di dieci minuti conduce alla spiaggia ed al bagno; e se vuoi, ti addentri fra gli orti e i poderelti, diche una industre popolazione ha ricoperto quell'isola lunga circa sei miglia. Da una parto la maestà della natura nell'immenso specchio dell'Adriatico, dall'altra il valore di più generazioni che fecero sorgere dalle acque sì stupenda moli' di marmorei edifizj, preparano al gentile visitatore il più solenne spettacolo che ad occhio sia dato vedere, e a mente umana considerare. Certo in queste acque non verrà più il doge col suo dorato naviglio, eiulo dalle Multe della signoria, dallo splendido corteggio del sonalo, dalle ambascerie o dal folto baroolamc del popolo, a compiere il rito dello sposalizio del mare; ma non per questo l'aspetto della solitudine opprime P anima di sconfortata tristezza; che, mentre accorrono sulla spiaggia le brigate de' cittadini ad innocenti sollazzi, non sono i soli gabbiani che si librino sulle onde; ma tu scorgi a distanza le bianche vele del laborioso popolo pescatore dello marine; un immenso navile di cabotaggio frequenta i porti; e tratto tratto un qualche piroscafo segna con nube nel limpido mare il suo veloce cammino; e tutto ricorda che, per le nuove relazioni dei popoli, per le nuove condizioni della navigazione, delle industrie, e dei commerci, una città come Venezia, in riva ad un mare come 1' A-d ri a ti co, è sempre regina, se di regina non le manca T ardimento ed il cuore » s. * All'isola di Santa Lena nel 1174 Vitale Michiel vescovo di Castello, fondava un monastero di canonici regolari, poi nel 1407 vi entrarono gli Olivetani, rimasti lin alla soppressione del 1800. L'antica repubblica vi coeeva in 34 forni il biscotto per le milizie: ed anche ora vi sono grana], mulini, pistrini, e nella chiesa qualche bel lavoro d'arte. A levante di Lido, e separatone pel porto di Sant'Erasmo, trovasi l'isola di questo nome che è la più grande di tutte, e che somministra molti ortaggi alla città. Nel congresso scientifico del 47 si fece un'escursione agraria ai verzieri di tutto quel litorale; e si trovò che la rendita lorda battea dalle L. 104 alle 270 ogni pertica censuaria; rendita jcertamente cresciuta ora, si pe1 rincariti prezzi, si per la più estesa consumazione. b Sulla f.....mìoae dei Cordoni litorali <• dèlie lagunee sulla nuova stazióne balneare in Venezia. 1NS6. [SÓLE DELILA LAGUNA 511 Or dunque sarebbe a volger le cure alla coltivatone di tutta quella duna da Torlo Caleri fin a Porto Buso, e da punta di Piave fin a Marano, ove piantandole di pini marittimi e d'altre essenze adatte, ove moltiplicando le civaje che potrebbero spedirsi lontano por mozzo dol mare; e elio potrebbero dar occupazione alla poveraglia di Venezia e agli scioperi di Chioggia, Murano, Murano. Giacomo Micheli fondò il monastero di San Francesco del deserto pieno di memorie francescane; ma dopoché nel 1800 furono aboliti i frati, l'isola rimase deserta, e quasi un sepolcro sognata da lungi dai cipressi. Più meritevole di veduta è Pisola di San La/.aho. Lazari ehianiavansi i lebbrosi, mollo estesi al tempo dolio Crociato, e a costoro fu assegnata quest1 isola. Mechitar (1670-1746) prete cattolico armeno di Sebaste, ebbe primo r idea di trapiantare ne'suoi paesi la civiltà europea, e resuscitare una nazionalità, spenta a segno, che la lingua non n1 ora adoprata più che nella scrittura. Per trarre dunque i suoi alla coltura e alla fede cattolica istituì un ordino di monaci di sant'Antonio, che da lui proser il nome di Mechitaristi; e li collocò a Modone di Morea, possesso veneto; poi quando questa cadde ai Turchi, la repubblica veneta cedette a loro Pisola di San Lazaro. I padri, coli' ajuto di benefattori, \i coltivarono il terreno, e rifecero (1717) il convento e la chiesa, e tengono ancora Pisola come terra franca, sventolandovi bandiera turca; e nel collegio educano giovani,, che poi servono in Levante come ecclesiastici e maestri. In altro collegio aprono in città, dove pure una cappella, ulìiziata ne'dì festivi. Nell'isola raccolsero una biblioteca, ricca di manoscritti orientali , e posero una stamperia , donde alcune opere uscirono, e proponeano dar fuori una collana di storici armeni tradotti, ma il favor pubblico non la sostenne. Va, fra l'altre, ricordata l'edizione della Cronaca d'Eusebio per opera del padre Aucber, piii sincera che quella somministrata al Mai dal padre Zomba. Salute, quieti e laboriosi Padri! colonia del Levante, che rappresentate ancora la civilizzatrice opera del monachismo presso la scadente città che portò in Oriente e attinse idee, ricchezze, fede , costumanze! Se un giorno il soffio della logica livellatrice vi spazzerà da quest'isola, ove tanti venimmo a cercare riposo, conversazione, studj. San Lazaro rimarrà un deserto, come tant'altre isole che l'oziosità dei frati rendea popolose, coltivate, ricche; e qualcuno che, nell'età de'giornali ricordi ancora i classici, esclamerà: Jacet Htore trtmeus, Avuìsumque htmeris capii', ci sine nomine corpus. Or prendiamo maggior corso per arrivare all'isola di Murar©, Vuoisi che desse ricovero ai profughi di Oderzo; ed ebbe governo proprio finché nel secolo XI fu aggregala al sestiere veneto di santa Croce, e mandatovi un podestà, conservandole però il proprio statuto e un consiglio, e diritto di battere corto monete, dette oselle, su cui imprimevano l'effigie del doge, e lo slemma dell'isola, cioè un gallo fra una volpe e un serpente. Colà amavano andar a villeggiare i Veneziani, prima che possedessero la terraferma, e vi teneano adunanze le accademie degli VETRERIE DI MITRANO 513 Studiosi, ile' Vigilanti, degli Angustiati, degli Occulti, degli Interessati e via discorrete. Di là furono i pittori più antichi veneti Quirico e Andrea, poi i Vivarini; indi altri. Famosa la resero le sue vetriore e conterie, delle quali non ha ancor perduto il vanto; sicché merita che ne discorriamo. Per lo conterie voglionsi tre specie di operazioni, parti diverse di una arte sola. La prima è il comporre gli smalti e la canna; la seconda rotondare le perle in apposite fornaci, lavoro del margaritajo; la terza lavorare perle alla lucerna, il che spetta al perlajo o soppialume. La prima è la più importante, non facendo le altre che modificar i prodotti ottenuti mediante la fusioni1. Le conterie sono o fine o ordinarie. Per le line, l'operazione più notevole e delicata consisto nel fondere delle composizioni per gli smalti o per le canne; queste variano a seconda dei prodotti che si vogliono ottenere, e cosi il grado di fusione. I prodotti sono, canne per far perle, o smalti per musaici ed altri oggetti, e gemmo artificiali. Le canne si lavorano forate o massiccie; per le prime riducesi la pa3ta vitrea colorata in lunghe cannette più o meno sottili, per modo che conservino il foro in tutta la lunghezza; si tagliano, cd i pezzetti si discornono con crivelli secondo le varie grossezze; poi bisogna rotondarli per ridurli in perle, sottoponendoli al fuoco in apposite fornaci, che si chiamano a ferraccia ed a tubo, secondo la forma del recipiente nel quale vengono posti. Quelli a tubo sono simili al fondo di un cannone: lunghi circa sedici pollici, attraversati nel centro, pel verso della lunghezza, da una spranga di ferro che serve di asse fisso. Presi i pezzetti delle cannello tagliate, si versano in un miscuglio di calce spenta o carbone di legna dolce finissimamente polverizzato, che penetra il foro dei pezzetti, otturandolo acciocché si conservi nella successiva operazione. La quale consiste nel mescolare insieme questi pezzetti alla sabbia ad al carbone in polvere, esponendoli all' azione del fuoco entro al tubo, che si la girare sul proprio asse, perchè gli spigoli ne vengano smussati, e riescano perle rotonde. Le fornaci a ferraccia servono a rotondare le porlo più grosse e le conterie ordinarie. Ottenute lo perle, sono ridotte alla lucentezza di cui tornano suscettibili, s'infilano, se ne fanno mazzi di varie grandezze secondo la diversa qualità, e si pongono in commercio. Le margaritino o perle in genere, acquistano singolare vaghezza quando sono brillantate, servendo egregiamente poi ricami e tessuti; ma tale brillantatura non si eseguisce a Murano od a Venezia, bensì in Boemia, a prezzi bassissimi , impiegando la forza dell' acqua e la mano degli operaj, che è ivi a più buon mercato. Il porlajo riduce in perle la canna massiccia adoperando una lucerna alimentata col sego (e adesso col gasi, la cui fiamma è spinta dal soffio Uluatraz, del L. V. Vol. II. \\ di un mantice in linea orizzontale; fa agire il fuoco sur una canna di smalto di vetro colorato che regge colla destra, e colla sinistra sostenendo un pezzo di fdo di ferro, intonacato con un miscuglio di colla forte, calce spenta e terra di Vicenza, fa che il vetro fuso goccioli sul filo di ferro; regolandosi la forma dall'artefice in varj modi, ed anche adoperando appositi modelli. Per eseguire sulle porle gli ornamenti, prendo sottili cannelle di smalto in varj colori, ed accostatele alla fiamma, le usa a modo di pennello. I perlaj da lungo tempo sapevano ridurre il vetro in fili come la seta, ed i lavori possono variamente screziarsi, facendone vasi, bicchieri, cestcllini, paralumi, panieri, ed altri ornamenti , nella quale industria si distinse in modo particolare Jacopo Tommasi. Meritevoli d'attenzione, sono i vetri a filigrana, i mille fiori con formo svariatissime e la celebre avventurina. I vetri a filigrana tostochè comparvero, ottennero molto favore. Ma poiché la moda non si mantenne, l'arto rilenovasi spenta, e lo tazze, i fiaschetti, le bacinelle venivano cercati con premura e perciò pagati caro. Il Ilussolin restituì a Venezia quest'arte, e dopo di lui se ne ottennero utensili, vasi, patere, oggetti ad uso antico, e lastre che imitano i marmi, e fantasie per mosaici o per mobiglie. Anche per lastre e invetriate rotonde a filigrana di nuova invenzione , il Bjgagiia ottenni! un privilegio, e superano in vaghezza le colorate, ottenendosi una trasparenza svariata che si potrà combinare a piacimento. Così puro i lavori a mille fiori hanno acquistata molta eccellenza, principalmente per opera dei Franchini e del Bjgagiia. Da un secolo I' arto di far V avventurina artificiale si trovava nelle officine di Murano, e difibndevasi ricercatissima. È noto che diecsi avventurina un quarzo tendente al giallo-bruno, in cui rifulgono pagliuzze che sembrano d'oro; e rinviensi in varj luoghi: in Francia, in Inghilterra, in Siberia. L'avventurina artificiale modellasi più facilmente che la naturale, per ottenerne ornamenti e graziose manifatture, e Venezia dio sempre lo più bolle qualità. La famiglia Miotti possedeva il secreto della sua composizione; ma da mezzo secolo credevasi perduta. Presso al 1830, alle esposizioni d'industria in Venezia e Milano, Dalmistro, Barbarla, Morata e Compagni, o Pietro Bjgaglja produssero saggi d'avventurina artificiale: poi nelle esposizioni successive, il Rigaglia quasi sempre presentò i prodotti migliorati, e così a Venezia fu restituito il vanto di prima. Esso Rigaglia puro riuscì in una fusione ad ottenerne grandi masse, onde può fare lavori di considerevole grandezza; al qua! uopo egli inventò pure un altro smalto, tutto disseminato di puntine rosse, verdi e gialle, su fondo nero suscettibile dimoile gradazioni, al quale dà il nomo di ossidiana. VETRERIE SIS Oltre le conterie si producono pure lastre per linestre, campane di vetro, bottiglie da vino, delle quali la fabbrica principale v'era stata istituita nel 1816 dalla ditta fratelli Marietti di Milano. La Siria, l'Egitto, la Barbarla, le coste del Mar Nero, e l'Oriente tulio orano il mercato delle conterie, e ingenti ricchezze procacciossi Venezia con tal sorta d'industria: valevano sin per moneta. Sebbene le fabbriche degli specchi, ch'ebbero tanta rinomanza, sieno scomparse; sebbene sieno sorte attive officine vetrarie altrove ; sebbene i dazj per la importazione in esteri paesi sieno gravosi, pure i prodotti veneti si sostengono, massime fuori d'Europa. Il Bussolin, della cui pregevole Guida alle fabbriche vetrarie di Murano ci valemmo in questa descrizione, asserisce che il commercio delle conterie, che presentemente viene fatto coll'Inghilterra e con F Olanda, è di non lieve importanza: Londra e Livorpool da un canto, Amburgo ed Amsterdam dall'altro sono i centri principali dove si diramano tutte le asportazioni nello Americhe, nelle colonie inglesi ed olandesi. Un consumò rilevante di queste manifatture viene fatto particolarmente in Africa: imperciocché cominciando dal regno di Marocco, e progredendo nella Guinea, nel Congo, nella Cafreria, nello Zanguebar, ncl-l'Abissinia, le conterie sono dappertutto ricercata! con trasporto , e servono agli Europei per fare un commercio di permuta con le produzioni naturali di que'paesi. Anche la Francia fa traffico di quéste perle, specialmente con le sue colonie del Senegal, dove riceve in cambio sabbia d'oro , ambra, legni preziosi e la celebre gomma arabica. Oltre di che a Parigi, a Strasburgo ed in altre città della Francia si fanno con le margaritine di Venezia bellissimi lavori di borse, tettuccio, cinture, sciarpe, cordoni, ricami (Fógni sorta, che vengono in parte consumati nell'interno del regno, ed in parto formano soggetto d' asportazione. La Spagna ed il Portogallo ritirano puro conterie da Venezia; sebbene il commercio di questi due regni, che una volta estendevasi con grandi asportazioni, massime per l'America meridionale, siasi di molto limitato da alcuni anni a questa parte. La Germania e la Prussia consumano tutto giorno di questi oggetti. Lemherg e Brody ne fanno un commercio, che si estende a tutta la Russia. Costantinopoli è centro delle commissioni provenienti dalla Porsia, dall'Armenia e da altri paesi dell'Asia. Alessandria, per la sua posizione, continua ad essere un importante scalo per la spedizione delle conterie alle coste orientali dell'Africa, ed a quelle dell'Asia, lungo il Mar Rosso. Finalmente i porti della Barbarla forniscono i mercati di tutto le tribù africane ad essi finitime, donde le conterie vengono introdotte nelle regioni centrali dell'Africa stessa. Vi sono alcune qualità di perle che si prestano anche agli usi delle nazioni di Europa, come per rosarj, per ornamenti muliebri al collo ed alla tesi a, ^ per l'ormare varie manifatture di lusso. Il Bussc-lin pensa che il prodotto attuale delle fabbriche vetrarie superi quello del tempo passato, sebbene il diminuito valore cagioni grave diflerenza di guadagni. Il giro annuo de'capitali, nelle fabbriche di Murano e Venezia varia, ma il Bussolin afferma che le fabbriche di smalti in canna per conterie fine, e quelle per le ordinarie diano un annuo prodotto di circa 2,320,000 chilogrammi in manifatture di smalti, di conte-rie, perle fatte alla lucerna, ed altri articoli del valore di 5 milioni di lire austriache. Le fabbriche di cristalli, vetri soffiati, lastre, vetri da oriuolo e bottiglie danno circa 800,000 chilogrammi di prodotti d' altrettanto valore. L'arte vetraria oggidì occupa più che tremila operaj, de'quali una parte nelle fabbriche per la fusione e per le altre operazioni accessorie, e gran numero nelle proprie case, specialmente di lavoratori in perle alla lucerna, e donne moltissime per fare i mazzi delle varie perle ottenute ne' diversi modi che furono veduti. Ne' disastri ultimi, molte piccole fabbriche perirono, ma Coen, Errerà ed altri capitalisti costituirono due grosse società, le quali hanno e fondi e proposito e abilità per sostener in fiore questa industria, che va trovando però concorrenza in paesi forestieri 6. Nel i'I'ilì Giuseppe Briati vi avea eretto un ospedale per povere vedove di velraj, alle quali assegnava pure una pensione. Le vicende de'tempi lo fecero cadere, ma adesso il cavalier Pietro Bigaglia lo rinnovò con lire 55,000, sicché nel marzo or passato venne riaperto. Fin 30,000 abitanti ebbe un tempo Murano, ora appena 4500; e venga l'instancabile quanto cortese erudito Emanuele Cicogna a ridircene mestamente le memorie, da quando primamente un santo vescovo v' insegnò a balbettare la fede e la speranza, fin quando un bugiardo patriottismo sbordeliò Venezia. La chiesa parrocchiale de' Santi Pietro e Paolo (V. qui contro) erotta il 1500, possiede pitture di Paolo Veronese, dei Palma, di Gian Bellino, de' Vivarini. San Donalo, che vuoisi fondata da Ottone III nel 080, e dove nel 1000 il doge Domenico Michiel trasportò da Cefalonia il corpo del titolare, è de" monumenti più singolari dell'arte non ancora legata a stile fisso. No sostengono la navata dicci colonne di marmo greco; e.^il pavimento fu fatto a musaico nel 1140. Nell'abside princi-palmcr\te, che diam disegnato qui contro, spiegasi lo stile levantino 7. 6 Vedi quanto si disse a pag. H9. 7 Fra le iscrizioni dell'isola è notevole questa romana: L. Acilivs p. s. s. n. c. r. DE CVRIO SIBl KT P. AciLIO N. V. 1". PATRI SEXTITIjE SOENI MATHI P. ACILIO P. F, FRATRI e questa, che è delle più antiche in italiano: Correndo mcccx indicion vili in tempo de lo nobele homo mister mister Donato Memo Iwnorando podestà de Murati far a (o questa ancona de mister S. Donado. TORGELLO 317 (Chiesa de' Santi Pietro e Paolo,) San Giacomo di Palude, già ospizio do'pellegrini poi di monache cistercensi, oggi è deserta. Per le squallide acque procedendo, si arriva a Mazzoiuio, complesso d'isole che formavan cinque parrocchie; ed ora ò ridotta quasi a soli orti. Un ponte la congiungo aBuiUNO, terra d'industria molla, con fabbriche ben distribuite ai due margini d1 un canale. I quasi 6000 abitanti son dati alla pesca, ai nauli, all'orticoltura; le donne fan merletti, rinomali col nome di punto in aria. Parlasi un dialetto più strascicato che neh' altre isole, dicono, qual udivasi un tempo nell'agro Àltinate. Più famosa di tutte queste isole é Tohcello, da antichissimo popolata, e dove il vescovo Paolo trasportò da Aitino la sede. Il concorso dei profughi la crebbe e prosperò d' industria e commercio ; i nobili di colà aveano i diritti della cittadinanza originaria, sicché quelli che aspirassero a divenir cittadini di Venezia, faceansi inscrivere tra quei di Tor-cello. Or non restano più che le memorie, le quali sporgonsi, per chi voglia snidarle, da molti ruderi, dalle smattonature e dai crepacci di ogni muro di campagna. 318 STORIA DI VENEZIA Sulla, or selvaggia, piazza maggiore serbasi il sedile di pietra, ove gli antichi tribuni sedevano a dar ragione; e intorno stanno il pub- blico palazzo, una torre e altri avanzi: beli' esercizio agli archeologi. Più degna d'attenzione è Santa Maria che chiamano il Duomo, eretta da Orso Or-seolo nel 1008. Diciotto belle colonne di marmo, lavoro greco, sosten- 59 TORCELLO. SAN GIORGIO 319 gono la nave; la l'acciaia è adorna di musaici, falli dal stuolo XII al XIV, rappresentanti i Novissimi e storie scritturali; serve di pila all'acqua santa un"ara antica: un parapetto di lini marmi intagliati chiude il santuario, al quale s' ascende per una scalea, e dove la sede marmorea del vescovo sorge in fondo al coro, coperto tutto da una tazza a musaici. Vi è sottoposta la confessione sotterranea , dove prima vencravansi i corpi de' manici, trasportati poi sugli altari perchè la marea la invadeva. Decorava l'altare una pala d'argento dorato, nel genere di quella d'oro a San Mar co; ma la maggior parte fu rubata nel 180o. Le finestre chiudonsi con valve di marmo, alla orientale. Gli sta accanto Santa Fosca, elegante tempietto ottangolare, fatto nel secolo IX con frammenti di fabbriche romane. Talmente eran ricche le chiese di Torcello, che bastarono alle dilapidazioni di tre secoli, dalle quali neppure i vescovi si astengano. Eppure gravissime pene erano comminate: e per leggi del 1424 e 1441, chi rubasse oltre 8 ducati era frustato sulla piazzai se recidivo, gli si strappava un occhio, poi tagliavasi la mano, infine era impiccato sul luogo stesso del flirto, dopo menato in barca dal carnefice tutt'attorno dell'isola. Il vescovo di Torcello era provveduto lautamente: ma dopoché gì'interrimenti del Silo resero malsana 1' aria e la popolazione scomparve, esso col capitolo abbandonò l'isola, collocandosi a Murano: poi nel 1814 capitolo e vescovado furono soppressi: ivi ponendo un arciprete. Torcello avea per stemma una torre circondata d'alloro; ebbe statuto proprio, e capi-contrada al modo di Venezia, e consiglio maggioro e minore. Ora spopolala l'isola, ai pochi e miseri abitanti non rimangono che i frutti del suolo. Nel Paludo Maggiore, fra Torcello, Durano e il litorale dei Treporti, sorgevano anticamente lo isole di Àmmiano e Costanziaco, le quali verso il 1220 furono ingojate dal mare. Un' isoletta ove vedeasi la chiesa di San Felice con convento, fu ceduta nel 1842 ad inlraprcnditori di una salina, attivata poi dal cav. Aslruc di Mompellieri dopo il 1844 ; e che si estende sopra 090 ettari, mentre quella di Bagnas presso Agile, che passava per la più ampia, non ne occupava che 200. Egli proponeva Pure di erigervi fabbriche d'acido solforico, soda, solfato e sale di soda, sapone , olio di semi, manifatture che migliorerebbero la condizione sia dell' aria e dei terreni, sia de' miserabili abitanti. Supponiamoci ritornati dalla nostra pellegrinazione a Venezia, e ripigliamone una nuova frale più vicine. La prima ad allacciarsi è San Giorgio Maggior*, che sembra collocata per l'are sfondo al magnifico qua- dro della Piazzetta (vedi la fig. a pag .208). È il punto da cui mostrasi più insignemente i la Cibele dei mari, coronata di torri, comandando maestosa ai flutti ed alle divinità del mare: le sue donzelle recavano in dote le spoglie delle nazioni: il dovizioso Oriente le versava in grembo la sfavillante pioggia de'suoi tesori: vestita di porpora, convitava i monarchi, superbi di tal favore 8 ». Su quest'isola fu edificato nel 978 una chiesa al santo che le dà nome; poi nel 983 un convento che crebbe di doni: nel ir>;'(> la chiesa fu riedificata da Palladio e finita da Scamozzi. Pittoresco prospetto alla Piazzetta fa il bel campanile, opera di Benedetto Buratti; e la chiesa possiede preziosi dipinti e intagli e lapidi memorinoli. Son mirabili i sedili del coro , figuranti la storia di san Benedetto. Il primo cortile del convento è opera di Palladio come il refettorio; le cantine sono quel meglio che possa immaginarsi; e insigne è pure la scala, condotta dal Longhena. Quando, nel 1009, vi fu trasferito da Costantinopoli il corpo di santo Stefano, il doge volle sottoporre le spalle al sacro incarico, poi ogni anno alla festa di quel protomartire vi si recava il doge in ricchissimo corteo, ricevuto dai monaci, dalle damo giojellate e vestite di nero e velate; e in quell'occasione t'accasi il più scialoso sfoggio di vesti, pellicce, gioje, iniziando cosi il carnevale. Sceso il doge nel dopo pranzo del dì di Natale ad udire in San Marco la predica , terminata che fosse montava sui peatoni ducali, ed accompagnato dai suoi consiglieri, dai capi delle quarcntie, dai savj dell' una e dell'altra mano e dai 41 che lo avevano eletto al soglio, trasformasi a San Giorgio, preceduto e seguito da innumerevoli harghette illuminate: rendeano più brillanto lo spazio tra San Marco e quest'isola certi fuochi, detti ludri, composti di corda impeciata, e qua e là piantati. Giunto il doge alla riva dell'isola, ove in gran tenuta, come alla festa dell'Ascensione, vedovasi sfilata la truppa dalmata con bandiere e con bande militari, per mezzo ad elegantissima galleria tutta chiusa, passava a piedi sino alla porta maggiore. Ivi con graziose parole l'accoglieva il padre abate, pontificalmente vestito, e ad esso unito entrava ad orare per breve tempo nella chiesa. Lo seguivano i magistrati, il numeroso popolo, e le venete matrone ornate di gioje, velate nel volto e vestite di nero. Dopo di che, cantato il vespero dai musici dì San Marco, la comitiva rimettevasi in viaggio, rinnovando agli accorsi sulle due opposte rive, il più gradito spettacolo. La mattina seguente, giorno di santo Stefano, il doge, col medesimo corteggio, recavasi di nuovo all'isola, e cantata dall'abate la messa , ri- 8 Guide Un mi d, \. SAN GIORGIO 321 tornava al proprio palazzo, dove tratteneva a suntuoso banchetto quanti in quel di l'aveano accompagnalo. Frattanto la piazza, con due file di scranne disposte ai suoi due lati, empievasi dei più sfarzosi ed eleganti cittadini. Giorno della maggior gala era questo per Venezia. Tutti faceano pompa in tal dì delle vesti più ricche, delle pelli, delle gioje e di quanto mostrasse la domestica opulenza. Le belle, o col proprio volto o sotto il velo della maschera nazionale (bautta) passeggiavano liberamente la gran piazza, ovvero sedevano sulle scranne schierate. Giugnevano ad accrescere Pallegria di tale giornata i numerosi pranzi di società e la chiudevano sette teatri aperti per dar incominciamento alle feste carnovalesche. Tali pompe non saranno certo state quello che la prima santa allegrezza risvegliava all'arrivo del corpo di santo Stefano, e che intende-vasi perpetuare col voto dell'annua visita mentovata. Ma, a misura dell'avanzamento nella ricchezza o nel fasto della nazione veneziana , cosi trasformaronsi tutto le feste religiose. La pietà dogli avi divenne un pretesto al lusso dei nipoti. (Paoli-ni.) Cambia scena. Qui, la mattina 9 gennajo 1798 era strascinato il bucintoro, e le sue parti dorate venivano arse sulla piazza, poi le ceneri mandate via per cavarne Poro; Vanìglia o corpo fu ridotto a batteria, poi ad ergastolo, infine rimesso nell'arsenale, dove stette oggetto di curiosità fino al 1824. Era lungo 100 piedi veneti, cioè quasi 35 metri; largo 21 (M. 7. 30); alto 24 (M. 8. 35); 168 rematori moveano i 42 remi. Nel 1799 a San Giorgio si tenne il conclave, dove fu eletto Pio Vii. Nel 1808 fu ridottaa portofranco sin nel 1829, quando restò esteso a tutla la'città. Dopo il 49 fu munita militarmente a minaccia della città. Presso San Giorgio Maggiore si interrì un padule, e vi si fabbricò un ospizio pei pellegrini di Terra Santa ; poi nel 1439 alcuni fuggiti alle catene turche vi portarono da Costantinopoli un' immagine, da cui prese il nome di GiiAZiA. Il 17 luglio .di ciascun anno, destinato alla partenza di quanti recavansi ad Assisi per ricevere l'indulgenza plenaria del 2 agosto, era segnalato per quesf isola. Gran numero di peote e di barche, pieno di pellegrini, qui s'adunavano onde tutte insieme, quasi squadra marittima, movere alla volta di Malamocco. Coperta la piazza di tende e baracche, ornate le case degli ortolani di tappezzerie per l'accoglimento delle damo e dei cavalieri accorsi, il canale interposto era coperto da infinite barchette con mascherate, con elette comitive che al suono dei musicali istrumenti, ai canti ed agli evviva facevano echeggiare la laguna, come espressione di augurj felici al viaggio d'Assisi. Al cadere del giorno, raccolti i viaggiatori ne' proprj navigli, ricevevano la benedizione dai Cap- Illustraz. del L. V- foL ii. 42 322 STORIA DI VENEZIA pcllanì dell'isola, e sciolte le vele, metteasi termine a quella festività, commovenlissima quanto brillante. Cessato lo spirilo della divozione nel popolo rallentò anche il concorso di quella festa, quantunque sino agli ultimi tempi della repubblica siasi conservato. Ma oggimai risoia non ha che orti. (Paoletti.) Dalla sua forma chiamava?! Spinalunga quella che ora Gjldeca !), composta d'isole unite con ponti ; e fin 8000 abitanti aveva, mentre ora appena 3; con bellissime abitazioni, e scuole, e accademie, come quella di Filosofia di Ermolao Barbaro, quella de' Filateti del Nani, quella do'Nobili. Ebbe già i) chiese e 8 monasteri; e la rende insigne il tempio del Redentore, capolavoro del Palladio, eretto per voto dopo la pesto del d£>76; tempio magnifico onde non so come il Diedo vi riconosca « un' umile struttura, quale conveniva a Cappuccini ». Forma una » Assai disputarono donde derivi questo nome. Noi rammenteremo solo die a Trieste dieesi zudecarc il conciar le pelli, e zudcea i lunghi dove si fa quest'onera/ione. LA (Ì1UDECCA 52.1 croco latina, lunga il doppio della larghezza, con cappelloni semicircolari uniformi a! termino dei tre bracci; e sormontata da cupola: elegantissimo ordine corintio fregia tutto l'interno, con colonne, tramezzate da due file di nicchie. La facciata, non rispondente ali1 ordine interno, elevasi sopra uno stereobate, confinato da grandiosa gradinata, e so-vr'cssa innalzasi un ordine composito , ancor più sfarzoso che in San Giorgio Maggiore; e che pure, nella bassezza del rilievo, non promette la magnilicenza dell'Intorno. Le proporzioni gentili degli ordini, l'eleganza d'alcuni profili, la semplicità della distribuzione, il sapiente contrasto delle masse sono meriti, no' quali convengono sì coloro che vi rintracciano meriti convenzionali nella media proporzionale armonica, aritmetica, geometrica, sì coloro che appuntano il Palladio d'aver qui riprodotto un disegno già duo volte adoprato e non conveniente alla destinazione. L'architetto morì prima di veder compiuta quell'opera, che dal Diodo con frasi accademiche e indeterminate vion definita « il capo d'opera dell'eleganza e della venustà palladiana; il tempio che, se non in isplcn-dore almeno in bellezza eclissa ogn' altro fra i più decantati e maravi-gliosi » 10. Vi osserveremo pitture de' migliori, e sculture che attestano il decadimento del buon gusto. E una dello più solenni festività di Venezia la sagra che qui si fa alla terza domenica di luglio, congiungendosi l'isola per un ponte di barche fin alle fondamenta delle Zattere, e da queste fin a santa Maria Zobenigo: e dai primi vespri del sabato sin a tutto il domani è un continuo passare di tutta la popolazione sul ponte ondeggiante. È disegno del Palladio anche la chiesa delle Zitelle, con vantati dipinti del Palma e del Bassano. Là daccanto abitava lo storico Nani, e teneansi le adunanze dell'accademia Barbaro. Le stan 'vicine le isole di San Biagio, con un convento opera del Sammicheli, e di San Servolo, asilo di Benedettini, poi di monache; indi nel 1715 ceduta ai Fate-henc-fratelli, che vi tengono un ricovero de' pazzi ( vedi pag. 206 ). tO Essendo "a veln por pestre destinato a Čap^nccjni, la Signoria aveà stabilito « non vi si incltesser marmi, ma l'essi' una fabbrica soda , e quale si conviene ad una devola chiesa • (in Preludi, 7 Settembre V.HW), Ottenutine l'incarico, il Palladio scriveva al Capra : . lo faccio quanto posso perchè que^t! cdilicin riuscir possa di piena soddisfazione di quésta serenissima repubblica, ed a majrgior gloria di Dio. Ho sempre credulo che, se in fabbrica alcuna ò da esser posta opera ed industria, ciò si deve fare ne' tempj, ne'quali ma l'allure e datore ili lulle le cose, Dio Ol ni. dchh' essere da noi adoralo, e in quel "i"do che le forze p;tliscoiio, lodalo e ringrazialo di (alili a noi fatti beiielizj ». La chiesa fu consacrata il 27 settembre IMI Emisi ines-i in preventivo per l'opera 12,000 ducati e dicono ne costasse '200,000. Ora svoltando la punta de'Giardini, arriviamo al cimitero. Quel famoso fra Simonetto da Camerino, che conchiuse pace tra Venezia e Milano nel 1436, dal doge Foscari ebhe in dono un'isola che fu detta San Ckisto-foho della Pack; poi nel 1807 vi si fece il cimitero comunale, e trovandosi poco ampio, venne congiunto collisola di San Michele. In questa abitavano i Camaldolesi un chiostro fabbricato'da Moro Lombardo nel 140IJ ; poi aboliti, vi stettero nel 1821 i processati per colpa di stato. Insigne è la chiesa, e specialmente la ricca ed elegante cappella Emiliana, opera di Guglielmo Bergamasco del 1530; son a vedervi i sepolcri di fra Paolo Sarpi, Mittarelli, Costadoni, Fortunato Mandelli ed altri. In quel monastero abitarono illustri personaggi, Ira cui fra Mauro, che, prima di Vasco e di Colombo, vi avea dipinto il famoso mappamondo; e ai dì nostri fra Mauro Cappellai-i che divenne poi Gregorio XVI, Gianantonio Moschini, nel 1837 vi lasciò una ricchissima raccolta di lettere autografe, e la più parte delle 1800 edizioni dell' Imitazione di Cristo. Nel 20 vi si posero i padri Riformati, che colle preghiere suffragano i morti unico lor gregge, oltre adoprarsi fuori in prediche e cura d'anime. Anticamente, come tutte l'altre solennità, cosi erano fastosi i funerali. Il defunto vestiasi di pomposi addobbi, qualora per devozione non si preferisse la tunica di qualche ordine, o la vesta di una confraternita : e nel 1334 il senato mandò ordine che il cadavere non si vestisse che coli' abito suo consuolo, se fosse medico, giureconsulto, cavaliere, generale e persona d' alta levatura ; gli altri, involti in una stamigna ordinaria. Pomposissime le esequie: e talvolta le seguivano tutte de innumerevoli fraterie della città, il clero secolare, le confraternite cui fosse appartenuto, i marinaj e capi di nave se la condizione il portasse; inoltre le pinzoc^ chere, particolar genere di pie donne, che si chiudevano entro cellette o sotto tettoje presso le chiese e ne' portici di queste, non uscendone mai che in tali occasioni. Più tardi si surrogarono ad esse gli allievi degli orfanotrofi. Terminate le cerimonie di chiesa, cominciava il pianto dì spose, mariti, parenti, amici, strillando, buttandosi per terra, stracciandosi le chiome e le vesti: usanza gentilesca, proibita nel 1321 dal patriarca Domenico. Durò nei patrizj il rito che i parenti tutti si adunassero nella corte del palazzo ducale o sotto i portici di Rialto, vestiti a bruno, con mantello lungo affibbiato sotto la gola e prolisso strascico ; c cosi riceveano le condoglianze. Il giorno poi della Commemorazione dei morti, in tutte le chiese parate a gramaglia ardevano innanzi ai sepolcri i ceri olìerti dalle famiglie ; e tutti i conventi dispensavano ai poveri la fava, cibo funereo sin CIMITERO. MARGHERA . 325 dai tempi romani. A tal uopo, in mezzo al chiostro bolliva una smisurata pentola, e ogni povero veniva a prenderne colla sua scodella; ma i gondolieri di traghetto avevano diritto che i frati gliela mandassero, in compenso del gratuito servizio, aggiungendovi anche un pan bianco : al che i frati ricchi surrogavano un poco di denaro. Poi, come agli uccelli si sostituirono le medaglie dette oselle, così alle fave certe paste dolci, che ancor sorbano il nome di fave, sebhen non n'abbiano la minima apparenza. È de* ricordi che più ci rimasero impressi di Venezia il concorso delle gondole, innanzi l'alba voganti verso l'isola di San Cristoforo, piamente recitando rosarj, per prostrarsi sopra lo ossa de'cari perduti, e assistere a quei riti pietosi che congiungono la Chiesa purgante colla ancor militante. San Secondo sta verso Mestre, e fu dalla famiglia Baffo data alle Benedettine il 1634; ma ora, chi vi approdasse nel visitare il ponte della laguna, cercherebbe invano qualche traccia di vecchi edilizj. In un angolo di essa risedevano i gabellieri di Venezia, mentre alla vicina torre di San Giuliano risedevano quelli del comune di Treviso. Son luoghi che acquistarono nome nella disperata difesa del 1849, dopo la quale son ridotti a ruine. Sottopassando esso ponte della laguna (pag. 231), trovasi San Giorgio in Alca, dove stavano frati Benedettini poi Agostiniani, infine Paolotti e Carmelitani, ma nel 1716 un incendio distrusse la chiesa e il convento. Anche neir isoletta di Sant' Angelo della polvere un fulmine pose fuoco alla polveriera nel 1589 e mandò tutto a conquasso. Qui rimpetto stette Marcherà, fortezza artificiale, destinata da prima a proteggere la comunicazione fra Venezia e la terraferma pel canal di Mestre, ed ora pel ponte della ferrata, e servir di base a un esercito che operasse sulla terraferma. È opportunissima perchè isolata, non avendo quasi abitanti; trovasi in mezzo ai bassifondi dell' Oselino, non può esser attaccata dal lato di Venezia, dalla quale invece può trarre e munizioni e uomini. Aveva un recinto anteriore di cinque bastioni, un altro di quattro, due forti coperti, tre lunette; insomma quattordici punti fortificati: e fu il campo più pericoloso e perciò il più segnalato della difesa ncl-1'ultima guerra. Appena sollevata Venezia, il forte era stato munito, poi dopoché, fallita la fusione col Piemonte, e tenuto alto il vessillo tricolore mentre già era caduto in tutta Lombardia, si decretò che « Venezia resisterà ad ogni costo H, » il forte di Malghcra fu messo sotto il comando H Ne' fusti in bronzo meriteranno bel posto le monete coniate allora a Venezia. Son queste i pezzi di 1, 3, S centesimi di rame, c di 18 di bilione, portanti il leone e Go- 32G . STORIA DI VENEZIA del napoletano Ulloa, con molti Lombardi capitanati dal milanese Sirtoli, e alquanti Svizzeri sotto il maggiore De Brunner. Dopo che fu stretto il blocco, fu dato l'assalto dagli Austriaci all'alba del 24 maggio. Spesseggiammo a vestirci e calzarci, (ne raccontava un testimonio di vista) nè il più abile musicante potrebbe ridur in note la grandiosa diana di quel mattino, che più mai non si cancellerà dalla memoria di chi l'intese. Il bombardamento nemico si aprì con 90 cannoni, 24 ohizzi, 31 morta); e noi vi rispondemmo con ICO bocche di fuoco, miste alle grida di « Viva Italia »; e il peggiore schianto di fulmine parrebbe un susurro a paragone di quel fracasso, in cui pareano rovinare cielo e terra. Le bandiere tricolori sventolavano su ogni opera , in ogni pericolo, e poiché le palle nemiche non solo stracciavano la seta, ma rompeano il bastone, si trovava subito chi a gran rischio andava a sostituirne un'altra. E da quaranta morti e cento feriti ebbe la nostra guarnigione di 2500 persone nel cannoneggiamento, che durò tutto il giorno e la notte appresso; e le frequenti racchette rendeano pericolosissimo lo scaricar le munizioni che arrivavano da Venezia. Benché l'assalitore ci avesse lanciato da 13 mila palle, ancor n'ebbe pel domani ; e i tetti di Venezia eran pieni di gente che guardava a quell'inferno, compassionava, applaudiva, malediceva, pregava; mentre dalle 10 batterie tedesche era avventata la distruzione e la morte. Come resistere a tanta superiorità di forze ? come bastar a riparare i guasti recati alla fortezza ? Anche le munizioni e i viveri cominciavano a venir meno; e i battelli carichi, che aspettavano fuor di San Giuliano, non poteano avventurarsi a quella pioggia di fuoco. La quale per 70 ore non cessò, e tutti i ricoveri de' soldati erano letteralmente crivellati dalle granate, ognuna delle quali suol contener 120 palle da fucile. Per tanto il governo, vedendo impossibile di più oltre conservar il forte, ordinò fosse vuotato di notte, dopo inchiodati i cannoni, gettate in acqua le munizioni, levati i ponti. Il nemico non ne seppe nulla; i cannoni nostri continuarono a risponder a' suoi, benché la più parte fossero smontati, e uccisi o feriti ben 252 cannonieri, abbattuti i parapetti, sul punto di sfasciarsi i magazzini e la caserma, il terreno sommosso da palle di 80 libbre, lanciate da cannoni alla Paixhans: se al domani, come probabile, l'assediatoro dava l'assalto, impossibile il respingerlo, avrebbe verno provvisorio di Vene:in: uno scudo (t'argento col leone e Repubblica renda Ti marzo 1848, nel rovescio Unione italiana, c nel contorno Dio benedite l Italia: e un alho col leone e Indipendenza italiana 11 agosto IKtH, nel rovescio Alleanza di popoli liberi e nel contorno Dio premiera la costanza: leggende che son pur quelle del pezzo d'oro da 20 franchi. Inoltre una medaglia, avente sul dritto il ritratto di Daniele Manin, sul rovescio, in bellissimo rilievo, la liberazione di esso dal carcere, colla vista del ponte della Paglia e del ponte dei Sospiri : un' altra colla figura simbolica di Venezia tenente la bandiera e la spada e il verso di Dante thjni città, eonvien che qui sia morta, e sul rovescio il testo dal decreto 2 aprile 1HVJ di resistere ad ogni costo. CHIOGGIA 327 intercetta la via per Venezia, preso uomini e munizioni, entrando fin nella città coll'armi in pugno. Non solo dunque la necessità consigliava di ritirarsi, ma e la prudenza e P umanità; l'onor militare era salvo; Venezia non restava per ciò maggiormente esposta, e la dirosa concentrai dosi diverrebbe più robusta. Di buja notte ponemmo su barelle i feriti, ciascuno si caricò di quel che potò; e mentre alcuni pur rispondemmo lentamente al lentato sparar del nemico, ci ritirammo, in modo però che guai se il nemico avvedutosi avesse lanciato dietro a noi un picchetto di cavalleria 1 o se le sue batterie avesser incrociato i fuochi sulla via ferrata e sul ponte! Di questo alla mattina si fecero saltar sette archi ; mentre i cacciatori di Stiria penetravano nel forte e vi facevano sventolare la bandiera gialla e nera: alcuni, affidali dal non trovare minato il, forte di Marghora, si spinsero su quel di San Giuliano eh1 era pure stato abbandonato; ma appena v'era giunto un pugno di 50 uomini, fra cui molti intrepidi ufficiali, scoppiò il.magazzino della polvere e disseminò i loro cadaveri por la laguna «.Ecco cos'è la guerra! Santo Spirito può dirsi creazione de' frati, che vi stettero fin quando, aboliti nel 1806, il secolo progressivo vi sosti lui i soldati, e mutò le case in polveriere. Le è vicinissima San Ci.eme.vik , già ospedale, poi casa de'frati, ultimamente prigione dei preti (pay. 263), e ora vorrebbesi ridurre a ricovero delle mentecatte. In mezzo all'elegante chiesa è una ricca cappella della Madonna di Loreto, con una natività in bronzo, grandioso lavoro del Mazza e dell'Alberghetti. Ed ora circuita tutta Venezia, e ravvicinatici a Malamocco, prendiamo ancora un lungo corso verso ponente, e arriviamo a Chioccia; Ìsola che atticnsi al continente per un ponte; ed ha rinomanza lontana. E essa F antico Portus Jlah-ums? Trasse nome dalla Fossa Claudia? o da Clodio, compagno favoloso |del favoloso Antenore? o da Clodio, nemico di Cicerone? o dall'imperator Claudio Albino? oda Marc'An-lonio Claudio? Che bisogno di sognare origini? non.è abbastanza bella quella d'aver dato ricovero agli Italiani fuggenti da Attila, da Totila, dagjj a'tri diluvj forestieri? Avuti umili principi, crebbe delle ruine di Malamocco; era una delle dodici isole della primitiva Venezia, con trir tribuni proprj, e nel MIO fu riconosciuta città dal doge Ordelafo Fa-l,ero; poi nel 1214 ai magistrati proprj surrogò il podestà, mandatole da Venezia. Dapprincipio i Chiozzoti erano obbligati a molti censi e tributi ai dogi, e sopratulto a servir di barca essi e i gastaldi quando si recassero a render giustizia o a caccia; finché il doge Pietro Tribuno pose un limite a quo' servigi che divenivano vessatorj. La guerra di Chioggia è nominatissima, anche perche vi si fece il primo od un de'primi sperimenti del cannone. Il sale era la principal fonte di sue ricchezze, fin 80 fondamenti avendo, ossia ricinti con 25 o 30 saline ciascuno , e presedute da un satiniere, che faceva anche le veci di podestà e riscoteva i dazj; eranvi inoltre consiglio maggiore e minore e le altre magistrature al modo di Venezia, e uh cancellier grande come a Cipro e Candia. Sta a 45°, 12', 56" di latitudine nord; e 9", 56', 33" di longitudine est; è collocata opportunissimamente per comunicare mediante il Po, l'Adige, il Brenta coll'ltalia settentrionale, e trasmetter le merci a Venezia. Ora ha la popolazione di 28,000 anime, di cui 3400 dediti al pescare con 800 barche per l'alto mare, e 1200 per la laguna. Sicché da per tutto vedi bragozzi pescherecci, e navi su cantieri, e vecchi assisi a racconciare le smagliate reti , e qualche giovanotta, rimboccata la sottana fin sopra il ginocchio, avanzarsi per l'ondeggiante spiaggia a raccogliere gamberelli, che servano di esca a maggiori prese. Insiememente vi si coltivano le più belle verdure; zucche smisurate; belle praterie. Gli abitanti han fogge, han costumi, han dialetto singolare, c le Baruffe Ciozzoto li fe conoscer a tutta Italia; e quelle donne vivaci d'occhi e di motti si discernono supremamente dalle facce scialbe, che troppo segnano la povertà lungo quella storica marina. Vi si tiene fiera dal 14 agosto innanzi. Molti uomini illustri vi fiorirono, tra' quali il cardinal Santi di Verona, parecchi vescovi, il generale Girolamo Vianelli, l'ingegnere Saladino, lo Zerlino, il dottor Giuseppe Vianelli, e suo fratello, che stese la serie dei vescovi di Malamocco e Chioggia; la pittrice Rosalba Carrera, la famiglia Renier; l'abate Olivi, valente naturalista che illustrò le conferve e le vegetazioni acquatiche dell'Adriatico; l'abate Stefano Chiereghin; di Chioggia fu il famoso Zarlino Giuseppe, maestro di cappella di San Marco; il quale, nelle sue opere musicali inserì un trattatalo, dove vuol provare che P ordine de' Cappuccini non fu istituito da Bernardino Ochino, nò da Matteo Basci, bensì da Giovanni Sambi di Chioggia (1480—1528), che in religione s'intitolò fra Paolo da Chioggia. Chioggia è divisa pel canale Lombardo e per la Vena, e fra i ponti che gli accavalciano , quello ad un sol arco tutto di marmo è maestoso, e dà mirabile vista. Il suo porto o conca di Brondolo, è difeso dal forte San Felice, esagono, in cui è un serbatojo d'acqua dolce, benché in mezzo alle salse. Al continente, cioè al lido di Brondolo, l'unisce un ponte di pietra di 43 archi, stretto, ma lungo ben 250 passi. La bella cattedrale a tre navi fu eretta nel 1633 a disegno del Longhena, ed ha pitture pregevoli, e gran ricchezza di marmi, lavorati dal Negri, dal Cavalieri, dal Tremignan. Magnifico è il pulpito ed il battistero di marmo, uno de'più lodati di Lombardia; e bello è pure risolato campanile '-. È sedo vescovile, qui trasferita nel HOC da Malamocco per opera del vescovo Arrigo Grancarolo, e quindici sino di diocesani vi si celebrarono: de1 quali sono a stampa i cinque ultimi, di Lorenzo Prezzato nel 1G03; di Pietro Paolo Milotti nel KMG; di Pasquale Grassi nel 1034; di Francesco Grassi nel 1048 e nel 1002. Ben edificato ò l'episcopio, e per ogni nuova elezione la mensa è, nei libri della Camera Apostolica, tassata in 08 fiorini. La diocesi conta 20 parrocchie, di cui lo nella provincia di Rovigo: ha 3 succursali in città e 7 nella diocesi. La chiesa di Sant'Andrea è antica, ma rifabbricata; molt'altre sono a vedersi, o in piazza il magazzino de'grani, eretto il 1322 sopra 04 colonne, ed ora ridotta a mercato dell'erbe e del pesce; il palazzo pretorio del 1228, ora Monte di Pietà. Corporazioni religiose sono i padri dell'Oratorio, l'istituto delle pie scuole, e le Canossinc a Santa Caterina. Nelle vario chiese possono ammirarsi pitture del Giorgione, dello Schiavoni, del Tintoretto, del Bas-sano, di Paolo Veronese, del Palma vecchio. Nel lido di Sottomarina, che può aversi come un sobborgo di Chiog-gia, era lodala la chiesa della B. Vergine della Navicella, opera del XVI secolo, con bebé pitture, e demolita per ridurla.a fortificazione; la vede chi visita i Murazzi. Pio VI, quando andava pellegrino a Vienna, ai 10 marzo 1782, arrivato a Ponte Lagoscuro, trovò tre bucintori, sette peoje, tre barche, speditegli da Venezia, colle quali giunse a Chioggia, e prese alloggio nel palazzo Grassi. Cavamene (capo d'argine) era l'ultima popolazione deha Venezia verso Padova, e gli abitanti pretendeano aver avuto in dono da Ottone III le valli di Fossonc e di Carbonaria. Le selve circostanti e la fertilità delle campagne resero fiorente il paese. • Se il raro abitato (dice una delle migliori e più di rado citate guide, il Fiore di Venezia di Ermolao Paoletti) e quindi la popolazione scarsissima del litorale di Malamocco non ci può olfrire peculiare sistema di sociabilità, ca- 12 Su quel campanile, alle sette antimeridiane del quinto giorno del corrente I8!>8. cioè di fitto verno, e mentre cadeva a I targo i Hocchi la nese, e il mare, frenica d'orrida procella, cadde un fulmine clic a irò ventò l'asta formante già crocesol cucuzzolo, e questa mise fuoco nella cupola, onde il piombo fuso incendio il castello delle campane, e le fece cadere. Dopo lo schianto, un breve ma vivissimo lampo aperse le nubi, poi tornò bujo, a tolto il giorno fioccò. Benché rarissimi, i temporali fulminei non sono iyrnoti alle rive adriatiche, e il 2K gennajo is."", dopo mezzogiorno,al ebbero lampi e (noni. GLI ABITANTI DEL LITORALE 531 pace di costruir deciso costume, le cose diversamente si manifestano sui lidi di Pelestrina e di Brondolo. L'industria è in essi pari a quella di Mala-mocco nel coltivare gli orti ed i vigneti; ma è contrassegnata eziandio pei traffici, per la navigazione. Prima clic una falsa civiltà riducesse gli uomini allo stesso costume, il loro vestilo singolare al tutto appariva. Un velo od altro lino bendava specialmente le donne alla guisa delle monache , e coprendo per mezzo il volto, e scendendo lin sotto al mento, cadeva giù per le spalle disteso, appuntandosi alla cintola, la quale per Io più era di pelle, mentre tessuto era V abito a gran fiori appariscenti sopra un fondo o bianco o cilestro, o piuttosto tutto era bruno in memoria della foggia onde la tradizione dicea essere la Vergine apparsa sul lido di Chioggia, Un cappellino di paglia, cinto spesse fiate di fiori, toccava, più che non coprisse, una parte del capo, e s'allacciava al collo. Presentemente altra e la forma che scorgesi in generale nel vestimento loro. Un accapatojo o ricco grembiale increspato (tonda) ricopro il capo «Ielle classi inferiori, e colla estremità sua tocca la cintola. Le altre donne di condiziono più agiata hanno invece un lungo pannolino che fa le funzioni dell'accapatojo (pietà), fimbriato di merletti. In generalo portano inoltre queste donne gli abiti stretti alle maniche, corti cosi da lasciar scoperta metà della gamba, vaghi ognora pei colori, e di rado scompagnati dai grembiali.ancor più vaghi degli abiti stessi. Vengono finalmente, lo pianelline appuntite a contraddistinguere le donne de' nostri litorali, comunque assai prevalga ornai l'uso delle scarpe. Ciò che poi distingue l'una dall'altra donna, 1'un dall'altro lido ò l'affettazione con che il vestimento ò indossato. Tutte fan prova di vezzi i più studiali, di grazie che dir si vogliono nazionali e proprie. « Spesso la tonda, coprendo o scoprendo furtivamente mezzo il volto, fa che i capelli e gli occhi nerissimi, pel bianco contrapposto, meglio trionfino; spesso la guiggia copre appena la cima del piede, il quale col calcagno pur esce dalla pianella, acciocché bello il suo tondeggiare si dimostri; spesso le vesti appajono cortissime, e spesso vedi altre guise di vezzi, che una natura soprammodo sensibile (nelle chioggiotte sovratutto) suggerisce tanto spontanei, da poter difficilmente esser non solo altrove rinvenuti, ma colle parole venir espressi. Soltanto parecchie chioggiotto scostansi oggimai da sì generale costumanza , e prendendo dalla moda comune quanto possa piegarsi a correggere si, ma non alterare le vesti descritte, ottengono un grazioso e vario misto di nuovo e di antico che assai è bello a vedersi all'occhio dell'artista. « Celebri sono le donne de' nostri litorali pel lavoro de'pizzi o merletti, sparsi un dì per tutta Italia; ma molte, e quelle in ispecie di Sottomarina, sortendo forte costituzione, dal travaglio fatta più robusta, sciol- STONI A DI VENEZIA gonsi dagli usali muliebri esercizj, dividono cogli uomini le più aspre fatiche; aprono col vomere la terra, trattano il remo e guidano cosi le piccole come le grosse barche, ed a buon dritto menano un vanto sopra le abitatrici degli altri litorali per la forza loro virile. Nò v1 ha regata in Venezia in cui le donne di Sottomarina non facciano pompa di destrezza in una lotta particolare, che d'ordinario chiude lo spettacolo, e nella quale si scorge a quali opposti esercizj possa l'abitudine condurre la donna. t Ma che diremo della forma e della bellezza di queste donne? Grande distanza trovi invero tra quelle di Pelestrina e le altre di Chioggia e di Sottomarina. Chi poi, in tanta prossimità di luoghi, spiegherebbe perchè la natura leggiadra, vivace di Chioggia, e quella più grandiosa e più bella di Sottomarina, cosi poi scada a Pelestrina? A considerare i luoghi, i cibi o le altre circostanze elementari niuno potrebbe far certo ragione, corno un miglio di distanza possa cangiare sì subito la scena; e i caratteri e le maniere far tanto più miti. A Chioggia ed a Sottomarina giustamente venne notata la continua ironia nelle donne; sicché pare che quasi non mai parlino seriamente; in un baleno passano Ri motteggio scambievole, procedono allo contumelie, allo risso, le quali cessano per altro tanto presto, quanto facilmente si accendono. » Gli uomini di quésti litorali solTrono, tra l'uno e l'allro paese, minori variazioni nella natura, come poche in confronto del passato ne soffersero nei modi di vestire, tutti accostandosi, tranne lievissimo differenze, a quelli di Chioggia. Forti e rubizzi, con teste di gran carattere quali Tiziano li prendèa a modello, ugualmente che le donne «riescono rissosi, loquaci, iracondi. Divisi in mcrcadanti, in ortolani, in pescatori, calafati, marina] od acquajuoli, olirono pur nello vestì qualche condizione che segna la classe cui appartengono. A Pelestrina debbonsi aggiungere i cava-fungo e gli scoaz:cri, occupali quelli a nettare i canali dal fango e questi a raccogliere nelle zane le spazzature delle case di Venezia, che poi si vendono per concimare le terre. « Il mercatante seguì, e segue il costume dei civili d'Italia: l'ortolano portava, nel secolo trascorso, le calzette azzurre, e stringea con gran fibbie le scarpe; il suo sajonc giungeva sin dopo i lombi, la sua berretta era diversa nel colore da quella de' marinaj e de' pescatori, i quali avendo comune nei dì brumali il capperone (cappotto), non aveano identico il saltamharco (giucchellona), essendo in quelli più corto, in questi più lungo, e portando inoltro questi le gran calze sino alla metà della coscia onde difendersi dal freddo. Ora la civiltà crescente più o meno si fa sentire in tali classi secondarie, e l'ortolano peculiarmente non è più tanto fedele a1 suoi usi; ma, a seconda degli agi, s'accosta a quelli generali. GLI ABITANTI DEL LITORALE 333 « Un'emulazione, che dir si potrebbe invidia, regnò sempre in queste basso classi pegli abitatori degli altri lidi; ma i costumi morali generalmente sono semplici tuttavia. Il bisogno che incurva alla fatica e fa ob-bliar desrderj proprj di uno stato felice, non dà modo all'attuale corruzione di quivi espandersi. La religione, le patrie tradizioni, P amor del proprio nido, i lidi, i canali, la pesca, pur sono oggetti di piacevole trattenimento per queste genti. Il confronto cogli altri popoli, cui approdano si sovente, non le illude; un che di ereditato, più forte di ogni altro acquisito, fa trovar loro conforti dove altri non vedrebbe che stenti. Possano le odierne instituzioni applicarsi in guisa, che, migliorando lo stato economico, non alterando gran fatto il morale, educhino la mente ed il cuore di questi paesi in tal modo, che quella rimanga più forte , questo più purol «11 linguaggio, finalmente, non poco riesce diverso tra l'uno c l'altro lido. La passione, meno agitando gli animi, pone su quello di Pelestrina più sobrietà di parolo; la modulazione dell'accento è fuor misura più rimossa, mentre che a Chioggia e sul suo lido la natura sembra essere diversa. Ne siano cagione i primi che popolarono quel litorale, o altre cause fisiche e morali, certamente il tono della voce è colà più variato, più forte; spalancansi Io bocche parlando; un corruccio, un lamento in mezzo allo stesso riso appariscono, un ritornello continuo delle parole innanzi dette; ma l'energia degli animi è ancora in quel discorso; ma chi volesse studiare Certi bei modi di dire brevi, forti, dovrebbe qui recarsi ; o sentirebbe una mescolanza di greco e[di antico italiano, che ma-agevole sarebbe a scomporre per trovarne l'origine; gran maniere evidenti ricaverebbe, e forse l'intiero segreto onde la parola fosse vera figlia delle impressioni, dolio ideo o dei giudizj ». XIV. I Distretti della Provincia di Venezia. 1 ei distretti di Venezia sono comprese in parte le diverse podesterie dell'antico Dogado Veneto; e pel resto paesi aggiunti, e posti lungo il margine della laguna. Il dogado veneto estcnde-vasi dal Po di Goro lino all' Isonzo, racchiu- dendo terre importanti, come Adria, Gavarzerc, Loreo, ecc.; ed i suoi confini toccavano il Ferrarese, il Rodigino, il Padovano, il Trevisano °d il Friuli. Verso il Ferrarese lo limitavano il Po d1 Ariano, San Basilio, il Serraglio della Mesola ed il Po grande fino a Mazorno, dove contermina colla provincia di Rovigo, per mezzo del Caslagnaro 1 Dobbiamo l'illustrazione di questi alla gentile e solerte coopera/ione del sig. ingegnere Pietro Colombana. o Canal Bianco e del Canal Tartaro fino all'Addetto, e da questo all'Adige fino al luogo detto la Petlorazza. Quivi cominciava la marca Padovana, alla quale eran confine il canal Papaia\a, la l'ossa Veneziana e Rcbo-sola fino al Bacchigliene, dove seguitava il suo corso rivoltandosi a nord lungo il taglio Novissimo e sulla Brenta Magra fino ad Oriago. Passalo questo paese, seguitava il confine colla marca Trevisana dal ponto sul Bottaniga, per Marghcra , Campalto, Tessera, Ponti; di Gajo , il fiume Zero, San Martin del quarto, Biancade, San Dona di Piave, Grassaga, Sauto Stiri di Livcnza e poi col Friuli. Una gran parte del territorio è coperta dalle acquo della laguna, cioè nei distretti di Dolo, Mostre, San Dona e Portogruaro; in quello di Portogruaro ritenendosi occupato per due terzi, e per Ire quinti quello di San Dona. Ciò cagiona miasmi che determinano le felibri intermittenti, le quali ordinariamente, al declinare del mese di settembre, si presentano anche sotto l'orma epidemica. Quest1 influenza si accresce quando una grande siccità abbia dominalo nei mesi di osiate, sicché ne conseguiti il deperimento di molto sostanze vegetabili e degli insetti che trovansi in queste estesissime paludi; poiché, al sopravenire dello pioggie, s'ingenera come una fermentazione di sostanze vegetabili ed animali. Aggiungi la falciatura, che si pratica dello strame nei paludi, due terzi circa del quale rimane sul terreno non raccolto; e putrefacendosi, impregna V aria di miasmi. Inoltro quel suolo limaccioso, siccome viene quasi sempre interamente privato della sua vegetazione, allorché sia messo a nudo dal riflusso del maro, resta senza difesa dai raggi del sole. Da queste paludi cercasi però ricavare il maggior profìtto, formando in mezzo ad esso dei fondi che diconsi valli, alcuno aperte, sicché il pesce va e viene a seconda della stagione e delle acque; alcune chiuse, dove è trattenuto come in un vivajo, cambiando l'acqua con meccanismi che gl'impediscono di uscire: e là entro si moltiplicano. Quanto non sarebbe qui opportuna la piscicoltura, in grandi proporzioni! I vitelli vengono allevati in quantità ove trovansi più paludi, nei quali si mandano a pascere non solo essi ma anche i buoi da lavoro. Il pascolo comincia in aprile o termina in settembre e molte volte anche in ottobre. Questa abitudine riesce dannosa per gli animali ; perlochè i buoi, ahhenchò di buone razze, dopo qualche tempo diventano tristi, spossati, emaciati, con pelo lungo ed irto; i vitelli riescono pìccoli, magri, e racchiudono nel-l organismo i germi dj malattie, che poi si sviluppano, e diventano loro fatali. Fiere malattie attaccano gli animali bovini, colpa le condizioni del suolo, come la splenite carbonchiosa, la {/astrile accompagnata da affezione epatica, e nella stagione estiva, ove si combini con temperatura caldis- AGRICOLTURA 337 sima accompagnata dallo scirocco, di consueto dominante, assume i caratteri tifoidei. Nelle parti alte dei distretti, migliori ordinamenti presiedono air allevamento del bestiame, vi si riscontrano razze migliori, vi si veggono prati artificiali, disposto e preveduto alle fatiche degli animali in modo comportabile alla loro robustezza, cosicché in qualunque epoca sono in eccellente salute, e di rado molestati di affezione patologiche. Nella parto bassa alcuni possidenti tentarono formar cascine di vacche svizzere, ma non ebber esito felice, per più ragioni ; prima, per non avere migliorata la qualità dei foraggi, nò prodottone quanto basti ai bisogni delle «fiandre; poi perchè fu valutato P utile di osse soltanto dal (alte, e non anche dal letame che sarebbesi ottenuto a prezzo bassissimo, tanto da poterlo abbondantemente spargere sui campi, ed ottonerò maggiore produzione. „ Il terreno di questi distretti puossi ritenere diviso in due zone; una coperta o dominata dalle acque, e Patirà in piano asciutto. La prima, naturalmente povera e trista, è cagione di malori e dà poco giovamento all'agricoltura o a qualunque altra industria; gli abitatori sono soggetti a malattie rovinoso, e la produzione è miseràbile. L'altra forma la principale ricchezza del nostro suolo, anzi la sola, e porge cibo all'intiera popolazione col frumento, il frumentone, il vino e la seta. Del riso vassi estendendo la coltivazione mano mano che vengono rasciulte dello paludi, e il terreno vi si ritrova adatlatissimo. Contuttociò P industria agricola lascia moltissimo a desiderare, sia in riguardo alla produzione, che ai mezzi impiegati ad ottenerla In generale mancano le braccia in tutti i distretti, ma più in alcuni. A cagione della mal' aria, molta superficie, che con poche cure potrebbe venire coltivata a prodotti più utili, rimane abbandonata; giacché ognuno tenta sottrarsi d più ohe può da quelle influenze, bisogna perder tempo grandissimo noi trasporti dei lavoranti che si recano in quelle situazioni dai vicini paesi, per condurre a termino 2 Por nsfiupio, rTslitu/.ioiiedi ouovd risaje Ionia vantaggiosa in quanto si utilizza un lcr_ reno che prima restava incolto; ma questo prodotto andrà ogni anno scemando,attesa la deficienza di mezzi di risarcirò te terre. Non tulle le risajc soddisfanno colla loro sistematone ai bisogni elio determina la coltivazione di questo prodotto; molle non Inumo una regolato distribuzione d'acqua, andando soggette a tulli i danni d'una siccità o d'una inondazione: quasi tutte sono perenni, non potendosi, per la natura del loro suolo, alternare con vcrun'altra produzione. Gin1 se invece le paludi die vaunosi bonificando, non tulle si potessero a risaja, ma anche ad allea coltivazione, servirebbero di ristoro alle terre arative, e porterebbero un utile sempre crescente. Dippiù si sarebbe migliorato la condizione igienica. llluslraz. ((et L. V. Vol. II. 44 quei piccoli lavori elio vengono intrapresi. Inoltre si attiva con cieca preferenza un dato genere di prodotto a scapito d' un altro, anche quando la terra fosse poco adatta a svilupparlo ; volendo ricavare dalle terre non tanto il maggior utile possibile, quanto il più apparente, bastando che infine dell'anno figuri nei registri del padrone una cifra di rendita maggiore che nell'anno precedente. Ne conseguita che il contadino è costretto a raccogliere la quantità maggiore di prodotti che può; i principali e maggiori servono a compensare il padrone, e pel rimanente egli introduce quanto grano turco basti alla sua famiglia. Di tal passo le terre si esauriscono. Nè basta. Quando venga a mancare un prodotto qualunque, come in questi anni il vino, il colono trovasi impossibilitato a soddisfate gli obblighi verso il padrone, il quale non sempre è tanto oculato da distinguere P impotenza scusabile dalla falsa povertà; quindi esige fiscalmente il suo avere, e poco si dà premura di quelle sovvenzioni che facilitano al colono il mezzo di togliersi dalle strette, e disimpognarsi verso il suo padrone. Cosi la classe dei coloni affittaioli rovinò in questi tempi, e se una volta possedevano qualcosa del proprio in campi e in animali, adesso tutto scomparve. Per lo passato i nostri coloni erano abbastanza provveduti pei loro limitali bisogni, molto famiglie potevano dirsi agiate; tutti poi i villici si nutrivano e coprivano meglio che in altre ricche provinole. Adesso? ahi dileguarono quei piccoli risparmj, anzi s'aggravarono di debiti, riducendosi in più basse condizioni la classo agiata e in miseria la povera. Dietro la povertà vennero le malattie; e la pellagra, questo termometro della miseria nella gente agricola, si manifestò dove per !o passato era del tutto ignorata. Per buona fortuna si mantiene sempre entro il primo stadio, e rare volto arriva al secondo, l'orse per non esserci la nostra popolazione predisposta, avvezza corno era a cibo sano e sufficiente, e ad unire le animali alle vivando vegetali. E poiché questo male sviluppossi alla mancanza del vino, voglia Dio che, col ritornare il raccolto, e pervenuti a migliori condizioni i villici nostri, scotnpaja questa trista malattia. Altra cagiono d1 alterazione igienica nello popolazioni sono le male adatte ed insalubri abitazioni. Molte famiglie di eoloni vivono accovacciate entro rapannuccie di creta e paglia, mal difese «Ini vento e dalla pioggia, e dove la stanza da letto è anche cucina, e perfino qualche volte stalla. Queste abitazioni che chiamano casoni, per peggmr consiglio sono, la maggior parto, situate al piede delle strade comunali, le quali sempre sono d'un'elevazione di suolo maggiore, onde riescono umidi, poco arieggiati ed illuminati, l'acqua dei fossati spesso invade il cortile, il quale, formato da sola terra c coperto da immondizie, è un vasto lotamajo. Nelle stalle CONDIZIONE DE CAMPAGNOLI basse, sporche, coperte di ragliateli senza scolo, sicché le urine soventi l'anno stagno nel mezzo della corsia, il bestiame vi cresce macilento; e male nutrito, specialmente nella stagione invernale, e soverchiamente affaticato all'' epoca dei lavori, finisce ogni anno ad essere còlto da mi-nacccvoli malattie. Nelle stanze mal riparate, e vicino alla stalla dormono i membri della famiglia; se sono poveri, poca paglia che mal difende dall'umidità del nudo terreno serve loro di letto; se più agiati, entro ad una stanza bassa e poco ventilata, ove finestra è Tunica porta, s'innalza un letto alto allo, al quale per ascendere occorre la scala, dimodoché la respirazione occupando gli strati superiori e più prossimi al tetto, rende viziala l'aria ed insalubre. Aggiungiamo il danno di locare grandi estensioni a famiglie coloniche poco numerose, di maniera che scarsamente possono lavorar le terre; e non sempre determinandovisi la quantità di bestiame che vi dev'essere mantenuta, rimangono prive d" ingrasso sufficiente, sia nella qualità che nella quantità. Invece questo viene sprecato, e non raccolto opportunamente, dicendosi che, perchè il campo sia coltivato, occorre che il cortile sia sporco. Ciò sarà vero lin«hè 1' immondizia venga raccolta in luoghi adatti ed opportuni, capaci a ricevere e mantenere le materie anche liquide , e i mondezzai sieno convenientemente situali, di maniera che polla posizione non riescano di danno alla famiglia ed agli animali. Di rimpalto troveremo a consolarci nel vedere questi paesi in via di miglioramento. I principali prodotti vennero accresciuti in quantità e migliorati in qualità nelf ultimo decennio; le terre acquistarono valor maggiore; l'introduzione di nuovi prodotti, ed il loro incremento, dimostra cognizioni ed esperienza più utile. Qualche proprietario, meglio informato dei bisogni e dei modi per sopperirvi, governa con mezzi adalli e proprj le sue terre, vi coltiva i prodotti che meglio ci si prestailo, e li sottopone ad una rotazione ben intesa, poco curandosi di ottenere un raccolto copioso ma poco duraturo e rovinoso alle terre, e contentandosi di una rendita onesta e durevole che, migliorando le condizioni del suolo, \a ogni anno crescendo. Perciò agli incomodi casoni surroga opportune case laterizio, con tegole, con granajo, fenile, e stalla sana bene arieggiata e pulila : divide i poderi in porzioni tali, che possano facilmente venire lavorali anche da famiglie poco numerose, e stabilisce la quantità di bestiame che vi si deve impiegare e la qualità. S'incanalano le acque, si sviluppano 3 Nella loro superstiziosa ignoranza pretendono i villici clie,'ogui volta die sì voglia pulire una stalla dalle ragnatele, imbiancarla c pulirla, si generino mortifere malattie al bestiame, onde non vogliono per nulla mondarle. S40 ' STOMA DI VENEZIA lince stradali per la facile comunicazione tra i Comuni ed il capoluogo, ed anche fra i varj capoluoghi del distretto. Il territorio della provincia veneta è intersecato da numerose acque in fiumi e canali, i quali scorrono scaricandosi nella laguna di Venezia. Della laguna già parlammo nel capo XIII. Il Tagliamento, che segna il confine tra il distretto di Portogruaro e quello di Latisana appartenente al Friuli, è il maggiore dei fiumi che tocchino i nostri distretti dopoché in essi non trovasi compreso il Po. La Livenza, che separa il distretto di San Dona da quello di Portogruaro, procede dal territorio trevisano, e sbocca nel mare, formando il porto di Santa Croce con un ramo, e quello di Palangone con un altro che chiamasi il Riello. La Piave attraversa il distretto di San Dona ed il capoluogo stesso; fiume-torrente che cagionava grandissimi danni alla laguna colie torbide trasportate nel porto di Jesolo; perlocchè si emisero dalla Repubblica varj decreti, e nominatamente nel 1043 e 1653, per praticare un taglio che conducesse le sue acque, passando per le paludi di Rcvedoli, Livenza, e Brian, nella laguna di Caorle, sboccando nel porto di Santa Margherita. Tale progetto venne vivamente avversato dal celebre Montanari, e di fatto i lavori praticati, non che correggere i danni, gli accrebbero per la loro condizione di soverchio contraria alla sua natura, giacche ritorcevano all' insù il suo corso ; dippiù nulla si badò agli scoli delle campagne, i quali rigurgitando le allagarono. Ma nel 10811 apertosi» di per sè stesso un alveo nel sito detto della Londrona, gettò le sue acque nel porto di Cortellazzo, dove fu consiglio del Montanari lo stabilirne la foce. Il Silo divide i due distretti di Mestre e di San Dona; nasce nel territorio trevisano, e scorre placidamente fino alla sua foce. Questo fiume, per la placidezza del suo corso, per le tante svolle che forma camminando su larga estensione, per le sue sorgenti prossimo che gli attribuiscono un calore sufficiente, venne fallo scopo di stud j speciali per l'irrigazione dell'agro trevisano sul quale fluisce. Del Brenta già parlammo a lungo (pag. 297). L' Adige segna il confine colla provincia di Rovigo, sbocca in mare nel porto di Fossone, mentre una volta scaricavasi nel porto di Bròndolo, da dove venne rimosso a cagione delle sue torbide. Dall'Adige al Tagliamento, moltissimi canali e diramazioni e tagli di fiumi s'incontrano: dei quali diremo parlando separatamente di ciascun distretto, limitandoci però ad accennare brevemente ai princ pali movimenti delle sue acque. ACQUE. STRADE 34t Lo stesso faremo delle strade, delle quali più sprovisti sono i distretti della parte settentrionale, vale a dire quelli di Mestre, San Dona e Portogruaro. Cercano ripararvi meglio che possono i Comuni; ed ora si progettò una grande strada provincialeì la quale da Mestre dirigendosi e per San Michel del Quarto e per Capo Sile vada a San Dona e poi per Ceggia e per Santo Stino a Portogruaro, e di là passando nel. Friuli, metterebbe in perfetta comunicazione certi capoluoghi dei nostri distretti, che ora sono quasi del tutto separati fra loro. XV. Distretto I di Venezia — II di Mestre. ì distretto I di Venezia comprende la città colla Giudecca e le sue isole; Bimano colle frazioni di Cavallino, Mazzorbo, Torcello, Tre-porti, la popolazione di 5897 persone, e l'estimo di lire 84,735. 06: Murano colle frazioni di Sant'Erasmo e Vignole, popolati di 4065 anime, e coli'estimo di 34,982. 33: Maumocco con Alberoni, Lido, Poveglia, abitati da 918 persone, eolPeslimo di lire 32,534, 25. Già furono descritti. Il distretto di Mestre si compone di 7 Comuni amministrativi : Chiri-gnago, Favero, Marcon, Martellagli, Mestre, Spinea , Zellarino, con 13 parrocchie. Ha 10 Comuni censuarj e 15,472 abitanti, dei quali 1219 possidenti, awT estensione di pertiche censitane 102,413.12 delle quali DISTRETTO DI MESTRE 343 •19. 06 infruttifere; la rendita ccnsuaria di lire 523,080. 72 è divisa in terreni per lire 401,009. 11 e fabbriche per lire 123,071. 61, e paga Pestimo di lire 417,880. 89. Gli abitanti solo negli ultimi anni si dedicarono con qualche efficacia alP agricoltura, mentre per Pinnanzi si tenevano di preferenza alla piccola industria avveniticcia, che cominciava sovente alla mattina per terminare alla sera. Dico gli abitanti della parte inferiore lungo il lembo della laguna ; gli altri si dedicavano al commercio più esteso e profittevole, il quale trovava continuo alimento nel capoluogo per la sua posizione essendo sulla strada principale che da Treviso mette a Venezia e a Padova perla Mira; e al punto di concorrenza di quei che da Padova si dirigevano a Venezia i. La parte superiore del distretto, più vicina a Mirano, meglio è avanzata nell'agricoltura, avendo maggiormente favorevole il suolo ; e di qua prese le mosse quest'industria, che poi a mano a mano si eslese nelle altre regioni. Essa però trovasi indietro degli altri distretti, e le principali ragioni troviamo, innanzi lutto, nella natura stessa del colono pigro e rozzo ; e poi perchè le maggiori possessioni appartenendo a famiglie patrizie, queste le affidavano a fattori, il più delle volte inesperti, o dediti a provedere ai proprj interessi piuttostochè a quelli dei loro padroni. i bassi fondi spessissimo volte coperti dalle acque, rigurgitate dai fiumi e dagli scoli, danno maParia e svogliano dall'abitarvi. Quindi riccrcansi braccia straniere per soccorso, e queste non si ottengono che a caro prezzo. Con tutto ciò negli ultimi tempi si progredì, ed il suolo di per sè ubertoso supplisce alla negligenza dei coltivatore. i cereali si coltivano a preferenza, e si raccolgono in buona qualità e quantità. La vile ci prospera, ed i vini sono di buona qualità, distinguendosene a preferenza qualche località. Fino al 1823 i gelsi erano del tutto sconosciuti, e solo da poi, ed in seguito agli esperimenti offerti dalla deputazione comunale di Mestre, si estcser gradatamente, per modo che adesso nel distretto si raccolgono 10,300 chil. di boazoli; quantità che va aumentandosi perchè- anche i villici s'industriano di educare i filugelli. Telaj da seta mancano, come in tutti i distretti della provincia; vi sono due blande con 20 fornelli circa cadauna 1 « Non v' è che inclinazione ad accrescere le^oslerie, gli alloggi pei;cavalli, carrozze e vetture.. a procurarsi di vivere col mezzo ed a carico dei passaggeri con barche, osterie e vetture. Baicajiioli «'volturali formano il maggior numero... I sensali il' ogni natura e d' ogni mercatanzia, shuntilo fuori da ogni tato. Vi sono molti pescatori, cacciatoti, uccellatori. Dei facchini protervi e queruli senza numero.... Son espressioni dell'acre. Grimani ""Ile memorie intorno a oggidì, riscaldato a legna. Calcolata la quantità di bozzoli raccolta nel distretto, ed altrettanta che questi filandieri possono acquistare al di fuori, è da ritenersi che la seta filala possa ascendere annualmente a 2900 chilogrami. Gli altri prodotti sono il frumento o il frumentone, che vengono consumati sul luogo, meno poca quantità che viene spedita a Venezia. Il fieno scarseggia, in causa dell'abuso di ridurre a coltura i prati stabili senza sostituirvi quelli a vicenda. La razza dei bovini è padovana e friulana, ambedue buone per gli usi della nostra agricoltura. Le comunicazioni si nell'interno del distretto come all'esterno è mantenuta da buono sviluppo stradale. Al sud di Mostre dirigesi la strada Cappuccina, la quale conduce per Fusina, Dolo a Padova. Al nord di Mestre si stacca la strada regia Castellana, che corre attraverso il Comune di Zellarino, poi par Trivignan e Martollago entra nel territorio di Noale, da dove prolungasi lino a Castelfranco -. Fu po' sopra a Mestre, e nella direzione nord del distretto, dirigesi a Treviso la strada detta il terraglio, orlata di bellissime villeggiature di Veneziani e, Trevisani. Taciamo le molte strade comunali, per accennar solo quelle che si rinvengono di antichissima costruzione ; quella cioè detta Emilia Alti nate che da Padova per San Martin di Strata, ora Campalto, si dirigeva ad Aitino, e di là pro-lungavasi per Concordia ed Aquileja: da Aitino una diramazione si dirige» verso Ceneda e Belluno, e formava la via Claudia; ma ora rimangono pochissimi avanzi in qualche masso di pietra ed in qualche tronco stradale attualmente praticato, e costruito sul Ietto della vecchia strada, come quello della strada Bisiola, la quale, staccandosi da quella di Favero e dirigendosi verso sud, attraversa le frazioni di Bisiola Carpencdo, i cosi detti Cavernnghi e giunge al centro di Campalto, nel territorio del quale percorre sempre sulle traccie della via Emilia. Scorrono su questo distretto i fiumi Zero o Jairus, il Dese ed il Marzanego. Il primo nasce vicino al Silo oltre Morgan, entra nel territorio dalla parte di Mogliano, passa per Marcon a Bonisiol, mette in movimento tre ruote da macine, circuisce Gajo, e si scarica nel Dese. Il Dese, l'antico Dcxius, che si forma dagli scoli del territorio di Castelfranco e da sorgenti presso San Marco Brusaporco e Campigo, entra i È antichissima bel suo tracciate, riscontrandosi i d un documento dèi Ut 2, riportato dat Barcolla nella sua descrizione di Mestre, nel quale è chiamata via imperiali* guai incipit versus tìussanam in regala Zellarint. Venne rifatta perenta ducale del iliVl dall'essere stata resa inservibile per i guasti arrecatigli da un' inondazione dell'anno prece* dente: e in quel tempo veniva riconosciuto per Strati* di grandi- passaggio, Come sta al di d'oggi venne costruita nel 18.10, DISTRETTO DI MESTRE 345 nel distretto a nord-est di Martellago, e movendo varj mulini si unisce al Marzanego, che dopo Mestre ricevo il nome di Osellino. Il Marzanego, anticamente destro Mestre, è alimentato dalle acque del Musonello. Un po' sopra Mestre si divide in duo rami, destro e sinistro, ì quali confluiscono poco disotto al paese; allora col nome d'Osellino, procede verso Marghora, finche mescolato alle acque del Dose e del Zero, sbocca nella laguna di Burano, lungheggiando l'argine di San Marco contermine della laguna. Le maree ordinarie influiscono su questi fiumicelli, facendosi riconoscere a qualche distanza entro le terre: e le straordinarie, se combinalo anche con disordini di mare, aumentano gli effetti del riflusso che fassi sentire più oltre. Nei casi ordinarj gli effetti di questo rincollo è la corruzione dell'acqua, resa meschizza, ed un'alterazione dell'aria; ritardando pel primo lo scarico delle acque, col quale se si combinano l'alta marea e le piene, in allora si produco un innalzamento tale d'acque, che contro di esso fu necessario costruire delle forli ed alte arginature. II danno di questa condizione e maggiormente sentito dalli; parti basse di questi terreni, giacche, se in essi cade una certa quantità di pioggia nel tempo della combinazione dello alte maree e delle fiumano, come spessissimo accade, quei luoghi restano sommersi. Il consorzio del Dese vi riparò in gran parte, ma l'inconveniente non è tolto per ispcciali condizioni del territorio, che, di soverchio basso, difficilmente puossi liberare dalle acque delle pioggio, specialmente di primavera ed autunno avanzati. Clio se è questi casi naturali si aggiungano gli accidentali, come la tracimazione e la rottura d' un argine, in allora 1' acqua meschizza allagando questi terreni, oltre portare una notevole alterazione igienica, distruggi; l'erbe dei prati e dei pascoli. I terreni più fertili sono compresi tra il Dose ed il Marzanego, mantenendosi e migliorando mano mano che declinano a levante, e peggiorando verso ponente. I terreni, detti carnuti perchè in essi si trovano le crete a poca profondità, sono a sud-ovest e nord-ovest del distretto. I fertili abbondano anch'essi di argille; e se spiegano una maggiore feracità, dipende dai molti ingrassi depositativi: questi si trovano specialmente nei dintorni di Mostre. II miglior vino si raccoglie nei Comuni di Spinea , Trivignan , Gaggio e Tessera. Le praterie ed i paludi di Gaggio, Dese, e Terzo Tessera offrono foraggi o strami da bastare al proprio consumo e spedire anche nei paesi vicini, e specialmente a Mestre dove se ne fa ora un maggior consumo. Quanto hanno ancora da operarvi l'industria umana e la intelligenza de' proprietarj 1 Illustra;, del L V. Vol. 11. a Mestre, come la maggior parte delle terre nostre litorane, vanta origini1 antichissima. I Grecanici vi diranno che ricevesse nome daMosthle, il «piale fu un condottiero dei Meonj in Italia; i fautori de1 Romani, da Mestrio, il cui nome si lesse in una lapide latina. Certo è terra antica, ed è probabile che esistesse con Aitino nell'epoca romana; più tardi sarà stalo uno di quei tanti castellotli, disposti lungo la costa e alle foci dei fiumi, onde facilitarne la comunicazione colla terraferma. Formava corpo colle città dei Veneti, venne distrutto ai tempi d' Attila, poi riedificato, e l'area parie delle terre che Narsetc donò a Vitaliano de Capitani patrizio padovano; sotto alla quale famiglia mantennesi per qualche tempo, lino a che venne compreso nella Marca Trevisana sotto i re Longobardi. Passato il regno d'Italia agli imperatori di Germania sotto Ottono I, e suddiviso in contee e ducati, tra le primo venne annoverata anche Mestre, con Campalto ed Aitino; od ora soggetta alla città di Treviso. Nella lega contro il Barbarossa fu riconosciuto punto strategico importante, e aflidato ai Veneziani il difenderlo. Saltando le memorie incerte e inconcludenti, diremo come, durante le discordie tra il vescovo Alberto di Treviso ed Alberico da Romano, fratello di Ezelino, Mestre passò al Comune di Treviso, mediante cessione fatta ad esso dal vescovo. Questa città mandava a reggerlo un capitano, il quale durava nella carica sei mesi; e dodici custodi per guardia del castello e dei confini. Con Treviso andò Mestre sotlo a varj signori, finché nella guerra contro Cane della Scala , nel 1318, i Trevisani lo cessero con altro terre al conte di Gorizia. Durante queste guerre dovette sostenere varj assalti dalle milizie e (lallo Scaligero e dal Tempesta signor di Noale, che ad esso -si era collegato. Pervenuto agli Scaligeri (luglio 1321)) venne fortificato, e mantenuto nei primitivi diritti. I Veneziani più volte tentarono prenderlo, infine il generale Andrea Morosini convenne coi Tedeschi, i quali tenevano il castello per lo Scaligero, che pel prezzo di 2000 fiorini glielo cedessero ; e al 29 settembre 1337 i Veneziani v'entrarono. Sotlo il governo di questi, Mestre venne eretto in podesteria, e ne facevano parto le ville di Zello; Zellarin, Trevignan, Asseggiano, Chirignago, Pirago, Borgo di Mestre colla villa detta la Mostrina, Spineda, Rossiglian, Orgnan, San Marlin, Tombelle, Tessera, Terzo, Palliaga, Martellago, Ca-pella, Roegia, Maderno, Favero, Carpencdo, Pieve, Santa Maria di Dcseo. Per le faccende civili, politiche e criminali il podestà veniva assistito dai Comandadori per la esecuzione degli atti pubblici ; e dalla pubblica forza, consistente in guardie del satellizio, comandate da un capo per tutela delle leggi. Dai diversi quartieri della podesteria venivano eletti i consiglieri e capi, che duravano tre anni, e si sceglievano tra i pos- MESTRE 547 sideriti di quelle terre ; ogni villa aveva un capo. I nìerighi o capi di ogni villaggio intervenivano al consiglio dei capi e deputali della villa, che ogni anno nei mesi di maggio e giugno era tenuto dal podestà. Il territorio stava ripartito in colmelli e questi in ville ; i capi dei colmelli si chiamavano capi di podesteria, ed avevano il titolo di onorandi; ed essi ed il podestà si univano per trattare dei bisogni del Comune, e formavano il consegieto minore. I così delti capi dei cento erano quelli che avevano sotto di sè varie ville e presedevano alle leve militari. Un consiglio civico era composto in Mestre da un numero di trenta famiglie principali del luogo, i membri delle quali si radunavano nel giorno di santo Stefano, ed era preseduto dal podestà. Poteva far parte di questo consiglio ogni cittadino che avesse raggiunto T età di diciott' anni. Inoltre tre proveditori dirigeano 1' amministrazione del Comune, e dovevano render conto del loro operato al consiglio; un cancelliere del Comune teneva i registri, e serviva loro di segretario. E finalmente due proveditori di sanità che duravano in carica un anno, dovevano vegliare sugli oggetti sanitarj, e ricevevano rapporti dai deputati sanitarj delle ville. Solferse moltissimo nelle guerre de' Carraresi, poi in quelle per la lega di Cambray fu arso dagli Imperiali *, Da quell'epoca Mestre si mantenne sempre sotlo di Venezia; dalla quale venne ampliata ed accresciuta in privilegi e prosperità, mantenendo le strade, facendone costruire di nuove, incanalando fiumi c costruendo ponti, inline nulla tralasciando di tutto quello che può tornar utile por Io sviluppo materiale d'un paese. Caduta la Repubblica, Mestre passò per tutto le fasi che si succedettero durante T occupazione francese ed il regno d'Italia, linchè, stabilitisi i Tedeschi, venne ridotto distretto nella provincia di Venezia. Nella sollevazione del 1848 solferse moltissimo dalla sua posizione per essere vicina al forte di Marghora, occupato dalle truppe italiane (Vedi pag. 243). Gli Austriaci avevano posto il loro quarlier generale lungo il Terraglie, e di Mestre fecero una granguardia, e v'alloggiavano molti soldati pel servigio delle trincee che si aprivano contro Marghera. Per la qua! cosa non ristavasi dallo spedire continuamente e bombe e palle da questo forte entro il paese, perlocchò tulle lo caso lungo il canale di Marghera fuori del Borgo delle barche furono atterrate, sia per difesa del borgo, che per .> Venne trovala (non so in elle epoca) una medaglia ili ottone die in una faccia aveva: An. Sai. UDXiti- — Mosti li Barbami-. Igni; — Qvo Mestre Opp. Exarsii — Magnifica Agri Mvjvs Tecla — Et Villa Vniversa — ConsvnipUe Svnt — Bàdemqvè Denvo Angvstivs — Proprio Vsvi et Mvinilivs — Erecto —. E dall'altra: An. Vero. Sai. mdcclxviu — Ilio Avtem Ab. Aevi Injvria — Proximisi]. Pene Rvinis Consvuipta — l.avrentio Mauroceiio — In Hoc Salvbriori Loco — Mane No-bilivs El Decentivs — Proprio Vsui Ac Svorvin - Denvo E Fviidaincnlis —JErigi Fccit. offesa del Iorio. Gli Austriaci lo fortificarono, costruendo delle barricato nelP interno del paese, e praticando delle ferritoje sulle mura delle case che danno sulla campagna ,munendole anche di fosse onde poter resistere ad una colonna avversaria, che sortila dal forte camminasse sul paese. E di fatto la manina 27 ottobre 1848, sortite le truppe italiane da Marghera, attaccarono vivamente i primi lavori d'approccio, e li presero, respingendo gli Austriaci nelF interno del paese, dove continuossi una lotta accanita e lunga finche gli Austriaci abbandonarono il paese, ritirandosi sul terra-glio. Terminata quella giornata le truppe si raccolsero nel forte, e al domani Mestre venne di nuovo occupata dalle truppe austriache. Entrate esse in Marghera, Mestre non venne più oltre danneggiata dai projettili. A chi smonta dalla strada ferrata che, procedente da Venezia, vi passa ad un chilometro circa di distanza, Mostre si presenta sul lato destro della linea, disposto in piano , sormontato dalla chiesa e dallo torri che 10 dominano. Percorsa la breve distanza, si entra in paese pel borgo dei Cappuccini, ampia e spaziosa contrada; poi svoltando a sinistra, passato 11 Marzanogo entrasi in piazza, vasto spazio circondato da negozj e casi; private , e nel cui principio ergesi la chiesa di San Lorenzo. Tutta questa parto del paese anticamente si trovava fuori della cinta del castello: ed è la più vasta estendendosi di molto in giro alla piazza, lungo strado interne, e poi divergendosene un braccio di paese nel borgo dei Cappuccini ; e lungheggiando il canale elio mena a Marghera , innalza i suoi fabbricati sulle due sponde, formando quella porzione di paese che chiamano le Barche perchè vi stazionano di fatto le parche che arrivano o vanno a Venezia, più per trasporto dei passaggeri che delle merci. Nei primi tempi le barche si conducevano fin in piazza, ma in seguito si limitarono in questo luogo, e cessato il tanto lavoro di trasporti colla sostituzione delle strade ferrale, questo canale ha conseguentemente perduto di quel movimento. Quivi trovasi la fonderia ed officina di macchine per |f industria ed agricoltura, dell' ingegnere Odoardo Collalto, cominciata in piccole proporzioni nel 184(5, andò sviluppandosi, sicché nel maggio del 1850 l'I. IL Istituto Veneto la premiò con medaglia d'oro: manda lavori nelle adjacenti provincie non solo ma anche all' estero, e adesso stassi soddisfacendo ad una commissione per l'Egitto. I principali lavori sono, oltre buon numero di ponti in ferro fuso per la città di Venezia, il ponte grande ad una sola campata tutto in ghisa sul fiume Gua fra Vicenza e Verona, molte ruote idrauliche a turbine, ed oltre trenta macchine a vapore di varia forza, per due delle quali vennero fusi due cilindri di m. 0. 00] di diametro ; inoltro stanno in costruzione INDUSTRIA 319 diverse macelline per asciugamento di valli, e specialmente due della forza di 90 cavalli per un comprensorio idraulico del Polesine; impresa progettata e promossa dall'ingegnere proprietario di questo stabilimento, Vicino trovasi una sega a vapore, attivata nel I8fi3 con macchine eseguite nella suddetta officina, per legnami da costruzione che si ritirano dalle Alpi ftoriehe. La macchina motrice è della forza di 8 cavalli, e mette in movimento due seghe verticali a lamine multiple , ed una circolare, e soddisfa a commissioni lontane e specialmente nelle Romagne. Meritano ricordo la fabbrica di canfino del sig. Chef, istituita fino dal I8r>0; quella di L. Reali, proceduta alla prima e perfezionata con nuovi metodi e proporzioni; una terza del sig. Venturini, la quale valse a diffonderne l'uso e a diminuirne il prezzo; la fabbrica di cioccolatte e confetture del Tieozzi che estende i suoi prodotti anche nella Lombardia o nel Tirolo; e la coltivazione delle mignatte in una palude appositamente ridotta dal Demarchi. La porzione settentrionale e più antica del paese è occupata dal castello. Aveva due porle ; quella del Belfredo che mette pel Terraglio a Treviso, e l'opposta che metteva ad Aitino ; ognuno che avesse in suo po- tere questo castello vi aggiungeva nuove torri e fosse, d i mod o che giunse ail avere undici torri. Rimangono ancora quella Relfredo e quella dell'Orologio. Noli' interno era l'abitazione del podestà, or ridotta ad uftizj del commissariato e della pretura; e rimpetto la sala del consiglio. Nel 1778 Almerico Balbi patrizio veneto aveva fatto innalzare un teatro in legno, racchiudente 70 palchetti ed un vasto palco scenico per le rappresentazioni che si davano in autunno ed estate, colla spesa di 400 mila lire di piccoli. Nel 1811 venne atterrato, e fabbricatone uno con sala di minori dimensioni ma bastante. Parimenti nel 17G6 venne eretta da Girolamo Duodo una dogana per le merci che venivano dalla Germania. Un ospedale esiste fino dal 1302 nel borgo dei Tedeschi, mantenuto dalla confraternita di Santa Maria dei Battuti, che nel 1759 venne ristaurato e continui) ad ospitare i pellegrini ed i trovatelli, finché, con decreto del prefetto del dipartimento del Tagliamenlo, nel 10 giugno 1800 verme destinato un commissario delegato prefettizio per sovrantendere od organizzarne 1' amministrazione, scelto a tal uopo l'avvocato Francesco Cur-nis; venne formato un ruolo di tutti i ricoverati, numeratele stanze, fatto l'inventario dell'archivio; provveduto alla decenza del locale e sottoposto ad un regolamento organico. Di San Lorenzo riscontrasi la parrocchiale esistenza fino noi 1192, quando aveva un portico davanti, a in esso venne segnato un documento. Nel 1780 venne cominciato il ristauro, con elemosine dei Mostrini, disegno dell'architetto Bernardino Macaruzzi; terminata nel 1805, consacrata il 2i ottobre 1830 dal vescovo di Treviso Sebastiano Soldati, alla cui diocesi appartiene. 11 monumento innalzato a questo vescovo, dono dello scultore Vitale Via, non ha altro pregio che il desiderio di ricordare con un pietoso lavoro la memoria di un vescovo caro alla chiesa di Mestre. Sono soggetto a questa parrocchiale, quella di San Girolamo, anticamente monastero dei padri Serviti, consacrata nel 1349 ai dodici di febbrajo; il monastero venne soppresso nel IGòG con bolla del papa Alessandro VII. Fu l'istaurata nel 1738. La chiesa di San Carlo o dei Cappuccini, era altro monastero soppresso nel 1810, e quella di San Rocco fu pur convento soppresso nel 1708. Vi sono inoltre varj palazzi, che appartengono a patrizj veneziani, tra i quali quella del conte Durazzo ambasciatore di Vienna presso la repubblica veneta , del Tiraboseo , e dell' Erizzo, nel quale alloggiò Pio VI nel suo apostolico pellegrinaggio del 1782. Mestre ha consiglio comunale con uffizio proprio, pretura ed un commissariato distrettuale, ed è composto dalle frazioni di Bottenigo, Bren-dole, Carpenedo e Marghera, con una popolazione di 7250 abitanti. Ila scuola elementare maggiore maschile di tre classi ed una domenicale di PATRIARCHI 351 disegno per gli artisti. Nelle varie Comuni son IO scuole, frequentate da circa GOO giovanetti dai G ai 12 anni, di cui circa quaranta femmine. Anticamente vi si tenevano tre mercati settimanali, cioè al lunedi, mer-cordi è venerdì, e due fiere annuali; quella di San Loren/.o e di San Michiele, della quale è menziono fino dal XIII secolo negli statuti delle città di Treviso; e di più un mercato franco nel secondo venerdì d'ogni mese, concesso il 24 giugno del 1088. Adesso v1 è mercato settimanale al venerdì, e due fiere; quella di San Michiele che durava otto giorni venne limitala a tre. Un grande commercio si fa nella fiera di San Lorenzo di cerchi da botte, che vengono trasportati dalle provinole trevisana e bellunese, e venduti ai commercianti della provincia di Venezia. . Poco distante da Mestre nella direzione di Venezia è Marghera, unita ad esso dal canal Salso, fatto aprire dai Veneziani nel 1)102 onde facilitarne la comunicazione con Mestre. (Vedi qui dietro.) Anticamente vi esisteva una chiesuola ed alcune case, e fu ritenuto sempre importante per la difesa della città. Il vescovo di Treviso vi teneva varj poderi e riscuoteva dei dazj e diritti di gabella. Le sue fortificazioni andarono man mano accrescendosi : e prima nel 1328 i Trevisani vi eressero una torre, poscia nel 1300 i Veneziani la fortificarono ancor maggiormente, come prima avevano fortificato San Zulian onde opporlo alle opere che il Carrarese innalzava in Slargherà. I Francesi cominciarono a fortificare più regolarmente e secondo le regole del tempo, e di cui fecero buona prova nel 1848, siccome esponemmo. La chiesa venne demolita, ed ora il paese racchiude lo sole caserme. II forte 0 a poca distanza è di secondaria importanza, e forma un sistema col precedente. Carpenedo ha bella chiesa, opera del Gio. Batt. Moduna, di stile archiacuto, innalzata colle elemosine dei parrocchiani e le rendite del vicino bosco di Carpenedo di loro proprietà che abbandonarono per questa erezione. Nel suo interno vi sono di begli affreschi nelle lunette dell'aliar maggiore, rappresentanti gli Evangelisti, ed il pavimento è formato da pezzi di marmo artificiale del Cristolbri. V'è in oltre il palazzo, architetlato e abitato da Corniani-Algarotti che vi morì. C.vmi»ai.to nel comune di Favero anticamente era porto, vicino a quello di Augnami formato dal fiume Mestre. Nel XI secolo vi si teneva una fiera e nello scorso secolo gli allegri popolani di Venezia vi andavano a banchettare, come adesso fanno a Lido nei lunedì di settembre. Al vescovo di Treviso appartenevano i porti del Marzanego e di Sarmacia. (CAKUdD i M IR O ROS SD distretto di mestre 535 Gaggio , nel Comune di Marron, si ritiene da qualcheduno essere slato un sobborgo di Aitino; e nel suo terreno si escavano qualche moneta antica e grandi pietre. Nella chiesa di San Pietro ha un quadro arcualo, alto metri 3. 13 e largo m. 2. 43. di Rocco Marconi, pittore trevisano, che rappresenta i santi Pietro, Andrea e Bartolommeo. Nel Comune di Zellarino, lungo lo stradale che conduce a Mestre, trovasi la casa abitata dal Tintorello, ma niuna traccia di pennello. Il Comune è ricco di villeggiature di famiglio veneziane. La chiosa, ri-costrutta nel I55(j dalla famiglia Molili, possiede una Madonna del Rosario, opera di Domenico Robusti tiglio del Tintorello. Procedendo lungo questa strada, trovasi Trivign.|no, nella cui chiosa è sepolto il Filiasi, morto nel 1821) in Venezia. Indi Martellago, luogo antichissimo, e appartenente alla famiglia Martellaci di Treviso. E nominato insieme con Zollariu e Trcvignan, in una donazione del 1085. fatta al monastero di Santa Eufemia. Della chiesa è traccia nel 1292; venne ricostruita nel secondo secolo, e possiede un santo Stefano di Gentile Rollini, una Vergine del Rosario di Lattanzio Querena, un quadro di Pietro Damin, uno di Matteo Verona; ed un affresco di Giovanni Battista Canal, cogli ornamenti del Fossati. L1 ospedale, fondato lin dal XIV secolo poi pellegrini di Terrasanla , ora soccorre di medicine i poveri della parrocchia , ed inoltro dona una piccola doto a qualche povera ragazza. Il palazzo de1 Grimaui dei Serri, alla (piai famiglia apparteneva fin dal secolo XVI, fu elegante o signorilo ritrovo alla società lino al principiar di questo secolo; con giardino vaslo e coltivato, ameni locali, bellezza di disposi/Jone. Nel 1771 Giovali Grimaui lo abbellì maggiormente, con serragli d'animali stranieri: or giace abbandonalo. Lungo la strada miraneso inconlrausi ad ogni passo nuovi casini ed amene villeggiature, che uniscono i due Comuni disposti SU quella via. In quello di Chirignago nella chiesa, che diamo qui dietro disegnata, trovasi una pala di Francesco Santa Croco rappresentante la Beata Vergine delle Grazie. La chiesa è dedicala a san Giorgio, e nella Ironie porta duo busti e iscrizioni che ricordano gli abbati Francesco Moro e Cristoforo Baldo. A Spinga nella chiosa parrocchiale vedesi una coronazione di Maria, pregiato lavoro del Vittore Belliniano scolaro del Cima. iHUsliWZ. del L \ \ Vol. Il -ili {(jtirignago) XVI. Distretto III di Dolo. ueslo distretto è composto da 17 Comuni censuarj c 11 Comuni amministrativi, che sono: Borbiago, Cam-^ polongo, Campagna, Dolo, Fiesso, Fosso, Gambarare, Mira, Oriago, Strà, Vigonovo; con ventiquattro parrocchie, e la popolazione di 28,800 persone; delle quali 2809 sono possidenti. Ha una rendita ccnsuaria di L. 781,533.54, divisa in fabbricati per L. 143,972.40 e terreni per L. 037,501.14. La superficie di pcrt. censuarie 279,112.00, è divisa in fruttifera di 273,855.50, ed infruttifera di 5,257.30 : e se ne paga un estimo di L. 780;934.52 ; avendo una superficie esente di P. 599.02. Questo distretto migliorò da circa a metà dello scorso secolo, dopo che comunicazioni vennero stabilite colle vicine città e borgate, le quali furono estese sotto il governo italico. Presto acquistava attività commerciale, favo- rita dalla fertilità, sebbene l'agricoltura sia lontana dai risultati eh'è lecito ripromettersene, ora che a ciò convergon gli sforzi do1 più avveduti possidenti. Le tante acque ond'è intersecato, non che considerarsi per fonti di ricchezza, si han per avversar] spaventosi e incomodi interrompimenli alle comunicazioni. In questi ultimi tempi, conosciuti gli avvantaggi dalle migliorate comunicazioni, si diede mano ad opere idrauliche che le mantenessero costantemente possibili, e ponti ed arginature colossali, sostegni, chiuse, tagli, rettifili; per lo che giova sperare che il danno rovinoso d'una rolla possa venir tolto. Il Brenta, venendo dal territorio di Padova, giunto al Dolo si divido in due rami ; uno diretto per San Bruson, scarica le sue acque verso Brondolo ; l'altro procedendo verso il paese, dà movimento a molim* di grano; e per un altro ramo sostenuto in un bacino, dà alimento ad un canale di navigazione, clic dal capoluogo scorre per la Mira e Fusina, diventando Brenta morta nel primo tronco; poscia ingrossato dalle acque dei due scoli Pionca c Cagnaro, acquista il nome di Brenta magra: e per esso manliensi una comoda navigazione da Padova a Venezia. Nel distretto collivansi specialmente il frumento ed il frumentone, poi il sorgo rosso e i fagiuoli : il ravizzone, si è ormai generalizzato. Le patate vengono pochissimo coltivate; il lino e la canapa soltanto in qualche piccolo appezzamento pei bisogni della famiglia del colono. Le barbabietole, che nei terreni più bassi sembra potrebbero dare un utile risultato, non vengono sperimentate. Il vino, so non dello ottime qualità, era però delle più ricercate nella capitale, ove a preferenza veniva venduto : ma da quattro o cinque anni manca assolutamente. II distretto si ritenne ne producesse nelle buone annate per cento mila mastelli (71,276 ettolitri), i quali vendeansi nella media di L: 0 il mastello. Dalla sua mancanza vennero indicibil miseria e svogliamento dal lavoro. Importanti erano i brusi delle acquavite, che formavano principal ramo di commercio anche colla Germania, alla quale si vendevano da IO a 12,000 mastelli ili spirito. Ma la mancanza d'uva e i nuovi regolamenti finanziari in proposito ne difficoltarono lo sviluppo, fino a mettere in dubbio 1' utilità del lavoro , giacché, tra le altre ordinazioni, evvi anche quella che il distillatore non può tenere acceso il fuoco al lambicco durante la notte: per la qual cosa, il raffreddamento cagiona un maggiore spreco di combustibile: lo che unito alle altre imposte e gabelle, rende diffìcile, per non dire impossibile, nelle condizioni attuali, ogni concorrenza colle fabbriche della Germania, che continuamente ci spediscono i loro prodotti. DISTRETTO DEL DOLO 357 Poco burro e cacio, mancando la coltivazione dei prati; e la facilità di lavorare la terra facendo trascurare 1' allevamento di buon bestiame. Nel Comune di Campagna ben 1000 campi paludosi venner nell'ultimo decennio ridotti a risaje, ed il cav. Moschini e Colonda mettono in movimento nello loro possessioni delle forti macchine a vapore per l'asciugamento de' terreni. Di seta si ottenner in quest' anno trentamila chili di bozzoli, che ven-donsi principalmente in Lombardia. La r.on breve distanza dalla città, difficoltata anche dalla linea del porto-franco per cui le merci non possono transitare colla comodità delle altre città, ed inoltre la tendenza de' commercianti stessi ad istituire le loro fabbriche nei grandi centri, circoscrivono I' industria ai proprj bisogni e dei vicini territori; mentre in Venezia concentransi i principali stabilimenti manifatturieri anche di quelli che, in una città di terraferma, sarebbero a preferenza trasportali fuori. Il d01.0 è grossa borgata, posta ove il Brenta, proveniente dal territorio padovano per Strà, dividesi in due rami. Allegra posizione, fra amene e leggiadre villeggiai uro, il concorso alle quali rende più vivace e brioso questo paese nella stagione estiva ed autunnale. Sta su la sinistra del fiume la porzione che diremmo vecchia ; lungo la sponda destra la nuova e la maggiore. Dalla illustre famiglia do'Dauli patrizia padovana vorrebber derivare il nomo di Dolo; però ò di recento formazione. Faceva il paese parte della vicaria di Oriago, e fin negli ultimi anni correva pel paese un proverbio, tutt'altro che lusinghiero sul suo conto. Dopo la metà circa dello scorso secolo ebbe campo d'aggrandirsi: poi, mercè un amplissimo sviluppo stradale, fu messo a contatto colle vicino città ; ed ora viene formato delle frazioni di Arino I, Arino II, Isola San Bruson e San Bruson; ha ufficio proprio e consiglio comunale, con pretura e commissariato, ed una popolazione di (5150 anime. Siccome recente, non ha castelli 0 torrazzi rovinosi, al par delle vicine frazioni; ma del pacifico campanile va superbo chi cresco alla sua ombra, e gode raccontare come nella sua cella racchiudonsi otto campane, messe in movimento da un congegno meccanico, aftinché nello giornate di locale solennità possano venir sonate armoniosamente; e ne confrontano le proporzioni col campanile di San Marco 0 coll'osscrvatorio di Padova. Cosi in questo paese tutto respira pace ed allegria, e il teatro eia musica civica rallegrano e dilettano gli abitatori e i villeggianti. La chiesa è dedicata a san Rocco, di costruzione semplice, decorata da quattro colonne corintie ed un timpano; noli' interno altari barocchi; nella 353 STORIA DI VENEZIA cappella della Beata Vergine due angeli ed un bassorilievo attribuisconsi al Torretti. La piazza serve al mercato dei grani; allegre abitazioni la fiancheggiano da un lato, e dall'altro scorre il Brenta. Rimontando questo fiume, e passando all'altra riva, ecco i molini, che furono la prima risorsa del paese; ed entrati nel paese vecchio, vedremo i torchi idraulici del Cappelletti per la pressione dei semi oleiferi ; e gli avanzi del ponte della Giudecca, costrutto dal Teman/a in pietra con una solidità a tutto prove, giacché seppe resistere a tutte quelle enormi piene alle quali va soggetto il tronco maggiore del Brenta che sotto scorre; poi venne abbattuto perchè la grossezza de'suoi piloni sosteneva l'acqua in amonte ad una forte differenza di livello. Tolto il vecchio ponto, ne venne sostituito uno dì legno, e son incominciate operazioni idrauliche, che eambieranno questa sezione del iìume. A circa mezzo miglioaffaciasi San Biuson,corruzione di Sant'Ambrogio, terra antichissima, che fece parte dello varie terre che vennero date in dote a Bolsonella da Peraga andando sposa a Marino Badoero; fu funestata da guerre e distruzioni, sicché or restano poche case, o di fresco sparvero anche le villeggiature del contorno. La chiesa di Sant'Ambrogio conserva due buoni quadri. Frazione del Dolo è Arino, dove i Padovani fabbricarono una torre per la difesa dei serragli: e fu ora distrutta ora predata e da'Veneti e da' Veronesi e per anche dagli Spagnuoli. Rientrati in Dolo, e seguendo il Brenta, belle ed amene villeggiature vediamo seguitarsi via via, fiancheggiate da viali, da giardini; le une di grandiosa molo, le altre di più moderna costruzione, dove il pittore tenne luogo dell'architetto e dello scultore; e alternandosi e succedendosi si aggruppano alla fine, e danno origine al grazioso paesello della Mira. Le sponde del Brenta furono sempre preferite dalle famiglio patrizie por le loro villeggiature; lungh'esse posero Ì palazzi arricchiti dalle arti; ma il tempo e gli uomini distruggendo o vendendo tolsero del tutto, o spo-verirono de'loro ornamenti queste sponde; e fra i diradati palazzi si innalzarono comuni abitazioni. Delle tante villeggiature citeremo la Contarmi, ora Gorzkowskv, dove fu accolto Enrico III di Valois. Il proprietario volle conservare memoria del fatto, e incaricò il Tiepoletto di rappresentare il fortunato avvenimento; o disposti all'ingiro d'una loggia vedonsi i ritratti di tutta la famiglia, e dei domestici, che sembrano festeggiar quest'arrivo tenendosi in una ri- DISTRETTO DEL DOLO 555 speciosa contemplazione; eccello però un scimiolto, il quale, come annojato dal lungo cerimoniale, spicca un salto, l'ormando uno scorcio mirabile per verità ed effetto (Vedi png. 84 e 172). La fabbrica di candele steariche, istituita da una società di capitalisti la maggior parte svizzeri, in breve tempo raggiunse importanza grandissima. Varj torchi idraulici vengono impiegati a comprimere sia a caldo come a freddo la materia, e dividere la stearina dall'oleina; poi la stearina dallo altre sostanze, che vanno separate per formare la pasta da candele, mentre l'oleina vien destinala a far sapone da liscivio. Una macchina a vapore mette in movimento una ruota circolare, destinata a tagliar legnami per commercio. Quattro forni servono alla formazione dell' acido solforico. Così questo stabilimento, che per la sua direzione niente lascia a desiderare, racchiude quattro generi di industria importanti per la nostra provincia, mantenendo un movimento utile nel paese, e procurando lavoro a buon numero di operaj si donne come uomini. L'industria dell'ammarinato è praticala dal Venerando, occupandovi da cento operaj sei mesi dell'anno a preparar il pesce delle vicine valli Appartiene allo stesso proprietario una fabbrica di saponi ordinar] per lavanderie, e una d1 aceto che serve pei bisogni della sua fabbrica. Alla Mira vi sono due ponti di ferro e legno giranti, che 1' uniscono P uno colla Brentclla, l'altro colle Cambararc; c varcato il secondo, entreremo nella antica podesteria di Gambarare o Fossa Gambaria. Di questa terra parlasi lin dal VI secolo, quando con Oriago, Mestre, Pieve di Sacco, Sant'Ilario e Sant'Angelo venne donala da Narsete ad un certo Vitaliano de Capitani padovano, in ricompensa d' ajuti nelle guerre combattute a favor de' Greci. Sotto la repubblica veneta venne costituita a podesteria, e v'era mandato un proveditor nobile. Ora il Comune è formato dalle frazioni di San Don. Bollemgbi, Brenlella e Malcontenta; popolazione di 3064 abitanti con duo parrocchie. i Lo coffe, ceste in formo ili Elasco a ventre largo e collo basso, falle ili vinelli, che racchiudono le anguille, vengono dulie valli vicine con circa 200 libbre di pesce ciascuna. Primieramente si separano le anguille a norma della grossezza; colje più grosso formando i morelli o rocchi nei quali vengono tagliale; e colle minori i saircavulti, da essere piegale in zig-zag. I pezzi, nella forma clic devono man tenor« ed essere posti in commerciò, vengono infilzali su seliidoni e posti su alali, indi sj accende il fuoco, ed il grassume che da essi cola viene raccolto in apposita doccia ili marmo, e convogliato in vasi di terra, per Servire ad altro uso. Allineile l'anguilla è pervenuta alla cottura richiesta, il pesce vieti tolto dallo spiedo, e disposlo regolalamentc ne' liimz/i, pOSCÌ8 vietigli gettala addosso la concia di ;t,eto òX7JW. 20. Cwah/.f.hf. colle frazioni di llottanova, Pet-loraz/.a-Papafa\a, a sinistra dell'Adige, aventi H,I87 anime in 3 parrocchie, coll'estimo di L. l(i(J,(J 10.04. Co.w, con Cmietla, Pegolette. Foresto, Cantarana, Conca d'albero ; la popolazione di 1973 anime; l'estimo di L. 66,603. Uìi, in 4 parrocchie. Pki.kstuina, collo frazioni di San Pietro in volta e Portosecco, l'ormanti 3 parrocchie, con 7359 anime; e 1' eslimo di L. 36,266. 07. Già furono descritte. / 364 STO lì l A DI VENEZIA Il distretto di Mirano componisi di sei Comuni amministrativi; jMirano, Noale, Pianila, Salzano, Scorso o Santa Maria di Sala. Ila 20 parrocchie ed è diviso in 20 Comuni ccnsuarj; ha una popolazione di 21,872 anime, l'estensione di 164,507 pertiche censuarie, delle quali 101,171 censite: ed una rendita di L. 614,566.78. Il distretto figura un quadrilungo, estendentesi da nord a sud, leggermente inclinato da levante a mezzogiorno, e confina a levante col distretto di Treviso e di Mestre, a mezzodì col Dolo e Padova, a ponente coi distretti di Padova, Camposampiero, a tramontana con Treviso. Fece parte della provincia padovana fin al luglio 1853. Il terreno e sabbioniccio, perciò leggiero e favorevole alle viti, che dan vino non di eccellente qualità, ma di gusto squisito, ondo viene ricorcato grandemente. Se ne ricavano ettolitri 32,1)50 circa. Inoltre frumento si raccoglie per 33,000 ottol. circa, il frumentone per 07,042 ettoL, i bozzoli per 500,000 chil., coltivazione che va .accrescendosi ogni anno, e vengono venduti parte a filandieri nel distretto, e parto fuori. Delle filande, due sono riscaldate a vapore, in quella a Mirano anche gli aspi son mossi dal vapore; in tutto saranno 320 fornelli. La seta per 1' incannatura e tessitura viene portata fuori di provincia. Vi si tengono mercati ogni lunedi in Mirano , ed al giovedì in Noale, specialmente per bovini: in Mirano poi una fiera ai 21,22, 23 settembre, alla quale una volta concorrevano quei ili Chioggia e del Polesine , per barca lungo i canali interni, pel commercio della canapa e legnami; ma adesso cessaron quasi, a cagiono delle interruzioni noia via d'acqua, prodotta col nuovo taglio del Brenta che da Corte va a Chioggia. , • Le comunicazioni tra i distretti circonvicini sono largamente mantenute da una rete di strade in uno stato perfetto, e per lo sviluppo di 130 chilometri. Di queste le principali che attraversano il distretto sono: la regia castellana , la consorziale noalese, nelle quali mettono tutte le altre minori, tra cui mentoveremo solo la strada Desman, di antichissima costruzione che vuoisi fatta dalla famiglia dei Dalosmanini, padovana ; altri credono che sia denominata da dieci mani perchè alla sua formazione sarebbero concorsi dieci paesi confinanti cioè, SarrMichiel dello Badesse, Sant'Eufemia, Borgoricco, Sala, Sant'Angelo, Zenimiana, Veternigo, Zia-nigo, Salzano e Mirano; essa per Veternigo e Sant'Angelo, mette nel distretto di Camposampiero. Lo più sono mantenute in ghiaja ; ma nella parto meridionale del distretto avvene di mantenute in terra e sabbia, le quali si tagliano ad angolo retto, dirigendosi per ogni dove. Le acque che scorrono su questo territorio provengono dalla parte superiore occidentale del distretto, e sono formate dai fiumi Dese, Mar-zanego, Musone e da varj scoli. DISTRETTO DI MIRANO 303 Di ludi i distretti della provincia questo è il ni:no dotato d'acqua; ma la vi scorre placida e benefica, mettendo in movimento nel breve suo corso dieci macine da grano sparse nei diversi Comuni. La popolazione attiva, sana, dedita al lavoro; l'educazione vassi facendo popolare, contandosi istituite sedici scuole elementari, frequentate da circa 500 giovani ; e abbenchè le cognizioni elio vi acquistano sieno le più primordiali, attesoché o sono di troppo fanciulli, ed in allora la loro intelligenza non si presta a maggiori nozioni, o sono più adulti, ed in questo caso il lavoro della terra toglie troppo tempo allo studio per esigerne un.migliore profitto; pure, per quelle poche cognizioni attinte, puossi sperare che scemerà sempre più V ignoranza dello nostre classi operaje, si svilupperanno le buone disposizioni nella popolazione agricola ed avvantaggerassi nelP utile togliendo all' inerzia quelle braccia che vi sarebbero condannate dall' ignoranza. Poco lungi dalla stazione della ferrovia, e dove il Musone si getta nel Taglio che conduce alla Mira, trovasi MiftAflo, con caso bendisposte aggruppatisi intorno alla piazza, ed allegrato da tante villeggiature. Anticamente fece parte delle ville che vennero date in dote a Bolsonolla da Pcraga , quando si maritò a Marino Badoero, dal qual maritaggio ebbe origine la famiglia dei Badoero da Peraga. Mirano apparteneva, come si disse, alla città di Padova, di cui nel 1232 formava una vicaria. Siccome punto importante e strategico, molto soffri nelle guerre, venendo ad ogni momento assediata, presa e ripresa, per forza d'armi o maneggio di trattati. Pervenuto ai Veneziani, Mirano dipendette dal Comune di Padova; venne cretto in vicaria, e dopo regolato il consiglio della città, il primo vicario fu Giovanni Filippo Galletti nel 1528. A questa vicaria appartenevano le ville di Albarea, Sant'Angelo, Sala, Ario, Ballò, Caltana, Campocrose, Caselle, Caselle dei Rulli, Cazzago, Molaredo, Pcraga, Pianiga, Rivale, ScalLenigo, Stiglian, Veternigo, Velriego, Vigonza, Zianigo. Mutate le cose, fino al 1853 fu Comune del distretto di Noale, poi col nuovo compartimento territoriale, fu eretto a capoluogo con commissariato distrettuale e pretura. Se si eccettua un molino a sistema americano 1 dello Zinchi, in M- \ Di ([ticsti inclini non n'hanno irne Ire le Provincie venete, quello cioè di San Giorgio di Nogaro nel Friuli, quello «ti Venezia, e questo, che è situato sul naviglio di Mirano od ò messo in movimento dalle acquo del Muson, il quale n'è costantemente proveduto dallo sue numerose surgelili. Da questa sua posizione, vieti messo in facilissima conni-Ideazione con Venezia, Padova e 'Treviso non solo, ma lunghesso il naviglio anche con Chioggia ed il Polesine, la qual ultima provincia, ricca come è di granaglie, può somministrare un lavoro grandissimo b questo opiilzio, 300 STORIA M VENEZIA rano non si trovano stabilimenti industriali di qualche rilievo; ma questo si rendo rimarchevole per la sua importanza ». Un istituto di pubblica beneficenza, destinato a somministrare medicinali ai poveri della parrocchia fin da antichissima epoca, venne fuso colla commissaria Moretti Bonifazio, ed accresciuto nel 1831) dal legato ili G io va n Antonio Amhrosoni: in adesso verrà eretto ad ospedale pei poveri della parrocchia, ed ha una rendila propria di lire duemila. La chiosa parrocchiale di San Michele una volta era priorati; degli Agostiniani; venne nel L'i77 ai 14 di maggio concessa alla congregazione de1 canonici secolari di San Giorgio in Alga, ila papa Sisto IV: ila Clemente IX soppressa questa congregazione, passò a juspatronato ilei procuratori di San Marco. Nel 1084 ai 7 di luglio venne posta la prima pietra per ampliarla dal curato padre Nicolò Monti da Ferrara ; il restauro venne compilo nel IODI, a spese dei fedeli della parrocchia. Sul cielo di questa chiesa ammirasi un affresco grandioso del Demin, studio e lavoro di selle anni, rappresentante il giudizio universale, e per forza di colorito e di composizione nulla lascia a desiderare. In Mirano tra molti giardini e \illeggiature non va dimenticato il grazioso paiazzino e giardinetto sul Barzisa con viali , grolla e rovinoso castello. Sulla via che conduco a Noale incontrasi Sai./an, con ospedale fondato nel 1837 per legato del parroco dottor Vittorino Allegri, colla rendita di lire 4000 circa, e che contiene da IO ammalati. Il parroco ne è presidente, ed ha un direttore, un amminislralorc e segretario: il ihedico comunale, assistito da due infermieri, disimpegna il servigio sanitario. A Salzan vi è una fabbrica di berretti di lana ad uso di Levante, ed una filanda di seta con 45 fornelli. Anticamente v" era un castello ti La forza d'acqui utilizzala in qtfèsto roetecinismo produce un citello ili olire trèiitàcin-i|iie cavalli-vapore di l'orza elicli iva, ed i p-ani macinati danno la farina dal numero t al 8, illudila alle «piali non si può arrivare coi molini comuni. L'istituzione di questo stabilimento valse al proprietario nel WSì il privilegio dell'I. FI. minislero delle Finanze di poter macinare grano estero; ritirandolo da Venezia ed ivi ritornandone le farine, senza il pagamento del dazio doganale: e dalla liencmerita Società d'Incoraggiamento di Padova noi 1818 la grande medaglia d'oro per l'induslre e giovevole miglioramento portato. Presentemente lo stabilimento è fornito di dodici macine, mosse da quattro ruote alfa Ponrelel, le (piali, mediante corregge di trasmissione, méttono in movimento i ventilatori o, le macine; poi all'apparato per burattare le farine, a quello per 'S. Guido I Tempesta, figlio di Vinciguerra Camposampiero, al quale il valor militare acquistò il nome di Tempesta; fu signor di Noale, è il primo di sua famiglia che abbia ottenuta la dignità di avvo-garo del vescovato di Treviso al 1158 nelP incastcllazione di Tre« baseleghe. Al 1129 trovasi a v voga ro un certo Bertaldino. 1272. Artico Tempesta, figlio di un Guido che mori nel 1281, fu signor di Noale e governatore sino al 1293: ristaurò la rocca, nella cui muraglia leggesi: = Magnilicus Avvocatus Tarvisii hoc opus fieri fCCit MCCLXXIl. = 1312. Artico Tempesta figlio di Guido IX, sposato a Margherita figlia del cavaliere Giovanni da Morgan; era stato podestà di Feltro, avea servito la patria nell'armi e nella toga; col padre e con Glie-cello fratel suo erasi opposto alla tirannide del Camincse; da ultimo smarrì la via dell'onore. Antonio e Nicolò di Rovere con altri ottimati di vita disordinata meditarono di favorire Cangrande ad impadronirsi di Treviso; e tirarono al loro partito Artico, sdegnato contro i grandi della città perchè aveano tolto alla sua famiglia il diritto e giurisdizione della Muda. Si valsero della moglie Margherita, di rara bellezza ma di turpi costumi, che indusse il marito a farsi capo della congiura, diede a Cane per pegno della sua fede Noale e Brusaporco. Ciò avvenne il primo ottobre 1318. Fallita 1' impresa, gli furono confiscati i boni, spianata la casa in Treviso, proclamato ribolle ed esigi iato insieme co' suoi seguaci, nemici del partito guelfo. Artico si ridusse a Noale, da dove scaltramente tentò di toglier Mostre ai Trevisani, ma inutilmente. 1313. Guecello Tempesta, signor di Noale e fratello di Artico XI, unitamente al padre ed al fratello scacciò da Treviso il Camincse; nel 1314 fu spedito ai confini sopra il Monteger. Fu deputato nella pace tra Cane e i Padovani il 25 luglio 1314. Nel 1320 fu al congresso di Bolzano. Ai 29 agosto 1320 unitamente al conte di Gorizia 4 Questi appunti biografici li dobbiamo al signor Rinaldo Rossi, segretario." comunale, fbe li trasse in gran parte da un manoscritto di monsignor canònico (ì. R. Rossi. Alla cortesia dello stesso ci professiamo obbligati di molte notizie intorno [a Noale. Deh per* Ohfc non incontriamo da per tutto gente sì allelluosu delle jnitrie memorie e sì affabile a comunicarle? C G. liberò Padova dall' assedio di Cangrande , e fu dal conte creato cavaliere; al ritorno liberò il suo castello di Noale dalle mani di Valerio Brà da Verona, che l'occupava a nome dello Scaligero, ceduto da Artico suo fratello. Nel 1324 fu pei Trevisani mandato ambasciatore ad Enrico re di Boemia. Accusato di tradimento da Altinieri degli Azzoni, fu cacciato da Treviso, o prudentemente si allontanò il 2 luglio 1326. Ai 4 gennajo 1327 radunò in Noale i malcontenti Trevisani, e la sera stessa entrò in Treviso, e già gli si arrendeva il palazzo dell' Altinieri ; ucciso il quale da Guglielmo Camposampiero, Gucccllo ebbe le redini del governo, e fu proclamato padre e libcrator della patria. Contro Cane difeso Treviso, finché in un consiglio fu deciso di arrendersi a questo, il quale ai 18 luglio di dotto anno vi fece il suo ingresso. La capitolazione fu vantaggiosa per Treviso e por Guecollo, si in riguardo ai diritti che godeva, come in riguardo alla sua persona, perchè restò capitano di Treviso. Morto Cane in questa città pochi giorni dopo il suo ingresso, Mastino lo tirò a sè, e lo fece podestà di Verona. Guecollo si segnalò nella battaglia presso Ferrara li 14 aprile 1333; ma visto che la fortuna cangiava, uscì destramente da Verona, si pose sotto la protezione dei Veneziani, dai quali fu fatto capitano dell'esercito stanziato tra il Brenta e la Piave. Unitosi ad altri socj, ricacciò le truppe di Mastino fin sotto Verona. Al ritorno mori in Padova il 23 novembre 1338. Era di bell'aspetto, valoroso, magnanimo, leale e libéralissimo. 1423. In questo anno nacque Onietro Novale, medico fisico, il quale nel 1480 fu in Padova rettore dell'università degli Artisti, sotto il cui governo il collegio dei Medici si formò nuove costituzioni, abrogando le vecchie. Nel 1453 vi fu professore di medicina. 1438. Bernardo da Novale, detto Campagnaro, fratello del cavalier Luigi, fu gran giureconsulto e famoso oratore, e per molti anni militò valorosamente sotto Fortebraccio di Montone. 1441. Francesco da Novale, fratello di Bartolomeo fu eletto professore di medicina teorica straordinaria dell'università. tildi. Agostino Novale figlio di Francesco, fu dottore ed uditore, ossia giudice d'appello delle, sentenze dei podestà d'Asolo per la regina Cornaro signora di quel castello. 1502. Il 24 dicembre la piissima novalese Sorgalo Maria donava alla chiesa de' santi martiri Felice e Fortunato, protettori di Noale, un ricchissimo piviale, e più tardi altri preziosi paramenti. Fece ancora dipingere a proprie spese dal Carpaccio la tavola dei santi Giovanni Battista, Pietro e Paolo, esistente in sagrestia. Nel 1520 ella aveva istituita una mansioneria, ora inofficiata. 1513. Ettore dalla Bastia, pievano di prima porzione, uomo dotto e pio, terminò in questo anno, dopo moltissime difficoltà, la cappella DISTRETTO DI MIRANO 373 maggiore dei Santi Felice e Fortunato, e la sacristia; il lavoro era stato cominciato nel 1500. i54?i. 13 gennajo. Luigi Novale, detto Campagnaro, dottore chiarissimo in ambe le leggi, meritò per la probità e il valore di essere creato cavaliere della veneta repubblica, dogando Francesco Donato. 1045. Adami Antonio, fratello di Jacopo pievano di seconda porzione in questa chiesa, sacerdote professo de'frati minori conventuali in San Giorgio; fu in detto anno lettor di logica in secondo luogo nel-P università di Padova. 1050. Intorno a quest'anno Bregolini Giandomenico, sacerdote e prozio di Ubaldo, fu segretario del cardinale Giovanni Dolfìn patriarca di Aquiloja, e autore di quattro tragedie italiane, e altri versi secondo il gusto del secolo. 1722. Il 15 maggio Ubaldo Bregolini nacque a Noale; nel seminario di Padova s'addottorò in legge, e vi fu precettore di diritto naturale e canonico: fattosi poscia ecclesiastico, vi sostenne la scuola di retorica , il carico di prefetto agli studj, insegnò filosofia, storia ecclesiastica, e dettò parecchio applauditnsimc accademie, poi prefetto del veneto governo e professore nelle pubbliche scuole della dominante, ne conservò l'uffizio per trentatrè anni, fino a che la morte venne a rapirlo il 24»agosto 1807. Scrisse, e pubblicaronsi due volte i suoi Elementi di giurisprudenza civile. Alcuni poemetti, tra i quali va celebre l'Imeneo de'fiori, alcune satire, e molte composizioni accademiche lo appalesarono vero retore e filosofo. 1737. Monsignor Giovanni Battista dottor Rossi nacque il 23 dicembre fu cancellier vescovile in Treviso, poi canonico e arciprete del duomo, e vicario generale capitolare. Tutti gli ordini piansero la sua morte, la quale avvenne il 5 aprile 1826, avendo egli vissuto 89 anni. Egli fu paziente indagatore delle patrie cose, dalle quali tutte le qui trascritte furono prese; e molto intelligente delle cose municipali della trevisana provincia s. 1780. Mondini Bernardo cavaliere, fratello dell'arciprete dottor Jacopo, fu in Venezia ragionato all'arsenale, nella democrazia municipalista. !» Don Jacopo Monico di Ruse, poi patriarca di Venezia, fa che l'anima del defunto arciprete Girolamo lìcitati s'incontri con quella del Bregolini, il quale dimandando conio d' un suo concittadino, Che fa (riprese) e come vive, e dove Quel delle patrie nostro allo ornamento Che in riva al Sei, quand' i' partii, d'onore Era, e di scudo al Trovigian pastore? Dove, è facile il ravvisare a questo cenno monsignor Giambattista dottor Rossi arciprete e decano della cattedrale di Treviso, il quale assistendo da molti anni a S. e. ii. monsignor vescovo in qualità di cancelliere, sostenne con pari dottrina che zelo, il decoro e le ragioni tlel vescovado e del clero. STORIA DI VENEZIA Alla coronazione di Napoleone, deputalo ambasciatore in un col Co. Paolo Polo per conio dei Trevisani, alla setta de'cosi detti Illuminali e Liberi Muratori, si aggregò in Parigi ed in Treviso, e passò ai primarj gradi della setta; colpito in Noale da mortale infermità, abjurùgli orrori da lui professali, e si converti veramente il 17 ottobre 181«, sullo la direzione dell'arciprete nostro dottor Sebastiano Soldati, poi vescovo ili Treviso, e mori non mollo dopo in seno della nostra sanla religione. Poco distante da Noale sulla regia strada Castellana trovasi Scoiuù anticamente castello appartenente agli Scorzadi gentiluomini di Treviso e distrutto da Ezelino nel 1241. La chiesa di San Benedetto ha il soffitto affrescato dal Canal. È grosso paese, no' cui dintorni si trovano moltissimi luoghi di villeggiatura, tra i quali il palazzo Mocenigo-Soranzo dell' architetto Andrea Zorzi, con giardino inglese condotto sul disegno del celebre nostro Japelli; la filanda a vapore del Bonaldi possiede 40 fornelli. Stigliano nel Comune di Sanla Maria di Sala, fu castello fortissimo, poi ridotto a palazzo dei nobili veneti Priuli da Canaregio. Pignorio vuole dorivi da Ostiliununì, perchè appartenente alla gente Ostilia , oppure da Se.Tliliiinum parimenti dalla gente Sestilin. — In questo terreno ver..io combattuto nel 1404 fra Mafatesta e Lodovico Buzzacarini, il quale fu vinto e preso. 11 castello venne occupato dalle genti veneziane ai 17 settembre dello stesso anno. Nella chiesa di San Nicolò di Pallido nel 1234 fu segnata dai sindaci delle città di Padova e di Treviso la pace , proposta dal vescovo di Treviso e dal beato Giordano Forzate, priore del convento di San Benedetto di Padova, c nel 1570 venne questa chiesa, da Andrea Lippomano patrizio veneto e commendatore dell'ordine teutonico, donala ai Gesuiti dotandola con molte rendite. Sala venne nel duodecimo secolo donata dall'imperatore Corrado II ad un Corrado da Colbertaldo, i cui discendenti ne preser il titolo. Fu Paganino Sala, patrizio padovano, che vi innalzò un castellotto per sua abitazione; ma avendo cospirato contro i Carraresi, questo passò nello loro mani per confisca; da poi, unitamente con Piazzola, venne nella famiglia Coniarmi, patrizia veneta, per matrimonio di Maria figlia unica di Nicolò DISTRETTO DI MIRANO (Sliijliano.J da Carrara, con Francesco Contarmi. In questa famiglia si mantenne la villa di Sala fino allo spirare del decimosettimo secolo, quando passò ad Agostino Fonsecca , gentiluomo veneto, e poco dopo al duca Emanuele Cortizzo spagnuolo, finalmente nel 1708 alla famiglia Farsetti che lo trasmutava nella magnifica villetta , adornata di quanto il gusto del secolo e le ricordanze dell'antichità avessero per renderla ognor più amena. (Vedi pag. 18!)). \7i innalzò il grandioso palazzo, arricchito da quarantadue colonne di preziosi marmi, della circonferenza di metri 1.74 e dell'altezza di metri 4.77. Gran numero di esso vennero da Roma. Sei scanalate sono d'alabastro orientale (calce carbonata lìstolare); cinque di verde antico (ofiealce); quattro di africano antico (breccia africana) incrostato sulla pietra , le quali superano nel valore le altre tutte , ah-benchè sieno di marmi rari e belli. Vi eresse un tempietto e un fabbricato che simulasse le antiche terme, vi scavò un lago, v'innalzò una collina, accrebbe il fabbricato d' una foresteria; infine nulla tralasciò di quanio valesse a rendere quel soggiorno sempre più ricco e delizioso, spendendo per esso oltre un milione di ducali veneti. Decaduta questa villa colla illustre famiglia dalla quale ritrasse tanto lustro, il suo giardino venne ridotto a frutteto, la torre dell' orologio sopra la collinetta cadde, questa venne spianata, ed il Iago colmato, anche il palazzo stesso solfrì qualche disastro che però dall'ultimo possessore venne riparato. L'architettura di questo risente delle ricchezze e del cattivo gusto del secolo scorso; ha la facciata decorata con colonne, e due ali laterali, nella prolungazione del corso centrale, costituiscono i corpi della foresteria e della fattoria. Un fabbricato che serviva di abitazione e di studio pel fondatore di questo palazzo ed una chiesa completano la villa. XVIII. Distretto VI di San Dona. iciannove Comuni censuarj, e dieci amministrativi, conta questo distretto, che sono: Ceggia, Cavazuccherina, San Dona, Fossalta, Grisolera, Meolo, Musile, San Mi-chiel del Quarto, Noventa e Torre di Mosto; con 25,7(13 abitanti, una rendita di L. 700,273. 79 e la superficie di 434,233,70 pertiche censuarie. Questo distretto confina a nord con quello di Porto-gruaro, dal quale è diviso dalla Livenza;a levante col mare, a mezzodì colle lagune ed i distrclti di Venezia e di Mestre, a ponente col Trevisano. Il suo vasto comprensorio è costituito per quasi 3/5 da terreni soggetti ad annuali alluvioni, con vastissime estensioni paludose, non utilizzate che pel prodotto di canno, strame e pascolo. La natura di questi latifondi favorisce alcuni cereali, quali sono il frumento per 10,154 ettari, il grano turco per 35,085 ettari, che coslilui-tlhislraz. dd L. V. Vol. ii. 49 Montirone, viene dal Filiasi ritenuta come un sobborgo della città. Da quei monticelli si scavano continuamente vasi, monete, marmi antichi e pregiati ; e dalla quantità di tali materie che venne trasportata altrove e che servi in gran parte alla costruzione di tanti palazzi, ad abbellimento di chiese, puossi dedurre la sua ricchezza edilizia. È popolare credenza che in Aitino sieno riposti immensi tesori, fiaba che sempre accompagna nel vulgo l'antichità d'un sito, nò mai ò disgiunta dalla paura degli spirili, demoni e streghe, vagolanti per quelle rovine. Aitino era in posizione elevata su di un piano intersecato da moltissime acque, e da questa sua posizione vuoisi argomentare che la costruzione di quella città abbia avuto qualche cosa di analogo con la nostra Venezia; Strabene in vece la rassomiglia a quella di Ravenna. Vicino correvano lo due strade Emilia Altinate e Claudia, anzi un tronco di questa seconda camminava confuso a quello della prima per un lungo tratto su questo territorio; avanzi se ne riscontrano anche oggi, in parte perchè sul loro tracciato corrono altre strade moderne, ed in parte negli spessi massi grandissimi di pietre connesse tra loro con si tenace cemento da formare un sol pezzo, dei quali molti vennero scavati per impiegarsi in costruzioni diverse, ed altri furono destinati a servire di fondo ad una strada che anni or sono era in costruzione. Da queste strade Aitino doveva risentir grandissima utilità pel continuo rapporto con Roma, e per le legioni che per colà passavano ; di modo che Plinio si lagnava col suo amico altinate che, mentre spessissimo si poteva avere relazioni con Roma, egli rare volte gli scrivesse. Già fin da quando le città transpadano vennero ordinate in municipi, verso il 700 di Roma, Aitino venne ascritto alla tribù Scapzia, colla quale aveva diritto di votare nei comizj di Roma: e al tempo delle guerre civili romane resistette ad Asinio Poliione. Sempre più crebbe d'importanza a segno che vuoisi che gl'imperatori romani vi avessero avuto un palazzo, e molte leggi vennero da essi promulgate da colà. Un'altra via rendeva Aitino importante: quella d'acqua; giacché onde scemare la distanza pel vizioso gomito che faceva la via Emilia, la quale da Aitino per Padova, Este, Montagnana, Sermide, Modena ecc., dirigendosi per Bologna e Ravenna andava a Roma, s'istituì una navigazione da Ravenna ad Aitino passando per la laguna dei Sette Mari, cosicché con viaggio abbreviato più prestamente potevansi portare a Roma le notizie della Germania. Tutto quindi concorre a ritenere Aitino città floridissima, ed in essa troviamo insediate 1»; cariche dei decurioni, dei seviri ed il collegio degli Àugustali, oltre varj collegi o fraglie di artieri, come fabbri dendroidi e centenarj ; e diverse lapidi dimostrano come in essa avesse DISTRETTO DI SAN DONA' 381 culto la pagana divinità del Dio Beleno 2. Quivi mori P imperatore Lucio Vero, il quale, viaggiando col fratello Marco Aurelio, fu cólto d'apoplessia poco distante da questa città. Aitino, cinta da saldissime mura, aveva sei porte sormontate da altissime torri, e gì' imperatori Vespasiano e Vitellio vi mantennero presidio. I suoi dintorni erano allegrati da numerose ville ; il paese fertile e ricco di fruiti; i suoi prodotti in animali erano tanto rari e magnilici, che Columella e Marziale li fanno soggetti di lode. Languì l'impero romano : i barbari come corvi all' odore della carogna gli piombarono addosso d' 0-gni banda. Quel popolo che aveva imperato al mondo, fu fatto scherno e ludibrio delle genti, e tra lo sue città Aitino venne dagli Unni distrutto nel 452. Riavutosi da quella rovina raccolse le sparse reliquie dei fratelli, e ricoslrusse come meglio polo il loco natale; per qualche tempo rimase sotto gì' imperatori Greci, finché nel 568 sonò 1' ultima sua ora, ed Alboino coi Longobardi Io distrusse del tutto 3. Il suolo per lungo tempo giacque abbandonato. I fiumi sconvolti dal loro corso, e i flutti marini conversero quell'ameno lido in putrida palude ; finché negli ultimi anni s'intrapresero lavori di bonificazione e vennero ridotti a risaja vasti tratti di palude. Poco distante trovasi San Micuiel dei. Quarto, ad quarium allinum ; che si trova nominalo fino dal 996 quando il doge Pietro Orseolo e l'imperatore Ottone III, convennero d'istituirvi un mercato, al quale con- 2 Una dice,: 1. AQViLiv» narcissvs bki.kni avg. mb. v. s. Un'altra: bblbno avg. NALVIV3 pivtivs ...... Son dale dal Filiasi. — Presto ne' Veneziani nacque l'amore delle epigrafi, cioè ne fu conosciuta l'importanza. Giovanni Marcanova no fece una raccolta in grosso volum« nel 14ti5, fra cui alcune di Grecia. Simil fatica sostenne Andrea Santa-Croce sotto Pio li, e le dedicò al cardinale di Pavia. Giovanni Lorenzo, al tempo deIJPoliziano, fu odato, per buone interpretazioni di marini, Benedetto Ramberto ne radunò nelle lunghe sue peregrinazioni per Europa e Asia, e della sua raccolta si valsero i successivi eruditi , traendone lezioni più genuine clic quella del Griderò e del Reinesio. Aggiungiamo Ermolao Barbaro, G. B. Ramusio, Andrea Franceschi, Paolo Manuzio e Aldo , Pellegrino Broc-cardo, un de' primi che con intenzione archeologica visitasse l'Egitto; in casa Contarmi aveasi una raccolta di lapide greche. C. C. 3 Di Aitino credesi un cronista, indicalo perciò col nome di Altinalc, e che si occupò specialmente dei fatti di quella contrada. Giulio Strozzi avea composto alcuni dialoghi, intitolali i Udi di Attilio, ove trattava delle origini di Venezia, Giulio Cesare Scaligero correvano moltissimi Veneziani ed altri Italiani delle Provincie superiori. Vi furono scoperti varj sepolcri e sarcofagi, urne e vasi cinerarj. Lungo la laguna, a poche miglia da Aitino trovasi il luogo ove sorgeva l'antico Equilio, fabbricato da quei di Oderzo fuggenti dalle armi di re Rotario, e il cui nome in seguito si corruppe in Esolum o Jesolo. Eretta a città vescovile, continuò tale fino al 147C, quando disabitata e distrutta, papa Paolo II soppresse quel vescovato, e lo riunì a quello di Venezia. Accresciuta dalla popolazione fuggente dai Longobardi sotto Crimoaldo, c dagli Opitergini nel GG5, Equilio divenne l'emula della vicina Eraclea, dalla quale moltissimo sofferse ncll'VIII e IX secolo. La sua floridezza ebbe campo di manifestarsi nella grande quantità di famiglie che racchiudeva, trentadue delle quali, a detta di Marco Cornaro, vennero ascritte alia nobiltà veneta : e nel numero maravigliosamente grande di chiese, contandosene 42 tutte bellissime e ricche di musaici e marmi preziosi. Sotto Pipino, liglio di Carlomagno, cominciò a risentire rovina, fmchò più tardi gli Ungari I1 incendiarono e distrussero. La vicina Venezia, che andava sempre più estendendosi, chiamò a sò gran parte delle famiglie di Equilio, le quali vennero ascritte alla nobiltà di Rialto. Equilio ebbe proprio codice, e consiglio maggiore e minore. In principio venne retta da due o tre tribuni, poscia dai gastaldi ducali; ma podestà non paro abbia avuti, porchò forse sarà stata di nessuna importanza all'epoca della loro istituzione. I cittadini dividevansi in tre classi, maggiori, mediocri e minori, a seconda della nobiltà, del censo e della condizione. Fin dai primi tempi di Jesolo si trovarono in questi luoghi moltissimi cavalli, da cui se ne dedusse il nome (equus) e gli allevatori po- ha un poemetto, ove introduce Aitino a ricordar Venezia, com'ella crescesse per le mine di esso. Quanta fui, cujus modico vestigia tradii Obrnil insani foeda mina maris, Scdibus egregi» doeeant illuslribus urbes , Oppidaque elapsa eondila multa marni. Aspice quo fastu tumeal Taurisiu pubes; Una mei germen slipitis illa fall. Muranum incolumi coelo, alque insonlibus auris, Et quod majori nomen ab orbe lui il; Qurcquo eliam cceli dicla est de nomine Turriti. Cuncla h.cc interitus sunt monumenta mei. Tu quoque mirifici coniplens miracola mundi Te regina vagi; le voco , magna soli. Disce fruì virlute Ina et felicibus orsis, Pars mea; nani toluin qua m sit inane vides, C C DISTRETTO DI SAN DONA' 383 tevano condurli a pascolare fino ai confini dell' Italia; privilegio che era cura dei dogi veneti di rinnovare àd ogni imperatore, il quale si oh* hligava o di restituire o di indennizzare quei proprietarj, ai quali fosse fuggito un cavallo od altro animale sul suo territorio; nel qual privilegio duravano fino dal secolo Vili. Di queste mandre di cavalli si trovano, a detta dei Filiasi, ricordi in documenti del 834,840, 009, 1060, 1075, 1152. Anche attualmente sussiste una razza detta marina, perchè vive in stato semiselvaggio lungo le spiagge, ed è la prima e più vecchia del distretto, probabilmente derivata da quell'antica. Gli individui ne sono fieri e quasi indomabili; ma scozzonati riescono gagliardi alle fatiche e d'una sobrietà favolosa. In Jesolo si scavò qualche iscrizione romana; nel 1837 ne venne dissotterrata una nel sito detto il Campanti sulla spiaggia di Cavazucche-rina, che sorge sull'area dell'antico Equilio, e venne portata nel seminario patriarcale di Venezia, donata dagli credi del signor Francesco Olivieri *. Il solo monumento che sussista dove venne eretto, benché a sfascio, trovasi a poca distanza da Cavazuccherina e vuoisi fosse l'antica cattedrale di Jesolo, che diam qui dietro disegnata. 4 II. vocvsivs m. i.. cresckns viv. tHC. sui. et vor.vs. veneri.*: conjvg. opriM. et. petronio vocvsiano FI Li mil. COH. Ili rit.et. I ANN. WUl m ih dier. xtix SI Q. 1ung. Ali. vender. Avt. emere avt ex. acis « CLAver. tvnc pokn. NOM. DAurr. Rai. i\ aqvh. ns \x-n delator qvart. Af.CIP. È una pietra istriana alla metri t. 20 e larga 1. 0(1; da un lato ha scolpita una patera c dall'altra un vaso; e merila attenzione quel proscriversi che il delatore avrebbe la quarta parte. Benché si sapesse che al delatore spellava tal quota (QHadruptator), pure non si conosce altra lapide che lo ricordi. Un'altra pietra antica venne scavala nelle località di Jesolo; esso è un dado sormontato da una calotta sferica, alcun poco più alla del suo raggiò, di pietra istriana. Il dado ha un lato largo metri IU, é l'altro metri O.ótf e d'altezza metri (MS e nel lato maggiore trovasi scritto: vettio Vino A. l'TNIA P. r. La seconda riga essendo coperta dal cemento era ridotta a livello della pietra, quindi non si potè leggere che levandolo leggermente. Quivi, su una pianta a forma di croce latina, s'innalzava la chiesa di stile bizantino, come mostrano gli archi a tutto sesto e rialzati, le fre- quenti nicchie circolari, la forma dell'abside, e le finestre dello braccia, le une sovraposte alle altre in tre ordini distinti e di luce eguale, corno in DISTRETTO DI SAN DONA' 585 San Marco di Venezia e finalmente la disposizione dei pulvinari che accennano alla origine di vòlte, disposte lungo le pareti parallele della navata maggiore, e che sembrano destinate a sopportare le gallerie per le donne. Gli avanzi del nartece vedonsi dinanzi del santuario, fuori della chiesa, come si sa, destinato a raccogliere i penitenti. La costruzione di questa chiesa non sembra oltrepassare il IX secolo, e dall' altezza delle mura ancora sussistenti e dalla sua ampiezza devesi argomentare la maggiore di quella città e molto probabilmente la cattedrale, che, al dir deirUghelli, era dedicata alla Vergine Maria. Dei marmi di cui doveva esser rivestita più traccia nessuna rimane, fuorché due colonnette sormontate da capitelli, ornati da graziosissimo lavoro, e poste su i due piloni angolari del presbiterio, i quali accennano alla ricchezza d'una volta. Dai ruderi ond'è sparso il suolo nell'interno si dissotterrano fusti di colonne marmoree, e basi e capitelli di varie sorta, e pezzi di pavimento a musaico; ma uno scavo regolare mai non si fece, e i continui asporti di pietre, colonne, ecc., renderebbero poco frutte-voli le ricerche che far si volessero per ritrarne qualche dilucidazione sulla storia di quei tempi. Presso a queste rovine sorge qualche pezzo di muraglia, che forse appartenne a un convento, oppure all'abitazione del clero e dei canonici; ed un poco più lunge trovansi le rovine del monastero di San Mauro o Moro. D'un'altra città antichissima trovasi spessissimo menzione, ma sul suolo non riscontrasi nemmeno la traccia; Fine, secondo il Filiasi, dovea trovarsi poco distante da Jesolo e da Eraclea sui confini dell'agro altinate coll'Opitergino, presso Musile, ed in vicinanza alla via altinate, argomentando questa situazione dal nome stesso della città, giacché i Romani solevano chiamare fine o ad finem i luoghi posti sul limite di qualche territorio. La quarta città che sorgeva in queste terre è Eraclea, città vescovile fondata nel VI secolo da Eraclio, regolo degli Asolani e Feltrini calati in questi luoghi, ed in seguito accresciuta da quei d'Oderzo. Era sette miglia distante da Jesolo, ma la vicinanza, non che valesse amore né pace, crebbe in odio e dispetto, sicché vennero all' armi e lungamente si osteggiarono, finché gli stessi Veneti distrussero quella città che fu culla del loro governo, e dove venne eletto il primo doge. Ottanta famiglie da Eraclea passarono a Malamocco a Rialto e Torcello, una volta proveniéYiti dall' Istria, e tutte ostentavano nobiltà più orgogliosa e superiore a quella delle famiglie di Caorle e d'Aquileja. Distrutta la prima Illustra:, del L. V. Vol. II. 50 volta dai Veneti, ne venne tolta la sede dei dogi ; in allora molte famiglie andarono a stabilirsi parte a Rialto e parte a Torcello; il doge Angelo Par-tecipazio suo cittadino volle riedificarla , ma in minori proporzioni di prima, e la chiamò Cittanova; ed abbenchè il doge Orso Partecipazio vi fabbricasse il suo palazzo, e Pietro Orseolo li ristaurasse le vecchie fabbriche ed il palazzo ducale, pure non impedirono che continuamente deperisse di case e d'abitanti, i quali meglio amavano ritirarsi nella Venezia, che sorgeva ricca e fiorente; così via via rovinando e spopolandosi, anche il suo vescovado venne soppresso. 11 suo territorio, dice il Filiasi, era il più esteso che Venezia possedesse, con molte selve, tra le quali il pinetiis major ove i dogi andavano a cacciare, e dal quale gli Eracleesi ritraevano pingui rendite in pelli, pigne e legnami da costruzione.e da fuoco. Eranvi inoltre praterie, orti e vigneti in copia e popolazione numerosa; e lo famiglie di schiavi, i quali sembrano sieno stati condotti secondo gli uni dagli esuli di Àquileja e Concordia e secondo altri fossero prigioni fatti ai Longobardi, vennero emancipati sotto i primi dogi, e pare sotto Ana lesto. Di tanta popolazione, di tanta ricchezza, se domandate a quei del luogo, òhe cosa vi mostreranno ? un palude. XIX, Distretto VII dì Portogruaro. composto di undici Comuni amministrativi: Annone, Caorle, Cinto, Concordia, Fossalta, Gru aro, Portogruaro, Pramaggiore, San Michele, San Stin, e Teglio, con ventisette pa-rocchic e 30,000 anime. È inoltre diviso in dieci Comuni censuarj colla rendita di lire 038,824. IO, ed ha la superficie di pertiche censuarie 593,027. 82. Il suo territorio è piuttosto argilloso, e nella parte superiore abbondante di ghiaja; le migliori zone di terra sono nelle comunità di Annone, San Stin, Concordia e San Michele. Ad oriente il Tagliamento lo divide dal Friuli col distretto di Latisana; a sud ne è confine il mare Adriatico; la Livenza io divide all'ovest dal distretto di San Dona e al nord dal distretto di San Vito. È attraversato nella sua lunghezza da tre fiumi e due canali principali : ad occidente la Livenza che proviene dal Trevisano, e al punto detto della Salute si di- vide in due rami, uno formando la Livenza vecchia, la quale si scarica in mare al porto di Santa Croce; l'altro nella direzione di levante portandosi in mare riunito ad un ramo della Livenza vecchia, che da Brian si dirige nel porto suddetto. Parallelamente alla Livenza scorre il Lemene che viene dalla parte settentrionale del distretto, ed entra in Portogruaro, dove move macine; infine si scarica nel porto di Falconerà. Questi fiumi hanno tributo da canali e scoli. Il Tagliamento nel suo corso minaccia l'esistenza di Cesarolo pel gomito che vi forma, e fin dal 1821 ruppe gli argini al Cavrato, e danneggiò grandemente la campagna con uno strato di sabbia, alto più di mezzo metro. Al riordinamento di questa porzione di territorio si posero innanzi tre progetti, uno dei quali contempla l1 immissione della rotta nel canal di Lugugnana; il secondo, la presa della rotta ed un rettifilo del Tagliamento nei gomiti tra Bragadina e Pcrtegada, forse il migliore, poiché ovviasi cosi ai pericoli nascenti dall' urto della colonna d'acqua del Tagliamento sui gomiti della riva; ed il terzo chiudendo la rotta ed arginando il Tagliamento. Tanti scoli e canali non bastano a liberare il paese dalle acque, spaglianti a capriccio delle condizioni atmosferiche. Cosi quando sovrabbondano le pioggie si gonfia la Livenza, la quale, superiormente alla rotta, corre disarginata nella sponda sinistra , trabocca sopra il territorio di Portogruaro in mezzo a campi e vigneti prendendo il nome di Boridae questa massa d'acqua, sostenuta dalla strada tra Corbolone e Loncon, cagiona rotte e disastri su quella via, e nell'agosto del 1856 la ruppe tre volte. Vennero presentati diversi progetti per ovviare questo inconveniente, e sembra si adotti quel che olire maggiori garanzie, cioè, d'arginare la Livenza anche nella sponda sinistra, togliendo così la cagione d'ogni disastro. Gli effetti delle maree si fanno sentire molto addentro del territorio, e fino in Portogruaro, avendosi colà un rigurgito di centimetri 12 in 13 dalla bassa all'alta marea; dove poi l'acqua diventa meschizza, l'aria si peggiora a danno della salute degli abitanti, ed in certe posizioni le febbri dominano con intensità spaventosa, specialmente d' autunno. Onde separare assolutamente le due acque, venne proposto d'intestare la Livenza vecchia a Brian, e praticarvi un manufatto a sostegno con porte, e per quello versare tutte le acque comprese tra la Piave e la Livenza; lavoro utilissimo e che nello stesso tempo gioverebbe per la navigazione. I porti formati dalla Livenza, dal Lemene e dal Tagliamento potevano per l'addietro servire a barche di piccola portata, ma vanno continuamente interrandosi: quando si progettò la navigazione a vapore lungo il Lemene fino a Portogruaro, l'interrimento del porto di Falconerà l'impedì. DISTRETTO DI PORTOGRUARO 389 Altri porti antichi, come quelli di Ottonea, Settimo e Oderzo, che formavano le tre foci della Livenza, vennero interrati dopo P intestatura della Livenza alla Salute: operazione ordinata dai Veneziani nel secolo XV, onde liberare le lagune dalle torbide di quel fiume. Il distretto si dedica assolutamente all'agricoltura, ma la maggior parte dei proprietarj o dei coltivatori si contenta ai prodotti dei quali più è prodigo il suolo, senza cercare tutti quei vantaggi che oltengonsi da qualche coltivatore più avveduto. Se però guardiamo quello che era anche solo un quindici anni fa, vi dovremo riconoscere un grande miglioramento nelle campagne, coltivata quantità di terreno che prima rimaneva sterile, ed un miglior sviluppo stradale. Per ottenere ciò si dovette lottare colla difficoltà di anni, non sempre propizj agli onesti inlraprondimenti della popolazione agricola, e colla posizione topografica, per la quale riesce quasi separato dai maggiori centri industriali. Ad ovviare quest'inconveniente fu duopo prima di tutto aprire un corto numero di strade carrozzabili, merco le quali potersi mettere in facile rapporto con tutti i capoluoghi dei distretti circonvicini. Di tutto il territorio, la parte superiore ò la meglio provveduta di strade, manca però un'opportuna ramificazione, occorrendo lunghi giri per arrivare in punti, che, seguendo la corda, sarebbero di gran vicinanza. Queste strade sono mantenute parte in ghiaja e parte in sabbia, le secondarie vengono poc'a poco migliorate. Lo spirito dei possidenti più illuminati tende continuamente a togliere gli ostacoli; intanto si pensa ad asciugare i terreni, soggetti a continue allagazioni, e a smaltire le acque. Nella parte più bassa del distretto confinante col mare, si praticarono i maggiori lavori di bonificazione e si formarono risaje, genere di coltivazione a preferenza abbracciato nella nostra provincia. Nei tempi passati lo spirito commerciale era più manifestamente esclusivo di una classe di persone, che ne ritraevano sostentamento; e veniva mantenuto vivo dai privilegi conferiti dalla repubblica. Quando nel 1410 pervenne al dominio veneto, il distretto ottenne, oltre le conferme degli antichi privilegi appartenenti ai vescovi di Concordia, anche quello che tutte le merci che transitavano pel distretto provenienti dalla Germania passassero per Portogruaro. Da ciò il territorio riconosceva la sua prosperità, nè si curava d'altro che di mantenerlo, incontrando all'occorrenza liti e fastidj colla possente famiglia dei Manin, patrizia veneta, la quale, avendo una ricca possessione a Passeriano, che tuttora ammirasi, e pensando abbellirla, stabili raccorre in un solo canale le sparse acque dei dintorni, renderlo navigabile alle merci che transitavano dalla Germania, e condurle a Venezia. Quei di Portogruaro ricorsero a Venezia, ed ottennero fosse sospeso il progettato canale, e non venissero molestati nel godimento dei loro diritti. Per ciò tanta parte della popolazione de-dicavasi al commercio, ma questi individui non potevano riconoscere in esso un mezzo d'arricchire sè stessi ed il proprio paese, ma solo di procacciarsi un pane per la giornata: cosicché quando questo fosse mancato, molti di essi resterebber privi di vitto ed inetti ad altro lavoro. E così accadde. Cessati i privilegi, il commercio scelse la via che al suo utile più s'addiceva e non alle altrui esigenze; le migliori condizioni, le più opportune strade fecero che Portogruaro non ritenne del suo commercio che la memoria. Allora si ridusse inoperosa tutta quella gente non poca, che viveva sulla dogana, nel trasporto, carico e scarico delle merci e sugli uffizj ; il paese stesso ne risenti. Mancato il principale elemento della prosperità, si conobbe che altro partito non restava che utilizzare le ricchezze del suolo; ma molti ostacoli metteano e le cose e gli uomini. Le strade mancavano, le acque correvano qua e là, le paludi alteravano l'aria, gli uomini poltrivano. La popolazione povera del distretto, e specialmente quella di Portogruaro e delle terre prossime alla marina, ò piuttosto restia al lavoro della campagna e alle professioni manuali ; e classificali alla sua foggia i varj generi di lavoro, vi annette una certa importanza gerarchica, fin a tenersi degradata dall'abbandonare una per un'altra classe. Non è a dire che siano schivi della fatica, ma amano un lavoro, e sprezzano un altro. Ognuno che per poco conosca i marinaj della nostra costa , potrà testimoniare quanto duro sia il maneggiar il remo per lungo tempo. Se in generale la vita del marinajo, oltre essere faticosa, porla anche privazioni e noja, quella del marinajo del nostro litorale e della laguna supera in asprezza di gran lunga quella del marinajo d'alto mare. Costretto il più delle volte a lottare colla contrarietà dell'onde e del vento, sfida le prime, ed al secondo oppone la forza delle sue braccia e l'ardimento dell'animo suo. In allora , afferrato il remo, voga instancabile per ore ed ore intere, resistendo intrepido al soffiar impetuoso del vento ed alle onde che, accavallandosi , urtano e sommovono la barca. Rade volte desiste dall'impresa; qualche volta vi lascia la vita, ma quasi sempre ottiene la vittoria; e quanto abbia sofferto e faticato nel sospingere la greve barca, lo dica chiunque, noi giorni di pubblica allegrezza o di privato diletto, abbia scorso in leggera gondoletta il canale di Venezia, seguitando la regata, o temperando col zcflìro vespertino V afa di una giornata d'agosto. E queste cose voglionsi dire perchè sicno conosciute anche da quelli che vivono una spanna lontano da noi, affinchè vogliasi smettere il mal vezzo di ritenere la classe povera di queste lagune quale genia d'apatici e di poltroni, e si riconosca che non tutta in essi sta la ragione del DISTRETTO DI PORTORUARO 391 trovarsi in una condizione, che se è al disotto dalle migliori, sta però sulla via d'arrivarvi. Sgraziatamente dunque si ritenne il barcajuolo esser più nobile del contadino; e quando mancarono i mezzi di dedicarsi a quel mestiere e di ricavare da esso Io scarso cibo per se e per la propria famiglia, la miseria entrò in casa, e vi si assise da padrona. E ce no volle a persuadere quella gente, che, cangiati i tempi, dovevano cangiare anco le loro condizioni; ritennero sempre un1 indicibile avversione a tutto ciò che non fosse barca o facchinaggio : sol da qualche tempo vassi diminuendo questo pregiudizio, e maggior quantità di braccia si applica al lavoro dei campi, togliendo alla miseria molte famiglie, e crescendone la morale e l'utile del paese. Dopo ciò l'agricoltura procedette a gran passi, favorita dall'ubertà del suolo. Questo produce in varie specialità il frumento ed il frumentone, il riso, il vino, tutto di buona qualità ed abbondante. Il frumento, che noi 1847 avea dato 13,529 ettolitri, nel 1857 ne diode 23,328; e prendemmo l'anno 1847 per confronto, siccome quello che offri la maggior somiglianza di variazioni atmosferiche; il frumentone, che in detto anno diede 33,821 ettolitri, nel 1857 si accrebbe di circa il 20 per cento, arrivando a 40,339 ettolitri. Quasi si duplicò il prodotto dei bozzoli, che, se nel 1847 era stato di 246,400 chilog., nello scorso anno giunse a 399,840. I bozzoli vengono a preferenza venduti anziché iìlati, e per circa due terzi in Lombardia, e pel rimanente nel vicino Friuli. Fino dal 1681 si fece ordine dai giurati di Portogruaro che tutte le gallette che si vendevano, dovessero essere pesate da un pubblico pesatore, il quale doveva tener apposito registro della quantità, col nome del venditore e del compratore, ed informarne uno dei giurati del popolo, sotto pena di 25 ducati. Allettali dal prospero successo, i possidenti fecero moltissime piantagioni di gelsi, e chiunque tenga una piccola partita di bachi vuole possedere anche foglia sufficiente pel loro allevamento; si stabilirono pian-tonaje ed ogni coltivatore si sforza dietro ai miglioramenti. Dopo la divisiono dei beni comunali s'allarga la coltivazione delle ri-saje, dapprima ristrette ad Alvisopoli, ora estese, ma non al punto da garantir un utile certo al proprietario. La distribuzione delle acque non viene fatta adequatamente, e molte risaje soffrono della mancanza di questo elemento, meno quelle d'Alvisopoli sistemate regolarmente: rimediato a questo danno, non avrassi a dubitare d'esito prospero. Questa coltivazione abbonda ne'Comuni di Caorlo, San Michele e Concordia, e nello scorso anno, abbenchè non felice, produsse 6764 ettolitri. Il vino è generalmente buono, ma avanza in qualità nei Comuni di Cinto e San Michele, e nelle frazioni di Mazzolada e Lugugnana; ò più che sufficiente ai bisogni del distretto nelle annate medie. Nel 1847 se ne produsse 31,477 ettolitri, ma nello scorso anno soltanto 1346 ettolitri. I prati somministrano foraggio che basta alla consumazione, su 65,000 pertiche censuarie raccogliendosene 14 milioni di chilogrammi. I boschi occupano 195,575 pertiche censuarie nei Comuni di Concordia, Cinto e Pra-maggiore, ed appartengono ai privali, meno quello di San Stin che è regio, e quello di Mazzolada che è del Comune di Portogruaro. II bestiame non lascia troppo a desiderare, ed è più che sufficiente poi bisogni del distretto, nel quale conlansi per 2780 animali bovini. La qualità buona dei pascoli e dei foraggi ne rende le carni gustose. La città di Portogruaro sta nella parte superiore del distretto, su terreno alcun poco elevato, sicché non va mai soggetta ad innondazioni, atteso anche il placido corso dei fiumi e canali del suo territorio. 11 Le-mene, l'antico Romatino, la divide in due porzioni quasi eguali, e di più la circonda per un perimetro segnato dal girone delle mura; oltre la qual cinta, e nella direzione delle cinque sue porte, cominciano altrettanti sobborghi. Le quattro porte (la quinta venne atterrata), avanzi delle vecchie fortificazioni, sono quadrate con fori a sesto acuto; sul davanti hanno un ponte, altre volte ili legno, ora di buona costruzione laterizia, il quale accavalcia la fossa. Questa città ebbe origine nel 1140 da negozianti, i quali si fabbricarono alcune case, e sul Lemene vi conducevano barche cariche di merci, formandone cosi un porto. Il vescovo Gervino investi questi negozianti di certe terre al ponte di Covra, comprese tra il fiume Lemene e il ponte di Gradizzara fino a Villanova, riservando per sé e suoi successori per ventinove anni un censo, a seconda della condizione degli abitanti; se cioè erano massari o negozianti, dovevano un verdone d'argento, che equivaleva a quattro ducati di piccoli per testa; se semplici abitanti, quattro marcuzzi di denari veneti, e una multa di cinque libbre optimi auri nel caso che il vescovo od i suoi successori mancassero ai patti stabiliti, oppure se i negozianti abbandonassero il luogo avanti il tempo stabilito. Questo alto venne fatto e sottoscritto neir atrio della chiesa di Santa Maria di Gruaro al 10 gennajo del 1140 indizione seconda. Portogruaro (non sappiamo perchè nominalo così), crebbe sempre più d'importanza, e tirò dentro le mura varie e possenti famiglie dei castelli circonvicini. Si governò come tutti i Comuni italiani di quell' epoca. I vescovi di Concordia ne vennero investiti dai patriarchi di Aquileja e come i vescovi riconoscevano i patriarchi in superiorità, così quei di Portogruaro si erano sottomessi alla giurisdizione dei vescovi di Concordia DISTRETTO DI PORTOGRUARO 395 Concordia sì per lo spirituale che pel temporale, e riceveva e dava reciprocamente giuramenti di fedeltà al Comune. Pel temporale, il dominio del vescovo si divideva nelle quattro gastaldie di Concordia, di Portogruaro, di Cordovado e Medun , in ciascuna dello quali si eleggeva un gastaldo : un gastaldione generali; soprainlendova alle quattro gastaldie. Questa d i visiono venne fatta per ordine del vescovo Guido nel 1339, e si stabilivano con essa tutti i diritti, le giurisdizioni e rendite del vescovato di Concordia. Se il gastaldione proposto dal vescovo non aggradiva ai portolani, questi a loro spesa potevano eleggerne un altro, il quale doveva prestare giuramento di esercitare lealmente il suo uflizio, e riceveva dal vescovo la conferma. Inoltre avevano i vescovi il diritto d' avocazia, per il quale spettavano ad essi tutte lo tasse che si riscotessero per condanne, le quali ascendevano a venti o trenta lire, e sullo quali dava un pranzo ai dieci giudici. Di più avevano diritto di riscuotere il così detto dazio della muda, che valutavasi a 700 lire di piccoli, risultanti da gabelle che le merci pagavano nel transito pel Lemene : al quale scopo si teneva un gabelliere ed una catena tesa su quel tiume, conservatasi tino al cadere della repubblica, quando venne istituita la dogana o fondaco in Portogruaro , od il dazio fece parte di una delle quattro categorie, in cui si dividevano i diritti di quella dogana. Il primo vescovo che ne ebbe la investitura fu Alberto di Colle nel 1205, dalle mani del patriarca Gregorio di Montelozzo, mediante 1500 liro. Sotto i vescovi di Concordia, Portogruaro crebbe in possanza, e la l'orma del suo governo venne consolidata e regolata, mediante uno statuto compilato nel 1300. Da principio veniva retto da due consoli annuali, e sotto i vescovi si istituì anche un consiglio, scelto fra i nobili e più distinti cittadini; in seguito venne aggiunto anche il podestà, il quale poteva esser rifiutato, come avvenne nel 1318 ai 10 giugno quando, per volontà del consiglio e dei consoli della terra di Portogruaro, si revocò reiezione fatta a podestà di Enrico conte di Gorizia e del Tirolo. Questo governo raodifi-cossi in appresso o per vicende politiche o per pubbliche calamità; così nel 1628 Domenico Ruggini lo riordinò portando il consiglio da ventuno a trentadue cittadini, che dovevano prestare il giuramento nelle mani del podestà. Di più vi vennero aggregati otto popolani , fra cui i quattro capi dei quartieri di San Francesco, San Giovanni, Sant'Agnese e San Nicolò. Dei due sindaci, uno ora popolano, e poteva pervenire ad ogni carica, meno quella di giudice; avevano poi il singolare mandato di opporsi a tutte le parti che venivano proposto in consiglio, ondo dalla discussione ne risultassero gP inconvenienti, e si potesse così ponderare il prò ed il contro. Dopo la pestilenza del 1630, Marin Sanudo emise diverse ordinanze perla organizzazione dei governo della città (1634), e tra lUìiSlraz. del L V. Vol. II. lil le altre stabili che nessun cittadino potesse entrare nel consiglio in età minore dei venti anni, e che inoltre fosse figlio legittimo: nè venire eletto giudice o sindaco prima dei 25 anni. Posto sotto la prolezione dei patriarchi d'Aquileja, Portogruaro seguitò le vicende di quei prelati tanto nelle guerre che essi sostennero, quanto nelle decisioni delle sue differenze civili, e molte volte ricorse ad essi per le questioni tra il Comune ed i vescovi di Concordia, come troviamo in una sentenza data nel 1321 ai 12 di gennajo dal patriarca Pagano eletto ad arbitro. Fra le guerre ed assalti che dovette sostenere vuoisi menzionare quello di Buonacorso do'Bardi fiorentino quando nel 1361 assaltò e prese la città: ma accorso in difesa il patriarca Marquardo la liberò, ed in questa occasione venne eretto il castello. Nel 1381 fu sottoposto a ben più dure e lunghe prove in occasiono delle contese fra i due patriarchi (Vidi pag. 41); e gli Udinesi e quelli di Carrara più volte assalsero Portogruaro. Questo, benché molto dovesse ai patriarchi, tentò varie volte di darsi alla repubblica di Venezia, colla quale era legato mediante patti e trattati di commercio, sicché lino dal XIV secolo essa vi teneva un visdomino o console; ma nel 1333 con decreto del senato veneto venne respinta la proposta di dedizione fatta dai Portolani al governo di Venezia; un simile rifiuto ebbe nel 1419 ai 22 febbrajo, rimandandone gli ambasciatori: e parimente si rifiutò ai 30 marzo 1410 una simile proposta fatta secretamente dal patriarca di Aquileja, al giorno appresso stabilendo le condizioni di questa accettazione. Tutti questi rifiuti vennero motivati dai patti, coi quali si sottometteva la tenra di Portogruaro, i quali non confacevano allo viste del governo di Venezia, che desiderava averla a suo modo, poiché con decreto 8 novembre 1412, si autorizzava certo Andrea Borsa ad intraprendere un suo progetto per impadronirsi di Portogruaro, somministrandogli una somma da portarsi fino ai 3000 ducati, e da 20 a 40 lancio. Finalmente ai 9 febbrajo del 1420 venne presa la deliberazione di accettarli nella grazia del dominio veneto, alle condizioni colle quali venne accolto il Comune di Murano; i capitoli di questa dedizione vennero discussi nel 25 maggio dello stesso anno, e definitivamente deliberati coli'atto 29 maggio: avendo da questi conferma e garanzia dei suoi diritti e privilegi antichi, sì nella amministrazione civile come nel commercio. Sotto questo dominio si mantenne fino alla caduta di esso, e avvantaggiò nelle condizioni economiche , e nelP abbellimento materiale; nel 1473 venne fortificalo con fossa e cinque torri per metterlo al sicuro dai Turchi, e le spese ne vennero in parte sostenute con una tassa di cinquanta lire, sborsate da ogni cittadino eletto nel consiglio. Portogruaro negli ultimi tempi della repubblica concorse con DISTRETTO DI PORTOGRUARO 395 amore e generosità in soccorso di Venezia, mandandole rilevanti somme. Or mettiamoci nel suo mezzo, in piazza. A fianco a questa e parallelamente al corso del Lemene, va la via maggiore, e di fronte il palazzo municipale, che secondo il Nicoletti, sarebbe fabbricato nel 1265. È più antica la parte centrale; le ali vennero aggiunte quando, reso inabitabile il palazzo del podestà, si pensò di trasportarne V abitazione in altro palazzo. L'edilìzio è coronato da una merlatura ghibellina, la quale seguita l'andamento della fabbrica acuminata nel mezzo; una scala di pietra in due rampe, sul dinanzi del fabbricato, porta alla sala. Sotto questa hanvi le prigioni. La porzione decorata con istile gotico nella parte destra è una aggiunta di mano inesperta negli ultimi anni. Lateralmente al palazzo formano ala alla piazza varj fabbricati e negozj, e rimpetto ad esso è un'antenna per lo stendardo, posta in questi ultimi tempi. La chiesa concattedrale di Sant' Andrea, vuoisi fare risalire fino alla fondazione della città. Avanti ne era una a sesto acuto; e minacciando rovina, venne riedificata sotto il vescovato di G. M. Bressa e terminata sotto quello di Carlo Fontanini nel 1832. È vasta, elevata di quattro gradini, a croce latina; colla navata centrale sostenuta da pilastri corintj. Vi si ammira un Cristo apparso ai discepoli, dal Cima di Concgliano eseguito nel 1564. Nelle cantorie dell' organo sono cinque quadretti del Pomponio Amalteo, e dietro l'altare quadri di maggiori dimensioni, uno dei quali trovasi in restauro del Fabris e l'altro rappresenta la conversione di san Paolo: uno di Antonio Carneo rappresenta san Rocco e san Sebastiano colla Beata Vergine in alto, fatto nel 1631 in seguito alla peste, uno la Resurrezione, del Palma il Giovane. Dall'altra sponda del Lemene trovasi il vescovado, e dirimpetto ad esso il seminario, fondato dal vescovo Paolo Valaresi e arricchito di biblioteca, accresciuta poi dai libri del dottor Paolo Bevilacqua arciprete d'Azzano, di Valentino Zucchi di Pordenone, del vescovo Bressa e di Valentino Pelleati. La fabbrica venne leste ampliata sopra disegno dell' ingegnere Giovanni Battista Bassi di Pordenone. Ebbe nello scorso anno settantatrè convittori, dei quali quarantatre erano chcrichi od aspiranti, e vontinove secolari; dei primi ventidue studenti di teologia. A suo uso serve la chiesa di San Luigi, nella quale trovasi un affresco di Pomponio Amalteo. Per stabilimenti di beneficenza Porlogruaro non mostrasi da mono delle altre. Circondata da luoghi bassi e paludosi, ha il distretto funestato da malattie, onde bisognano maggiori soccorsi igienici, i quali, ove venissero portati sul luogo, molte volte lontano dai centri maggiori, e sempre sotto aria deleterica, riuscirebbero di poco o nessun giovamento al povero ma- lato. Di più la povertà predomina in quella regione, ed il malato coi proprj mezzi non potrebbe sopperire agli urgenti bisogni del suo stato. Perciò fu santissima e pia l'idèa di erigore un ospedale ove potessero ricorrere i sofferenti per ristoro e rimedio. E fino dal 1228 Federico dei conti di Praia « Porcia, vescovo di Concordia, concosse alcune case in fondo al borgo di San Giovanni lungo un ramo del Lemene, per un ospitalo, di San Lasero, e lo dichiarò esento da ogni gravezza. Venne unito nel 1440 ai due di San Marco o di San Giuliano; e così ampliato, non solo dava ricovero a chi fosso maialo, ma anche ai pellegrini, ai quali veniva somministrato per tre giorni villo ed alloggio; inoltre vi si raccoglievano i gettatelli. Nel 185G fu fatto il ristauro e quasi riedifìcamenlo del pio ospizio ; il paese non s'arretrò all'annunzio della somma necessaria, e le cento mila lire spesovi torneranno in benedizioni dalla bocca del misero. Or racchiude con più proprietà un maggior numero d'informi, cioè per la media cinquanta; de'quali dodici vengono mantenuti a spese del Comune di Porlogruaro, e per gli altri i rispettivi Comuni devono pagare lire 1. 50 al giorno per malato. Per legati e fondi proprj, l'ospedale ha una rendita di seimilaseltecento lire, colle quali prevedo alle spese della propria amministrazione e dell'andamento. Otto suore di carità disimpegnano le funzioni degli infermieri; così dapertUtto uve c'è sofferenza, troviamo questi angoli di consolazione, sia sui campi di battaglia fra il tonar delle artiglierie, sia presso al letto d'uno spedale, tra il sommesso recitar delle preghiere, nel mentre la malignità e più la leggerezza dogli uomini lo fa soggetto dei suoi sarcasmi oltraggiosi Una volta il banco dogli Ebrei teneva luogo dogli odierni Monti di Pietà, e d' uno di questi era proveduto anche Porlogruaro, mercè delle sollecite promure commerciali di questi industri figliuoli di Agar: ma sembra non si contentassero «lei sei per cento. Perciò, onde togliere l'usura, il luogotenente generale della repubblica veneta, addì 29 dicembre 17(W, l'abolì, sostituendovi un Monte di Pietà, che d'allora in poi si mantenne costantemente, sopperendo ai bisogni del povero ed alla propria ammini- i Vicino all'ospitale avvi la ili io no la di San Giovanni, nella quale leggeri in caratteri dell' epoca. « itcccvtfi di xv marso fo comenzada questa sac. giesia a onor de Dio e della Ver-- (ine Maria e del lieain Apostolo Evangelista Misei' se. Ziiané per lo discreto e onorado ■■ ser /.nane dito Galdial in tempo delo veueralielo signor miser Guido la DÌO gracia ve-« schòvo di CoRcliordiu per lo quid con soa lesenzia eia fo ratta e de soa propria man el • mesac la prima pera e dali de indnlgenzia xi, di lo dito Zuane a fato far e indotar de • soi propri beni questa santa giesia. Tulli prego F>io per tu. • Ridotta in cattivo stato per vetustà, venne nel i74S ristaurata. per cura del priore dei servi Filippo Maria Donadoni. DISTRETTO DI PORTOGRUARO 397 strazione; giacché, eccetto un meschinissimo legato, provvede a sé stesso di tutto. La cifra delle sovvenzioni fatte da questo pio stabilimento manliensi quasi costante per tutti gli anni, col divario di una o duo migliaja di lire: prova che i bisogni nella popolazione si mantengono pure eguali anche nelle grandi vicissitudini commerciali o agricole. Cosi noi 1857 ammontarono Ì pegni a lir 92,014; nel 1853, quando per le malattie e per la crittogama crebber lo spese diminuendo i proventi, raggiunse il massimo di tutto l'ultimo ventennio, cioè lire 98,890. Nel 1855, ab-benchò il male della vigna tanto disastrosamente influisse su tutta la popolazione della nostra campagna, pure l'importo dei pegni fu di lire 95,624; solo nel 1848, per essere stato accresciuto ed intrapreso maggior numero di lavori dai Comuni, i pegni diminuirono di oltre diecimila lire, mentre nel 1849, cessati questi lavori, la somma dei pegni risali a lire 93,682. Ciò varrebbe a dimostrare rutilila che in questi distretti venisse introdotta qualche industria, in cui impiegare tante braccia , che stanno inerti perchè inabili, o schivi d'applicarsi ai lavori della campagna. Soddisfatto agli obblighi verso P indigente, il divertimento e P onesto passatempo ristorano il corpo e rallegrano lo spirito non solo, ma rendono gioviali e facili; e col buon umore danno anche il buon cuore. Perciò in Porlogruaro si pensò alla banda civica, dolcino di cui nessun capodistrelto vuol esser privo; e (ino dal 1787 s'eresse un teatro che allora aveva soltanto tre ordini di palchi, e venne inaugurato da una società di dilettanti del paese, della quale facevan parte le migliori e più cospicue famiglie. L'attuale, opera dell'architetto Meduna, ha quattro ordini di palchetti, elegantemente addobbati e disposti secondo le costumanze dello nostre città maggiori. Per raccogliere tulle le merci che, o per terra o per acqua, si concentravano in questa città, onde poi, caricate su barche maggiori, essere inoltrale tino a Venezia, si rese necessario un fondaco, e tino dal 1440 venne eretto a spese del Comune, dietro diploma 26 marzo del doge Francesco Foscari; e per decreto del 5 luglio 1448, tutte le merci provenienti si dalla Germania che da qualunque parte del territorio dovevano entrare in quella dogana ». 5 Noi 14'29, cioè nove unni dopo che questo territorio pervenne al dominio veneto, una ducale stabiliva, che tulio il ferro della Germania che era diretto a Venezia, dovesse essere condotto per Porlogruaro, onde, a mc/./o ili tali privilegi, mantenere vivo il commercio nel paese, e procurare sussistenza a (lucila popolazione povera. Questo privilegio venne ripetuto nel IBM, quando venne esleso a tutte le merci della Germania e allungandone anche l'itinerario, facendolo passare per Codroipo, San Vilo e Porlogruaro. Il governo veneto ebbe sempre a cura il buon andamento di questo ufficio ; e a togliere gli abusi cui, in quei tempi, come anco in adesso, incorrevano i barcaruoli nei nauli, stabili una tariffa, la quale, scolpita in pietra, sopravisse alla sanzione, e ancor si legge nella parete di quello stabilimento. I generi che maggiormente figuravano eran le lane, i cotoni, i coloniali, i vini ; e i dazj che pagavansi ascendevano a circa tremila ducati all'anno; la qual somma costituiva il principale reddito del Comune 3. Portogruaro racchiude qualche palazzo privato di lodevole artistica esecuzione; di moltissime case le pareti dipinte a froschi dimostrano come nei tempi passati questa decorazione non istesse soltanto neh' interno delle abitazioni. Gran danno ad essi fu arrecato dal tempo e dagli uomini, distruttori che camminano del pari quando i secondi non avanzino il primo. E il bisogno di continui ristami, vale a dire storpiature, oppure la necessità di restringere un foro di finestra, o di aprirne un altro per le esigenze d'un gusto moderno, fecero che, alla tinta dell'artista subentrasse la calcina del muratore, e che tra l'architetto e 1' artigiano moderno perissero il pensiero e le decorazioni della fabbrica antica. Resistetter alquanto di più l'opere dello scalpello e ne rimangono tre o quattro fabbricati d'architettura lombardesca, abbastanza ben condotta, tra cui va distinto quello del conte Persico, opera di Guglielmo Bergamasco. Rimase incompleta l'esecuzione, e come piace la giusta proporzione tra le parti delle colonne doriche e degli intercolunnj del pian terreno, abbenche costrutte sotto angolo, per la quale l'occhio riposasi sull' insieme e vi ritrova un' armonia nel tutto, cosi quella trabeazione dalla quale nascono gli archi della loggia nel primo piano, e che trovasi limitata al solo capitello delle colonne, lascia qualcosa a desiderare. Il colonnato, che doveva ricorrere lungo tutto il primo piano, viene tronco dopo sei o sette intercolunnj, da un pezzo di fabbrica aggiuntovi. 3 II dazio venne diviso in quattro categorie: della Muda, del Fondaco, del Ponla-sego e di Bastaseria. Il primo consisteva in venti soldi che dovevano venire pagati da ogni negoziante che vi metteva le sue merci, indipendentemente dal numero dei colli che aveva; benefizio dei vescovi, e sostituiva quello che risedevano dal passaggio delle barche sul Lemenc. 11 secondo veniva riscosso a titolo di custodia delle merci nel fondaco. Quello di bastaseria serviva pel facchinaggio, carico e scarico, e pella manutenzione del-Vingegno, specie di gru. Il pontasego serviva per la manutenzione dei ponti e per la riat-tazione delle strade carreggiabili. Queste tre ultime categorie o divisioni del dazio che si riscuoteva in dogana, venivano ricevute dal Comune, del quale formavano una delle principali entrate, mantenendo con esso il lavoro a molti opera], ed impiegandone in opere di pubblica utilità, dimodoché della cessazione di questo provento ne risenti non poco il Comune tutto, e più specialmente quella classe di popolazione che da esso ritraeva l'unico nutrimento. DISTRETTO DI PORTO GRUARO 399 Dentro le case non cerchiamo biblioteche, musei, pinacoteche vaste e numerose, ma contentiamoci di ammirare le sollecite cure ed intelligenti di radunare quello che può connettersi colla storia del natio loco. Una raccolta di monete ed incisioni antiche trovasi in casa Maschiétti. Mano mano che nella vicina Concordia si dissotterasse qualche moneta, qualche pezzo di romana costruzione, o qualche lapide, il canonico Muschietti cercava riunirle nella propria abitazione, non badando a disagi nò a spese. E cosi ebbe lapidi, vasi cinerarj e monete di varie epoche, quasi completando la serie degli imperatori romani, col proposito che le monete fosser tutte dissotterrate nelle terre di Concordia; ne possiede in oro ed argento, tutti in esemplari a fior di conio. Merita maggior attenzione il lapidario, con iscrizioni che ricordano o gli onori attribuiti a magistrati e personaggi, o memorie di seppelliti, delle quali altre limitansi a un solo individuo, altre appartengono alla storia, come la seguente ov1 è menzione di Julia Concordia, siccome venne chiamata da Cesare, in memoria della armonia fra i triumviri di cui faceva parte: M. ARMONIO M. L. ASTVRAE PATRONO. SEX. VIR. FORO CORNELL ET. SEX. VIR IVLIA. CONCORDIA M. ARMONIO. M. L. AVCTO OPPONAI. C. I». TERTIAI M. ARMON1VS. C. L. SALVIVS SEX. V1R. IVLIA. CONCORDIA TESTAMENTO. FIERI. IVSSIT Un' altra lapide venne nel 1852 scoperta in Concordia da Luigi Jacopo Cicogna, da lungo tempo abbandonata al suolo, e priva della parte superiore dove stava il nome d'illustre personaggio : ed ha importanza grande per la storia, giacché si riferisce all' istituzione dei giudici pupillari, e ne ricorda il primo mandato nella Italia transpadana. I pezzi che mancavano vennero ripescati nel vicino fiume per cura del Cicogna, ed uniti provarono vero il supposto dallo Zumpt ed altri chiarissimi archeologi *. 4 Avanti che venisse completala, ne fu spedila copia a Giovanni Labus ed al Borghesi, il quale ne diede un' eruditissima dissertazione a pag. IH8 e 22 degli Annali di Corrispondenza Archeologica, e suppose quello che in seguito venne provalo, cioè che doveva essere in onore di Arrio Antonino; nella qual supposizione coincise con Augusto Guglielmo Zumpt, il quale la fece soggetto di uno studio che pubblicò nel vol li. Com-mentalionum epigra phicarum ad antiquitales romanas pertinentium. Berolini lHb4 in-4. 400 STORIA DI VENEZIA Ora sta in casa Maschietti ed il canonico Giovanni ne stese un' illustrazione, stampata nel 1852 in Porlogruaro, col titolo: Sopra antica lapide onoraria Romano-Concordiale inedita. Eccola colle scorrezioni provenienti dair imperizia dell'artefice che la scolpi, il quale non seppe opportunamente calcolare lo spazio necessario, e quindi fu costretto a variare la grandezza delle lettere, non solo delle varie linee, ma perfino nell'istessa parola, altre posponendone e mutilandone; infine sbagliando nelle regole grammaticali come nell'ultima parola, ove, in luogo di lahori, dovrebbesi leggere labore». . ARMO . . QVIR . ANTO NINO . PRAEF AERAR!! SATVRNI IVRIDICO PER ITALIA M RE GIONIS TRANSPADANAE PRI MG . FRATRI . ARVALI . PRAETORI CVI . PRIMO . IVRISDICTIO PVPILLA RIS A SANCTISSIMIS . IMP . MANDATA EST . AEDI L . CUR . AR ACTIS SENATVS . SE VIRO . E Q V EST R1 V M . TVRMAR TRIBVNo LATICLAVIO LEG . TTlì . SCVTII1CAE . IHÌ VIRO . V I AR V M C V R A N D A R . Q V l PRO VIDE N TI A MAXIMOR . I M P E R A T . MIS SUS . VRGENTIS . ANNONAE . DIFICVLI TA T E S . IVVIT ET.COSVLVIT SECVRI TATI . FVNDATIS . REIP . OPIBUSORDo C O N C O R D I E N S I V M . PATRONO O P T OB I N N O C E N TIA M . ET LABORI \ 1 L' istituzione della detta pretura pupillare per autorità di Giulio Capitolino, si sa che fu opera di M. Aurelio, il quale divise questa carica dallo altre funzioni del consolato onde venisse più opportunamente e amorosamente trattata, mediante un apposito magistrato. PORTOGRUARO 401 Anticamente quest'iscrizione dovea far pari; d'un monumento, fosse statua od altro; ora è un parallelepipedo roti angolo di pietra d'Istria lungo metri 1.45, largo 0. 85 e grosso 0.31. Forse il resto del monumento sarà stato impiegato in qualche fondazione murale, nel qual ufficio rinvengonsi tratto tratto delle antiche epigrafi; ed una trovasi in questo lapidario, la (piale sombra fosse pressoché cubica, su due delle sue faccio portando scolpito due iscrizioni, e sulle opposte due ornati a rilievo. Abbisognando decorare un tabernacolo ad altare, si segarono questi due ornati, gettando lo due iscrizioni, che dalle peche lettere rimaste nella grossezza della pietra paro ricordassero qualche giuoco. Più vasta se non più importante ò la raccolta di monete antiche del Varò, non limitata a quello rinvenuto -sul luogo. Ce n' ha molte di consolari, e più d'imperiali, tra cui varj Pertinaci ed altro rare; e anche di moderne sino a Francesco II: inoltro la serio dolio monete veneto, cominciando dai tribuni di Rialto, Torcello, Eraclea, Grado e Mala-mocco, anche in più esemplari; un furto costrinse il proprietario a rinnovare la serie delie monete venete, ma più non rifece quella delle napoleoniche. Notevoli sono lo medaglie d1 illustri veneti, e completa la serio di quelle della famiglia Barbarigo ; e una raccolta di quelle degli uomini illustri di tutte le nazioni; tra le quali un medaglione di Innocenzio II del diametro di m. 0. 18 di perfetta esecuzione :|. lì A Pnrtogruaro cbbOF la rulla ingegni bizzarri. Colin? Raimondo Lidio aveva in ventato un'arte di ragionare, cosi Camillo Delmino volle inventare una meccanica di scriver bene. Dopo pubblicate varie opere retoriche, diceva a chi il volesse e a chi noi volesse ascoltare, di aver P Idèa d'un (calvo, nel quale entrerebbero tulli gli oggetti possibili , lutti i concetti umani, e quanlo spella alle scienze, all'eloquenza, all'arti belle e mecca-niche. Dal conte Giulio Rangoue suo protettore menato in Francia, spiegò il suo divisa* mento a Francesco l e ad altri principali, e n'ebbe in clono seicento scudi, ma non effe-luò mai la sua idea; bensi voleva stamparla e dedicarla ni re, purché gli si assegnassero duemila scudi di pensione, e Francesco non islimò d'esaudirlo. Tornato in patria, il Muzio suo ammiratore lo presentò ad Alfonso d'Avalos, e quesio per cinque mattili* di seguilo 10 ascoltò esporre la generalità e i particolari di cotesto teatro, ch'era ornai la favola del mondo, e ne prese tal meraviglia , che gli assegnò quattrocento scudi di rendila , olire cinquecento pel viaggio; e volle che al Muzio dettasse l'idea. Dormivano il Muzio e Camillo nella slessa camera, e ogni mattina quello scriveva sotto dettatura , e cosi nacque 11 libro stampalo Sotto il titolo di Idea del teatro. Osceni eccessi trassero al sepolcro il Delmino di sessautacinque anni, e fu sepolto nelle Grazie a Milano: il nome di lui visse alcun tempo, le opere sue furono ristampate, e il Muzio ci descrive l'estro die sfavillava dal volto di esso quando parlava, simile a quel della Sibilla sul tripode; ina chi cercasse quell'opera sua, nel poco ove potrebbe intendere troverebbe la vanità d1 un ciarlatano e una misera di cabala, d'astrologia, di mitologia , di lutto insomma, eccello quello che il titolo promette. Bizzarro in altro modo fu Nicolò Bollimi (1770-185*2), nato da una figlia dell' illustre economista Zanoni. Balestralo dalle vicende, piantò stamperia a Brescia, poi a Padova, ad Alvisopoli, a Portogruaro, a Milano, e le animava mediante una portentosa facoltà dUoo- llluslraz. del l. V. Voi. II. *2 Lasciato l'interno della città, dirigiamoci ad osservare quanto resta dell'antica magnificenza di quella, che una volta In grande ed importante città romana, ed ora poco più ricorda che il nome. Uscendo per l'antica porta o torre di Sant'Agnese, e dirigendosi a sudest, scorgesi a mano sinistra la chiesa di questa santa, ove i Minori Osservanti stettero fino al 1769; edificata dal vescovo nissanense Pietro Fridaco nel 1490, e conserva tracce di quest'epoca, specialmente nell'abside e nel campanile. Avvi un quadro di Pomponio Amalleo, e una iscrizione che ricorda la fondazione e la consacrazione nella festività della santa titolare. Passando il Lemcne, dopo circa mille metri di strada arrivasi nella vecchia Concordia. La chiesa, antica ricostruzione dell' antica cattedrale, occupa il centro del paese, cui si aggruppano intorno le povere abitazioni «lei vescovo e dei canonici. Poche abitazioni sulle due rive del Lcmene, messe in comunicazione da un ponte levatojo, formano lutto il paese, colla piazza dove alcune lapidi e tronchi di colonna dissotterrati servono più d* inciampo che di abbellimento. Da un lato di questa innalzasi un fabbricato lombardesco per la deputazione comunale. L'origine di questa città fassi risalire ai tempi oscurissimi e si parla di Euganei, di Trojani, di popoli settentrionali, allettati dalla posizione in riva al mare. Limitiamoci a riconoscere per data della sua origine quella nella quale i Romani unirono al loro dominio la Gallia Cisalpina e la Venezia, opinione che avrà almeno un po'di probabilità, giacché, considerando la posizione d' un fiume per lungo corso navigabile, il quale alla foce formava un porlo sicuro e profondo, non sarebbe difficile che i Romani lino da quell'epoca si determinassero ad abitarla. Che poi V abbellissero e la ampliassero anche questo è possibile, giacché quel popolo amava i cepite edizioni, sposso nuove, sempre di molta divulgazione, talvolta anche belle, fri cui le Vite e ritraili di cento uomini illustri, poi di 60 italiani; i Classici latini., la Biblioteca storica di lutti i tempi, la Biblioteca universale, la Biblioteca medico-chirurgica, la Biblioteca enciclopedica italiana, e molte altre, la più parie rimaste Incomplete, perchè alla fantasia non avea pari i mezzi nò la condotta. Al fin di sua vita si piantò a Parigi, e nel 1842 vi cominciò un Pantheon di vile e ritratti d'illustri, cuna Biografìa de'pià gran-d'uomini della Francia, rimaste aneli' esse in tronco. Fu di Portogruaro anche Antonio Panciera, che nel 1393 eia eletto vescovo di Concordia,poi nel \ Wl palriarca d'Aquileja. Ma in quel tempo la Chiesa trambasciava pel gl'amie scisma, e i molteplici papi eleggevano ili versi piviali alle sedi. Così fu allora ; onde il Panciera non ebbe pace nella sua, benché sostenuto dalla Signoria veneta, che lo sapeva ad esso favorevole, mentre altri eletti propendeano o per una fiacca indipendenza o per sottomettersi a' forestieri {Vedi indietro, pag. 41). All'ine il Panciera rinunziò, e fu dello cardinale nel tilt; venne adopralo a gravissime missioni e nel concilio di Costanza; infine morì a Roma il ifàì, e fu sepolto in San Pietro , con fama di molte lettere , acuto ingegno, e conoscenza degli uomini e ded tempi. C. C. CONCORDIA 403 Comodi ed il lusso specialmente negli ultimi tempi della repubblica. Che quindi vi sieno stati palagi, giardini e piazze, e che avesse molta importanza, lo si argomenta dalPesservi stato vicino un porto ed una staziono navale, una fabbrica d'armi, e in vicinanza una delle principali vie, l'Emilia, costrutta nel 589. Alcune volte venne Concordia confusa con Romatino, ma in Slrabone, Plinio ed altri n' e fatta menzione come di due citta diverse. Dopo la battaglia di Filippi, Giulio Cesare spedì a Concordia una colonia di veterani, dal qual fatto probabilmente comincia l'incremento di questa città. In onore della buona intelligenza (sì poco durata) fra i triumviri, Cesare chiamò questa colonia col nome di Julia Concordia, o fu ascritta alla tribù Claudia. Per la vicinanza di boschi e delle alpi Carnicho e del Friuli da dove ritraevasi il ferro, vi si stabilì una fabbrica di freccio, e perciò vi aveva una decuria armamentaria, e la città chiamossi anche Concordia Sagittaria. Ultimamente tra i varj scavi si rinvennero pezzi di ferro che si ritennero essere punte di freccie. Sussistono ancora i boschi dove crescono i così detti cornioli, dai quali è tradizione si togliesse il legno destinato per queste armi. I lavoratori godevano privilegi speciali, come di poter inchinare gl'imperatori, ed erano esenti dagli alloggi militari. Una lapide ricorda questa fabbrica: C. AOVIL1VS' C. F. CLA. Mia A EX DECVR1A ARMAMENTARIA QVINQVE Vin. BIS FIERI. IVSSIT. Che i Romani poi vi tenessero dappresso una stazione navale, sarebbe comprovato dal cippo mortuario di due capitani marittimi, che si erano fatti seppellire unitamente, e che conservasi nel lapidario Muschietti RATOLAE. DIONIS. K. I). LlBVIlNO. CLUI'F.O T. V. I. PAIVS. VEU/.OMS. V-., I). MARTE. DICROTA V. ]'. SIISI. ET. SVIS l.'li. LIRO. cioè, Ratole figlio di Dione del Liburne, chiamato Clupeo, fece fare per testamento. Pajo tiglio di Verzone, della Dicrota nominala Marte, vivente l'eco per se ed i suoi liberti e liberto. Concordia non avrebbe avuto grand'estensione, trovandosi che il suo pomerio, o cinta di circonvallazione, si svolge non oltre un miglio. Ascritta alla tribù Claudia, aveva diritto d'intervenire ai comizj e a dare voti por reiezione dei magistrati, anzi poteva spedire a Róma i suffragi sigillati, se, attesa la lontananza, i cittadini non volessero recarvisi, privilegio clic ottennero da Augusto. Questo vale a dire che potevano aspirare a tutte le cariche e magistrature, e far parte delle milizie ed altro. Quando Roma decadde, Concordia ne risentì, e fu delle prime a scontar colla sua ro-\ina la gloria d'aver appartenuto ai dominatori del mondo. * Intimoriti dalle calate di Alarico, i Coneordiesi cominciarono a disertare la città, ritirandosi più presso al mare ove i paludi e le acque profonde CONCORDIA m li difendevano dai Barbari; solo passato il pericolo poterono ritornare alle loro case. Così continuarono nelle successive invasioni fino alla più terribile e fatale, quella cioè di Attila, che ro\inò tutto quello che fosse rimasto dalle primo invasioni. Se i Concordiesi resistessero pel difendere le case, e solo vinti o soprafatti dal numero cedessero, ovvero se alla prima minaccia si fossero ritirati nei soliti ripari, è disputato fra gli autori. Comunque sia, Concordia venne distrutta, in modo che pietra non rimase sopra pietra; gli impauriti'cittadini rifuggirono nelle estreme lagune a Caorle. Vuoisi che, passato quel nembo, rifabbricassero la loro città, ma le succedentisi rovino la trassero in decadenza, riduccndo in desorte lande e fitte boscaglie le ridenti e fertili campagne dogli antichi Romani. La diocesi di Concordia si fa risalire litio ai tempi degli apostoli e vuoisi che in essa predicasse l'evangelio sant'Ermagora successore di san Marco, primo patriarca d'Aquileja. La serie cronologica de1 vescovi lia molte lacune, atteso le successive distruzioni. Primo mentovato in documenti è nel 400 san Niceta vescovo Romatino, e chiamato anche Cro-mazio dal luogo ove rifuggironsi i Concordiesi, situato alle foci del Lemene. Nel 579 trovasi Chiarissimo; nel 501, Agostino vescovo scismatico; nel 004 Giovanni, sotto il quale la sede venne trasportata a Caprule per maggior sicurezza. Solo all' 800 trovasi un Pietro che trasportò di nuovo la diocesi in Concordia; poi noli'828 Anselmo e noli'844 Toringario. Quivi • nuova lacuna fino a d Alberico nel 1 1)01 : gli seguirono 900. Rennone 1210. Ottono 1015. Crescenzio 1210. Almerico 1031. Roberto 1221. Federico dei conti di Prata 1042. Giovanni e Porcia . • . Nimno 1250. Guglielmo 1004; Diduino 1251. Guarniero 1092. Rempozio 1254. Tisonc da Camino H18. Ottone 1200. Alliccio da Colle 1140. Gervino 1270. Fulcherio dei signori di Spi- 1149. Ulrico limborgo 1104. Colinone 1293. Jacopo d'Ungrispach 1177. G erri co 1315. Artico Frangipane 1181. Jonata 1331. Guido di Fossombronc 1191. Romolo 1334. Uberto di Cesena 1203. Volderico 1335. Guido de Guisis di Reggio WG STORIA DI 1 347. Costantino Savorgn.mo 1348. Pietro di Clausetto già vescovo di Chioggia poi di Melfi. 1301. Guido Barsio di Reggio 1380. Ambrogio di Parma 1389. Agostino di Boemia 1393. Antonio Panciera 1402. Antonio da Ponte 1409. Enrico Strassoldo 1433. Daniele Scotto 1443. Battista Legnane 1455. Antonio Folcito 1488. Leonello Chiericato 1507. Francesco Argenti 1512. Giovanni Argentino VENEZIA 1533. Marin Grimani 1547. Pietro Querini 1585. Marino Querini 1585. Matteo Sanudo 1642. Benedetto Capello 1067. Bartolommco Gradenigo 1608. Agostino Premoli 1093. Paolo Valaresco 1725. Jacopo Maria Erizzo 1701. Alvise Maria Gabrieli 1779. Giuseppe Maria Bressa 1820. Pietro Carlo Cianni 1827. Carlo Fontanini 1851. Angelo Fusinato di Arsiè nel Bellunese 1855. Andrea Casasola I vescovi di Concordia godettero grandissimi privilegi ed investiture, fino dai tempi di Carlo Magno, confermato da decreti della repubblica veneta negli anni 1422, 1427 ed altri. Tra gli altri diritti avevano ricevuto da Carlo Magno quello di essere duchi di Concordia, marchesi di Cordovado e conti di Medun; il che li liberava dalle vessazioni ed angherie che i grandi facevano subire ai loro inferiori. L'autorità civile od ecclesiastica dei vescovi estendevasi, oltre ai luoghi suddetti, anche in altri ventidue villaggi e castelli, tra i quali distinguonsi Pordenone, San Vito, Spilimbergo, Maniago, Arian, Porcia, Cordovado e Valvasone. Questi titoli e privilegi, in un alla potestà civile passarono nei dogi di Venezia, dopo la cessione fatta dal patriarca d'Aquileja nel 1445; di poi vennero riconfermati nel loro diritto dal doge, per la qual investitura dovevano i vescovi di Concordia pagare alla Signoria ogni sei mesi anticipatamente 87 ducati, 3 lire e 5 soldi, e di più 800 lire al padre inquisitore. Le rendile della diocesi ascendevano a sei mila ducati d'oro: oggi ha in fondi per un censo di lir. 16,816. 71. La diocesi di Concordia occupa la parte occidentale del Friuli, avendo per confini naturali il Tagliamelo ad oriente; a settentrione le alpi Carniere; ad occidente la Livenza, a mezzodì il mare; ha sei canonici residenziali, protonotari apostolici, coi privilegi dei partecipanti, e sei onorarj cogli stessi titoli e privilegi, e si compone di 122 parrocchie, di cui 22 nella provincia di Venezia, 2 in quella di Treviso, le altre in quella di Udine, oltre 26 chiese filiali ed annesse, e i padri Riformali CONCORDIA 407 in San Panlaleone di Spilimbergo, e le Salesiane in San Vito al Tagliavento. Le 108 mila anime sono divise in 17 congregazioni: Congregazioni Parrocchie Sacerdoti Anime Capitolo ÌO Seminario..... 19 Regolari 5 Concordia..... 1 3 2,376 Forania di Portogruaro. . 8 18 8,784 di Pordenone . . 8 25 14,007 » di Spilimbergo. 6 15 8,703 di Valvasone . 8 27 8,982 di San Vilo . 8 20 12,759 > di Cordovado . . 9 21 9,522 » di Mcdun . . 0 25 16,397 I) 20 17,293 * di Arba . . . . r> 10 7,084 ■ di Maniago . . 0 16 * 10,533 di Montereale . 7 11 5,012 » di Palte . . . . 7 17 8,698 ■ di Fossalta . . . 0 20 10,042 v di Azzano . . 7 15 7,207 » di Pasiano . . . 10 20 13,424 1 di Fajedo . . . 8 12 3,970 I di Cimolais. , • . 3 5 3,534 122 340 168,447 li vescovato nel 1586, per autorizzazione del pontefice Sisto V, venne trasportato a Portogruaro x e la chiesa maggiore di questo luogo venne eretta in concatledrale. La chiesa di Concordia dedicata a santo Stefano venne ristaurata, o meglio ricostrutta nel XVI secolo, con facciata di decorazione lombardesca, e ne' frontoni che accennano l'andamento dei tetti, i quali sono in forma d'archi circolari, mentre pel rimanente è spoglia d'ogni ornato. L'interno si cercò di mantenere sulla forma antica, archiacuta, divisa P area in tre navate, sostenute da colonne. Sul davanti dell'aitar maggiore sta il coro, il quale forma un corpo quasi separato, sebbene in continuazione 408 M'ORI A DI VENEZIA delia navata eentrale; dopo l'altare ò l'abside. L' altare dei santi martiri Donato e Romolo, colle ossa che si venerai! siccome appartenenti a questi santi, ò decorato di una pala d1 Alessandro Varotari. Sta addossato alla parete meridionale della chiesa il battistero, unico avanzo antico di Concordia. È costrutto di mattoni, con architettura a pieno-centro di stile bisantino: il suo interno è in forma di una croce greca, con braccia molto corte e formate da tre absidi : peli' occidentale alcun poco più lungo e rettangolare, trovasi la porti, coperta da un tetto ad una sol falda. L'interno di questo braccio è semplice e spoglio di ogni ornato, le pareti conservano qualche traccia di rozza pittura. A destra, dalla terra s'innalza circa metri 0. 35 un parallelepipedo rettangolare di pietra istriana, che copre l'avello del vescovo Rempozio, coli' iscrizione : f mM N OpERE pSVl REGINpDTO SVB ME •j- TE Rlt .4 FI T ET pvLVIS p VI, VE Rti FMCTV II.MO f ASplCIEiSS TVMVLV MISERENDO SVSPICB CELVM f AI) DNM CELI DIC RIISERERE SI FU •J* JD1C QVIS SAI.WS ERlf NISI CVI PIETUMISEREWS f SALVA PLASMA TVÓ N REpVTANS MER1TVM f oliti! Vili IDVS NOV SpERANSI EOO SAiV'SFAQ Spp.RANTES FSE VT SIT ET. RE QV1ES GLADA DA pTIS TA. IOII Una porta rimpelto alla prima mette alla vasca battesimale; mentre i fedeli che accompagnavano la cerimonia non entravan nel ricinto a ciò destinato, ma, secondo il rito in quei tempi, fermavansi nel braccio suddetto. Il piano di questo locale e di due gradini inferiore al rimanente, la sua pianta è un quadrato e la vasca, è sostenuta da una co-lonnelta che occupa il centro. La decorazione di questo locale internamente consiste in quattro archivolti, che nascono dai piedritti al principio dello braccia, e sui quali senza tamburo s'innalza la cupola emisferica, forata da otto finestruole a sesto intiero, e ne'cui intervalli stanno dipinti una figura del Redentore e di angeli a sei ale, che i villici ritengono per idoli antichi. Le muraglie delle absidi sono scavate in DISTRETTO DI PORTOGRt'ÀRO 409 nicchioni noi cui intorno vedesi qualche figura rozza ohe sembra formar parto delle primo pitture mentre altre si riconosco!! molto più recenti, abbenchè di poco migliori nella rappresentazione. Il braccio a levante conteneva un altare dedicalo a san Giovanni Battista ed è in superficie alcun poco più grande degli altri due; lutto poi presenta deperimento e rovina. A duo miglia da Concordia trovasi Simaoa, antica abbazia di Benedettini, che sembra fondata all'epoca di Carlo Magno o, secondo il Uniti, nel IX secolo almeno. Nel 1211 il vescovo di Concordia Volderico concedette all'abate Riccbiero la pieve di Cinto, le cui rendite fossero impiegato a rislaurare la chiesa. I vescovi di Concordia dotarono questa abbazia di doni e privilegi, dimodoché nel 1584, quando il visitatore apostolico Norez esaminò la chiesa, trovò che le rendite in quell'anno ascendevano a tremila ducati in frumento e quartale, e nei Libri Apostolici venivano tassale per cento fiorini d'oro. L'abbazia era ufficiata da Benedettini, con cura d'anime nelle ville di Volpare, Najane, Sumaga, Abbazia e Villa, e pagava l'imposta di 43 lire e 8 soldi, e in tempo di guerra doveva due cavalli. Fra i suoi abbati fu Carlo Rezzonico papa Clemente XIII, il quale fece restaurare la chiesa nel 1740. L'abbazia fu soppressa nel 1799, alla morte di Carlo Rezzonico juniore, nipote del papa. In adesso rimane la chiesa parrocchiale, alla quale il demanio passa un benefizio di 100 ducati d'oro all' anno. Nella parte inferiore del territorio e propriamente in riva al mare trovasi Caorle , anticamente detto Sylva Capnilarw, insula Capria , Cu-prulla ed anco Petronia da Petronio Didio padre di Didio Giuliano imperatore. Vantasi anteriore a Venezia, e s'accrebbe coi fuggenti dai Barbari. Nel 407 molti profughi si ricoverarono a lesolo e ad Eraclea: e cresciuti in numero, instiluirono un governo, affidandolo a consoli scelli fra gli abitanti del paese; ed il primo fu della famiglia Coppo, cospicua per antichità ed appartenente alla gente Fabricia; in seguito si ebbero i tribuni, ai quali si sostituirono i gastaldi o rappresentanti del doge. Questo doveva recarsi a Caorle una volta all'anno per rendere giustizia, con festivo accompagnamento di barche. Nel 1339 al gastaldo venne sostituito il podestà, mantenutosi fino al morire della repubblica. Finché era sola in quei lidi, Caorle prosperava, ma subitochè altre città si innalzarono nei dintorni, e specialmente Eraclea, cominciò a declinare; poi trasferita la sede del governo a Malamocco e a Rialto, anche le cospicue famiglie la abbandonarono, stabilendosi più dappresso al go- Ulustraz. del L. V. Voi. Il K3 verno, e venendo ascritte alla nobiltà veneta. Le diverse incursioni del nemici, cominciando dagli Unni, poi i ribelli Triestini e Slavi, e venendo fino ai Genovesi, che l'abbruciarono nel 1374, tolser ogni vestigio della antica grandezza. ✓ Caorle era cinta da doppia mura, e racchiudeva molti palazzi ed ampi fabbricati: la sua popolazione, nel 1675 era di 4000 anime, oggi invece è di sole 1766. La chiesa ebbe dignità vescovile fino dal 598 sotto Giovanni, ungherese di nascita, fuggito per lo "scisma dalla patria. Questi stabilì sua sede in un castello detto Novas, il quale non si sa se fosse Eraclea o il castello della Nove più vicino a Cacrle e al Tagliamene nel luogo detto la Pineta. La serio dei vescovi di Caorle come risulta da documenti è la seguente: 598. Giotannt 875. Leone , scomunicato da papa Giovanni VIII ed assolto per' cura* ili Orso I doge di Venezia 1053. Giovanni 1074. Buono 1107. Giovanni Trevisano » Domenico Orio 1127. Pietro 1125. Giovanni IV 1172. Domenico della Tomba 1197. Giovanni della Tomba 1209. Angelo Marini 1210. Giovanni Malipiero 1210. Angelo 1220. Natale 1247. Rinaldo 1258. Vitale Monaco 1262. Buono 1267. Marino 1282. Nicolò Natali 1299. Gioachino 1305. Giovanni Zane 1338. Andrea Giorgio 1349. Gherardo 1350. Bartolino 1305. Tcobaldo 1368. Domenico d'Albania 1378. Andrea Bon 1394. Nicolò 1412. Fra Antonio de Cartuccio 1431. Andrea de Montecchio 1442. Luca Mirazzo 1451. Gottardo 1473. Pietro Carli 1513. Daniele Rossi 1538. Sebastiano Rossi 1542. Egidio Falcetta 1503. Fra Giulio Superchi 1585. Girolamo Ragazzino 1593. Fra Angelo Casarino 1601. Fra Lodovico de Grìsis. M. 0. R. 1610. Benedetto Benedetti 1629. Fra Angelo Castellani. 1641. Vincenzo Milani 1645. Fra Giuseppe Maria Piccini 1654. Giorgio de Armini 1656. Fra Pietro Martire Rusca 1674. Francesco Antonio Boscaroli 1684. Domenico Mincio 1698. Francesco Strada 1699. Giuseppe Scarella 1700. Francesco Andrea Grassi 1712. Daniele Sansoni DISTRETTO DI PORTOGRUARO ili 1718. Fra' Giovanni Vincenzo de 1769. Benedetto Maria Civran I vescovi cessarono sotto il regno d'Italia; e dell'antica città resta appena la chiesa di Santo Stefano, edificata nel 1033 e più volte racconcia; e se tutto non è assorbito dalle acque, n'han merito le dighe e i ripari artefatti. Questi lidi, in cui si schiudono molti porti, erano un tempo coltivatis-simi; e pagavano tributi ai dogi di Venezia e ai patriarchi gradensi; e al doge, qualora andasse a render giustizia a Caorle o a visitar Grado, dovevano somministrar dei piati, barche piatte che oggi diconsi peote. II porto di Falconerà presso Caorle è noto nella storia antica col nome di porto di Concordia e detto da Plinio porto di Romatino, e i Romani vi tenevano stazione navale. Quello di Santa Margherita, nel quale e posta Caorle, è legato ad un fatto luminoso della storia venda; giacché i rapitori delle spose veneziane (Vedi pag. lo) vennero assalili, mentre, come dice la cronaca, nel Lio di Caorle se ne slavano con gran diletto in quel porto, che da li avanti fu detto el Porto delle Donzelle. Filippi 1738. Francesco marchese Trevisan Suares 1770. Fra Stefano Domenico conte Sceriman 1795. Giuseppe Maria Peruzzi. cosi, in lu1to questo discorrere della città e della provincia di Venezia, sempre incontrammo un passato che non fu senza macchie e non sarà senza lacrime, un prosperamento, poi una decadenza, poi una risurrezione. Sulle due prime fasi, a un bel presso, van tutti d'accordo; voglio dire d'accordo a seconda che il loro occhio guarda il passato, o come un'età dell'oro che si dee rimpiangere anche sentendola irremeabile; o come un'età d'avviamento al meglio e a quel progresso continuo che forma il carattere dell'umana stirpe. Intendo degli onesti: lasciando via quo'molesti ammucchiatori di parole, che tollerano una campana sola, lodi sempre o sempre vitupcrj, che al culto del Dio universale antepongono l'idolatria degli Dei Lari, che rinnegano la moralità eterna e il buon senso per accattarsi accoglienze plateali col fomentare « il misero orgoglio d'un tempo che fu ». Più variali corrono i giudizj sul presente; e per sciagura, non sono sempre schietti neppur quando sono leali. L'aura del giorno ; la dura necessità di adular il principe d'oggi, che è il vulgo ; uno scopo parziale e istantaneo da raggiungere ; una teoria da dimostrare ; una passione da blandire o da sfogare, sono titoli per alterar la verità. E ciascuno oggi stampa: sicché cogli stampali di persone informate, rispettabili, chiarissime, si possono egualmente sostenere opinioni non solo divergenti, ma diametralmente opposte. Persino quella che intitolarono eloquenza delle CONCLUSIONE 41." cifre convertesi in un giuoco di prestidigitazione, non solo dai numeri slessi traendo illazioni diverse, ma o i numeri scambiando, o disponendoli al differente, con quella bugiarda maestria che si cammuffa del titolo di statistica. Tra siffatti elementi collocale uno storico, il quale non abbia altra passione che della verità, e pensate come deva ogni tratto dar nelle secche; come deva sentire che sopra ogni punto avrà contraddittori da una parte e dall'altra; che gli tireranno addosso da San Giorgio e dalla Riva degli Schiavoni: ed, o col piglio austero de'patrioti che si vendicano sui fratelli dell' impotenza a nuocere i nemici, o colla leggerezza de' perdigiorni, o coli' ebete riso, non solo gli saran prodighi di quelle staffilate che gli impediscano il peccato dell'orgoglio, ma avranno l'ingenua bontà di calunniargli lo scopo e le intenzioni. S' egli sa che il carattere dello scrittore giusto è il dispiacere agli esagerati de' due estremi, si rassegnerà all'insulto, alla denigrazione, al vilipendio, ai pericoli, alle noje; raccogliendosi nella sincerità della propria coscienza, nella certezza d'aver trattato l'argomento suo con amore, e cerco il vero con zelo, tutto il vero e il vero solo, scarco di passioni, come scevero da interessi. Eh! lodar tutto, lodar sempre, è facile, è comodo, è anche utile: e noi abbiam cantato e ricantato Venezia e noi femmo tesoro dei mille carmi che sonarono a sua lode, dal rapimento delle spose, fin a quello che invocava « un obolo per la gran mendica ». Se trattasi dunque di poesia, esclamiamo seriamente col poeta: Salve, terra divina, In cui bebbi le prime aure di vita! Salve, patria marina, Da leggiadre isolette custodita! A te sospiro, alle tue torri, agli archi, Ai templi, ai monumenti Non più di tempo che di gloria carchi. Io t' amo, patria mia, Ned altro il cor desia Che rimembrarti, e i voli Rinnovellar che a' tuoi limpidi Soli Spiccar solea pur anco giovinetto; T'amo, natal mio tetto, E sorgo se a le penso, Qual sovra 'I foco nuvolo d'incenso. (Occioni.) * Vedi l'Algiso o la Lega Lombarda; poi ne' Racconti, Venezia nel 1801. 1826 e |8lf. 414 STORIA DI VENEZIA Oppure esclamiamo col barcarol: Cara sta mia Venezia, sto paese De bona gente, che a l'istoria à da Tanto da dir co tante bele imprese, Co fati de stupenda nobiltà. Cari sti ponti, ste contrae, ste chiese, Sti palazzi, sti muri, sta cita, Sta laguna, sto mar, st'acque, difese Da i eroi de la nostra antichità. Caro el parlar, le costumanze, i usi, La fede de sto popolo Cristian Che mai de culto no ga acetà abusi. Caro el tratar de ognun cortese e uman, Caro el spirito, el brio de quei bei musi Che fa celebre el belo venezian. Ma i casi di or fa dicci anni ci han Ulto nella mente che la poesia è fior della vita, ma non vale a ringiovanir le nazioni, a ridestare gli elementi del passato, e ancor meno a coordinarli per l'avvenire. Noi avremo errato dunque (non ci è mestieri modestia a confessarlo) nel ritrar la Venezia passata e la odierna 2; errato nello scegliere, fra tanta disparità, i colori di cui incarnammo il nostro quadro; ma sentiamo che la scelta ci sarebbe, da altri o forse dagli stessi, imputala anche quando fosse caduta su colori ed elementi opposti. Voglia farcisi conoscere gli errori nostri; lo preghiam ora, come già tante volte; non baderemo al modo, benché ringrazieremmo se senza villanie, senza beffe, senza assordamenti, senza stil smanioso, nel tono di coloro che rem illuslrant, non excùant tumultuiti ; vogliasi cooperar con noi a crescere il piccol gruppo de' pensatori indipendenti: a convincere che non son tanto i monumenti, non son tanto le memorie che onorano un paese, quanto i cuori elevati, i caratteri nobili, onorati, onorevoli; i magistrati che fanno il loro dovere, non per zelo burocratico, speranza d'avanzamento e di giubilazione, piaccntcria al capo, ma per rispetto alla propria coscienza e per 2 Ci si avverti da buon luogo clic la eondizion delle case, riferita a png. 278 con parole d'uno sprillo recentissimo e còli (Irma rispettabile, è esagerata, e più non reggo, Ne sia lode al cielo, e agli nomini «li buona volontà. E qui serva avvertire che le singole storie e descrizioni son fatte, eome si dico, sul posto, e da persone pratiche; e dove ciò non si potette ottenere; o non abbastanza poleasi confidare, si mandano a rivedere gli senili da persone in luogo. E altrettanto vero che non da per tutto troviamo chi ci sia cortese dei consigli invocati dapprima; salvo a profonderci censure dopo. Ma son debolezze inerenti alla natura umana, e noi siatn riconoscenti agli appunti, comunque e dondunque ci vengano. CONCLUSIONE 4lS amor del paese, e non credonsi impedito il pensar colla propria testa e il dir il vero ai superiori che han diritto di sentirlo; mercanti che non si rimpicciniscono in furberie e gelosi ahjeltumi; artisti che non disgiungono la nobiltà del concetto dalla bellezza della forma, ne vogliono svagar PafTelto e raffreddarlo; scrittori che inlingon la penna solo per tratteggiare qualcosa che faccia amare la specie umana e cresca pregio alla vita; giornalisti senz'astio e senza burbanza, che voglion essere decoro, non gavocciolo del paese, non disturbar chi fa ma confortarlo, non imprunargli la via ma spianargliela, persuasi che la critica perde in autorità quanto perde in imparzialità; sacerdoti che, non vergognando del loro stato, affrontano intrepidi l'insulso scherno e la sistematica denigrazione, per ajutare ad elevarsi colla fede dagli abissi del razionalismo, e mostrare legame tra la fede e la ragione, e come mai non vacilli quella senza che questa scemi ; liberali che tendono ad assicurare stima a sè ed alla patria, anziché a mettere altrui in vitupero:.ad insinuare le sante obbligazioni della vita e della famiglia, anziché iniettare il sottile veleno dello scetticismo e della demagogia; storici che dalla piazza e dalla bottega non lasciansi sgomentare dal dir il vero, che non tramutan l'indagine scientifica in libello infamatorio , non ripongono la scienza nel piluccar una notiziuccia inedita, nè han per intento il farsi lodare col blandir l'orgoglio de' piccoli, ma vogliono presentare al vero i tempi e soggetto principale della storia, I' uomo. Se Venezia ne abbonda, questa è la gloria sua vera, la vera sua speranza. UNE DELLA PROVINCIA DI VENEZIA. ESCURSIONE PEL LITORALI^ DELL'ISTRIA Illustra*, del /,. V. Su'. II. AL CAVALIERE SEBASTIANO MONDOLFO CHE CON SAPIENTE GENEROSITÀ SPANDE LE SUE RICCHEZZE A PRO DELL' UMANITÀ SOFFRENTE E A DECORO DELLA SECONDA SUA PATRIA GLI EDITORI DELLA ILLUSTRAZIONE DEL LOMBARDO-VENETO VOGLIONO DEDICATA LA DESCRIZIONE DELLA ISTRIA SUA [Tempio di l'ala.) on 7 Mk.nis, Il mare Adriatico descritto ed illustrato, Zara 18iH. Geminiano Montanari di Modena, morto il 10*7, tviva già dato l'Idrografia dell'Adriatico « delle tue correnti. L'ADRIATICO 425 dovette estender questi pure, tanto che ora per 10 chilometri passano di là di Cavarzere: e il fiume scorre fra paludi e stagni, e scende poda-grosamente al mare per due foci impattumate. Viepiù manifestasi il procedimento alle bocche del Po; il cui delta ora sporge forse 17 chilometri dalla traccia regolare della costa fra Chioggia e Rimini. Eppure là esisteva un' ampia baja, che assai addentravasi di quella linea, e giungeva ad Adria, ora distante 25 chilometri dal punto più vicino della costa. Verrà occasione altrove di divisar le operazioni l'attesi in diversi tempi per provederc agi1 interrimenti del Po (vedi pagi 297), e qui basti dire che il suo procedere e di molto allentato nel secolo nostro, forse perchè raggiunse un abisso del fondo, entro il quale di tempo in tempo si precipitano le bellette eh1 esso accumula allo sbocco. Senza tante curo sarebbe avvenuto di Venezia come di Comacchio ; la cui laguna ampia e profonda fu interrila dal Po di Volano o di Pri-maro, finche questi non ne vennero rimossi, e portati a sfociare altrove; ed ora le valli son disgregate dal maro per una lingua di terra prodotta dai fiumi. Anche Ravenna (per seguitare quel viaggio) è rimossa 8 chilometri dal maro, di cui era porto forse sin nel XV secolo, allorché i Veneziani presero e tennero quella città. Anco in luoghi dove non è sbocco di fiumi la spiaggia va protendendosi : eppure è dimostrato che il livello dell'Adriatico vien guadagnando verso il lido orientale, per o o 0 pollici al secolo, sia che realmente si elevi il maro come si opinava tempo la: sia, come credesi oggi, che il continente si deprima. Ora quell'alzamento dello coste va attribuito alla corrente litorale, che, nella lenta ma continua sua azione; lo terre e sabbie deposto dai fiumi trasporta sempre verso la destra della loro foce. Su questo fallo riposano lo industrie che già divisammo, colle quali vengono piantati gli argini e i murazzi, mercè de' quali Venezia è ormai sicura di conservare la laguna che ne forma ii carattere e la vita. Quanto la navigazione siane migliorata dopo le recentissime operazioni, già ci fu raccontato (p/llarus hansit aqnas. È il Timavo un fiume piccolo, ma di notevole natura: perocché, sebbene di brevissimo corso, già è navigabile; il che mostra che per lungo tratto scorre sotterraneo, e s'arricchisce del tributo d'altri fiumi. Grcdcsi tulfuno col Recca, fiumicello che nasce ove si biparte la via che da Fiume porta a Adelsberg ed a Trieste, e che gonfiandosi allo sgelo, s'affonda noi monti del Carso per la grotta di San Canziano a levante di Trieste, 121 tese sopra il livello del mare. Credesi che sotterra proceda sin dove, presso la costa, esce da numerose bocche; le quali raccolgonsi presto in tre rami. Il settentrionale sbocca dietro a San Giovan di Duino, e basta subilo a mover un forte molino: meno abbondante è il medio, dopo il quale un' altra bocca da un pezzo resta in secco : 1' ultimo antro genera un grosso fiume, che cresciuto da altre bocche, va poi a raccoglier gli altri rami ; e uniti voltan al mare verso gli scogli di Duino, dopo un corso di neppure un miglio. Parrebbe veramente difficile a credere sia esso quel gran fiume di cui parlano Virgilio, Polibio, Posidonio, Pomponio Mela, Strabone, Plinio, Marziale, Claudiano, Lucano5, accennando le sette bocche per cui versasi in mare. Vi fu dunque chi asserì doversi intendere d' un tutt' altro 2 Uno scienziato clic sostenne la possibilità del viaggio degli Argonauti» e la diramazione delt'lstro appiè dei monti Ocra e Alino fin all'Adriatico è Pérdditb Albkrto Fortis nel Saggio d'osservazioni sopra di Clierso e Oserò. Infatti Danubio è quello di Ungheria e Germania; Istro è da Seminio :il Mar Nero ; il Savo si credeva Istro, e a chi lo guarda sembra tutta una linea di fiume, e si credeva che l'Istria avesse origine alle Alpi Giulie, per esempio a Oberlaibaeh. Z Unde per ora novem vasto eum murmurc montìs. ìt mare promiplum, «t pelago premit arva sonanti. (Virgilio, Mn. t. 247.) Lucano, colle inesatezze troppo solile agli antichi, lo mette nel padovano. Euganeo, si vera fìdes memoranlibns augur Colle sedens, Aponvs terris ubi famiger exit, Absquc An/cnorei dispergitnr itnda Timavì. (Farsaglia, VII ) fiume, in luogo diverso;ma se badiam alla fama, cosi maggiore del merito, die ottenner il Gaistro, il Simoenta, il Sebeto, il Rubicone, l'Olona, ve-niam di credere che il Timavo la deva a qualche particolarità naturale, o alla rinomanza devota dei delubri eretti alla sua foce, e sacri alla Speranza, dea prediletta degli Aquilejesi; o all'essere stato celebrato in prima da alcuno, a cui corse dietro la turba servile dogli imitatori, che ripetono biondo il Tevere e canori i cigni. Lasciando però lo favole, e avvicinandoci alla storia, che pur troppo spesso ne addossa le luccicanti divise, troviamo come, di quella che poi formò la provincia dell'Istria, prima della dominazione Romana spettasse una parte ai Carni, cioè il paese fra il Tagliamene, l'Isonzo, il mare e la chiusa di Vonzone, che oggi diciamo Friuli; dov'erano le terre di Aven-tium, Glcmona, e inoltre Ocra, Scgeste delle quali fin il posto s'ignora. Alla Japidia Ciaalbiana (che gli etimologisti interpretano Lapidea), di qua dall'Albi o Schnceberg), apparteneva tutto il goriziano odierno, il circolo di Adelsberg, il distretto di Castelnuovo, gran parto di quel di Se-sana: paesi, come la Giapidia, abitati da'Galli insieme e da Illirj, non misti ma in Comunità distinto. Vi si riconosceano le terre di Porecton, Artara (Idria), Pago dei Calali (Adelsberg), Pago dei Giapidi fCastel-novo), Pago dei Suhocrini, Pago dei Secussi. Alf Istria aggregavasi tutta la costa dal Timavo all'Arsa, abitata da Traci, e dove si notavano Pucinura (Duino), Halietum (San Simone d'Isola), Pyrrha^um (Pirano), Aemonia (Cittanuova), Parention (Parenzo), Cissa in isola inghiottita dal mare, Vistrum (Veslre), Pola, Mutila (Medolino), Faveria, Nesaction (Gradina d'Altura), Arsia (Castel .vecchio d'Arsa), e sulla costa Sepomagum (Umago) e Ursaria (Orsera) terre galliche. La Libuntia era formata dai distretti d'Albona e Volosco, e dalle isole del Quarnero, con Albona, Fianona, Curicta (Veglia), Fulfinum (Castel Muschio), Crexa (Cherso), Apsoros (Ossero). Fra la Japidia, la Mesia, il Savo e il'mare stava l'antica Dalmazia4. In quei tempi il conline civile d'Italia restringeasi al Rubicone; talché non v'apparteneva il Lombardo Veneto, allora detto Gallia Cisalpina e Vendite, nò quest' Istria. Chi erano e donde originarono i Carni? chi i Liburni? chi i Giapidi? Ne disputarono a lungo gli eruditi, e la quistionc rimane sotto il giudice ancora. 4 Strabono fa cominciar ii territorio de' Giapidi all'Alido , eppure Virgilio (Georg., III. 473) eanta japidts ora Timavi Plinio chiama mare Illirico tutto il tratto dal Timavo al mar Jonio. E Stefano fa Trieste città dell'llliria, noit« iiiujji««. Forse i Carnuti, gente celtica, scesi al mare, vi trovarono già stabiliti i Veneti, derivati d'Oriente. I Giapidi eran misti d'Illirici e Celti, e aveano per capitale Metullo, ora Metule in Carnia. I liburni furono deditissimi alla marina. Come pirati dieder d'urto ai Romani, 221 anni avanti Cristo, e ne furon puniti. Poi Roma , com'ebbc domate Cartagine e la Macedonia , e messasi sotto l'intera Italia fin al Tagli amento, fondò Aquileja, nel 181 avanti ( Iristet, su terreno tolto ai Galli, affinchè fosse e baluardo contro gli oltramontani e porto nell'Adriatico. Di tal vicinanza sgomentaronsi gP Istriani, e scelto a capo Epulo, e col-legatisi con Carmelo capo de' Colti, mosser guerra, e sconfissero il console che aveva invaso il lor paese. Ma la disciplina prevalse, e fatte nuove arme, Claudio Pulcro riuscì vincitore presso Sestiana (178), grande strage facendo de' Celti e degli Istrioti, e prendendo l'intero paese. Conquistato che l'ebbero i Romani, confino naturale no rimaneva il Timavo , ma il Formione era limite dell'Istria provinciale: a questa non apparteneva Tergeste, che pur sempre spettava all'Istria. Tale provincia comprendeva anche tutto il paese montano di Gorizia e la vallata del Savo fin presso Lubiana; pure i conquistatori che scassinarono T impero, come Odoacre e i Longobardi, credettero toccar fltalia sol quando infisser la lancia sulla riva destra dell'Isonzo. L'Istria provinciale dunque andava dal Risano all' Arsa , ma e Tergeste e Pola erano state erette a colonie: l'Istria fisica ed etnica, dal Timavo all'Arsa, non comprendea i paghi dei Catali e dei Giapidi, benché appartenessero all'Istria amministrativa come governate da Tergeste. Che se, andata a sfascio l'amministrazione romana, quello appendici e la Carsia furono staccate dall' Istria, vi furono aggiunto Alhona e Fiamma, che pei Romani erano Liburnia. La qual Liburnia spettava alla Dalmazia, mentre il resto del Litorale, all'Italia, e alla regione della Venetia e Histria. Alla Venezia spettavano Aquileja, Forumjulii, Glemona, Puteoli (Mon-falcone), Aqià Gradatse (San Canciano), Castra (Aidussina). AH' Istria Tergeste, coll'agro colonico da Sistiliano a Montelongo, e col-l'agro giurisdizionale. Quest' ultimo abbracciava i paghi dei Monocoleni, dei Catali, dei Giapidi, de' Secussi: Aegida (Capodistria) con cittadini romani, e l'agro tra il Formione e Isola; Pyrrhanam, Aemonia, Arsia (Monte san Giovanni), Parentium, con vasta giurisdizione, Cissa, presso san Giovanni in pelago, Pola, Nc-sactium, che una colonia romana ricostruì sulle ruino dell'antica ; Ningum, presso l'odierno ponte del Quieto fra Grisignana e Visinada; Petina, comune celtico indipendente. Alla Liburnia ascriveansi: Albona, Fianona, Lavrentum (Lovrana), Castra. Di questi paesi, descritti da Plinio e da Slrabone , aotavansi le Alpes jut'm dal Tergolou al Nanons fino al Mons Albini o Schnceberg Fiumi n'erano l'Alsa (Aussa), che da Cervignano al mare è navigabile: Turrus (Torre), confluente del Natiso (Natisene), col quale scorreva da Campolongo ad Aquileja, poi a Grado sfociava; il Sontius (Isonzo) a Rubia si univa col Frigidus ( Vipacco ), formando il lago tra il monte e il villaggio di Merna, donde per sotterranei cunicoli passava al lago Dobonlo, indi, a quel di Pietra rossa, e nell'estuario di Duino. Del Timavo già parlammo. Fra Maggia e Capodistria il Formio, ora Risano, è piccol fiume, ma di rinomo, perchè segnava il limite civile dell'Italia: che poi sotto Augusto e Tiberio fu portato all'Arsia. L'Argaon (Dragogna) versa a Pirano le acque biancheggianti. II Nengon (Quieto) è il fiume più insigne dell'Istria, navigabile per otto miglia. L'Istria era governata da presidis, poi nella divisione d'Augusto, la Venezia e l'Istria furono ridotte in una regione sola, la decima, sotto un consolare sedente ad Aquileja; infine chiamossi Uliria tutta la regione fra il Danubio e V Adriatico, fra la Grecia e il lago di Costanza. Colla medesima stravaganza (merito consueto degli etimologi) che fa derivar il nome d'Istria dal fiume Istro , il grammatico Fcsto vuol che i commedianti fosser delti istrioni dall'Istria: Uistriones dielì quod ab tìùiria, venerimi. Certo v'era fior d'arti, giacche moltissime antichità vi rimangano anche dopo che d'altre assai si arricchirono i musei di Venezia, e massime il Grimani. La postura dovoa volger questi abitanti al navigare ; e famose erano le liburne, brigantini d'allora ; e col pirateggiare davano molestia agli Sciti non meno che i Romani. Certo gli imperatori ebbero molte volte a combattervi, massime sul decader dell'impero d'Occidente. '.i Presidi della provincia dell'Istria e Venezia: 4 42. Pompeju s IVI. Licinio* 28«. Queslilio 270. Jnnnillus 28«. S. Apricius ' 287. Petus nnoratus 288. Istejus Tertullus 290. Manaeius .130. C. Vetius Cossinus Rufinus ."43. M. Meeius Mcminius Furius 3«5. P. Arecorius Apollniaris 3C1J. Florianus 37... Petronilla Probua 380. Valerius Palladio* 400. Cornelius Gaudenthis Conquistate poi questo, i paesi giapidici si staccarono dall'Italia: quelli di Cividale e Àquileja formarono il Friuli, dominato dai Longobardi; Grado si tenne cogli imperatori di Bisanzio, e con esso V Istria dal Ti-mavo al Quarneró, dal mare alla Vena. Dell'età gotica abbiamo un'insigne testimonianza nella lettera che al prefetto dell'Istria dirigeva Cassiodoro, segretario del re Vitige. « La vostra provincia a noi prossima (a Ravenna), collocata nello acque dell'Adriatico (l'autore dice Jonio), ridente di oliveti, ornata di fertili campi, coronata di viti, ha tre sorgenti copiosissime d'invidiabile fecondità, per cui non a torto dicesi di lei che sia la campagna felice di Ravenna, la dispensa del palazzo reale: delizioso e voluttuoso soggiorno per la mirabile temperie che gode dilungandosi verso settentrione. Ned è esagerazione il dire che ha seni paragonabili a quelli celebrati di Raja, noi quali il mare ondoso, internandosi nelle cavità del terreno, si fa placido a somiglianza di bellissimi stagni, in cui frequentissime sono le conchiglie e morbidi i pesci. E a differenza di Raja, non trovansi un solo Averno, un sol luogo orrido e pestilenziale; bensì frequenti peschiere marine, nello quali le ostriche moltiplicano senza opora dell'uomo; tali sono queste delizie, che non sembrano promosse con studio, ed invitano a goderle. Frequenti palazzi, da lontano facendo mostra di sè, sembrano perle disposte sul capo a bella donna; e provano in quanta estimazione avessero i nostri maggiori questa provincia, se di tanti edifìzj la ornarono. Alla spiaggia poi corre parallela una serra di isolette bellissime e di grande utilità, perchè riparano i navigli dalle burrasche, ed arricchiscono i coltivatori coll'ab-bondanza dei prodotti. Questa provincia mantiene i militi di presidio, è ornamento all'Italia, delizia ai ricchi, fortuna ai mediocri; quanto essa produce passa nella città reale di Ravenna ». La religione cristiana vi fu introdotta da san Marco, siccome molti dimostrano, e da sant'Ermagora suo discepolo, che ad Àquileja pose la prima sede fissa di vescovado dopo quella di Roma; e che avea ricevuto da san Pietro stesso il baston pastorale, che si conserva preziosamente nella cattedrale di Gorizia. Il popolo fu sempre molto dedito alle religioni ; e lo chiese voleva ricche di reliquie. Sotto al patriarca di Àquileja, di cui or ora diremo, vi si eressero sei vescovadi : Trieste, Parenzo, che nel secolo XVI aveva circa 3000 ducati di rendita ; Pola con metà tanti ; Citta-nova (Aemonia) e Pedena con mille, Capodistria con meno. Ecco la serie di quei vescovi : lllustraz. det L V. Vol. II. TRIESTE 524. Frugifero 568. Geminiano 57!)_58<ì. Severo 602. Firmino 680. Gaudenzio 731. Giovanni 759 — 706. B. Giovanni degli Antenore i 706.. Maurizio 788. Fortunato degliÀn-tenorei 804. Leone 009. Taurino 929. Radaldo 948 — 947. Giovanni 990. Pietro 1000. Ricolfo 1031. Àdalgcro 1072 — 82. Eriberto 1100 — 1114. Erinicio 4406 — 1115. Artuico 1134 — 1145. Diatimoro 1146 — 1148.'Bernardo 1186. Enrico 1188. Luitoldo 1190. Voscalco 1200. Enrico 1203. Gebardo 1212--30. Corrado Bojani della Pertica 1232. Leonardo da Cec- cagna 1235. Giovanni 1237. Volrico do Portis 1255. GivardoArangone 1260. Leonardo 1262. Arlongo dei Vis-.goni 1282. Ulvino de Portis, cividalese 1286. Brissa de Toppo, udinese 1299. GiovannideTurris ■il 300. Enrico de Puppis 1302. Rodolfo Pedraz- zani, cremonese CAP0D1STR1A 524. S. Nazario 557. Massimiliano 67... Agatone 726.. Giovanni 76... Senatore 770. Eustachio 781. "Maurizio anche di Capodislria anche di C a pod is tri a anche di Capodislria anche di Capodislria anche di Capodislria anche di Capodistria 1187. Adalgero 1210 — 12. B. Assalonne 1232. Uretemaro 1232. A . . . . 1245 — 62. Corrado 1268. B'onaccorso 1271. Azzonc 1280. Bono Azzone alias Rago 1291. Vitale 1296. Simone 1300. F. Pietro Mano-lesso, minorità 1317. Tomasino Contarmi 1328. F. Ugo, da Vicenza dominicali" 1335. Marco Semitecolo 1348. Urso Delfino, poi patr. di Grado 1349. Francesco Querini VESCOVI C1TTAN0VA 524. S. Fiore (dubbio) 546. Germano 579. Patricio 804. Stefano 850. Osvaldo 932. Firmino 961. Giovanni 994 — 1105. Azzone 1031 — 1038. Giovanni 1072. Andrea 1089. Nicolò 1090. Alessandro 1100 — 1146. Andrea 1146. Adamo- 1158. Giovarmi 1465. Vidono 1176. Artuico 1176. Giovanni 1188. Clemente 1192 — 1194. Volrico. 1213. Leonardo 1224 — 1227. Gerardo 1238. Cianciano 1243. Andrea 1249. Bonaccorso 1269 — 1279. Nicolò 1279. Simone 1281. Egidio 1300. Giovanni da Casar- peraco 1301 -1303. Nalichcri© 1308. Giroldo da Parma 1313. Canciano 1334. Natalo DELL'ISTRIA PARENZO 824. Eufrasio nm — 580. mìa 570 — 58«. Giovanni 590. Ratilio 590. Angelo 51)8. Mauro 1 668. Stefano 079. Aureliano 804. Slaurazio 820. Lorenzo 840. Giuliano ttOO. Domenico 880. Antonio 895. Pasino 912. Slaud emoniU 930. Eripcrto 940. Andrea 965. Adamo 98D —1012. Andrea 1013. Sigimbaldo 1029. Engelmaro 1045. Arpo 1050. Orso 1060. Adelmaro 1075. Codolao 1087. Pagano 1104. 11 or nardo 1114. Bertoldo 1120. Ferongo 1131. Badamondo 1146. Vincenzo 1160. Uberto 1175 — 1195. Pietro 1221. Adalperto 1243. Pagano 1249. Giovanni 1254 — 1280. Ottone 1284 — 1289. Bonifacio 1301. Bernardo POLA 501. Vener io 518 — 527. Antonio 546. Isaccio 579. Adriano 590. Massimo 613. Cipriano 649. Potenzio 680. Ciriaco 688. Pietro? 720 — 725. Pietro 804. Teodoro 806. Fortunato , Patriarca di Grado 883. Giovanni 852 — 867. Andegiso 867. forbotto 870. Warnerio 898. Bertoldo o Ber-taldo 932. Giovanni 961 — 965. Gaspaldo o Gerboldo • 997 — 1015. Bertaldo 1031. Giovanni 1060. Megingaudio 1075. Adamante 1106. Eberardo 1118. Ellenardo 1136. Pietro 1149. Anfredo 1150. Warnerio 1154. Rodulfo 4166— U77. Filippo 1180. Pietro 1194. Prodano 1196 — 1200. Giovanni 12.... Roberto 1204. Federico 1210. Folcherio 1218. Giovanni, deposto 1220-1228-1232. Enrico 1237 — 1238. Willelmo 1251. N . . . . 1266. Taddeo 1266. Giulio PEDENA 524. S. Niceforo 546. Teodoro 579. Marciano 679. Ursiniano 804. Lorenzo 975. Fredeberto 1002...... 1015. Stefano 1031. Voldarico 1072. Candianp 1079. Ezzo 1085. Pietro 1136. Gotpoldo 1150. Giovanni 1170. Conrado ■117«. Federico 1180. Pappone 1200. Wizardo? 1200. Federico 1203. Padohe 1238. Vacante 1239. Pietro 1247— 1255. Ottono 1253. Enrico 1263. Vizardo o Arnardo 1275 — 1282. Bernardo 1295. Ulrico TRIESTE IL LITORALE CAPODISTRIÀ CITTANOVA 1323. Gregorio de Luca 1328. Guglielmo Franchi 1320. Avanzo Danieli, da Belluno Vicario 1330. F. Pace da Vedano, lombardo 1342. Francesco Amorino, tirol. 1347. Lodovico della Torre, friulano, poi patriarca d' A-quileja 1350. Antonio Negri, veneziano 1370. Angelo Canopco, da Ghioggia 1383. Enrico de Wil-denstein, carin. 139G. Simone Saltarelli, fiorentino 1408. Giovanni, abbate* di S. Maria di Praglia 1409. F. Nicolò de Car- turis, triestino 1417. F. Giacomo Ar-rigoni 1424. Marino Cernotis, da Arbe 1441. Nicolò de Alde-gardis, triest. 1447. Enea Silvio Pic-colomini, senese poi papa Pio II 1450. Lodov. della Torre 1451. Antonio de Goppo, triestino 1487. Acacio di Sobriac, carintio 1501. Luca conte d v Rinaldi, da Veglia 1501. Pietro de Bonomo, triestino 1540. Claudio Jay gesuita , nominato 1547. Frane. Josephich, da Segua 1303. Lodovico Morosini 1390. Giovanni Loredano 1411. Bartolomeo dei Ricuperati 1411. Cristoforo Zeno 1420. Geremia Pola 1424. F. Martino de Ber-nardis 1428. F. Frane. Biondi Servandi 1448. Paolo, che rinunzia 1448. Gabriele do Gabrieli 1408. Paolo Bagnacavallo 1475. Simone Vosieh già arcivescovo di Patrasso 1482. Giacomo Valaresso 1490. M. Antonio Fosca- rini 1503. Bartolomeo da Sonica 1529. DelTcndo Valvassori, bergara. 1535. Pietro P. Vergerlo 1348. Giovanni Morosini, veneziano 1354. F. Egidio 1357. Simeone Panzani, udinese 1359. F. Guglielmo dei Conti 1302. Giovanni de Grandi, padov. 1300. Marino Miehieli, veneto 1307. Leonardo 1370. F. Nicolò 1377. Ambrogio Tomaso" Filippo? 1380. Pietro da Fano 1382. Paolo da Monte-feretro 1400, Giberto • ,,..... Giovanni Gremon? ! Mili Giovanni Morosini? 1 *U,,C Giovanni da Mon-tona ? 1410. F. Tomaso Paruta 1421. Daniele Scotto 1420. Filippo Paruta 1427. Giovanni Morosini 1432. Giovanni Marcello 1449. Domenico Micheli, patriarca di Grado commendat. 1451. Il B. Lorenzo Giustiniani, patriarca 1450. Matteo Contarmi, patr. 1400. Andrea Condul-mier, patriarca 1404. Gregorio Corraro, patriarca 1465. Francesco Contarmi 1493. Nicolò Donato poi patriarca 1521. F. Ant. Marcello 1528. Francesco cardinal Pisani PARENZO 1305. Bonifacio II 1310 — 1310. Graziai! io 1310. F. Frandus 1325. Domenico 1328 — 1307. Giovanni Sordello, bolognese 1367 — Gilberto Zorzi, ven. 1388 — 1410. F. Giovanni Lombardo veneziano i 41 -2. Faustino Val a rosso, veneziano 1 ì 20. Daniele Scotto , veneziano 1440. Giovanni Moehor, parenlino 1408. Francesco Moro-sini, veneziano 1472. Bartolomeo Bar-barigo, venez. »476; Silvestro Querini, veneziano i 477. Nicolò Franco, padovano 1486. Tomaso 1487. Giov. Ant. Pavaro, bresciano U99. Alvise Tasso, bergamasco ISIG. Girolamo Campc- gio, bolognese ''^33. Lorenzo ■537. Giovanni Campe-gio, bolognese. VESCOVI DELL' ISTRIA POLA 1292. Giovanni 1297. — 1302. Matteo de Castropola 1302. F. Oddone, de Sala, pisano 1304. Guglielmo 1308. F. Oddone Francescano 1328. Antonio 1329. F. Guidone 1331. Sergio da Gattaro 1340. Pietro 1342. F. Grazia 1349 — 1353. Leonardo dei Gagnoli, veneziano 1353. Benedetto 1300 — 1374. Nicolò Foscarini 1383. Guido 1383. Milite 1410. Biagio Molino 1420. F. Tomaso Tornasoli 1424. Francesco dc'Fran-ceschi 1420. Domenico de Lu-cteriis 1451. Mose de Buflarelli 1456. Giovanni Dremane 1457. Placido Pavanello 1483. Michele Orsini, veneto 1497. Giovanni Malipiero 1497. Averoldo Allobel- lo, bresciano 1532. G. B. Vergerlo, capodistriano 1548. Antonio Elio, capodistriano \7>1 PEDENA 1310. Odorisio 1310 - 1318. Enoch 1324. Domitore? 1339. Chiesa vedova 1343. Guglielmo 1343. Amanzio 1344. Stanislao di Cra- covia 1348. Demetrio dei Mata fori 1353. Nicolò Cervicense 1355. Pietro 1374. Lorenzo 1389. F. Paolo dei Con- ti da Urbino 1390. Enrico 1394. F. Andrea Bono da Caorle ■1390. Enrico do WMdé-stein, carintio 1397. F, Paolo de Nò-stero 1417. Giovanni 1418. Gregorio 1427. Nicolò 1430. F. Paolo? 1439. Angelo Cavacia 1443. Pietro Giustiniani 1445. Martino 1403. Corrado 1467. Michele 1468. Pascasio 1490. Giorgio Maningor 1513. Giorgio Slatkoina, carniol. 1524. F. Nicolò Craizer, cari ut. 1525. Giovanni de Bar- bo, triestino TRIESTE 1549. Antonio Pereguez. casigliano 1560. Giovanni de Betta, trentino 15CG. Andrea Bapiccio, triestino 1574. Giacinto Frangipane, friulano 157(1. Nicolò Coret, tridentino 1595. Giovanni Bogari-no, goriziano 1598. Ursino de Bertis, goriziano 1021. Rinaldo Scadiceli io, monfalc. 1632. Pompeo Coronini, goriziano 1546. Antonio de Ma-renzi, triestino 1603. Francesco Mass. Vaccano, goriz. 1672. Giac. Ferdinando Gorizzutti, gor. 1692. Giovanni Francesco Miller, gor. 1721. Giuseppe Antonio Delmestri, gor. 1721. Luca Sartorio Delmestri, goriz. 1740. Giuseppe A. C. Pettazzi, lubian. 1761. Antonio Ferd. C. di Herberstein, stiriano 1775. Francesco Filippo conte d'inzaghi, stiriano 1791. Sigismondo Antonie conte de Ho-chenwart, carn. 1796. Ignazio Gaetano , de Buset, carn. 1821. Antonio Leonar-dis, friulano 1831. Matteo Raunicher, car. 1846. Bartolomeo Legat. IL LITORALE CAPODISTRIA 1550. 1506. 1572. 1576. 1600. 1621. 1630. 1653. 1660. 1684. 1086. 1713 1734. 1747. 1756. 1776. F. Tomaso Stella, veneziano F. Adriano Va-lentico. Antonio Elio, patriarca gerosoli- mitano Giovanni Ingegneri, veneziano F. Girolamo Contarmi, veneto F. Girolamo Ru- sca, pad. Pietro Merari Rabbassare Bonifacio Francesco Zeno, di Candia Pietro Antonio Delfino F. Paolo Naldini, padovano Ant. Maria Conte Borromeo, pad. Agostino C. Brutti, cap. Giovanni Battista Sandi Carlo C Camu-cio da Tolmezzo, Bonifazio da Ponte , veneziano , ultimo CITTANOVA 1530. Giacomo Bonetto, veneziano 1532. Alessandro degli Orsi, bolog. 1561. Matteo Priuli 1565. Alvise Francesco card. Pisani 1570. F. Girolamo Viel- mi 1581. Alessandro Avo- garo 1582. Antonio Saraceno, vicentino 1606. Francesco conte Manin, udin. 1619. Eusebio Caimo, udinese 1641. Giac, Filippo Tom- masini, pad. 1655. Giorgio Darminio, candiotto 1671. Giacomo Conte Bruti Giusfin. 1684. Nicolò Gabrieli, udinese 1717. Daniele Sansoni, veneto 1725. F. Vittorio Max.- zoca 1732. Gasparo de Negri, veneto 1742. Marino Bozzattini, padovano 1754. Stefano Leoni, catarense 1776. Domenico Co. Strafico; zaratino 1784. Antonio Lucovich, da Perzagno 1795. Teodoro Loredano dei conti Baldi, da Veglia, ultimo 1553. 1574. 1598. !608. 1631. 1645. 1667. J 670. PAREZZO Pietro Grilti, bresciano Cesare de Nores, tripolitano Giovanni Lippo-mano, venez. Leonardo Trilioni o, udinese Ruggero Trittonio, udinese Giov. Rat. del Giudice da Cone- gliano Nicolò Conte Caldana, piranese ■ Alessandro Adela-sio, bergamasco VESCOVI DELL'ISTRIA POLA PEDENA 1711. 1717. 1731. 1732. 1778 1827. 1858. Antonio Vaira, Veneto Pietro Grassi, da Chioggia Vincenzo M. Arci v. Mazzoleni Gasparo Negri, veneziano Francesco M. Polesini, monton. Antonio Peteani , goriziano Giorgio Dobriila istriano 1566 1583. 1605. 1618. 1624. 1625. 1627. 1641. 1743. 1662. 1664. 1664. 1680. 1605. 1730. 1732. 1772. 1779. — 1576. Matteo Barbabianca, ca-podistriano Claudio Sozomeno, cipriotto Cornelio Sozomeno, cipriotto Uberto Testa, vicentino Innocenzo Serpa Rodolfo Rodolfi Sforza, pad. Giulio Saraceno, vicentino Marino Badoer, veneto Alvise Marcello , veneto Gasparo Ambrogio Bernardino Cor-niani Eleonoro Pajelio, veneto Gius. Mar. Boi-tari, frinì. Lelio Ettoreo Con-losini, isol. Giov. And. Balbi, da Veglia Franc. M. Polesini, montonese Giov. Dom. Juras da Arbe, ultimo 1548 1550 1563 1570 1570 1600. 1622. 1625, 1632. 103*. 1646. 1662 1067 1670 1671 1687. 1693. 1710, 1741 1707, 1788 Zaccaria Givanicz, raguseo Giovanni Giacomo di Crom-berg F. Daniele Barbò, crem. Giorgio Rautgartier Antonio Zara, a- quilojese Carlo Weinsbor- ger Pompeo Coronini, goriziano Gasparo Bobegk Antonio Marenzi, triestino Fr. Mass. Vaccano, goriz. F. Paolo Janschilz, croato G. Giacomo Dell'Argento, tri est. F. Paolo Budimir, croato Andrea D. Barone Raunocb, car- niol. Giov. Marco. Bar. Rossetti Pietro A. Paola Gauss, fium. Giorgio Fr. Savi Marotti, fium. Giov. Gius. B. Ce-cotti, goriz. Aldrago Aut. de Piccardi , triestino Il vescovado cessa. Verso T 800 arvenno quella gran rivoluzione, ove gli storici di corto vedere non ravvisarono che un'ambizione papale e un donativo dei re franchi. La parte d'Italia che aveva riverito gl'imperatori d'Oriente, e formava la fazione nazionale, erasi stancata della coloro inettitudine; la parte soggetta ai Longobardi abborriva la costoro oppressione e invocava di cambiar dominio. Da qui molti movimenti parziali, che poi scoppiarono nella chiamata do' Franchi. Questi assoggettaronsi i paesi dianzi longobardici: i romani lasciarono al capo della rivoluzione nazionale, cioè al papa, dandovi la forma di donazione s. In questa erano comprese la Venezia è l'Istria0, le quali non vennero però al pontefice; l'Istria ricusò di stare alla donazione; e avendo il vescovo Maurizio voluto ridurla ad effetto nel 779, gli abitanti lo accecano e cacciano 7, e si sottraggono alla dominazione papale, preferendo quella de' Franchi. Carlo Magno, avutala per tal modo, molta parte ne donava ai patriarchi d' Aquileja, perocché ivi non erasi effettuato il supremo cambiamento dell' istituzione dell' impero, cioè la separazione del poter temporale dallo spirituale; poi più specialmente Corrado II nel 1024 al patriarca Popone regalò l'Istria col Friuli. Questa dominazione ecclesiastica modificò lo svolgimento politico di tali paesi i quali, se non arrivarono ad elevarsi in repubblica come i lombardi e i veneti, tennero però esistenza propria, si diedero magistrati e statuti, ebbe anche un parlamento, giacché il patriarca, che non possedeva il paese da cui traeva il titolo, dovette crearsi un popolo, opponendolo alla feudalità guerresca: come alla feudal Cividale opponeva la nuova città di Udine. :> Un auloro che non può essile sospettò, Giuseppe Ferrano (Illstoìre des revolution s d'Italie, Paris 1858, vol. I, pag. Hi), spiega in questo largo modo (al rivoluzione; giustifica appieno la chiamata de' Franchi e la donazione di Pepino e di Carlo Magno. « La philosopliie de l'hisloire s'élòve au-dessus de ce déhat; c'est la revolution toute selila qui a diete le grand aclo de la donatimi: c'est dune elle qui en détérmine les co'n-ditions. L'Italie romaine a marche avee le pape, qui en a eie te hóros; et Ics Franks la lui Hvreut, ne pouvant la lui refuser. Le sens general de l'histoire reclame la donation de toutes Ics terres jadis excoptées du royaume. Rieri de plus |naturel. En polilique on dumie liuijmirs ce qu'on n'a pus. De memo quo le pape olTrait anx Franks le royaume de Didier, les Franks livraient au pape; ton Ics les terres ile J'empercur d'Orioni en Italie, à la condition sous-ontondue (pie les peuples oontinueraient la revolution, ci quils consfi-tueraient lo pape grand dogo du midi... La logiqne à priori transforme l'Italie'limititi imperiale el moitié royale en la nouvelle Italie, moitié. pontificale et moitié francaise ». 6 Inde in Parmam, inde in Regimi, inde in Mantenni el Moiitniisitieis, stmulgùe universum exarcalwn lìavenncv, èieul cmtiguitui [nit, cumprovinelit \'cuciiannn et Istria'. Anastasio Ribliotecario. 7 La lettera LV11 del Codice Carolino porta: « Dum per vestram excellenliam dis-posilus fuit Mauricius episcopo» ut pensione* beali Petri, qu;e in superili» nominato territorio jacehanl, exigeret, el eas nobis dirigere deberet, zelo duoli tam primi idi (inveì, quam ipsi Histrienses ojus oculos eruerunt, propouentes. ci «t quasi ipsum territorium bistfiense vostra' sublimi excelleatite tradere debuisset •. L'ISTRIA SOTTO VENEZIA 441 In faccia all'alto dominio impernile, il paese costituiva un marchesato, con capi elettivi, poi nel 1170 divenne ereditario nelle famiglie degli Sponheim, degli Eppcnsiein, degli Àfodecbs. Questi risedettero ih Germania, di che scapitò l'Istria, ove lo sparpagliato governo de' Comuni mancò d'ogni unità, e in conseguenza tutto andò sossopra. Le gelosie di Pisa e Genova contro Venezia contribuirono a deteriorare vie più, volendo elle impedire che questa s'impossessasse del commercio dell'Adriatico, vie più dacché tanta importanza gli attribuivano le crociate. I patriarchi signori dell'Istria, anch' essi mancavano della forza che rende rispettati, talché i signorotti faceano alto e basso: ma tra questi venivano grandeggiando da una parte la repubblica di Venezia, dall'altra i duchi d'Austria ; e poi a poco a poco si presero questi la parte montana, gli altri lo coste. Attenendoci per ora principalmente a queste, a Venezia si sotloposer nel UoO Pola, Rovigno, Uinago, Muggia, ma non fu soggezione quieta e grandemente ebbero a soffrire nelle guerre che a Venezia portarono i Genovesi, i quaji nel 1379 tennero anche l'intera penisola e la posero a sacco. Né la dominazione dell'Istria fu assodata per Venezia lin al 1420, quando ebbe sottoposto il Friuli e tutto il Litorale, eccetto Trieste e qualche altra terra austriaca. Anche nel 1480 l'Istria fu guasta da Omcr bey turco, dopo eh'ebbe rotto i Veneziani all'Isonzo; poi ancora nel 99: indi nella lega di Cambrai venne corsa da Cristiani poco migliori de' Turchi; più tardi recaronle nuovi guasti gli Uscocchi, annidati a Signa (1(110) ; che d'accordo con Benvenuto Petazzi possessor del castello di San Servolo e capo della gente triestina, corser sopra le terre soggette ai Veneti, e mandandole a fuoco e a sacco. Dalla Signoria di Venezia qui ora inviato un senatore col titolo di podestà o capitano, che sedendo in Capodistria con due consiglieri, esercitava estesa autorità sopra tutti i rappresentanti della provincia, e potea riveder qualunque causa civile e criminale: durava 10 mesi, ne'quali Iacea la visita di tutta la provincia provedendo ai bisogni, e senza spesa de' Comuni, giacché ricevea 200 scudi dalla Serenissima: oltre che n'avea 200 al mese. Un podestà mandavasi pure nelle altre terre, che costituivano diciotto nobili podesterie: Capodistria, Baspo, Parenzo, Cittanova, Muggia, Pirano, Isola, Umago, Rovigno, San Lorenzo, Dignano, Valle, Alhona, Grisignani, Buggie, Montona, Portole. II podestà presedova al consiglio di ciascun paese, perocché tutti conservavano il governo particolare, con un consiglio de'vecchi abitanti e statuti proprj e amministravano i proprj beni, consistenti in acque, 9 Si conoscono gli statuii del Comune di Trieste del MIA e del tiiO'! e OJliO, t»i'2!i: di Parenzo, d' Isola, di Castua, d'Umago, di Portole, di Muggia, di Veglia, di Rovigno, di lllustras. dal L. K. Vol. IL }i7 peschiere, prati, pascoli, dazj, accuse, testatici. Rimandano distretti feudali Barbano, feudo nobile de' Lorodmi, Visinà de' Gfintani, corno S. Vincenti, Piemonte sul Quieto do' Contarmi, Momiano de' Rota. A'cuni bombardieri, pochi cavalli, e mille ceroide di plebei e contadini era tutta la forza della penisola. Al veder d'oggi, questo frequente mutar de1 magistrati dovea nuocere: eppure il vescovo Tummasini, cercando i rimedj al contìnuo deperire del paese, propone, giusta le idee economiche d'allora, di accrescerne la popolazione e di inlrodur ne' consigli anche la gerite nuova, e di mutar il cancelliere ogni sei mesi, e in niun modo lasciarlo più d'un anno, giacché questi impiegali, quanto peggiori, tanto son più cari ai rettori, * che non pensano nitro clic trovar occasione di rubare e portar a Venezia; anzi vorrebb ro portarle stesse muraglie e terre, nonché legno, olj, farine, vino, sale, carne, e tante altre regalie, che non è immaginabile in quale slato si trovi questa povera ed afflitta provincia. » Il qual Giacomo Filippo Tomasini, nato a Padova il 1595 e morto vescovo di Cillanova nel 1654, ci lasciò un interessante ragguaglio del paese, qual era libicamente e moralmente all'età sua, e da cui estrarremo, assai accorciando, alcune cose che ci pajono dover allettare. Tre generazioni di gente, a dir suo, popolavano l'Istria: Gli Sdiiaeoni o Siati venuti dalla Dalmazia e dall'Illirico, popoli robusti, agricoli, la cui lingua è comune no' paesi fra terra. Invasero essi l'Istria nel 1)96, e distrussero Parenzo. I Carni, indusiriosi, massime a lavorar grossi pannilani, e da scarpel-lini, fabbri, sartori, ligliapielre, magnani: onde stan'nelle terre grosse. Vi si uniscono molli Friulani, parte de' quali non fa che venire ne' tempi di maggior lavoro. I Grudensi, tutti pescatori e marinaj, sono sparsi su tutta la costa: par-lan un veneziano mozzo ed amm la quiete. Gli Albanesi, venuti dalle terre occupate dal Turco, con molte esenzioni dai Veneziani, e massime ne' lerrilorj di Parenzo e Pola. I natii sono un misto di stranieri, principalmente d'Italiani. Molti Morlacchi vi giunsero dalle terre molestate dal Turco, ma son ladri e facinorosi. II vestire e le abitudini somigliano alle venete, e cosi le abitazioni, ma anguste, senza condotti por le immondezze, e pochi ornamenti, bensì parsimonia e semplicità. Poca gioventù va fuori a studiare, benché a Capodistria ed anche a Muggia e Pirano sogliono mandarsi a studio an- Capodistria, tli Pola, di Buje, di Cillanova, di Pirano; molti ancora inediti, e alcuni re-ceateinenle pubblicati dal Kandicr. COSTUMANZE 443 che a spese pubbliche. Belli «li persona, amorevoli, spiritosi, massaj ne* luoghi popolosi, negli altri son roz/.i, vestiti da barbari, ignoranti, pigri. Attendono all'economia della casa e dei campi, o ai traffici e governi pubblici. « La gente bassa è più atta alle fatiche che alle cose dell'ingegno, qual non sanno adoperare nelle arti loro rurali, non che nelle meccaniche, e puossi verificare il grosso loro sapere nei carri col resto della boaria. Nella provincia pochi sono i falegnami, muratori e fabbri, non alcun pittore, nò chi sappia accomodar gli orologi, ovvcr qualche ingegnoso arlelice. * Si applicano per lo più ai terreni, vestendo da barbari, benché non lo siano di costumi, essendo di buon cuore ed amorevoli, dando volentieri da mangiare e bere sin che ne hanno, anzi sforzando al accettare chi va alle lore stanze, e dimostrandosi, sopralutlo coi sacerdoti, assai caritatevoli. Non si dilettano della piantagione d'arbori fruttiferi, né hanno orli con insalate, fuorché il verzo e la scalogna (nivali e cipolle), che mangiano nell'estate, ma tutta la sua applicazione è nel governar le vigne, piantandone di nuove, e lavorando intorno agli ulivi. Rustiche sono le lor case, e quelle di campagna sembrano piuttosto tugurj d'animali. Dormono per consueto sui pavimenti e sopra la paglia, l'inverno intorno al fuoco, ed altri hanno filiere di legno mal fatte, e con paglia; ado-prano di raro mater ssi di lana, senza lenzuola, riposando entro le loro coltri, e per lo più mezzo vestiti. Mangiano in vasi di legno e qualche piatto di terra, cuociono le carni in pentole nere, che si fanno in Carna; sono assai golosi e tutti amici del vino, ponendo in esso tutte le loro delizie. Bevono in boccali bianchi di Romagna, chiamati boccalone. Quando danno da bere incominciano prima loro, porgendo poi la boccalelta all'altro; hanno qualche bicchiere di vetro o cristallo per regalar le persone civili. « Quanto al loro vivere, mangiano pano di formentosin che ne hanno, avendone assai poco, e al quale suppliscono con quello di segala, d'urzo, di pira, di sorgo e saranno, facendo li pani rotondi. Allevano molli animali porcini, dei quali salate lo carni, no fanno lor cibo; usano anche cosi dei bovi e vacche che ammazzano l'inverno per servirsene l'estate. Qum.lo avvi delle ghiande nel paese allevano degli animali, che poi vendono ai marinari con molto utile, chiamando il majale filosofo, e tengono caro il suo lardo, ed Ogni altra cosa per lo cibo; firmo li prosciutti senza lardo con la sola carne, cori poca fregagione di sale, e molti stimati. La carne di man/.o e vacca vien: seccata al fumo; mangiano assai latte, e non sanno far formaggio né burro che stii bene. Allevano animali bovini, vacche e pecore. Le donne filano la lana per far rasse e grisi per le loro famiglie ».. Egli segue esponendo la strana loro medicina, nò omeopatica, nò dia-tesiaca, nò conlrostimolante. Per la punta mangian tre grani d'incenso bianco, arrostiti entro un pomo. Bevono decotti con un cucchiaie su cui è scritto Verbam Caro ecc. Pel morso del can rabbioso scgnansi colla chiave di san Bellino: pel mal di denti vi applicano una carta col versetto Et stetti Pltinces et placavit et cessava quassalio : per la febbre si fan fare dal parroco un polizzino, dov'è scritto il nome di Gesù e Maria e d'alcuni santi. E molt'allre superstizioni vi dominano: mai non bevono col lume in mano, perchè credono che il vino inacetisca: quando si maritano, non tengonsi addosso alcun nodo, e fin le scarpe portano sciolte, per paura dei lacrglima, cioè slrcgamonti ; han parole per trovare cose perdute o chiamare persone lontano: liberano dai vermi un animale anche senza vederlo, col piegare un certo spino a terra, mettendovi sopra pietre, mentre dicono, « Spino, io non ti voglio lasciar fin che non scacci i vermi del tal ». Delle malattie alquanto lunghe dan colpa alla fata o bella donna , sicché mandan una scarpa o la cintura dell' infermo a donne vecchie, che van a gittar nell'acqua carboni accesi, nominando per ciascuno una malattia, e quel che fa più rumore è la malattia di esso. Le donno son piuttosto belle e di buono spirito, e timorate di Dio. « Comunemente gli uomini civili non tengono le mogli in molla delizia, e di raro le danno governi assoluti della casa; riservate ai domestici servizj e noli' allevare i figliuoli, le resta poco tempo a far biancherie, ed a ciò s'aggiunge la penuria del lino; servendosi poi delle tele del Friuli, e della Carnia che por onesto prez/.o si comprano. « Quanto al vestire, a Valle, Dignano e tutta la Polesana, le donne civili hanno abili simili a quei delle monache; rasse negre, con cinture di corame nero, che chiamano bruna, e veli in testa , e le vedove in particolare portano sopra la fronte una benda, di modo che copra li capelli. Questo, come anco le maritate, usano neh'andar alla chiesa di coprir il capo con una cappa nera di scotto, non già le zitelle se non in occasione di duolo. Alle feste però ed in occasione di nozze ed altre allegrezze compariscono le. più comode con belle vesti di panni scarlati, pavonazzi ed altri colori" ed altra sorte di lane sottili. Gli abiti di seta non sono mollo in uso, eccetto che nelle maniche, le quali si adornano con bottoni d'argento lavorati alla perugina. Vanno in queste occasioni cinte con bellissime cinture; specialmente adornano la testa con concieri di seta, seminati con copia di aghi d1 argento semplice, ovver indorato. L'uso di portar la veste nera in capo è comune in tutti i luoghi, anco nelle civili di qua dal mare ; ma la vanno dismettendo. Le donne delle ville, che la maggior parte sono slave, rappresentano più gli antichi COSTUMANZE MS costumi del paese. Sono di robusto temperamento, applicate alla cultura dei terreni non meno che gli uomini e al governo degli animali ; cosi riescono selvatiche, barbare, lorde, e prive d'ogni buon costume, sin da giovanetto andando dietro agli animali ed ai carri. Vivono in capanne rozzamente fabbricalo, esposte alle intemperie senza niuna polizia. Portano camicia* ben grossa increspata al collo, e le più comodo l'hanno intorno al collo, ed avanti circa mezzo palmo, sopra una veste di griso del color della lana lui ga sin ai piedi, con le maniche strette, aperta davanti per lungo, la quale allacciano intorno al petto, e poi con una cintura di panno si cingono. Sotto questa all' incontro hanno una pelliccia di agnelli senza coperta. Portano in capo un fasciolo involto in modo che copra tutti i capelli e le orecchie, e non fanno pompa di pettinature od altra leggiadria femminile; hanno un turbante, e lo portan in casa e fuori, nè mai se Io cavano se non per qualche necessità; sarebbe grand' ingiuria per esse che lor si gettasse di capo , o vi è rigorosa pena nelli statuti delle città. Allevano i figliuoli rozzamente, dormono sopra la paglia, e vivono assai castamente, massimo nelle ville ove non vi siano case di cittadini che le possano corrompere. Applicano a filar il canape, e qualche poco di lino e lane, con le quali fanno li grisi per vestire sè stesse e la famiglia. Portano in dito un anello matrimoniale di argento. L'estate hanno una veste bianca, e massime le giovani s'adornano, andando alle chiese e sagre, più che possono, trovandosene di queste di bellissimo sangue. « Gli sposalizj dei gentiluomini della provincia sono assai comuni con quelli della Lombardia. Fatto il matrimonio in chiesa tutti li convitati vanno a far offerta al pievano, il qual uso si va dismettendo con farsi sovente li sposalizj in casa; ed in molti castelli, invece di darla al pievano, li convitati la danno alla sposa; se sono persone di più bassa condizione, la raccoglie nel grembiale, ed ò prima il pievano poi lo sposo e gli altri a far P offerta, e chi le dona denari, altri roba, come fazzoletti, fascioli, conforme la sua possibilità. Li nobili mal volentieri s'imparentano con la plebe e specialmente in Capodistria ove di quelli n' è maggior numero, e chiamano il basso popolo porcolani. « Quanto alla dote, per consueto quei di mediocre condizione civile le danno 500 ducati , e lo maggiori e rare sono di duo, tre, ovver quattromila ducali al più, e fanno il contratto come in Lombardia. Altri non danno dote allo loro figliuole, ma solo lo vestono, e i loro vestimenti sono stimati nel contratto; poi morto il padre, la figliuola ha la sua porzione netta facoltà con gli altri fratelli. Usano anco in alcuni luoghi, specialmente a Dignano, che li padri consegnano alti giovani lor figliuoli tanto quanto di dote della sposa vien a loro data. « Fra plebei e rurali si maritano a fratello e sorella, ch'è a dire che, portando la donna o molta o poca roba, nei casi di morte questa si riduce a cumulo con la facoltà del marito, dividendo il tutto per giusta metà tra chi sopravvive e gli erodi di chi muore, onde ne nasce che, passando i beni a diverse donno che si maritano in altri paesi, le caso con li terreni del primo marito vanno in precipizio, e perciò in tutta la provincia so né vedono di queste per le campagne e per li monti, e li figliuoli, se sono molti, restano poveri, non avendo che la metà della roba del padre. t Invece di conlradote usano un donativo detto il pie di scala, perchè si contratta a piò della scala nell'entrar che fa la sposa in casa del marito. « Por gli sponsali, li parenti ed amici d'ambi gli sposi, invitati il giorno dello nozze, vanno a levar la sposa con lo sposo, e li accompagnano alla chiesa, nella qual andata suol esser condotta la sposa da] fratello dello sposo, se ne ha, se no un dei più prosami suoi parenti, il qual chiamano il dencr, e questo ha cura della sposa sin che durano le feste nuziali. Udita la messa, ed a suo luogo fallo lo sposalizio e benedizione nuziale dal parroco, qual nel benedirli usa le cerimonie del rituale, e dicendo le parole ego coujungo vos, eie, mentre invoglie la stola intorno le mani degli sposi in atto di legarli, sogliono alcuni molleggiar dicendo, Legateli bene .La sposa, nello uscir di chiesa, spezza alquanti buzzola i di farina banca , e li getta intorno, li quali vengono ila II i gio ani che sono seco con molta furia raccolti, e chiamano quest'azione fonìa rufa; accomp guano poi a casa della sposa, dove, lino che si prepara il desinare, danzano a suono di pilTeri, chitarra e violino; e sonatori neh andar e tornar dalla chiesa, sonando precedono la sposa. Sodono a tavola gli sposi un dirimpetto all'altro, e poi il compare dell'anello, e fanno molti brindisi in salute degli sposi e loro parenti, e cosi del prete, che fanno seder nel luogo più degno, e questo bever tanto chiamano sdravizze. Levate le mense, tornano a danzare; propala la merenda tornano di nuovo a mangiare e bere, e nel line di questo colui che ha cura deda tavola, ch'essi chiamino il compire delle nozze, fa un breve discorso nel loro linguaggio, ed esorta li convitati a donare qualche cosa alla sposa, e posto so[ ra la tavola un bacile, ognuno vi getta denari conforme la sua possibilità, e la sposa il lutto salva , rendendo grazie ; poi nello stesso modo raccomandano la mancia ai sonatori che, durante io star a tavola, sempre suonano e cantano, e raccolgono anche qu 'sta nel bacile. « Fatto questo, si suol condurre la Sposa a casa d d marito; si mettono in via con gridi, canti e suoni, ed avvicinatasi alla casa, la gioventù colle spade ignudo attraversano la p irta, che niun può entrare, e questi sono spezialmente li parenti della sposa ; quivi i.l padre dello sposo, e in sua mancanza la madre, se vuol clfentrino in casa, convien prometter un do- COSTUMANZE 447 nativo alla novizia: questo dono è di fargli un abito, o di qualche prezzo di vigna o campo, e tal dono chiamarli) in lingua luro la naranza, e vien posseduto sempre dalla donna, anzi è suo ben privilegialo. Esibito il donativo, aperta la porta , uno porge una Lazza di vino alla sposa, entro la quale vi è una piccola moneta d'argento, ed il padre o la madre dello sposo dimandano alla nuora di chi! faccia più stima, del latte o dell'onore, ed essi rispondono: « E cosi noi con 1' onore vi riceviamo ». Allora la sposa che ha il nappo in mano, lo porge a quel padre o madre che le fa un brindisi, e bevuto il vino che rosta, getta la tazza colla moneta dietro le spalle, che in un trillo vien raccolta dalla gioventù, e chi la trova ne fa gran festa. In altri luoghi, chi porge la tazza di vino alla sposa, u>a a dimandarle: « Che cosa è qui dentro? » ed ella risponde, « Pace ed amore », e ciò replicano tre volte, e poi ne gusta un poco, e dice, « Con paco ed amore vi accettiamo »; e dato il resto alla sposa, che ne beve o tutto o parto come lo piace, getta poi la tazza col resto dietro lo spalle, e fa li complimenti con li parenti abbracciandosi e baciandosi. Uso antico dei Greci, che ancora in Candia dura, di far che gli sposi bevano in uno stesso bicchiere, quale poi spezzano. « Entrati in casa si cena, e di nuovo si torna a danzare sin P ora del dormire, che, licenziata la compagnia, dal padre o madre dello sposo, son condotti i giovani alla loro camera, ma avanti vadiuo a letto gli portano da mangiar un pollo allesso, pane e vino, di che gustato a lor piacere, vanno a consumar il santo matrimonio. In alcuni luoghi non vanno a dormir insieme questa prima notte, ma la sposa si pone a sedere, e d'intorno le giovanelte sue parenti e coetanee le fanno alcuni lamenti, come lor rincresca eh' ella si levi dal consorzio di esso per diventar donna; intanto lo sposo con le donne, e con li uomini stan a sollazzo, in danze e gridi che dicono essi bagordar, e se pur vanno insieme, usano star per poco spazio della notte. t La mattina per tempo vanno i convitati alla camera a destar gli sposi co'suoni di pilferi, violini e chitarre, e levati tutti di compagnia con molta festa vanno ad udir la messa, dopo la quale cosi vanno festeggiando intorno qualche cisterna o fonte, ed ivi fanno varj giuochi e danze con una cerimonia di bagnarsi con quell'acqua scambievolmente. Finita questa, s'inviano a casa dello sposo, che procura di correr prima, e la gioventù lo segue ; e se lo prendono avanti 1' arrivo suo a casa, esso è obbligato a dar loro un quarto di castrato, mezzo secchio di vino, e dodici buzzolati. Questa cerimonia di fuggire anco la sposa la fa in tal modo; si destinano da essi giovani custodi con le spade, e so questi stan inlenti alle danze , sicché la giovane abbia campo di fuggire e ridursi alla casa paterna o d'altri suoi parenti prima che P arrivino, sono i custodi o guardiani tenuti a pagarle un bel pajo di scarpe. Cosi mangiano e ballano due o tre giorni, conforme la possibilità degli sposi, alla quale suppliscono molto i convitati che a tali solennità sogliono portar mollo cose da mangiare, e vogliono portar via sempre poi qualche cose delle nozze, cioè buzzolati e cose simili quando si licenziano. « Si usa dar un anello d'oro; ma in Isola, terra molto ben abitata e di bonissima aria, era uso già cent' anni che si sposava la giovane con un anello di paglia; cosi riferisce Pietro Coppo nella Storia della provincia, deW Istria, e con questo esempio commiserando la povertà della provincia la liberò da certa imposizione, che le voleva far pagare il doge di Venezia. « Solevano li mariti e mogli far d'accordo un solo testamento, secondo l'antico statuto municipale; or, per un giudizio contraddittorio seguito già treni'anni, hanno tralascialo di fare, temendo della sua validità. « I figli appena nati lavan nell'acqua fredda, e ciascuno è allattato dalla madre; e quanti'abbia un mese, invitassi parenti ed amici per tagliargli quei primi capelli, con ovazioni e festa. Aman il ballo, e in quel «lolla verdura ornansi il capo di fronde e aranci, e intrecciali una danza, che somiglia a quella di Teseo pel labirinto. Il ballo della coda, il ballo del bore, del pugnale, dell'oca, meritano esser letti dai curiosi: e ballavasi in tutte lo sagre, e lutto (assicura il vescovo) senza malizia e con purità: anzi, se alcun giovane stringesse un poco soverchiamente la mano ad alcuna, essa gli dà una buona guanciata ». Aggiungansi giostre, e correr l'anello e alla quintana, e il Corpus Domini e il maggio, o tirar il collo all'oca e far regate. Pei morti suol farsi il pianto dai parenti e da persone stipendiate: le persone civili slan in casa selle giorni poi escono vestiti di corruccio coi mantelli lunghi, e per un anno tenendo spoglie le mura delle camere, serrate le linostre verso il pubblico. Nei luoghi dove uno fu ammazzato gettano molli sassi, e ognuno che passa ne getta uno. Le donne de' contadini strappansi i capelli, e li pongono in seno al morto marito |0. 10 Marc'Antonio Nicolelli, cinquecentista, che scrisse de' Costumi eleggi antiche de' Friulani sodu i patriarchi d' ìqndeja , dice che i Friulani, nella deposizione de' toro ■ 11 Tini I ì, e d'anno in anno alle quattro tempora, portavano ai sepolcri pane e vino, e dopo devote preghiere pei defunti, si mangiava e beveva. Tale consuetudine è antichissima, c sant'Ambrogio (de Idia et jejunio c. t7) dice che usavasi portar viso e bicchieri sulle tombe de' martiri, e deplora la stoltezza di quelli che credevano sacrifizio l'ubriacarsi. Nei necrologi più volte son indiente od ordinate queste libazioni pei morti e, stando ai paesi di cui discorriamo, il patriarca (iasione nel L100 d'dit capitalo unum marciumi prò annirersario faciendo cani vino et obla'ione; nel \7M un Egidio medico ordina ut in suo anniversario propinenlur boi,i rubiolì (lavinoli, o riboia T) domini* in capitalo; e nel Itti un cappellano d'esso patriarca investì robe ad hoc ut in aiugulis annis fiatejus (del patriarca) unniversaritun incappella sancii Ambrosi! super tumulimi bomv memoria' domini patriarchio Raimondi rum vino et oblalione. CONDIZIONE SOTTO VENEZIA 449 E mi duole che la discrezione mi tolgo di dare maggior copia di tali notizie cosi caratteristiche; e viepiù che non si trovi chi ne raccolga altrettante delle moderne. Orride pesti, principalmente al fin del XVI e al principio del XVII secolo, resero più spopolata l'Istria, e tolscr il coraggio. Allora crollarono le case, infeste erbe crebbero per le vie; le acque nelle cisterne imputridirono, guastaronsi gli acquedotti e le fogne; tutto fu ruina e abbandono. Le poche famiglie restringeansi sotto tetti mal costrutti, ivi raccogliendo e la cava e la stalla e il granajo; e dicevano, « Casa quanto può istare, campi quanti puoi vedere », non curando procacciare per l'avvenire, anche troppo parendo il pensare al giorno d'oggi. Qualche vescovo cercava destarli da quell'accidia, ma sprecavano i consigli: tra T insatolalata fame nasccano, viveano, morivano corno aveano fatto i lor padri, come farebbero i loro figliuoli. Tutlociò non potava che immalsanire l'aria, tanto più che si estendevano, per le ragioni altrove divisate, le paludi dal Timavo a Ravenna. Quindi tristissima fama acquistò P aria dei paesi fra i Capi Salvore e Promontore. In fatto ivi regnano l'ebbri periodiche, ed anche in altri paesi e a Trieste stessa, alimentate dalle copiose guazze che cadono dopo il tramonto, e che sole possono mantenere, sull'arida costa, una succosissima vegetazione. Certo è sentitissima la differenza tra i montanari e i pianigiani, quanta può essere fra mandriani e marinaj. Questi ultimi sono arditissimi^ degli altri anche dalle montagne del Carnio e della Carintia scendono molti a svernar nel piano. Sale, olj, vini sono i prodotti principali, ma il terreno calcare, petroso e secco non dà grani bastanti al mantenimento. De' vini, oltre il rinomato prosecco, lodano i terrani, i refoschi, le ribolle, i i moscati detti liquori, il vino di rosa, cosi chiamato dall'odore. Bei boschi frondeggiavano un tempo, e singolarmente quel di Montona serviva di bellissimi legnami l'arsenale di Venezia. Abbondano le saline, cavansi moltissime pietre da fabbrica, e molto si profitta della pesca. Si lodi quanto si vuole il governo interno di Venezia, ne' paesi sud-d \ti era tutt'altro che provido, e già n'avemmo'cenno. V'ebbe procuratori lodevolissimi, ve n' ebbe d'ingordi e nuli' altro. Le terre erano possedute da signori che cercavan il frutto, non il meglio della classe più povera. « Li contadini, dice il Tommasini, sono «rozzi per la loro povertà, e per una naturai loro pigrizia. 11 loro vestire accompagna la loro naturalezza. Usano la lingua slava ed hanno abitazioni povere e ristrette, e sembrano le ville piuttosto ridotti di deboli capanne, che abitazioni perma nenti. La miseria del contadino è non aver pane, e s'indebita venden 1 Itlustraz. del L. V. Vol. II. . i>8 il vino avanti sia raccolta l'uva, e convenendogli bever Pacqua e mangiar misture pessime che gli troncano la vita, e lo tergono in miseria. E perché il territorio ha pochi popoli, perciò non vi ò copia di armenti, cosi agnelli e lane. La povertà di questo territorio nasce anco, eh' essendo le ville di varj cittadini e nobili della città, cioè padroni di scuotere le decime e vigesime de' grani, biade e vini, quanto sono signori tanto sono loro nemici, che gli levano le sostanze con voler che paghino grandi; e cento altre angario compassionevoli, e pur sono tutti feudi graziosi datigli da1 vescovi o dal patriarca. Kè li poveri perii loro debolezza possono opporsi. Essi moltiplicano i mansi e gli aggravi sino air ultimo esterminio de villaggi. Del che io ne conterei varj casi, se non credessi di offender alcuni pochi buoni e rari », Così, colle vicende che toccheremo nel parlar de' singoli paesi, arriviamo sin al risorgimento che tentarono gli arciduchi d'Austria allo scorcio secolo passato: Maria Teresa principalmente procurò favorirvi l'agricoltura, e nel 177G ben 12 mila campi di palude attorno ad Aquileja furono sanati. Cominciò poi quella lotta, dove l'insaziabile ambizione del vincitore e l'implacabile dispetto dei vinti fe spargere più sangue che in niun secolo mai. Strozzata la repubblica veneta, l'Istria toccò, pel trattato di Campoformio, all' Austria: ma la riperdette dopo la campagna del 4805. Formata in dipartimento che ebbj nome d'Istria, fu aggregata al regno d'Italia. Nel 1807 convenienze di governi fecero scambiare Monfalcone con Aquileja, che incorporata al dipartimento dell'Adriatico, fu capoluogo dell'un-decimo cantone, soggetto al distretto San Dona, e bel quale erano anche Grado, Barbana e altri. Gradisca e quanto stava a ponente dell'Isonzo fu aggregato al dipartimento del Passeiiano, il filone dell'Isonzo segnando il conline fra i due Slati. Dopo le fazioni del 1809, per la pace di Schònbrunn costituivansi le Provincie Illiriche, nelle quali entravano Gorizia con Trieste, l'Istria e Fiume, avendo por capitale Lubiana, e governatore il generale Marmont. Esso le trattò come sogliono i governi militari, poi gli successero Bertrand, Junot, Fouchè. Le Provincie Illiriche erano un' aggregazione di paesi, differenti fra loro per clima, lingua, natura delle popolazioni, insomma per tutte le circostanze che distinguono i popoli. Così riflette Marmont, il quale, mentre ne fu governatore, fece armar tutte le città litorali: quaranta cannoni a.Pola, e disposti all'uopo i guardacoste nazionali. « In nessun luogo (scrive egli) ho visto mai una guardia nazionale sì degna d' esser paragonata alle truppe di linea. Degli uomini si può fare quel che si vuole, tutto sta nel modo di mettercisi; e se non si riesce, il torlo ò dell'autorità. Da Trieste a Fiume organizzai un corpo IL DOMINIO FRANCESE SS* di 2500 uomini, clic serviva a meraviglia, costava un'inezia e m'assicurava di quelle costa ». Soggiunge come potè liberar l'Istria da una banda di almen I5'0 briganti, stanziata tra Rovigno e Pola, introdottasi fin dal tempo della repubblica, e talmente terribile, che nessuno sarebbe uscito di città senza essersi prima patteggiato con costoro. In tre settimane egli ne finì la caccia, e sessanta e più furon presi ed impiccati sul luogoI Procurò trarre per terra a Trieste il cotono, proveniente dalla Turchia e destinato alle manifatture di Francia, essendo impedito il mare: ma sotto quell'amministrazione d'infaustissima ricordanza non poterono che peggiorare e l'industria ed il commercio. Nella nuova organizzazione del 1811, Trieste divenne capitale della provincia dell'Istria. Questa allora trova vasi ripartila cosi: COMUNI. Capodistria con Decani, Antignano, Monte, Bossamarin, Ga-son, Sergassi, Concerni, Vilisan sino al Fiumicino e Bossamarin, Pobeghi, Casari, Bertocchi con i Concerni di Risano sino al Fiumicino, Maresego, Centora, Villanova, Castclbona, Puzzole, Plagnave, Lonchc, Bosovizza, Popec-chio, Ivanigrad, Covedo^ Gracischie , Cristoglia, Villadol, S. Antonio, Lopar, Boste, Geme, Rachitovich, Gradigna, Topolavaz, Cucibrech, Sterna, Cuherlon, Vcrgnach, Borda, Britz, Momiano, Sorbar, Merischie, Oscurus, Carcauzze, Paugnan, Manzan, Rcsariol, Xaxid, Valmovrasa e Figarola. Isola con Corte d'Isola e contrade annesse, Padena, Albuz- zan e S. Pietro della Amata. Muggia con Valle ed Oltra, Monti, Plavia, Badica, Slramar, Scoflìe, Ancaran, Caresana, Ospo e Gabróvizza. Pirano con le valli di Sicciòle e Strugnan. Buie con Crassiza, Tribano, Carselte, Castel-Venere, Gadcre, § 1 Vuchi, Montrin e Carso. Grisignana con Villanova, Piemonte e Castagna. Ciltanova con Vertencglio. Omago e circondario con Matcrada, Petrovia, Villania, S. Lorenzo in Daila, S. Giovanni del Corneto e Pieve di Salvore. Parenzo con Majo, Varvari, ViUanova, Sbandati, Dracevaz, Monsalisc, Valcarino, Foscolino, Giascnovizza, Chirmignach, Monghebo, S. Servolo, Torre, Abroga e Fratta. Montona con Bcrcaz, Raccotole, Moncitlà, Caroiba, S. Vida!, Corion, Novacco/Caldier, Zumesco, S. Giovanni di Sterna, Rapa vel e Montreo. Visinada con Castellier , Rosariol, Visignan , Mondelebotte, S. Domenica e S. Michele sotto terra. Orsera con Fontane, ViUanova, Pertinacci, Lerao, Delich, Prodanich, Giroldia, S. Lorenzo, Cattuni e Mompadcrno. Pinguente con S. Dona, S. Martino, S. Domenica. S. Spirito, Slerpét, Mlum, Ognissanti, Podgach, Prugne, S. Giovanni Strana, Rozzo, Colmo, Draguch, Verdi, Sovignacco, La-nischie, Podgacchie, Prapodchie, Crof)ignacco, Klenoschiacb, Brest, Slum, Dane, Terstcnico, Racevaz, Raspo, Bergodaz, Pietrapelosa, Racizze, Segnac, Ccrnizza, Codoglie, Pregara, Salise, Socerga, Nugla, Grimalda e Marcenigla. Portole con l'attuale suo circondario, Cepich, Sdregna, Mlum e Sovischinc. =3 bc c o .§> o 05 G bc «s c o Ai Rovigno con la villa di Rovigno. Valle. S. Vincenti con Due-Castelli Dignano con Roveria e Filippan. Pola con Pcroi, Stignano, Pomer, Proraontorc, Medolin, Li- signan', Sissano, Altura, Laverigo, Galesano, Montichio, Cavrano e Fasana. Barhana con Porgnana e case sparse, Saini e case sparse, Bellavich e case sparse, Marzana, Carnizza, Momorano, Caslelnovo e Prostimo. Albona con S. Lorenzo diramato nelle tre contrade Produ- baz, Poglio, Ragozzana, e S. Lucia diramata nelle contrade Schitazza, Montagnana e Portolongo. Fianona con S. Martin diramato nelle tre contrade Vettua. Cere, Cugn, e S. Domenica diramata nelle contrade, Du- brova e Ripenda. Caduto il tiranno (come si diceva nello stil d'allora) per gli avvenimenti del 1814, si ripristinarono le giurisdizioni centrali come prima dell'occupazione e i diritti di patronato, il nesso di sudditela, le superiorità feudali, e abolito il sistema municipale. SOTTO GLI AUSTRIACI 453 Ristabilito il governo Illirico, la provincia del Litorale ebbe capoluogo Trieste, cui eran uniti i distretti, già goriziani, di Monastero, Monlalcone, Duino, Schwarzeneg. Poi nel 1822 dal governo del Litorale staccavasi Fiume restituendolo all'Ungheria: nel 25 i distretti di Sesana, Duino, Monlalcone, Monastero staccavansi dal Circolo di Trieste, e aggregavansi a quel di Gorizia. Seguirono nuovi rimpasti, finché nel 1847 trovavansi tali la superficie e Pestimo del paese: Superficie censuaria dell'Istria e de"* suoi distretti in jugeri e klafter, sapendosi che lo jugero è ICOO tese viennesi quadrate, e la tesa viennese è metro I. 896614. La slima dell'annuo prodotto è in fiorini CIRCOLO DELL'ISTRIA. Numero Distretti Stima Superficie dei censiti Albona ..... 43636 42625,1069 2509 »« Bellai..... 36796 44736, '932 2370 Buie...... H 4766 46271,1429 3977 Capodistria . . . il6837 53949, 186 10814 Castelnuovo , . , 763H 93689,1301 3992 Cherso..... 46333 79010, 298 4496 Dignano .... 91148 68093,1536 4478 Lossino..... 12099- 9754, 512 2909 Montona .... H 7741 54203,1004 4675 Parenzo..... 1 00142 37448. 272 2524 Pinguente .... 66252 59;00,1351 4069 Pirano..... 80981 18897,1376 3493 Pisino..... 100149 72264,1174 4686 Rovigno..... 63502 27536, 653 2633 Pola...... 55802 38714, 907 3032 Veglia . . . . . 56642 74437, 747 9114 Volosca..... 37770 38725,1524 6627 • 1217547 859764,371 76404 Il Secondo le nuove ripartizioni, che poco mutano delle antiche, Pellai o il territorio ne fu attribuito parte ad Albona, parte a Piiniucnte, parte a Pisino. Nota che questi Comuni sono catastali, coi quali si composero i Comuni amministrativi non ancora stabili. DISTRETTO DI BUJE. Superficie Slima censuaria Buje........ 3512. 839 16578. 30 Momiano....... 2115. 282 4171. 57 Mersichie...... 1195. 809 2247. 23 Berda con Sorbar. . . . 1774.1255 2215.16 Crassi/a....... 2567. 906 5879. 28 Tribano....... 616. 749 1041. 32 Carsctte....... 1855. 245 3143. 56 Grisignana...... 4536. 951 9157. 54 Villanova....... 2473. 1519 4647. 52 Piemonte...... 2862. 1315 6012. 11 Castagna....... 681. 442 1568. 20 Sterna....... 1857. 1371 1812. 42 Cuberton...... 1499. 469 1658. 20 Umago....... 5608. 106 14840. 51 Petronia....... 1121. 979 4775. 47 S. Lorenzo...... 2415. 214 5159. 58 Materada....... 1627. 972 S351. 41 Cittanova...... 3886. 54 12459. 38 Verteneglio....... 4064. 752 12043. 3 Somma..... 46271. 1429 114766. 19 DISTRETTO DI ALBON'A. Abbona.....: . 1715. 73 4174. 42 Bergot....... 3822. 317 4115. 12 Cerovizza...... 5831. 13 2741. 31 Chernenizza..... 3541. 1127 2212. 17 Vlaccovo....... 3372. 718 2860. 53 Fianona....... 5655. 1141 4800. 4 Cerreto.....' . . 2635. 911 3815. 17 Cugn........ 2809. 22 3124. 44 S. Domenica . . ■ > . . 1753. 686 2838. 32 Dubrova (bosco) .... 1840. 15 3125. 1 Ripenda....... 3942. 296 2878. 31 Vetta»....... 2632. 1231 4064. 49 'Bersez....... 1548. 426 1433. 54 *S. Martina...... 1526. 493 1461. 16 Somma..... 42625. 1069 43646. 47 * Appartengono ora al distretto di Yolosca. Superfìcie Stima censunria 829. 1013 1406. 58 S. Antonio..... . 1232. 1418 2280. — Boste. ...... . 163«. 845 2614. 22 1098. 1279 3742. 5 Capoilistria..... 71. 1072 306. 47 1841. 368 3303. 40 2194. 944 2647. 4 1112. 113 1215. 42 971. 1423 3940. 1 633. 1457 1890. 36 Lazareto o Risano .. . . 6339. 1185 25181. 17 811. 1448 1169. 6 1862. 3S9 3802. 5 Monle ...... 1244. P52 3071. 2 *. 1720. 621 3073. 35 . 1680. 817 1401. 50 927. 69 1846. 39 Trusche o Cerusol. . . . 2934. 389 4130. 3 2078. 961 1874. 24 Bagnoli o Boliunz. . . 870. 857 3514. 15 387. 945 1220. 28 Cernical o S. Sergio . 440. 449 1103. 31 Cernotich..... 1484. 581 914. 47 Dolina o S. Odorico. . 991. 228 3955. 4 . 1334. 676 1266. 54 Grozana ...... . 1683. 616 1950. 37 . 2730. 362 2759. 45 Mascoli o Prebeneg . . 214. 638 741. 15 1067 3024. 41 206. 788 1901. 14 S. Servolo..... . 1269. 124 1179. 16 499. 569 1765. 6 Gabroviza..... 453. 1447 1011. 45 896. 1128 1864. 3 . 1063. 1377 3259. 19 , 1112. 432 3623. 1 . 1665. 1549 5091. 14 1508. 1232 5172. 3 1033. 339 2621. 53 53949. 186 116837. 27 ANT.'CO DISTRETTO DI BELLAL Su erficie Stima censuarìa 467 672. 2 Jessenovico..... . 2258. 189 1529. 23 Malacrusca..... , 1412. 738 560. 18 Cosgliaco (Capriano). . . 1710. 930 1289. 36 Chersano..... 2(563. 553 4205. 32 Sumberg...... 2112. 226 2792. 33 2481. 15 5233. 52 Berdo (monto). . . . . 1001. 29 i 2350. 14 Bogliuno (Finale) . . . . 3510. 940 2680. 38 Aurania con Uzka. . . 4672. 256 1503. 18 Brest....... 2442. 1280 538. 18 Dolognavas..... 2415. 160 971. 21 Goregnavas..... 1594. 1468 1149. 4 Semmich...... 1288. 1299 890. 41 Lessischine (Volparo). . , 1894. 1394 1226. 46 Tibole...... 253. 1030 222. 24 1233. 1435 1287. 41 2350. 1130 2345. 16 . 2113. 898 1377. 31 Possert...... 983. 1286 884. 45 . 1054. 546 840. 9 Grobnico (Tombe) . . 539. 538 754. 57 818. 1147 554. 1 Susgneviza..... 1883. 893 810. 39 Somma . . . 44736. 932 36796. 8 DISTRETTO DI PIRANO. Pirano....... 5186. 598 Salvore....... 2828. 1170 Castelvenere..... 3647. 1438 Isola........ 3885. 1303 Corte d'Isola..... 1183. 1272 Padena, S. Pietro della Malta 2165. 395 38079. 26 6997. 56 6458. 56 18889. 10 4251. 46 6304. 9 Somma 18897. 1376 80981. 23 2092. 761 1522. 30 Razhize ....... 2053. 488 1300. 5 Podbesche...... 977. 394 1288. 39 Sajeusche...... 394. 691 545. 24 1040. 1238 1758. 54 Studenagora...... 326. 1328 417. 52 Pauliza ....... 127. 78 331. 40 Castelvecchio (Starada) . . 2046. 222 1358. 11 Mune grande e Mune piccolo 5987. 1272 2945. 32 4068. 368 2087. 16 2082. 648 1849. 30 1333. 1159 1303. 45 757. 642 1228. 31 398. 668 847. 47 1207. 844 1501. 55 172. 1240 198. 59 1369. 1081 1504. 41 704. 129 760. 29 Gaber (Caprino) .... 295. 1259 241. 27 Huje........ 486. 660 476. 49 Prelosche...... 657. 1133 794. 7 1568. 1434 1133 17 2779. 265 1388. 40 950. 6 760. 13 1229. 752 1327. 4 Jellschane...... 1094. 331 1516. 17 Novokrazhinc con Villanova 1567. 1307 1114. 18 Sabische....... 3071. 1344 2184. 51 40841. 941 33678. 43 1298. 46 1313. 4 982. 393 486. 26 8582. 665 4506. 17 1837. 774 855. 9 Suzzak con Fabze. . . . 1374. 1383 746. 13 Grossbergut con Mali . . 1103. 83 742. 19 3990. 1188 3426. 35 1222. 639 1439. 3 Somma .... 101074. 654 80880. 52 lllustraz. dei L. V. Vol. II. Stima censoarii Somma retro. . . 101074. 634 80880. 52 578. 536 711. 15 4214. 926 1063. 24 4888. 933 1288. 24 Bzesoviza con Sloppe, Gradi- shiza con Odollina . . . 5323. 325 3547. 27 Slivie........ 575. 1596 709. 30 Artuische e OstrovÌ7a. . . 997. 1217 1271. 34 Gosiane....... 927. 1226 1239. 27 Matteria con Roschize Pau- sane e Waatsh .... 2558. 715 3192. 6 Hotizhina con Marciana . . 738. 428 848. 49 Gollalz (Carsano. M. Calvo) 4330. 933 2i73. 37 Coushize con Orehegg . . 906. 273 1072. 35 Herpelle con Tuble . . . 1627. 173 1456. 46 Markouschina con Skadan- schina e Grosslozhe. . . 3030. 302 3144. 36 Vodize....... 3234. 759 1759. 1 2329. 1589 1581. 39 Podgorie Subocza. . . . 3087. 131 2208. 2 Tatreano e Bresovoberdo. . 1868. 737 1847. 3 Somma . . . . 93689. 1301 7.6311. 25 DISTRETTO DI POLA. Altura....... 4841. 452 6187. 32 1639. 1321 1586. 47 3537. 10 8343. 8 5768. 341 8783. 24 Lavarigo....... 1206. 1092 1797. 53 1698. 1232 1867. 12 1962. 1149 2977. 45 931. 1436 1348. 6 Peroi (Pedrol)..... 2288. 1092 3175. 47 Pola........ 6243. 1127 10195. 55 Pomer....... 2272. 142 2256. 59 Promontore...... 1206. 1042 897. 35 3951. . 888 4788. 32 1145. 966 1596. 13 38714. 907 55802. 53 ESTIMO DISTRETTO DI PARENZO. Superficie Stima permiana Parenzo con Maggio . . . 3342. 565 13750. 50 Dracevaz (Monte spinoso) . 555. 29 2284. 13 1128. 1413 2669. 36 Fratta....... 1520. 1383 3433. 40 Abrega ....... 1033. 421 2768. 44 Monsalice ...... 808. 1024 3897. 41 Monghebbo...... 1158. 1100 3303. 23 Sbandati....... 5394. 654 12754. 46 2010. 62 4897. 21 Varvàri....... 333. 822 1492. 40 Villanova....... 2619. 62 7525. 54 Orsaria....... 2761. 225 9173. 44 Fontane....... 1406. 1382 5239. 47 Geroldia o Caliseto . . . 1919. 733 3633. 5 S. Lorenzo...... 5342. 1348 11312. 2 S. Michele di Lcme . . . 1834. 902 3372. 25 Monpaderno...... 4198. 942 8701. 41 Somma..... 3744». 272 100142. 8 DISTRETTO DI PIXGUENTE. Pinguente...... 5426. 348 10122. 7 2925. 236 818. 21 Cernizza....... 1446. 239 2292. 35 Danne ....... 1497. 874 901. 47 Lanisehie, Lanista. . . . 6363. 1420 4069. 45 Rachitovich...... 1625. 1183 1039. 36 5144. 1338 5823. 12 Salise........ 2607. 1576 3293. 16 Slum........ 4CS9. 291 2951. 3 Socerga, S. Quirino . . . 1885. 600 4959. 30 Terstenico...... 4640. 313 2627. 21 Tutti Santi...... 2627. 831 3603. 27 Valmorosin*»...... 3106. 508 3538. 13 Sovignaco e Segnach. . . 2865. 4S6 4160. 2G 2967. 385 3617. 8 3450. 110 4811. 34 Grimalda....... 1513. 1290 1847. 57 1781. 652 2308. 14 Verch (Monte) eMarcenigla . 3434. 1451 6245. 12 Somma..... 39400. 1351 6C232. 52 Superficie Slima censuaria Barbana ....... 518. 635 606. 42 Boccordici...... 3797. 585 4907. — Canfanaro...... 2440. 42 3561. 56 Carnizza....... 7230. 398 7919. 46 Castelnovo...... 4391. H68 4305. 26 Dignano....... 10817. 727 25424.48 Fiiippano...... 3824. 1534 3756. 22 Golzana....... 4344. 214 5022. 8 Marzana....... 3862. 1388 4705. 31 Morgani....... 4276. 1584 6055. 30 Porgnana...... 5332. 119 5224. 48 Roverìa....... 4327. 652 3382. 46 Saini........ 3535. 234 3674. 59 Smogliani...... 1718. 1540 3139. 23 Sossich....... 3502. 1103 3636. 19 Stocauze...... 3182. 1113 4099. 47 S. Vincenti...... 990. 1340 1678. 39 Somma..... 68093. 1536 81148. 57 DISTRETTO DI GHERSO. Cherso con Losnati e Smergo 9929. 1323 17870. 46 Gaisole con Vesminaz Fran- lin, Stepidì e Petrichevi. 6638. 555 2534. 54 Orlez. . . * A* • • • 5971. 467 2154. 31 Dragosich con Filosich . . 4841. 1212 1298. 52 Lubenizze con Sbichina. . 2480. 1236 840. 18 Podol. . . 2251. 1364 485. 27 Pernata . . 1969. 1565 1159. 48 Vallon . . 1443. 1166 994. 44 Vrana . . 3899. 445 590. 55 Predoschiza. 2421. 380 331. — Ossero . . 7388. 1260 2805. 9 Bellej. . . . 5717. 1279 1332. 45 S. Giacomo 1280. 1235 643. 1 S. Giovanni . 4022. 1473 1417. 52 Ustrine . . . 2459. 883 490. 1 Pontacroce . . 6819. 835 5435. 49 Neresine. . . 2284. 1294 1721. 24 San Martino . 4298. 1442 1271. 57 Unie.... 2899. 284 2954. 6 Somma. 79010. 298 46333. 25 Superficie Stima censuaria 2004. 826 9554. 20 Bercaz (collina) .... 987. 836 4460. 46 Caldier . . . . . . 1199. 10 2090. 55 Caroiba..... 1934. 1127 3805. 27 S. Giovanni...... 3449. 775 6763. 44 Mondellebote..... 2553. 1067 5992. 37 Montreo, Montauro . . . 2451. 554 4528. 7 2853. 320 4864. 32 Racotole....... 1157. 345 1788. 48 1053. 899 1822. 54 2743. 380 7931. 39 S. Vitale...... 3107. 8 6240. 56 1090. 574 2739. 25 6166. 1547 13386. 6 Gradina o Petralba . . . 2144. 722 2436. 56 Sdregna ....... 4107. 443 5617. 8 Gepich....... 1040. 733 1198. 6 Topolovaz, Tapogliano . . 2182. 1542 2810. 12 Visinada....... 5858. 1228 14163. 58 Castellier...... 3339. 1232 9699. 14 2178. 236 5845. 34 Somma..... 54203. 1004 117741. 31 DISTRETTO DI LUSSIN. Lussin piccolo..... 2111. 504 2832. 57 Sansego . 696. 1 158 2242. 7 V4 Lussin grande..... 4096. 642 4621.41 Chiunski..... 2849. 1408 2402. 22 9754. 512 12099. 8 ip DISTRETTO DI ROVIGNO. ] Rovigno....... 10650. 1119 40172. 33 V1 Villa di Rovigno . . . . 2581. 723 4572.48 '/* Valle........ 14304. 411 18756.47 Somma. 27536. 653 63502. 9 V4 Superficie Stima censuaria Antignana...... 4330. 160 8343. 33 Bottonega (Buttenilla) . . 832. 430 869. 51 Cascierga...... 1745. 243 1500. 38 Cerouglia...... 934. 717 1283. 15 Chersicla (Carsette; . . . 1022. 207 1362. 55 Gherdosella...... 1935. 1061 2066. 49 Gollogorizza (Calvula). . . 2495. 119 2220. 40 3908. 1170 4304. 17 Novaco 28tU 237 3887. 6 8197. 1240 13560. 18 68C. 1368 878. 56 Sarez........ 1039. 1309 1299. 27 2680. 486 3642. 2 2603. 1038 3090. 32 2817. 1425 5171. 8 Gemino....... 12041. 1163 10126. 44 Monte S. Giovanni S. Ivanaz 2263. 599 2402. 43 336. 759 583. 44 S. Pietro....... 2457. 1225 3962. 53 877. 736 1221. 4 6348. 658 ' 10518. 10 790. 114 2187. 19 8201. 11 8490. 40 656. 649 575. 24 72264. 1174 100149. 38 DISTRETTO DI VOLOSCA, Castua 252. 871 370. 8 486. 617 1040. 28 686. 233 1048. 57 Zamet....... 555. 622 956. 32 363. 884 510. 10 434. 959 841. 55 Somma 2780. 986 4768, 10 Somma retro. . . 2780. 986 4768. 10 699. 1314 1416. 7 813. 863 1506. 14 Recsina....... 631. 1061 420. 54 Marzegli...... . 1055. 898 859. 2 Bermichi....... 642. 615 1104. 37 540. 1340 1182. li 3121. 888 789. 9 289. 236 601. 39 Trinaistichi...... 205. 1562 476. 26 217. 1062 490. 39 726. 135 904, 13 Kuchielli....... 761. 1291 932. 48 1166. 576 1043. 7 Svonechia...... 2827. 1503 1377. 7 Rucavaz (Gorcgni). . . . ' 2085. 279 982. 40 Rucavaz (Dolegnij.... 119. 501 413. 22 Perenighi....... 268. 390 603. 14 Pobri........ 194. 927 492. 57 644. 1207 528. 28 Mattugli con Rubessi. . . 629. 61 989. 58 Abbazia di S. Giacomo al Palo o di Rosacis . . . 111. 698 396. 32 Volosca....... 239. 1093 580. 32 Pogliane....... 836. 140 1020. 31 804. 623 1158. 37 2831. 795 777. 41 3552. 189 1601. 9 Lovrana con S. Francesco, (Lauriana)...... 1600. 1321 1920. 8 1000. 1024 1520. 46 2251. 179 2018. 45 193. 1456 577. 41 1442. 1178 1184. 9 2600. 195 1906. 9 819. 338 1273. 19 38723. 1524 37770. 16 3220. 408 4133. 26 7078. 263 3915. 9 1993. 627 1151. 59 Dobasniza c S. Antonio. . 2854. 1095 4106. 38 Dobasniza o Borgovich . , 2416. 1157 3132. 4 Pogliza....... 3887. 542 3343. 21 S. Fosca e Scherbe. . , 1145. 382 746. 13 S. Fosca e Linardich . 1799. 1597 1653. 32 3596. 36 2086. 18 Cornichia...... 4410. 454 4043. 22 4120. 590 3821. 22 Besca nuova...... 6061. 1326 3340. 42 4876. 76 4279. 50 Valle........ 6491. 953 3300. 53 2292. 1324 304. 55 Dobrigno. 2902. 1345 2300. 32 4434. 1213 3312. 3 2232. 143 1139. 29 6147. 1288 3819. 42 2475. 328 2660. 49 74437. 747 56642. 25 Ora formano governo distinto Gorizia e Gradisca, Istria, Trieste; ed eccone lo stato: Trieste, superficie in miglia geogr. 1. 70 14. 42 10. 97 8. 91 19. 35 53. 65 Capodistria 7. 52 Lussin piccolo 17. 10 Pisino 15. 93 Montona 17. 42 Rovigno 17, 96 Volosca 13. 85 Gorizia . Gradisca Circolo di Gorizia l « Sesana Tolmino Circolo d'Istria 89. 78 GUADO 565 In tutto 30 città, 14 borgate, 947 villaggi: con case 71,174, in cui oran famiglio 120,409 e abitanti 342,917, di cui 272,369 son donne, 910 ecclesiastici, 933 nobili, 1486 impiegati, 8488 artisti o artigiani, 12,842 contadini; cattolici romani 534,137; 14 greci; 2141 greci non uniti; 1187 della confessione augustana, 391 della elvetica, 6 di altre sotto; 5040 israeliti. Chi volesse maggiori notizie di questi paesi, cerchi le storie di Ireneo della Croce, le opere del Carli, lo descrizioni del Tommasini, del Man-zuoli, gli Uomini Distinti del canonico Stancovich , la collezione dei documenti, intrapresa nel 1843 da V. Solitro c sospesa crediamo al primo volume, concernente sol cose della Dalmazia; PArcheografo del Do Rossetti, o a tacer altri, le varie opero dol dottore cavaliere Pietro Kandlec, di cui ci accadrà di parlare. il Lido Gradense. Conlnrcnorvm i\uer orù iincriii. Bit captimi bello venétìim Tergeste vfàemus: l'nciiiniu liituliiiil nobilitate meri. Et Muoiavi rt y,m-'t. Cernitili- inde fliteki inflc.rilns Arsiu lungis, Cluni* Itotiotahr lerminus l làtice. l'ii.TKu Onta!'.:ni, Argoa vu!u|)t;is. 11 golfo di Trieste l'orina un rombo di 13 miglia ciascun lato. Quello a sud-ovest è schiuso al mare, avendo all'' est romita sud-ovest Pirano o lo punto di Salvoro e delle Mosche, ove i cavalloni flagellano il fanale marittimo; mentre l'estremità nord-ovest muore nello bassure e nello sabbie di Grado, da cui noi prenderemo le mosso. Da Grado a Duino tira il lato nord-ovest, tangente al paese di Aquilcja e Monfalcono, sporgendo verso il mare una pianura depressa e motaccia sino alle foci favoloso del Timavo, >\o\c poi si (deva l'altopiano del Carso. Da Duino a Trieste è esposto' ai procellosi baci del maro il lato nord-est, fian-llhtttraz. dei r*. v. Voi. rt. m eheggiato da collino. Il lalo sud-est lira da Trieste a Pirnno e Salvorc, scaccalo dalle valli, come qui dicono, o seni di Muggia, di Capodistria, di Pi-l'ano. In quest'ultimo paese le Alpi Carniche segnano il termine dell1 Istria marittima. Quella che chiamarono Venezia Seconda comprendeva, tra la foce del Po e il Timavo, quattro lidi: cioè l'estuario di (fumacchio, regione del Po, chiuso poi in maniera da non sopravanzare che le pescose valli odierne: l'estuario Altinate, nel quale sorse Venezia, e che è tuttora conservato dalle sollecitudini che descrivemmo; l'estuario Caprulana o di Oaorle, che ahhiam puro descritto; l'estuario di Grado, che ora non appartiene più al Veneto, bensì al Litorale, e che noi tocchiamo pel primo •iella nostra peregrinazione. Limitato tra lo foci del Timavo e del Tagliamene, ora è ristretto a •i miglia, ma un tempo amplissimo. I Romani vi avevano costruito un argino traverso la laguna , per ispinger una strada lino alla primaria città di Aquiloja; ma l'opera del tempo e del mare, e più il cangiato corso do' liumi del Friuli e gli scoli delle Alpi superiori e interno lo ridusser qual è. Oggi suddividesi ancora in lidi minori , che chiamans lido di Tinnivo u Gradonsc; lido di Morgo con Anfora; lido di Buso, di Lignano. Il primo era il porto marittimo d'Aquiloja; e là rifuggirono il vescovo e gli abitanti di questa, dall'unnico ululalo impaurili, e vi fabbricarono nna città, dotta Guado o Aquiloja nuova. Munita di mura c torri, con palazzi, con chiese arricchite di quanto erasi tolto alla distrutta patria, crebbe in un batter d'occhio, ed ebbe un patriarca, considerandosi metropoli della Seconda Venezia. Il qual patriarca, sebbene per lo scisma perdesse quasi tutto il Friuli, conservò il diritto metropolitico sulla Venezia Seconda, l'Istria e gli altri paesi non sottomessi dai Longobardi. Tutte lo isolo anche dell'estuario Altinate e i conventi o lo chiese gli doveano omaggio di frutte secche, rose, altre graziosita; coi dogi interveniva allo adunanze generali della nazione e ai solenni giudizi; ne' COficilj di Roma aveva seggio alla destra dol papa, e qualora da Grado si recasso a Rialto, tutti Ì monasteri che trovava sulla via doveano accoglierlo, e dar alloggio e vitto a lui e alla sua comitiva; se poi andasse verso l'Istria e la Lihurnia. vescovi sulTraganci, magistrati, giudici, popolo vonivangli a festoso, incontro; e assiso che si l'osso nel palazzo vescovile sul faldistoro, prescnlav angli lo chiavi della città o della chiesa cattedrale: ed esso, fattele ricevere e conservare dal più degno do' sacerdoti, por tre giorni considoravasi come signore dèi temporale e dolio spirituale di quei paese. (Vedi sipra, a pag. 249.) Ancor più di queste prerogative (incentivo frequente di gare o risso CÒh vescovi, con magistrati, coi dogi) destava invidia Grado perla quan- GUADO 51,7 tità di reliquie e di preziosi ciraelj che custodiva nelle chiese, onde dalle vicinanze tutte e dalla Lombardia vi accorrevano devoti pellegrini; e, secondo le guise di popoli grossieri e erodenti, procuravasi carpire quei tesori, fin assaltando in guerra la città. Di rimpallo i Gradensi cercavano ila per tutto corpi santi, ed ebbero quelli dei santi Krmagora e Furto nato, o la cattedra che cliccasi aver servito al primo; come dall'imperatore Eraclio ottennor la cattedra marmorea di san Marco in Alessandria L Questo della Chiesa; gli abitanti poi, applicati al commercio, servivano Friulani, Carniolini, Stiriani, Dalmati. Puro un nemico continuo aveano nel patriarca di Aquileja, sostenuto dai Longobardi e dai Franchi, laiche l'ingrandir di quello tornava a scapito di Grado. Cominciarono poi le correrie dei Saracini, dogli .Slavi-croati, inlino dei nemici di Venezia, principalmente i Genovesi; onde scadde, o venne al nulla. Gli Orseoli tentarono farvi rifluir la vita, e si fabbricarono un palazzo, restaurarono torri e mura: ma nulla più legava ad una patria che non offriva sicurezza nò aspettative: Venezia crescente traeva a sè le famiglie primario; il patriarca stesso proferiva dimorar a Rialto: ondo al mancar della gente peggiorò l'aria, impaludarono le acque nei giardini abbandonati e nelle crollanti magioni, Nel 1490 il iNalisono ed il Turro che, toccata Aquileja, avevano luce a Grado, cangialo corso si gettarono nell'odierno Isonzo, onde mancato lo alluvioni alla foce gradense, il mare iracondo s'avanza dilavando perfino lo mura cittadine, sinché le abbia ingojate; intanto pochi vignaiuoli, pochi pescatori son tutto quel che resta della potente città, e avanzi e qualche iscrizione nella cattedrale, fra cui questa preziosa, a musaico nel pavimento: AT1UA 01 i; ci.kms vario formata pecore squallida sub NOTO C.lJ.VITiì M Ml M Oli K TI'.I.I.I'S I.onua VETI STATIS sènio fuscavérat «tas prisca iti OI-SSKUr.NT magno NOVITATIS monomi Nt.Ksi us 1:1.11; studio imìaks i ami: reati Illa: si nt tecta IMO semper devota timori. Di fatto si ha nelfi'i cronaca gradense - che, temporibus Tiberii Constati' Un: Ani/usti, Heliài patriarcha afailejcnsis in Gradami castro ecclesia m sancte i È singolare, non nuovo ne' fasti archeologici, che testé il "valente orientalista Secchi gesuita diede una spiegazione tutta riuova del caratteri che leggonsl sulla cattedra esistente in San M;uro di Venezia, e che esprimerebbe: Egq cathedra Marci eadem ipso, in rimi nonna mei Marcì mei est in wlernum juxta Komam; e il valente orientalista Ascoli di Gorizia dimostrò non esserci UH puntò di vero in (((iella spiegazione, eleggersi unicamente: Marco Evangelista in Alessandria. '2 È (ino ile' più antichi cronisti d'Italia l'Anonimo Gradense, clic comincia dal !>77 col. patriarca Ella, e viene al tu'i!;, cioè alla morie del patriarca Orso Orseolo, ma offre poco Eufemia* fui ricari fecit. Al che s'accorda pure un'altra iscrizione, parimenti a musaico o nel pavimento, che dice: famvi.e sanct.e maiitvms eyiuiemi.i: NONNVS et kysliiia i'etuys et johannes tuo saiate sva et 0MN1VM svoiwm ex voto svo V. ii. 1'. Ci Fórse ora connesso col gradense il lido di Morgo, detto di San Giuliano por la insigne chiesa che i profughi Aquile Jesi vi eressero ; se pur non esisteva anteriormente come tempio del ilio Selenio, venerato qual patrono dagli Aquilejesi, e che nel suo nome porta la radice Rei, Baal, sotto il qual nome molti orientali veneravano il Sole, o simbolo di esso il fuoco. Il Gastrobusio sul lido Buso fu distrutto dagli l'ngari neh'800. Questi lidi già eran tutti a orti e vigneti, e vi l'accano caccie i patriarchi, i tribuni e i dogi. In quell" estuario è l'isola di Rvuuiam , ove Elia patriarca di Grado edificò una chiesa e un chiostro, distrutti poi nelle guerre co' Franchi e cogli Ungari. Una chiesa avea pur quella di San Pietro ni Omo, ove era la lanterna dei porto d' Aquileja. A tacer le minori isolette, segnaleremo quella dì Bei.ioute. Nel 1234 essendo in guerra coi patriarchi aquilejesi, i conti di Gorizia, i adeschi, i Friulani, vollero i 'Vene/Jani aprirsi una nuova via sul paese nemico, onde condussero una grossa nave qui dove appena uno scoglio sporgeva, e profondatala carica di sassi, \i gettarono addosso macigni c ghiaje, tanto da'formar un'isola, su cui eressero un forte: poi con un ponte l'unirono al continente, potendo per tal modo spingere squadroni di cavalleria sul territorio nemico: e più non abbandonarono Rell'orto se non quando ebber in potere il Friuli, Gorizia e l'Istria. Su quello scoglio alzavasi a tempi antichi altra lanterna segnante il porto del Timavo, e se ne dispersero allora gli avanzi, meglio d'un arido catalogo ili quo' prehiti. Il cronista, nolo col nome di Sagomino, mette la traslazione della sode in Grado ad istanza del doge Beato e per concessione di papa Benedetto, e che il primo patriarca fosse Paolo. Il Dandolo invece f;i primo Elia, e per concessione di Pelagio II: il De Kubeis nei Monumenti Aquilejesi discorda da entrambi, portandolo a due patriarchi più tardi. Il Sagomino nomina le i2 isole primitive di Venezia; cioè Uriulus, lìibìones (die più non si conosce), Caprulm (Caorle), Ilcrncica, lìquilius (or deserte), Torcellus, Morianus(Muralo), liicoallus, Melamaueus (Malamocco), Pupilla (Poveglia), minor Glueìes, Glueies major (Chioggia maggiore e minore). {UilsUjca tl'Aqwleja.) Aquiìeja. Non facciamoci rincrescere (J8 anni dopo fondata Roma, un branco di Galli penetrò nella Venezia, e vi fabbricò una borgata: poi i Romani, snidati quei Galli e distruttane l'abitazione, 181 anni avanti Cristo poser là accanto una colonia sopra un terreno dei Carni che pretondeano come appendice della Venezia, e la dissero Aojihia, verso il confine d'Italia e perciò antimurale ai Già podi, agli Istri e ai Transalpini; poco discosta dall'Adriatico, s'una penisola circondata da acquo correnti del Natisene, che col Turro scendeva alle paludi dà tirado. Il geografe Strahone si risovveniva del basso Egitto allorché vedea quello paludi, insanichite per mezzo di argini, che serravano canali per cui colla marea entrava e ri-traevasi l'acqua, mantenendo la salubrità dell'aria. Pei ranali del Natiso-ne e dell'Anfora le navi poteano spingersi fin alla città. Comi1 stazione miliiare serviva a difender i varchi alpini del monte Croce e della Pon-teba, del Pulfor e di f li Isoli, sovrastanti a Cividale, di Santa Croce del Vipano che avvia a Lubiana e alle Pannonie, di Trieste che nette nel-T Istria. La primitiva colonia di Aquileja era quadrata a forma di un campo, della superficie di 122,900 passi quadrati, capace di 20 mila abitanti; o vi furono condotti 3000 soldati, 240 cavalli, 48 ulìi/.iali. L'agro colonico misurava in superficie 14 miglia. (ili Aquilejesi ehhcr la cittadinanza romana, votando colla tribù Velina, o potendo salire a qualunque dignità. La loro repubblica aveva proprj decurioni, uno splendidissimo ordine di patrizj, come si esprimono le lapidi j i tjitiHnniiriri, cioè consoli, soprantendenti alla giustizia, ornali delle divise consolari e de' fasci; e numerosi collegi, ossia frater-nite di arti. I municipi volevano emular Roma cogli edifizj ; onde qui s'ebbe un campidoglio, e circo, e anfiteatro, o un acquedotto, e! tempio a Giove ed agli altri Dei maggiori e Dei municipali, con sacerdoti, foste, sagrifizj. Aquileja girava 22 chilometri, e vi melteano grandiose strade, in riconoscenza delle quali si posero epigrafi ad imperatori . Eccone la pianta, però qua! era all'età patriarcale. L'amenità e l'opportunità de! sito vi chiamò spesso illustri Romani ; Cesare l'ampliò; così Augusto che vi tornò più volte. Trajano avendo roma-manizzato le Pannonie, fe che ad Aquileja recapitassero i traffici de' paesi che or diciamo Baviera, Austria. Carintia, Stiria, Tirolo superiore. Vi 1 IH' iscrizione pòrta die C. .ivi.ivs r..r.s\i\ viam inviam sotaunv s. et im-PEKDlo rota». rki»i>; imi è suppositizia. Un'altrili donile è. abraso il .ionie di Giulio M ansimino, porta IMP. cms. . . ^, . • . . ..." ..j ,•-, • • . • .••v-i-' tNVICTVS AV(i. a0vk.KJ KNSIVM r I-.STITVTiiR KT CONDITO» VIAM tiVOQVfc GEMINAI* A PORTA VSC/U« Ali l'oNTKM l'kr tiiuim-.s jvvkntvtis nov.k ITAI.IC.1-: SV .-e DII.ectvs 1'osteriou LONGl tv.mi'ouis i.ai1k iv j 11 lì \ it V M mvnivit ag UKs'm'lT. l'I AMA D'AQUlLEJA 5l7] i Metropolitana — ± ìiaitistero aulico e chiosa dei pagani — :t. Campanile con seaia a ehi......lòia Interna — t. Mura del patriarcato — 3. Campanile dell'orologio con avanti del palazzo ani co — c>. San- ll Diario e Taciano — 7. Ospedale — 8. Tono capitolari', ora Savoifiiiana — !>. Cappella < Sant'Antonio — LO. Santi Felice e colluttalo — ti- Torre dell'Arena — 12. Avanzi d'aulico Iorio — 13. San Giovanti — 14. Palazzo ilei vico-cipiiano — 15. Capilo, della Beau Vergine e San itucco — 16. Sant'Antonio — 17.«Mora antiche — is Capitello dòlio Sanio Eufemia, Dorale*, Tecla, Krasnia — t'J. Arco sul Nalisone — "-(). Mulino — 21. Abitazione del (locano capitolare — 22. Abitazione dol decano Imperiale — 23 Musco crollo dal BertOll — 21. Abitazione dei missionari — 25. (ìia-najo e canova del capitolo — 26. Strada allo paludi — 27 . Qui furori trovato monete antiche e lastre d'argento, onde si suppose vi fosse la zecca. svernarono Marco Aurelio e Lucio Vero; vi morì Claudio Quintilio; vi dimoro Aureliano imperatore; v'ora Diocleziano quando dedicò nn tempio a Baleno e vi fe morire san Crisogono; molte leggi imperiali son datato ili qua: vi svernavano le legioni, e v'ora zecca, v'era tesoro. Il suo porlo naturale, collocato nell'estuario Gradcnse a mezza via di Grado tra il Belvedere dov' oran i navali, e l'isola di Gorgo, ora uno dei tre principali; ed oltre la flotta cesarea gradente, distinta dopo Adriano dalla ravennate, vi accorrevano infinite navi mercantili, esercitando un traffico, che per terra estendersi a' Pannoni, agli Illirici, ad aliri popoli, i quali \i barattavano bestiame, polli, schiavi, con grano, vino, olio. L'ubertoso terreno producea squisiti vini; lo suo lane avean il terzo luogo fra quelle d'Italia; Polibio rammenta una miniera d'oro qui vicina; Erodiano i le numerose o ordinate file d'alberi accoppiati a floride vili, le quali co" traici frondosi da terra salendovi, quasi a foggia di festivo apparali, tutto adornavano il paese » : da Strabone è dotta Emporio; Grande Emporio da Giuliano apostato; da altri ricca, grandissima, piena di popolo, e Ausonio non le anteponeva che Roma, Milano e Capua. Gli abitanti teneano ampie e suntuosc abitazioni; o san Girolamo rimprovera taluni perchè non gli scrivessero, mentre la carta non potea mancar ad Aquileja dove proveniva dall'Egitto; ricorda i negozianti di merci orientali che vi porlavan roba da' loro paesi, o no prendeano da portar in questi; e gemo che, mentre il Figlio dell'uomo non nvea dove reclinar il capo, un Eliodoro vi passeggiasse per vasti [ionici c ingenti spazj di case. In fatto le villeggiature n'erano celebrale a paro con quelle di llaja. Erano anche prodi gli Aquilejesi: e nel 238 dopo Cristo si difesero dal furore di Massimino, fin le donne combattendovi, e dando le proprio trecce per far le cocche degli archi: contro Giuliano eonscrvaronsi fedeli a Costanzo, invano assediali nel 3(H ; nel 452 resistettero ad Attila, il quale fracassò questa città. Nelle campagne d'Aquileja Teodorico, nel 4&9, sconfisse Odoacre. N'arsole generale dell'impero d'Oriente, rialzo quella città, ma ben presto ricadde per sempre della malattia più irreparabile, I' inanizione "J. 2 Sulla distruzione d'Aquilejn ci resta ini canto antico, che stimiam bene riprodurre, fra' pochi rimasti; ette atlriliuiseoiio a san Paolino patriarca,.contemporaneo di Carlo Magno, cioè assai dopo l'eccidio, c il poeta si jenu« sventuratamente a quelle generalità che aon caratterizzano il tempo. Ad tlepdos tuos, Aquileja, cinerea Non milii nllae sallieiunl laerymae, Desiint sermonos, dolor sensum ahstulj! Cordi? amari. ANTICAGLIE 375 CI Ili ira quo' piani limacciosi va a cercar la pesta de' cavalli calmucchi, ha del fiore delle arti testimonianza in frequenti passi degli scrittori, ma più negli avanzi che, anche dopo tanta asportazione, vi si conservano, e statue e teste di eccellente gusto, e bei musaici, e nettissimi getti, e statuine e bassorilievi, e pasto incise, e lucerne laterizie e metalliche, e vasi detti lacrimali, e olio, urne, vetri, ciste, fibule. Qua un tronco di Bella, sublimi*, inclyta diviliis olim fnisii cel sa aedificiis, Moonibus clara, sed magis imiumcrmn Civium lurmis. Caput te cunotae siliimet metropoliti Subjectae urbés lecerunt Vcneliae Vernantem clero, fulgentem ecclesiis Chrislo dicali?* Dum eunelis simili polli tfiB dèliciis, Fiammata multo tumore superbiae, Ira m infetti sempiterni judicis Exagerasti. E coelo (ibi m i ssa indignatio Geliteli! erudelelii exeilavil protinus ouale properaret ad luura intentimi Mox adfuturam Fremeos ut leo Aitila saevissimus Timorans Deum, durus, impiissimus Te circumdedit emù quingentts milibus Undique gyro. Gestare vidi! aves fclus proprio* Tu r ri I mi s altis per rura foriiisoeus l'raescivit sagax bine tuuin interitum Mox adfuturum. lloiiatur suum illied exercilum ; Macliinao murum fortiter conciliami. Ncc inora, captam ineendunt ; demoliunt Csque ad solum Illa iiuis luctns esse die poluit Cum nule flammac, niuc saeviren triadi i l.l nee aelati tenerae uee sibili, l'arveret liostis ? Kaplivos trahunl quos reliqult gìadius Juvenes, senes, mulieres, parvujos; Quidquid ab igne remansil diripitur Manu praedonum. Legis divinao testamentom geminimi, Vel quae doctorum reperii ingenium Bubjecto igni, concreinavit eUinic Furor iniqtius Mortai jaeenl saeordotes Donimi iNec eral membra qui scpulero ronderei ; l'usi tergji vimii, ca|4ivantur alii Servitili i. Ittustraz del L. I*. Vol. II. Ci 1 colonna sorregge uu pergolato, i cui pampani contornano il capitello corintio : là fra le smattonature d'una muriccia campestre rilevasi il baldanzoso fianco d'una venere o il nerboruto braccio d'un guerriero : sugli avanzi accumulati attorno al campanile siedono fanciulle seminude a rattoppar i cenci, o scialbi pescatori a interrogar non le memorie, ma il Nrquissimoruiu sacra vasa nianiluis, Et qqidquld turba oblulit lìdclitllu Sorte divisa, exporlantur tongius Non redi t uro. Oli quao in alluni extollebas vorticem, Quomodo jàces despecta, inutilis, Pressa ruinis; iiimquam rcparabilis Tcmpus in omnc! Pro canili libi, cythara et organo Lucius advcnil, lanicnliim et gcmitns ; Ablatae tihi sunt voce* ludenlium Ad niansioneni. Quae priuà eràl civitas nobilium Nune licu I facta es rusticorum speleus: Uiiis e ras regimi; pauperum tugurium Pcrmatios modo. Roplcla quondam domibus suhlimibus, Ornalis mire nivcis mnriunribus Nune ferax frugum meliria luniculo Ruricolarum. Sanclorum aedes solilao imbibimi Turni is impleri, punc replenlur vepribus; Proli dolor! l'aclae VUlpium cniifugium Sive scipculum. Terras per omncs circumquaque venderis* Nec ipsis in le est sepultis requies; Projiciuntur prò venali marmore Corpora tumbis. Vindictam lamcn non evasi! impius Deslruotor tuus, Attila saevissimus; Nune igni simul gehennae et vermibus Excrucialur. Chrisle, rex mister, jiwlcx invietissinie, Te suppiicanius, miseratus respice; Averte i ram; tales casus probi be Fainulis tuis. Ymnos preceàque deferamus Domino Ut frenet gentes et constringai aemulos; Prolegat semper nos polenti brachio, Siemens ubique. Zelo nos pio, siimine Pater, corrige, Pro venie est per tuos, subsequere Ut moll'enso gradienles tramile Salves in aevum. Non isfugga quel cenno sul violarsi, al tempo del poeta, i sepolcri per adoperar le pietre. L'uso durò, e Del secolo [lassato non si rispettarono latnpoco le tombe dei patriarchi. SAN ri 573 vento se porli calma propizia alle prese, o nebbia opportuna al contrabbando; i fanciulli ingannano Pinsatollata fame spassandosi con chiappami di marmo, che forse erano una statua o un trofeo; i mandriani abbeverano l'armento in avelli a festoni o a caratteri, ove dormi qualche superbo patrizio. Gian Domenico Bertoli, verso il 1720, fece collocare moltissime lapide nel portico della sua casa canonicale; e queste e altre assai stampò nello Antichità di Aquileja, alcuna delle quali già eransi pubblicate dal Fabretti, dal Muratori, da monsignor delia Torre nel Libro d'Anzio. Fra esse notammo un' epigrafe della moglie cqrjygi incomparabili c\m qvo V1XIT ANN. XI HENSES ii SINE VLLA 'iniftiersimé. Lo varie nera indica la porzione che sussi;: a,) tezzato san Girolamo. Il quale famoso istriota trovandosi in Aquileja nei 381, dall'imperator Graziano fu ordinato un concilio ecumenico di tutti i vescovi d'Occidente, dove, presenti sant'Ambrogio di Milano, sant'Eusebio di Bologna, sant'Eliodoro d'Aitino, san Giuvenzio di Pavia, san Bassano di Lodi, san Filastrio di Broscia, san Limenio di Vercelli, san-t'Anemio di Sirmio, san Fabbio di Vicenza, vennero condannali gli errori degli Ariani, Sabolhani, Appolinaristi, e forse per tale zelo la chiesa di Aquileja fu eretta a metropoli, come Milano, La sua provincia ecclesiastica si estese all' Istria e| a gran porzione dell'Illirico, l'Austria, la Stiria, la Carintia, la Carinola, la Croazia, parte della Schiavonia, l'Ungheria di qua del Danubio, l'alta Rezia, indi anche alla Venezia, sopra 27 diocesi: mentre quella di Milano àmpliavasi nella Liguria, nell'Emilia, nell'Alpi Cozie, nella fìezia prima e nella Venezia inferiore: e i due metropoliti si consacravano un l'altro. Uno de' primi monasteri che si fondasser in Italia fu l'aquilejese, verso il 349, tanto lodato per virtù e dottrina da san Girolamo, che anche loda le monache di qui. La Chiesa aquilejese avrà da principio usato il più antico rito romano, qual appare dal sacramentario edito dal p. Bianchini nel 1735, nè v'è menzione ili rito proprio,1 quale poi fu introdotto col titolo di patriarchino. CHIESA AQUILFJESE 877 È incerta la serie de'prirai vescovi da sant'Ermagora (46?) a Fortuna-ziano (344) : e sino al 586 quella sede portò il titolo d'arcivescovile. Essendo però sgominata la città da Attila nel 542, Paolino ricoverò all'isola di Grado, come dicemmo. Era nata frattanto a tribular la Chiesa una contestazione, famosa col titolo di Tre Capitoli del concilio di Calcedonio; e il patriarca Giovanni, protetto da Agilulfo re dei Longobardi, si segregò dalla Chiesa romana, e ne cominciò una serie di vescovi scismatici, continuata sino al 01)8, quando Pietro fece solenne abjura in mano del pontefice. Fu in questo tempo che gli scismatici, quasi in opposizione al papa, atlrihuirongli il titolo di patriarca, riconosciuto poi dai pontefici dopo P abjura. Intanto i Cattolici si erano uniti all'arcivescovo di Grado, coi vescovi marittimi'": e cessato lo scisma, anche a questo fu consentito ii pallio di metropolita da Gregorio II, che lo conferì pure al patriarca di Aquileja, restando a questo sufTraganei i vescovi della Venezia terrestre, a quello i vescovi della Venezia marittima, che ò appunto quella che ora descriviamo *. I due metropoliti poteano udir dalla propria le campane della metropoli rivale. Dei patriarchi di Grado già dicemmo come diventassor di Castello, poi di Venezia (pag. 250J: quelli d' Aquileja trasferirono la sede a Fo-rogiulio, che or dicesi Cividale del Friuli \ Se eleviam alquanto io sguardo, Aquileja può offrirci l'immagine degli effetti della grande e sì mal compresa rivoluzione, operata dall'istituzione dell'impero, che dalla forza barbarica sottrasse il pensiero e la credenza. La Chiesa non aveva mai riconosciuto la conquista de' Barbari, e le suo circoscrizioni cran tutt'altre che quelle segnate dalla scimitarra del Longobardo. Pavia, capitale d'un regno esteso fin a Salerno, non era che r> Patriarchi Scismatici Paolo o Paolino, romano ì»S> Probino beneventano Elia greco Severo ravennate Giovanni l Aquilejcse Marciano prranese furi linaio «28 Felice Giovanni II Giovanni MI Pietro l ih» Pota abiura nel wih H Quel Liulprando, «li cui si parlò descrivendo Pavia, racconta ebe Ennagoni spedi san Siro a predicare a Pavia, e che questo santo profetizzò: De/ertore grondi s urbs l'apio, quia venie! lib ab (eterni montibus caulinno: non vocaberis minima, kg) copiosa in ciritatibus. E per confermare questo vaticinio, soggiunse: Vip Ubi, Aquileja, quia cum Inter impior incesseris manus, deslrueris, me ultra reoediflcata con-surges. Due falli che, al tempo di Liulprando, eran entrambi compiuti. S Fra le moltissimi' opere in proposito citiamo De Rubeis Monumento ecclesia' a-quilejcnsis e Disscrlaliones varia' ernditumis: Giuseppe da San Fiorano , Fondazione delta Chiesa d'Aquileja: Fontanini. Ist. liturgia' aquilcjensìs : Ukukita Sci* saia dei Tre Capitoli: Candido Commentario dei fa'ti d Aquileja Patriarchi Ortodossi it Grad. Milli) Candidiano riminese (»07 — ? :;7t Epifanio da Umago Cipriano da Poia

0. Eugelberto 11, solo. 1186. Eugelberto II, coi figli Mainardo II ed Eugelberto III. H87. Mainardo II ed Eugelberto 111 fratelli. 1220. Mainardo II coi nipoti Mainardo 111 ed Alberto 1, figli d'Engclberto III. 1252. Mainardo 111, solo. 12U8. Mainardo IV ed Alberto II, tigli di Mainardo III e di Adelaide tirolese. 1267 e 1271. Per la divisione fra i detti due fratelli, Mainardo IV riceveva il Tirato, fi Alberto 11 la Contea di Gorizia ed il Pusterthal. 1271. Alberto II, solo, sino all'anno del suo ubilo 1501. 1501. Enrico II, che poi fu anche dal 1319 vicario imperiale di Treviso, ed Alberto III, 1325. (inni Enrico II, pupillo del re di Boemia e duca diCarinlia, cugino di suo padre, essendo contatrice la madre, Beatrice di Baviera. 1558. I fratelli Alberto V, ed Enrico 111, Cigli di Alberto III. 1364. Ali), ilo IV e Mainardo V fratelli. 1571. Mainardo V, solo. 1386. Enrico IV e Gian Mainardo, figli di Mainardo V. ilio. Enrico IV, solo. 14IJ5. I fratelli Giovanni, Lodovico e Leonardo figli di Enrico IV. I'i57. Giovanni c Leonardo, fratelli. ' 1461 Leonardo. Con la sua morte, seguita in Liona li 12 aprile 1400., resta estinta la linea. GORIZIA S8S Veniva l'Austria per tal modo in contatto colla repubblica veneta, e presto a. guerra, nella quale San Marco,acquistò Gorizia (1508). La lega di Cambrai tagliò l'unghie al leone, e dopo che questi paesi ohber molto sofferto, Gorizia tornò all'Austria con Marano, Par-tistagno, Ampezzo, Fara, Villanova (1521), Aqniloja; o Fu incorporata nel primo circolo della Germania. Gli arciduchi austriaci ne davano in usufrutto grosse porzioni, e concedeano molte giurisdizioni patrimoniali. In generale, la sorte di questi paesi fu connessa a quella del Friuli, o soffrì delle guerre e delle incursioni medesime, che di quel paese ragionando, diremo. Serbava il governo suo interiore, e le Conslilaliones co-mitaUis GoriticE furono primamente stampate a Udine nel 1005. Nel 1002 trovasi primamente notato nelle mercuriali il granoturco , surrogato allora nella'rotazione agraria al miglio, e valutato lire 7, soldi 18 lo stajo. Lavoravasi già da pezza il ferro, poi s'introdusse l'industria serica. Gli Istraditi che da antico vi abitavano, furono ristretti in un ghetto nel 1090. Nel 1730 un decreto sovrano concedeva ai poveri di Gorizia di percepir tre danari sopra ogni libbra di carne che si vendesse durante la quaresima; e uno del 1735 a Davide Luzzato israelita di vender caria in questa contea, e a Giacomo Kòrpf e Pietro 'Ncida di vender libri. Allora la nobiltà era tutta d'origine tedesca; slavo il grosso della popolazione; moltissimi italiani v'erano frammisti. La lingua italiana e il dialetto friulano prevaloano nella contea. Le cause trattavansi in italiano ; é avendo la reggenza di Vienna, nel 155G, ricusato d' accettare atti in questa lingua, si preso a farli in italiano, che rimase comune nel Foro sicché gli Stati goriziani ordinarono che il patrocinio si sostenessi; da avvocati tedeschi, e le scritture e arringhe si slendesscr in latino. Ciò nuli'ostante, l'italiano tenne il sopravento; italiani erano Ì predicatori, i primi cancellieri, i curati; il giuramento prestato nel 1504 dall'arciduca Carlo fu nelle lingue tedesca, slava, italiana: la moneta corrente era la veneziana: Leopoldo I imperatore, stando nella contea il 1000 per ricever l'omaggio, scriveva al maggiordomo doli' arciduca suo fratello : a II paese', il clima, il non sentir altra lingua che la italiana, mi fanno scrivere nella medesima ». Solo a metà del settecento si difluscro il parlare e i costumi tedeschi, pur l'italiano v'ebbe sempre corso. Verso il 1305 era stata fondata la parrocchiale dei Santi Ilario e Taziano, allargandovi innanzi la piazza. Nella contea di Gorizia erano penetrati alcuni Luterani dalla Carintia e dalla Carinola, ma il popolo li sfavoriva, e il parroco Giovanni Tauscher vigilava porche non guadagnassero. Nel vicino territorio di Gradisca faceva altrettanto il governo veneto, tenendo sulP avviso il capitolo d1 Aquileja. I Gesuiti vi apersero scuole pubbliche nel 1018; o il padri; Bauzer (1595-1008) di essa compagnia fece la prima storia di Gorizia. Nel 1023' si estendeva il culto ed ergeasi la cappella della Beata Vergine della Ga-stagnavizza, e cosi la chiesa di San Rocco dopo la peste di quell'anno, che più e più volte si rinnovò ". Più volto orasi trattato di porre un vescovo a Gorizia: alfine nel 1747 Maria Teresa riusciva a far destinarvi un vicario apostolico perpetuo : ma subito, soppresso il patriarcato d' Aquileja, venne quella città oretta in vescovado (1751). Questa non fu che una delle innovazioni che allora fioccarono; furori unitele conico di Gorizia e Gradisca, come durò sin al 1807; si pro-vido al censo, alla coltura do' gelsi, si fondò una società agraria e di commercio, una casa di ricovero pei poveri; nel 4754 Giuseppe Tom-masini introducea la tipografìa italiana, e nel 78 la tedesca: conduceasi l'acqua sorgiva dalle alture presso Cromberg, alla fontana sulla piazza del Prato (Traunik): l'ingegnere Nicola Pacassi fabbricava il palazzo dei conti Atte m s è altri, poi a Vienna la villeggiatura di Schònbrunn. Si vendettero lo torn; comunali (comwjne) e i diritti di caccia ; riforma varisi l'amministrazione e i tribunali.: aboliti i Gesuiti che le tenner italiane, introducoansi le scuole normali tedesche (1770) ; univansi gli ospedali in uno centrale, làceasi la società della Diana Gacciatrice. Poi sotto Giuseppe, distrutti i conventi, introdotta nuova misurazione dei terreni, abolito il vescovado, abhorracciavansi altre novità, che tutte furono cassate da Leopoldo II. Poi sovraggiungono le guerre della rivoluzione; il general Murai entra in Gorizia con Bernadette, futuri re, poi Buonaparle stesso ma per la .1 Della peste del 1*»H2 si ha una giornale relazione di Giammaria Marassig, ohe la chiude con questa quartina in dialetto: Itoti pan, bon vin in quaranti» vevi E sis castron 'nel Rondi io pascolavi ; L'istoria del contagiò beh notavi, > E dopo d'ogni muart un poo bevevi, \ È bizzarro il proclama che Buonaparte dava da Gorizia il li marzo t7D7. Repubblica francese, libertà, eguaglianza. Dal qmirtier generale di Gorizia, y 4 germinale unno della repubblica un;i e indivisibile. Buonaparte generale in capo dell'urinala d'Italia: al ti popoli della provincia di Gorizia. Un timore ingiusti! ha preceduto l'annata francese: noi non siamo vernili qui per conquistarvi, uè per cangiare i vostri costumi e la vostra religione. La repubblica francese è l'amica di tutte le nazioni: guai ai re, che hanno la follia dì guerreggiare contro di essa. GORIZIA K GRADISCA .>;; pace di Campolormio vi ritornavano i Tedeschi. Fallo imperatore Napoleone, occupata la Venezia, Gorizia restaya capitanato, dipendente di Lubiana, l'ormando l'Isonzo il limite fra il regno d'Italia e l'austriaco, divenuto impero; onde Gradisca attenevasi al dipartimento del Passeriano, mentre a Gorizia era incorporato Monfalcone. Dopo Finvasione francese del 1809 che tanto costò, Gorizia veniva attaccata allo Provincie Illiriche, governate, siccome dicemmo, alla francese, sinché gli avvenimenti del 1813 le restituirono all'aquila austriaca. Ab lora costituito il Litorale austro-illirico, ne formano parte Gorizia o Sacerdoti, nobili, cittadini, popolo, dio formato la popolazione della provincia di Gorizia, bandite da voi qualsiasi inquietudine. Noi siamo buoni ed umani: voi v'accòrgerete della differenza die passa fra la condotta d'un popolo libero, è quella d'una corte e de' suoi ministri. Non vi mischiate in una querela, die non è Vostra, ed io proteggerò le vostre persone, le vostre proprietà, ed il vostro eulto: io aumenterò i vostri privilegi, vi restituirò i vostri diritti. H popoln francese attacca più pregio alla vittoria per poter con questa riparare le ingiustizie, die alla vana gloria che ne deriva. Articolo primo. Il culto continuerà ad essere esercitato senza sorte di cambiamento : da domani in poi il servizio divino verrà celebrato in latte le chiese come all'ordinario. Articolo secondo. Le unite provincie di Gorizia e Gradisca saranno provvisoriamente amministrate da un corpo composto di quindici persone, che avrà la denominazione di governo centrale. In questo corpo concentrata sarà l'autorità civile, politica ed amministrativa. Articolo terzo. Il governo centrale mi presenterà nel termine, di oro 24 un progetto di organizzazione civile, criminale, ed un progetto di organizzazione municipale per tutta la provincia. Articolo i/H'tr/o. Il governo centrale nominerà il suo presidente, il suo segretario, (,(' suo tesoriere. Para diviso in un dipartimento militare , dipartimento di linauze, dipartimento di polizia, dipartimento di sussistenza. 1 differenti dipartimenti non potranno prendere veruna misura essenziale, amenocbè non venga loro ordinato dal corpo componente il suddetto governo, e saranno specialmente incaricati zdi eseguirne le misure prescritte dal detto corpo. Articolo OutntO. Tutte le imposizioni dirette 0 indirette che appartenevano in avanti all'imperatore, o alla provincia, saranno amministrate dal governo centrale, e saranno impiegati; per sovvenire alle spese pubbliche. Articolo sesto. Tutte le leggi civili e criminali esistenti saranno mantenute. Articolo settimo. Tulli li corpi di qualsiasi denominazione che formavano l'antica amministrazione sono aboliti. Articolo ottavo. I signori Francesco De Simon, Francesco conte della Torre, Giacomo Febr, Francesco Savio, Giuseppe de Canarini, Carlo Cottinelli, Giuseppe Morelli, Francesco Zaccaria, Marzio Conte di Stragodo, Giovanni iNepoinuceno, Višini Luigi cavaliere de Castellini, Nicolò conte di Attems, Alfonso conte di poma, Francesco de liassn, Federico conte De Lanthieri, comporranno il governo centrale: in conseguenza si raduneranno nel palazzo pubblico alte ore cinque," ed il generale in capo dello stalo maggiore generale gli installerà. Buona parte. Una contribuzione veniva imposta di trecento mila liorini alle unite contee, die però fu ridotta alla metà, al governo provvisorio lasciando l'incarico di ripartirla. Gradisca, con 115,442 anime, c colla sistemazione che tutti conoscono, e le riforme portate dal tempo e dall' imitazione : nè le sue fortune han più luogo in una storia generate. Solo ripeteremo che, per concordato con Gregorio XVI, l'ordinario ha il titolo di arcivescovo e principe: e accenneremo che Carlo X, sbalzato dal trono di Francia, si ritirò a Gorizia ove mori il 17 ottobre 1830, e fu sepolto nel famoso santuario della Beata Vergine di Gastagnaviiza. A due leghe tedesche al sud-ovest di Gorizia, siede Gradisca, sulla destra dell'Isonzo, che fe parte di quella contea. I Veneziani la fortificarono dopo il 1474 per difendersi dai Turchi, e la tenner anche dopo che la contea di Gorizia fu occupata dagli Austriaci, e ne ebber profitto nelle guerre contro Massimiliano I, finché la perdettero; in quella contro Ferdinando II dopo il 1012, Gradisca sostenne un generosissimo assedio: poi nel 1047 staccata da Gorizia, Ferdinando III la eresse in contea distinta, che vendette per 315 mila fiorini a Giovanni Antonio principe di Eg-genberg, Questa casa vi dominò 70 anni, senza che alcuno di essa la visitasse, ma vendeva o infeudava or questo or quel djritto. Morto l'ultimo nel 1717, tornava la contea agli Austriaci, con governo distinto da Gorizia, finché nel 1754 vi fu riunita. Porta per arma un' ancora d'argento a forma di croce, in campo azzurro, partito orizzontalmente. E storie e descrizioni si hanno di Gorizia B, e .Carlo Morelli di Schònfeld, quivi nato il 1730 e morto il 1792, ne fece una buona storia civile, con molti riguardi alle leggi, alla costituzione, ai costumi, grave però e di prolissità indigesta. Giunge (colle aggiunte postume) lino al 1790, e discorre anche degli uomini illustri del paese, quali sono molti Attems, il Bauzer suddetto, Urbano Bosizio che nel 1775 stampò una traduzione dell'Eneide in bernesco, Giovanni e Carlo di Co-benzl diplomatici accortissimi, come i Babalta, i Strasoldo i Della Torre, varj Delmestre, varj Coronini, un do'quali scrisse il Tentgmen ga-nealogiw-cltronologicimi di Gorizia: Bonifazio Finetti orientalista, elio confutò llobbes e PufTendorf, il qual ultimo fu tradotto e commentato da Michele Grandi. S Sunto storico delle principale contee di Gorizia e Gradisca: iS!»."J. Notizie del santuario del Montesanto. Vascotti storia della Castagnavi/./a, contenente la malattia, morte, funerali di Carlo X, Kettnbr, Karte der Kronlander Go"rz, mit Gradisca und Istrien. Veduta della città di Gorizia e sue pertinenze. DUINO «87 Noi, toccando di questi paesi soltanto per episodio, non possiam arrestarci alle fabbriche o ai prospetti tra gentili ed austeri onde gio-condano gli occhi ; limitandoci a salutare un giovane israelita, che ha il coraggio di intraprendere, nella piccola e isolata città, studj linguistici, ai quali richiedonsi le maggiori metropoli, e tanto, corredo di notizie, di libri, di manoscritti, di sapienti. Ma se non tutto, può assai la volontà. (Antico castello di Daino.) Duino. Torniam ora al mare, dove, vedute Barbano, Porto Primero, varcato l'Isonzo o il capo Sdobba e Panzano, o addentro la grossa e importante terra di Monfalcone,, passato il Timavo, e ingolfatici nel seno di Trieste, incontriamo Dci.no. I conti Walso austriaci, dai duchi d'Austria toneano in feudo tutto il Carso, cioè il della fra Duino, Fiume e Adolsberg, terreno montuoso calcare, tra lo colline'arenarie di Trieste e la pianura del Friuli. Essi nel secolo XV fabbricarono, e i conti della Torre ampliarono il castello-, che sull'apice d" un repente corno di rupe ferrigna dà il carattere a Duino nuovo. Vicin di questo, sopra un altro dirupo sporgesi in mare il Duino vecchio, residenza d'altri conti. Questi, oltre il Carso, leneano il castello di Prom sul Timavo, e furono capitani generali dei conti di Gorizia, e pare cominciassero a dominare nel 1112, quando fecer pace col marchese d'Istria, che li guerreggiava come usurpatori della penisola. So tu domandi ai più, ti diranno come una badia antica presso San Giovanni del Timavo fiorisse per santità de' monaci e copia di reliquie: ma scaduta, venne ridesta dai patriarchi d'Aquileja, unendola a quella della Uelinia. Isquallidita di nuovo, i signori di Duino la usurparono, col titolo di patroni ; ma Dio no li punì, Facendo perirò questa famiglia nel 131)5, dopo che avea avuto molta parte nelle vicende del Friuli e di Gorizia. Allora i possessi feudali ricaddero nell'alto signore, ch'era il duca d'Austria, il quale ne investì Rodolfo di Walso. I costui discendenti, abbandonato l'antico, murarono il nuovo castello, campato in aria presso di una torre romana, e sulla via verso il porlo formossi un villaggio, cui lambiva la strada da Aquileja a Trieste. Quando si estinsero i Walse, gli arciduchi d'Austria lenner il paese direttamente, ponendovi de'capitani, che spesso erano quo' medesimi di Trieste. Fu tra loro Giovanni Iloffer, che morì nel 1544 in guerra contro i Turchi. Di poi i Torriani di Valsassina l'ebbero per libera compra noi 1009, ed amplilicorono Duino, massime all'occasiono che, nel 10(19, vi alloggiò l'imperatore Leopoldo loro parente. Se visitate quel palazzo, vi narreranno che v'aveva una sala d'arme ben fornita> la quale fu manomessa nel 1809; vi mostreran un quadro dove, sotto al cavallo di un Torriani, vedonsi de'prigionieri; simbolica rappresentazione, che presa per vera, fece favoleggiare che un Tornano trucidasse i proprj figliuoli: e mille atrocità si commettesser in quel palazzo e in certe tane piuttosto che carceri. Il palazzotto che sovraggiudica il piccol paese, dà bellissima stesa di occhio sui monti e i colli dell'Istria, sul golfo di Trieste, i lubrici e repenti dossi ergentisi fra pietre spaccate e convolle, lo spianate friulano, le lagune, dove alla spazzata si discernono Grado o Caorle; anzi lin Venezia , quando si combinino i riflessi di certi lùcidi e sereni tramonti. I Serviti, introdotti dai Torriani e disfatti nel 1783 ehher chiesa con buoni dipinti. Il porto di Duino ha mollo passaggio verso Gorizia. Presso esisteva Potino, i cui nerissimi vini orano prediletti da Livia moglie di Augusto, Trieste. Dov'or sorge Trieste* tra una plaga Tra lunule e mar, di line erbe, e di radi Cespugiletti coperta, appiè del eolie Poco! rozzi adi uri, e galleggiami Peschereccie baichetie alla bonaccia-Povera ignota sponda, or vi torreggia «lilla liuretne, a pul fan selva, iulortio U'ogni i-iei, d'ogni atout v.clu e bandiere. Cresci, Trieste! a.' più remoli lidi Sjendi operosa le lue mille braccia, K il volo ardilo ilei la tua parola. Cresci • ii Mire e giovanti fortuna Spirano amici a me feconde imprese. Tempo vena eh' altra ricchezza e santa Di sé i' Invogli, e a più mature sorti In vii il (Utrnila t'innalzerai, CiV/.ZOLKTK, li triestino è il braccio sinistro per cui la penisola istriana si attacca verso ponente all'Italia, formando un emiciclo di monti e colline, che a levante è diviso dalla restante provincia per mezzo del Formione, a ponente per mezzo del Timavo dall'antica Venezia, che or dicesi Friuli. TuiESTE giace quasi alla metà della curva che abbraccia il suo seno; gli sovrasta un altopiano arido e petroso, colla vetta di Opcina elevata 185' klafter sopra il mare; e fra essa e la città ondeggiano fruttifere colline. Di tutte le città, che nella illustrazione del Lombardo-Veneto avremo a percorrere, questa sola forse ci offre un subitaneo e grandioso incremento, che la fa di tanto superiore al suo passato. Ilhistraz. del L. V. Vol. II. ti; 8 Trieste è detto da Strabonc Pagocarnio (xwjmi (totpvtittrj); ma chi fossero i Carni e quando edificassero Trieste, lasciamolo investigare agli eruditi. Tergeste o qualche nome simile le davan gli antichi; fra1 quali il primo a menzionarla e Cesare ne- Commentari della guerra gallica: il moderno suona primamente in Fazio degli Liberti ove nel Ditlamnndo dice, con sciocca etimologia: Vidi Trieste colla sua pendice, K questo nomo udii che gli era detto l'eivlié Ire volle ha t ratto la radice. Noi non amiamo arzigogolare sull'etimologie: se ricorderemo che in slavo Trgecste vuol diro emporio, dovrem soggiungere che gli Slavi sol nel sosto secolo dell' era nostra si piantarono sulle coste adriatiche. Coi più diremo dunque che fu fabbricala dai Carni, popolo celtico, venuto in Italia al tempo di Tarquinio Prisco; oppure dai Traci che vi si sovrapposero; o forse dall'aggettivo di questi e da esh> o gstu città deriva il vocabolo Trieste. Dacché i Romani ebbero vinti gl'Islrioti, Trieste fu l'alta colonia, cioè vi si paser cittadini romani che tenessero in freno i Barbari, ma questi la diroccarono nel 702 di Roma. Augusto nel 722 ne rifece le mura e sottopose ad ossa Ì Catali, che abitavano la valle di Prem, ond'egli merito dai Triestini una statua. Trieste prospero sotto gì" imperatori, sebbene venisse ecclissandola la vicina Aquileja. Apparteneva alla tribù Pupinia. Stava sul declivio del collo dov'ora è la città vecchia, e quasi un miglio girava la sua mura; e come l'altre città romane, avrà avuto un campidoglio, il Foro, il teatro, un piccol porto; e fuor del sacro ricinto la città mercantile, dov' ora sono la Madonna del mare e San Michele ; indi h necropoli, che fu poi delta de" santi Martiri, il Campo Marzio in margine al porto maggiore. Attorno stendeansi le borgate per gli artigiani e i liberti. Imperante Antonino Pio, Fabio Severo triestino, senator romano, ottenne che .i più ricchi e migliori fra i Catali, cioè gli abitanti dell'odierno capitanato di Adclsberg, che formavano l'agro (itlri-buto di Trieste, potessero-, mediante un compenso, venir ammessi alle cariche municipali, e in conseguenza alla cittadinanza romana. I decurioni erano obbligati tener casa in Trieste, che perciò venne a prosperare, onde a Fabio Severo fu eretta una statua equestre dorata, con iscrizione onorifica. Caduto l'impero, subì il dominio di Odoacre (476), poi di Teodorico (493), poi degli imperatori di Costantinopoli con tutta l'Istria. Ma Astolfo re do" Longobardi la conquistò nel 751; l'ebbero poi Carlo Magno e i Franchi. Ma distrutta Aquileja, spoverita Ravenna, ancor in fasce « Venezia, la prosperità era scomparsa dall'Adriatico; e Trieste era nulla meglio che un ricovero d'agricoli, forse conservando le forme dell'antico municipio; ma le principali famiglie ritiravansi a Venezia. E di Venezia già erano emuli i Triestini, e colle lor piraterie ne turbavano i commerci, o ardirono rubarne le spose (Vedi pag. 18). Forse è vero che san Giacinto, inviato da sani'Ermagora, bandisse sulla costa il Vangelo; ma solo al 524 comincia la serio de' vescovi con Frugifero, eletto da papa Giovanni coli"'assenso del re goto Teodorico, essendo alla diocesi uniti Piagnente e Maggia; e dipendendo dal metropolita di Grado, poi d'Aquileja. i véscovi nel X secolo ebber donazioni dai re e dominj, e quasi principi operavano secondo l'indole dei tempi e sull'esempio de' patriarchi aquilejesi; possedevano in proprio Umago, i due castelli di Verino, Galisedo sul Leme, e altre terre lito-ranc. Nella città poi esercitavano la giurisdizione invece de' capitani regi , riceveano lo appellazioni dai magistrati municipali, punivano i delitti; esigeano alcuni dazj, menavano eserciti. Più tardi coniarono anche moneta Fu questo il passo per cui (siccome altrove divisammo) dal governo militare de' re si passò al municipale. Essi vescovi nell'esercizio dell'autorità temporale spesso faceansi odiosi o spregevoli: nelle battaglio coi vicini scapitavano di possessi e di ricchezza; nelle fastose comparse alla corte patriarcale sprecavano; e i cittadini, vedendo poter governarsi da sé, ne usurpavano, compravano, usucapivano diritti e privilegi. E già nel 1253 aveano compre dal vescovo le regalie; indi nel 1290 il Comune trovasi di piena indipendenza, al vescovo non rimanendo che il titolo di conte, che serbò fino al 1788, lo dogano e le decime, che venner riscosse lino al 1849, E però ossi vescovi, che protendevano tenere il dominio 1 Delle monete triestine diamo questa di Giobardo vescovo (N. 1), il quale primo pose la /.ceca dopo il t'2011. Porla sul etri Ilo l'immagine del vescovo, sul rovescio civitas Trieste fra doppio circolo puntata, nel Bili mezzo un edilizio ad archi sormontato da cupola rotonda. Questo rovescio vedesi identico nel-l'allra. (N. 2) che diamo di Aquileja e del palliami Volsfcer; e nell'altra (N. 3) di Lubiana (Leibacensis) boi duca Bernardo a cavallo, tutte contemporanee. dal re dTtalia e, al cader loro, dai marchesi d'Istria e patriarchi d'Aquileja , noi potendo conservare, lo cedetter a questi. Il Comune ne riconosceva la supremazia, ma senza credersi diminuita l'indipendenza. Trieste aveva governo proprio, con un podestà straniero, eh' era giudice delle cause maggiori, presedeva i consigli, guidava gli eserciti: quaranta rogatori, formanti il piccol consiglio, proponeano le leggi e i prove-diraenti da discutere nel maggiore, il quale rinnovavasi ogni anno; competendo sempre all'arringo del popolo il sancire le deliberazioni di maggior conto. L'amministrazione affidavasi a tre consoli erettori, che dal gran consiglio erano eletti ógni quattro mesi. Nel sigillo cittadino leggevasi Sistillanum, Pi/blica, Castillif.ii, mare, cektos dant mihi fines, ad indicare che il suo territorio era confinato dal porto di Sestiana, dalla strada pubblica, dal Castelliere, dal mare. | Dagli statuti vecchi triestini appajono quello cure casalinghe e patriarcali, che formavano il carattere di tali legislazioni. La procedura civile e la criminale erano le consuete del tempo; presedute da un podestà e giudici forestieri, anch'essi però sottoposti alla legge e al sindacato; anzi il podestà poteva procedere fin nei casi ove il vescovo non punisse i delinquenti di sua competenza. Le altre magistrature, tutte nazionali e di brevissima durata. Al consiglio maggiore, di 160 persone tutte originarie, era riservato il far leggi, disporre del denaro e de1 possessi del Comune. La qual. foggia di governo durò puro sotto i principi forestieri; e anche dopo le sovversioni di Giuseppe II, solo perendo nei 1809. Pochissimi soldati; ma tutti i cittadini prestavansi alla guardia urbana delle porte, delle mura, dei forti; e occorrendo uscivano in campo sotto ai loro centurioni, al qual modo poterono repulsare molti attacchi de' Veneziani. Al commercio poco badavano gli statuti, in tempo che v'era quasi ignoto; bensì all'agricoltura, come di suolo fertile a proporzione degli abitanti; ma sarei curioso di conoscere perchè victasser la cultura del gelso e l'educazione de'filugelli. Per favorire l'operosità dé'natii mctteansi impacci alla dimora ÒV forestieri. Le arti v1 èrano legate in maestranze ; il che se sia quel grosso malanno che proclamano gli economisti di scuola e di caffè, il la-scerem decidere a chi abbia occhi. Al clero aveasi rispetto, non idolatria, se ne reprimevano i disordini, se n' impedivan i soverchi acquisti e P ingerirsi in interessi secolari. Quattro ospedali erano diretti dalla carità civica e fratesca, e un monte di pietà. Di scuole poco si parla, lasciandole alla premura privata. Modellata su Venezia, o dirò meglio, seguitando al par di questa lo sviluppo naturale e storico, Trieste ebbe un'aristocrazia. La quale, per restar STATUTI E STORIA DI TRIESTE m sceverata da mistione plebea formò una fraglia o confraternita nel!246, in foggia di associazione religiosa affissa alla chiesa di San Francesco. Le tredici famiglie Argento, Basegi, Bello, Bonomi, Burli, Cigotti, Giuliani, Leo, Padovini, Pellegrini, Petazzi, Stella, TolTani, v' eran sole ascritte; e da esse doveano essere scelti 40 membri, nati da legittime nozze e da madre nobile; sicché il ruolo di quella confraternita costituiva il loro libro d'oro (vedi pag. 40). Por tenerci ai primi tempi del Comune triestino, ricorderemo corno per usurparne il dominio tramasse Marco Ranfo, feudatario potente del vescovo che spesso v'avea avuto insigni magistrature; ma nel tentativo perde la vita, la casa sua fu spianata, con ordine che più non si rico-siruisso su quel terreno; banditi, multati, maledetti i suoi (1313). Venezia teneva sempre la mira su Trieste, e quando Enrico Dandolo nel 1202 conduceva i Crociati che conquistarono Costantinopoli, assaltò Trieste, e l'obbligò a prestare fedeltà e tributo a San Marco-. Questa soggezione fu irrequieta; avendo nel 1296 ricusalo il tributo, Venezia [la assalì, ma il conte di Gorizia ed Istria sostenne i Triestini, che respinsero i Veneti, e allora e nel 1338 e nel 1350. Più volte si offersero agli imperatori, nominatamente a Carlo IV nel 1354, contro de' Veneziani favorirono i Visconti, i Carrara, i Genovesi, ma benché assistiti dagli Austriaci, vennero soggiogati da Venezia che li fe sudditi (1369). Come lali, perdeano il mero e misto imperio, conservando però le costituzioni patrie dove non repugnassero a quelle de' Veneziani, i quali con 75 mila ducati tacitarono il duca d'Austria d'ogni e qualunque diritto vantasse sulla città. «Trieste aveva origini e dialetto e vestire conformi a Venezia ; con questa erano i suoi traffici principali; nella dominante godeva privilegi, ripa propria, con immunità per comprar e vendere ; tutti voleano averla visitata; vi mandavano i tìgli a scuola; ne riceveano i governatori, i vescovi, i canonici; la piazza e il palazzo pubblico erano modellati su quelli di Venezia, eppure non le presero mai amore. Non si tosto sepper Venezia avviluppata nella guerra co1 Genovesi, le si ribellarono, dandosi al patriarca d'Aquileja, ma dopo vicende guerresche venne la pace del I3SI, che affrancava Trieste da ogni sovranità, fosse di Venezia o dell'impero. In questo lungo disputare fra Venezia, gli imperatori, i conti di Gorizia, i patriarchi di Aquileja, la città erasi stanca del continuo vacillare, e sentiva bisogno d' un signoro robusto. Ma i patriarchi andavano viepiù scapitando; i conti d'Istria, a' cui cenni l'interno paese obbediva. 2 L'atlo della sommissione l'abbiane recato a pag. 20 eli questo volume. difendeansi a fatica da Venezia, che teneva tutta la costa, e che avrebbe voluto posseder intero il lido da cui era accerchiato il mare ch'essa chiamava suo. Trieste non recavasi in pace tal pretensione, e tanto più per la manifesta predilezione che i Veneziani mostravano a Capodi-stria: sicché volle piuttosto darsi ai duchi d'Austria. Questi cresceano sempre in dominj da quelle parti, avvegnaché nel J374 fossero succeduti ai conti d'Istria della casa di Gorizia; possedessero la limitrofa contea del Carso, i cui conti da un pezzo erano preferiti come podestà di Trieste: insomma si estendevan da Vienna sin al Quarnero senza interruzione, e verso l'Italia sin al Timavo e all'Arsa. Trieste dunque si olfri suddita al duca Leopoldo d'Austria, che la ricevette in perpetuo patrocinio o dominio, riservandole i diritti concessi dai predecessori; e nel 1382 Ugone, che fu il penultimo conte di Duino, sciorinò i colori austriaci sopra la città, ove durano ancora dopo quasi cinque secoli. Dapprima suo stemma era l'alabarda; dappoi ottenne F austriaco A Venezia, in segno dell'antica soggezione, continuava a retribuire la regalia di olio e ribolla ; la qual pure cessò nella guerra dell' imperatore Massimiliano. Nò però Trieste prosperava. Avea perdute «[nelle forme di sovranità, ch'erano proprie de' Comuni nel medio evo, come mandar ambasciadori, far guerra e pace, eleggersi vescovi: vodea le proprie sorti decidersi nel consiglio del principe lontano; mandarsi un podestà a vita,, invece dell'elettivo ed annuale, e tardi giunger i provedimenli dalla lontana cancelleria. I Veneti impedivangli di far il sale, teneangli chiuse le vie del com inercio, sicché riuscivano di puro nome i privilegi ottenuti dai regnanti di Lombardia e di Napoli : il commercio di mare non spingeasi oltre Venezia o Ancona, nò provedeva che la provincia del Carnio; e Venezia metteva ogni- opera per farle prevalere la sua città di Capodistria. Per questa era diretto principalmente il commercio dell'Austria e della Germania e poiché le strado non erano carreggiabili, servivano ben 40 mila beri Propriamente il mio stemma, dal 1461 in poi, è unu scudo bipartito pei traverso, nella cui parie superiore l'aquila bicipite in l'ondo d'oro; nella inferiore, fascia biane trasversa SU fondo rosso, coli'alabarda d'uro in mozzo. Aquìleja porta l'aquila d'oro su fondo celeste delle legioni antiche. Capodistria, una lesta di Medusa bianca su fondo verde. Cillanova, la croce di sani' Andrea su l'ondo bianco, Parenzo, scudo bipartito per palo, bianco a dritta con uh P rosso; u sinistra rosso un C bianco. Pola, croce gialla in campo verde. Pedona, scudo bipartito per traverso: nella parie superiore , mura di ' illà con lot Tf in mezzo a due. stelle d'oro su fondo celeste^ nell'inferiore giglio d'oro in Campo verde.* Pirano, enne rossa in campo bianco, come Albumi, c cosi Rovigno, se non che un brac 'Iella croce è diagonale. TRIESTE DEPRESSA m stie da soma. F Triestini davan molestia a quelle carovane tanto che. protetti da Ferdinando IFI imperatore, costrinsero i Carniolini e i Tedeschi a scaricar le loro merci a Trieste. Ne venner nimicizie con Capo-distria; e questa, sostenuta dai Veneti, pose anche assedio a Trieste: finché Pio II s* interpose, e menò pace, nella quale riconosceansi le pretensioni di Venezia, rinunziando a far il sale, perdendo Castelnovo e Moeco. Per questa pace umiliante, Federico III diodo a Trieste il titolo di fedelissima. Anche nel 1508 Venezia riuscì un tratto a occupar Trieste, e per pochi mesi la trattò militarmente, ma la lega di Cambrai gliela tolse /(. Scaduto ogni commercio, diroccale le case, attenuata la popolazione, i poveri anneghittivano: l'aristocrazia, memore de1 privilegi antichi, stava in broncio, ma andava in dileguo siccome avvien delle famiglie. Cosi trascinossi languidamente fino al principio del secolo passato, quando numerava da tremila abitanti, e poco più nel territorio angustissimo; nel 1702 ebbe a soffrir un bombardamento dalla flotta francese, che incendiò puro Aquileja. La governava un capitano a nome degli arciduchi: per le cose ecclesiastiche un vescovo con 12 canonici; frati francescani, ospedalieri, benedettini, gesuiti, vi recavano carità e istruzione. Il popolo amipavasi nella pesca e nelT agricoltura. che appena produceva il bastevole alla vita. Abbiamo di quel tempo relazioni, che attestano la depressione di Trieste'1. 1 terroni incolti ; ninna ■i ii MachiaVebO, nella più meschina delle opere sue, i Decennali, canto : Né Marco alle difese stiè contento, Ferillo in casa ed all'Imperio tolse Gorizia con Trieste in un momento. Onde Massimilian far tregua volse, Yeggemlo conlra i suoi tanto contrasto, E le due terre daeeordo si tòlse. Le qual di pòi si furono quel paslo. Quel rio boceon, quel venenoso cibo, Che di San Marco ha lo stomaco guasto. In quel tempo studiava a Pavia il celebre Ilutten, autore delle EpiitOtùS ObscurOTUm riroritvi. Prese servigio sotto Massimiliano, e scrisse molli epigrammi, già indicanti il rancore contro la corte romana. In uno induco l'Italia a dire ad Apollo: • Tre mi fan la corte; uno pien di mala fede, il secondo di vino, il terzo d'orgoglio. Poiché m'afferai sottomettermi, dimmi qual giogo è men grave..— 11 Veneziano è, pèrfido sempre, rispose Apollo; sempre orgoglio» Francese; il Tedesco non è sempre ubriaco; a te la scelta. • Spesso incitava Massimiliano contro i Veneziani - popolo di rane • ; contro di essi lanciò due poesie: Marcu*, et De ptscatnra v&nctorum, rd ha pure una EtHelola tla-UcCB ad Maximi/ianum. 5 Entrata netta e spesa ordinaria della magnifica comunità di Trieste dell'anno D,7lJ. Il dazio dol paese fu deliberato al signor Benedetto Knes per tìor. StS da lire 4. 10 l'uno, fanno..........L. 23IÌ2 10 Il dazio d'un soldo per lira fu deliberalo al signor Daniel Blagositz per • 40'». 11 dazio dell'utilità delle beccarle al signor fseppo Turcttò . . . • 'J."> — comunicazione colla contea di Gorizia, niuna coli1 Istria austriaca perocché vi era frapposto il territorio veneto; niuna quasi colla Carniola, perchè chiuso il mare ; e porto di quella era Duino, unitole per governo dopo il 1400; e porto della Carniola Fiume. Già Carlo V avea conosciuto che Trieste era opportunissimo anello fra gli Stali suoi germanici e gli italiani: ma gli arciduchi d'Austria, secondo Il dazio della misura delle Iliade al signor Giovanni Tiepol . Il dazio del vino alla minula per il territorio al signor Daniel Blagositz per . . . . . . . . . . Il dazio della misura del vino ed olio a Sebastiano Covazig . il dazio dell'empir e rassar a Jacomo Piliau per . Il dazio del vino alla minuta per la città al signor Cristoforo Franco! per Il dazio del sestiero al signor Francesco Bajardo per lire 3487. tu, ma lo riscuote I' ecc. camera di Gratz........ Il daziu di soldi 4 per moggio di sale al signor Bonomo de Bonomo per La decima del Valdarivo al signor Francesco Bajardo .... Il dazio della giuslizia allo slesso ....... Il dazio dell' arborazo allo stesso........ 26«!;. — 1935. — tOaO. 1 l|2 •in. i ir» l2l»0 00. - 202. io 180. — 787. IO 270. - Sicché li dazj incantati l'anno 1070 ascendono a Li affliti annui della Comunità ascendono a Si diffalcano gli inesigibili..... 4345; 53. l'ai »6496. 4511 13 4 Totale!.. 40807 17 L'annua entrata della magnifica comunità di Trieste ascende a . ......... La spesa ordinaria......... Sicché resta per spese straordinarie e bisogni annualmente Sprsa annuale ordinaria All'Ili, sig. capitano per paga d'un anno Ali i rev. sig. canonici per tre messe cantate in San Pietro Al rev. sig. cappellano in San Pietro per paga Al rev. sig. cappellaio in San Hocco .... All' ecc. sig. vicario della città...... Alli tre giudici della città....... Alli sig. provisori del Comune...... All'ecc. sig. medico primo della eitlà .... e per 1'affitto della casa ...... All'eco, sig. medico secondo ...... Al chirurgo della città . •...... Al sig cancelliere cesareo....... Alli sig. vicedomini del Comune ..... Al sig. proteltore del banco de' malelicii. Al sig. cancelliere di palazzo]...... Alli due sig. contisti del Comune ..... Alli rev. Padri Gesuiti per salario come maestri di scola Al pretore del Comune ....... Al sig. traduttore delle lettere alemanne .... Al sig. gen. procuratore della magnifica Comunità. Alli due sig. sollicitatori di Vienna e Gratz . Al »ig, soprastante all'arsenale...... 40807. 34535. .17 18 li i 3. 1!» 1 3000 18 300. — «IO. - IMO. — Oliti. I'i<>. — 2400. — 180. — 2400. — 1200 - 448. 10 120. - 8i. - 8i - 432. — 1800. — 050. - 182. - 00. — 000. — 00, - TRIESTE DEPRESSA 597 quella politica antica e filosofica", che pensava la prosperità d'un popolo non poter derivare che dalla depressione d'un altro, aveano cercato nuocer a Venezia or colla cospirazione 7, or coli'aizzarle incontro i Turchi o gli Uscocchi. Ma 1' arciduca Carlo, divenuto imperatore di Germania col nome di Carlo VI. pensò invece più generosamente giovare a' suoi. Al sig. maestro di eappella del Duomo........ • 5W. — All'organista del Duomo........... * ">I2. — AI rev. monsig. Pre' Piego........... • — Al li sig. musici del Duomo.......... • 337. — Al sig. procuratore; delle prigioni . ........ - 24. — Al sig. ammiraglio al porto........... » 33. Di A quello che apre e serra le porle licita città....... ■ 134. 8 Al capo de' bombardieri della città.........» 480. — Al comandatole delli cittadini guardie e ribotte...... • 331. — A quelli che spartiscono li voti nel gran consiglio. . . . . . • 72. — Al campanaro del Duomo........... • 2J0. — A quello che batle il tamburo.......... • 180. — Al sacrissimi della chiesa dei Sanli Pietro e Hocco...... » »4. — Al rcv. padre predicatore pei' suo onorario . . . ■ . . • 1000. — Per l'ordinaria limosina che l'anno li sig. giudici all'anno ... . • 210. — A quello che suona la predica........ . . • 6. — Al portiera che porta le lettere da Gorizia....... » 54.:— Per le cere per le due chiese di San Pietro e San Hocco . ...» 210. — Per 1' olio per illuminare le suddette chiese . . < . . . . . » 84. — Al comilitone delli sbirri.......... . • 720. — A sei sbirri.............. > 1200. — Per 100 orne vino per S. M. Cesarea........ » 2000. — Alli sig. giustizieri............ • 30. — Alti rcv. sig. canonici per la messa e vespri il giorno di San Pietro e Hocco » 18. — A quelli che pollano il stendardo il giorno del Corpus Domini . . . • 6. 4 AHI guardiani delle contrade.......... . » 66. — Per l'olio della guardia............ 84. — Per le cere pel giorno del Corpus Domini e sua ottava...... 308. — Per detle per la domenica delle Palme o la processione del Venerdì Santo. • (100. — Per diversi affitti che paga la magnifica Comunità..... « 800. ti Per altri affitti............. • 200. — Per l'ordinaria elemosina ai rcv. padri cappuccini..... • 1S0- — AI dottor Urbani per ammortir un doluto, all'anno...... 1S00. — Somma L. 34333. 18 g Telh est la condilion humuinc, qua souhaiter la? grandeur ile san pays c' est souhailer da mal à ses voltine, il est clair qu'un pays ne petit gagitcr sane qu'un autre ne perde. Voltaiuk, DU;t. philosophÌQ,u$, art. patri*. 7 Dopo la congiura di Bedmar (Vedi pag. 137.) sulla quale sparge nuova luce il (alleggio dell' ambasciadore veneto presso la corte di Torino, pubblicato or ora nella Storia arcinia e aneddotica d'li'latin , esso ambasciadore Ranieri Zen ne parlava col duca di Savoja, e queslo deplorando altamente l'attentalo, ch'egli attribuiva all'alio alla Spagna, esorlava però la Signoria a non fidarsi neppur della Francia, • poiché questi concetti di tenerci tutti bassi e mortificati, e per conseguenza dipendenti da loro, è dottrina in che s'accordano Francesi e Spaglinoli: c giacché non si possono spartir gli Slati d'Italia, vogliono almeno spartirsi il predominio e l'arbitrio di essa ». F soggiungeva che ì Fran* Illustra?, del L I*. Vol. 11. CI Già aveva ottenuto dai Turchi che le sue navi fossero ricevute in tutti gli scali di Levante : ora Venezia, col rincarir sempre le tarilTe sopra i legni altrui, e col sottometter i forestieri a norme fiscali vessatorie, lo induceva a liberar i suoi sudditi da questi coppi; oltre che P aver un proprio porto sull'Adriatico gii era necessario per mantener le comunicazioni col regno di Napoli e colla Sicilia, allora suoi. Adunque si propose di crear un porto sub" Adriatico. Ma dove? Aquileja recava il misero orgoglio d'un tempo che fu, ma trovavasi bloccata dall'isola di Grado e dalle lagune, dominio di Venezia. Fiume, Sogna, Carlopago v'aspiravano, ma non potessi arrivarvi che sotto al cannono veneto delle isolo di Voglia, di Cherso, del litorale istriano. Fu dunque preferito Trieste, e nel 1717 fu dichiarato porto franco; ammessi a trafficarvi i forestieri, attenuati i dazj, concess e immunità , data una fiora privilegiata; e istituitasi una Compagnia Orientale a Vienna (efimera creazione), le furono dati grandi privilegi. Venezia all'udir ciò, o che, come la fama aggiungeva. Trieste avrebbe fortezze e un arsenale, da cui ben presto uscirebbe una flotta guerresca, si sbigottì: sperò ritardar l'impresa col proibire vi si porlasser legnami e pietre dall'Istria: fece riviver le sue pretensioni di dominio sul golfo, di privilegio pel sale; ma la corte di Vienna passò oltre, allegando che eguai diritto aveva essa sopra Trieste. Anzi, por provaro la ferma sua volontà, il 10 settembre 1728 Carlo VI vi venne in persona, e il Senato veneto non potò far di meglio che mandar a complimentarlo due ambasciadori, i quali restarono testimoni di costruzioni tanto pregiudi-eevoli alle antiche pretese della Serenissima, e udirono l'imperatori! proclamarvi libera là navigazione dell'Adriatico, e che tratterebbe da [tirata chiunque desse impaccio alle sue navi. Ma Venezia era vecchia, e doveva adoprar il bastone non a batter altri, ma a puntellar sè stessa. Vero è che soltanto sotto Maria Teresa solcarono il golfo navi austriache; cesi tramavano cogli Spagnuoli contro il dominio del golfo, fi per « aver certe terre e luoghi a marina, vicini a Venezia, e che faranno elie il mare e il commercio saranno liberi di tulli, e niellerà freno alla repubblica.... E qui sospirando quasi, disse il signor duca: « Signor ambasciatore,'certo vogliono gli Spaglinoli impossessarsi di quo* beni a marina del re dì Boemia (Ferdinando tiglio di Carlo di Sliria, coronato re di iloeniia nel 1017), ed ivi tener la loro armata, e travagliar nelle viscere la repubblica, tenerla sempre in gelosia, spese e guerra ». E mi condusse a veder una carta di disegno di quella parte, facendo ch'io gli mostrassi le terre arciducali e quelle di vostra serenila, domandandomi se Trieste ha gran porto, perchè gli scrivono che l'armata spaglinola disegna andar ivi. e levar le insegne di Spagna, dicendo: « Certo lo faranno, e bisogna che Ferdinando gliel' abbia cesse o coiiiraccanibinle, perchè gli Spagnuoli procurano sempre di camminar coH'apparenza e giustificati.. Son sicuro che, sebben è uscito vano quel tentativo contro Venezia, l'armata spaglinola andrà a prender il possesso di questi luoghi, dove con poca gente q per mar e per lerru infesteranno semrrj la repubblica, ecc. » TRIESTE RISORGE m perocché assai può il volere, ma gli è pur necessaria la cooperazione del tempo. La rinascente città non avea tampoco terreno ove ampliarsi, e convenne turar saline e paduli; appena a piccole barche bastava il porto; la rada rimaneva esposta a qualunque offesa nemica; non capitali, non maestranze, non popolo, non pratica de' negozianti, che tanto sogliono attenersi alle consuetudini; Trieste essendo ignota agli stranieri e ignorandoli. Si cominciò a edificare il lazzaretto a magazzini; poi Maria Teresa, liberando i progetti paterni da quanto aveano di iperbolico, sciolse la Compagnia Orientale e la fiera, e tolti i monopolj e le prerogative personali iniziò la libertà di traffico. Bastò perchè vi accorressero mercanti d'ogni lingua o d'ogni culto, egualmente tollerati, onde si formò una popolazione mista; accanto alla vecchia sorse una nuova città, dove prima non erano che saline; si costruirono il molo, il porto, il lazzaretto, si scavò il canal grande; navi austriache■ veleggiarono a porti esteri; esteri consoli qui sedettero; uno ne nominò P imperatrice per tutelare i Greci, ai quali la servitù toglieva d'aver una rappresentanza: fe trattati coi Turchi e coi Barbareschi; creò la borsa, il capitanato di mare, diede leggi per la sanità, per la giurisdizione mercantile, poi fallimenti, per lo dogane e i transiti. Giuseppe II, che, all'uso de' rivoluzionarj, non sapeva tenersi entro i limiti del possibile, cambiò la bandiera germanica nelP austriaca, volle mandar navi alle Indie e alla Cina, e istituir fattorie in quelle isole remote, come banchi ad Arcangel e Odessa; il che sviava dalle attenzioni sull'Adriatico; ma que' castelli in" aria caddero col suo spirare. Pur vogliamo ricordare il triestino Francesco Pascotini, che in un solo corso andò alla Cina, alle Indie Orientali, nel ritorno toccando alle due Americhe. Dopo P insurrezione fallita della Morea nel 17fì5 molti greci vennero qua a stabilirsi; cosi molti Grigioni e Serblici; anzi nel 1787 per opera di Giovanni Milotics, bosniaco, vi fu posta una scuola por gli Slavi meridionali, che fu la prima in lingua serblica, e dura tuttavia: per poco vi stettero anche i padri Armeni, che poi stanziaronsi a Vienna. Subito sopraggiunser le guerre della rivoluzione; il mare fu corso da navi belliche, Venezia uccisa, Trieste occupata, taglieggiata. Quando il turpe mercato di Campoformio rese austriaco tutto il litorale da Venezia fin alle bocche di Cattaro, Trieste crebbe, e divenne nota di fuori, quasi la credo di Venezfa, fiorendo come porto sicuro fra la guerra universale. Ma nel 1809 era ceduta alla Francia 8, e incorporala alle 8 Nei l'asti dì bronzo di Napoleone si ha una medaglia che rappresenta un fiume sdrajato, e. soldati che lo passano, e nell'esergo Passage du ragliamento prise de Trieste; Provincie Illiriche, colla taglia di 50 milioni, e levandole i privilegi e le norme per cui aveva acquistalo prosperiti. Assimilata allora ad ogn'altra città, perdette abitanti e traffici, e sebbene Napoleone, incapricciato di emular P Inghilterra sul mare, divisasse render Trieste capitale d'un nuovo regno illirico che comprenderebbe la Dalmazia, la Bosnia, l'Erzegovina, il Montenero, tutto v'andava a deperimento. Vero è che, sul finir suo, da Mosca egli la dichiarò ancora porto franco; ma facile è distruggere, difficile il rifare. I Triestini non vollero mai considerarsi per illirici, non saperne di Lubiana, od ora naturale che rimpìangesser la Casa d'Austria, e le scr-bassor una fede, che lo stesso prepotente rispettò, dispensandoli dal giuramento. Per ciò furono ben lontani dal dolersi quando, dopo il picco! l'alto di Lippa, la guarnigione francese capitolò: e Trieste ebbe rinnovato il titolo di fedelissima, quando nel 1813 tornò all'Austria divenuta imperiale, e corse lo sorti di quost' impero, come città immediata. Che cosa importasse questo titolo P abbiamo invano cercato; e parrebbe soltanto indicare che essa non è membro di alcun ducato o contado o provincia, ed attiensi immediatamente all'impero Germanico; ma poiché questo non ha un'attuazione, non può intendersi che doli'imperator d'Austria. Nel 1848, quando voleasi rinnovellare Pimpero Germanico, venner in disputa questi titoli; e giusta lo statuto del 1850, Trieste avria dovuto esser ili giurisdizione propria, con un govornalor suo civile: ma realmente non P ha che militare, o dipende dal luogotenente con Gorizia e l'Istria; e come queste è retta da un'autorità provinciale, non però da una delegatizia come noi Lombardo-Veneto. Al governo della città è a capo un magistrato, e il consiglio ora si intitola Comune, or Municipio. Quanto ai privilegi, il sol nominarli fa paura ai liberali moderni. Non così pareva ai vecchi, che di essi domandavan e ottenevano conferma da ciascun nuovo duca, sino a Giuseppe II il quale rispose non dover essorci privilegi ma leggi. Cessarono dunque le ordinanze speciali che per lei eransi date; sotto Napoleone non v'ebbe che la livellazione nell'universale servitù; nel 1814 si cercò ristabilir il vecchio, ma avea perduto opportunità. Ai negozianti bastavano il porto franco e l'immunità dall'imposte; le velleità di patriziato riportarono le beffe; ma poiché l'applicazione delle forme del Lombardo-Veneto, che Francesco I avea cercato introdurre, non piaceva il rovescio porta A l'armée d'Italie fri una ghirlanda di quercia, e in giro, Lai da \'ò germinai an Bme de la rep. Un'altra ha la teste di Napoleon emp. et voi, e nel rovescio il tempio »li Pola; colla scritta Tempie d'Auguste à Pola; e nelPesergo I/lstrie conquise an. mdc.cgvi. PRIVILEGI. PROSPERITÀ' COMMERCIALE COI agli arislocrati, che zelavano il color rosso quanto altri oggi i tre colori, non si potò costituir veramente il Comune fino al 1839. Pure lo leggi generali dell'impero passo a passo vi preser piede; si mantenne l'imposta prediale, introdotta dal governo napoleonico, e così la tassa d' arti e commercio , assumendosela la cassa civica perchè i mercanti la ricusavano; altrettanto avvenne del dazio consumo; i dazj si pagarono come quando erano la principale gravezza; conservato il bollo della carta, ma esentandone i mercanti; la coscrizione si tentò più volte, ma abban-donossi; la nobiltà doeurionalo perì per dimenticanza. L'imperatore Ferdinando nel 1839 creò una rappresentanza civica di Trieste, c questa proclamava esser debito della città il soltoporsi agli oneri stessi degli altri sudditi, come parte della grande famiglia, purché le si lasciasse tempo di invigorirla sua gioventù; sol domandava di non venire fusa, come il governo divisava, in un solo Slato col litorale dall'A Isa alle bocche di Cattare L'incremento di Trieste più che alle condizioni politiche, è dovuto al singolare sviluppo d'una società privata, qual è quella del Lloyd Austriaco. A somiglianza del Lloyd di Londra e di Parigi, nel 1833 fu fondato dalle Compagnie d'assicurazione, e per comodo comune raccoglieva te notizie marittime e commerciali, tenendo perciò corrispondenti in tutti i paesi, ed aveva un gabinetto di lettura. Sullo prime languì; pareva anzi sul punto di liquidare allorché vi capitò un giovane tedesco, non provisto d'altro che d'intelligenza e buona volontà, che avendo combattuto nella guerra delle nazioni del 1813, poi cercato invano un posto nell'esercito dell' Indie Orientali, volle consacrar il suo braccio alla emancipazione della Grecia. A tal uopo venuto a Trieste, trovò di occuparvisi utilmente presso il console prussiano, e fattosi conoscere, ebbe posto nell'Azienda assicuratrice, e fattone segretario, o ammogliatosi con una triestina, presto divenne l'anima della società del Lloyd, e volle porla in diretta comunicazione non solo colla penisola nostra, ma colla Grecia, col Levante, con quell'Alessandria, da cui le notizie giungente per Marsiglia e fin per Londra. Addestratosi agli affari, acquistata rinomanza presso i lontani e slima dai vicini, allorché venne un di quei momenti che sbalzano gli uomini dalle antiche in nuove carriere egli vi si trovò preparalo per salir fino, ai sommi grati i ; perocché quel giovano avventuriero oggi è il barone de Bruck, consigliere intimo, carico di decorazioni, già internunzio presso la sublime Porta, ora ministro dello finanze austriache °. « E opera sua la sistemazione del ministero di commercio, del quale non parrà Ima-di proposito indicar 1' organismo. É diviso in tre sezioni. Il Lloyd ò nome collettivo di tre società, distinte per indole, per dotazione, per direzione, per socj ; non aventi di comune che il nome. La prima in tempo è l'associazione per ricevere e diffondere le notizie di maro e anima di essa sono Io camere di assicurazione o di commercio; tiene una sala di lettura, e aveva stamperia e giornali, or passati alla terza sezione che ha nome di Artistico-letteraria. La seconda sezione s'intitola società della navigazione a vaporo, ed è il Lloyd per eccellenza e possiede fucine, arsenali, uffiziali, marinaj , e studia lo nuove linee da aprire. Una quarta seziono vi si potrebbe formare, quella del commercio. Mentre in prima sembrava arte soprafina il tener segrete le notizie commerciali e le politiche, il Lloyd né divenne il più attivo difonditore. Certo nessuna compagnia attenne meglio la divisa che addotto, Vorwàris, Avanti. La società fu autorizzata nel 1830, col fondo di 1500 azioni da mille fiorini, nel 1837 fece 87 corse con 5 piroscafi, tragittando 8000 passeggeri, e incassando 163,314 fiorini, ma dovendone spendere 232 mila. Lo coso miglioraronsi ben presto, e nel 1840 avea 20 piroscafi, fece 704 viaggi con 118 mila passeggieri, trasportò denaro e preziosità per 25 milioni o mozzo: 227 mila letterej 135733 botti, 237 centinaia viennesi di merci; introitando 1,420,450 fiorini, di cui 33G mila erano guadagno netto. Dalle, vicende dogli anni succeduti sentì il ricolpo quella società, e ancor più dalla stravagante e fatale guerra di Crimea. Ma nel 1854 avea cresciuto il suo fondo a 13 milioni di fiorini,*e bilanciavasi in 300 mila fiorini di spesa, e G34 mila di entrata; e con 40 battelli a vapore, La I comprende gli all'un attinenti a commerciò e industria, divisa in (umilio dipartimenti, preseduto Ciascuno da un consigliere ministeriale. H pumo abbraccia in tre sezioni tulle le istituzioni concernenti il commercio estoro, navigazione, consolati, ecc; il secondo quelle relative al commercio e all'industria interna; I*terzo sopravvede all'e-SeCUZione delle leggi riguardanti tali oggetti : il quarto s' occupa de'lavori legislativi in proposito. La ii sezione comprende l'amministrazione de'lavori pubblici. L'alta sorveglianza spetta al ministero: è divisa Ira un dipartimento tecnico e uno di legislazione, e affidala alla direzione generare. La III sezione comprende le comunicazioni, ha un caposezione, un dipartimento legislativo, tre amministrativi, sei sopra lo poste, le ferrovie, i Integrali, l'hv.i direzione generale attende all'esecuzione. Gli affari d'indole generale Spettanti a queste sezioni son riuniti in un'altra Sezione statistica, divisa in dipartimento della statistica amministrativa, e dipartimento della conta hi li là. A quel della statistica amministrativa sono affidati anche i giornali di pubblica economia , fra i quali 1' Austria fu.fondala dal ministero. Togliendo al mistero le l'unzioni della pubblica vita, si pubblicano ogni anno amplissime statistiche. IL LLOYD. VICENDE ULTIME 505 portanti la bandiera del Lloyd e quella dello Stato, gareggia coi porti della Francia e dell' Inghilterra ,n. Quanto dicemmo basta a spiegare il perchè niuna città, neppur Vienna, può dirsi tanto attaccata all'Austria come Trieste. Città Tere-siana dicesi la nuova col molo teresiano : Giuseppe II, Francesco I dan nome a rioni; da per tutto monumenti a quei principi : sul piazzale del Duomo è la colonna dell' Aquila , in onore di Ferdinando quando nel 1550 confermò gli statuti municipali", uno a Leopoldo I, statuta patria apprabanti: uno a Carlo VI per la pace saldata e il commercio restituito e cresciuto per terra e per maro: uno a Maria Teresa perchè la città ne fu ingrandita, proveduta d'acqua e di legna, di porto, di lazzaretto, sanala l'aria colmando lo saline. Pure, come in città franca, vi ottennero ospitalità Girolamo Bonaparte, Carolina Murat, Fouchò; varj carbonari vinti a Napoli; molli greci, anzi v'era stato chiamalo maestro il famoso Coray, che si fermò poi a Smirne quando vi si fondò scuola nazionale. A nome dell'Austria ne furono governatori : 1770. Carlo conte do Zinzondorf e Pottendorf. 1781. Pompeo conte de Brigido. 1802. Sigismondo conte do Lovasz. 1808. Pietro conte do Goess. 1809. Bernardo baron«; de Rossetti. Dopo che vi stetier per la Francia Marmont, Bertraml, .lunot, Fouchr; 1813. Barone Lattormanu. 1815. Bernardo barone do Rossetti di nuovo 10 Nel ventesimo congresso generale degli azionisti, tenutosi il t'2 giugno tSliS fu mostralo che crebber i trasporti grandemente, ma scemo l'introito, attesa la diminuzione ni'1 prezzi che dovette farsi per sostener la concorrenza. La navigazione sul Po'fu abbandonata»'crescendo Quella sul basso Danubio, e intraprendendo altre linei'. 88 bastimenti furono arripati per risiami sullo scalo a rotaje ferrate: pronto è il cantiere, presto allestito l'arsenale, avanzato il dock. Cdi introiti ascesero a Bor. JJ,i!)0,W0: le spese a 0,'2SO,000 olire ."iti!) nula per interessi, deperimenti', fondo d'assicurazione: talché, anche dopo la sovvenzione erariale di di un milione di fiorini, resta la perdita di lior. 380,00«. La flottiglia fu cresciuta di 7 bastimenti della forza di 2tlW cavalli: si percorse 113,451 miglia geografiche di più, cioè in lutto, t,()i'2,'2Si miglia, trasportando 4'2«,4,>'2 passaggeri : 51.» milioni oi liorini in denaro. 1,000,000 lettere; 61,381 pacchi, e "2 milioni e mezzo di centinaia di meni. Fu deliberato d'invocare dall'erario un'annua sovvenzione lissa. ti Ve scolpito : Numine sub itostro felices vivile ycnles Arbitrii vestri quittquid habclis erti. Distico che è una semplice variante di quel che i Veneti pomario a Fiume nel t.'ON, ma con sentimento più vero, essendo sulla colonna di San Varco : S n mine sub nostro tuli quiescile ci ics Arbitrii vestri qunlqnnì hubelis erd. 1818. Antonio barone de Spiegelfcld. 1817. Carlo conto di Clioteck. 1810. Antonio barone do Spiegelfeld di nuovo. 1823. Alfonso principe di Porcia. 1831. Giuseppe de Weingarlen. 1841. Francesco conte de Stadion. Memorabile fu l'amministrazione di quest'ultimo, ancor più di ({nella dello Zinzendorf o del Brigido. Accanto all'emporio, in cui può dirsi consistesse Trieste, egli volle far rivivere la città, e dar alla pubblica amministrazione la vitalità, che rimanea soffogata dalla materialità regolamentare. Estose le scuole popolari, e v'introdusse il canto, facendo scrivere canzoni ed inni, e la ginnastica, l'agraria, un musco zoologico; volle riordinata la biblioteca civica; e attorniatosi di quanti conosceva intelligenti e di retta volontà, spingeva il Comune e la Camera di commercio a nuovi imprendimenti; tornò in onore il culto cattolico, moltiplicò parrocchie, non ebbe paura dogli ordini religiosi. Fu allora che noi applaudimmo al fatto nuovo à" un affratellamento tra Venezia e Trieste; nè mai ci uscirà dal pensiero il giorno, che sull'ampia marina, da due battelli a vapore, ci ricambiammo il saluto di * Viva san Marco! viva san Giusto! »: nò era certo adulazione, quando applaudivamo a lui, che tutto il tragitto occupavasi a raccontarci quanto aveva fatto e volca fare; come avesse dato sviluppo al reggimento municipale in tutto il Litorale, che, eccetto Gorizia, n'era privo; come, esitante dapprima se promovere gì' interessi materiali o i virtuali, a quest'ultimi avesse dato la preferenza, sicuro che gli altri terrebbero dietro; nè esitò a nimicarsi i retrivi; e mentre accoglieva molti letterati d'Italia, e in italiana lingua voleva le scuole elementari e il ginnasio e i canti, e piantò la prima cattedra ove si spiegasse Dante, era però entusiasta dell'Austria, e agli interessi di questa credea giovasse il promover quelli di Trieste nell'Adriatico e per tutti i mari. Trasportato nel 1847 in Galizia in momenti difficilissimi, dopo la rivoluzione passava ministro a Vienna, e presto, colpito dalla più terribile delle malattie, moriva mentecatto nel 1853. In altri tempi noi discorrevamo delle vicende ultime con uno che ama Trieste d'amor virile, e la conosce quant'altri, ed esso ci diceva: F naturale che noi non parteggiassimo collo idee d'italianità nel 1847, quando la rivolta fìutavasi in ogni vento che spirasse d'Italia. Allorché, nel marzo del 48, ci fu annunziata la costituzione promessa a Vienna dall'imperatore, la salutarono i mercanti come un fausto evento che aprirebbe nuovo speculazioni, e che riduceVa in pratica le ideo cosmopolitiche ULTIMI AVVENIMENTI ' 50c degli onnigeni abitanti; e alquanta gioventù accorse ad affratellarsi con Venezia. AI momento che in questa scoppiò la rivoluziono, la flotta austriaca si trovava a Pola, e il governo provvisorio di San Marco lo mandò T ordine di tornare: ma, colle imprudenze così comuni ne' rivoluzionarj di cui ò natura il diffidar dogli amici o fidarsi do'nemici, commise quell'ordine al legno stesso, che portava a Trieste il governatore congelalo. Questo ebbe tutt'altra premura che di recapitarlo; e cosi restò tolto alla nuova repubblica il braccio che più le avrebbe servito. « Intanto il noslro Comune aveva dichiarato voler restaro inseparabile dalla dinastia imperante; la guardia civica armatasi tenne la città in obbedienza; se erangli invidiate le glorie d'Italia, non se ne gradivano le novità, e si fe correr voce che Venezia pensasse ancora soggiogar il Litorale, e che essa al Mezzodì, come Amburgo al Settentrione, terrebbero il primato commercialo a Trieste. « Perocché la rivoluzione non era soltanto austriaca, bensì germanica, e parlavasi di ristabilire hi Teulonia che, 0 come impero o come repubblica, assorbisse l'Austria e le coste dell1 Adriatico, Venezia e la Dalmazia: potente flotta teutonica dominerebbe i mari; Trieste ne sarebbe il porto meridionale. Cosi divisa vasi in quo' tempi superlativi. Intanto ogni cosa era sossopra: gli Slavi levarono il capo, ma prudenti come sono e aspettanti l'occasione, si limitarono a scritture, non intese fuori e poco lette dentro, ove la lingua scritta è mal conosciuta, e mal determinata fra i tanti dialetti. Ergevasi un cattolicismo tedesco, che destinava Trieste antemurale del teutonismo insieme e della fede: cosicché noi vedemmo sventolare dal castello ì tre colori teutonici; in città e sullo navi i colori austriaci; sulle navi private i tre colori slavi, i tre colori ungarici, i tre colori italiani, i tre colori francesi, olandesi, belgici, russi; vedemmo esteri portar senza scrupolo la coccarda austriaca da guardie nazionali; Austriaci alla loro appajar la coccarda italiana, la teutonica, la slava, la ungarica; insomma tutto quel corrodo di un carnevale, dove tutti si rallegravano di aver ricuperata l'individuale importanza e attività, troppo spesso usurpato dalla smania regolamentare : ma il fatto è che si dovette proibir al volgo di molestare questi colori, esso che voleva solo gli austriaci. Perocché, se non basta che vedoa nell'Austria l'autrice della sua prosperità, que' tre colori teutonici, Che p&e un sol giorno sciorinaronsì sul castello, rammemoravano i tristi tempi napoleonici: spargeasi che la n'olia sarebbe venduta alla Germania. Trovando tutto ciò contrario alle secolari tradizioni, s'accostarono a quelli che non distinguevano Vienna da Francofono; poi parlamento convocato in questa città adunammo i comizj, prescduli dal consolo gene« rale della Danimarca, allora in rotta colla Teutonia. Uluttrùz. dèi L. V. Voi. il 63 « Non mancava certo chi desiderava che la (lotta sarda e la veneta, comparse nel golfo, attaccasser la città; chi fece uffìzj a Francoforte perchè Trieste venisse aggregata alla Teutonia; non per baje soltanto da caffè, ma corser petizioni e soscrizioni, com'era stile d'allora, perchè si mettesse Trieste sotto l'Inghilterra per salvarla dalla guerra m. Ma il popolo mandava all'imperatore Ferdinando, fuggiasco ad Innsbruck, dichiarando voler essere con lui e per lui. « Al puntiglioso parlamento, allora adunato a Francoforte per rimpastar la Germania, furono deputati per Trieste il carintiano De Burger, valentissimo avvocato e attuaro di borsa, poi divenuto governator della Stiria, ed ora luogotenente della Lombardia: e il prussiano barone de Bruck, che presto da quel parlamento fu destinato plenipotenziario presso il vicario dell'impero, e che poi assunto ministro dell'imperator d'Austria, ebbe a trattare la sommissione di Venezia e la pace col Piemonte, e a cooperare al rinnovamento dell'impero e a secondare quell'operosità che seguo alle grandi commozioni « Nell'intorno frattanto di Trieste fu congedato il consiglio municipale, surrogando una Costituente, che poi ristabilì lo statuto ferdinandeo, e un comitato di sicurezza pubblica, ma entrambi doveano obbedirti alla guardia nazionale, che fu poi anche l'ultima a disciogliersi quando il governo centrale rivalse. « In tutto ciò, meno che concetti politici, sono a vedersi ispirazioni del momento e della,moda, fra le quali spesso fanno profìtto gli speculatori. Duranti le guerre napoleoniche, a Trieste v'eran fornitori per l'amica armata e per la nemica; al tempo della rivoluzione grecasi recavan munizioni a'Turchi come agli EJJeni; nel 1830aspedivansi armi in Romagna, come testé in Crimea provedevasi ai Russi non men che agli Orientali. AI modo slesso entro il nostro Duomo riposa il borbonide don Cirio di Spagna, e fuori il regicida Fouché, entrambi in luoghi che le ordinanze comuni vietano alle tumulazioni ordinario......» E altre cose ci disse quell'assennato, le quali è meglio rimangano nella penna. Solo direm come, in quel che parea generale rimpasto, il governo niu- i'2 Non eia nuovo (piolo pensiero de'cosmopolitici. Nel iXiì fu predicato da un triestino; da un altro nel 48'j4; da un famoso ex abaie nel 1848; poi viepiù nel 19 quando minacciava guerra. E ci ricorda d'alcuni articoli del Costituzionale, ove, confutandosi quest'idea, si narrava la parabola d'un contadino, clic pregò un viandante a custodirgli la sua vacca grassa, mentr'egli correva dietro al lupo che voleva divorargliela, Cacciato il lupo, tornò, ma non trovò più uè la vacca nò il viandante die doveva guardargliela. 13 Deputato per l'Istria fu il dottor Jenny viennese, cioè tutti estranei al paese: fatti* poi le elezioni pel parlamento di Vienna, sortirono llageuauer triestino, e Gobbi medico m Niellila. IL PORTO FRANGO. 1 PRIVILEGI 507 nicipale soccombette al pensiero di estendersi sulla costa orientale, poi rientrò'quello di star soli, fin troppo soli, e di restringer Ira pochi le dignità municipali; accettaronsi tutte le leggi dell'impero unificato, e parve Trieste ormai capace di sostener tutti i pesi degli altri sudditi : probabilmente anche il Comune si restringerà alle attribuzioni a cui sono ridotti quelli di Lombardia, lasciando il resto agli ulìizj distrettuali e delegatizi imperiali. Allo Stadion era succeduto nel 1847 come governatore Roberto altgra-vio di Salm; l'anno seguente Francesco conte di Giulay; nel 1840 Francesco conte di WimpITen, e nel 1854 Francesco barone di Martens tenente maresciallo, che, al par dei due procedenti, è anche governator militare e comandante. Dopo il IS.'iO vi fu puro istituito un governo centrale marittimo. La franchigia concessa da Carlo VI non estendeasi alla terra , ma al porto soltanto, in modo che si potesse la merci; mutar da bordo a bordo senza pagare il fjuarantesimo, come prima faceva ogni merce entrata in porto: per ampliamento si fecero magazzini noi quali depositar e vendere, pagando la dogana sol quando la merce ne uscisse: infine si pose la fiera il cui ricinto era immune. Qualunque estero poteva negoziare ed esercitar industria, acquistare terreni, esenzione dal militare: e per essi furon erette due borgate, sottratte alla giurisdizione ilei Comune, e sottoposte per le cause civili al tribunal mercantilo , per le penali al capitanato di Trieste; pei delitti commessi o debiti altrove contratti non potoan esser richiesti qua; non passibili d'imposte, tutto ciò finché non prendessero stabile domicilio. Maria Teresa per 20,000 fiorini vendette al Comune triestino esse borgate e la giurisdizione, formandosi dell'antica e della nuova una sola città; esentò dalla dogana tutto il Comune (1749) , e considerò continua la fiera, immuni da pagamento le manifatture che dalle fabbriche andavano alle provincie; libero culto ai Greci. Che chela imperatrice cercasse in contrario, quelle immunità vi trassero molti malfattori, e principalmente falliti. I privilegi poi andarono perduti coi codici di Giuseppe II e Francesco I che introdussero una leggo generale. Dopo il 1814 Trieste rimase fuor di dogana, il porlo franco fu esteso all'Istria, ma l'indole di esso, ove si eccettui la franchigia da dogane, mal era definita, ed esposta all' interpretazione di cozzanti interessi. Si volle che il domicilio non portasse sudditanza austriaca, e Francesco I l'assentì, come il non levarvi coscritti; si ritenner libere tutte le arti e professioni, salvo quello degli osti e caffettieri, e solo il conte Stadion potò ottenere che alla borsa si registrassero i mercanti non riconosciuti dal tribunale. Tal condizione fu poco mutata dallo statuto del 1850, conforme alla costituzione: la città è dichiarata rek h s un m i Ufi bare Stadi, cioè immediata dell'impero; libertà è reclamata da tutti, ma ognuno l'intende al modo clic più "gli giova; o che per gli astuti potrebbe tradursi in non obbedire a superiori e comandar su inferiori. Fatto è che, al contrario di quanto credesi fuori, Trieste non perdette alcun privilegio dopo il 48; i mercanti godono quei di prima, se non che divennero prevalenti, non per decreti, ma per la natura dello cose, che dà l'autorità di diritto a chi la possiede di fallo. Quel che fu nuovo fu l'introduzione delle gravezze, rese necessarie da quella violenta convulsione; qui pure mettendosi e l'imposta sullo rendite! e il bollo ai documenti anche mercantili ; la coscrizione si restrinse a metà, col diritto d'esimersene a denaro, ma si forma un battaglione civico di 1000 uomini su 14 mila abitanti, che il Comune dee mantenere. L' antica amministrazione comunale facea un patriarcale risparmio , con modiche imposte provedendo a dispendj anche straordi-narj e risparmiando lin un milione e mezzodì fiorini, che s'impiegarono in una chiesa e in un ospedale. Ora nuove idee son da per tutto sotterrate alle economiche d'altro tempo, e gli amministrati pare non domandino so non che si facciano le spese grosse. Sul che tutto avrei mollo a diro so volessi approfondarmi ne'miseri, de' quali Trieste abbonda forse più eh'altra città; ma questa è illustrazione, e vuole il pien giorno. Certo in Trieste non s'ha a corcare quel viver dimentico dello capitali; la crittogama della noja è dissipata dalla bufera della borsa; gì'interessi materiali soffogano talvolta i morali; ma nessun paese così vicino a noi può offrir agli Italiani un'immagine di Londra. Oggi la città colle contrade esterno e collo ville forma un solo Comune di 100,000 abitanti, il reggimento dol quale è a basi larghissimo. Il podestà, eletto adesso dal.consiglio, e in futuro dallo imperatore, è capo così del consiglio come della magistratura ; i consiglieri già eletti dal popolo, ora sono nominati dalla luogotenenza. Il consiglio de' 34 decreta le massime e sorveglia la delegazione che è consiglio ristretto; la delegazione ha il più dei poteri, e sorveglia il magistrato; al quale spella la parte esecutiva e tutto il politico, dacché in Trieste non vi ha circolo o regia delegazione, bensì gli altri uffizj consueti; e un govcrnator militare. 11 territorio di Trieste nel XV secolo comprendeva la città entro le mura, divisa nello quattro contrade Castello, Caboro, Arena, Cavana ; Le Contrade esterne, appendici della città, ripartite in sei fattorie o guardianati, Grondolera da Sestiana a Grignano, Moncolano da Grigliano a Riborgo, Cologna, Melara, Castiglione (Zaule) e San Vito; Le Vitto: Santa Croce, Contovelo, Opcina, Trobichiano, Gropada, Be-soviza, Gorzana, Verpoliano, Nassirz, Draga, Tesero, Bocca, San Pietro di Madras, Bergot Therpez, Presniza, Ocisla, Cernotich , San Servolo, TERRITORIO E POPOLAZIONE DI TRIESTE 50!> Mascoli, San Martino, Sant'Odorico (Dollina), Cregotiàno, Bagnoli ( Bol-lunz), Borda, Borst, Brisez, Sovieli, San Giuseppe. Ora il Comune di Trieste è ripartito in < ]ueste Stima Superficie Numero Frazioni censuarie ccnsuaria jugcri o lese dei. quadrate censiti in fiorini 448 407, 941 104 Balcola....... 2287 322, 409 177 Besoviza....... 3291 3032, 80 258 Calvola inferiore .... 3188 213. 405 88 Calvola superiore .... 2609 210, 81 215 3310 302,1151 144 2788 793,1389 437 1466 2G8, ,990 125 4085 0G5, 215 624 3010 289, 210 177 833 939,1527 143 3738 459, 97 310 Longera ....... G20 457, 538 140 S. Maria Maddalena inferiore 11070 1531, 555 558 S. Maria Maddalena superiore 2780 232, 345 144 1399 1075,1234 148 571 720,1494 89 3885 553, 330 400 2438 280, 090 305 2891 503, 073 280 282!) 252,1247 102 Silvola....... 1038 201, 451 200 1285 1582, 207 255 1533 277, 10 175 Totale. . . 04011 10297, Si! G084 "La popolazione di Trieste fu nel 1717 di anime 3,000 1799 di anime 27,300 1785 ...... 17,000 1801 ........ 31,500 1789 ....... 21,000 1802 ....... 27,000 1791 ....... 24,500 1803 ....... 29,200 1795 ....... 27,000 1809 ....... 30,000 1798 ....... 30,200 181 ....... 24,000 1815 di anime 32,000 1850 di anime 35,000 1820 ....... 33,000 1851 ....... 58,000 1825 ....... 40,500 1852 ....... 70,000 1830 ....... 44,200 1853 ....... 60,000 1835 ....... 51,300 1854 ....... 61,000 1840 ....... 50,000 1855 ....... 54,000 1845 ....... 58,300 1856 ....... 53,600 Queste cifre non 'sono di norma sicura, dacché i confini della città or si allargarono, ora restrinsero, ed oggi buona parte di essa è considerata campagna, nè le anagrafi furono esattissime non essendovi coscrizione militare: nelPultima si assegnano alla città 53,000, alla campagna 30,000 abitanti; ma sembra più vera la cifra di 14,000 villici, di 75,000 urbani. Quanto a religione son da 3700 gli Israeliti, 2053 fra Greci, Luterani e Calvinisti. Quanto a lingua, la campagna è popolata di Slavi, perù la lingua italiana si allarga anche nelle ville più remote ove pochi anni or sono non si comprendea. Nella città questa è la lingua comune e famigliare; gli Slavi del nord usano per lingua nobile la tedesca; quelli del sud P italiana, come gli Israeliti, mentre gli Evangelici usano la tedesca, i Greci l'apio ellenia e la illirica; gli impiegati tribunalizj l'italiana o la ledesca, quelli di altra categoria la tedesca; lo scuoio quali la tedesca, quali la italiana, il foro, il pulpito la italiana; e più degli abitanti sono bilingui, moltissimi trilingui, non calcolato il francese che dalla stessa gioventù si comprende e si parla. Scrivonsi l'italiana, la tedesca, la greca, poco la slava, rimasta in condizione di lingua volgare/ Ma il distinguer la popolazione secondo lingua nativa, riuscirebbe sembroso, dacché il figlio ne addotta una diversa dal padre, e ora prediligosi una ora l'altra; le donne s'attengono all'italiana, ma quello della classe elevata proferiscono or il tedesco, or l'inglese, or il francese; da un decennio all'altro cangiandosi le cose, il genio, la moda. Ciò nelle sale, ma per le piazze e pei trivj di Trieste suona il dialetto veneto. Il clima vi è sottoposto a rapide variazioni; e il vento greco o bora vi rende talvolta insolfribile il camminare sin per dieci e più giorni continui. I vescovi di Trieste, come si disse, dipendeano dalla metropoli d'A-quileja: finché fu principesca ne erano quasi vassalli: dappoi non conservarono che la sommessione ecclesiastica. Gli arciduchi d'Austria, secondo lo spirito del tempi nuovi che traevano al poter secolare anche le materie ecclesiastiche, ottennero per indulto pontifizio di poter nominare a loro scelta i vescovi, che prima lo erano dal capitolo della cattedrale. Il rito palriarchino, usato per l'addietro, fu surrogato dal romano nel 1580. Abolito poi il patriarcato d'Aquiloja, la sedo triestina suffragò VESCOVI DI TRIESTE 811 {Pio il.) ali" arcivescovo ili Gorizia, lino al 1788; allora per le novità giusoppine fu soppressa quella sede incorporandola a Gradisca; ma nel 1700 fu restituita; e nel 1831 vi si aggregò puro la diocesi ili Gittanova , come nel 1788 crasi fatto di quella di Pedena: il vescovado di Capodistria rimane distinto, sebbene si unisca nello stesso prelato. La diocesi or crebbe ora scemò; e adesso conta 200 mila anime, ripartite su 32 leghe da 15 al grado: la unita di Capodistria, 40 mila su 7,78 leghe. Fra i vescovi di Tricstefu insigne Enea Silvio Piccolomini di Siena; dottissimo in lettere e in ragione canonica, scrittore di corografie e di storie, sostenne primaria figura ne1 maneggi d1 allora, e massime noi concilio di Basilea, tendente a levar via lo scisma e gli errori allora rampollanti ; fu segretario di molti principi e infine dell' imperatore Federico III; scrisse la storia della Boemia, quella dell'Europa al suo tempo, quella del concilio di Basilea, in cui stette colf opposizione. A Trieste lasciò molte vestigia della sua sapienza di governare ; infine fu fatto papa col nome di Pio II (1458), e fra l'altre suo azioni è memorabile la crociata marittima che cercò armare contro i Turchi, allora minacciosi: ma mentre accingeasi a capitanarla in persona, mori ad Ancona. Fu lui che tolse al capitolo triestino il diritto d'elegger il vescovo, trasferendolo nei principi d'Austria. I canonici di Trieste da 12 furor) ridotti a 7, e portano la mozzetta di seta per breve di esso papa, e le zanfardè; e per concessione di Micia Teresa una croce pettorale coll'ofligie di San Giusto, appesa a nastro cremisino. Senza più accingiamoci a visitare per lilo e per segno questa città. La parte alta, cioè la vecchia, si conservò deformo, c con viuzze anguste e tortuoso , mentre la bassa le ha ampie, regolari, pulite, con case coperte di tegoli, elevantisi a 3, 4, fin 5 piani, con comode scale. Modernamente la città fu divisa in 9 contrade o sezioni, numerate progressivamente; poi le contrade esterne delle due Chiarbole; due Santa Maria Maddalena, Rozzo), Ghiadino, Guardiela, Gologna, Rojano, Gretta, Barcola: infine lo ville di Santa Croce, Prosecco, Conlovelo, Opcina , Bane, Padricciano, Gropada, Trebbiano, Basoviza, Longcra, Servola, Gattinara. Ma è diffìcile determinare l'area e il contorno d'una città che cresco ogni giorno; e la pianta stessa che offrissimo sarebbe forse alterata avanti che si pubblicasse. Molti ponti congiungono la città Terosiana, e vi serpeggiano i torrenti Starebreck o Kini/., elio si uniscono al ponte di Chiozza. Quest'anno fu posto il nuovo ponto di ferro girevole. (San Giusto.) Il Duomo di Trieste piantasi'da occidente a oriento, in cima d'un colle disabitato, con torre che par piuttosto da guerra, sostenuta da colonne romane, e con infisse lapidi e opere antiche. Anche l1 interno DUOMO DI TRIESTE. MUSEO 513 mnnca d'euritmia, non corrispondendosi nè le 25 colonne, nò le 4 arcate, nò le 5 navi; neppur ad un piano solo ò il pavimento; e vuoisi sorgesse sulle ruinc e con pezzi del tempio di Giove, Giunone e Minerva. Forse rimonta fin all'età di Teodosio, e fu in origine dedicato alla Beata Vergine, come le chiese principali d'Aquileja, di Capodistria, 'di Gitlanova, di Parenzo; poi a san Giusto, martire e patrono di Trieste, e con tal vocabolo trovasi mentovato nella donazione che Berengario re d'Italia, nel 902 , fece al vescovo di Trieste de'ca-stelli di Verno presso Pisino. Però a san Giusto dovette esser consacrato solo un sacello nel 550; poi nel 4312 il vescovo Rodolfo Podra-zani congiunse questo e la basilica: indi nel secolo XV s'aggiunsero altri sacelli, che lo modificarono come oggi si vede. Nel 1337 fu elevato il campanile sovra parte d'antico portico. Possono d'antico osservarsi ncl-l'interno, i musaici di vetro dei duo absidi, un de'quali rappresenta i santi martiri triestini Giusto e Sorvolo, la vasca di marmo bianco csagona che serviva al battesimo, e molle reliquie. In ostensorio fu donato da Luigi XVIII di Francia in memoria d'aver custodito le due principesse profughe Adelaide e Vittoria, qui morte nel 1800. Sulla facciata esterna leggonsi epitali de'vescovi, tolti dal pavimento della chiesa quando venne rifatta; gli stipiti della porta maggiore formavano il monumento funebre della famiglia romana Barbia. Son recenti il coro e la soffitta della gran nave; l'aitar maggiore di fuir marmi variati, è opera di Andrea Tremignan veneziano. Qua doveva esistere il Campidoglio, e in fatto gli scavi danno molte anticaglie, di cui alcune sono infisse disordinatamente nel campanile, altre disposte nel vicino museo. L'origine di questo museo attiensi a un avvenimento tragico. Gio. Win-ckelmann (1717-G8), povero figlio d'un calzolajo del Brandeburg, invaghito degli sludj, trovò modo di venire aRoma, dove i cardinali Albani e Visconti lo ajutarono, tanto che divenne uno de'più insigni eruditi. L'antiquaria fin a lui non erasi occupata che di erudizione; ma esso la volse sulle arti del disegno, dello quali pubblicò la storia, prendendo la voce storia Illusiva*, del L. V. Vol. II. WS nel senso greco di sistema, e guardando ali1 essenza dell'arte, non allo vicende degli artisti, e divinando quel.che all'età nostra fu chiarito, che la teoria dell' arte si riduce alla teoria delle epoche. Revocò dunque dalle indigesto favolo latine alla mitologia greca; pose ciascun monumento a confronto con lutti quelli che esistono, rimovendo cosi lo interpretazioni capriccioso. Quanto gli antichi aveano detto sul sentimento del bello, era a lui conosciuto, e come faccia rifluire i nostri pensieri alla fonto ■divina; poiché, secondo lui, l'idea del bello sta in Dio, donde emana per passar nello cose sensibili che ne sono la manifestazione: lontano però dalle astrazioni, surroga dappertutto lo realità storiche, le quali ne sono la traduzione. Egli avea visto 1' antichità soltanto a Roma , vai a dire la III e IV epoca doli' arte , quando la grazia era valutata più che la forza e la maestà, e gli esempi deduce quasi unicamente da Prassitelo o dagli imitatori romani, poco conoscendo la sublimità di Fidia c Scopa. Inoltre restrinse la vista sulla sola arte greca: all'egiziana non trovò posto nella sua cornice, e sol ne foce l'ombra di quella gran luce: un riflesso la romana: barbarie il medio evo , dove le teste di Cristo gli parvero « quel che si potesse vedere di più ignobile »; sicché giudicò con forza quel che trovavasi fuor del cristianesimo, ma non si spinse più in qua, e incolpa Michelangelo d' aver desunte le figure del Salvatore « dallo barbaro produzioni del medio evo » e loda in Raffaello una testa di Cristo t che offre la bellezza d'un giovane eroe senza barba ». Non ostante lo teoriche assolute ed esclusive, egli sarà sempre messo a capo dell'archeologia moderna, e credea lo studio dell'antichità non fosse degno del savio se non diretto in modo da raffinare il gusto, e rischiarar gli andamenti dell'umanità. Amor di patria lo richiamò in Germania, ma presto sentì il bisogno di riveder Roma, e tornando giunse a Trieste il 4 giugno I7G8. Attendendo un imbarco per Venezia o Ancona, alloggiò all'albergo della Città in piazza san Pietro, e vi s'imbattè con un Arcangeli pistojese, malarnese, già condannato in una casa di forza, e che cercava qualche occupazione.. Costui ne guadagnò la confidenza, o avendo veduto le medaglie di cui aveagli fatto dono Maria Teresa, c credendolo qualche gran ricco, l'assassinò agli otto di giugno. I Triestini orano stati fin là indifferenti a studj che non danno né potenza né fortuna: forse non avevano mai sentito nominare il Win-kelmann, ma il parlarne allora fissò l'attenzione, e parvo favilla di nuova vita. L'assassino, colto e confesso, ai 20 ili quel mese fu mandato al supplizio coi barbari modi che allora credeansi esemplari; ma un'espiazione più condegna fu il decretargli un monumento sul luogo dove, giusta le, ordinanze di Oui^pp^ II. si faceva il cimitero pubblico, noi MUSEO DI TRIESTE 5'15 giardino d'un canonico. I tempi tardarono l'effettuazione di quel pensiero, finché Domenico de Rossetti, avvocato e procuratore civico, con denaro raccolto da tutta Europa, potè nel 1830 erigere quel mausoleo, opera di Antonio Bosa veneto, con iscrizione del Labus bresciano. Il De Rossetti volle che il grande antiquario, riposasse fra gli oggetti di sua predilezione, adunandovi intorno i monumenti antichi. La cosa ebbe effetto nel 1842, o le iscrizioni sono incastrate nel muro che sorregge il Duomo: le sculture in quel della cella funerea: i massi distribuiti pel terreno. E già moltissimi sono raccolti per dono o per compre ; fra' quali è notevole il già citato decreto della colonia tergestina a onore di Fabio Severo, donde appare il modo d'acquistar la cittadinanza romana u; 14 K. nnvembr. — Hitpanivt ■ Lenlvlvs . ci ...S . nepos . Il . vir . ivr . die ■ v ■ f. Fa-bivm . Se.vervm . clarissimvm . virvm . mvlta . jam . pridem . in . rem . p . nostrum . beneficia . conlvlisse . vi . qui . a . prima . sva . statini . adate . id , egerit . vt . in . udav-gcnda . pallia . sva . et . dignitate . et . eloqvenlia . crescerei . nam . ita . mvUas . et . magnificat . cavsas . pvblicus . apvd . oplimvm . principem . Anloninvm . avg . pivm . ad-servisse . egisse . vicisse . sine . vllo . qvidem . wrarii . nostri . impendio . vt . qvam . vis . admodvm . adolescens . senilibvs . tamen . et . perfectis . operibvs . ac . factis . patrium . svam . nosqve . insvper . sibi . vniversos . obslrivxerit . nvnc . vero . tam . grandi . beneficio . tam . salvbri . ingenio . tam . perpetra . vtilitate. rem . p . n . adfecisse . vt. omnia . prcccedcnlia . facta . sva . qvamqvam . immensa . et . eximia . sint. facile . svperarit . nam . in . hoc . qvoqve . mirabilem ■ esse . t. . r , mrltì lem . quoti . co lidie . in . benefaciendu . et . in . patria . sva, trenda . ipse . se . vinetti . et . ideo . qvam . vis . promensvra . benefìcio-rvm . ejvs . impares . in . referenda . gratia . simvs . Interim . lumen . prò . tempore. vel. fttcvltate . vt . adjvvet . sape . factvrvs . rementrandam . esse . c. v. beitevolenliam , non . vt . illvm . pronimem . habeamvs . alivd . enim . vir . ita natvs .non .potest. faccre . sed . rt . nos . jvdicautibtts . gratos . prvbeamvs . et . dignos . tali . decore . talique . precsidio ■ il.f.p.d.c.r.c. primo . censente . L. Calpvrnio . certo . Cvm . Fabivs . Secervs . vir . amplissimi^ . adqve . cìarissimvs . tanta . pietatc . tantaqvc . adfeclione . rem . p . n . amplexvs . sit . itaqve . prò . minimis masrimitque . commodis . pivs . excebit . atqve . tonnetti . prtestandola , avxerut ■ vt . manifestvm . sii . id , eem . agire . vt . non modo . nobis . sed . proximis . qvoqve . eivitatibvt. declaratvm . velit . esse . se . non . alio . qvam . patria; . svee . natvm . et . civìlia . slvdio . qvw . vi . ev , qvam . vis jvvene . jam . sini . peracia . atqtte . . pcrj'ecta . ac . senaloriam . admodvm ■ dignilatem . hac . maxime, . ex . eavsa . concvpivisse . vii . palriam . svam . tvm . ornatavi. tvm . ab . òmnibvs . iojunis . trtam . defensamqvc ■ servaret . interim . apvd . jvdices . a . ctvsare . datos . interim . apvd . ipsam . imperalorem . cavsisq . pvbticis . patrocinando . qvas . cvm . jvstilia . divini . prin-cipis . tvm . sva . eximia . ac . prvdcnlissima . oraltone. sempre . nobis .cvm .Victoria . ftr-miores . remisit . ex. priximo . vero . vt . mvnifestatvr .cadestibus . litteris . Antonini, avg • pii . tam . feliciter . desiderivi» . pvblicvm . apvd . evm . sit , prasecvtvs. impetrando . vi . carni . cattili. allargare . qvi . atlribvti ■ a . divo . Avgvsto . ..... rei .pvblica; . nostra: . prò . vt . qvi . mervissent . vila . al . qve . censv . per . wdilitatis . gradvm . in . cvriam . nostrum . admillerenlvr . ac . per . hoc . civitatem . romanam . atlipisecrciitrr. ri . trrariem . nostrum . ditavit . et . cvriam . cmnplcvit . et . vniversam . remp . n . evm . eo . mentis . . ampliavit . admillendo . ad . honorvm . commvnìonem . ut . vsvrpulitmem . romanw . ci-vitalis . et . oplimvm . et . locvpletissimvm . qvemqvi . vt . sciliect . qui . olivi . crani , tan-tvm . in . redditv . pecvniario . nvnc . et . in . ilio . ipso . dvplici . qvidem . per . onoraria} . nvmeralionem . reperiantur . vt . et . sint . cvm . qvibvs - mvneru . decvrionatvs , jam . vt . paveis . onerosa . honcsle . de . plinto . campartiamvr . ad . cvjvs . qvidem . grattarti . habendam . vt . in ■ Strada . permansvmm . ejus . modi . beneficio . oportverat . qvidem . sifleri . posset . et . si . vercevndia . ciarlatimi . viri . permuterei . vniversos .... ri . ci . graiias . ci . jvxta . optimvtn . principem . agere . sed . qvtmiam . cerimi . est . nobis . onerosvm . ei . frtvrvm . Iole . noitrvm . officivm . illcd . serie . proxime . fieri , una battaglia delle Amazzoni in bassorilievo, Pacrolerio del tempio delle divinità capitoline, ec. Il De Rossetti avca ben meritato della patria collo zelarne costantemente il bene, coli1 acconciar le antiche prerogative ai moderni sistemi, e col raccorne le memorie , delle quali buona parte pubblicò nelP Ar-cheogfafo triestino: poi morendo nel 1842 lasciò al Comune la sua raccolta delle edizioni petrarchesche e delle opere di Enea Silvio, e un fondo con cui dare premj biennali per libri e per azioni utili e virtuose: uria delle quali si fu il piantare un bosco nel territorio triestino. Un de'prcmj va pure a chi rischiara qualche punto della storia triestina: e il primo fu, nel 1858, assegnato al D. Pietro Kandler, il quale ne ereditò Pa-more dello antichità patrie, e illustrò Trieste e tqtta PIstria con moltissimi scritti, do"quali noi ci valemmo assai in questa compilazione. Vicino al Duomo stava il vecchio castello, che nel 1470 fu tolto a ricostruire per difendersi dalle eventuali correrie de1 Turchi o de'Ve-neti o per tenore in senno la città, e finito solo nel 1680. Ivi risedevano i capitani e presidenti di Trieste; e nel 1813 vi furono chiusi 700 Francesi, finché venner costretti dal cannone inglese ed austriaco a capitolare. In quell'area stava il primitivo episcopio, che, per dar luogo al castello fu trasferito ivi vicino, modesto, ma non sì che non potcsser alloggiarvi Leopoldo I e Carlo VI. Da poi fu ridotto a ospedale e casa de'pazzi; e l'episcopio fu trasferito dirimpetto a Santa, Maria del Soccorso. Cresciuta che fu la città, si pensò a provvederla d'una nuova cattedrale, o dov'era la chiesa esagona di Sant'Antonio, si eresse il tempio presente. L' architettò Pietro Nobile, da Campestro nel canton Ticino, che oportebit . o . stutoam . ci . acratam . eqvestrcm . primo . qvoqve . tempore . in . celeberrima . furi . neutri . porle . poni .et . inbasi, ejvs . liane .nostrum . consensiunem . utqve . hoc . decrelom . inscribi . vii . ad . posteros . nosiras . Una . volvntas . amplissimi . viri . qvam . fuchi . pcrmaitcìint . petiqòt . a. Pabio . vero . egregio . viro . patris . Severi . vti . tinnidoqvidem .et . commcnlvie .hoc. ipsivs . sit . prmidenliir . qva . rem . pvblicam . n . infaiigabili . cera . gvbc.rnut . ci . in hoc . pivs . pvblici . benefitii . qvod . talem . et . no-bit . et . imperio . cincin . procreatili . atqve . formatiti . cvjvs . opera . stvdioq . et .orna-tiores . et . tvliores . in . dies , nos . magis . magisqve . nenliumvs . vti . ea . placvisse . in . liane • rem . adse.nsmn . siwm. legar i. mandariqve . sibi . vti . gratias . poblicc . durissimo . viro . mandata . nostro . agat . et . gavdivm . vnivcrsorvm . singvlorvmque. . ac . rulvntatem . vt . magister . tulivm . rerem . in . notitiam . ejvs . perferat . censeernit. 15 Nello Indicazioni per riconoscere le cose storiche ilei Litorale compilate dal cav. Kandler, a solo tiso del conservatore del Litorale, vengono riportate ben CSO iscrizioni, die son in questi paesi o ad essi riferisco usi. Esso Kandler pultblicò t'2'2 iscrizioni laterizie dell' Islria, menile si sa che il museo di C«cn ne ha li!»; ItiO quello di Donai ; 00 quello di l'oilicis; un ccntinajo quello di Aiuiens, ec. CHIESE DI TRIESTE 517 poi a Vienna fu architetto, consigliere e cavaliere, finché mori il 7 novembre 1854; eccellente uomo, più che artista originale e intelligente. La spesa fu sostenuta dal Comune. L'aitar maggiore, opera di Giovanni Antonini, ha angeli di Fr. Bosa, che fe pure le statue sulla facciata; dentro son dipinti di Schonemann, Politi, Tunner, Schiavoni, Lip-parini, Grigoletti. Santa Maria Maggiore è disegno barocco del gesuita Pozzi, e già apparteneva ai Gesuiti, che, cacciati dalla rivoltosa Boemia, qui vennero cogli auspicj e i doni di Ferdinando II; e tenner collegio, coltivando gli spiriti e insieme i campi e spendendo largamente, finché, con grandissimo dolore e danno della città, di qui pure venner cacciati, prima che il tempio fossi; compito. Ma rimane un de' più insigni della città e di recente abbellito; un altare, opera del friulano Boarzi, con finestre dipinto e paramenti lavorati a Milano, "fu regalato dal cavaliere Revol-tclla, di cui si ammirano il ricco palazzo e tante opere benefiche. In San Cipriano lo Benedettine s'applicano all'educazione, e son le uniche monache dell'Istria che sopravvivessero alle distruzioni di Giuseppe II e di Napoleone. A Santa Maria del Soccorso sorge il nuovo episcopio, e presso al Duomo il seminario, nascente istituzione. Altro chioso vi sono e se n' edificano di nuove man mano che la popolazione aumenta: od è un fatto unico il trovarvi in pochi anni erette le tre chiese, di San Giacomo, opera dell'ingegnere Sforzi, di San Giovanni e di San Bartolomeo in Basovizza dell'edile Bernardi ; e mentre stanno ancora finendosi quelle di Rojano, de' Cappuccini, degli Armeni, altre no sono in progotto; sicché Pio IX ebbe a mandarne solenni congratulazioni al Municipio ,(!. in l'io Papa IX. Dilètti figliuoli, salute ed apostolica benedizione. Le testimonianze dateci a Vóce ed ih iscritto dal venerabile fratello, il vescovo Bartolomeo, il quale a voi da Uoma ritorna, del sommo vostro zelo religioso e della singolare vostra alacrità ci hanno non poco consolido. Da lui abbiamo saputo le vostre sollecitudini e cure, a promuovere I' istituzione della gioventù e l'educazione cristiana delle fanciulle, con che voleste farvi sempre più benemeriti della religione santissima e della patria. Abbiamo, diletti figliuoli, saputo quanto insieme col vescovo faceste per recare il pubblico ospitale dei malati a quello stalo che fuor dubbio è proficuo alla salute così del corpo come dell'anima. Si aggiungano i grandi dispendii che decretaste sia per costruire nuove chiese, sia per i istaurarle , con tanto vantaggio dell'aumentante numero degli abitanti e dei forestieri, con lauto decoro della patria comune. Pei quali egregi ed altri fatti con voi, diletti figliuoli, ed in questa nostra epistola facciamo manifestazione così dell'animo propenso, come del paterno amore clic professiamo al Consiglio Municipale. Nè certamente la vostra pietà ed alacrità sì manifesta e per tante opere comprovata, ha bisogno di venire spiata ed eccitala, perchè alle opere perfette e cominciate altre nuove ne aggiungiate, e maggiormente, figliuoli carissimi, bene meritiate della religione e della patria. Hanno pur bolle chiese e adunanze, le vario comunità religiose, cioè 'la greca-orientale che fa bella vista sul mare; la slavo-serbica, sul canale, magnificamente ornata; la confessione augustana e la elvetica, già San Silvestro e de1 Gesuiti, ove si alternano nel servizio divino la lingua italiana, la francese, la tedesca'7; la anglicana aperta nel 1830 e mantenuta metà a spese della regina d'Inghilterra, metà dei pochi anglicani qui accasati, che dipendono dal vescovo di Gibilterra. La sinagoga fu eretta al lino del secolo passato, ed è ben decorata. La chiesa greco-slava sarà rifatta, avendo la dama Nako fatto dono di 50,000 fiorini. I Grucigeri di Venezia tencanvi due antichi ospedali: poi Maria Teresa nel 1700 ne dispose uno generale, ma Giuseppe II lo converti in caserma', portando l'ospedale nella primitiva residenza vescovile. Un nuovo fu poi finito il 1840, che avrà aumento col monastero delle Suore della Carità, che l'hanno in governo. Nel 178(5 si ideò, ma solo nella carestia del 1817 si stabili una Casa de' poveri, che con pubbliche e privato largizioni vi provede. Alcune signore posero testò l'istituto dello fanticelle per formare domestiche. È in costruzione l'istituto de'poveri. C'ò persino una società contro il maltrattamento dello bestie. Il monto di Pietà somministra all'anne circa 300 mila fiorini. Più notabili sono gli edifizj di commercio e navigazione. La prima dogana stava nella città antica ove conservossi il nomo di Muda vecchia. Da poi nel 1740 se no fabbricò una ampia dov'ora è il Tergesteo, e sua piazza quel che oggi ò teatro. lutino nel 1785 si otturarono saline per eriger quella che serve tuttora. Lo squero vecchio presso al mercato de' pesci indica il luogo del primo e piccolo navale. Dove ora ò il teatro fu posto l'arsenale dalla Compagnia Orientale, comperato da Carlo VI; poi Odorico Panfìlli nel 1789 costruiva l'odierno. Un nuovo squero di San Marco fu fatto dopo il 1840. Lo stesso Carlo VI eresse un lazzaretto nel 1720 per riparar dalla peste che non poche volte invase Trieste |S. Maria Teresa ne costruì uno Facciamo voti a Dio aujtore di ogni bene, che propizio si degni assistere allo vostro sollecitudini e ente', e vi aggiungiamo ad auspicio di tanto presidio l'apostolica benedizione, che a cadauno di voi, diletti figliuoli, ed agli altri ordini di questa vostra città di tulio cuore impartiamo. 17 marzo tS!18. t7 li primo calvinista che si piantò in Trieste hi Ignazio Bianchì; poi Gaspare Griot, Gaspare Frizioni, Cristoforo Fost, Emanuele Battaglia, e via. t8 A contar solo dal 44i9, son ricordate le pesti del 14W, 77, 7», 97, 45U, 43,53, 55, 1600, iliUl, 1(139, EDIFIZJ COMMERCIALI 519 più ampio nel 1709, adatto allo scarico e sciorino delle merci, e all'abitazione d'uomini e bestie, potendo ricoverar fin 50 bastimenti mercantili e 200 persone; e dopo che l'Austria acquistò anche i porti veneti, in questi viene curata la peste. Il mandracchio o darsena, rifatto nel 1G20, era l'unico porto di Trieste; e le navi grosse doveano reggersi sull' ncora o riparare in Sacchetta, come dicevano il porto maggiore. Su! modo d'avere un buon porto si discusse a lungo, finché prevalso il partito di eriger il molo Tere-siano sullo ruine del romano, allargar il canale della città, sicché bastasse fin a 30 grossi legni. Il molo Teresiano, alla cui estremità sorge una lanterna, fu cominciamento della chiusura del porto, e doveva proseguire unendosi al molo San Carlo; alla testata ha una batteria che incrocia i fuochi coli'altra del lazzaretto opposto. Altri moli furonvi aggiunti , e fari opportuni, in modo d'aver un porlo comodo, non sicuro. La rada è libera da scogli c da secche, talché anche le navi più grosso possono ormeggiar presso alla città anche in bassa marea. L' ordinaria corrente no'tempi moderali ticn sempre la direzione di libeccio, colla velocità d' un miglio all' ora. In tempo calmo e di luna piena o nuova, la marea si alza 7 piedi, e altrettanto si abbassa sotto la comune; ma spirando venti sciroccali elevasi maggiormente, e poco decresce. Qualora i bastimenti vi siono còlti dalla bora, rifuggono in quelli dell'Istria, non potendo tenersi sulla vela. Anche i venti di traversia, cioè garbino e ponente, producono grosso mare, talché é necessario aver l'ancore pennellate. Ancor più si estesero gli edifizj marittimi dopo il 48, e dacché il comando della marina fu affidato all' arciduca Massimiliano. Il Lloyd prcparossi un grand'arsenale (1853), architettato dall'Hansen, con bacino per riattare i bastimenti, eseguito dall'ingegneri; Heider; e, dicesi, dalla piazza della legna una via sotterranea lunga 450 klafter condurrà a quello e alla nuova strada dell'Istria. La piazza da pochi anni preso nuovo aspetto, e ogni orma d'antichi oditi/j scomparve per dar luogo a nuovi. Ivi era la Casa del Comune, ove risiedono il magistrato, l'odilato civico, il comando e l'armeria della guardia civica. La gran fontana vi fu posta nel 1750 ove sbucci l'acqua, condottavi da Maria Teresa, por condotti della lunghezza di 287(5 tese. Altri acquedotti furono in varj tempi proposti, studiati, approvati, sui consigli del Calvi di Milano, che avrebbero condotta 1' acqua da Bagnoli o dalle sorgenti del Risano, mediante naturale caduta; nel 1857 si die mano ad altro progotto pria ricusato, il quale, alzando con macchine a vapore l'acqua di sorgente che é a livello del mare, fino a 580 piedi sul Carso, alimenta la prima e la seconda staziono della Ferrata, il Capovia, e Ira breve la città. Fu impresa di privati azionisti, suffragali dall'Erario non bastando il capitale posto insieme. La Borsa fu eretta dal 1802 al 1800 sopra l'interrato canale del vino; è disegno del Mollari da Macerata, con dipinti del Bisson, e statue esterne del Bosa e del Ferrari; e costò di prima fabbrica 300 mila fiorini. Un nuovo edilìzio ora è in discorso , colla riforma di tutta la piazza, la quale anche adesso offre il punto più ricco e vistoso della città. Centro de'commerci è il Tergesteo, grandioso edilizio con galleria vetriata, dove si trovano gli uffizj del Lloyd e tutte le Indicazioni che da quelli son ricevute e spedite, e che in contatto con tanti stabilimenti pubblici, forma un do' migliori ornamenti della città. COMMERCIO DI TRIESTE «21 Il porto di Trieste è senza confronto il più attivo della monarchia, e vi entrarono nel ■ con ton- in cui di con lon- Merci ,MVI ristiate lungo corso Déllafe entrate uscite 1802 8,442 186,326 G78 114,407 fior. 28,603,100 21,302,720 1839 12,057 507,841 1882 230,001 . G5,200,000 51,290,000 Il grand'aumento al commercio venne dopo il trattato del 1835 colla Grecia. Poi nel 1856 fra arrivo e partenza si ebbero tonnellate 1,329,250. Il 1857 si considerò anno infelice per la disastrosa crisi commerciale, e gli arrivi e le partenze diminuirono a tonnellate 1,300,203. Disponendo i navigli per bandiera, e in ordine del carico, si ha questo prospetto. APPRODI PARTENZE Bandiera carichi vuoti carichi vuoti Navigli Tonn. Nav. Ton. Nav. Ton. Nav. Ton. Austriaca a vela. . 0850 263768 1290 30120 4041 209873 3225 94669 a vapore. 933 228345 14 4297 903 218487 41 10945 Nazionale 7789 492110 1313 3440 5844 428300 32(50 105014 Inglese .... 93 41943 2 250 62 •32470 39 14041 Napol itana . . . 813 39728 4 002 485 34873 53 2739 Greca..... 200 31042 20 5275 207 30022 14 2794 Nordamericana. . 45 2(52811 _ — 9 3234 38 27051 Pontificia. . . . 369 21509 24 1359 321 19002 73 4534 Neerlandese. . . 52 10014 2 553 54 11273 9 1723 Svedo-Norvegese . 38 9844 2 504 25 7018 16 5325 Sarda ..... 42 8966 — — 25 3571 13 2128 Ottomana . . . 59 4408 — — 57 4082 — — Spagnuola. . . . 1G 4151 i 410 16 8247 — — Danese .... 18 3151 — — 14 3201 5 1079 Jonia..... 65 2925 — — Gri 3483 1 25 Francese.... 19 2019 1 102 12 2003 8 1806 Prussiana . . • 8 1843 — — 6 1811 2 942 Anseatica . . • 0 1268 — — 4 IMO 3 948 Danubiana . . . 9 1109 2 350 9 1400 — — Toscana .... 5 1061 — — 4 653 1 308 Meclemburghcse . 2 502 — — 3 1019 — — Oldemburghese. . 3 425 — — 4 785 — — Portoghese , . . 1 410 — — 1 410 — — Belgia..... 2 389 — — 2 428 — — Annoverese. . . 2 359 — 1 120 1 210 Estera 1573 211846 88 0633 1385 174187 270 65053 Illustrai* Uel L, V, Voi. II. »] APPRODI PARTENZE CARICHI VUOTI CARICHI VUOTI Navigli Tono. Nav. Ton. Nav. Ton. Nav. Ton. Totale nel 1857 9362 703650 1371 41050 7229 G02547 3542 171267 idem 1856 9714 721284 1191 52193 7656 607972 3198 164513 idem 1855 9317 681759 1106 58908 7439 627013 2937 117384 , idem 1854 10526 7G0257 2072 91900 9486 688451 3185 185606 idem 1853 10674 758434 1861 62138 8087 583005 3700 251005 Confrontando l'attività della navigazione complessiva dei navigli carichi durante il decorso triennio secondo bandiera si ottiene in approdi e partenze. Bandiera 1857 1850 1855 Nav. Ton. Nav. Ton. Nav. Ton. Austriaca .... . 13633 920470 14133 905719 13704 925(551 Inglese..... 155 74119 193 74321 138 45118 Napolitana. . . . 008 74298 99(5 80338 928 75003 Greca ..... 413 (582(5 ì 441 7 \ 0(52 405 70224 Pontificia .... 690 40511 807 52404 70(5 42902 Nordamericana . . 54 29517 73 44389 84 51822 Neerlandese ..." 100 21287 124 220s;; 97 10(500 Svedo-Norvegese. . (53 16562 64 15537 43 11102 Sarda ..... (57 9537 40 (5390 24 3720 Spagnuola.... 32 9398 35 7507 27 (1321 Ottomana .... 110 9000 88 8013 141 1300(5 Danese ..... 32 6412 25 4220 30 5308 Jonia..... 129 6408 110 0503 108 8348 Francese .... 31 4022 40 7340 30 4737 Prussiana .... 14 3654 8 2181 9 2088 Danubiana. . : . 18 2509 12 1022 13 2173 Anseatica .... 10 2378 28 0257 18 3260 Toscana..... 9 1714 9 1513 11 2584 Meclemburghese. . 5 1521 3 809 2 513 01demburghe.se . . . ■ 7 1210 14 2520 13 2350 Portoghese. . . . 2 820 5 1018 12 3205 Belgia..... 4 817 2 360 7 UGO A n nove rese . . , 3 485 16 2413 20 3094 Peruana..... — — 2 430 — — Argentina .... — — — — 4 i35r Columbiana . . . — — — — 2 427 Estera . . 2958 385733 3237 423537 3052 383121 Totale nazionale e estera 10591 1306203 17370 1320256 16756 1308772 COMMERCIO DI TRIESTE 523 La navigazione a vela nel 1857 scese a 805,966 tonnellate: quella a vapore a 500,237. La navigazione a vapore viene attuata particolarmente dalla società del Lloyd austriaco, principalmente pel Levante e i varj porli dell' Adriatico air Egitto, ed ora anche con una linea verso ponente fino a Marsiglia e Barcellona. Inoltre vi concorre una linea di piroscafi inglesi con bimensili viaggi fra Trieste e Liverpool, toccando varj porti dell'Adriatico e del Mediterraneo; e si è da varj mesi attivata una linea di navigazione con piroscafi olandesi fra Trieste e Rotterdam. In tale guisa la navigazione a vapore di qui allargasi anche alla parto occidentale del Mediterraneo ed ai porti dell'Atlantico, facilitando ed estendendo le relazioni commerciali all'estero. Il complesso della navigazione nel decorso triennio, in approdi e partenze, con navigli carichi e vacanti, presenta: Porti nazionali » esteri 1857 1856 Nav. Ton. Nav. Ton. 16417 603096 17046 748342 5087 918424 4713 797620 1855 Nav. Ton. 16210 732853 4589 752211 Totale 21504 1521520 Raccogliendoli in gruppi si 21759 1545962 20799 1485064 ia : 1857 1856 1855 Procedenza Nav. Ton. Nav. Ton. Nav. Ton. Levante , Grecia, Isole, 583 131788 655 126047 710 128002 Mar Nero, Danubio . . 178 3510'. 238 50962 249 52995 930 63614 1033 68751 956 67092 Mediterraneo occidentale 71 14094 84 14336 74 11543 Nord ed Ovest d'Europa 224 81200 275 85836 196 59522 Paesi transatlantici . . 119 37836 125 43558 143 43325 Totale. , . 2105 363636 2410 389490 2328 362479 1857 1856 1855 Destinazione Nav. Ton. Nav. Ton. Nav, Ton. Levante , Grecia , Isole, gitlo ..... 658 154868 755 164497 923 200305 .Mar Nero, Danubio . . 20 7671 20 4420 28 8818 Italia estera..... 011 71431 889 70136 784 59139 Mediterraneo occidentale 06 26462 72 17060 45 9373 Nord ed Ovest d'Europa 130 '.5042 163 W543 164 45850 Paesi transatlantici . . 31 10397 18 6287 18 6855 Totale. . . 1855 316771 1917 309949 1962 336340 L'attività della navigazione di questo porto nel decorso triennio, se-condo i paesi donde procedean gli approdi carichi ed ai quali erano dirette le partenze cariche, fu nel triennio: 1857 1856 1855 Nav. Ton. Nav. Ton. Nav. Ton. Austria...... 12631 625796 13043 629817 12466 009953 Stato Pontificio . . . 742 422(52 888 49570 757 42175 Due Sicilie .... 040 69186 887 69502 860 65432 Malta...... 70 11833 03 12512 70 10005 Toscana..... 38 5i81 22 3269 22 2005 Stati Sardi .... 42 (5283 32 4034 31 ' 529 \ Isole Jonic .... 81 4811 163 20126 134 770!» Grecia...... 365 79735 298 41365 339 52157 Turchia...... 642 130277 772 {[63342 099 21(5776 Principati danubiani . 142 23492 203 39274 243 51703 Russia...... 60 19902 5(5 1(5252 34 10020 Egitto...... 153 71833 177 15571 1 161 57668 8 1371 (5 1080 7 781 Algeria...... 21 6141 18 4887 15 3745 108 21775 132 24(533 103 17268 Spagna e Gibilterra 52 14030 21 4338 12 2270 Portogallo..... 2 210 2 367 ■1 1112 30 5778 37 0025 20 5754 Paesi Bassi .... 42 8714 57 11811 45 8282 Granbrettagna e Irlanda 218 100520 272 102551 22(5 81173 Città anseatiche. . . 28 5287 31 5403 * 25 3787 Danimarca..... 3 (555 1 1(5(5 1 159 Prussia...... 2 7'.;) 7 1289 1 051 Svezia e Norvegia . . 0 1844 0 1520 6 100(5 America del Nord . . 42 18388 40 20228 38 10924 A nii'iii"! ìIpI Siili ir; 18579 K9 \-> :t s A11 IL-1 1L« UCl o UH Antille. . . • > . . 34 97(50 18 1 — O IO 16110 1 o 45 IO io.» 10873 Indie Orientali . , . 9 3506 3 1180 3 900 Estero . . 3960 (580407 4327 699439 4290 698810 Totale Esloro e Austria 16591 130(5203 17370 132925(5 1075(i 1308772 iti l'ero iiiielie la nostra Venezia è incamminata al meglio, e mentre scriviamo qw ste righe, in un sol giorno, che fu il 26 maggio 18!ianfi!li, e si gettò altro ponte di ferro sul Canal grande. Si provede di più abbondanti acque la città mediante P acquedotto di Aurisina, alla qual opera diede molto impulso il cavaliere Ucvoltella, che alzato, a disegno dell" Hitzig prussiano, un palazzo tale che in Trieste non si vide l'eguale, e decoratolo di bellissimi stucchi, di quadri e statue, fece eseguir a Milano dal Magni un gruppo che ne adornerà la fontana, dove bellamente è effigiata da matrona turrita Trieste, che porge mano ad una Ninfa, rappresentante la fonte in allo di uscir dalla grotta Romano e Duma, del Bobollnl. Pittori, di Ulderico Moro. Chiozza, del Mollaru Rcnnor (esterno), del Nobile, come il Glorie! all'Aquilotto, l'Accademia reale, il palazzo Fontana ed il Costanzl, Ilierschel, Fckkel, del Butazzoni. Corti, del Corti. Pepea, del Balzano. Il macello, la casa dei Poveri, le chiese di San Giovanni e di Rojano, dell'edile Bernardi. Il Nuvole del LJoyd, del Ilauscn. Il palazzo Revoltella, la Villa pubblica, del Hitzig prussiano. L'architettura vano: prediletta la greco-romana dal Nobile che ne volle dar saggio in Sant'Antonio, la penultima chiesi» u nello stile dui Templari, I' ultima, in costruzione gotica-atpìgiana. guidata da un genietto; mentre alle acque spicciami in cascatene si dissetano due puttini vestiti alla moderna, la cui insigne verità mostra quanto il vero sovrasti air ideale. Quattro altre statue simboleggiami il Canto, l'Armonia, la Danza, la Commedia, furono dallo stesso Magni compite or ora, da collocare in un ottagono del palazzo, come 1* Amicizia e la Pace per lo scalone del signor Marpurgo. Nel palazzo e giardino Cassis viveva da re Girolamo Bonaparte dopo la caduta del fratello imperatore, circondato da Fouché ed altri imperialisti profughi. Elisa Baciocchi, sorella sua, ampliò e ammodernò il palaz-zino Mori, e nel 1820 ebbe solenni esequie a' Gesuiti, come un anno dopo furono rese in Duomo a Napoleone: uniche forse che in Europa si facessero. La villa di lei fu poi di Carolina Murat: e Trieste riveriva queste decadute maestà, e spassavasi alle bizzarrie de' loro figliuoli, mal acconciantisi alle regole del viver privalo. Anticamente il popolo spassavasi alla caccia de' tori, al battere la moresca, al giuoco del pallone; dappoi vi si surrogò il gusto de' teatri. è nel 1800 uno fu edificalo a disegno del veneziano Antonio Selva, con facciata del Pcrtsch, e con ridotto per balli, e nel 1817 si pose un'arena per teatro diurno, nel 27 un teatro Mauroner, nel 1857 il teatro l'Armonia su disegno laudato del Sala, ad impulso del cav. dott. Scrinzi. Il passeggio faceasi sul molo Toresiano, su quello di San Carlo e sulla via del Lazzaretto nuovo, poi si ampliò e alberò il promontorio Campo-marzo e lo stradale di Sant'Andrea, e si fe il viale dell'acquedotto. Ora è aperto pubblico giardino all'ingresso della vallata di San Giovanni, e pubblica villa nel Farneto, donato al Comune dall' imperatore Ferdinando I, nel centro del quale si alzò un edilìzio a disegno dell'Hitzig, in memoria del dono. Presso alla pubblica villa, il cavalier Revoltella ne formò un' altra imitante le svizzere; * [Viadotti di Franzdorf e Hirschlhaler.) I Contorni. — L'Alpe Giulia e la strada ferrata. Il passaggio dell'Alpi Giulie è tra gli alpini uno do' mono elevali sopra il maro, ma non de' più facili a superarsi. L'Alpe Giulia dal lai o verso terra aveva allra volta laghi alle radici, quello che dicosi di Lubiana, ora palude; quello di Zirkniz, or ristretto; quello di Laas o Laci-nio, ora interrito, come quello di Loitscb, o l'altro che stava sopra Fiume, da tre secoli e più disseccato. Il monte proprio era scabro e di formazione a rifascio, non a filoni, non a muraglia. La baso dell'Alpe da questo lato è 900 piedi austriaci sopra il livello del mare. Dal piovente opposto il terreno scende tumultuario, verso la pianura veneta, tutta regione invia ed inacquosa', flagellata da Bora che dal bacino del Savo sbocca a quello dell'Adriatico per l'aperta gola. Il Illustra?, del L. y. Vol. II. <>S varco odierno sia a 1809 piedi austriaci sopra lo spiano del mari1, mentre le cime che gli sovrastano oltrepassano i 4000. II varco e propriamente tra Adelsberg o Loitscli, o, corno altro volte si sarebbe detto, fra Are e Lori gali co. Gli antichissimi popoli di Italia avevano aperto un calle attraverso l'Alpe Giulia, ma preferendo tenersi per la valle del Frigido o del Vipacco , o superare i gioghi del Nanos all'altezza di 2657 piedi por venire a Longatico. Giulio Cesare, poi Augusto egli imperatori seguenti la ampliarono verso la Pannonia, e fu questa la grande strada militare diretta a Buda, Essek, Serajevo. Al principio del secolo passato vi correva ancora la la posta, ed il puntò più allo, dello Santa Gertrude, non sono dicci anni che tornò ad essere frequentato, tanto raccorcia la via tra Longatico c Aidusina. Il filone precipuo dell'Alpe Giulia comincia al trilìnio fra Carintia, Gorizia o Gamia, e giunge all'AIbio o Schnceberg sovra Fiume, alto 1)030 piedi, al punto di partenza che dicono il Tergimi; mentre l'Àlbio che. la compie no ha 5332; nel braccio settentrionale vi sono duo varchi; l'uno faticoso, alto 4086 piedi, che dicono di Podbcrda, pel (pialo dall'alto Goriziano, si passa all'alto Carnio; l'altro che dal Goriziano metto in Carintia, e soprasla al mar*1 3685 piedi. Fiume è all'estremità del filone meridionale dell'Alpe Giulia, come ehiamavansi lo perniici occidentali dell'Alino, ed a ragione dicova un antico geografo terminare quell'alpe non lontano dalla città di Persallo, in luogo che si nominava Phanas: ed amando gli antichi di dare, per confine un fiume, come quello che segna termine costante, lo presero in quell'acqua che dai monti scende a levante di Fiume, e no lamho il suolo. E quest' acqua durò fino al cadere del secolo passato confine della diocesi di Pola sufTraganea ad Aquileja, mentre le terrò all' oriente del fiume (anticamente detto Tarsia) spettavano alla gran metropoli Salonitana dell'Illirico. E chi volesse oggi riconoscere il filone dell' Alpe Giulia dal Nanos a Klana, lo riscontra ai confini dell' antica diocesi di Trieste che durarono lino al 1830. L'alpe triestina fu la-prima, tra quello che circondano l'Italia dall'uno all'altro mare, che venisse superata con una strada di ferro, attesoché siono ancora o in costruzione o in progetto quelle che valliche-ranno per la Pontcba, pel Brennero, pel Conisio, per Lucmagno. Grati si presentavano le difficoltà, e come che se ne discorresse fin dal 1840, non vi si pose mano seriamente che dietro all' ultima rivoluzione, eludiate a lungo le duo linee della valle d'Idria e Isonzo, e del Carso per Lubiana, fu prescelta quest'ultima; e dal 1853 al 56 vi si lavorò Con somma alacrità, e mirabili sono lo opere di quella gran costruzione, FERROVIA ■;'! principalmente il viadotto del Franzdorf, alto 120 passi, lungo 300 klafter. il maggiore che in Austria ah (Fig. a pag. 529). Dopo di esso la strada penetra nella regione del Carso fra montagne calcari, o variala di pendenze e di costruzioni lungo PAdelsherg; e dopo San Pietro, Divazza, Sesana a Nabre- sina incontra un altro gran viadotto, lungo 340 fclafìer, aito 00 piedi, fatto con pietre delle così delle Cave romane, for.se quelle che servirono a costruir f>52 IL LITORALE Aquilcja, poi i palazzi di Venezia: e da uno spacco della montagna si ha la stupenda vista dell'Adriatico (V. I«* l'i, olici- Lesezhe, Divazza, Sessana, Nabresina, Origliano, M i ramare, Trieste. Trieste era in antico circondata da boschi, e le sue leggi s'occupavano assai del conservarli e riprodurli, come non immaginerebbe chi oggi, arrivando dai verdeggianti pendii del Friuli, e allacciatosi dalla rupe sovra-' stante al Timavo, scorga que'declinatili terreni tutti sabbia e sassi e polvere, campo alle lotte della bora. L" improvido taglio de1 boschi guastò qui pure i terreni, e il clima die maggior campo ai torrenti e ai dilagamenti: onde si dan parole molle per rimboscare il. Carso, locchè proteggerà il paese dalle bufere e dallo alluvioni. La campagna è quasi all'alto popolala di sloveni, detti mandriani dalla primitiva lor condiziono. Sono slavi i più, ma quei di Sorvola han origine cremonese, benché adottasscr poi la lingua slava. Coni' è in tulle le città commerciali, abbondano ville grazioso, che il ricordarlo sarebbe lungo, e che spesso mulan padrone. Fra le più antiche durano la Sartorio, la Murai; fra le più recenti sono la villa llevol-tolla, la lìoltarin, la Giannichcsi, e principalmente il Miramar dell'arciduca .Massimiliano, nella contrada esterna di Grigliano. A una lega e mozzo dalla città troviamo il fondo di Lhuzza, ove l'arciduca Cario di Stiria nel 1580 fondava una scuderia con razza di cavalli. Molte caverne s'approfondano nella pietra calcare che forma l'altipiano montuoso del Carso, ove talora si perdono le acquo, che poi sboccan di nuovo a livello del mare. Fra le molte, ha fama, anche per facile accesso, la grotta di Corniale, ove non ò difficile la discosa, e che offre grandioso volto, con bizzarre stalattiti e massi colorati. Già accennammo quelli ili San Cancianb ove incavernasi il Timavo, per ricomparir a Duino. Quella di San Sorvolo è sotto al castello che domina la vallò di Zaule. Tulle però sono eclissale dalla grotta di Auelsbkug a tre poste da Trieste. Era nota fin nel secolo XIJ, ma al 1810 può dirsi trovata di iuilivo e in tutta l'ampiezza. Presso alla borgata di questo nome s'apre a mezza china, e a guisa di porta o verone la grotta, e per tre ore di cammino serpeggia quasi orizzontalmente, offrendo nelle stalattiti e stalagmiti le più capricciose varietà, or di lungo androne, or di ampio antiteatro, or di enormi pilieri, or di obelischi, or di statue; qua ò un verone, là una cascalella, altrove un trono, una tomba, il calvario, un tempietto Ó un romitaggio, o un organo, un padiglione, una cavallerizza, che suolo mutarsi in teatro quando, la seconda festa di Pentecoste, la grotta vien illuminata e aperta al pubblico. Sentesi intanto susurrar un torrentello che è il Poik, il quale sgorga poi lentamente a pie del monte. Là entro abita .il rarissimo Proteo anguino, lucertola palustre, lunga fin 13 pollici, con pelle trasparente simile alla umana; unica vita che dal cicco Grembo del monte si ricotta e pasce. CIMITERO DI TRIESTE 5o?> Cantarono queste meraviglie in tedesco Fellinger, in italiano Gazzoletli, facendone scena d1 un'azione fantastica; e dove abbandona la Unzione per attenere al vero ci par bellissimo. Molte sono lo rorse di piacere che si posson fare da Trieste. La merita Opcin'a, villaggio a mezza posta sulla strada della Germania , donde si ha spaziatissimo prospetto di maro, e dov' è un monumento al conte di Zinzendorf, sotto il cui ministero nel 1780 fu aperta questa strada, (die ora cede alla ferrata. Poco lungi è Puosrcco, rinomato pel vino bianco spumante. Santa Ciuci: è l'ultima abitazione dell'antico territorio triestino. Il Trilinio, al ponto di Zaule, mezz' ora da Trieste, serviva di limito fra Trieste, il Cragno e l'Istria veneta, sicché v' erano piantate insieme le fasce bianco-rosso, l'aquila bicipite e il leone alato. E la vila o la ricchezza e il moto finiscono al cimitero; e ncppur questo vollero i Triestini fosse senz'onore. Ciascuna confessione ha il suo proprio, e ciascuno chiude monumenti degni d' essere veduti. Qui rammenterem solo quel dell'antiquario Fontana, e il più insigne di Francesco Taddeo cavaliere di Reycr, ove Luigi Ferrari di Venezia pose P angelo della Resurrezione, in alto di ascoltare so giunga P ordine di dar lialo alla tromba risvegliatile©. AngioI, che noli' incorto Cadimin mi guidi della bassa terra, Fia dunque che deserto Da le mi sia quando cadrò sotterra? E mentre forse creatura pia D' una slilla amorosa A confortar verrà la polve mia, L'anima senza scorta e sospirosa Incerta erri aspettando il dì tremendo 7 Ah no! Tu sei... T'intendo... Principio ha in ciol, nò aver può line altrove L'amore che ti muove; Tu guida in questa vita, Guida nel mulo oblio, Guida ci sei finché ne rondi a Dio. Roligion, che forte Della fede do' padri a Dio ci leva Nei campi della morte, L'animo nostre d'ogni duol disgrova. Che nel silenzio delle tombe, e nella Quiete profondissima che invoJve L1 orgoglio umano ornai converso in polve, Una mistica voce ne favella D1 un sol che non ha sera. — Rapila a un tratto a più superna spera Sorgo Palma commossa, E de1 padri compianti in su la fossa Scorge uno spirto divo, Che come Dio P invita Rompe il lor sonno e li ridesta in vita. E tu, Luigi mio, Tu il vedesti lo spirito immortale, E lo pungesti quale Fede cel mostra nel pensier di Dio. — Ecco sovra la tomba L' ale dispiega il messaggier divino, E affida di perdono M UGGIA 537 11 cor che trema, sol pensando al suono Della tremenda tromba. Dalla fronte in divina estasi assorta Raggia il desio del cielo, e l'operosa Caritate che il porta; Pellegrino celeste in mortai velo Lieve su l'urna posa: — Non posa, no, che già lo vedo in cielo. O inconsunta favilla. Che i petti infiammi e di speranza hai nome, Potess' io dir siccome Tu brilli nell'angelica papilla] -- (Oooiom.) Muggia. Anche chi non ama i viaggi di mare, suolo perù da Trieste fare una gita marittima al promontorio di Moggia: « Muja, come alla vulgare dicesi a Trieste, è paesello che giace in una valle, alla quale dà il nome. Dico valle come s'usa in que' luoghi, ma la ò un seno di mare, il primo che s'incontra sulle costiero dell' Istria andandosene da Trieste. • In questo seno è Servoi.a, villaggio che siede rilevato sovra un do' colli che rinfiancano Trieste; indi è Zaule, dove era il conline veneziano; di là hai Muja, terrieciuola veneta pure. Il paesello ha pochi abitatori, i quali vivono del loro piccolo traffico con la vicina Trieste, dalla quale sono discosti un pajo di miglia. Le donne come gli uomini là sono punì intese a' negozj marittimi; coltivano la loro terra, invero poco ferace per difetto di acque, ma tuttavia produttrice di buone frutto e di qualche erbaggio; portano le loro derrate per la via del mare, e nelle loro barchette le vedi vogare intrepide come i loro mariti. Usano dialetto istriano, vale a dire quasi veneto, laonde più italiano di quello che per lo comune s'ode a Trieste. Ancorché bruno dal sole, e col volto flagellato dall'aria marina, sono esse piacevoii alla vista oltre ogni dire; di fattezze spiccate, di bella proporzione della persona, non hanno cosa che ricordi la schiatta slava che loro sta sopra, o a meglio dire dietro, no' monti che vanno verso Fiume ■>. (Rkvekk.) Muggia, anche al tempo tlel Manzuoli, che lasciò una preziosa descrizione dell' Istria, era popolosa di gente civile e cortese. Venne sog- Ubutrax. del v. Voi. il. tilt getta a Venezia nel 1420 quando cessò la dominazione de1 patriarchi. Venezia vi spediva un podestà ed un castellano. Il suo maggior prodotto erano le saline. Vi sono notevoli il duomo, dedicato ai santi Giovanni e Paolo, e gii avanzi del castello dei Veneziani, e sul colle le mura o le case diroccate di Muggia vecchia, distrutta dai Genovesi il 1354: nella Muggia nuova, che aveva nome di Borgo del Lauro, i patriarchi tenevano palazzo, rinnovato or sono pochi anni. Ridotta a mal partito dacché cessava di fabbricar barche, riebbe prosperità da navali privali, nei quali si costrussero alcune pirofregate, da fabbriche di ferro, e dalle lavanderie per la vicina Trieste. Questi giorni vi si varò la galleggiante a cilindri di ferro per bagni marini. Capodistria. Dopo San Nicolò e la foce del Risano, incontriamo Càtouistuu, che fu T emula perpetua di Trieste. Domandatene i poeti, e vi diranno che Nettuno, sdegnato con Pallade perchè lo superò nel dar nome a Atene e perchè portava sullo scudo il gorgone, la perseguitasse, e qui ricoverata ella perde lo scudo, che rimase nel mare, ed è appunto lo scoglio su cui la città fu fabbricata, onde ebbe nome di Pallade, Egida, Capraria. Domandatene gli storici, e, con altrettanta verità, vi diranno che i Golchi, venuti in Italia dietro al vello d'oro, qui s'arre- CAP0D1STRIA m starono edificando Emonia, Pola, C a po distri a. Quest'ultimo nome prese quando fa metropoli dell'Istria; prima chiamavasi Justinopoli dall' imperatore Giustino che la riedificò. Soli 44 anni dopo Cristo vuoisi convertita al cristianesimo, e cambiato il tempio di Pallade nella chiesa di Santa Maria, una cui porta era fatta con pietre che servirono di sepoltura a un supremo sacerdote di Cibelo, leggendovisi L. Publicius syn-iropui Archif/allus Fivus Fecit Stiri Hoc il/onumentum /feredes iVon Sequi tur. Anticamente era stata colonia romana, passò poi alle diverse dominazioni, e Carlo Magno la sottoposo a un marchese che qui risedeva: fu sotto ai duchi di Baviera: noi 1278 si ridusse volontaria a soggezione di Venezia, cedendole le entrato purché sostenesse le spese. Qualche volta si ri hello, ma fu tornata al dovere. I Genovesi la presero nel 1380, per odio ai Veneziani dandola al patriarca d'Aquileja, ma Vittor Pisani, del quale esponemmo altrove le geste e qui il ritratto, la ricuperò. I Genovesi avendo abbruciate le case dei partigiani di Venezia, questi le case dei patriarchi, il solo duomo restò illeso, ma P atrio abbruciato, i corpi santi rapiti. I Veneziani dovettero ricomporla cosi negli edifizj come negli ordinamenti civili sul tipo della municipalità veneta entro stretti limiti. I cittadini nobili vestivano abito lungo nero o pavonazzo, con maniche .arghe, berretta tonda e stola, siccome i grandi di Venezia. Avea statuto particolare, stampato il 1480: e i nobili che entravano nel gran consiglio rendeansi idonei al cavalierato di Malta. fi suo territorio nel secolo passato calcolavasi rendesse 300 botti d'olio, 2800 di vino, e abbondantissimo sale. Molti mulini vi move il Risano. Sta Capodistria ben fabbricata in mezzo alle acque, congiunta alla terra per mezzo d'un ponte di pietra, ed un acquedotto sottomarino. La sua cattedrale fu rifabbricata il secolo scorso. Vogliono il vescovo vi fosse posto nel 756 da Stefano II: vi fu raf-fermato nel 1221 da papa Onorio III. Il capitolo aveva quattordici canonici con tre dignità , e magnifiche insegne. Sono sottoposti a tale diocesi i vicariati di Pirano, Isola, Carcauze, Govedo. Scassinale le istituzioni ecclesiastiche durante il governo napoleonico, soppressi i conventi, di nove lasciandone sol due di mendicanti, e vacante la sede vescovile dal 1810 in poi, nel 1830 il vescovato di Capodistria fu abbinato a quello di Trieste, ridotto il capitolo concattedrale a cinque. Nel 1858 Pio IX concedeva gli ornamenti vescovili al preposto di Capodistria. Fu natio di qui Pier Paolo Vergono, letterato di grido, segretario de' Carraresi , che scrisse de Situ urbis Juslhwpolilaiiw. Maggior fama ebbe il suo omonimo e parente, che spedito nunzio papale in Germania, sperò convertire Lutero, ma pare invece se ne lasciasse pervertire. Richiamato, e non compensato quanto sperava, ritirossi a Capodistria, donde era fatto vescovo, cominciò a inlrodur novità, toglier via certe immagini, negare che alcuni santi abbiano patronato speciale sopra certi mali, e altri atti che seppero d1 empietà e di luteranismo in tempi così sospettosi. Pertanto monsignor Della Casa, l'autore del Galateo, ehVra nunzio pontilìzio a Venezia, cominciò a esaminarlo, poi gli attaccò processo. Il Vergcrio, per difello sempre più procedendo, finì col ricoverarsi in Valtellina, dove i Protestanti erano sicuri, e si trasformò in apostolo della riforma; molti libri scrisse in quel senso piacendo per una certa sua eloquenza popolare e audacemente maledica, ed acquistando credito alla riforma perchè vescovo: istituì e consacrò molte chiese protestanti, e infine morì a Tubinga nel 15G5, non grato ai Luterani più che ai Zuingliani, perchè voleva il libero pensare. Girolamo Muzio justinopolitano (1400-1576) fu talento d i grand' estensione e poca profondità, letterato e teologo, guerriero e diplomatico, pensatore e poeta, disputatore instancabile; ed egli stesso risparmiò la fatica ai bibliografi col dare il catalogo dolio opere che poterono « uscir dalla penna ad uomo, che, dal venlesimoprimo anno della sua età fino al 74, ha continuamente servito, ha travagliato a tutte le corti di cristiani!,'!, e vissuto fra gli armati eserciti, e la maggior parte del suo VERGKRiO. MUZIO. CAULI 541 tempo lia consumato a cavallo, e gli è convenuto guadagnarsi il pane delle sue fatiche ». Di buon'ora attaccossi a persone illustri, dirigendo ed essi lettere e componimenti: in Venezia si unì a giovani, tanto per istudiarc quanto per menar balli e spassi e improvisare. Scrisse varie poesie, e divisava un epopea sopra Goffredo di Buglione. Petrarcheggiando come allor si soleva, in dicci canzoni celebrò distintamente il viso, i capelli, la fronte, gli occhi, la bocca, le guance, il collo, il seno, la mano, la persona della sua amata 1 Nell'urte poetica pose giudizj non servili, e verità che sarob-ber originali se non nascessero da alilo di opposizione e indomabile prurito di brighe. Le opere sue più vantate allora furono quelle sull'arte cavalleresca, dove, non polendo far abolire il duello, cercò darvi norme. Era il tempo che la riforma luterana' tendeva a insinuarsi in Italia, e forse con maggiore speranza nel Veneto. ÀI Muzio, che ne' suoi viaggi avea conosciuto molti Protestanti, parve che ne' loro costumi non fossi-poi quella predicata castigatezza, e nello opere loro abusione e confusione ; laonde si diede a combatterli, o il matrimonio di preti, e la comunione del calice ai laici ed altre novità: e che fosse inutile adunar un concilio generale. Per verità egli era un debole campione, e fa meraviglia che i nostri si affidassero a un sì fiacco teologo : puro la bizzarria do' titoli, e la violenza degli attacchi faceva cJTctto sul vulgo, più che le sodezze austere de' teologanti. VAntidoto Cristiano, la Selva odorifera, il Coro pontificale, lo Malizie Belline, le Mentite Ochiniane, il Uulìingero riprovato, V'Ereticò infurialo, corroano attorno, e forse è vero che ratlonner taluno dal traviare. È naturale che l'Ochino, il Betti, il Bullinger, il Giudice, dicesser corna del Muzio, e i suoi libri fosser bruciati, e lui imputato di vendereccio, di spia. Ciò principalmente gli toccò por lo scritture con cui premunì il popolo di Capodistria contro il vescovo Vergerlo, del quale era stato amico, e che aveva invano cercalo dissuadere dall'apostasia. Dall'Inquisizione fu pure incaricato di bruciar tutte le copie del Talmud che si trovassero noi ducato d'Urbino, e d'informarla di quanto scoprisse colà e nel Milanese:'dove udendo predicare Celso Martinengo, lo citò e l'avria fatto incarcerare se non fuggiva a Ginevra, dove fondò una chiesa italiana. Fu di Capodistria Gian Rinaldo Carli (1720-Do) esteso erudito, che confutando i paradossi di Paw intorno agli Americani, mise fuori idee non (smentite dalle successive scoperto; fo la storia delle zecche italiane da Carlo Magno in giù; trattò d'economia politica, e da Maria Teresa posto presidente al consiglio supremo di commercio ed economia pubblica a Milano, molto cooperò alla confezione del censo. Egli scrisse un 841 IL LITORALE opuscolo sulle antichità di Gapodistria, tutte romane; e sono molte lapidi e qualche scultura, frammenti di fabbriche, tegole. Furono da Capodistria il Sartorio medico; il Divo, traduttore di classici greci, altri molti cultori delle belle lettere nel secolo XVI, i Carpacci ed il Trevisani pittori. Durante il governo veneto vi risedeva il magistrato supremo della provincia tutta, poi dal 1800 al 1810 un prefetto. Perduta ogni importanza militare od amministrativa provinciale, l'agricoltura, il rctilìzio, i cantieri le danno sussistenza, favorita dalla prossimità di Trieste. V è casa di pena per 800 e più condannati. Gli abitanti sono da 0800. Isola, in un altro sono di là da Capodistria, sorge s'uno scoglio, congiunto alla terra mediante un breve ponte; territorio fertile quanto un giardino, a ulivi e vigne e alberi fruttiferi. Il porto col molo fu fabbricato nel 1320. Era governata da un podestà. Indipendente da Capodistria rimaneva il distretto di Raspo con capitano proprio, carica la più nobile e grave della provincia. Raspo dicevasi la chiave deW Istria, ed a ragione, perchè collocata sulla strada che, venendo dal Carnio, apriva l'adito al centro della penisola. Dopo che Raspo fu distrutto nelle guerre con l'Austria, il capitano si collocò a Pinguente, pur conservando l'antico nome. PIHANO gW Pirano. 1'iitA-so è tra le più cospicue città dell' Istria. Romanizzata nel tempo dell' impero, aumentata per la caduta d'Aquiloja, sfuggì ad ogni invasione di nemici, come ad ogni pestilenza, sicché potò conservarsi più istriana che altra qualunque, colle antiche condizioni municipali. Emancipatasi pacificamente dai patriarchi si die nel 1283 ai Veneziani, ai quali durò fedelissima, favorita pel sale abbondante, pel porto magnifico della Beata Vergine della Rosa, per le roveri e pei marinari. Levasi ad anfiteatro sull'estremità di promontorio che s'avanza a guardia del golfo di Trieste; una cinta esterna in gran parte esistente sull'alto del colle, la proteggeva da invasioni per via di terra; la città aveva propria muraglia, fra la quale e la cerchia esteriore dilatavansi campi ; la città divideasi in quattro quartieri, ognuno cinto di mura. Nei sito più eminente sorgevano il castello e il duomo, rifallo più volte. Dell'antico rimangono poche parti ed il battistero, di cui diamo qui dietro la pianta e lo spaccato. Dura il palazzo, alzato intorno al 1300, seb-ben adulterato ; e così qualche porta e qualche tratto delle mura sul mare. Dalle quali il 2 settembre 1379 furono gettate palle da cannoni a polvere contro la flottiglia genovese di Pietro Doria; arma allora nuova. IL LITOIiALK {Battistèro dì l'ira un. Ptrano ha amplissime saline nelle valli di Siziole e di Fasana; il territorio, coltivato con grandissima diligenza, è ferace di olj e di vini. I piranesi si danno ad imprese commerciali anche in regioni lontani1; specialmente trafficano di sanguisughe. Furono da Pirano il Caldana, autore del poema latino La Clodiade, che dedicò al re Luigi XIV di Francia e Giuseppe Tartini. Questi, resistendo al padre che volca mandarlo minorità, si pose alla legge in Padova, ma più divertivasi della scherma e dell'amore; e sposata una pai-onte del vescovo, fuggì con essa, vagando finché ricoverossi nel convento di Assisi. Quivi applicatosi alla musica, riuscì stupendo violinista; allora perdonato, fu lungo tempo ad Ancona, poi per cinquantanni maestro alla cappella del Santo di Padova, ove cominciò una scuola famosa, Erede dogli scritti di Giovanni Corchi ch'avea fondato su regole l'arte del violinista, e vincendolo in felicità di motivi, il Tartini estese le ricerche sulla produzione de' suoni, chiedendo la spiegazione dell'armonia mediante sperienze acustiche ingegnose , che sfuggono alla comune do' compositori, e ridurrebbero a mero calcolo un'arte che trae efficienza dal sentimento, e dove lo teorie dell'acustica mai non rendono ragione del ritmo. Così scoperse il terzo suono che esce dal toccar due corde all'unisono '. Del violino ingrossò le corde e allungò P archetto e dettò Lezioni pratiche. L'accusano d'aver sagrificato il sentimento allo difficoltà, ai trilli, ali altro fioriture; pure no'suoi adagio il violino parve acquistar veramente un'espressione \ D'Alembert, nella prefazione alla nuova edizióne degli Elementi di musiva teorica f pratica, Lione 1770, asserisce che Romieu aveva presentalo alla società reale di Mon-pellier nel I7S3 una Memoria ene trattava dfffasamente ovi fenomeno del lefzo suono.Ora il 1 ruttato d.-l Tartini fu pubblicalo a Padova solo nel 17IÌ1, ma la scoperta ei la fece lin dal 1714, avendo ventidue anni, e la di.de a conoscer subilo ai professori,e la stabilì come principio di perfetto aeeordo nella scuola di musica CUC aprì a Padova nel 1728. TARTINE. UM AGO. CITTANOVA 5i5 drammatica. Nel 1725 da Carlo VI invitalo a Praga, diede buon indirizzo a Stamitz, illustratosi poi a capo della scuola di Manheim. A Salvohe sta la lanterna pei naviganti, alzata nel 1817, e già illuminata a gas. Vi è attaccata la memoria della sconfitta tocca da Ottone figliuolo del Barbarossa, che restò preso; laonde il padre dovette venir a Venezia a cercar pace. Fatto esagerato, ma vivo nelle tradizioni poetiche e pittoriche: e qui stesso sopra la chiesa era scolpito: fleus populi, celebrale locum quem tercius olivi Pastor Alexander donis ccelestibus auxit : Hoc etenim pelago venetm Victoria classi Desuper eluxit, ceciditque superbia magni lnduperaloris Federici, reddito sancloe Ecclesia? pax tumque fuit. Jam tempora mille Septuaginta dabat cenlum septemgue, supernus Pacifer adveniens ab origine carnis amiclof. In memoria il papa concesse giubileo a quella chiesa nelle feste di Pentecoste, quando vi si tcnea fiera. Da diploma del 929 di Ugone re d'Italia sappiamo che Sipar e Umago formavano vescovado distinto, poi restarono soggetti a quel di Trieste, conservando capitolo proprio. Il duomo di Umago era dedicato alla R. V. Assunta; rifatto nel secolo passato, non fu compito. Umago, resosi ai Veneziani nel 1269, ne riceveva un rettore col cancelliere, che lo gou'rnavan secondo i suoi statuti. Ha 1900 abitanti. Il porlo è assai propizio alle barche minori, che dirette a Trieste o partendone, v'attendono il cangiare del vento. Emonia, fondala dai ridetti Colchi, pati grandi rovesci nel medio tempo per incursioni di Narentani e Saraceni, ed a somma fatica potè rialzarsi. Ebbe la sorte comune lin al 1270 quando si diede a Venezia. Col nome di Cittanova sta sopra una lingua di terra poco lontana dal fiume Quieto, e scavando vi si trovano spesso anticaglie. Quei che sostengono che Emona fosso Lubiana (Scuoenlehen, Emona v'indicala) vorrebber di colà i vescovi Emonensi, che altri pongono a Cittanova. Questi vescovi erano conti di San Giovanni di Daila. Nel 1444 si proibiva l'improvido taglio de' boschi, considerando quod Licellus nemus est salus et sanità» sEmomce propter caligos, qui ibi descendunt el inlus frangimi, et ulterius non procedimi ; unde, non existente nemore ilio, descenderenl in ctritale Ammonta?. Pur vennero devastati. Hlutlraz. del L, V. Vol. II. 70 Parenzo. PamUium oppidttm romanorum è scritto nella geografia di Plinio; e in l'atto Parenzo fu colonia e municipio, posto sopra una penisola ch'ebbe robuste mura, ma dove non si vedono che ruine: nel lato occidentale dell'isolotto, la piazza di Marafor è tradizione fosse il Foro pubblico, largo 25 passi romani, lungo 50, avendo la superficie di passi 1250 in forma di due quadrali uniti. Varie strade gli facevano fascia, larghe tre passi romani, selciate a grandi poligoni di pietra arenaria, come le vie di Po-la romana. L'area della piazza propria levavasitre gradini più delle strade, attraversata per lo lungo da tre incavi a raccogliere le acque piovane. In fondo s'alzavano su d'un arca di passi romani quadrati 025, che è la metà del Foro, i due tempj gemini, a sei colonne in facciata, di ordine corintio, con bei capitelli; internamente ripartiti a tre navi da colonnato: e co- (foro ili Minte a Parenzo.) municanti per passaggio sotterraneo, 13 piedi più alti che la piazza, con basamento quale il tempio di Roma e d'Augusto in Pola. Di faccia era il Comizio, agli altri due lati, forse edifizj, di cui non abbiamo traccio nè notizie. Supponiamo che il tempio a diritta fosse dedicato a Marte; l'altro era a Nettuno, attestato da un'ara, che Tito Abudio Vero parenlino, vice ammiraglio della flotta ravennate, dedicava a Nettuno ed agli altri Dei, restituito il tempio, costruiti i moli, ornata una pubblica casa: PARENZO 755 NEPTUNO . DEISQ . AVG T . ABVDIVS . VERVS POST . SVR . PRÀEFECT CLASSIS . R A V E N iN ' MOLIBVS . KXTRVCT DOMO . E X C V L T A IN . AREA . I) - P CONCESSA . SIRI DICA VIT In1 altra divinità ci è resa nota di ara bellissima da recente ivi scoperta, ed era I1 Istria provincia, forse simboleggiata in una capra, e de cui culto abbiamo testimonianze ripetute in Pola: CARMINI A . L . F PRISCA HISTRIAE . TERRA E Yolum Solvit Libens Merito Dal Comizio si trasser varie basi di statue onorarie a principi e cittadini, come questa a Massimiano Erculeo imperatore, dell1 anno 288: D.N. M. A VR. VALERIO M A X I M I A N 0 HERCVLEO . PIO . F INVTCTO ; AVC . P M.TRIR P . Ili . CON P.P. PROCO . R . P P A R E N T I N O R 0 . V . NVM . MAI Q . A E I V S Una rammenta la colonia Giulia, condotta da Augusto dopo la battaglia di Azzio, alla quale vennero assegnati i terreni in San Lorenzo e Mon-tepaterno, ove ancora una pietra ricorda un veterano che aveva servito venlotto anni, cominciando nel 58 avanti Cristo. E come i terreni pet novelli coloni non vennero tolti agli antichi parentini, cosi il municipio di questi durò distinto dalla colonia dei novelli. L . CANTIO . L . F LEM . SEPTIMINO . EQ PUR . FLAM . PATRON-COLON . JUL . PARENT. C URIA L . VETER . PAR OMN1B . HONOHIU MUNICIPAL . FUNCTO .MUNICIP.PATR.COL.FAR LOCO DATO D . D Vestibolo Mausoleo Queslo Canzio, a cui non la colonia od il municipio o la plebe, ma il corpo degli artieri alzava statua, era cavaliere, protettore della Colonia Giulia, protettore del municipio, membro della vecchia curia, passalo per tutte le cariche municipali. Quella piazza servi altra.volta quasi cava di pietra, tanta v'era abbondanza di massi squadrati, ornali, che servirono a novelle costruzioni, specialmente del molo; pure vi durano i basamenti di due tempj gemini, e di quello verso settentrione, anche una parete e le colonne; le pietre del selciato antico servirono a rifare il lastrico intorno ad antico piedestallo, che tratto dalla piazza medesima, vi fu rialzato a perpetua conservazione. Frequentissime si scoprono anticaglie in Parenzo e nei dintorni. Una porta romana dura tuttora nelle mura del giardino Corner; intorno al duomo esistevano avanzi di edilizj ad uso militare. Portico U palazzo dei podestà, alzato sopra la porta di ma-Coniie re e durato fin teste, venne costruito nel 1270, quando il Comune s'e-mancipò dai marchesi d'Istria. Testimonio della condizione di Parenzo a' tempi bizantini è il duomo, modello di basilica cristiana, che nel corpo comprende abside, nave, portico e battistero, od in luogo della cripta, che la depressione del terreno non concedea, una cella pei santi martiri. La leggenda racconta che Ottone imperatore nel 938, passando l'Adriatico, ebbe una visione ove la Beata Vergine gli ordinò di costruirle tre chiese: una dove la mattina vedrebbe gigli bianchi, una dove fiori rossi, una dove azzurri, e furono sullo scoglio Ànie, a Parenzo e a Murano. Pie tradizioni: ma realmente è opera del 540, alzata dal vescovo Eufrasio sugli avanzi di tempio romano sfascialo, con colonne di marmo telerò [Basilica di PtttentO). PARENZO 549 greco; l'abside presenta in musaico la Beala Vergine in mezzo a due angeli, più sotto i santi protettori e il vescovo costruttore della chiesa, che tiene in mano l'immagine, e sotto alla calotta è scritto il ricordo della costruzione. L'altare venne rinnovato in forma antica nel secolo XIII, con ligure a musaico. Parenzo corse i destini della provincia tutta, e fu la prima che si desse ai Veneziani per isfuggire a quelli di Capodistria nel 1267; e ne ebbe buone condizioni per la necessità in cui erano i Veneziani di avere un porto di stazione nel golfo, rimpetto alla dominante. Pati rovescio, saccheggio, incendio dai Genovesi, fu disfatta dalle pesti, specialmente nel 1630. Il Tomasini, che la vide sedici anni più tardi, ne ebbe spavento: v'erano trenta soli abitanti. Fu ripopolato il territorio con Morlacchi di Dalmazia e pochi Albanesi; poi la città col farla stazione di flottiglia veneta nel principio del secolo passato. Il porto è buono per navi minori. Dura la torre di lanterna, alzata nel secolo XV. Il castello d'OKSEiu è posto s'un' altura, donde padroneggia il porto, che è uno de' migliori dell'Istria, allo sbocco del canale del Lemo. Sovrasta a tutti, in forma di ròcca, il palazzo del vescovo di Parenzo, a cui questa terra apparteneva. Rovinino (Arupinum), s' uno scoglio congiunto alla terra ferma con ponte, finché il canale non s'interrò, si rese a Venezia nel 1330, e ne riceveva un podestà. Fu fortificata al tempo degli Uscocchi. Venera il corpo di san-t' Eufemia. Il porto è protetto dallo scoglio di Santa Caterina, su cui era un monastero di Serviti. A Rovigno slavano i pedoti per guidar le navi a Venezia, la quale là presso cavò le pietre che servirono a fabbricare le procuratie ed altri edifizj. Rovigno ebbe a crescere dal principiare def secolo passato, ed è centro dei commerci e della navigazione istriana, cui presiede una camera di commercio. Nelle prossimità di Rovigno vi sono avanzi di palazzo romano che dicono la Torre. Il duomo, che domina dal colle, con bollissimo campanile è opera rinnovata nel secolo passato. Dignàno trovasi nominato sol verso nel 1330 quando si diede ai Veneziani. Sta in vistosa altura, a circa tre miglia dal mare; con chiesa un tempo collegiata, ove pitture del Palma, di Paolo, del Tintoretto. Nel 1657, Venezia raccolse presso a Dignano, nella villa Pedrolo o Peroi, dieci famiglie_ del Montenegro, dove crebbero; e conservano riti, costumi, lingua, siccome gli Albanesi in Corsica e nel Napoletano. Se dalla spiaggia volessimo addentrarci nel paese montano, molte terre avremmo a vedere, non isprovedute di memorie. Tal sarebbe Pns-cuENTE che -i soliti etimologisti vogliono denominato a pinguedine. Narrava il Tommasini de' tempi suoi che « i contadini tutti usano a maritarsi, non come i gentiluomini con contratli dotali alla veneziana, PINGUENTE tSi ma a eomunion di beni, che chiamano a fra e .mor, eccetto che a Rozzo tutti a dote. E sul Carso le donne non ereditano niente ab intestato del paterno nò materno mentre vi sono fratelli, se non quanto ai medesimi fratelli piacesse darle in dote. Ed in un1 altra villa sotto la giurisdizione di Capodistria, chiamata Val Movrasa, i figliuoli ereditano quello del padre, e le figlie quello della madre. Nel maritarsi usano prima due persone d'onesta condizione a chieder il consenso della ragazza dai suoi più propinqui e parenti, i quali stimano grande indecenza di promettere alla prima, sia il partito quanto si voglia bonissimo, ma gli assegnano uno, due o più termini di otto, quindici e più giorni, con tale stile che, se hanno volontà di accettar il partito, gli rassegnano termine breve; ma se no, gli danno un termine lungo. Finito il termine prefisso, ritornano a nuova istanza di risposta; poi stabilito il consenso, fanno venir lo sposo in un giorno prefìsso a toccar la mano con portar seco da far colezione. Quando vanno a sposarsi invitano tutti i parenti alle nozze con banchetti suntuosi che durano tre o quattro giorni, anche contro la possibilità loro; fanno un gastaldo ed una gastalda si dalla parte di quei dello sposo come di quelli della novizza, il quale ha cura degli uomini e la gastalda delle donne della sua compagnia acciò non facessero alcuna insolenza o altro inconveniente fin che durano le nozze: ed usano tal legge che, quante persone conduce seco lo sposo al convito in casa dello sposo, i parenti della sposa sogliono raddoppiare■ altrettanto numero di persone, che accompagnano la sera la sposa in casa del marito, ed ivi stanno tutto il giorno seguente a balli e conviti. Ed il primo ballo, sì in questa ed in altre occasioni, è sempre tenuto il più onorato e da sonatori suol esser più apprezzalo. Quando gli sposi vanno alla chiesa per ricevere la benedizione matrimoniale, suole sempre condur la sposa il fratello dello sposo se ne ha, e se non, esso elegge un parente o amico che gli piace, il qual chiamano Dcvor, che mentre durano le feste nuziali ha cura della sposa e la governa. Nell'atto della benedizione, il sacerdote, quando dice Ego vos conjungo, piglia una estremità della stola, e la involge intorno le mani degli sposi, come se volesse legarli con un nodo, onde alcuni dei circostanti motteggiando, dicono Legateli bene, e ricevendo la benedizione stanno genuflessi anco a tutto il resto delle cerimonie. Delle sanità e brindisi ò obbligo di rispondere con altrettanta misura. La sera, arrivati a casa dello sposo, quei della sposa attraversano con lo spade sfodrate la porla della casa, affinch'ella non vi entri se prima lo sposo o suoi più propinqui parenti non assegnano alcuna cosa per titolo di donazione alla sposa, e ivi assai volte stanno quasi un'ora contrastando e burlando; fatta la donazione, men-tr'essa entra in casa, la suocera, od altra in vece di essa, le vien subito 55Ž IL LITORALE incontro con una tazza piena di vino, e dentro una moneta; le fa un brindisi, e la interroga dicendo: ■ Che cosa è qui dentro? » la sposa risponde: « Pace ed amore »: e cosi replica tre volte, poi ne gusta un poco, e dà il resto alla sposa, la qual bevuto tutto od in parte del vino, getta la tazza con quello che vi è restato, sopra il suo capo dietro le spalle fuori della porta, ed allora la sposa fa i complimenti con quei della casa. Quest'altra ancora mi par cosa notabile, che la sposa il primo giorno delle nozze non usa di portar indosso la sua persona alcuna sorta di nodo o gruppo, e però porta anco le scarpe disciolte per tema di fatuchierie o legami diabolici, che spessissimo sogliono qui esercitarsi, e renderli impossenti alla consumazion del matrimonio, chi a tempo e chi in perpetuo, e questi fanno in più modi che non mi par convenevole a nominarli per non dar occasione al male *. Montona era governata da un nobile del maggior consiglio; e il suo bosco, elfo il più ampio del dominio veneto, e che somministrava il legname all' arsenale, veniva sorvegliato dal nobile capitano di Raspo, come gli altri boschi delT Istria. Poi nel 1012 il consiglio dei Dieci avocò a sò la presidenza dei boschi, e principalmente di questo, eleggendo nel suo seno due membri che vi sovrantendessero. Pisino, da cui ebbe nome la contea d'Istria, era possesso della casa goriziana dei conti d'Istria, dalla quale per eredità passò nella austriaca il 1374 , e fu castello munito, accresciuto da Federico III per timore dei Turchi; ora è residenza del capitanato circolare dell' Istria. In San Pietro in Selve, monastero di Benedetti, or soppresso, i conti d'Istria avevano loro tombe. Pédena, già città vescovile, teneasi gloriosa di molle reliquie, fra cui una cordella, tessuta proprio dalla Beata Vergine. Pola. Ed eccoci alla storica Pola. È collocata ad anfiteatro, col corteo di quattro isolette vestile di ulivi, entro un seno, che forma un porto, paragonabile per capacità e sicurezza a quel della Spezia e a quelli della Caramania, bastando a contenere più squadre, protette quasi affatto dalla bora, e i bastimenti di qualsivoglia portata ponno legarsi alla terra presso alla ciltà 0 allo scoglio grande, o a quel degli ulivi. E ulivi, filliree, corbezzoli ed altri sempreverdi, eriche arboree, ar-buti, tutta la vegetazione meridionale gioconda quel seno, e ripetesi nel limpido specchio della marina, sicché duole non si pensasse imboscarla di agrumi, di carrubi, di soveri, di robbia peregrina, di terebinti. Ma vien un tempo in cui le sciagure gravano a segno, che più non resta nem-manco il coraggio di scuotersele di dosso. Dopo la conquista, Pola fu fatta colonia romana, e quasi un antiguardo all'estremità d' Italia per ripararla dai Liburni e Dàlmati: circondata perciò di mura. Sembra favorisse la parte repubblicana contro Illustra* dnl !.. V. Voi II 71 di Augusto, che perciò la volle smantellata; poi quando imperò quieto, e' la rifece, a preghiere della figlia Giulia, onde le die nome di Julia Pietas. La grandezza d'Aquileja recò importanza a Pola, che era centro del passaggio verso Costantinopoli e asilo della flotta: e in occasione dello spedizioni daciche di Trajano toccò l'apogeo di sua grandezza, e un pieno rigoglio di vita esultava nelle vene di 25 in 35 mila abitanti. Era ella disposta attorno al colle, sul cui vertice sorgeva il Campidoglio, cinto di mura, coi tompj e colle fortificazioni, e di là pei diversi clivi scendeano le strade, quasi raggi dal centro diramantisi verso le altre città, o verso i borghi disposti in altre colline e al mare. Un canale marino separava il corpo della città dalla terraferma, cosicché Pola era quasi un'isola, come Egida, Alieto, Emonia, Parenzo, Rovigno. Dell'antica grandezza troverai splendidissimi avanzi. Già approdandoti s'affaccia P antiteatro (V. la fig. qui dietro), messo, come solcano gli antichi, in modo che gli spettatori godessero tutte le bellezze della natura. Piegasi in un'elissi di 172 sopra 110 metri all'esterno, e di 70 sopra 44 all'interno: minore dunque di quel di Verona, ma assai meglio conservato. Doppio giro di settantadue arcate ne forma I' ossatura, tutta di pietra, oltre un terzo ordino di finestre quadrate; ne sporgono quattro corpi avanzati, in cui stavano le scale di legno, che portavano alla corona coprente l'ambulacro sommo, ed al velario. Le gradinato, ripartite in dodici cunei superiori e- dodici inferiori, ognuno con proprio accesso, bastavano a sedervi ventimila spettatori; cinque o sei altri mila potevano tenersi sull'ambulacro, alla vista del mare. Perocché qui pure si manifesta quel sentimento estetico, che agli antichi iacea scegliere per gli spettacoli le situazioni più vistose; donde quel continuo parlare di luce, di aria, di prospetto, che sentesi nelle tragedie greche, e che le riduce si morte quando compajonotra l'afa delle nostre scene. Invano cercheresti alcuna iscrizione, ma par da riferire ai tempi di Vespasiano. I patriarchi, che ne aveano il possesso, vietarono sempre di toglierne pietre, ma poi se ne fece traffico; e le gradinate furono adoperate a costruir la mura, o portate lontano ; sicché questo anfiteatro, con esempio unico, serba intera la precin-zionc, mentre l'interno non è che vuoto e ruino. Allorché splende la luna, le ombre ti parrai) più pittoresche che non quelle del Coliseo di Roma; e a me non uscirà mai di mente lo spettacolo d'un gran fuoco acceso nell' interno, e che ho veduto dal mare sarpando. Tutto il perimetro della città è oggimai messo a scoperto; nella mura stessa, che i Veneziani rinnovarono nel 1030, furono chiusi alcuni edifizj antichi, sepolti ma non distrutti, e che ora rivedono la luce. La porta ;i cui prima noi accorreremo è la Portorata (aurata), a tre fornici, e alla quale venne addossato un arco funerario della famiglia Sergia ; uno de' più belli Arco ile' Seroj che ci abbia tramandati l'antichità. Ornato d'un fregio elegantissimo, si eleva rastremandosi, e vi sovrastanno tre pilastrini che doveano portare le statue di* coloro, i cui nomi son ripotuti nello epigrafi. La forma do' caratteri, la meschinità dolio duo Farno, la proporzione delle colonne^ fors'anche quella forinola de sua pecunia, lo fan portare non ai tempi d'augusto, ma a quelli di Trajano. S'usciva per di là al Campo Marzio; e a fianco tu vi discerni non più che il posto del teatro, pel quale, come per 1' anfiteatro, si valsero Polani dell'ondeggiamento del terreno onde far risparmio di costruzioni. Quel teatro esisteva ancora nel 1501, quando Pietro Martire d'Angora lo vide, e mezzo secolo dopo lo disegnò il Serlio. Molti marmi di questo edilìzio passarono a Venezia, tra cui le prezioso colonne che vedeste all'altare della Salute. Perocché Venezia spogliava le città vinte e le suddite con quel lioro diritto di conquista, di cui dovea poi subire essa medesima gli oltraggi. Pur troppo lo nazioni si rendono le visito e le ingiurie, nò solo al vinto toccano i guai. Nel 1851 sgottandosi attorno alla porta Gemina, si trovò questo bel marmo: L. MENACIVS L. F. VE L pnlscvs ÉQVO. PUB. PHìEF. FAlillLM. Alio Ilvin IIviR OVINO. TIHI). MIL PLAMEN AVO VSI Olì. PATRON. COLON AQVAM. AVO. IN. SUPERlOllEM PARTE M COLONIA ET IN INFERIORE M INPENSA SVA PERDVXtT ET IN TVTELAM ElVS DED IT US. CCOC. • Lucio Menacio Prisco, tiglio di Lucio, della tribù velina, con cavallo del pubblico, proletto al collegio de' labbri , edile, duumviro (municipale, cioò console) duumviro quinquennale (cioè censore), tribuno militare, flamine degli Augusti, patrono della colonia, l'acqua augusta nella parlo alta della colonia e nella bassa a propria spesa condusse, e per conservarla diede 400 sesterzi. » La porta Erculea, a sghembo siccome una della città di Nola, pud argomentarsi anteriore a tutto dal veder cosi rozzo la testa d'Ercole o la clava, rilevate nell'imposta dell'arco, e perchè il nome dei duumviri ìndica personaggi romani, quali si solcano spedire ai primi tempi della conquista. Alla porta Gemina molte teste di Giove Ammone si ritrovarono; aveva ornamenti di bronzo; e alcuni di pietra no restano, altri so ne scavano di squisita fattura. Di là saliamo all'Acropoli, parte che si sterrò da pochi anni, e che, a veder mio, è la più importante. A non diro d' una casetta al modo pompejano, con musaici o chiaroscuri, mirabile è la via affondata, che, curvandosi come oggi si farebbe, e fronteggiata da una feritoja, o con buchi destinati alle spranghe e alle traverso, reca- ad una porta mascherata che forse gli antichi avrebbero chiamata Scea, dalla quale per una scalinata si ascende alla fortezza. Se tu sai di strategia, studia questo beir avanzo di munizione romana; nò trascurare la torre pentagona nella mura, che, so potesse attribuirsi ai tempi di Teodosio II, sarebbe POLA 557 il più vecchio esempio di fortificazione poligona L II Campidoglio era ellittico, con doppia mura e quattro porte, da cui scendevano alla città altrettanti clivi, denominazione che conservano ancora. Eccoci nel cuore poi della città. L'antico Foro ornano due tempj corintj. Dell'uno, con prona o tetrastilo, sacrato a Roma e ad Augusto nel 73o, elegantissimo di forme, la cella con savio pensiero fu ridotta a museo, come fecero puro i Bresciani (Vedi la fig. a pag. 421). Vi noterai e iscrizioni, e cimolj, che meriterebbero essi soli una dissertazione. L' altro edilìzio, di cui non rimane che la parte postica, inclinerai a crederlo la curia; ben acconciandoisi la forma del Comizio, colà Ultimamente dissepolto. Fu adattato a palazzo comunale nel 1300, e n'avanza un fianco, con qualche scultura. Sulla facciata poi una iscrizione metrica in lettore gotiche loda la fabbrica, « veneranda perchè" destinata a unirvisi i consigli « e a render giustizia. Se savio ministro (prosegue il poeta) sappia « seguitar buoni consigli e adempirli, non è a temere che il popolo si « divida in parti. Siate concordi, o cittadini, acciocché i visceri lacerati « non abbiano a viziar tutto il corpo ». E in un' altra iscrizione del 1348 vion raccomandata la città a Cristo e a san Tommaso, perchè « difendano la pace, impediscano gli scandali, soffochino le invidie, <-"distruggano i nemici ». Oggi a chi è raccomandata la quiete; delle città? Non dunque di sole antichità romane v'abbiamo a far tesoro; ma ammireremo il battistero di costruzione bisantina, a croce greca, con colonne 1 Che fosse opera romana erasi asserito al congresso scientifico di Veneri» del lX'«7i doye l'abate Francesco Carrara dalmate ora defunto, elio zelo e illustrò gli scavi ili Salona, sosteneva pure fifce orile mora di spulalo vi fossi; un esempio dì fortificazione poligona dell'dà di Teodosio II; anteriore dunque a quel che in aveva additato come il primo di difese lìaiutiej^ianli, cioè le due torri peniamone di Como. Rimessone l'esame a una commissióne, fummo a visitare quelle opere, ma parve accertato che dell'antico edilìzio si valesser i Veneziani per fortificare eoi metodi moderni. di marmo, e con un Battista arcaico e avanzi del ciborio. Scomparve la vasca esagona, eh' era coperta da baldacchino marmoreo sostenuto da sei colonne. S'ingannò il D'Agincourt nel credere dell'Vili secolo il duomo, mentre è del XV. Fu eretto questo là dove i Polensi, come ebbero conservata la colonia da Augusto, aveano alzato tempio a Giovo Conservatore. Nel secolo passato leggevasi ancora la iscrizione che ricordava il voto sciolto; dell'antico edilizio durano alcune colonne nel duomo medesimo. E questo scioglimento di voto spiega perchè in Pola il duomo non stesse al Campidoglio, come è di tutte le ciltà istriane. In Pola eravi il sacerdozio provinciale che si disse dei MinervaU, in onore di Minerva cui erano saeri Polivo e la lana, per cui l'Istria ebbe celebrità. Il tempio di Minerva sembra essere stato ove surse quello di Santa Maria Formosa o tli Canneto, alzato nel 540, ricco di marmi e di mosaici, di bronzi. Fu ricchissima badia, con chiesa divisa in tre navi: (Chiesa arila Badia di Canneto). POLA 5o9 coro dell'aitar maggiore rialzato , e in fondo alle navi minori due celle rotondo; ogni cosa rivestita di marmi alla bisantina. Poco or ne avanza, con uno dei due oratorj che s'allineavano agli absidi: o i marmi ne passarono a Venezia, fra cui, si crede, le quattro colonne a intagli che arricchiscono ora P altare di San Marco. Il convento di Santa Caterina era stato destinato alle figlie e mogli di Croci, fuggiti da Candia e dalla Morea nel 1580. Santo Stefano, or tutta mine, fu forse la prima chiesa della città. Nella dissacrata de' Francescani vedrei» la bella porta e due tinestroni gotici. Bizzarro monumento è pure San Michele in monte Pola, dove fu sepolto san Salomone re d' Ungheria. Altre ruine potremmo vedere sullo isolette e sui colli vicini, da' quali ù voce fosse cavato l'immenso masso che copre la rotonda di Ravenna, più largo di 10 metri. Vuoisi che Trieste e Pola fosser le primo dell'Istria ad avere vescovi, ma torso solo regnante Teodonco; e la chiesa si sistemò alla orientale. San Massimiano, di qui nativo, divenne arcivescovo di Ravenna, dove chiese e chiostri magnifici edificò. E a Ravenna era dapprima sulfraganco il vescovo di Pola, poi ad Aquileja. Quel vescovo fu in appresso il principale del paese, estendendo la giurisdizione sui due pendii del Monte Maggioro e sulla città di Fiume, e acquistando ampio dominio temporale. L'agro colonico di Pola può ancor riconoscersi negli scompartimenti; è collocato a settentrione rasente la mura, ed avrebbe forma di quadrato so il canale di Fasana non togliesse un angolo. Misura 1(5 saltus, ognuno di 25 centurie, lo centurie a 200 jugeri romani. Il kardo maximus parte dalle mura del Campidoglio, piega per 19 gradi a levante della meridiana, così che è lecito calcolare sia stato delineato sul terreno tra il 21 ed il 24 d'ottobre 0 di febbraro; iJ kardo è strada solida marginata, larga 20 piedi romani. Il decumano massimo tagliava il kardo nel villaggio di Galosano, ombilico dell'agro lutto. Ad ogni cinque centurie corrono Lardi 0 decumani secondarj, che son le centurie medesimo distinto da scmite. L'agro presenta così uno scacchiere, al paci di quel di Padova; durano i nomi dei Fondi, (piali furono dati in origine; e tutto ò presidiato da fortilizj rotondi a cerchia semplice, 0 doppia, 0 iripla. Calcolato a jugeri romani, ne misura 80,000, corrispondenti a 30.850 austriaci, che sono miglia moderne italiane 15. Non tutto era atto a coltura; forse un terzo rimanea pascolo comune ai coloni, e bosco; le terre non sembra fosser assegnate in piena proprietà, ma con canone e riversibilità al principe. L' agro od il Tavoliere fu dei patriarchi, che lo diedero in feudo; e solo la legge di esonero del suolo del 1848 ne tolse le ultime traccie. Le strade regie o basiliche durano ancora, larghe, come lo segna una lapida parenlina, 20 piedi romani; delle quali strade è conservata quella che da Pola mette al porto Flanatico, all'odierno Medolin, che era il secondo porto di Pola; l'altra venendo da Parenzo, costeggiava l'Adriatico. Pola-dapprima sottostette ai marchesi dell'Istria: quando poi quella dignità divenne ereditaria nel 1170, i marchesi abitarono in Germania, sicché Pola deteriorò, e sotto quel fiacco reggimento rivalsero le discordie da paese a paese, e tra le due famiglie degli Tonatosi e dei Sergi, posseditrici di vasti territori, e che si combatteano nella città o fuori, con gravissime stragi. Fin dal 1148 Pola era stata costretta a pagar tributo a Venezia; ribellatasi, nel 1228 fu ripresa dal dogo Giacomo Tiepolo, e quasi ridotta al nulla; nel 1267 si diede alla repubblica di Venezia, cedendo le terre e i diritti, promettendo recar gli appelli non più a Ravenna ma a Venezia, chiedendo fosser bandite le due famiglie. Venezia vi spediva un nobile col titolo di conte o provedidor; al consiglio generale restava autorità di eleggere gli uffiziali subalterni : un consiglio di credenza, mutabile ogni quattro mesi, era eletto dal provedidor; una corte del conte serviva d'appello alla corte minore; un uffizio di due riformatori vigilava alla decenza e aj sostentamento dello chiese, all' amministrazione delle temporalità de' preti. La guerra de' Genovesi co' Veneziani die l'ultimo crollo a Pola, che allora veramente può dirsi distrutta; neppur le chiese sottraendosi alla rovina, e divenendole micidiale quel Vittor Pisani che fu salvezza di Venezia. Nel 1400 si pensò restaurarla di case e di genti, ma le pesti dissiparono quell" artiliziale risorgimento. Per frenare le correrie degli Uscocchi, nel 1620 Venezia le costruir una fortezza, per la quale s'adoprarono le pietre del teatro. Appena 600 abitanti avea quando la repubblica cessò, dimoranti al piano. Ricrebbe poi fin a 1700 anime; or le die' nuova vita la flotta, di cui è divenuta l'asilo. Forma diocesi con Parenzo. Ila fama di caltiv'aria, cagionata da eccedente umidore. I mirabili stalli del coro della Certosa di Pavia sono intagliati, nel 1486, da un Bartolomeo di Pola, se pure va così letto quel nome. In questi giorni appunto (14 giugno 1858) vedemmo Pola festeggiare •li lietissime pompe, non per adulazioni speranti, non per galvanici entu- DALMAZIA 561 siasmi, ma per uno degli avvenimenti che al popolo sinceramente interessano, l'entrala del nuovo vescovo: e queir apparato festivo, quell'affluenza dalle contrade interne e dal mare, quella devota splendidezza alla processione del sacratissimo sangue che vi si conserva, ci mostrarono dove s'abbia a vedere, come s'abbia a intendere e farsi intendere dal popolo. Fine dell'Istria. — La Dalmazia. Di là da Pola trovasi presto la lanterna del Parer punta di Promon-tore, che è l'estrema di questo litorale. Il quale allora dando volta, profondamente s'ingolfa nel Quarnero, il sinus fianaUm do' latini, il con-fin d'Italia, secondo Dante: talché noi qui diremo addio Al bel paese, dove in ogni canto Parlano vecchie storie e nuovo pianto. Ma poiché il mare ha un' attrattiva cui mal si può resistere, noi stemmo lungo tempo fermati sull'estrema punta, contemplando quella immensità baliosa e fremente al largo come la libertà fogosa e senza intelligenza ; rabbonita e cristallina per entro i seni, come la vecchiaja del giusto; mentre al confine lontanissimo il tramonto si colorava come il viso d'una fanciulla all'inverecondo guatare d'uno zerbino. Pace, o magnanimi lettori: lo so che m'ascrivereste a colpa il più oltre procedere, memori che il nostro compito è l'illustrazione del Lombardo-Veneto, e che, secondo le regole della composizione, gli episodj non devono eccedere il tema. Se non fosse, ameremmo descrivere, seguitando il risvolto lido, queste terre, e il fìumicello incassato fra alti filari di monti che dicono Arsa, e l'Albona, e al fondo del golfo la città di Fiume; e disseminate in esso un popolo di isole, alcune delle quali portano vere città, quali Veglia, Ciieuso, Lussino piccolo e grande, AtiBE, Paco. Seguitando la costa, troveremo Segna, colla storia degli Uscocchi, non meno interessante di quella de' moderni Flibustieri, poi Zara (Jadera), e Sebenico, e Spalato (Patatium), reggia e ritiro di Diocleziano, già prima-ziale chiesa della Dalmazia e Croazia, con mine maestose, illustrate da tanti antiquarj. Vi nacquero il Ponzoni amico del Bellarmino, e Marc' Antonio De Dominis che decompose la luce ne' sette colori, e che poi Illustra:, ilei L. V Vol. It. VI apostatato pubblicò la storia di quel Sarpi, che, per tener in freno la Dalmazia , suggeriva ai Veneziani di strapparne gli ulivi e le viti. Serpeggiando pei canali della Brazza, di Lesina, di Narenla, di Curzola arriveremo all'estremità orientalo della Dalmazia. Quivi sporge una ponisola, sovra la quale sta una città, tanto simile a Venezia; Raglisi j L'Alene slavo-illirica. I popoli fuggiaschi da Epidauro l'edificarono nel 059: o fu soggètta all'impero orientale; poi molestata dagli Slavi; ma la sua prosperità vi attirò subito e Dalmati e Illirici, che la crebbero di edifìzj, e protesser il golfo con una ròcca: talché nell'807 assalita dagli Àrabi, un anno intero d'assedio sostenne Raglisi, poi li respinse e rincacciò (ino a Benevento. Un diploma del 1044 ne accerta che era già costituita a Comune, perocché Pietro detto Slaba priore, cém omnibus, pariter nobiles alque ■ignobile*, tam senes, jùveries, adolescente quam etiam pueri, restituisce alcuni beni all'abate di Santa Maria di Lacroma, presente il vescovo Vitale. Qui sarebbe il lino della nostra scorsa: ma non vogliamo tacere come, verstì l'anno 1500, ebbe a fare questo viaggio stesso un prole milanese, non mosso da guadagni come tanti, non da curiosità come noi, ma da devozione, per recarsi a visitare Terrasanta. Ne abbiamo discorso altrove ',ma 1 Scorsa di un Lombardo negli archivi dì Venezia, pag, 1!)S. fiALEA VENEZIANA 963 fui Io ripi'endiam fra mano, o gli cediamo un tratto la paiola, accorciando la sua prolissità, rozza o pur piacevole por ingenuità. Viste dunque lire-scia, Padova, e dislesamente Venezia, il buon prete Cassola imbareavasi sulla galea del Zaffo, quella cioè che dirigeasi a Gialla. — Lunedi a 2 del mese de junio andai da I). Angustino Contarono, patrono de la galea de li peregrini, e feci mercato por ducati ia do oro veneziani do zecha; con questo fosso obligato a farmo lo speso por terra e per maro, o conducerc fin al fiume .lordano so li voleva andare, e che mangiassi a la sua tavola. Martedì comprai una cassa e uno stramazo, e feceli portare in galea, e così le altre me robe, Mercorc a 4 de junio al basso, montai in barca con fri Francesco ci alcuni altri peregrini et non peregrini, per andare a la galea, la quale era re-dueta l'ora del porto, a uno locho chiamato Sopra lo duo castella, distante da Venezia v miglia, e li montassemo da la barca in galea. La qual galea so chiamava la galea del Zaffo, e fora di forma de le altre galee de Venezia, longa hra/.a l\x\, o dove eli'è più larga è solo de braza w. Ha de fora in cerchio una banda prominente dal corpo de la galea, larga meglio do un hrazo, sostentata da hrazoli molto spessi, e ponlati sopra el corpo de la galea. Sopiti la (piai banda se li ripone de molte balle de mercanzia et anche do molte botte de vino. Verso el fondo è quasi tonda, e dal mezzo in giù so va consumando. Dal mozzo dove comenza a strenzorsc, do le quattro parti le tre, per fare che la galea pigli dell'acqua e stia salda, è piena de sabia o di giara ; in la qual sabia orano «riposte molte barile e botte di vino, per la major parto de peregrini. Di sopra de dieta sabia Óra uno solato de tavole che se poteva aprire alli bisogni; e dal dicto solato in suso era conciata come una sala, longa quasi hraza ia, comonzando dall'arboro do la mezana fin a la prora; sustonlando la coperta do la galea in mezo da l'uno capo all'altro con forti colonnette. E dieta coperta di sopra era de forti tavole, e molto bene impegolate, cosi che piovendo di sopra non li poteva nocore l'acqua de nessuna condizione. L' altra (piarla [tarlo, cioè dall'arboro de la mezzana in dreto, è divisa prima in uno locoche. se chiama poppa, la qual poppa ha tre loghi: sopra el fundo so chiama el pizolo, loco concosso a homini singulari por dormirò o tenore per governo de monizione e mercanzie per ol patrono e per chi volo esso patrono. In la mezza regione, che proprio se chiama poppa, se stendono le tavole per mangiare, et anche vi ò uno altarolo dove se diceva la messa secca per lo patrono, et a la notte stendono de molti stramazzi per dormire , secondo la degnazione de li loghi fatti a peregrini overo altri passoggieri. Al celo de dicto loglio sono ataccate molte arme per defensione de la galea a li bisogni, balestre, archi, spade e altre generazioni de arme. Et in quello loglio anche sono fabbricati li retenaculi de la galea. Di sopra de dieta poppa è uno loco chiamato il castello, ove stava il patrono de la galea per la major parte, e anche qualche grande sei se li trova; et anche vi sta el bussolo del navigare: et 6 solato de tavole impegolate aciò che per piova non possi trapassare V aqua in poppa. E questo castello è coperto, navigando, prima de tela e poi de una cortina de panno rosso, che ha suso recamato la insegna del sepulcro, et. anche la insegna de casa Conta rena. Dreto del castello e poppa predicti è concio el loco dove se regge el timone de la galea, e se regeva con forza de braccio de homo, et alcuna volta, quando vi era grande fortuna in mare, glie ne andava piti de dui bombii a regerlo; e se rege con uno freno de corda grossa ; e vi era concio più dreto uno loco, dove stavano due conserve de acqua pur de terra cocta, et anche uno loco necessario alla purgazione del corpo. E queste cose tulle pendevano fora del corpo de la galea, sopra lignami ben compaginati e impegolati. Quanto fosse grande e grosso quello timone io non lo so ben exprimere: ben dico che essendo in porto a Rodi, e bisognando farlo conciare, vi andò parecchi homini a tirarlo in terra, et era grande istriimento de vedere. Uscendo fora de poppa circa a x braza, gli era uno arbero stabile, grosso (pianto possa allacciare uno grandi; homo, onde stava la sua antenna de continuo con la sua vola, chiamata la vela mezzana, con lo sue sartie da dui lati, le quali se tiravano semine dal lato contrario a la vela, secondo che erano li venti. Passando lo dicto albero, dal lato dritto era la canepa del patrono, tam de l'acqua quam eziandio del vino de ogni condizione, et in quello medosmo loco gli era monizione do formagi e salami de ogni condizione, cioè do carne et etiam de pesco. Dinante a la porta de dieta canepa era ordinata la cucina, e domandasi el foghone, che tendeva verso la sponda de la galea, circumdalo do molli guernerj e bisogni per la cucina. Vi erano caldaroni e caldarozi, padole e pigliale quante se possa dire, non solum de rame, ma ancora de lena, spiedi de far el rosto, e altri uten-silj de cucina. Procedendo più" oltre da quel lato, erano ordinati dui loghi l'uno sopra l'altro, per tenere animali vivi, per occidere a li bisogni, (piando non se poteva avere carne morta da terra, e se pascevano di; orzo, ma assai temperatamente, cosi che al fine era più la pelle che la carne. Poi dal dicto loco lin in capo de la galea erano disposte de molte banche, le quali se chiamavano le balestrerò, e tanla distanzia ora tra l'una e l'altra, che se li locava dui remi, che poi mollo poco se usavano. Passando el mezzo de la galea et-andando verso la prora, gli ora piantalo un arbore grosso quanto potevano abrazare Ire homini nel piede, e pro-lendea fin al fondo do la galea. Era longo meglio de ì.x braza. Kravi una gabia in cima, e di sotto la sua antenna facta de tre pezi, e vi se meleti por el generale una grande vela, chiamata l'arlemone, facta tolta de fustaneo bianco. Al dicto arbore stavano pendenti de molte corde, et avea xn sartie per parie , a tacca te a la sponda de la galea; e so tiravano IL PELLEGRINO 5Gfi dal lato contrario a la vola, secondo li tempi e li venti.- Aveva dicto ar-boro ancora un altra corda pendente molto longa, e un altra sartia chiamata V angolo; quella se adoperava spesse volte per tirare qualche cosa in cima de l'arboro. Vi era ancora un altra vela chiamata la cochina, f/artomone e la mezzana erano pi/.ute, c questa era quadra, e non s'adoperava se non per grande fortuna. In capo de la galea, cioè in prora, vi era uno arbossello con la sua vela quadra; se chiamava el trinchetto; spesso se adrizzava e spesso se abbatteva. Erano in dieta galea tante corde grosse che se chiamano gomene, adoperate a diversi bisogni, et anche ile meza mano, che valevano per mille ducati. Dubbio non gli era che dui carri milanesi con para dui de bovi per carro non averiano conducle le corde che erano sopra dicla galea. Dal lato sinistro de dieta galea, comenzando da la poppa de sopra non era altro impaccio excopto banche, diete balestrerò, con li remi, fin ala prora. Erano per el mezo uno ordine de cassoni, larghi braza n e longhi più do u e alti li, tutti impegolati do foravia acciò che l'acqua non vi facesse nocimento. Erano ben disposti talmente l'uno apresso all'altro, che facevano una via levata per mezzo de la galea; e chiamavasi la corsia. Altri simili ne slavano dall'arboro fui in prora, ma questi stavano sempre carichi de quello gomene grosse per gitlare le ancore. Intorno al dicto arbore ne orano disposili alcuni do dicti cassoni, cosi che facevano uno poco de piazza, che se chiamava exliinaria, e lisi teneva rasone ali galeoti por lijudicia loro deputati. Erano sopra dieta galea vi ancore, e quella ch'era de manco peso ora dp mcc libre. Erano per defensione de dieta galea xxxvi bocche de bomhardele, e bono fornimento per osse ; cioè polvere e pietre. Erano ancora do molti sassi in monizione de sopra e sotto coperta. Era sopra dieta galea el patrono magnifico 1). Angustino Contareno pa-tricio veneziano, che aveva con lui iv giovani che lo servivano. Erano con Ini dui zenlilhomini veneziani, datili per la Signoria, ma lo patrono li dava tanto el mese, e facevali lo spese a la sua tavola. Aveva dicto patrono uno oftìziale che se chiamava cornilo, el quale dopo ci patrono è obedito da tutti quanto al governo de la galea. Un altro officiale , chiamato el parono, che è sopra la provisione de la galea, comunemente è lo primo a uscirò de galea quando se ha a fare qualche cosa ; poi sono altri vin compagni, a cui è fidato più che li altri el governo de la galea, e questi insema con parecchi de altri, sono chiamali balestrcri. Erano poi altri asai chiamali galeoti, et insoma per governare e defendere la galea erano (al persone. Tra- questi erano de ogni esercizio e mestiero se possa Fare, e quando el mare non stava in travaglio, attendevano a li loro esercizj. La major parto di loro, e massime li periti de navigar, erano Sehiavoni, Albanesi, et anche qualche Lombardo, ma pochi. Non era persona do loro che non avesse sopra la galea qualche generazione de merco, e con questa legge erano conducti a navigare, e queste tali merci se portavano fora de galea quando se faceva scala, o pigliava porto, e li se faceva poi come mìa fiera. Trovavase più di tre milia pezze de panno de lana solum, e poi altre mcrcadanzic, che V homo non lo poria credere, se non vedesse, l'osso possibile quella galea contincre tanta roba ultra le persone, e clic in quelli galeoti fosse tanta obedienzia quanta gli era, che ad uno sibilo che faceva el cornilo, lauti homini in uno trato leVasseno el capo e dieosseno: Comanda, riaveva Ire trombetti o boni sonatori; et ultra fé supradirle persone se retrovaveno ctxx peregrini, tra homini e femene, frati e proli et. hereniiti. ultramontani e italiani, e tutti avevano assignali li suoi lochi per la sua cassa, sopra la quale poi dormivano, se.era abbastanza per hi persona...... La zòbla (giovedì) a v del mesi- dejunio, trapassata la mia parte de la tribolazione del mare, montai di sopra lassando li miei compagni di soto, a n bore di giorno; el stetti a vedere stendere tutte le vele de la galea con suoni do trombetti o canti facevano parecchi frati e altri peregrini, el che era una grande consolazione, precipue a chi non aveva mai veduto simile cosa. Avevasi vento al proposito del nostro camino, così che alle xvm ore dicevano li marinai esser facto fin a i.\ miglia andando verso la città di Parcnzo: e domandasi questo maro in particolare ci seno Trigestino Venerdì zonsemo per mezzo Parcnzo; et se noi fosse stato el bisogno de fornirsi' de castrali, el patrono voleva trapassare senza far scala-, pur la fece, e non voleva che alcuni de li peregrini uscisseno per andare in terra; pur tandem ad preces de molti, detto licenzia per una bora. E Chi volse uscire fu de bisogno tolesse de le barche de li pescatori o pagarle molto bene. Per vedere più cose io me accompagnai col predicatore Francesco Trivulzio, e volontiera, perchè vedeva era mólto reverilo, età lui con pochi preghi se mostrava ogni cosa. Parcnzo, lontana da Venezia cento miglia, è città antiqua; ora a me pare una cittadella, posta in piano c rifatta. La sua grandezza non so a che compararla: so dico ala città do Corbella, eli' è poco; se «lieo Abiategrìsso ell'è troppo. BUFÒ ricolta quella poca che è. Andassimo a la gosia cathedralo: è gesia antiqua, et credo sii stata molto bella, vedendo el mosaico a la sua tribuna, et il suo pavimento, el qual pur ancora lui fa qualche dcmoslrazione de esser s lato lavoralo a mosaico; bora, credo per l'absenzia de li pastori, pare una gesia inaltraclata. Inter alia vidi una cosa, che me detto signale in quella città siano persone da bene, e più che a casa nostra ; nam. in el eboro do dieta gesia non gli1 era stallo (è vero che erano pochi; che non avesse apoggiato suso una colta da prete. Domandai de chi erano; me fu dirlo (nano do li canonici. Io son certo.se lasassi una de le mie al Domo overo a Sancto Ambrosio, o che no trovarla due o nulla. Ila dieta ,gesia una corticina do nante, come hanno le gesie di Roma , et anche Santo Ambrosio nostro, et in capo ci suo baptisterio. Credo sia frequentalo da poche persone, imperocché pertulto sono le orbi; grandi. Vidi etiam il convento do sancto Francesco tra li altri; è assai tristo; non vidi alcuno fiato. Dieta città usa de boni e belli vini vermigli; del resto mi pare abbia assai carestia, excepto It PELLEGRINO 501 do castrati. Andasscmo da poi a visitare una gesia de sancto Nicolò posta sopra uno SCOgliQ in, mare a l'impelo de dieta città: è assni lieila et è facta per marinari, e in grande devozione a naviganti, el ò governata da dui monaci e dui conversi dell'ordine de sancto Benedetto de observanzia. Hanno uno bello olivete sopra diclo scoglio: dicon non avere altra in trata. É supposila dieta città a la signoria do Venezia. Se stetto li fin alle XXU boro, e non ©festante fosse bonazalo lo mare, misemo tutto le vele, Loia voltandole di qua ora di là, per pigliare la diversilale de li venti che sorgevano; bora un poco de bonaza, boia provenza. bora garbino, ora sciroco, e cosi se andava facendo volte boia a drillo ora alla reversa per quello mare chiamato Sino Flanatico, lassando de Ogni lato do molle lene. Andando trovassimo il golfo chiamalo el Ouarnero, molto duro de passar ...... Domenicha a vili de Junio, con la grazia do Dio, a \i boro zonsemo a Zara, e con grande letizia venendo de molle barchete, smontassimo tutti o andammo a udire messa, e poi se fece el distiare, e me misi a vedere dieta ciltado, la quale è in piano, non troppo grande, ma tutta pulita, et ha de belli edificj : non ha fosso in cerchio, nò anche ponti levatoti ; ha belli muri in cerchio e alti, uno castelletto da un canto, assai in vista de fortezza per quello se può vedere. Tutta la cittade è solata de piastrelle vive, a uno certo modo, che molti de li nostri Milanesi (dico quelli hanno le podagre alli piedi), non la pol iebpOUO peranibulare troppo aconcio. Non gli ho saputo vedere alcuno palazzo de grande vista, ma case burniii, una piazzola quadra inante al logo dove s' amministra rosone per li reclori vi manda la Signoria. Sono stalo in la sua gesia catedralo, sub vocabulo de sancla Ana-slaxia: è uno bello corpo de gesia, alla in el niczo in forma de una j^alea: tutta una volta tonda e longa pur de legname, et ovvi dipinto per mano de boni magistri el testamento vecchio: ha uno coro bene ornato de stalli al nostro modo...... Andai con li ali ri peregrini, però che rosi era ordinalo, a DM fetta do sancto Syineone, nude, cantato vespcro, fu mostralo lo corpo de sancto Sy-meone; reliquia dignissima. e la più bella che mai vedessi uè in Roma nè altrove; nam si vede tutto integro; non li inanella cosa del mondo, non in el volto, non in le mane, non in li piedi, tiene la hocha aperta, o di sopra non li sono denti..... Lunedì a i\ do junio. audila la messa el ancora la predica facta pelei supramentovato fra Francesco,, intinti in galea foco vela allo ore wiiii. Dicesi esser miglia eoe da Zara a Venezia. E così navigando pian piano con pocho garbino so trovò di avere l'alio, tra quelli scogli do Schiavonia, che sono senza numero e ben sassosi e aridi, miglia l\\ da Zara lino al martedì sequente, e el mare ( e meglio se po' dire tra quelli scogli un r.niale. perchè a me non pariva inajore di' el liunie del Po in Lombardia; conciossi in bonaza...... Eravamo ben apreeso a la città de Sebenico; ma non li poteva andare, imperò che la galea era tanta, corno ho dicto, che non si poteva caciare con remi; pur se stete così con grand'incomodo de peregrini, grande spesa del patrono che spendeva, e non se procedeva al camino, de extrema faticha de li galeoti per tanto estendere volle, lauto calarle, tanto gittare le ancore e tanto levarle. Era una grande compassioni' a vedere tante fatiche: e non si ponno quasi credere chi non le vede...... L'ordine di questa galea si è de pigliare una guida, uno sia ben pra-lieo del mare, e corneo za a Venezia e dura fin a Parenzo. A Parenzo ne piglia un altro lin a Modone. A Modpne ne piglia un altro fin al Zaffo, l'are che la guida, sive podota al loro modo, tolta a Parenzo, fra quelli scogli dalmatini errasse la via, e lasciò andar la galea in sopra ad una secca, cosi che fece balzar el timone per tre volto fora de mano del timo-nero, ita et laliter che se credeva fosse aperta la galea in el l'ondo; ma trovossi che Dio haveva hauto misericordia a tante anime quante erano in dieta galea, et maxime de tanti religiosi de ogni generazione quanti vi erano suso, e trovossi che, ove se credeva havesse tochato sasso, aveva Indialo fanga O vero arena; e così passassimo el pericolo con grande paura ma senza male. Poi respirati li marinari, tornarono suso le vele, havendo uni vento al nostro proposito; e cosi calumando lassavemo do man drila de molte insule, tra le quali una era domandata la insula de sancto Andrea, disabitata e senza fructo. Dreto a questa sequitava la insula de Lissa, bona e optirna, dotata de boni vini e do altri frutti; fanno ancora grande mercantie do sardelle, credo sieno de quelle se vendono alle volte per indove a quelli non le conoscono. Da mano sinistra al nostro camino, da poi Sebenico lassavemo la città Treguriense, aliter Traù, e Spalatro, città mollo bona e tutte subjccte a la signoria de Veneziani. Tandem Deo dante a le in bore de note se giurise a la cita de Lesna, aliter do Fara. El venere a dì xill de junio, uscindo dal canale de Lesna, da poi el levare del sole, se fece vela col vento assai tepido; pur al montare del giorno comenzoc el vento a migliorare, e zonsemo per mezo la cittadella de (lorzula, bella de vedere di fora. Non si volse dimorare el patrono, per non perdere el vento che a nui era prospero; e passassimo così remirandola di fora; e dicesi è longe da Lesna miglia lx......Sequilando el nostro camino con bono vento, giunsemo a Ragusa, città de Dalmazia, ale xx ore e focosi scala con grandi triumfi de bandere e signali de bombardelle e trombette, concorrendo de molti Ragusei sopra la riva del porto, e venendo de molto barche a la galea per levare li peregrini, etanche li galeotti che portavano di fora le Sue mercanzie pet fare li l'adi sui sopra la piazza de Ragusa; e così smontarono tutti li peregrini, con grande desiderio de ri-Irescarsi. Ragusa è bella in Ogni condizione; stando sopra la ripa del mare: è fortissima de mura, precipue verso la terraferma. Ha de molte torri, et una ad un cantone verso terraferma, majoro do le altre. Una via co-men za intrando da la porta che viene dal porto, et andando di longo fin RAGUSI 569 a la porta dove è el monastero de sancto Francesco; e da l'uno lato e l'altro de dieta via sono botteghe de ogni condizione. Tutto lo resto de dieta cittade me pare che monti. Li aspecti de loro caxe sono belli, e sono spesse, così che non se li possa aggiungere. La gesia majorc sub vocabulo de nostra Donna, è piccola per esser archiepiscopale, pur assai bella, di fora più che dentro de pietre bianche corno marmoro; ha uno bello corridore facto con belle colonnelle, per el quale se pò andar in cerchio a dieta gesia di fora ; dentro ancora se pò andare, e varinoli fin a le donne di sopra alle spalle de dieta gesia...... Ha dieta cittade, secondo la grandezza sua, un bello palazzo, ove sta de continuo el suo rettore, alitcr chiamato el capitano; ove gli ò tra le altre cose una bella sala, facta a similitudine de la sala dove fano li signori Veneziani el consiglio generale, con li sui banchi a dieta similitudine. Vero ò che non vi sono le sedie dorate, come sono a Venezia per seder ci suo major; ha pur però el suo cielo lavorato de oro e de azurro lino. Evvi poi uno certo loco molto ornato dove dà audientia el p.t0 rectorc insema con x savj. Hanno uno armamentario in dicto palazzo, dove, inter alia, mostra una certa quantità de arme che ha mandato a donar lo Ill.mo S.ru duca de Milano. Hanno insuper dicti Ragusei, ad similitudincm de li signori Veneziani, uno loco facto verso el suo porto, qual domandano l'arsenale, dove ancora loro fanno fabbricare galee e nave; et bora ce ne erano un, parte fornite, e parte de fornire. Hanno uno conducto de acqua dolce, el quale viene da la longha; e con quello conducto fanno masnar vm molini in diversi loghi fora de la città; poi intrando in dieta città serve a molti loghi, specialmente in dui, dove sono fabbricale due fontane publiche, una ala porta de sancto Francesco facta con molti bochelli, l'altra appresso a la piazza, pur con parecchi boclielli. Vi concorrono de molti populati a pigliare dell'acqua. Poi anche serve diclo conducto a li frati de sancto Francesco. Sono in dieta cittade de molte cisterne per ricogliere le acque pluviali, e sono migliori da be-vere che l'acqua del dicto conducto. Sono i Ragusei verso terra ferma copiosi de belli giardini, dove hanno de le case molto ornate per andar a solazo. Hanno delle viti assai, e fanno bone malvasie e altri vini assai, secundo el loco. Hanno eziandio uno castello fora de la cittade sopra a uno certo monticello verso el mare. Io non so quello li possa giovare; non posso comprendere se li potesse dare soccorso da la cittade se perdesgrazia fosse expugnato...... Satis est che ogni giorno se li muta el castellano, e non per voce de populo ma solamente a volunlate del rectore el qual se trova esser. Fanno ancora far la guardia sopra uno monte che superchia la terra verso terraferma. Per quello ho potuto intendere, non fanno grano per suo spendere; e mancandoli usano de quello de Puglia. Come ho dicto, fanno do boni vini vermigli e optime malvasie, che dicono sono migliori che quelle de Candia; io non ho potuto far questo giudicio. Fanno questi Ragusei grande quan- lilUilraz. del L, V. Vol. II. 7.1 tità de cera; de altri fructi pur assai. La povertate del contado fa concorrere la brigata a la cittade el sabato et ancora la dominica, perchè, con ciò che portano, ponno toccare qualche bagatino. Ha questa cittade in genere belli nomini, e quanto più sono giovcni più parcno de grando esser. Tutti e vecchi e zoveni et anche li putti vanno togati a la veneziana, e molto spessi. Forse hanno facto el suo sforzo per mostrarsi a tanti forestieri in el tempo è stata l'i la galea. In vero sono molti civili e piacevoli a forestieri, saltom de parole. Hanno piacere li sia dato de la signoria per el capo. Parmi non esser incongruo, imperò che sono liberi, nò pagano tributo ad altri che al Turco, che sono xx mila ducati, e diventano xxv mila innanze se fornisca l'anno. Fanno ancora ogni anno uno dono de v mila ducati al re de Ungaria, al quale sono raccomandati. Altra gra, vezza non ho potuto intendere abbiano al presente. Le donne de Ragusa, per haver uno stranio habito per la major parte, anche loro pareno aver stranj volti. Io non lo so scrivere; ben dico che P habito suo è più che onesto; nam - ultra che portano le sue vesti estreme alte di sopra coprcndose fin a la gola, hanno poi una certa cosa che pare una coda de uno grasso ariete, dinante che gli va fin sotto a la barba e dreto fin suso a li capelli. Per la qualitate de la citade ho veduto, precipuo ol dì de festa, de belle donne non in troppo numero, assai belle, ben ornate de zoje, pur a la foggia predicta, ma pomposo de oro, de argento et anche do perle; et hanno piacere ad esser vedute anche da foresteri ; vanno però con grandissima honestate fora de casa ; per quello posso intendere non sono troppo dedite al lavorare nè guadagnare. Et re versa quando ho inteso li modi de li Ragusei tutti me sono piaciuti; excepto che non è homo che possa tener vino in casa, etiam che nasca sopra el suo; e quando ne vogliono bisogna lo mandino a pigliare a la taverna; e le loro donne e famigli, se ne vogliono, bisogna in occulto facino el simile; et ideo ancora'Joro sono da poi più tepide al lavorare. E forse anche Ragusei mantengono questa costuma per qualche ragione a me occulta. Eorse che quando se servasse questa costuma a Milano, non vi sarehbono tante podagre quante vi sono ci a nomini et a donne...... La Signoria o vero liberiate de questi Ragusei se governa a questo modo ogni mese fanno un rettore che sta in el palazzo, come el doge a Venezia; non se parte fora del palazzo durante el dicto mese, se non li è causa urgente; e se pur li accadesse andare di fora, va con viri coppie de donzelli dinanti, o dreto a lui li altri uffizioli. Hanno x de consiglio li quali stanno sempre presenti al p.t0 rectorc quando dà audientia; e ciò che si fa per li elicti x è facto; e questi x durano n anni; et hanno uno suo secretano, el qual ogni cosa pertinente al stato scrive......« 2 II huon prole trovava tutt'il contrario a Venezia : - Quelle donne se forzano quanto ponno in puhlico, precipue le belle, de mostrare el pedo, in tanto elio più volle vedendole me sono maraviglialo clic li panni non ghe siano castali di dosso.,. Hanno piacere ad RAGUSI 371 tniatto a Ragusi il Comune era formato dei nobili, discondenti dai primi fondatori e da altri della Bosnia, che davansi ogni ott'anni un rettore. Damiano, uno di questi, non volle deporre il comando, e vi si fece tiranno; i Ragusei ricorsero a Venezia, la quale li liberò, ma per soggettarseli essa medesima; e lo tenne finche Lodovico re d'Ungheria non li tornò indipendenti. Però Genovesi e Veneziani ne impacciavano i commerci per modo, ch'essi deliberarono ridursi sotto la protezione del Turco: Or-cano gransignore concesse loro una patente, ed essi a lui cedettero due lingue di terra, in modo di non trovarsi a contatto coi Veneziani nella Dalmazia, nè aRe bocche di Cattaro. Sotto quell'alto dominio, seguitavano il proprio governo aristocratico. Nel granconsiglio entravano lutti i nobili a 18 anni; e quello facea leggi, sceglieva i magistrati, avea diritto di grazia: un senato di 45 pregadi preparava le proposizioni da recarsi al granconsiglio, e trattava le relazioni esterne: il potere esecutivo era affidato a un picciol consiglio di sette senatori. Ogni mese cambiavasi il rettore; che non doveva uscir di giorno dal palazzo se non per grandi solennità, e allora col mantello di damasco rosso, rossi i calzoni e le calze e gran parrucca. Ai nobili spettavano tutte le cariche: nò potean esser tratti a prigione che da un nobile. Ogni cosa era strettamente prestabilita: e Tuberone Cerva essendo entrato in pregadi colla veste più lunga del prescritto , gli fu raccorcia in piena assemblea; di che egli vergognato, andò e si fece frate. La plebe stava in clientela de' nobili; ma da matrimonj misti nacque una classe media, ammessa ad impieghi di minor conto. Uno spaventoso tremuoto del 1007, che die soggetto a un poema dello Stay, fe crollare la sala dove slava radunato il granconsiglio, onde molte famiglie furono estinte, e il corpo della nobiltà dovette rintegrarsi con gente nuova, tenuta in minor conto. La navigazione e il lavoro attorno alle materie prime che si traevano dalla Bosnia, formavano l'occupazione di Ragusi: che per quattro secoli fu il centro, come de' negozj, così del sapere dei popoli slavi e valacchi situati sulla parte orientale dell'infima valle del Danubio. Contemporanee vi erano coltivate la letteratura greca, la latina e V italiana. Vi nacquero Martino che fu dé' primi tipografi; Paolo insigne cesellatore; Giovanni Baglivi, propagatore della medicina osservatrice e del sistema jatrofìsico; •esser vedute e guardate, e non hanno paura che te moschei e mordano...Vedo non anno troppa spesa lo fazzoletti da coprirsi le spalle ■, Viaggio di Pietro Casola a GintHh lemme. f Marino Ghetaldi e il Boscovich matematici; P erudito Banduri, l'epico Francesco Gondola, i poeti latini Stay, Resti, Zamagna, Cunich, e ai dì nostri Faustino Gagliuflì. Nell'età napoleonica diede essa il titolo di duca al troppo famigerato Marmont, il quale ne discorre a lungo nelle sue Memorie, Per chi non sa dir di proprio,nulla meglio che riferir le parole altrui: « Lo Stato non contava più di 35 mila anime, sul lembo di terra da Cattaro alla Dalmazia e alcune isole. Un corpo di nobiltà, più antico che le più antiche case d'Europa, possedea la sovranità da tempo immemorabile; v'ha famiglie che risalgono all'Vili secolo con filiazione ben accertata, e fin d' allora già ricche e possenti. Tale la famiglia Gozzi il cui antenato era un signor bosniaco, ricchissimo d'armenti quando venne accasarsi a Ragusi, e fu messo a parte della sovranità..... « I cittadini, raccomandabili per costumatezza e per istruzione, eran quasi tutti capitani di commercio, o persone ritirate dagli affari. I nobili non navigavano, ma tutti avean interessenza ne' bastimenti commerciali. « I campagnuoli, affissi alla gleba, dipendeano dai nobili cui apparte-ncano i villaggi. Mai non s' è visto paese più felice, più prosperante per lodevole industria, savia economia, e ben intesa agiatezza. Ciascuno avea la propria casa, piccola ma per bene, con mobili di Francia e d'Inghilterra. Ogni famiglia avea pure la sua villa a Gravosa, a Val d'Ombla, a Malli o a Brenno: alcune fin due, secondo le stagioni. « Il territorio sì piccolo era coltivato mirabilmente : non un palmo di terra negletto; per accrescerne la superficie costruivansi terrazzi dovunque è possibile. I costumi dolcissimi in tutte le classi, fra i contadini laboriosi e contenti, fra i cittadini agiati e che molto aveano viaggiato, fra i nobili che s'erano educati a Siena, a Bologna o in altra città d'Italia, donde riportavano pulitezza e istruzione. L'abitudine d'una situazione elevata e del potere dava 'oro l'aria delle grandi città e della gente più cospicua. Le donno vi partecipavano, di guisa che le signore di Ragusi non iscatlavano dalle migliori di Milano o di Bologna. Molti i dotti. « Vero territorio de' Ragusei era il mare; una bandiera neutra dava loro il modo di esercitar molta industria e fare guadagni. Sì piccola popolazione tenea 175 bastimenti, tutti per lungo corso, e oltre lutti i porti d' Europa, andavano fin alle Anlilie e all' India. « La nobiltà divideasi in due frazioni, eguali in diritti, non in considerazione, e diceansi Salamanchesi e Sorbonesi. I primi, più ricchi e reputati, passavano per integerrimi, massime nelle funzioni di giudici, gli altri accusavansi di venali, e la più parte erano poveri. Pari in diritti, votando nella medesima sala, sulle medesime quistioni. gli uni però non RAGLISI 673 salutavan gli altri: un Salamanchese che sposasse una Sorhonese dirazzava esso e i figli. « In generale i nobili mostravansi duri coi borghesi; e i borghesi sul loro esempio divideansi in due fraternite, di Sant'Antonio e San Lazaro, e i primi guardavano gli altri d'alto in basso. « A cosi riposato, a così bello viver di cittadini noi venimmo di tratto a rapire e pace e prosperità ». Fin qui il maresciallo di Francia. Ed a noi non parea aver compito allatto il discorso di Venezia se non vi comprendevamo la Venezia Dalmata. Ormai la via nostra è compita; affidiamoci di nuovo al mare, viriamo di bordo, e torniamo verso Italia, prima nostra cura, nostra cara sollecitudine e affettuosa compiacenza e speranza. Ma badate; mentre noi viaggiamo su nave che mareggia per la procella, ci sembra che gli astri s'elevino e si abbassino, che la bussola vacilli; eppur quegli astri son immobili, quell'ago è costantemente diretto al polo. Così avvien nella vita, così principalmente nelle rivoluzioni, purché Ponest'uomo tenga l'occhio sempre, non al trambustarsi delle minute passioni umane, ma all'inalterabile polo della giustizia e della virtù, il cui regno verrà a malgrado dei violenti e dei subdoli, dei sofisti e dei beffardi. FINE DELLA CORSA PEL LITORALE. BELLUNO E SUA PROVINCIA F IL Dr GIUSEPPE ALVISI illuslraz. del L. V. Voi 11. 71 AL CAVALIER E PROFESSORE TOMMASO CATULLO GEOLOGO E NATURALISTA INSIGNE MEMBRO DELL'ISTITUTO E DELLA SOCIETÀ ITALIANA V ILLUSTRAZIONE DELLA PROVINCIA CH'EGLI ONORA COLLA SAPIENZA L'INTEGRITÀ IL PATRIOTISMO DEDICANO GLI EDITORI Pianta di Belluno Popoli primitivi sino al 180 av. G. C, Storici e Cronisti della Provincia. Non consta il tempo dell'origino e fondazione delle nostro città: se antichissime, dobbiamo ritenerle opera dei Taurisci e Veneti, popoli primitivi diffusi per tutta l'Italia; se più tardi, bisognerà ricorrere ai Galli o prima della vittoria di Camillo, o quando, combattuti e vinti dai Romani, rifuggirono come ad ultimo asilo fra i nostri monti; Altrettanto pel Cadore. Forse la sua prossimità alla Germania, al Friuli, alla Carnia, e i molti passaggi, sebbene allora difficilissimi ; il rinvenire una sensibile differenza nel tipo, nel suono c noli' accento del comune linguaggio, pos- sono indurre sospetto, che ai Taurisci ed ai Veneti si sieno aggiunte nuove famiglie straniere: le quali trovandosi d'ogni dove circondate dalle Alpi e difese, siensi senza combattere accomodate cogli aborigeni in una vita uniforme. Il timore della comune servitù procacciata dall' immigrazione dei Galli, e dalle irruzioni barbariche, forse li decise a ricoverare quei pochi che, superando le alpestri giogaje, vi mettevano stanza, contenti di vivere tranquilli in mezzo alle selve, nutrendosi colla caccia, e coltivando col tempo le magre pendici. Salvo qualche incursione tentala nel Bellunese, noi vediamo le popolazioni del Cadore rimanere ignorate e dimentiche dagli storici, sebbene potessero offrire fino dai primi secoli materia di riilessione. Sito. Plinio e Tolomeo descrissero Belluno e Feltre nella decima regione, collocando il primo nell'ultimo lembo delle Alpi Noriche; e nelle Rezie il secondo, supponendo colonia di Reti (Etruschi) gli abitatori dei monti di Trento al contine bellunese. Tale opinione venne accettata da tutti gli storici bellunesi e feltrini, e quindi gli avvenimenti e gli uomini illustri del Norico vennero sempre calcolati spettare a Belluno, sebbene le dotte riflessioni di monsignor Lucio Doglioni e la geografìa moderna lo vogliano inscritto nel confine delle Alpi Rezie, applicando il nome di Norico alla Carnia ed alla Carintia. Ma noi siamo costretti attenerci all'appellativo antico, altrimenti perderemmo ogni storica cognizione riguardo al Bellunese e Cadorino, che col nome di Norico venne sempre descritto e illustrato fino a giorni nostri. • Nome. Sembra che, nella fondazione delle città, siasi a queste conferito il nome del capo che dirigeva la spedizione, ovvero della divinità che si riteneva auspice all' impresa, o finalmente da qualche circostanza fìsica o topografica. Fuori di tali indizj, torna infruttuosa ogni ricerca. Accettiamo quindi dagli storici nostri la più probabile delle loro sentenze, cioè che Belluno siasi così chiamato in memoria di un condottiero di nome consimile; o in rispetto a qualche divinità come il Dio Api o Bello, Dei che i Taurisci e Veneti avevano comuni coi Toscani; se al tempo dei Galli, in onore di Belloveso, loro generale supremo nella prima immigrazione ; finalmente se nell'epoca dei Trojani e Romani, alla dea Bellona. Gli storici poi di Foltre vanno tutti d'accordo nelP ammettere che una colonia di Veneti, detti Euganei, sia venuta ad occupare il loro territorio prima o dopo di Antenore, scacciando e soprapponendosi agli aborigeni; e che Fereto od un suo figlio fosse il fondatore di Foltre e v'imponesse il suo nome: induzione da preferirsi. CRONISTI 581 Storici della Provincia. Quanto avvertimmo sopra le antichissime condizioni di questa provincia e sulP origine dei suoi abitatori si trova più o meno estesamente trattato dagli storici bellunesi e feltrini. I più ricchi di congetture sono i secentisti < , e quindi risentono della confusione di queir epoca, in cui gii studj, non guidati da critica imparziale e severa, ammettevano avvenimenti che in oggi si considerano come fole. Giorgio Piloni, per esempio, si compiace nel raccontare che Belluno deve il nome al cavaliere Flavio Ostilio Romano, il quale liberò la città da un enorme cinghiale, che infestava le campagne dappertutto portando il terrore. Nell'epoca in cui era esercizio prediletto la caccia, e le nostre montagne, folte d'immense boscaglie, annidavano orsi e lupi, il supporre che gli abitanti si spaventassero tanto, alla vista d'un cinghiale (animale non carnivoro) da acclamare come liberatore e Vir unus 1' uccisore di quella bestia, e quindi Viruno la propria città, diventa incredibile. Indarno si tentò renderla verisimile dagli storici coli' interpretare a lor modo l'arca sepolcrale rinvenuta nello scavare le fondamenta della chiesa di Santo Stefano di Belluno (1480). È vero che nella lapide si legge il nome di Flavio Ostilio, e nelle pareti si scorgono scolpiti gli emblemi 1 Storici Bellunesi Hisloria ili Giorgio Piloni dottor bellunese, nella quale, oltre molte cose degne avvenute In diverse parti del mondo di tempo in tempo, s'intendono e leggono di anno in anno con minuti ragguagli tutti i successi della città di Belluno; con quattro tavole l'una dei Vescovi di essa città di Belluno, una degli autori de'quali si è servito nell'opera; una dei rettori e podestà, de'suoi vicari! che l'hanno retta fino all'anno IflOO, l'altra delle cose notabili clic si comprendono in essa. Con privilegio. — In Venetia, 1607, pressi! Dìo. Antonio Rampazzetto. , Compendio Historico Universale di tutte le cose notabili già successe nel mondo dal princìpio della sua creazione sin boia di Giovanni Nicolò Dogliosi. — In Venetia appressa Nicolò Misserini, 4003. Descriltione di Cividal di Belluno e suo territorio del Big. Giovanni Battista Barpo. In Belluno, 1G40, appresso Francesco Viezzeri. Pierii Valkbiani, Antiquitalum Bellunensium, 1020. AlSaKio Ganipkcb, 11 Campanile di Belluno, 1649. Notizie storiche stralciale della storia venela di Viltor Sandi. Belluno, 47S9, Tissi. Francesco Alpago , Dizionario delle cose bellunesi, trailo dai libri delle Provvigioni del Consiglio, dai Registri Ducali, dagli Alti Capitolari, da varii altri documenti. Usinole ritto Inedito in due volumi, — Belluno, 477.1 Storici Feltrini Memorie isteriche di Feltre del ionie Antonio Dal Corno con diversi avvenimenti nella Marea Trivigiana e nell'Italia accaduti, e con distinta relazione di lutti li principi, vescovi e governatori che dominarono detla città sino all'anno 1710, aggiuntovi il catalogo delle iscrizioni antiche e moderne. — In Venezia, 1710, per Domenico Borghi. Bertondelli, Storia di Feltro. Storia di Feltre del Padre Maestro Antonio Cambruzzi minore conventuale feltrai. Libri dodici dall'origine lino al 1682. Copiala a Feltre nel 4823. 382 STORIA DI BELLUNO della caccia col cinghiale e col cervo: ma sì riscrizione come i simboli esprimono il nome e le qualità del defunto cavaliere, distintissimo Monumento di Flavio Ostilio. nella caccia. In questo senso venne con saggia critica decifrato il monumento in una dissertazione di monsignor Lucio Doglioni2, il quale palesa giudizio sanissimo nell' investigare le controverse patrie memorie. Il Dal Corno, nella storia di Feltre, ci narra che Eligio re dei Romani , recatosi in quei dintorni, nello scavare il fosso di circuito della città vi abbia rinvenuto un feretro e da questo Feltre siasi appellata. In mezzo alla moltiplicità di questi racconti non è si facile lo scegliere la verità; l'appurare i fatti dalle supposizioni, e mettere in accordo la storia particolare della provincia con quella generale dei Veneti, a cui essa naturalmente appartiene. La voluminosa storia di Feltre del frate Cambruzzì, rarissimo manoscritto , non è per nulla migliore, procede stentala e ogni tratto sospesa per dar luogo a notizie storiche sui papi e dogi: è scarso di documenti, e meno qualcheduno d'incerta fede, tutti li troviamo nelle opere stampate del Sabellico, dell'Ughelli, del Bonifazio, del Verci. La Cronaca di Daniele Tomitano, dà scarsa suppellettile alla storia di Feltre, ì Notizie isteriche e geografiche della città di Belluno e sua provincia, con dissertazioni due dell'antico slato e intorno al sito di Belluno di Monsignore Lucio Doglioni, — In Belluno tSlB, per Francesco Antonio Tissi. CRONISTI 583 merita encomio per la paziente e dispendiosa cura nel raccogliere le lapidi romane ed altri antichi frammenti di pietra sparsi nel territorio Feltrino, molte delle quali lapidi esistono tuttora nel cortile di una villeggiatura presso Feltre detta Cenlencre, trascurate e guaste dal tempo. La storia de! Cadore venne si felicemente iniziata da monsignor Giuseppe Ciani di Ceneda, che sarebbe temerità il tentarne un'altra. Questa bella parte della nostra provincia, da tempi antichi era attaccata al Friuli, col quale corse gli stessi destini; onde poche soccorrono le memorie, pochissimi i monumenti al benemerito monsignore. Non v' ha storico particolare del Cadore, se si eccettui l'avvocato Meneguzzi, che in un periodico di Belluno 8 stampò dotti articoli sulle antichissime condizioni di quel paese, ed il defunto avvocato Jacobbi che lasciò molte annotazioni sopra varie famiglie del Cadore e sopra inediti documenti. Gli altri storici e cronisti minori della provincia copiarono i precedenti, e poco aggiunsero nei loro compendj che valga a dilucidare P oscuro e riempirne le lacune. Fra gli storici moderni, due principalmente si distinguono nel Bellunese per saggia critica, e breve ma chiarissima esposizione; il canonico Lucio Doglioni morto in questo secolo, ed il conte Florio Miari che da pochi anni cessò di vivere 4. Quest' ultimo estese prima un sommario della storia cittadina, poi raccolse e stampò le iscrizioni antiche di Belluno e quindi un Dizionario storico-letterario, riuscì con instancabile pazienza a formare una buona collezione di monete antiche, di stemmi e sigilli; decorò parte della sua casa con lapidi romane e venete, con bronzi antichi e moderni; giovò la patria erudizione con una libreria tutta composta di opere di autori bellunesi manoscritte e stampate, e la sua Cronaca di Belluno ancora inedita è ammirabile per semplicità non iscompagnata da qualche eleganza. Gli archivj municipali di Feltre e Belluno soggiacquero ad una lamentevole dispersione sia nel volgere delle triste vicende di guerra, sia per la poca sorveglianza dei proposti. Quelli dei Capitoli sono ricchi di documenti interessanti le proprietà private delle prebende canonicali, e quindi di poco ajuto allo storico. 3 Eco delle Alpi, Belluno 12 agosto 1838. N. 15,17, 20, anno I. 4 Cronache Bellunesi del conte Florio Miari dall'ori ghie al 1 S'iti; manoscritto. Compendio storico della regia città di Belluno e sua antica provincia scritto dal cont# Florio Miari; in Venezia presso Giuseppe Pieotli ISSO. Le nobili tradizioni paterne per la raccolta di memorie patrie vengono seguite dal tiglio conte Carlo, il quale con gentilezza somma mise a disposizione dell'autore la ricca sua collezione di libri ed altro. tllnstraz. del L. V. Voi. Il 7!» ANTICHE ISCRIZIONI BELLUNESI C. FL. IIOSTIL1VS PAP. SERTOBIANVS LAVE. LAV. P. EQ. R. M. SIBI ET DOMITIAE J. FIL l A E SEVERAE CONIVGI INCOMPARABILI V. F. rPIirOW , XAll'E . GPE51 . AI I . MMIMKN Avello sepolcrale scopertosi Tanno 1480 nelle fondamenta del coro di Santo Stefano in Belluno, sulla cui piazza sembra sia stato collocato in allora; di quivi rimosso, nel 1530 venne innalzato su quattro colonne vicino alla scala esterna del palazzo del Consiglio do'nobili, nella piazza del duomo, sottoponendovi la lapida di Sortono Procolo, allorché la si rinvenne nel villaggio-di Orzes. Stette colà sino al 18:17, quando demolitosi il vecchio palazzo per erigervi la residenza del tribunal provinciale, si collocò, il 22 novembre, noli' angolo vicino, presso alla chiesa cattedrale, finché levatone nel 1841, si trasportò novamentc, il primo marzo, sulla piazza di Santo Slcfano dove or si vede. Rappresenta in un lato un cavaliere romano preceduto da due servi, che sugli omeri portano un cinghiale in una rete. Alla destra del monumento si vede una caccia di cervo. L'iscrizione ò sostenuta da due genj, e sormontati da due puttini alati; e dallo parti, in nicchie apposite, son due ligure di uomo e di donna, che possono essere Flavio Ostilio, e la sua consorte Domizia. IMP. CAESARI M. AVREMO ANTONINO AVG. ARMENIACO MEDICO PAUTICO M.... ONT1F MAS..... OT. XX. IMP..... III P. P. DIVI A.... INI IL DIVI D ADRIANI NIPOTI DIVI TRÀIAN. PARTHICI PRONIPOTI DIVI NEKVAE ABNEPOTI D. D. Riferisco Pierio Valeriano, che questo preclaro monumento venne scoperto nelle fondamenta della vecchia cattedrale di Belluno, o collocato sulla parete del pubblico palazzo ; poi si inserì noi muro esterno del nuovo duomo verso la piazza, dove tuttora si conserva. Trovandosi scalpellata P iscrizione nel mezzo, alle lineo sesta, settima, ottava, nona e decima, credette di poterla compire cosi: Imperatori Cwsarì Marco Aurelio Antonino Augusto Armeniaco Medica Partitico Massimo Pontifici Maximo Tribunitia palesiate vicesima Imperatori ARCHEOLOGIA 388 StCUndo Con sud tertio patri patria; divi Antonini filio divi Hadriani nepoti divi Trajani partitici pronipoti divi Nervo? abnepoti Decreto Decurionum. IMP. CAES. M. AVRELIO. ANTONINO. AVG. IMP. SEPTLMII. SEVERI. PIL PERTINACIS. AVG. FILIO. D. D. Giulio Doglioni, in un manoscritto, e Giorgio Piloni, nella storia, dicono rinvenuta questa lapida in Belluno in un orto di Vittore de Foro nella contrada Dojona presso il Torrione. NERO CLAVDIVS. Fu ritrovata in Belluno nell'orto stesso. Si vede ora sul muro della casa Miari in Landris. CIUSPINAE. AVG. IMP. COMODI. AVG. SARMATIGI. GERMANICI. D. D. Questa pure fu scoperta nell' indicato luogo della famiglia Foro, a detta di Giulio Doglioni ne'suoi manoscritti. Là ricorda anche il Piloni. D. M. QVINTIA. MAXIMA. SIRI. ET. COIVG1. SVO. CVSONIO. SEVERINO. V. F. Nel portico della vecchia chiesa di San Pietro, stava questa lapida, descrittaci dal Pierio, dal Grutcro, da Nicolò Doglioni, e dal Piloni. P. FLAVIVS. P. F. IR1R. LEG. I. SIBI. ET. P. FLAVIO. P. L. FRONTONI AB. ET, FLAVIAE. P. F. IN. FRONTE. PED. XV. IN. AGRO. PED. X. F. Il Piloni e il cavaliere Beaziano, nel Discorso sulla famiglia Piloni, riportano questa lapida come esistente in Belluno, sebbene il Beaziano ce la dia con qualche diversità dall'altro. IMP. CAES. FLA. VALER. CONSTANTIO. NOBILISSIMO. ANNO. XX. D. D. E Piloni dice averla veduta sotto l'aitar maggiore della vecchia chiesa di San Pietro in Belluno. Cosi il Doglioni. Q. FVLVIVS. P. F. VIVS. F. SIBI. E.... Frammento di antico sepolcro', ritrovato il 21 maggio 1773 dal dottore Nicolò Zuppani, nel demolire una casa in contrada Carrcra di Belluno, entro cui eranvi un teschio, alcune ossa, un'ampolla di vetro dalla parte della testa ed un'altra dai piedi. Giovanni Sargnano ci lasciò, manoscritta questa notizia. orsva. enniae. i. f. marcelli a.... Frammento d'iscrizione che si vede in Landris in casa Miari. aescvlapio. avg. 1TYRIVS. secvndinvs. v. s. l. h. Ritrovata nel giorno 7 settembre 1835 nella piazzetta davanti la chiesa di San Pietro in Belluno. Ora è da me posseduta, dice il Miari. d. M. In Belluno, nella contrada di Ussolo, è posto a rovescio un antico coperchio d*arca sepolcrale, che ora serve di vasca per una fontana. Queste lettere son forse il cominciameno d'iscrizione, ora smarrita. ivventivs. titvs. v. f. sibi. et. CON1YGI. svae. ivventl«. màrceliple. vivvs. fecit. dedit. coll. fab. ad. men. colrvsarvm. ET. V1NDEMIA. e dal lato sinistro dell'iscrizione xcqll. qvingentas. dat. col. S. s. Dalla villa di Castoi, presso la famiglia Rodio, si trasportò nel villaggio del Colle di Navasa ; ma, al presente, consumato dal tempo, non si potè raccogliere che una parte dell' iscrizione, ed uno dei bassirilievi di fianco. l d d d Locus datus decreto decuriorum. Trovavasi, un tempo, nel muro del cimitero della chiesa di San Martino di Castoi. Ora è trasportata nella villa Tauro alle Centcnere, e si vede nella descrizione di quelle lapidi sotto il numero XVI. t. tvrrams. SEVER1NUS. CON1VG1. suae. cariss. BL1C1AE. costantinae vivvs. f. Antichissima iscrizione, ritrovata dal Pierio in Cor, villaggio due miglia distante da Belluno. La trascrissero anche il Doglioni e il Piloni. t volvsio. c. f. volvsiae /s...des Bassorilievo di marmo bianco trovato nel villaggio di Lastreghe. Rappresenta due figure, di uomo e di donna in mezza persona, sotto alle quali sta F iscrizione che riportiamo. FILI. POSVERVNT. MEMORIAM. HATPI. SVO. SATVRNIANO. POTIO. OBITO. CVM. COMPARE. SVA. VALENTIANA. VOLVSIA. Al tempo del Pierio vedevasi quest'iscrizione nell'ufficio doganale di Capodiponte, cinque miglia da Belluno. Nel 1772 il canonico Lucio Dogi ioni ne la fece levare, e trasportare in questa città. É sparsa di alcune lettere greche , come osservò lo stesso Pierio, di che si hanno esempj nell' Or-sato, nel Tesoro delle antichità beneventane, e presso il P. Oderico. Era ultimamente in casa della famiglia Pagani, ora è altrove trasportata. DIMRPDLSF AP K JRI A LI FF CC Fu scoperta il 10 febbrajo 1817 nell'atterramento d'un muro nel villaggio di Canevoi e trasportata nella villa Tauro alle Centenere, s'interpreta : Bui inferis Manibus fìubrius Priscianus Ducennius Libonis Semproni filim (Bdilitia potestate kalendis januarii animo libens fieri fecit consecravit. P. FLAVIVS. T. F. FESTVS. III. VIR. APP. MESTRIO. V. F. I. M.... Frammento ch'esisteva nella chiesa di Santa Maria di Alpago. MAXIMVS. III. VIR..,. Frammento che trovavasi nella chiesa di Valzella nell'Alpago. IN HONOREM...... CLAVDI CAESARIS. AVGVST. GERMANICI. SEX. PARTICVS.Q. F. TERTIVS. ET. C. PAETICVS. SEX. F. FIRMVS. IIORILOGIVM. CVM. SEDIBVS. PAGANIS. LAEBACTIBVS. DEDERVWT. Esisteva nella chiesetta di Sant'Elena in Castello Lavazzo, undici miglia distante da Belluno, ed ora, essendosi la chiesetta demolita per la nuova strada d'Alemagna, sta nel cortile di quella casa canonica. È scolpita nello specchio di un piedestallo di marmo bianco, bene lavorato, alto due piedi comuni once dieci e mezzo, largo in fronte piedi due, e per fianco pure due piedi ed un'oncia. Il Pierio fu il primo che tentò riempierne la cancellatura che vi si vede , ritenendo, si debba porvi il nome di Nerone, al che si uniformò Lucio Doglioni, dimostrandolo inoltre con soddisfacenti prove, e cosi leggendola: In honorem Neronis Cianati Ccesaris Augusti Germanici Sextus Paticus Quinti filius terlius et Cajus Pcelicus Sexti filius Firmus Horilogium cum sedibus Pacanti Lebactibus dederunt. È un orologio che Sesto e Cajo Pelici, probabilmente padre e figliuolo, diedero in dono agli abitanti del pago di Lavazzo, in onore di Nerone Claudio, unitamente alle sedi, ossia all'edifìcio su cui stava costruito. Non s'intende però se fosse un orologio d'acqua o da sole. La scelleratezza di quell'imperatore diede forse 88 STORIA DI BELLUNO motivo a cancellarne il nome suo, giacche era stato dichiarato pubblic0 nemico dal senato romano; o forse, a tempi assai posteriori, allorché si rinvenne la lapida , volendosi porla nell' indicata chiesa per un qualche uso, o come sembra, a sostegno dell'altare, non si abbia voluto permettere che vi si leggesse il nome d'un nomo, che fu sì crudele persecutore dei primi padri della nostra religione. JOVL OPTIMO. MAX. STATORI. C. VALER1ANVS. EX. VISV. POSVIT. È ricordata dal Piloni come esistente in Longarone. ASCLEPIO. P. XELIVS. POLIO. MCNITVS. POSVIT. U Picrio nelle Antichità bellunesi, ed anche nel libro XXII de' Geroglifici, dice averla veduta in Castello Lavazzo, sopra una casa privata, vicino alla chiesa di Sant'Elena; e il Piloni, e Giovan Nicolò Doglioni, la pongono in Longarone, sopra un muro presso la via pubblica. TI. VPSIDI. TI. F. GEMINI. SIRI. ET SVIS. Si trovava nel villaggio di Cavorzano, poco distante da Belluno, sotto l' altare di quella chiesa ; ora è in Belluno in casa Pagani. D.M. CAPERTI^.. VALENTINA. C. M. VAL E RI A N. COIIVGI... Frammento d'iscrizione corrosa dal tempo. , FLAVIAE. C. F. SEVERAE. AN. III. MENS. XI. D.V. FILIAE. CAR. C. FLAVIVS. IlOSTILIVS. ET. BOMITIA. PARENTES. P. Nel villaggio di Salce, come la seguente. P. FLAVIO. FESTO. FIL10. DIL1XTO. DECVR. ET FLAVIAE. TERTIAE. VXOR. T. F. I. M. . P. GIIMimVS. C. F. SIIVIIRV. V. S. L. M. Lapida quadrilatera , in due de' lati vedesi la medesima iscrizione con solo qualche diversità nella distribuzione delle parole. All' intorno è chiusa da una cornice, e sopra il marmo, nel piano, sta un segno che par indicare esservi stata riposta la statuina della divinità, cui era dedicata. Sembrando appartenere al secolo secondo dell'era nostra, i due n andetebbero letti per e, come spesso si vede in quell'epoca, e perciò devesi leggere: Publius Geminius Cali filius Severus votum solvit libens merito. Fu ritrovata in Xei, villaggio poco distante da Belluno, e si pose sopra la casa di D. Giovambattista Salcis. Ora è in Belluno presso di me, dice il Mia ri. 10VL G. M. HOSTILIVS. SERTORIANVS. V. S. L- M. Scoperta da Picrio Valeriano nel villaggio di Bollago. Si trova sul muro della torre, verso occidente, della chiesa de' SS. Faustino e Giovita di Libano. T. SERTORIO. PROCVLO. II. VIR. I. D. PRAEFEGTO. III. Q. FLAMINI. VIX. ANN. XXX. ME.NS. VI. OPTIMO. FILIO. PARENTES. FECERVNT. II. M. Rinvenuta in Orzes, alla metà del secolo XVI, di eleganti caratteri, con ornamenti corintj bellissimi. Venne posta di sostegno all'avello di C. Flavio Ostilio, allorché era vicino alla scala del palazzo del Consiglio sulla piazza del duomo di Belluno; ora sta nell'ingresso del palazzo Municipale nella piazza medesima. Si legge: T ilo Sertorio Proculo duumviro iari dicundo prie fedo tedio quinto flamini vixil annoi trtginta menses sex optimo [dioparentes fecerunt hoc monumentum. C. TVRRANIO. PAP. 1III. Vljft. APPIAE. M1LINAE. PARENTIBVS. OPTIM1S. T. TVRRANIVS. PLACIDVS. V. F. Giorgio Piloni la ricorda presso l'aitar maggiore della chiesa di Sodico. Anche Nicolò Doglioni sembra parlarne, ma con diversità di alcune parole, e di qualche interpunzione. IOVI. O. M. È in Belluno in casa Pagani. P. TVRRANIO. P. ANISIO. UH. VIR. IVRIjE. ARINI^E. P. TVRRANI^E. P. ARIRI. LIB. OPTI. ANISI. TVRRANIVS. SECVNDVS. V. F. Fu ]'j|rovata in Colle San Martino, vicino al Cordevole. Il Pierio, più accuratamente del Piloni, c di Giovan Nicolò Doglioni, così la spiega: Publio Ttirnuiio Publio Anisio quartum viro luride Arinice Publio1 Turranite l'ublii Arinii liberi® optimi Anisius Turrauius secondus vivens fecit. M. IVN1. PAP. MAXIML LIVI. D. PR^ECELLIA. MAX1MINA. CONIVGI. CARISSIMO. V. F. Il Picrio la ricorda nella chiosa di San Biagio di Cane, presso Limami, dove vedesi ancora al presente. 590 STORIA DI BELLUNO C. DVBENIO. SECVNDO. DORIFERO. OMNIRVS. HONOUIBVS. M. F. PRA-CELLIA. PROCVLA. MARITO. OPTlMO. Lo stesso Pierio ci reca questo monumento, che vedevasi nella chiesa di Santa Tecla di Trichiana M. PRAECELL1VS. Q. F. PAP. VITVLVS. SIRI. ET. DVRENIjE. L. F. SECVNDAJ. VXORI. ET. SVIS. V. F. Si trova sulla parete della sagrestia della chiesa parrocchiale di Mei. M. OREIVS. M. F. PAP. SECVNDVS. BELLVNO, MIL. COU. VI. PR. R. DEXTRI. MIE. ANN. XI. VIX. ANN. XXVII. M. F. C. Il P. Oderico gesuita nelle Dissertazioni ed iscrizioni , pubblicate l'anno 1765, a pag. 196, ci reca questa lapida, e la ricorda Lucio Doglioni. L. LVCEIO. L. F. LVCVLLO. UH. VIR. I. D. BELVNI. Questa lapida, pubblicata dal Muratori, e dal canonico Bartoli nelle Antichità d' Aquileja, da quella città fu trasportala in Fiumicello. ALLIAE. I. L ABI INI. VXORI. BELL. P. P. Viene segnata come esistente in Torccllo. Il Piloni la accenna senza dire dove si trovi: cosi la seguente. L. AQVILLIVS. BELL. V. F. L. AQVILLIVS. BELL. AVGVSTI. LIBERTVS. V. F. È riportata dal Piloni come esistente in Villacco: e in Austria la seguente. LEG! I NOR. P. SEVERINVS. BELL.... 1 Imporla ricordare che i buoni eruditi fanno scarso caso delle lapidi di cui non esiste l'originale: e massime se trascritte da cinquecentisti, fra cui tanta la smania di aver lapidi, e facile il recar inganno. G. G. ANTICHE ISCRIZIONI FELTRINE Lapidi romane e greche esistenti nella Villa Tauro delle Centenere Distretto di Feltre. 1. ti clavdivs duvsi f caesar. avg g EHM a nicvs P0NT1FEX maxv mvs TRIBVNIC1A potestà te vi cosv imp: xi pp censor viam CLAVD1AM avgvstam qvam drvsvs poter ALP1BVS bello pate factis DER1VAV1T MVN1T ab ALT1NO vsqve ad flvmen danvvivm m p ccc X Colonna milliaria scoperta in Ces Maggiore il 1786: fu eretta in onore di Claudio imperatore nel 47 di G. C. per aver egli munito una strada, che si partiva da Aitino, e terminava al Danubio, di miglia 350, chiamata da lui Claudia Augusta. Il monumento è prezioso, e a questi tempi rarissimo e singolare, apportando un lume allatto nuovo alla storia romana, perciocché questa sola ed unica colonna ci manifesta una delle più lunghe e magnifiche strade, ignota totalmente. La è situala nel Casino ; l'altre lapidi seguenti sono poste nell'adja-cente cortile. Illustraz. dot L. V. Vol. II. 76 II. -D M pvbl1ciae piai: matri sanct1ssim et pvbliciae primvlae sor pien'itssimae secvndinvs L'anno 1564 a 13 di luglio, sotto la Chiusa di San Vittore vicino al Ponte della Sona, fu disotterrata dall' innondazione successa nel Feltrino, o di là fu trasportata nel castello di Feltre. III. psiche Scoperta dal possessore di questa Collezione lapidaria in Vellajo, villa poco lontana da Feltre, Tanno 1814, 28 febbrajo. Serviva pel secondo scalino d'una scala rustica in una casa ad uso di osteria. È un' ara antichissima consacrata alla dea Psiche figlia di Apollo. Nel mezzo della grossezza della pietra si vede incavato un concavo liscio o pulito, dove probabilmente si sacrificava a questa Dea. IV. imp: caes c. messio qvinto. tua iano. decio pio. felic. AVO. PONT1FIC. max TR1B. pot. ih cos, Il p. p. pro cos ordo. feltr Il piedestallo fu cavato dall'acque nel sopramentovato diluvio, e ritrovato nelle ghiaje del torrente Cormeda, poco lungi dal ponte del Borgo delle Teze, Tanno medesimo, e '1 giorno pure istesso che fu ritrovata la lipide di Pubblicia 1564-13 luglio. ARCHEOLOGIA 593 Questa lapide, era in Vellajo nella collezione di Daniello Tomitano nobile di Feltre, antiquario e cronichista; collocata nel cortile del suo palazzo ; ora acquistata dall'attuai possessore con altre IX che seguono , la (piai serie Tomitano non viene interrotta che da una sola lapide di Pozia al n.° VI, che incomincia Titius sectm. V. D M L. VETVRIO NEPOTI QV1 VT EXEO VIVVM SIB1 FACERENT DONAVI CLARNE H S N OODC 1TEM HERCV II-S N CCCC MVL1ERIRVS II-S N CCCC VT FACERENT CLARN A TVR TVC V1N UER PAR MVL ROSAS V. S. F. Cioè, Lucio Veturio Nepoti, qui ut e.xequium sibi facerent, donavi Clar-nealibw sestertios nummoš mille se.vcentos, item Herculanis sestertios nummos quatuor centum, mulieribus sestertios nummos quatuor centum, ut facerent clarneales Turnndas, Tuceta, Vinum, Herculani Parentalia, Mulieres liosas. Vivens sibi fecit. Scavata in una vigna a pie' del castello Marcellone nel borgo di Torte-segno, l'anno 1600nel mese di maggio. Questa lapide sepolcrale è di forma intera, di gran mole, e donata da Marc'Antonio Argenta al Tamitano l'anno 1612. Venne divulgata dal Grut. 926-2 da Bartol. Burchelato — Da Lorenzo Pignoria — Dal Pilon, lib. 1, c. 18 —Dal Tomit- p. 19 n. 6 ; e da tutti tre li storici di Feltre. VI. TITIVS SECVN P. TI MVL VI EP AVE POTI A. V DOCVMEN F Cioè: Titius secundus ponil libi Mulsuni, Vinum, epulas. Ave Potici. Vide documentum fidei. Questo elegantissimo titolo sepolcrale fu ritrovato l'anno 1814 a d'i 7 di maggio nella villa di Campo fra le ruine d'un muro caduto, contiguo al cimiterio della chiesa di San Giovanni Battista. VII. SEX AVGVRIO HI IMNO ET AVGVRI. EMANDAE ET SVIS ML E VENER ERO...... IG O VI CE.... PENE SEL VENI... V P È incisa sopra un coperchio grande di sepoltura, scavata l'anno 1629 a di 13 di gcnnajo nella riva di Saluco; luogo suburbano di Feltre. Si sono ritrovate nella sepoltura le ossa d'un corpo umano, alto piedi 6 e mezzo con armi, lume eterno e medaglie: e si suppone il monumeuto il più antico di tutti quelli che finora si sono scoperti nel Feltrino. Vili. L. CAESAR1. AVG. F« DIM N. AVG. COS. DES1G PRINCIPI 1VEN TV T1S Lucio Casari, Augusti Filio, Divi Nepoti, Auguri, Consuli Designato, Principi Juventutis Rarissima epigrafe fatta in onore di Lucio Cesare figlio per adozione di Augusto imperatore, l'anno di Roma 753. e di G. C. 4. In Girona della Spagna si ritrova un' altra iscrizione dell'istesso Lucio Cesare (Grut. 234. 7), e si suppongono l'uniche al mondo dedicale a questo principe. Fino all' anno 1564 era murata nella chiesa di Pedevena, ritrovata nella stessa villa, ma non si sa come dappoi sia passata in Vellajo in potere del Tomitano. IX. 1 O M OCLATIVS Q. F. MENEN RVFVS VSLM ARCHEOLOGIA 593 Jori Optimo Maximo, Odatius Quinti Filius, Menenio, Itufus, Volum solvit Libens Merito. Dal solo Carabruzzi, viene nominata questa lapide votiva, della quale egli ha fatto bensì il disegno esattissimo, come sta nel marmo, ma non fa parola nò dell'anno, nò del luogo della sua scoperta. La popolazione di Feltre era descritta parte nella tribù Menenia, come si vede dalla presente e da un'altra pregiatissima lapide, che ora si ritrova nel vestibolo della chiesa del duomo { e parte nella Publicia, il che si fa chiaro da due altre lapidi, anche queste tutte due feltrine, l'ima di Quinto Cedio, già trasportata in Cividal del Friuli, riferita da Carlo Sigonio ( de. ani. iur. Ital. 3) colla soprascritta Feltri; dal Tomitano nelle sue Iscrizioni ant. ; dal Piloni, e dal conte dal Corno, p. 155 L'altra nova-mente scoperta che si vedrà al numero XVII, benché non abbia che le sole lettere iniziali, nondimeno indica abbastanza la tribù Publicia, poiché la lettera P., che la significa, è posta nel suo vero sito, ove va collocata la tribù, cioè dopo le note di consaguinità, e avanti la dedica , sicché non può per verun modo diversamente interpretarsi. Che i Feltrini fossero ascritti anche alla tribù Poblieia lo confermano ancora il Sigonio nel libro di sopra citato, il Piloni, il Co. dal Corno, p. 3 e 4 o il Hcrtondelli, p. 7. X. GLOTIIO Ara votiva antichissima, nella quale (a simiglianza di quella di Psiche, n. Ili) sta espresso il solo nome della deità, a cui fu posta, e venne dedicata a Cloto la prima delle Parche. Da tempo immemorabile si ritrovava nella chiesa di Santa Maria della Concez. di Fianima, villa del Feltrino, e serviva per base alla pila dell'acquasanta. Ma l'anno 1620 fu donata dal vescovo di Feltre Agostino Gradenigo al nostro Tomitano, che col-l'altre l'ha collocata nella sua villa di Vellajo, e oltre agli antichi cronisti, la riproduce nelle Inscriz., p. 20, n. 5, e la ricopia pure il conte dal Corno, p. 152 e 153. 1 C. FIRM10. C. F. MKNEN, 1WF1NO. EQ. PVB. LAVREN. LAV. DEC. FLAMIN. PATRONO. CULLE. GlOIiVM. FA». CENT. DKMJK. FKLT1UAE. 1TEMQUE. BEHVEN. COLI.Et). l'Ali». ALTI KATIYM PATRONO. XI. MAR RENVS m ARCELL1NVS FRA TER P1EN1SS1M v. S. Marcus JRenius Mandlinus Frater Pientissimus Votum solvit. Monumento sepolcrale. Era nella villa di Ànzù un miglio da Feltre, in casa de'Canale. Lo acquistò il Tomitano l'anno 1627. XII. 1UL. CAES..... S. I. L... AD VSV. P P Magnifica epigrafe in onore di Giulio Cesare dittatore, ritrovata l'anno 1027 vicino al ponte della Sona. È a Feltre un'altra Iscriz. del medesimo Giulio Cesare, in cui erano intatte queste quattro decisive Sigle, C. IVL. CAES. FEL., ma per essere stata nel resto quasi tutta guasta venne gittata nelle fondamenta del pubblico palazzo nuovo in Piazza. XIII. E11ER : : ma IX II CON. MEN STI VIT VI Ritrovata in Pedavena in casa Ardizoni, non si sa l'anno. Si desidera la sua giusta spiegazione, mentre si suppone fatta forse sotto i primi Consoli della Repubblica Romana. XIV- C. T1TIVS C F. SANVC1VS L. S. IN FR. P. XXX RETRO P. XXI ARCHEOLOGIA 597 Cajus Titius Cali Filìus Sunucius. Locus sepullurce. In fronte pedes tri-ginta. Retro pedes vigilili unum. È un cippo di pietra, che si ficcava in terra, e facea l'officio di contrassegnare la persona sepolta, il luogo della sepoltura, e la quantità del terreno che innanzi e addietro al sepolcro ora stato dai Decurioni decretata. Lo pubblica il solo Tomit. nelPInscr., p. 30 e 31, senza porre il numero, ma niente dicendone egli, ne resta ignota tanto l'epoca, come l'ubicazione della sua discoperta. XV. HOST1L1A P. F SERENA L VI) RI ANO Nella villa di Calibach, distretto di Feltre, si ritrovava la presente sepolcrale memoria, murata esternamente nel lato sinistro verso mezzogiorno della chiesa di Santa Lucia. Si suppone fatta a'tempi della Repubblica Romana. XVI. LD DD LOCUS DATVS DECRETO DECVR10NVM Locus datus decreto decurionum. Era nella villa di Caslòi, incastrata nel muro del cimiterio della chiesa di San Martino. Non è un frammento, poiché, oltre esser la pietra grande, tanto di sopra come di sotto delle quattro Note, vi è un vacuo, che avrebbe potuto capire una lunga iscrizione. Ella indica soltanto uno spazio di terreno, da termini visibili circoscritto (acciocché si possa distinguere da quello del Comune ) assegnato dai Decurioni ad alcuuo in proprietà per benemerenze. XVII. D M E P F P D t Diis Mcmibus, Egnatius Publii Filius, Poblicia, dedicavit. Scoperta l'anno 1815 a dì 19 di luglio. Era nel muro del cimiterio di Campo, villaggio vicino a Santa Giustina, appalesata in un angolo da una fessura aperta nello stesso muro. È scritta colle sole lettere iniziali, come se ne vedrà un'altra consimile al n. XX, e una terza dello stesso 598 STORIA DI BELLUNO gusto sta incisa in una pietra alta once 5 murata esternamente verso settentrione nel castello di Larz, due miglia discosto da Zumelle (oggi Mei) a ponente; e nella nostra vallata ve ne saranno probabilmente di tal foggia dell'altre murate o sotterrate; nò forse ve ne mancheranno di simigliano presso i raccoglitori lapidar). Quindi si può ragionevolmente argomentare che il curioso indovinello, fosse la strana e depravata moda di que'tempi in queste, e nelle circonvicine regioni. XVIII. aionysik àlOT£I*OY AAUilKi y xphitexa1pe Dionìsi Diogenis Filli Laodicensis Clemens Vale. Giaceva abbandonata nella chiesa di San Biagio di Molzoi, villa de* signori Sandi nobili veneti nel territorio di Feltre. Il Sandi edificatore del magnifico palazzo in Molzoi l'acquistò in Venezia insieme con la seguente, e con una quantità di bellissimi hassirilievi e di altre preziose anticaglie, trasportate dalla Grecia per abbellire e nobilitare la sua villeggiatura. XIX. A1SXINH1 atpomhttj AWI1.n aio; vEschines Atrometis filius atheniensis. Ritrovata a dì 5 di ottobre 1815 murala nella parte interna di un pilastro demolito. XX. D M F R D S Diis Manibus. Flavius Rufus Decurio Solvit (sottintendi Votum). Fu ritrovata a dì 8 gonnajo 1810: era commessa nel muro, molto più bassa che l'usato, presso all' angolo interno fra mattina e mezzogiorno della chiesa di Santa Giuliana della Villa di Mis poco discosta da Sospiroi e da Vedana, o li miglia da Feltre. Aggiunta. Dopo le diligentissime indagini di lapidi antiche e nel Feltrino e nelle vicine regioni, dal possessore di questa Collezione replicatamente eseguite, ARCHEOLOGIA m e dopo che furono stampate le XX soprascritte, raccolte fino alla metà del mese di gennajo 1810, essendo egli ormai fuor di speranza di poterne in verun' altra parte rinvenire, contro ogni sua aspettazione, gli capitarono le quattro seguenti : X\f. ji a l OFFERSI a ASS cat dom. Dis Manibus, Licinia Offersia Assideno Catilio Vomito. A dì 17 giugno 181(5 fu scoperta nella villa di Formegau, di lungi 7 miglia da Feltre a greco levante, in fra le mine d'un muro caduto vicino alla casa dei Devoti, fi osservabile che il maggior numero delle lapidi, come pure dei frammenti di nuova scoperta , si è trovalo nello ville attorno alla predetta, essendo colà la pianura più estesa, la campagna più fertile, e la più bella situazione di tutto il territorio. XXII. p vili l. HOST. p. F. ČL. E d m Pedes odo. Lucius Hostilius Publi Filias, Claudia, Ontario, Dis Manibus. Nella terra di Quer, 8 miglia da, Feltro, giaceva in uh ortaccio sotterrata un'urna col suo coperchio, scavata li 1T> febbrajo, e acquistata li 12 settembre 1816. Rarissime iscrizioni s'incontrano con tanto stravaganze, come n'è ripiena la presente, ma insieme vengono autorizzate tutte da altre sincere lapidi, o da celebri antiqua rj difese a stampa, e comprovate non contrarie allo stih; lapidario. XXIII. d l m r p d l a F a p k. lai ali F F C G Dim Inferii Manibus, Jlubrius Priscianus Bitcenitti Libonus, Semprbni Ftiim, Atdilitia Palesiate. Kalendis Janaari, Animo Libens Fieri Fecit, Con-lecravit. tiluslraz. del l. V. Vol, II. 77 Venne scoperta a di 10 di febbrajo 1817 nella villa di Canevoi, territorio di Belluno, discosta da quella città 5 miglia, e 22 da Feltre, in occasione che venne atterrato un muro cadente, nel mezzo del quale giaceva sepolta come vergiamo di altre molte essere in simil guisa avvenuto. XXIV. vltkonìa. c. F. WAXVMA Comparve alla luce li 2 marzo 1817 un'urna sepolcrale, la XI delle lapidi della Serie Tornitane in Vellajo (p. 5 e 11), dopo tre anni-che venne minutamente ma invano cercata; essendo ne'tempi posteriori alla primiera sua collocazione , . Diploma del firn paratore Federico, con cui alla chiesa di Fellre conferma i beni, concedendole la traslazione di quella città in altro luogo più alto ed esimendola da ogni soggezione dall'altre città della Marca e della Lombardia, Anno t!7». Copia tratta dal tomo primo della raccolta Scolli. [ DA CAMINO Ciò di alcuni castelli del Trevisano; ma incontrato il grosso delle forze trevisane a San Michele oltre Piave, si venne ad aspra battaglia, che finì colla sconfitta degli alleati ; il capitano con molti dei suoi restò prigioniero. Allora interposersi a favore di Belluno gli antichi amici Padovani; per Treviso manifestarono simpatia i Veronesi. La contesa minacciava tutta la Marca, se P imperatore Federico, per P imperiale diritto di arbitro fra le città, non avesse intimata la pace e la restituzione delle conquiste e dei prigionieri. I Da Camino. Parvero svelte le discordie nell'intervallo in cui si combattè la guerra nazionale contro Federico Barbarossa ; ma non appena firmata la pace di Venezia, nuova favilla di guerra pei Bellunesi fu Peredità del castello di Zumelle (1178). La giurisdizione e il possesso di questo castello cran passati per via di donna ai Da Camino, ricchi e potenti feuda-tarj nel Trevisano. Sofia, figlia di Valfredo di Colfosco e moglie di Gue-cello Da Camino, quale proprietaria del castello di Zumelle, lo legò morendo al vescovo ed alla città di Belluno. I Da Camino, ritenendosi pregiudicati di tale disposizione, si rifiutarono alla consegna ; e si ricorse alle armi. Stavano a favore dei Bellunesi Cencda e Treviso; e pei Ca-minesi i Fcltrini, a ciò forzati dal loro vescovo Druso Da Camino. Come si spiega facilmente che , per la parentela del loro vescovo coi Da Camino, i Feltrini, siensi schierali nella parte contraria ai Bellunesi, così ci sorprende di vedere i Trevisani combattere a lato di essi, il che, a nostro parere, non può risolversi che coli' ammettere spirili repubblicani noi Trevisani, i quali, collo stringersi ai Bellunesi contro i Da Camino, amavano forse deprimere questa famiglia, influente di sostanze e di nome, e minacciosa alla libertà della patria. Quasi subito Padova e Vicenza e con esse il doge Ziani interposero buoni uflicj di pace; seguì un congresso in Verona , compromettendo la lite in quel vescovo con alcuni cittadini, e nelP inviato veneto Enrico Dandolo : e l'imperatore Federico confermò la sentenza nel monastero della Pomposa (2 giugno 1178). Ma i Da Camino insistettero sulla negala consegna, onde nuova guerra. I Trevisani, col chiudere i passi ai generi di prima necessità ed impedir il commercio, costrinsero i Feltrini a staccarsi dalla lega coi Caminesi; poi sorpresero Conegliano, che fu obbligata a più non favorire quei Da Camino. I Padovani invece, che si erano armati per questi, presero e distrussero Godego, avamposto dei Trevisani. Dopo alcuni mesi di guerra grossa, desolante, incerta, s'intavolarono nuove trattative, rimettendone l'arbitrio nei consoli di Piacenza, Brescia e Bergamo e nei rettori di Vicenza e Verona. Sentenziarono questi l'emancipazione di Conegliano e di Ceneda da Treviso, ed il patriarca di Aquileja consigliò questi paesi a ridursi sotto la protezione dei Bellunesi, La conferma di questa sentenza dall'imperatore (marzo 1180) costituisce il vescovo di Belluno governatore di Oderzo, Polcenigo, Fregona, Foleto (Follina), Ceneda, Tarzo, Mon-tebelluna, Camino, Cadore, ecc., e protettore di Ceneda e Conegliano che si reggevano col governo dei consoli. A suo vicedomino in tante giurisdizioni il vescovo di Belluno elesse Guecello Da Camino. Deposte le armi, si tranquillarono gli spiriti in modo, che, nelP avvenimento della pace di Costanza, i Coneglianesi si avvicinarono ai Trevisani, mandando loro ambasciatori a giurare la pace: i Bellunesi lasciarono la metà del possesso di Zumelle a Guecello Da Camino, col patto che, nel caso di vendita, avessero essi soli il diritto all' acquisto. Si volle consolidata dai Trevisani V alleanza con Belluno solennizzando la pace con un trattato formale, giurato da venti rappresentanti per parte. Vescovi. Ottone vescovo di Belluno fu l'eroe de' suoi tempi : forte nell'opinione guelfa, pronto a declinarne quando scorgeva in pericolo il bene del suo paese, si accostò a Federico, ma non esitò ad entrare nella lega della Marca contro di esso; nelle discordie cittadine prudente ed assennato, piuttosto che favorire alcuna delle parti rimase per anni involontario esilio; quando rientrò disse parola di pace, e coll'esempio ispirò la concordia, e volle religiosamente esortare al perdono benedicendo in processione alle quattro borgate in cui si divideva la città, ed ove abitavano i capi delle due fazioni. Mai più una benedizione, simbolo di pace, venne tanto efficacemente impartita ; e bene fecero i posteri a conservarne il rito quale si pratica tuttora nell' annuale festività del Corpus Domini. Ministro di pace, non rifuggi dall' impugnare le armi quando ritenne lesi i suoi diritti, o minacciata 1' indipendenza della patria comune. Incontrò grossi debiti e diede a pegno le rendite dei molti suoi feudi per spingere con alacrità e con successo le guerre che dovette sostenere nel periodo tumultuoso del suo governo. Ebbe il conforto di scorgere il fine di due grandi avvenimenti, l'uno nazionale con la pace di Costanza, F altro cittadino con quella di Treviso. E 1' anno appresso mori onorato e compianto in Verona ov'era stato chiamato dal pontefice ad un concilio (dicembre 1184). I vescovi prima del mille, si eleggevano per voto universale del popolo e del clero ; dal 1000 al 1200 i sacri canoni concentrarono nel clero la loro elezione ; dappoi venne deferita al capitolo dei canonici, classe distinta di sacerdoti, viventi in comune con regole dettate da sant' Agostino o da altro santo. Sebbene non venga precisata l'origine dei canonici di Feltre e Belluno, certo noi vediamo quei di Belluno regalati nel 923 dal vescovo Aimone delle decime di Oltrardo, concessione confermata da papa Adriano nel 1155: cosi il vescovo Ezemano VESCOVI (ì|."j donò alla canonica di Belluno il monte di Breme/.ze con buona rendita (1031), od il vescovo Lanfranco dodici poderi, sej in Soli-m, e sei nel Bellunese, perché gli si recitassero dodici messe (1070). Eguali generose donazioni ebbero dai loro vescovi i canonici di Fellre. Questa comunità di canonici era divenuta tanto influente e rispettala per esemplare condotta, e per uomini sapienti, che le venne demandata dal popolo e dal clero l'autorità di eleggere i vescovi della diocesi. Quando i vescovati di Feltre e Belluno furono uniti sotto un solo pastore, i capitoli irenl ram he le, città convennero insieme per l'elezione. Godevano puro il diritto di nominare i cappellani di alcune chiese suburbane e la giurisdizione su molte parrocchie, sugli ospitali e sui conventi. Stato morale. Dal racconto delle triste e delle fauste avventure in questo capitolo può dedursi lo stalo di cultura della nostra provincia. Nello sforzo delP emancipazione e nolPardente amore di conservare la libertà contro qu'dunquo virino, si riassume lo sviluppo delle scienze politichi' e sociali. Il continuo agitarsi dei partiti, lo guerre incessanti pel decorno di questi secoli, impedirono alle arti di risorgere e manifestarsi con opere grandiose, che sfidassero il tempo e tanti sconvolgimenti. Alla guerra si piegarono gl'ingegni; nell'interno come nel!' esterno dello nostre città s'innalzarono fortissime mura, si fabbricarono nuove torri e castelli. Se nel ristauraiv, le due porle chiamali- Hugo e Dojona in BH- i - §M5 STOKI A DI BELLUNO luno, verso il 1600, venne conservala come si creile, la l'orma primitiva, non v" ha dubbio ciré bella la loro architettura, di gusto grecoromano, sebbene fossero state costrutte fra il decimo e il dodicesimo secolo. Da un antico sigillo del museo Miari ci appare lo stemma degli antichi vescovi, che ci presenta il palazzo della loro residenza munito di merlature o tre torri a guisa di un forte castello. La disposizione del disegno è nel sigillo simmetrica, ed il suo aspetto regolare e maestoso. Gli storici lo ritengono quello stesso di' ora si scorge in disordine nella piazza del Duomo, con una torre al lato destro, mentre delle altre due, quella di mezzo, fu demolita molto prima del 1516, in cui venne atterrata r altra a sinistra per ampliare la piazza. L' antico palazzo vescovile di Feltro che il vescovo Endrighelto da Corte, di famiglia lei trina, fece edificare a sue spese poco lungi dalla cattedrale verso oriente, nel luogo ove giace la chiosa col monastero di San Pietro (778), andò coi secoli e cogli incendj totalmente distrutto, o quello che ora si vede sopra la contrada maggiore in luogo elevato venne da multiformi ristauri tanto mutato, da più non ravvisarsi. Né il progresso e P eccellenza dell'arte si può discernere dalle chiese, monumenti a cui di consueto si raccomanda la gloria artistica di questi tempi. Il hattislerio di Belluno e quello di Feltre, che si credono le chiesette più antiche ancor sussistenti, non danno idea sufficiente dello stile architettonico. Il bisogno di ampliarle per l'accrescimento della popolazione, il gusto differente dei secoli fecero disparire gli antichi tempj ; come gli incendj e le depredazioni cancellarono le vestigia dell'arte antica. Nella piazza del Duomo di Belluno, la chiesa di San Martino, eretta per voto del vescovo Felice nel 547 , cadde improvvisa nel I{fl6; L'attuale si edificò nel 1520 dal vescovo Nichesola. Nel 1555 il vescovo Fontanili per ampliare la piazza distrusse la chiesa di San Giovanni del hattislerio , fatta innalzare dal vescovo Adelherto nel 1030. La chiesa dì santa Croce del Campestrino, detta anche de' santi Biagio e Lazzaro, venne consacrata il 4 marzo 1184 dal vescovo Ottone: in quella che ancora sussiste è una lapide con croco e la data del 1358. Cosi in Eeltre la parte sol terranea del Duomo .mostra l'antichità della sua fondazione che, secondo le cronache e la dedica lapidaria a san Pietro, ascende ai primi tempi del cristianesimo; poi gli si addossò il tempio più vasto, che venne molle volle distrutto e riedificato. Sulla piazza maggiore , ove giaco al prosente San Rocco, si suppone esistessi; altro tempio. Dopo la prima crociala fu innalzata la chiesa votiva dei santi Vettore o Corona nel 1107. A questi tempi di ardente ledo si deve ascrivere la fondazione della maggior parte dei monasteri e conventi nella provincia, quali sarebbero San Marco di Veda.ua (1163 ), San Giacomo di Caodatino, cu l i uh a et: Santa Maria Maddalena di Agre, Santa Croce di Campestrino. Santi Vettore e Corona di Feltro. Le corporazioni religiose erano fondate perchè; colla vita esemplare servisser di norma alla società e di stimolo alla virtù. Rispettate generalmente dal popolo e dai potenti , riuscivano di frequente a porsi intermedie fra la propotenza dei grandi e l'oppressione degli umili. Tranquillo rifugio alle passioni tempestose del secolo, luogo di meditazioni solitarie era il convento ; i monaci si occupavano di letture e di erudizione, colti, studiosi e caritatevoli. Col diritto d'immunità e di asilo salvavano il debole contro le violenze del forte. In alcuni monasteri come quelli di Vedana e di Santa Croce, convenivano uomini e donne sotto l'obbedienza d'un priore; erano tutti laici, e la loro chiesa veniva ufliziata da un sacerdote salariato; e la moralità in mezzo al pericolo influiva a mantenere eoll'esempio la castigata semplicità dei costumi. Dal decimo al dodicesimo secolo sorsero pure due ospitali, l'uno pei poveri pellegrini presso Vedana . I' altro di Santa Croce in Belluno per gli ammalati. Se la storia non potè tramandarci celebrila letterarie artistiche, ci conservò coi ruderi e con qualche lapide la memoria di chiese, monasteri e ospitali. E noi volentieri ci siamo occupati nel descrivere 'queste pie istituzioni perchè in esse trovammo splendidamente trionfanti le due più belle prerogative della civiltà d'un popolo; amore di Dio e carità del prossimo; o con questo, intemerato e santo il nome della patria !'. lì A Belluno scorsesi netta la rivoluzione comunale, e il Piloni la espone, quantunque senza intenderla. Nel 1*7'2 le quattro famiglio dei Bernardi, Castiglione Tassina, Noss&darni aveano il governo, conferivano gl'impieghi,creavan un console annuo per famiglia,de' quali f;m/.iauo aveva titolo di conte, e (irmavan le deliberazioni cosi: Noi conio Giovanni, Pani*», Gregorio, Antonio consoli, stabiliamo, ecc. Questo titolo di conio tu poi dalo al vescovo, e le quattro famiglie conservarono rantolila ciascuna sopra un quartiere. Nel 1070, vedendo esse la citla crescere ed estendere la giurisdizione sopra le terre ili Treviso, Pel tre. il Friuli, Trento, sicché molli savj ricMedennsi per amministrarle, decisero di aggiungersi alcuni parenti, accomunando a loro il pulere che leneano dall'Impero. Ecco dunque lo quattro famiglie divenir quattro parentele ; ciascuna diede dieci persone al consiglio: e i quaranta deputati disponeauo ili tutto fe magistrature. Ogni parentela giurava fede alla famiglia. Nel \\b'ì eslendesi ancora la gente autorevole, aggregando alle parentele i rotoli, cioè aderenti o clienti di ciascuna, e ascritti nel ruolo del Comune. Questi aggregati non ebber pari autorità, non aveano voce elettiva, non nominavano i magistrali; solo esercitavano le l'unzioni ad essi attribuite: iieppur nel consiglio potevano entrare se non per favore. Nel Vì7i i Borsoni, ascritti ai Bernardi, pretesero autorità eguale a quella de' loro patroni: ma quegli si opposero, e ne venne un diverbio, importante nella storia del popolo. C. C. IV. Della pace d: Costanza fino al domìnio dì Can della Scala. rttKMSWj Signoria de1 Vescovi. I vescovi delle nostre città, investiti del doppio potere temporale e spirituale, avevano riconosciuto innanzi alla pace di Costanza, quanto nei patti di quella, ammisero poi i rappresentanti delle città italiane, cioè una dipendenza nominalo dalf imperatore di Germania. Ne consegui il riaccendersi delle discordie cittadini; in causa del partito ghibellino, sempre intento a riacquistare quella potenza, che durante la guerra aveva divisa coi Guelfi. I Ghibellini aspiravano alla signoria della città in nome dell1 imperatore di Germania , mentre i Guelfi desideravano un" influenza nel governo in nome del papa. Non si potè dai vescovi impedire la pugna fra le due opposte fazioni; mostrandosi entrambe impotenti a soperchiarsi . credettero di abbattersi 1" una l'altra eoi nominare un podestà o pretore forestiero al Comune, che rappresentasse 1'alta giustizia indipendente da parliti. Nò i turbamenti stavano ristretti nella cerchia della città , ma avevano invaso i grossi Comuni di Agordo e Zoldo, i quali negacono ogni contribuzione, a Belluno, se alcuni dei loro cittadini non venissero ammessi al Consiglio e fatti partecipi al Consolato e alla nomina delle altre magistrature. Invano il vescovo ricorse alle ammonizioni spirituali per tranquillarli. Vi volle la mediazione di Gabriele Da Camino , il quale sentenziò a favor degli Agordini e Zoldani, accordando che ogni quattro anni si eleggessero due consoli del Comune di Agordo, e dopo questi due di Zoldo: le imposte venissero sempre riscosse da esattori eletti dai rispettivi Comuni. In onta all' ultima pace, i Trevisani non poterono sopportare che i Bellunesi, minori ili forze, possedessero nel loro territorio i castelli di Oderzo, Soligo, Mussolenla, Fregona, Montebelluna ed altri eslesi possedimenti, e comperarono dagli eredi di Guecello Da Camino la metà del castello di Zumelle, possesso che noi vedemmo ad essi accordalo dai Bellunesi dopo una guerra, col patio assoluto che, nel caso di vendita , Belluno fosse sempre il solo e preferito acquirente. All'annunzio, il vescovo bellunese domandò fosse annullato, rivolgendosi alla mediazione SIGNORIA DEI VESCOVI Oli» ile! patriarca di Aquileja che scagliò l'anatema coniro Treviso. Hiuscila infruttuosa la scomunica, i Bellunesi si appellarono a! pontefice ed all' imperatore Arrigo VI, dal quale venne delegata la causa al vescovo di Trento, che proferì in favore di Belluno. Ma i Trevisani rifiutarono di aderire alla sentenza, anzi occuparono quasi tutti i castelli situati nel Trevisano già dipendenti da Belluno e Feltre. Allora nuove istanze dei Bellunesi presso P imperatore ed il pontefice onde intimassero ai Trevisani di rispettare il compiuto giudizio del patriarca di Aquileja o quello del duca d1 Este. Il papa deferi la quistione al vescovo di Torcello e di Cittanova, minacciando di scomunica i Trevisani se non accettassero l'arbitrato. Questi ricusando nè comparendo all'intimato congresso, sollecitarono inevitabilmente la guerra. Il vescovo Gerardo De Taccoli, accaparratasi prima l'alleanza del conte di Gorizia e dei Padovani, chiamò sotto le armi i Foltrini, guidati dal loro concittadino Bomagno, ed allestì un esercito numeroso, confidandolo a Guecello da Soligo. I Padovani erano già entrati in campagna a danno dei Trevisani, ricuperando parte delle perdute castella mentre Guecello Da Prata assediava con corpi misti di Bellunesi, Goriziani e Friulani il castello di Oderzo. Qui s'avvicendano patti e battaglie ; eppure, malgrado l'aperta violazione dei trattati, i Trevisani si ostinano a contrastare ai Bellunesi l'antica proprietà dei loro possedimenti. Quando la patria è in pericolo ogni cittadino diventa soldato: perciò il vescovo Gerardo indossò l1 armatura, e fattosi capitano, marciò alla testa dello sue truppe. 1 Da Camino avevano venduto alla città di Treviso, oltre Zumelle, i castelli quasi suburbani di Mirabello, Landredo e Castrodardo, di cui erano stati investiti a titolo feudale dai vescovi di Belluno. Furono dunque i primi ad essere circondati dall'esercito bellunese, ed in breve, preso d' assalto anche il castello di Zumelle e fatti prigionieri i difensori, restarono quasi interamente distrutti. Un forte distaccamento di Bellunesi e Feltrt'ni aveva pure conquistata la Chiusa di Quero conducendo prigioniera la guarnigione. Il rumore delle armi raddoppiava 1' attività dei Trevisani i quali coi rinforzi dei Vicentini comparvero numerosi ed agguerriti alla riscossa; e varcati i difficili passi di Valmareno, discesero ne! contado di Česana. Il vescovo Gerardo partì da Belluno, ed a marcia forzata giunse di fronte all' avversario in quella pianura. Anziché riposare le sue squadre, trasfuse la sua infocata febbre guerriera nelle file dei suoi soldati, e intimò la battaglia ; lo scontro fu vivo e sostenuto con eguale fermezza; la vittoria dopo un lungo combattere sembrava ondeggiare incerta pei Trevisani, quando il loro capitano Valperto di Onico (detto da Cavasoj scòrse l'intrepido condottiero dei Bellunesi che furiosamente colla mazza incalzava, e colla voce incoraggiava alla pugna: d'un baleno lo sorprese 0 STORIA DI BELLUNO e vibrandogli nei lianchi la spada lo rovescio da cavallo Indarno un prode bellunese alterni d' un colpo il capitano avversario. Il subito disparire del duce intiepidì i combattenti; il cadere del sole incusse un panico terrore noli1 esercito , che battè in sollecita ritirata. Il vescovo, condotto net campo nemico, appena seppe V esito infausto della battaglia morì (20 aprile 1107). Dopo la vittoria di Gosana i Trevisani rioccuparono i perduti castelli, e progredivano nelle conquiste se il patriarca d' Aquileja per salvare sè stesso non gli avesse frenati invocando Tajuto dei Veneziani, e provocando l'interdetto del papa. Sotto tal impressione la città di Treviso cominciò inclinare agli accordi. Pressati dalla suprema necessità, entrambi i nostri Comuni deliberarono accettare le condizioni olTerte dal podestà di Vicenza, in onta ali1 opposizione del patriarca). La pace venne giurata ai 2 di febbrajo 1201 nella chiesa maggioro di Treviso da dodici inviati di Belluno ed altrettanti di feltro stipulando un'alleanza di difesa fra le nostre e la città di Treviso. Dopo gli ultimi rovesci Feltro e Belluno conobbero l1 inferiorità delle loro forze in confronto dei Trevisani : quindi un bisogno di stringersi più da vicino , e congiungere i ioro mezzi alla comune difesa. Anzi lutto compresero vantaggioso concentrare il massimo poterò governativo nella persona d1 un solo vescovo , rimanendo intatte le relative diocesi e rispettate le reciproche forme legislative. Perciò, alla morte dell1 eroico (ierardo Do Taccoli, Druso vescovo di Fellre assunse il doppio governo spirituale e temporale delle nostre città. Venne pur stabilito che relezione dei vescovi dovesse farsi a maggioranza dj voti dagli uniti Capitoli canonicali di Feltre e Belluno. Alla morte del vescovo Torresino, successore di Druso , questa nomina in comune fu per generare gravi accidenti, poiché i canonici di Feltro raccolsero i loro voti sopra Adamo Velo vicentino, mentre i Bellunesi elessero Filippo Monaco padovano, abate della Pomposa. Ma portata la questione innanzi al pontefice, venne decisa dal suo incaricato l'arcidiacono di Ravenna a favore del Capitolo bellunese , e quindi Filippo ritenuto vescovo di Feltre e Belluno. Età degli Ezelini. Ma il vescovo Torresino nel suo ritorno rinvenne specialmente i Ghibellini di Feltre pronti a guerreggiare il partito contrario, onde assistito dai Caminesi scacciò dalla città i capi, confiscando ì loro beni. Questi si ritirarono ne1 vicini castelli aspettando occasione favorevole per insanguinare di nuovo la patria. Nè andò guari che, morto Torresino, i Ghibellini tonfarono prendere d" assalto i sobborghi della città; mai Guelfi respinsero villoriosamenle l'attacco non polendo però impedire che i Ghibellini saccheggiassero il palazzo vescovile, situalo Inori della mura presso la cattedrale. Una volta insinuata la maledetta Ili .V DKUL1 KZELJNI (J^l peste delle divisioni cittadine, ogni incidente basta a risollevarla, ed ogni piccola discordia serve a riattizzare la soppressa favilla. So a Feltre il partito ghibellino impugnò le anni contro il vescovo Torresino perchè guelfo, in Belluno nacquero gravi e micidiali conlese perchè il suo successore Filippo diede in feudo ai fratelli Biachino , Vecello e Gabriele Da Camino i possedimenti di Oderzo, Mussolenta, Fregona, Soligo, Mfsso e Costa per 12,000 lire, onde soddisfare ai debiti di guerra contratti dall' illustre Gerardo De Taecoli. Tale concessione venne palesemente biasimata dal pretore e da alenili nobili cittadini: poi discussa in consiglio, si voleva ritenere di nessun valore, perchè il vescovo aveva arbitrato vendendo e infeudando quello che non era suo, ma della Chiesa, o s'era fatta la vendita senza consultare il voto di quei popoli a cui si imponeva un nuovo padrone. Il vescovo ed i canonici, che avevano pure infeudali ai Da Camino alcuni loro possedimenti ond' essere all' uopo difesi, vista l'esaltazione dei partiti, declinarono ogni responsabilità, sottoponendo la cosa all'arbitrio del pontefice. Il vescovo d'Ostia delegato dal papa richiamò invano i Da Camino a presentare le loro ragioni: essi vi si rifiutarono allegando di avere venduti i detti feudi al podestà di Treviso mandatario de'suoi cittadini. Egli allora pronunciò nulla l'in-4'eudazione, e dichiarò i Trevisani incorsi nella censura ecclesiastica so fra venti giorni non restituissero ai Bellunesi i possessi (4213). Il vescovo di Belluno alleato dei Padovani, ed i suoi canonici si credettero autorizzati per tale sentenza a revocare la concessione considerando che la vendita fatta dai Camincsi ai Trevisani non era permessa nell' istru-mento, mentre in esso ammeltevasi il solo godimento della rendita e dei diritti inerenti al contratto d'investitura feudale. Si corse quindi alle armi, e la città fu il campo trincerato in cui si disputarono con sanguinose e micidiali offese il contrastato diritto. Quei nobili e cittadini che volevano sostenere la validità del contrailo , con I1 ajuto dei Camincsi, facevano impeto maggiore nel centro della città ov'era la residenza 01--covile ed il castello. Dall' altra parte i canonici si posero armati alla Lesta del loro partito e resisterono con vigore; anzi ingrossati dal popolo poterono sortire dal castello e costringere gli avversarj a rifugiarsi nella torre e castello Dollone, il quale sorgeva nella coni rada della Molta; poi di notte calarono dalle mura ricoverandosi in Treviso, dove furono accolti festosamente dai Trevisani ed ammessi a quella, cittadinanza. Nell'ebbrezza della vittoria i combattenti anelavano all'Incendio delle torri e palazzi do' fuggiaschi, se Manfredo Bernardi, prode capitano di quésta lezione, non avesse salvata la patria. Essendo respinto ogni accordo, i rappresentanti di Feltro, Belluno e Ceneda ed il patriarca d'Aqnileja conclusero una nuova alleanza offensiva e àifensfaà coi Padovani, alleanza che si con- servò per l'avvenire mentre il patriarca d'Aquileja ed il vescovo Filippo lucono dichiarati cittadini e stabilirono un palazzo di residenza in quella città. Cosi Feltre e Belluno ingagliardite d'amichevoli ajuti continuarono a guereggiare alla spicciolata danneggiando i limitrofi confini del Trevisano ; e viceversa quei di Treviso pubblicarono le rappresaglie contro le sostanze e le vite dei Bellunesi e Feltrini. Era destino che tutto il rigoglio della libera vita cittadina si dovesse sfruttare in lotte fraterne. Dietro la nuova contesa si rinfervorarono le vecchie ire fra Guelfi e Ghibellini, per cui, mentre si pugnava nelle contraile di Belluno, i profughi Ghibellini di Feltre si concentrarono nel vicino castello di Cesana, la cui giurisdizione era stata in parte ceduta al troppo famoso Ezelino. Garantita la ritirata, tentarono i Ghibellini attaccar la città , da cui quei di dentro già preparati alla difesa li ributtarono: ma s'ebbe lo sconforto di mirare abbattuti gli odili/.] dei sobborghi e fra questi l'episcopio prossimo alla cattedrale, che venne incendiato. SolTogate appena nel sangue le lotti; intestine, si pensò organizzare un' armata di Bellunesi e Feltrini contro Treviso. L' imperatore , intese le discordie della Marca, delegò il vescovo di Trento onde chiamasse le parti ad un congresso di pace , e rimessa la decisione ad Ogolino cardinale e vescovo d" Ostia , questo sentenziò che al vescovo di Belluno venissero restituiti tutti i possedimenti meno Mussolenta e Soligo, e che si pagassero dai Bellunesi per le spese di guerra ventiseimila lire. La nostra città adempì le condizioni, ma i Trevisani le cavillarono a lungo appellandosi all' imperatore. Cessò intanto di vivere il vescovo Filippo, uomo religioso ma debole e di poca attitudine guerriera e civile, che non seppe nò farsi temere, né amare. Con lui principia ad eclissare la brillante carriera dei vescovi come capi temporali, e quel potere che le vicende guerriere e le discordie intestine portarono in altre mani. Mentre il nuovo vescovo Ottone pensava a ristorare le mura e il castello, ecco t Trevisani incitati da Ezelino a presentarsi alle nostre indifese contrade obbligando i cittadini di Feltro e Belluno a capitolare. Ma i Padovani adombrati presero la deliberazione di dare il guasto al territorio di Treviso due volte all'anno, sei Trevisani non rilasciassero libere le sue alleate. Cominciarono intanto a distruggere i castelli di Tre-ville e di Godego. e guidati dal prode loro podestà Badoero, si spinsero (in sotto le mura della città nemica. Interpostisi il legato apostolico ed i rettori di Lombardia, ridussero i Trevisani a più mite consiglio; ma Feltre dovette distruggere la sua fortezza della chiusa di San Vettore, e Belluno perdette alcuni castelli d" ollramonte : si obbligarono in oltre di ricevere per tre anni un podestà di Treviso, e di contribuire in co- F/r.V DEGLI KZKLINI C25 mune alio gravezze generali, qualora lo richiedessero le necessità della guerra (aprile 1229). Per opera di Ezelino avevan ottenuto i Trevisani il desideralo trionfo, ma presto si avvidero eh1 egli e suo fratello Alberico, stretti coi Ghibellini, approfittavano delle civili discordie di Vicenza e Verona per assicurar la tirannia, e si disposero a combatterlo. Ezelino, trovandosi in Verona simultaneamente attaccato da Padova, Treviso e dall' Estense, onde liberarsi da tanto nembo di guerra, chiamò in ajuto l'imperatore Federico il. Anche Fellre e Belluno raddoppiarono d' ardore ad una inutile opposizione. Belluno aveva eletto a generale Biaehino da Camino, cui prima cura fu di cacciare alcuni del partito imperiale e fra questi il vescovo Alessandro, che poco dopo morì in esiglio. Stremata di vivere, dopo lunga resistenza Feltre capitolò, salve lo sostanze e le vite e concessa la libertà al Da Camino di ritirarsi in Belluno. Si all'rettò il vincitore ad attaccar quest'ultima contrada ch'ebbe il coraggio di sfidare la sua potenza e resistervi. Il suono delle campane da più giorni chiamava i cittadini alla pugna; sull' Ardo sul Piavo, allo sbocco d'ogni via furono con celerità rialzato le mura, ristaurato le torri, e la nostra città convertita in un campo trincerato (agosto 1248). Ezelino provò da tutte le parti l'assalto, trovando dappertutto insuperabile resistenza. Così l'aprile seguente disperatamente si combatte per l'amore di patria, per la gloria delle armi : ma sfiduciati di ajuto i Bellunesi capitolarono , con promessa di aver salve le sostanze e le vite. Il Da Camino con la famiglia salvossi sopra una zattera lungo le sponde dol Piave (maggio 1249). Una guerra sì lunga e mortale seguita da non piccola emigrazione ridusse quasi spopolato il paese; e lo storico Giorgio Piloni racconta che le campagne restarono incoltivate e che si dovette darle ad enfiteusi ed a rendita vitalizia ai servi di masnada onde impegnarli alla loro coltivazione. Allo guerre esterne aggiungansi le fazioni, che per motivi i più frivoli divampavano e si ricorreva alle armi, agli inccndj e ad ogni sorta di rovina. A calmare in Feltre le risse, fra Bonifacio Celarda coi parenti ed amici ed i Crino, si dovette attendere un severo comando di Ezelino. Ma i Guelfi si prevalevano d'ogni favorevole circostanza per abbatterti i Ghibellini e con essi il tremendo vicario imperiale. Antesignano ilei.» parte guelfa era il vescovo Tisone Da Camino, il quale per la crescente prosperità di Ezelino non potò mai occupare la sede, lincilo morte lo colse. Nel 12oi una imova reaziono avvenne a Feltro inseguito al fat- H/ustr/i:. drl !.. \: Vol. II. KO lito tentativo di Riemio de Corte (azionario de" Guelfi, il quale fa esiliato, e le sue case fin dalle fondamenta spianate. I Da Camino e i vescovi. Caduto Ezelino a Cassano sulPAdda (settembre 4259 ), tutte le città si rivendicarono a libertà ; ed Alberico suo fratello rifuggi nel castello di San Zenone presso Asolo, quindici miglia da Cassano. Dopo la maledizione del popolo arrivò il giorno della vendetta. Personificando nella famiglia di Alberico gli innumerevoli patimenti e supplizi sofferti nel dominio degli Ezelini, le genti di Padova, Treviso e delle nostre città accorsero alf assalto del castello di San Zenone. I sei figli d'Alberico e la moglie vennero decapitati alla presenza del padre, che trascinato a coda di cavallo ,:, a brani a brani perde la vita: e degli Ezelini il nome passò esecrato alla posterità. Fu generale la gioja delle popolazioni : si festeggiò P avvenimento ; si fabbricarono chiese, s" insti-luirono fraternite di penitenza e con altre religiose cerimonie si volle santificare il ritorno delle libertà cittadine. Molte discordie furono composte, quasi tutti i profughi che si erano sottratti alle minacce del tiranno rividero la patria esultante. Si strinsero prontamente le alleanze colle città vicine, e si riannodarono con nuovo istrumento quelle che il tempo e le vicende avevano rallentate. Cosi il vescovo Algerie Vil-lalta si presentò al maggiore consiglio di Padova e stipulò con esso alleanza perpetua assicurandosi a vicenda ajuto e difesa in ogni occasione. Il vescovo vagheggiò di rinnovare P antica amicizia dei Padovani perchè componevano una repubblica forte e costante nel sentimento guelfo. IP vescovo Algorio attendeva con premura a presidiare le fortezze, a risfaurare i castelli, ed insieme col consiglio dei nobili a riformare gli statuti e le antiche consuetudini. Molti Ghibellini di Feltro e Belluno tramarono por ucciderlo, ma egli ebbe il tempo di armarsi e di abbattere i congiurati condannandoli alla morte 0 ali1 esigho colla conlisca dei beni. Appena stabilito Pordine e ridonata la pace alle sue città, il vescovo Algerio chiuse la trentenne carriera di capo ecclesiastico e civile in Belluno (settembre 1296) ; rispettato nel paese e fuori, all'interno governò quasi solo, e sebbene Gerardo Da Camino fosse capitano delle forze di Belluno e Feltro, pure, nelle circostanze il solo vescovo ne dispose a suo talento. S'inlerpose armato in mezzo alle nemiche fazioni dei Da Castello e dei Da Camino, che per ambizione di potere insanguinarono prima Treviso e poi si sparsero nei castelli della provincia, danneggiando i confini. In tempi travagliati da guerre intestine ed 0 Possono vnli'i'si onesti f.ilti ampiamente descritti noli inclino da Honiaxo, storiq 4. ) DOMINIO OKI VESCOVI fi§0 istem« fu sollecito nel provvedere alla difesa della città rinnovando le mura ed i castelli atterrati e nel sostenere la milizia che rilevammo pronta ad accorrere in tutela del governo e de1 suoi alleati. Ammise nuovi frali, fabbricò chiese, e adornò la città di Belluno con nuovi palazzi verso Gastione, e con bolle fabbriche quella di Feltre. Inaugurava il governo il nuovo vescovo Casalio, padovano o bolognese, col perdonare a quelli che avevano intorbidato I' amministrazione del suo antecessore, e rimettere nei loro beni i capi ghibellini esigliati. Per ristabilire l* impero delle leggi , riformò gli statuti. Grato per sì bella iniziativa il consiglio dei settanta nobili di Belluno gli offerse un dono di tremila lire, essendo consoli Gerardo Da Castello e Faccio da Ca-stellione. Ma la fazione dei Ghibellini, la quale, sollecitata in Belluno da parte della famiglia Castellione dimorante in Verona, ed in Feltre da tutto il parentado dei Da Romagno, desiderò un mutamento sperando guadagnarsi una maggior influenza, se invece del vescovo fosse rappresentante governativo Alberto della Scala signore di Verona. Accolto di buon grado l'invito, vi mandò il proprio figlio Can Francesco, con seguito numeroso di cavalieri onde prendere il possesso delle oilertc città. Ricevuto in Feltre, gli venne negato (' ingresso in Belluno ; anzi, al vescovo Casalio, che voleva compiere la sua missione di pace, nel mentre dall'altare parlava al popolo tumultuante e riscaldato dagli opposti partiti, un colpo di pesante messale diretto alla testa lo stese morto sul pavimento (1298). Sembra certo che lo Scaligero non venisse in soccorso dei Ghibellini, e non riuscisse nell'impresa, poiché osserviamo scacciata dalla città la famiglia cogli aderenti del Caslellione, e rimesso il supremo potere nelle mani del nuovo vescovo Alessandro di Piacenza o di Treviso ; continuò poi neh' ufficio di capitano di Feltro e Belluno Gerardo Da Camino, anzi fu assistito dai Bellunesi e Feltrini nella guerra mossa da' Trevisani contro il patriarca d'Aquileja. Ma intanto nelle gare cittadine e nelle dibattuto discordie andava crescendo l'autorità demandata al capitano generale. Perciò, appena successe la morte del padre, il tiglio Bizzardo più ambizioso crebbe di tale importanza specialmente in Treviso, che gradatamente soppresse quasi lutto le cittadine magistrature. Resi da ciò prudenti i Feltrini e Bellunesi, lo accettarono come capitano generale vincolando però il suo governo con una forinola di patti, che indica quanto invigilassero i nostri padri per salvare le proprie libertà e la pratica dei vigenti Statuti 7. Alla venuta di Arrigo VI di Germania per la corona, chiese il Da Camino T investitura di vicario imperialo delle città da lui comandate, e 7 Metter patti a obi ba in "'a"«) la forza è prudenza m STOltlA 1)1 BELLUNO inorgoglito dal titolo, che lo pareggiava ai più temuti rappresentanti delle città ghibelline, si permise qualche aperta violazione delle leggi, e non rispettò l'onore delle donne. Per opera di Altiniero degli Azzoni già podestà di Belluno, mentre giocava agli scacchi, un contadino prezzolato lo uccise (5 aprile 4312). Suo fratello Guecellone prese subilo il comando. Onde farsi credere guelfo raccolta molta gente di Treviso, Belluno e Feltre, ed unito coi Padovani, contrastò vivamente il progresso dell'esercito dello Scaligero, che tentava la signoria di Padova, ultimo asilo delia forma repubblicana. Legato in stretta parentela con Nicolò Da Lozzo che voleva tradire la patria , Guecelto si lasciò persuadere di favorire i disegni di Can Grande della Scala. Sbigottiti da queste pratiche, i Trevisani Cun lirtmde della Scala. chiamarono il popolo a libertà. Al suono della campana tutti i cittadin-comparvero in armi, l'impeto fu cosi generale, che i mercenari" di Guecello presero la fuga; il suo palazzo fu invaso, ed a pena gli fu dato di salvarsi a (AMINO E SCAUliKHI 627 cavallo por una secreta via con soli due servi. Feltre e Belluno parteciparono al movimento, e scacciati i partigiani del Da Camino, stabilirono come in Treviso il governo consolare e repubblicano colla suprema autorità vescovile. 11 Da Camino abbandonato da tutti, entrò in trattative, offrendosi a Treviso in qualità di semplice capitano, rinunziando al governo e prestando giuramento di fedeltà alla repubblica: colle stesse condizioni gli venne permesso il ritorno in Belluno e Feltro. Il vescovo \lessandro dopo la ricomparsa dei Da Camino perdei le in gran parte l'autorità guberniale : e fu insultato il suo grado quando, spirilo dalle istanze dei Trevisani consegnò alcuni Ferraresi dei Fontana e d' altre cospicue famiglie refuggiti in Feltre. Approfittò il Da Camino dell" indignazione generale per sottrar al vescovo gradatamente ogni attribuzione governativa e mettersi nel comando assoluto. Il vescovo ricorse più volle ora a Pietro Bonaparte capitano di Quero, ora ai Trevisani. Sortite inutili le proteste ed i buoni uflicj, ricuperò la libertà riparando a Treviso, poi a Portogruaro nel convento dei minori Conventuali, ove senza compianto morì (febbrajo 1320). Da Guecello Da Camino dipendevano la pace e la guerra le alleanze e i traviati : ed egli agiva secondo suo interesse, col favorire od avversare le mire del ognor di Verona. Ma quando per la fuga del vescovo potè assumere incontrastato il supremo potere, si spiegò per lo Scaligero; sposò suo figlio nizzardo con Verde nipote di Can tirando, e dicbiarossi nemico ai Trevisani, e mentre Cari Grande si avvicinava a Treviso, Guecello con milizie bellunesi e feltrine s' impossessava dei castelli di Soligo e Vidore ; unitosi verso Treviso colle forze dell'alleato assaltò la città e prese il sobborgo di San Tommaso. Ma i Trevisani tutti levatisi ad eroica difesa , scacciarono da ogni parte gli assalitori, che pienamente sconfitti desisterono da ogni attacco. Onde evitare la servitù, prešlo o tardi minacciata dallo Scaligero, Padova, Treviso e Conegliano invocarono la protezione del duca d' Austria, il quale vi mandò come vicario cesareo il conte di Gorizia, colla eoi mediazione segui la pace. Cambiate le circostanze, il Da Camino si accostò alla federazione trevisana , e si obbligò a non stringere nessuna lega collo Scaligero senza il concorso del conte di Gorizia; in conferma della propria inimicizia permise a suo figlio Bizzardo di ripudiare la moglie Verde nipote dello Scaligero. Rientrato in Belluno e Feltre ripigliò il governo assoluto emanando leggi e decreti senza il concorso del vescovo e delle autorità cittadine. Si ordì perciò una congiura ad istigazione di altro Guecello Da Camino nipote di questo, che scoppiata in Belluno gli tolse la vita: il nuovo capitano non deviò dalla via assoluta dallo zio, anzi oppose ogni resistenza alla venuta del vescovo Manfredo da Colali o di Ceneda. Il pontelire aveva arrogata a sé questa nomina, devoluta, secondo i canoni al Capitolo di Feltro o Belluno, perchè solfo la pressione di Cuecello Da Camino i canonici non eleggessero un vescovo a questo devoto. Quando poi Manfredo a* indirizzò al conte di Gorizia, capitano di Treviso, e ad altri alleati ond" essere accompagnato alla sua sede, il nipote Guecello giuoco di astuzia indirizzandogli una gentile chiamata. Il vescovo fece il suo ingresso quasi trionfale a Feltro e poi recossi a Belluno. Il Da Camino aveva tutto disposto perchè l'ingresso fosso magnifico, e che nella piazza il popolo plaudente si abbandonasse a lieti canti ed alle danze. Nel momento poi che il vescovo giungeva in mezzo alla piazza, un gruppo di danzatori promuove una rissa: il parapiglia diventa generale, ed il vescovo si spinge cori gesto e parole di pace ove più forte è il tuono delle armi, ma colto di fianco da un coltello omicida cadde morto sul suolo (febbrajo 1321). Guecello non godette gran tempo il frutto del doppio delitto, perchè in Feltro l'arcidiacono Lusa ricusò di riceverlo eccitandogli contro il fanatismo popolare; quando poi comparve coi Bellunesi e venne dai Feltrini introdotto nella città, il Lusa si rinserrò nel castello, ricorrendo per pronto ajuto a Can della Scala. Egli marciò sopra Feltre, poi preso possesso nel Bellunese dei due castelli di Avoscano e Sommaripa. Il Da Camino entrò in trattative, e salve lo persone e gli averi consegnò la città allo Scaligero (1322). Il canonico Gorgia Lusa ebbe in premio il vescovato. Le sostanze e le vite dei Bellunesi e Feltrini passarono quindi alla mercè del nuovo padrone e contribuirono efficacemente a compiere la conquista dello altre citta della Marca. Mi prima che Can Grande si consolidasse nel potere, e riducesse a sistema le proprie idee rannodando un legame fra i popoli e potesse sopra di essi influire col genio governativo cattivandosi la loro simpatia, una morte quasi improvvisa troncò tante speranze di invidiata grandezza. Religione. Cultura. La religione non era semplice formalità od orpello al potere ; ma il principio di pietà aveva penetrato nel popolo 8 con esso trionfava. Sembra che, malgrado le lotte dei parlili e il mutare violento di non poche dominazioni, fosse rispettato l'asilo dei monasteri, se vennero a stabilirsi presso Belluno a San Pietro in Tuba i frati di san Bernardo entro una grotta, nella cui cavità la popolare tradizione diceva aver vissuto il gran santo. Nel 1280 furono introdotti in Belluno i padri Conventuali; la chiesa che si conservò fino al 1750 si era rifabbricata nel 1320. Nel 1237 dal vescovo Eleazaro si ora già eretta la chiesa di Santa Giuliana, e sotto l'episcopato di Gregorio de Tauri da Sorrento nel 1323 Kiccohono da Cadore aveva fatto innalzare a proprie speso nel borgo di Fiera in Belluno la chiesa del Carmine detta di Santa .Maria Nuova con P ospitale pei poveri infermi. Così l'amore di Dio era fecondo di carità verso il prossimo, perchè le rendite dei monasteri venivano per la mag- ci v i [,TA m gior parie impiegate a sollievo della miseria, come dimostra una determinazione del vescovo Alessandro che assegnava la sesta parte delle entrate dei monasteri di frati e monache di Santa Croce air ospitale di questo nome. Feltre emulò sempre Belluno nelle opere di carità cittadina ; ma fino al 1500 si perderono le memorie delle chiese e conventi; meno quelle che risguardano il tempio e monastero dei Santi Vettore e Corona, ed il convento e l'ospitale di Vedana. Dal sentimento di filantropia tradotto in azione si può desumere la civiltà del paese, compatibile con tempi travagliati da guerre civili, da lotte lunghe e terribili contro 1' assolutismo domestico e straniero. Nel supremo reggimento ecclesiastico e civile emersero in un secolo due vescovi bellunesi ed uno di Feltro. Quali podestà vennero eletti in Belluno nello stesso periodo due di Belluno e tre di Feltre. che meritarono perfino la triplice rielezione; anche in Feltre avevano esercitato tale ufficio due Bellunesi e un Feltrino. Dalla rappresentanza, sotto ogni aspetto importante ed onorevole del podestà , dal quale si esigeva talento, rettitudine e pratica conoscenza della giustizia e di ogni ramo amministrativo, si può dedurre le qualità eminenti di quei cittadini, che a preferenza dei foresi ieri venivano scelti all'arduo incarico. La virtù militare gareggiò colla civile, e 1' amore del patrio sito la vinse sopra ogni idea d1 indipendenza e d'interesse individuale. Beca sorpresa il leggere P ostinata difesa che sempre opposero le nostre città a qualunque vo-lea conquistarle, sebbene riputassero infruttuosa la loro resistenza. Così pugnarono fortemente contro Ezelino, contro Cane della Scala , e scacciarono il Da Camino quando nel governo divenne arbitrario. Quelli della fazione ghibellina servirono con mirabile valore le ambiziose mire dei capitani combattendo coi Da Camino contro Treviso ed il patriarca d'Aquileja, e distinguendosi sotto Ezelino in qualità di suoi capitani e fidali; Ageardino della Valle, Paganello dei Pagani e Crepada dei Crepadoni di Belluno; Ansedisio e Gorgia Temponi di Feltre, e furono da Cane della Scala creati cavalieri un Avoscano rettore di Agordo ed un Bongajo signor delPAlpago ; e magnificamente retribuiti i Roraagno ed i L usa di Feltre. Nò mancarono armati e danari ogni qualvolta un generoso scopo si doveva raggiungere: per cui gli Storici nostri registrano nomi concittadini in ogni lega contro P Impero ed i vicarj imperiali, corno pure gli ajuti prestati ai Padovani nella lunga guerra da essi sostenuta contro quei della Scala. Fa pena l'osservare nelle nostre come nelle altre città d' Italia tanta sapienza e valore logorarsi in un attrito continuo fra duo opposti elementi che si dispulavano sanguinosamente il potere. I moderni vogliono scorgere nelle duo fazioni guelfa e ghibellina l'urlo della stirpe latina ohe risorgeva contro (c tendenze 050 STOMA DI BELLUNO feudali Jena razza germanica. Ma come in tutlc le diuturne contese si perdette di vista il principio, e restò soltanto il pretesto a quella divisione, che In causa perenne della rovina d'Italia. V. Fino alla decb'zto.ie Veneta. M404). Mastini). Massino succeduto" a Cari tirando, voleva seguire gli ambiziosi coliceli i dello zio, o coU'astuzia o colla forza insignorirsi di città e castelli spellanti alla repubblica di Venezia, ma questa cercò estendere la propria clientela SCALIGERI Gol sui castellani e feudatarj di terraferma spogliati dai Della Scala ; accordò protezione ai Da Camino, vietò Pimportazione de1 generi provenienti dalla Marca, pregiudicando in tal guisa Punica attività del Bellunese, Feltrino e Cadore, che dai proprj monti pel Piave traducevano ferro e legname. Di rimpatto lo Scaligero cercò sottrarsi alla contribuzione del sale: donde guerra rotta, nella quale lo Scaligero concepì tanta stima del valore dei nostri cittadini che ai loro capi assegnò posti importanti a Verona, e quali capitani li destinò a gravi e pericolose fazioni. Martino Spiritelli bellunese, capitano del castello di Pietra Bubula, con poche truppe sostenne fino alla morte l'urto contemporaneo per acqua e per terra della veneta armata. Erano bellunesi i capitani Dionisio e Bernardo Doglioni, ammessi alla corte di Mastino, e destinati alla gelosa custodia della torre della Cicogna in Verona. Quando l'esercito veneziano, colPalleanza dei fratelli Carlo di Boemia e duca di Carintia, prese Ceneda e Scrravalle, e si mostrò minaccioso alla parte di Belluno dopo avere conquistato le castella dei dintorni, il podestà Enrighetto Bongajo, radunata la poca truppa fedele, si assicurò il concorso degli indifferenti, e potè con maggioranza di voti presentare al duca di Boemia le chiavi della città e chiamarlo suo signore (G agosto 1337). I Feltrini respinsero valorosamente per qualche giorno le truppe dei fratelli boemi, ma privi di vettovaglie, disperando di avere ajuti dallo Scaligero ed essendo morto il loro capitano, trattarono la dedizione (31 agosto). Il vescovo investì i principi boemi del dominio di Feltre e Belluno e nel primo settembre seguì la inaugurazione. F primi atti dei Boemi furono accetti alla nobiltà, perchè vide restituiti alla patria i profughi signori da Bomagno e da Tomo, e tutti quelli che si erano allontanati per avversione degli Scaligeri; la nuova amministrazione parve migliore della passata , perchè non imponeva al momento sacrilìcj maggiori. Il \ escovo, onorato di titoli ed investito dalle rendite e del dominio della podestaria di Primiero col suo distretto, d; tutta la Valsugana, del contado di Česana , del capitanato di Agordo, con censi, livelli, affitti, acque, monti e boschi, e metà del ricavato delle condanno di Feltre e Belluno, cesse ogni altra giurisdizione ai duchi boemi. Ma ben presto rimasero soppressi; le libertà municipali; ed il governo fu essenzialmente assoluto: inevitabile conseguenza della conquista straniera. La repubblica veneta avea riconosciuto il dominio de' Boemi, onde Carlo IV re di Boemia, fatto signore di Feltro e Belluno, cominciò a ristaurarne gli eddìzj e le mura; a rifabbricare il castello di Cadore, togliendo a prestito i denari da Giovanni de Pilli fiorentino, al quale obbligò le mudo di tutta la contrada fino all'intero pagamento: convenne llluslraz. ilei L. V. Vol. II. «1 col patriarca d'Aquileja Bertrando di praticare una strada di congiunzione tra il Friuli e il Bellunese, che partendo da Polcenieo arrivasse in Alpago, e da qui terminasse a Belluno: ogni città contribuirebbe la spesa fino al rispettivo confine. L'Alpago venne infeudato alla moglie di En-righetto Bongajo, rimesso podestà di Belluno : Agordo e Zoldo furono riconfermati nella famiglia Avoscana, ma Giacomo Avoscano essendosi rivoltato in Belluno uccidendo il podestà Enrighetto Bongajo, fu fatto prigione, e messo in libertà, preferì stabilirsi a Padova vendendo ogni sua proprietà nel Bellunese. Per la decadenza delP Avoscano rimaste vacanti le giurisdizioni di Agordo, Boccabruna,' Caprile, Livinallengo e Zoldo, Carlo IV inviò un suo vicario a ricevere l'assenso di quei popoli pel nuovo governo, e fedeltà agli Imperiali ed alla città di Belluno. In mezzo ai torbidi, inerenti al mutare d'un governo libero e nazionale in oppressivo e straniero, il vescovo Gorgia de Lusa continuò a godere le pingui rendite della sua carica e tutti i diritti riconformati col diploma dell'imperatore Carlo IV. Egli, che aveva meritato il suo innalzamento coll'opporsi a viva forza e combattere l'uccisore del vescovo Col-lalto, si lasciò in seguito spogliare del potere conferitogli dal popolo, anzi ne investì i successivi conquistatori. Dopo avere assistito indifferente alle mutazioni avvenute nell'anno susseguente al terremoto ed alla peste, che spopolarono di lavoratori l'intera provincia, chiuse la sua carriera mortale (7 ottobre 1349). Il succeduto Enrico di Valdeik frate dell'ospitale di San Marco de'Teutonici di Gerusalemme, morì nel 1354, e successore ebbe Giacomo de Bruna boemo, rettore della chiesa patriarcale d'Olmutz, da Carlo IV prediletto. Siccome nella guerra contro i Veneziani il re d'Ungheria era stato assistito da Francesco Carrara, Lodovico d'Ungheria, fattosi cedere dall'imperatore le nostre città, le offerse al Carrarese, che presone immedialo possesso mandò podestà in Feltro Frigerino Capodivacca, ed Ugolino degli Scrovegni in Belluno. Un giro di penna aveva nel brevissimo spazio di pochi mesi fatto passare nostre città dall'imperatore di Germania al re d'Ungheria, e da questo al Carrara; così accadde in ogni tempo dell'Italia, perchè, gelosa della libertà, non si mostrò mai unita nel difendere l'indipendenza. Il governo dei Carraresi parve meno fastidioso perchè di principe nazionale ; e dopo tre anni il consiglio si decise ad approvarlo accordando a Francesco da Carrara il titolo di signore con mero e misto impero; altrettanto fece il consiglio di Feltro con decreto 1 gen-najo 1303. Ma presto egli li cedette ai duchi d'Austria. Brocca da Castello che avea tentato una congiura infruttuosa contro il re boemo, sempre insofferente del dominio straniero, credette giunto il momento di vendicare le ingiurie e V insolente governo dell' austriaco rappresentante Per- I CARRARESI 633 civalle de VOynegg chiamando i cittadini all'insurrezione. Ma denunziato al duca Leopoldo, arrestati e uccisi padre e figlio Brocca, i Ghibellini e i paurosi, che avrebbero i primi applaudito al provvido cangiamento, si mostrarono zelanti del governo del Percivalle, a cui vollero regalati tutti i beni dell'infelice famiglia Brocca che venne bandita lino alla quarta generazione. Il malcontento continuava e i Veneziani fomentavano quelle ire, e collo scambio di proteste da una parte e dall'altra ora pei confini turbati, ed ora per l'innalzamento di nuovi castelli, rinfervoravano la generale inquietudine. I Veneti, rinforzati dai soccorsi dei Carrara, del marchese d'Este e dello Scaligero, guidati dal più celebre capitano di quei tempi Jacopo Cavalli veronese, fecero impeto contro i castelli di Quero , e le bastie della chiusa di San Vettore ; ma presto conchiuser tregua, e il duca solo condiscese a concedere varie domande e scambiar il Percivalle con Rodolfo Glotten, persona assennata e cortese. Il governo dei duchi d'Austria, mite nel principio, lasciato in seguito in balia dei capitani generali sprezzanti le istituzioni e le franchigie, era diventato assoluto e arbitrario : quindi si moltiplicarono lagnanze a Leopoldo e nel 1386 sarebbe scoppiata in Belluno una insurrezione contro il capitano Dietrich, che aveva arrestato i consoli raccolti in Consiglio a discutere sopra le necessità della patria : il popolo era corso alle armi e accingevasi ad assaltar il castello, se il Consiglio non avesse ottenuto la loro liberazione. Intanto il figlio di quel Brocca decapitato cospirava fuori del territorio e manteneva pratiche segrete per una insurrezione in città coi Doglioni e Bolzanio, i quali scoperti erano stati carcerati. Il popolo tumultuava per la lunga detenzione degli ostaggi che il duca avea pretesi, e di cui alcuni erano morti nelle prigioni, quindi il duca Leopoldo si vide costretto a rilasciare gli altri purché pagassero la taglia di ventimila fiorini d'oro: al fine il duca vendè a Francesco Carrara Feltre e Belluno (13 maggio 1386) per sessantamila ducati; meno la Valsugana, che rimase sotto il governo temporale degli Austriaci e solo nello spirituale soggetta al vescovo di Feltro. Valerano Sagomo fu stabilito governatore delle due città col titolo di capitano generale, e subito si attese a regolare gli all'ari. Ma i severissimi divieti di negoziar coi Veneti , e le imposizioni di guerra e le continue domande d'uomini e di denaro (contribuendo le sole Comunità di Belluno trentaseimila lire, oltre i doni per amore e per forza oll'erti dai privati) indisposero i nostri e risuscitarono le vecchie ire cittadine, che dovettero reprimersi dal Carrarese con prigioni ed esigli. Il 20 novembre 1388 Andrea de Miliario, bellunese relegalo in Treviso con altri cospicui cittadini, venne in patria raccontando come il giorno innanzi questa città si fosse ribellala al vecchio Carrarese e. avesse cacciato i suoi mercenarj. A tale annunzio tutta la città si commosse e nel 1." dicembre di buon mattino i cittadini accorsi in gran numero sfondarono le porto della piazza ove si era radunato il Consiglio col podestà, e gridatalo Vìva il popolo e Viro In libarla s1 impadronirono di tutti i innati della città e dei castelli del territorio, mutandone i comandanti. Il podestà Salvioli ed il suo vicario de Ruzzolino consegnarono ai capi della rivoluzione le chiavi della città. Il popolo inalberò il gonfalone di San Martino, ed elesse Giovanni Bolzano e Cristoforo dal Castello difensori del paese : la casa del signor Tampoloastro di Padova, fattore del Carrarese, fu saccheggiala. Lo stesso giorno eguale tumulto scoppiava in Fellre, e Giovanni Tonponi, cittadino amato e stimato, impedì lo scompiglio: per la sua onestà e coraggiosa condotta venne dalla comunità di l'eli re investito delle ragioni e diritli sopra la chiusa di San Vettore con privilegio. I Visconti Poco durò il libero governo , perchè nel giorno 7 dicembre, a suono di trombe e coll'intervento processionale del clero e dei Irati in Belluno e in Feltre venne innalzalo il vessillo dei Visconti; e Io zelo dei novatori spinse il consiglio a votare questo giorno come di festa annuale da solennizzarsi con pubbliche proghiere e collo spettacolo d' un palio a cavalli della spesa di quindici ducati d'oro. I conti di Cesana furono dal Visconti riconfermali ; vennero emanate nuove leggi contro i l'alsarj, vendici, micidiali e l'uggitivi; si approvarono gli statuti delle nostre città e particolarmente (fucili di Feltre che risguardavano l'arte della lana, fin d'allora fiorente in questo paese. Ai Bellunesi fu accordata l'antica giurisdizione sopra la Ròcca di Pietore o Roccabruna; prima conquistata da Andrea Miari contro Simeone de Gavardi arcidiacono di Capo d'Istria ch'egli condusse prigioniero, e poi ridotta alla pace dagli stessi Bellunesi quando si era ribellata al podestà e vicario del Visconti. Si pose mano a riedificar le mura e i castelli. I balzelli erano diminuiti ; ma disputavano acremente fra loro il partito guelfo, che conservava sentimenti di all'e/.inne al Carrarese, e i Ghibellini che riconoscevano la loro influenza dal Visconti e continuavano le offese parziali, le uccisioni frequenti in lutto il territorio, finche scoppiò un generale tumulto. II podestà e capitano Giovanni Rusconi di Como operò in modo, che i contendenti deponessero le armi; poi fece arrestare i capi dei due parliti, ordinandone la relegazione in Verona ed altrove: agli altri intimò una tregua di quattro mesi, durante la quale preparò la pace col perdono delle reciproche ingiurie e collo scioglimento e ripatrio di tutti quelli che avevano subito processo per cospirazioni contro il Visconti (giugno 1395). I VISCONTI 655 iìiuii i,uit' Visconti. Questo principe, col migliorare l'amministrazione, col liberare i prigioni, aveva consolidato il suo governo, e poteva disporre a suo talento dell'opera e del consiglio dei più cospicui cittadini e dell'alto clero. I vescovi furono da lui accarezzati e scelti ad alti ufficj e persino a suoi consiglieri e governatori : anzi al vescovo Naseri, in compenso di quanto per lui soffri dai Carraresi, conferì la lettura delle decretali nello studio di Pavia, collo stipendio di 900 liorini. Questo rivide per l'ultima volta Belluno nel 1393, lasciando nel suo passaggio per Feltro la sua spoglia mortale. Alberto di San Giorgio padovano, dottore in sacra teologia, facondo predicatore dei Irati minori nuovo vescovo, riusci accetto al Visconti che lo volle fra i suoi consiglieri. Ma morto il duca, i fratelli Carrara, i Crepadoni, i Caponi ed altri di parte guelfa, convocati i proprj fautori di città e di campagna,si accamparono sulla piazza,e minacciarono prendere a viva forza il castello, e distruggere il partito contrario. Le famiglie Miari, Doglioni, Spicciaroni ed altri ghibellini, armati i loro compagni e i numerosi amici e clienti, sboccarono da diverse parti, e colla morte d'uno dei capi (il canonico Carrora) scacciatili dal Campiello, restaron padroni della città. I Guelfi però si riannodarono fuori delia mura, e chiamati alle armi molti del contado di Zoldo e di Agordo, assediarono i vincitori. Disperando resistere alle crescenti forze dei Guelfi, i due sindaci fedeli al partito ghibellino convocarono, com'era costume nelle grandi calamità della patria, il consiglio dei nobili e molti dei cittadini, e intavolarono pratiche col veneto podestà di Scrravalle perchè accorresse a salvarli dall'imminente eccidio. Mentre i Guelfi accingevahsi a un assalto, giunse alle loro spalle il condottiero Antonio Moro, inviato dalla dominante, che penetrò nei sobborghi e fatto prigioniero Francesco Carrera, che voleva ancora resistere rinserrato nella propria casa, s'impossessò di tutti i quartieri della città. Il Carrera fu ucciso dal veneto rappresentante. Si continuarono le torture degli arrestati durante la notte, finché il veneto capitano intimò di scioglier i prigionieri dietro cauzione in denaro (28 aprile 1404). Si compiè la festa solenne dell'inaugurazione del veneto governo facendo una processione, in cui sfilavano con bell'ordine il clero ed i frati minori colle loro croci; poi i gonfaloni della pieve e delle fraglie, quindi il popolo con rami d' alberi nelle mani inneggiando seguiva la truppa disposta in fila a tre a tre dei balestrieri e dei stipendiarj con sei bandiere, accompagnata dalla banda di pifferi e trombe; finalmente il Moro circondato da otto nobili della città, due dei quali addestravano il suo cavallo fra il rumore delle campane a festa e le grida di gioja ascese al palazzo del Comune, ove i quattro sindaci della città gli conferirono il dominio di Belluno e del suo territorio consegnandogli le chiavi, il gonfalone di San Martino, del Duomo e la bandiera del Comune. L'oratore del consiglio Giannicolò Bolzanio gli tenne un discorso nel quale ricordava i diritti ed i privilegi della città, ne vantava le leggi e le consuetudini e domandava di queste' la conferma con una promissione che doveva ratificarsi dal doge di Venezia coll'intervento degli ambasciatori tanto guelfi che ghibellini. Tutto promise il veneto generale. Feltre si sciolse in pari tempo dalla soggezione dei Visconti, e spedi i proprj ambasciatori a Venezia onde offerirle per consenso universale la patria. Bispose il senato con parole lusinghiere alla spontanea dedizione e vi mandò il patrizio veneto Bartolomeo Nani a prenderne il possesso. Nè vi fu mai governo, il quale assumesse di più giusto diritto l'amministrazione di tante province, e si palesasse cosi leale nel volere rispettate e mantenute le leggi e le consuetudini. DOMINIO VENETO 637 Molti decreti sancirono gli statuti civili, quelli dell' arte della lana e le riforme, di quando in quando presentate dagli ambasciatori di Feltre e Belluno. Nè si volle mai che il rettore veneto s'ingerisse nella compilazione di quegli statuti, e molto meno nei rami d' amministrazione pubblica, riservati alle Comunità rispettive. Dal seno del consiglio dei nobili e qualche volta dei cittadini si elessero le commissioni destinate a maturare le leggi, a raccoglierle negli statuti, a cancellare le inutili, a richiamare in vigore quelle cadute in disuso. Perciò si vide rinascere la fiducia fra i cittadini, e iniziarsi un governo solido perdio rispettato ed amato. La Repubblica impose qualche freno all'orgoglio del partito ghibellino, e cominciò ella stessa a dare l'esempio della tolleranza creando capitani a Zara Nicolò Carrera capo dei Guelfi e a Montagnana il ghibellino Bartolomeo Miari e podestà di Lonigo Vettore Doglioni. Regolati gli affari, tranquillati gli animi, domandarono i Bellunesi e Fel-trini d'essere ammessi alla veneta cittadinanza, riportandone l'amplissimo privilegio. Rese completa la sistemazione del governo civile ed ecclesiastico l'arrivo del vescovo Enrico Scarampi di Asti, già vescovo d'Aqui, ch'era succeduto a Giovanni Capogalli di Boma benedettino, traslocato alla chiesa di Novara (1404), e che era stato assente dalla diocesi perchè rappresentava in Venezia con Enrico degli Scrovegni gli interessi della duchessa e dei duchi di Milano, Religione. Ogni cangiamento governativo si solennizzava con cerimonie religiose e le nuove signorie non si credevano regolarmente investite del comando se non venivano benedette dal sacerdote e festeggiate colle sacre funzioni. Se questo sentimento venne dall' alto clero forviato dal vero suo fine, se fu fatto servire dai vescovi a interesse individuale, non per questo la fede dei credenti e la pietà dei cittadini ebbe a diminuire. Due conventi prosperavano a Feltre. A quello di San Giacomo di Candatino nel canale di Agordo il Consiglio aveva accordato d'importare ed asportare senza dazio le merci di qualunque provenienza per aumentare le rendite dell'ospitale annessovi. Alle Clarisse apparteneva la chiesa dedicata a san Focato, che si disse poscia di Sant'Avvocato, da cui prese il nome il vicino sobborgo. Venne abbellita la chiesa de'Santi Vettore e Corona, rinnovata la lapide ove si racchiudono le memorie di questi santi, regalati secondo una pia tradizione da ricchi presenti di Federico e dal manto di Carlo IV di Boemia; si edificò la chiesa di San Germino nella villa detta di Zermen, In Belluno fu eretta nel 1356 Santa Croce della disciplina da frati, con ricco ospitale; nel 1361 San Nicolò sopra la riva del Piave per testamento di Nicolò Cursore con annuo salario pel sacerdote ; una cupola e 1' aliare di Sant'Antonio furono fabbricati in altra chiesa a spese di certo Centoni. Nel 4350 la chiesa di Sant'Andrea detta pure della Beata Vergine delle grazie, jus patronato delle nobili famiglie Crini ed Alpago, In innalzata, secondo una singolare iscrizione italiana, per testamento di Andrea Tralechiese; alla chiesa di Sant'Andrea in Monte si univa il convento di questo nome; nel dicembre 1396 si consacrò la chiesa di San Lucano; nel 4400 quella di San Lorenzo di Sirvano, che il tempo distrusse; l'attuale fu fabbricata nel 4 775 dai conti Campana. Cultura. Se nella carriera militare e politica con nobile gara emergono Bellunesi e Feltrini, anche nella cultura letteraria e scientifica passarono alla posterità, tra gli altri, il Piloni, elegante autore di distici sulle guerre romane; Vettore Dolce feltrese interprete del diritto papale in Padova; il medico maestro Bavagnino, col figlio Paganino Bolzanio e Adalderto fisico di Castellione. La Cronaca manoscritta, del canonico Clemente Miari ci descrive i fatti a cui egli assisteva dal 4383 al 4444. Fiorivano scuole di grammatica e filosofia, che comprendevano tutto lo scibile di quei tempi. Si educavano nelle lettere e nelle scienze, oltre il nominato poeta, Paolo Piloni, Francesco Sargnano frate nel convento di San Pietro, che professava in Belluno logica e teologia: allorché a maestro di retorica venne chiamato in Belluno Giovanni da Ravenna, illustre non tanto pei suoi talenti e per l'instabilità del carattere, quanto per l'amicizia ed amore che lo legavano al Petrarca, egli approfittò della nuova educazione impiegandosi alla ricerca ed illustrazione dei codici antichi, che restarono postillati di sua mano al convento di San Pietro, e servirono d'incitamento ai rinomati grecisti Bolzanio Pierio Valeriano, " Pontico ed altri. Con Andrea Miari, scacciali da Belluno per l'inimicizia della potente famiglia Crocecalle, venne in Padova il figlio Michele, che rivolto agli studj legali, vi meritò il posto di professore di diritto romano. Feltro, oltre il famoso Vettore Dolce, vanta Francesco Ramponi eremitano interprete delle leggi pontificie a Bologna; poi vescovo di Cencda, ove colle armi e colla parola difese i diritti ecclesiastici contro i Da Camino. Conviene credere che molte opere di pittura fossero allogate a Simone da Cusighe, e a Bernardo Vitulino, se ancora si rinvengono i loro dipinti nelle chiese di Belluno e Cadore, e presso famiglie private. I quadri di Simone da Cusighe, sebbene mostrino l'infanzia dell'arte per la povertà dell'invenzione; se essendo dettagliati nell'azione, le ombre e le masse non vengono ripartite in modo da staccare le figure dal fondo; se il disegno, specialmente nelle vesti e nelle pieghe, ò duro e stecchito, manifestano però una vivacità di colorilo e alcuni tratti con passione dipinti, pregi che compensano i molti difetti, qualora si rifletta che furono fatti due secoli prima di Tiziano. VI. Periodo Veneto. Avvenimenti. Una delle più antiche commissioni ducali è quella del 1408, che si conserva nel museo Correr di Venezia, dove il dog»; Michele Steno segnava le norme al rettore o podestà e al capitanio nell'esercizio del potere. Trentanove brevi paragrafi riassumono i diritti e doveri del governatore, il quale durava in carica un solo anno, poi sedici mesi. Ad esso competeva la giustizia criminale con l'appello al maggior consiglio di Venezia nelle sentenze eccedenti lire cinquanta di piccoli. I consoli, o quattro o più membri del consiglio dei nobili, dovevano assistere alle sessioni con voto deliberativo: il rettore era obbligato scegliere una persona istruita che, col nome di vicario, regolasse secondo gli statuti l'amministrazione della giustizia. La custodia della città e delle fortezze ai confini veniva commessa o a truppe cittadine ed ai nobili del consiglio, o ad altri capitani delle milizie veneziane. Il consiglio della città, composto di sole famiglio nobili, godeva piena intluenza nella pubblica economia. Quattro consoli, che duravano sei mesi, costituivano le principali magistrature, con diritto d'intervenire e deliberare in tutti i processi, e perfino in quelli politici, allora delegati al consiglio dei Dieci. Un quinto console, col nome di tesoriere, ri-scoteva e custodiva le entrate del Comune. Il consiglio nominava i giurati di giustizia o sopranlendonti allo grasce, i provveditori alla sanità, i deputati ai privilegi, i sindaci o giudici comunali, gli mgrossàdori o ingegneri e lavoratori stradali. Dal consiglio si sceglievano i capitani annui di Agordo, di Zoldo, della Rocca di Pielore, di Casamatta e della Gar-dona, e i deputati ai confini; geloso uffizio, che dava il titolo di conti a quei che il sosteneano. Il numero dei consiglieri era indefinito, ma per deliberare legalmeQte non volevansi meno di trentasei. Per esservi ammesso bastava provar di nascere da una delle famiglie nobili e aver ventun anno. Nell'estinzione di qualche famiglia nobile, o per meriti speciali, poteva aggregarsi al consiglio qualche ramo cittadino. Così era organizzato lo Stato dopo Tacchete le effervescenze dei partiti guelfo e ghibellino, che però ad ogni dimostrazione pubblica e privata prorom- iHustraz. del /,. V. Vol. II. H2 pevano in risse e uccisioni, persino Ira parenti ed amici. Si caldo era l'odio di parie, che il canonico Clemente Miari maledice nella sua cronaca certo Grassia Doglioni perchè s'era unito alla processione dei duelli per festeggiare una vittoria dei Veneziani. Non fa quindi meraviglia il vedere come, all'appressarsi dell'esercito dell'imperatore Sigismondo contro i Veneziani, siensi agitati i partiti, e quando il suo generale Pippo Spano comparve a Sorravallo, una commissione rappresentante il contado si recasse ad olfrire la resa della ciltà : è però vero che gran parte del consiglio desiderava resistere, se lo stesso podestà veneto Marco Correr non avesse dimostrata inutile la difesa e rinunziato il comando della città (dicembre 1411). Feltro, saputo che Belluno aveva capitolato alle condizioni con cui si era dato alla repubblica veneta, ne segui L'esempio. Ma poco andaron ad accorgersi le nostre città come i rappresentanti imperiali gravassero di lasse, e volesser usurpare l'autorità cittadina; onde cacciarono il Savorgnano, Brunoro della Scala, l'incaricato del conte di Gorizia, ed Ulrico della Scala, capitani e vicarj dell'imperatore, i quali non pensavano che ad estorcere denari. Appena spirala la tregufa conchiusa fra i Veneti e l'imperatore, il generale della repubblica, scorrendo pel territorio trevisano, sorprese il castello di Quero, e passata la chiusa, comparve, in marzo ilei 1420, nel piano di Feltro; incontrate lo milizie miste di Feltrini e Ungheresi le pose in fuga e guadagnò un sobborgo della ciltà. Il consiglio domandò quindi la capitolazione al generalo veneto Arcelli, che venne accordala, salve le persone e gli averi, mediante 1' e-sborso di diecimila ducati; affrettò nel tempo stesso la partenza por Venezia di quattro ambasciatori, che presentarono al doge quindici capitoli, in cui si chiedeva la conferma degli statuti e privilegi della città, interamente approvali dalla ducale 10 maggio. Ammaestrati dalla longanimità del veneto governo, i Bellunesi mandarono al senato chiedendo in complesso quanto i Feltrini. Sebbene alcune delle principali famiglio, come i Miari, i Doglioni e i Da Foro, fossero state insignite del titolo di conti palatini, e cosi il Goslino ed altri di Feltre godessero favori imperiali, il governo veneto permise a tutti il rimpatrio e trattò senza riguardo al partito guelfo o ghibellino. Allo scopo di pacificare i fazionarj e indurli alla pace fece concorrere la politica come la religione; e il podestà Dol-fin Veniero invitò Irà Bernardino da Siena a predicare sulla pubblica piazza. Siccome il movente principale di questo discordie civili stava nei quattro rotuli, in cui s'inscrivevano i nobili della città, due dei quali appartenevano ai Guelfi e due ai Ghibellini; il frate persuase di cancellarli, e fondere insieme senza distinzione i titoli e le famiglie dei nobili. In tal modo cominciato l'oblio delle offese, si abbandonarono i cittadini ai frutti della pace, sempre più affezionandosi al governo veneto, PENTODO VENETO 641 eh' era fedele mantenitore delle promesse. Le nostre città solennizzavano come proprj i trionfi delle armi venete, e a gara concorrevano nobili e cittadini nelP offrire donativi, e sè slessi in tutte le guerre di difesa e di conquista. Senonchè a turbare un si bell'orizzonte sopravenne la brutta lega Cam-braica (V. pay. 108). Belluno e Feltre, già poste in difesa quando si paventava un' irruzione d' Austriaci dal propinquo Tirolo pel possesso delle miniere di ferro e di rame dell'Agordino, misero in opera ogni sforzo per raccogliere armati da opporre all'esercito dell'imperatore Massimiliano. Ma quando seppero ch'egli era alla testa di circa trentamila uomini, crederono prudente il seguire 1' esempio delle altre città venete e darsi spontaneo, salve sempre l'integrità degli statuti e la separata e indipendente amministrazione pubblica. Ma all'annunzio che Treviso erasi sollevata, e che i nobili Veneziani stavano in Padova pronti alla guerra, si commosse la pubblica opinione, ed appena il conte Giovanni Brando!ino di Valdimareno occupò Serravallc e s'intese coi Veneziani per la ricupera delle nostre città, i Bellunesi e Feltrini gli spedirono inviati, e al suo comparire atterrarono le porte onde sollecitamente introdurlo (luglio 1509). Poi lo ajutarono nella conquista del castello e degli altri luoghi forti dei confini, sfogando nella guerra l'ira repressa di tante offese invendicate contro i Tedeschi e contro i nobili di partito imperiale. Sopraggiunse poco appresso l'esercito tedesco, che dopo la solenne promessa di capitolazione, entrò d'assalto in Feltre, incendiandone i borghi e mettendo a ruba e ad orrenda oarnificina; non dieder quartiere a nessuno degli uomini atti alle armi; violarono le donne, sgozzarono i fanciulli, ridusser quella povera città ad un ammasso informe di sanguinanti rovino. Fortunati quelli che, gettandosi dallo mura , trovarono scampo, oppure si salvarono nascondendosi nella sola chiesa che rimase dimenlicata nella generale depredazione! Meno barbaro ma egualmente oppressivo per arbitrj e tasse riuscì a Belluno il nuovo ingresso delle truppe imperiali. Allora la massima parte dei nobili e cittadini migrarono alla campagna, e molti si arrolarono volontari nelle venete armate. In Feltre era rimasto governatore Wollango Hiberner, il quale sembrava inclinato a ristorarne in parte i danni ; ma il supremo potere di cui era investito lo incitò a vita licenziosa e ad ordini vessatorj e tirannici. Un tristo episodio si racconta dagli storici come causa del secondo incendio e totale distruzione di Feltre. Elena, moglie o cognata del Lusa, che era stato inviato oratore a Massimiliano nella prima dedizione della città, bella per modestia e pura di costumi attrasse, la simpatia del tedesco governatore, il quale osò rapirla e condurla nel suo castello. Il Lusa, e tutti i cittadini in generale danneggiati nel sangue e nell'onore, colsero l'occasione, in cui il veneto provveditore Moeenigo campeggiava sul confine e lo invitarono ad entrare in città aprendogli la porta Pusterla. Sorpresa la guarnigione ecT uccisa o fatta prigioniera, il Lusa si vendicò dell'oltraggio cavando gli occhi al capitano Wolfango, e facendo troncare la mano destra a quattro soldati ritenuti complici ne! ratto della consorte. L'imperatore Massimiliano ordinò subito al suo generale Giorgio Lich-tenstein di distruggere ogni avanzo della città, e non risparmiare il sangue dei cittadini. Pel canale di Brenta egli giunse a Feltre con dodicimila combattenti, e trovò la città abbandonata dal veneto presidio e soltanto abitata da vecchi inermi, donne e fanciulli. Il liero comando di Massimiliano fu a rigore e ferocemente eseguito ; senza distinzione di età e di sesso venendo tutti trucidati gli abitanti ; il fuoco appiccato a varj punti della città durò continuo e generale per sei giorni, nè rimase vestigio del florido caseggiato. Cosi una c:ttà, che da seicento anni aveva richiamate l'industre cura e la gloria de' suoi abitanti per ampliarla ed abbellirla con fabbriche pubbliche e private , restò desolata ; sicché il proveditore veneto Moeenigo e poi il Dollìn datano le lettere ex cine-ribus Feltri, oppure ex Feltro desimelo. La tedesca rabbia più o meno terribile colpi i limitrofi castelli di Cesana e Zumelle, (Y. or figura dicontro) o si sfogò del pari su Belluno. Se si dovosser raccogliere i fatti dolorosi ed eroici, \ò scene di pietà famigliare e di carità patria, che occorsero nello vicende di questa guerra, desterebber al certo quel sentimento di avversione che cercò di promovere nel cuore de' suoi concittadini fuggiti alla campagna il nobile Nicolò Rampono , quando li richiamò a contemplare gli avanzi dell'estinta città, e dalle sue ceneri destare il fuoco della vendetta. Biportate come vere dagli storici feltrini, le citeremo nella loro integrità, perchè, se anche non fossero tali, le circostanze di tale eccidio meritane di suscitarle: « Siamo pur uomini, concittadini, e siamo nati in Italia e in grembo a Venezia, a quei Veneti invitti, sempre mai costanti nelle avverse, nelle umili c nelle propizio loro fortune, de'quali seguitando noi l'esempio, seguirà anche in parte il ristoro de' nostri danni patiti. Vedete questi intrepidi eroi ricuperar l'imperio della loro città, nè sbigottirsi per le rotte d'eserciti, per spesa di tesori innumerabili, nè per congiure di principi. Perchè adunque non dovremo noi veneti vendicarci contro elei I i sudditi e Stati di chi stipendia gente per nostra offesa ? Non abbiamo noi forse dal canto nostro giusta cagione che ci sproni a farlo ? Chi è di noi che non abbi di parenti il lutto'? a chi non è stata incenerita la casa? quanti nell'amore non sono stati offesi? Mirato le vostro figlie stuprate, le vostre mogli disonorate. Ma tralasciamo di grazia queste ingiurie private ; la patria giaco invendicata e noi stupidi la miriamo? Tempio al protomartire dedicato fu l'KlìIODO VENETO GV5 Castello di Zumel/e. questo ammasso di ruine, e la loggia questa informe maceria. Là fu il superbo palazzo dei nostri rettori, là fu il l'orto castello fabbricato per nostra difesa, e queste altre rovine, che d'ogni parte ne cingono, furono le nostre abitazioni. Ma che vo io ricordando i dolori, se già panni leggervi scritto nella fronte e negli occhi che niuna cosa tanto bramato quanto il nome c il vanto di liberatori della patria e di vendicatori degli affronti? Voi, avanzo di crudeltà, rifiuto di sorte avversa, non per altro stimar dovete essere sopravvissuti nella miseria comune, che per riparare e vendicare i danni, che ha ricevuto questa misera patria. Se avrete quel cuore, che vi sfavilla dagli occhi non dubito punto che il tutto non sia per felicemente accaderci, ora che li nemici sono lontani, e quei pochi che sono rimasti sono tutti divisi nelle fortezze del territorio. Si raccomanda dunque alle vostre destre la nostra gloria eclissata, la patria invendicata, la religione calpestata ; si gettano a1 vostri piedi le vostre mogli, i vostri figli, e vi pregano che solleviate le loro miserie, che vendichiate le loro offese. Su generosi, su forti, apparecchiate lo testo allo corone, le mani alle palme ; d'altra cosa non fa di mestieri al presente che di prestezza e d'ardire, perchè la giustizia della nostra causa sia favorita dalla tuona fortuna. Io per me, consacro a te, o mia patria ; a voi, amici cittadini; a te, mia fede, quanto sangue ho nelle vene, quanto vigore ho nel corpo. Se non vi sarà chi mi segua ad assaltare li Stati dei nostri nemici incontrerò solo la morte, che non potrà essere biasimata ». Alle, generose parole molti brandirono le armi, e congiunti ad alcune compagnie del veneto proveditore Giovanni Dolfin, assaltarono i castelli di Valsugana, Premiero e Tesino, e depredarono case e campagne (ino a Trento. Dappoi come in città aperta si avvicendarono le occupazioni ora degl'Imperiali ora dei Veneti, finché colla pace venne assicurato Feltro sotto il veneto vessillo. La tremenda distruzione (2 luglio 1510) fatta, dal Lichtenstein della vicina alleata, avea colpito di spavento Belluno che si piegò agli accordi. 11 Lichtenstein accettò la capitolazione che riassumeva le condizioni giurate all'imperatore Massimiliano, ma impose una tassa di 4000 scudi, se no, sacco e incendio; ordinò che il consiglio facesse il solito giuramento di fedeltà, e sostenne prigioni nel castello alcuni fra i nobili cittadini, che all'ombra dei trattati si credevano sicuri in patria; fra questi un Persecini, Giorgio Fulcis, due Doglioni e due Colle. I Veneziani sotto Giovanni Diedo proveditore di Serravalle, per circa un mese batterono Ja città da ogni parte senza poterla ridurre ; ma giunto da Treviso con numerosi rinforzi il proveditore Luigi Mocenigo, fece attaccare vivamente la piazza, e aperta una breccia presso la porla Dojona, i soldati vi si gittarono, animati dalla promessa del sacco. Ma frenò il loro ardore il capitano dei Veneti Citolo di Perugia onde, così bella ed onorata città non si disertasse (Bembo). La guarnigione tedesca col generale si rese prigioniera, ed i Bellunesi furono tutti perdonati, eccetto il capitano del forte, Andrea da Ponte,che con tre altri fautori degl'Imperiali fu man- p k mono veneto (ìw dato a Venezia. Dopo pochi mesi (agosto 1511) il capitano francese La Patisse con ventimila tra Guasconi e Tedeschi investì verso Feltro il forte Castolnovo cho chiudeva trecento difensori feltrini e bellunesi sotto il comando del veneto proveditore Girolamo Miani. Questo castello durò per alcuni giorni una ostinata difesa contro tutta Toste poderosa che più volte tornò all'assalto; tutti i soldati pugnarono fortemente, e quasi fosse novella Termopili poterono arrestare un'armata, offrendo la favorevole occasione all'esercito veneziano in Padova di riconquistare Castelfranco e Cassano. Eroicamente combattendo perirono, fra gli altri, Michele e Benedetto Pagani e Vittore Crocecalle capitani bellunesi ; nò il veneto duco volle mai sentire parola di resa, abbandonandosi piuttosto qual prigioniero all'arbitrio del vincitore, che ne fece sì aspro trattamento, da attribuire a miracolo la sua fuga; indi questo insigne guerriero e pietoso cittadino passò venerato come santo nelle tradizioni del popolo ( Vedi p'tfj. 141). Accannito combattimento dovette sostenere La Patisse per la presa del l'orlo della Scala di Primolano, posto all'altro confine di Feltro verso il Tiralo; poi occupò la desolata Feltre, minacciando a Belluno completa ruina se immediatamente non pagasse grossa somma, e ricevesse guardie. Fu forza rassegnarsi. La Patisse, disceso nel Trevisano, conquistava Serravate o tutti i castelli del territorio; volendo assediare Treviso, inviò a Belluno per incettare ferro e legname, arrolare seicento fra guastatori e soldati, e molti falegnami e fabbri. L'ingente materiale raccolto si caricò sopra trenta zattere, ed alcuni Bellunesi devoti alla patria si assunsero condurla sul Piavo, mentre la scorta era affidala ai sold ati tedeschi. Ma quando giunsero nel conline di Feltro, i Bellunesi appiccarono il fuoco al legname, sicché i Tedeschi presi dal terrore, incapaci di saltar*} da una zattera all'altra fino alla sponda, restarono tutti arsi o annegati; solo undici fra i Bellunesi riuscirono ad afferrare la riva. In questa guerra successero atti così memorabili di eroismo, d'amori; di patria, di valore militare e di sacrificj cittadini, che meriterebbero essere svolti con maggiore chiarezza e proposti ad esempio dei presenti e futuri. Il voto delle rostre città era non solo la salvezza della libertà ma anche dell' indipendenza. S'imparò ad amare e rispettare il governo veneto perchè giusto e nazionale, e perchè il carattere dolce e uniforme de' suoi rappresentanti ispirava la più sincera fiducia. Si alternarono più volte le occupazioni straniere, ma sempre si aspirò a rivedere trionfante il vessillo di San Marco. In fatti ai 13 dicembre 1511 i Veneziani la ricuperarono, e benché i Tedeschi, abbruciando e devastando il Cadore, fossero pervenuti fino ai dintorni della città, con pronti soccorsi dal Trevisano poterono conservarla, Bimuncrarono con assegni di terre o col nominarli alle cariche più distinte quelli di Feltro e Belluno che più soffersero nelle varie occupazioni, o bravamente pugnarono nelle frequenti battaglie. Ai coraggiosi ch'ebbero parte all'incendio dalle zattere sul Piave regalarono venticinque campi; retribuirono di cinquanta campi i prodi Giovanni e Paolo Doglioni: e di due campi per tosta molti fra i valorosi cittadini. Bortolo Corte fu eletto a vita capitano di Agordo, con la proprietà delle fucine e trenta campi. A Giacomo Fulcis e fratelli, per avere militato e stipendiato alcuni soldati nell'assedio di Padova, venne concessa la nobiltà e il diritto di sedere in consiglio. Fra i superstiti fellrini meritarono onori e memorie Vettore Pozzo, instancabile a suscitar nemici ai Tedeschi e combatter in molte fazioni; Girolamo Lusa venne destinalo a vicario di Belluno, poi a cancelliere per dieci anni. Girolamo Rettini di Arsie fu promosso a capitano del castello di Primolano, e Nicolò Rampone si guadagnò gli elogi e la stima dei Veneti per avere eccitata e capitanata l'escursione nel territorio tirolese. Dopo i mali della guerra sopravvennero quelli della pesto o della carestia, superati con eguale fermezza dallo nostre città, e leniti da savie provi-denze e da materiali soccorsi dalla Repubblica. Si rianimarono le industrie, già arenate nel continuo movimento della guerra passala , e si dispose a riparare i danni sofferti nelle mura e fortezze, e nelle pubbliche e private abitazioni; e merita essere riferita la Relazione del podestà di Feltre Bernardo Balbi, a dettagliata idea delle condizioni materiali e morali di quella città '. Da queste relazioni e dalle posteriori desumiamo come il progresso degli avvenimenti fosse tranquillo, e la vita politica ristretta all' interna amministrazione dell'entrate ed alla regolare sistemazione degli ordini dei nobili, dei cittadini e del contado. Quelli che abitavano nel distretto di Feltro e Belluno si chiamavano territoriali, ed erano organizzati in un pubblico corpo, che si componeva di undici circondarj nel Bellunese e quasi altrettanti nel Feltrino. Essi avevano i proprj diritti formulati in dodici capitoli e approvali con la ducale 28 giugno Ki'd, per cui nominavano la propria rappresentanza, composta d'un sindaco, un cancelliere, un deputato ai conti che duravano due anni. Quando la città avesse bisogno di gettare una cèlta (imposta o gravezza) mandavano al consiglio due o quattro individui a rappresentarli ; se di troppo aggravati, ricorrevano al senato, comi; si ritrae da molteplici e svariati ricorsi stampati nella Rac-colla, capitoli e terminazioni, cjiudizj, accordi, ducali, "ecc., appartenenti al territorio di Belluno. Noi primi tempi le tasse comprendevano solamente i dazj della macina, del vino, dell'entrata e uscita delle merci e derrate, \ Vedi le note al lin del capitolo. Le prime Relazioni di Belluno sono troppo concise, e dobbiamo riportare quella del 1592 di Francesco Soranzo, che ci d;irà un ragguaglio abbastanza chiaro di questo secolo. J'EKIODO VENETO 047 i giudizj criminali e civili; l'estimo veniva colpito con le cosi dette còlte o imposizioni arbitrarie o proposte nei tempi di maggiore urgenza e quasi sempre gravitanti sui coloni o i bestiami; s'introdusse nel secolo XV c venne sistemato nel XVI il cosi detto colonato per cui si lassò in minimo proporzioni la rendita netta denunziata dai propriclerj; ogni cinque o dieci anni rinnovandosi per dar luogo allo cancellazioni dei beni incolli, ai regolari passaggi di proprietà, al sollievo od aumento dello imposto a seconda dello rimostranze dei privati , unica sorgente e la sola vera e reale, tla cui scaturiva il dato dell' imposta. La statistica teneasi esatta, regolare e minuta in ogni sua parte, giacché prima e dopo il seicento classifica varisi gli abitatiti secondo la condizione, sesso ed età; e così gli animali secondo la specie ed il valore. L'armonia tra le varie classi della popolazione, che si distingueva in nobili, cittadini e popolo in cui s'abbracciava la massa degli artisti od artieri veniva qualche volta turbata dall'eccessiva autorità, che si arrogavano i nobili in confronto delle altre classi, o dalla tendenza a rendere ereditaria nello poche famiglio nobili l'ammissione nel consiglio c nella pubblica amministrazione; allora i cittadini, che all'estinguersi ili una famiglia nobile potevano sostituirla, ovvero por ricchezza o per benemerenze aspiravano ad ottenere la nobiltà, reclamarono prima o minacciarono poi serj tumulti, che vennero dai rettori veneti dolcemente repressi, spalleggiando piuttosto i diritti del popolo, o invocando a suo lavoro le deliberazioni superiori. Questo comparvero formolate per Feltro in otto capitoli, che ammettono i cittadini all'amministrazione del fornico ed altri istituti, alla revisiono dei conti della pubblica azienda , alle deliberazioni del consiglio , insomma a tutte le attribuzioni della nobiltà (1607). So il podestà voleva qualche volta sorpassare il suo mandato, o sentenziare in opposizione degli statuti e delle vecchie consuetudini, trovava i consoli, il consiglio e il popolo uniti ad avversarlo, e quel eh' è il massimo ma quasi sempre inadempiuto dovere dei principi, rinveniva nel senato e nel doge rigorosa la tutela dei suoi diritti, come no è prova l'iscrizione di recente levata da una cantina e murata nell'atrio del municipio di Belluno di questo tenore, « Perpetua memoria, Como essendo stati fatti ordini e publicali proclami dal regimento contrarli et alteranti li statuti e privilegi di questa lidelissima città et portata col mezzo del noncio notizia alli Capi Eccellentissimi del Eccelso Consiglio di Dieci, dalla loro suprema autorità, con Ducali 30 giugno fu comandato che siano per 1' avvenire inviolabilmente eseguiti tutti li statuti et privilegi della città senza inovatione et alterationc alcuna, come in dette Ducali et altre precedenti di 26 marzo decorso et aderenti registrale nel libro d'oro del .Magnifico Maggior Consiglio — anno 1601 — 4 agosto », Illustra*, il et L. F". Voi. 11 HI Lo spirito militare fu conservato, per quanto era compatibile colle massime di quel reggimento, che, come l'odierna Inghilterra, aborriva dagli eserciti numerosi e permanenti, onde non cadere sotto il dominio di un capitano fortunato, o sotto il despotismo della forza brutale. Feltro e Belluno mantenevano le cosi dette cernìdc, dette con nome moderno guardie nazionali, le quali venivano istruite una o più volte alla settimana, e non erano mobilizzato che in caso di necessità; nel 1574 si formò una compagnia di 200 bombardieri che si ammaestravano nel maneggio delle armi da fuoco, delle bombarde e dei cannoni. Sebbene la gloria del veneto vessillo assorbisse quella dei soldati delle sue varie provincie che contribuivano a farlo trionfare, pure le memorie bellunesi e feltrine e quelle dei nostri rettori registrano i nomi di molti cittadini e nobili che si distinsero nelle famose guerre contro il Turco, sia mantenendo a propri*1 spese le truppe, come capitanandolo nei diversi combattimenti. Si rammentano fra gli altri i bellunesi Doglioni , Piloni e Pagani; e tra i fellrini Borgasio, Dal Govolo, Facen, Facini e Villabruna, che bene meritarono della patria. Oltre la persona e il valore, i nostri cittadini furono pronti noli'offerire spontaneamente somme rilevanti in denaro secondo si esprime il dispaccio di Francesco Tron del 1G18-. 2 • Se r* ■ 11 i ss i i m i Principe. — Non prima il ' h ieri mi capitarono le lettere di Vostra Serenità ne 19 et 21 deJ corrente, el questa mattina si è convocato il consiglio maggiore di questa città, nel quale havendo in pinna con quella miglior forma di parole, elle mi è stata somministrala dal signor Dio, el da quell'affetto, die deve mover l'animo d'ogni buon rappresentante la Serenissima Republiea in tutte le actioni, et eseciilioni, che tendono alla conservatione della libertà et dignità sua, esposto a che fine era slato fatto congregar esso consiglio, toccandoli anco molti particolari intorno alla necessità, in che si ritrova bora la Repuhlica di accrescere le forze di mare, et usar ogni altro mezzo possibile per difesa propria, et de'suoi sudditi, le ho poi fatto leggere le lettere di Vostra Serenità, che sono state da lutti udite con silentio el altentione grande; dopo la lettura dalle qli gli Eccellentissimi DI). Yeltor Buia, Odoardo et Francesco Pagali dottori hanno fatto in nome di tutta la città un singoiar uflitio per espression della costantissima sua devotione, et inconcussa fede verso la Serenità Vostra, affermando, che sicome e slata di continuo la medesima città esempio di vera devotione, havendo sempre nelle passate occasioni li suoi maggiori esposta prontamente et lasciata la vita nella difesa di questi confini, et sicome a bel principio della presen te guerra offerse ducati mj3 all'anno, tul-lochè ristretti in questi monti in universal necessitatosi bora continuando tanta giù-stitia dal canlo di Vostra Serenila, saranno tutti più che mai ardentissimi nel spender tuttavia le restanti poche facoltà loro, il sangue, el le vite slesse, et in questa parte et dove paresse a Vostra Serenità d'impiegarli, con risoluta volontà di esponersi sempre ad ogni rischio per servilio , et conservaliniie dello stalo di Vostra Serenità che con tanto amore si degna conferir anco con essi quanto passa nelle presenti congiunture. Al qual iiflìlio bo poi corrisposo, comendando così viva et efficace dimostratane del sviscerato affelto di questa città, prò mettendole di 'amo amplissimo testimonio alla Serenità Vostra la quale se ne mostrerà in ogni occasione ricordevole, et grata; et voglio sperar anco che, gli effetti sempre corrisponderanno quanto in nome pubblico è stalo dalli sudetti signori esposto. Di che vengo a darne parte a Vostra Serenità conforme al suo coniati- GOVERNO. VESCOV/ 649 La pubblica .moralità c contentezza erano sì generali, sebbene il governo versasse nei maggiori imbarazzi, che lo stesso Tron ricercato dal veneto magistrato so vi fossero prigionieri condannati o condannabili alla galera rispose negativamente col seguente dispaccio : « Serenissimo Principe, In queste prigioni non si trova non solo alcuno candannato alla galera; ma nò anco in quest' officio criminale vi sono processi per bora de rei che possano meritare pena consimile. Se capiterà l'occasione havrò particolar cura di eseguir in ciò il commento di Vostra Serenità ricevuto in hoggi. — Di Belluno li 14 giugno 1017. — Francesco Tron, Podestà Capitano ». Si scorge cosi essere il buon governo la più solida garanzia per la felicità dei popoli e per V interesse dei reggitori; e nel tempo stosso disporre gli animi alla concordia , e nella tranquillità dello spirito indirizzare lo menti alla civiltà ed alla coltura, sviluppando i germi di quella fecondità intellettuale che formò la gloria di queste città, non indegne di figurare nel circolo delle consorelle provincie. Vescovi. L'ultimo vescovo di Belluno che negli avvenimenti politici abbia avuto ingerenza fu Enrico Sca-rampe di Asti, eletto nel 1402; entrato al possesso della diocesi nel 140G, e morto in Feltre nel 1440. Fu consigliere di Sigismondo imperatore, e tra i conflitti delle fazioni guelfe e ghibelline di Milano venne chiamato a paciere, e per breve tempo a governatore di quella città. Cessala ogni autorità civile noi vescovi, i Bellunesi domandarono al pontefice che separasse le due diocesi di Feltre e Belluno, permettendo a ciascuna città di avere un vescovo proprio. Pio II le disgiunse dunque nel 1460, e nominò a ciascuna diocesi il proprio pastore, separazione continuata lino ai 1819. In ambe le diocesi molti vescovi andarono a gara in opere di pietà, neh' edificare chiese, dotare monasteri e istituti di educazione e seminar]' pei chierici. Emersero (lamento. — Di Cividal di Belluno li 29 dicembre i G18. — Francesco Tron, Podestà Capitano >. Riconoscente il doge Giovanni Bembo a tali dimostrazioni di sincero attaccamento al governo, con la ducale '^7 febbrajo assicurava i bellunesi della sua paterna benevolenza; e con altra ducale ringraziava i Feltrini delle truppe Offerte in questa guerra e dei doni promessi in denaro. per singolare virtù un Pietro Barozzi, trasferito nel 1488 nel vescovato di Padova; un Barozzi Giovanni si rese noto nel 1527 perchè, non curando l'interdizione del pontefice Paolo III, favorito dal senato, volle mantenersi al possesso del vescovato di Belluno, a lui promosso con una lettera di Clemente VII prima della morte del vescovo suo antecessore Galcso Nichesola. La morte dell' altro eletto e suo competitore Casalio sciolse la questione, per cui il popolo bellunese era stato colpito dalle censure ecclesiastiche per un anno ; scomunica che non ebbe il suo effetto, perchè il rettore veneto ed il consiglio obbligarono i sacerdoti ad uftiziare le chiese, e cacciarono dalla città e dal territorio tutti i preti e frati che si ritenevano vincolati a rispettare 1' interdetto. Furono splendidi e generosi specialmente i vescovi veneziani, come Giulio Contarmi che fondò il seminario de'chierici e lasciò ai poveri 10,000 ducati (1572): Alvise Lollino, dotto cultore delle lettere e scienze, che legò una ricca biblioteca al capitolo dei canonici di Belluno, i cui avanzi furono ora trasportati nel seminario ; ed alla Vaticana di Boma volle regalati gran parte do' manoscritti greci e latini; dispose di varie dotazioni a favore delle povere zitelle, e di un generoso sussidio ai chierici da laurearsi nel seminario o nella università padovana (1625): Giulio Ber-lendis, che istituì una commissaria amministratriee per dotare i sacerdoti che frequentano il coro «lei duomo di Belluno (1693): Giovanni Francesco Bembo che eresse un nuovo seminario e fabbricò la villeggiatura di Belvedere presso Belluno, destinandola in eredità a'suoi successori (1720). Gaetano Zuanelli fece costruire la torre del Duomo con disegno del cavaliere Filippo Juvara, che passa Ira le più eleganti d'Italia. Dei vescovi foltrini le opere assomigliano a queste. Le molte chiese innalzate o abbellita, che dimostrano una religione sentita, una pietà fervorosa. Di conventi conlavansi sei in Belluno, altrettanti in Feltro; parte con rendite proprie, e parte viventi delle pubbliche largizioni. Siccome la religione cristiana non va mai scompagnata dalla carità di prossimo, cosi nelle città s'erano istituiti i fondachi delle biade, dell'oglio, ecc. onde il popolo trovasse i generi di prima necessità a buon mercato, il povero rinveniva pane e vestiti presso i monasteri e alla porta dei doviziosi, e nelle sue infermila un sicuro asilo nei numerosi ospitali. Cultura, — Uomini Illustri. — Tali benefici influssi d'una civiltà progredita erano mantenuti da una sufficiente educazione , anzi estesa per quei tempi, por opera degli ecclesiastici e civili. Perciò divennero operosi gli ingegni e molti di essi distinti nello scienze, lettere ed arti, la cui fama passò la breve cerchia della patria, e si mantenne lino ai nostri giorni. Primo fra tutti è quel Vittore , figlio di Bruto de' Bamhaldoni e di Lucia Monda, nato in Feltre net 1378, conosciuto CULTURA. UOMINI ILLUSTRI (551 col nome della sua patria per Vittorino da Feltre. Inclinato agli studi lMtefàr|, vedendo impossibile per la povertà della sua famiglia il perfezionarsi nell'Università padovana, ricercò ed ottenne in quella città un posto di Vittorino da l'rl/rc. pedadogo al solo oggetto d'impiegare le or* di ozio negli studj suoi prediletti di greca e latina letteratura e conversare con quei professori, fra i quali si distinguevano Giovanni da Ravenna, Gasparino Barzizza, il Nicoletti ed altri. Non potendo pagare le lezioni di matematica lette dal Pelacane, gli si offerse servitore onde retribuirlo dell'insegnamento. Trattato male dal professore, si diede a studiare da solo lo matematiche, riuscendovi pienamente. Contrasse amicizia col famoso grecista Guarino di Verona, che teneva scuola in Venezia: poi ne aprì egli stesso in Padova una privata di belle lettere, tinche gli venne offerta la cattedra di retorica in quella Università. Ammetteva nello stesso tempo alle sue lezioni private i giovani ricchi e poveri, che mostrassero reale disposizione e buona volontà di dedicarsi alle lettere, licenziando senza riserve quelli che mancassero nelle necessarie qualità per riuscire. Stanco delle pubbliche letture, si trasferì a Venezia fondando una scuola privata, che attirava la gioventù studiosa di tutti gli Stali. Onde diminuire la concorrenza dei mediocri li voleva assoggettati indistintamente ad un esame rigoroso di ammissione, e desiderava che i ricchi supplissero in parto al mantenimento dei poveri. Chiamato nel 142o dal marchese Gonzaga di Mantova per l'educazione dei suoi figliuoli accettò senza curarsi dello stipendio, premettendo questa condizione. « Io starò teco, finche tu non esigerai da me cose indegne d' entrambi, e che si manterrà la tua virtù e saranno lodati i tuoi costumi. » Al che soggiunse il marchese: « Ed ioti ho chiamato perchè tu insegni a1 miei figli ad essere virtuosi, e gli instruisca in quelle cose, che a'principi più si convengono, o da questo istante li affido a te senza limiti. » Accorreva alle sue lezioni la turba dei cortigiani, dei nobili e ricchi del Mantovano, talché l1 Accademia di Mantova, fornita di altri maestri, riboccava di alunni. Prescrisse allora Vittorino che non si accettassero se non quelli che dimostravano moralità ed attitudine ad apprendere. Egli fu il primo, che conoscendo le diverse tendenze dell' u-mano intelletto e le diverse inclinazioni sociali della gioventù, istituì varj modi di educazione letteraria, scientifica e tecnica, ordinando che, secondo le naturali disposizioni dell' intelligenza e del corpo, e secondo la capacità mostrata nelT esame di ammissione, o nel corso degli studj si istruissero quasi esclusivamente i giovani in quel ramo della grammatica, logica, metafisica o matematica, in cui manifestavano più spiccata l'inclinazione. A questo fine fondò scuole di musica e di disegno per quelli disposti alle belle arti; affine di rendere gentili i cavalieri stabili l'insegnamento di ballo, di scherma e di equitazione. Soleva ripetere che non tutti i suoi discepoli erano forniti dalla natura per riuscire eccellenti nella filosofia, legge, medicina e bello arti ; tutti bensì erano destinati a vivere in società ed a professare la virtù. Quest'insigne maestro nella più difficile dello scienze civili, di vita integerrima, modesto e frugale, ambito da'principi, padre dei poveri, giustamente encomiato da nazionali e stranieri, aspetta dalla sua patria una lapide ; ed oggi infatti alcuni benemeriti Fellrini invocarono la pubblica carità per erigergli un monumento. La epigrafe posta nel palazzo del duca di Mantova ricorda un principe quasi dimenticato dalla storia, se il nome del maestro non lo rammentasse ai posteri per la più difficile fra le virtù dei grandi, cioè la riconoscenza. VlCTOUINO FelTKENSI 0U HUMAN IT ATICM I.1TEIUS EXEMPLOQUK TRADITA»! FeDEMCUS PlV.ECEl'TOUl P. SANCTISS1MO \ 3 Natale dalle Lasle con Jacobo Morelli pubblicò a Padova nel i77'* l'rancisci Prendi-taquee mantuani dialog ti s de vila, Victor ini l'ellrensts, ex codier vaticano. Fu quest'opuscolo che ravvivò la fama di Vittorino. L*abate Andre* estese le ricerche, e di quell'opuscolo trovò un esemplare mollo migliore nella biblioteca di .Mantova. Saverio Retti- CULTURA. UOMINI ILLUSTRI 653 Un' altra gloria, che, se fosse provata da documenti più validi che non semplice tradizione, e delle poche parole del Cambruzzi nella storia inedita di Feltre, eeclisserebbe quella di Vittorino per importanza, e applicazione al progresso della civiltà mondiale, sarebbe la scoperta della stampa. È noto che, un secolo innanzi la pubblicazione del Salterio stampato in Magonza nel 1457 usavasi in Italia e fabbricavansi in Murano iniziali e caratteri di vetro, « Panatilo Gastaldi celebre giuresconsulto e poeta (scrive il Cambruzzi ) boriva in Feltre nel 1450 tra i più ragguardevoli cittadini, il quale, corno si raccoglie dalle antiche memorie della nostra patria inventò la stampa dei libri, arte la più nobile e degna di quante giammai fossero ritrovate. Da lui 1' apprese Fausto Gomoshurgo (Giovanni Faust) che seco abitava in Feltre per imparare l'idioma italiano, e ritornato in Germania, con esercitarla nella città di Magonza si acquistò presso alcuni il credito di primo inventore; sebbene egli non ritrovasse che il modo d'inumidire i fogli perchè ne riuscisse più facile T impressione. » Aggiungono gli illustratori delle cose feltrine, che il Castaldi, vedendo le tavolette di legno e metallo inciso a caratteri rilevali ed immobili, colla conoscenza prima avuta delle lettere mobili di vetro, abbia comunicato al Faust come sarebbe facile il fabbricare in legno e staccate quelle lettere onde servirsene più agevolmente nella stampa, allora nota soltanto come stereotipia. Per quanto sia verosimile il racconto, e per quanto il frate Cambruzzi si mostri coscienzioso neh'accennare il fatto come positivo e scevro d'ogni eccezione, nulfameno dobbiamo starcene irresoluti nel dare un giudizio, mancandoci i modelli delle lettere, le corrispondenze sue e di famiglia contemporanee, nè altri documenti dell'Archivio di Venezia da cui dedurre indubbia prova. Certa invece e fondata è la celebrità di frate Bernardino, della nobile famiglia Fontana di Feltre, che contro il parere dei suoi congiunti vesti l'abito dei Minori Osservanti, e si acquistò fama di facondo oratore. udii se no. valse por illustrarlo ne' Discorsi tifile lettere e 4411« atti mantovane. Quel l'o-puscolo è un dialogo fra Alessandro Gonzaga, Raimondo Lupi, Francesco Calcagnini discepoli, che espongon il metodo d'educazione di Vittorino, e così in via ili narrazione esibiscono un bel trattato di pedagogia. L'accademia di Mantova nel t7'J'2 propose e nel 17',/4 ripropose come tema di premio, • In quale Stato si trovasse la letteratura de'Mantovani al tempo di Vittorino da Feltre, quali fossero i meriti di quest'uomo, e qual influenza abbia avuto generalmente la scuola che egli aprì in Mantova per ordine di marchese Giovanni Francesco Gonzaga. I sopravvenuti eventi guerreschi impedirono di darvi corso. Ma nel 1801 Carlo de' Rosmini stampava Idea dell'ottimo precettore ìtella vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de'suoi discepoli, lavoro ancor più morale che storico, e che fu riveduto dal Morelli. Stefano Ticozzi trovò altre particolarità sulla vila ili Vittorino, e le die fuori nella Storia della letteratura della Piave. (Belluno \Ml ) C. C. Molte città della Romagna e quasi tutte quelle del Veneto sentirono il penitente fraticello predicare la pace tra le fazioni, e consigliare la tranquillità delle famiglie. Inveiva contro i vizj delPepoca, e fra questi notava il disordine adottato da molte città di accordare a negozianti e ricchi Ebrei domicilio e protezione, col patto che aprissero un banco di prestito sopra pegno. Questi, approfittando delle urgenze dei privati, alzavano oltre il trenta e quaranta per cento l'interesse del prestito. Bernardino come Irato era nemico di questa nazione, che riprendeva coli1 ingegno speculativo qnelP influenza che P intolleranza cristiana e l'ingiustizia dei governi le volevano negare. Perciò concepì il disegno di liberare i paesi di tale usura coli'istituzione dei Monti di Pietà, i quali, dotati e amministrali per conto del pubblico, sovvenissero i bisognosi a più moderate condizioni. Eletto generalo della sua Congregazione, ebbe vivente l'onore di una medaglia colla sua elfigie, e dopo la sua morte, seguita in Pavia nel 2!> settembre 1494 Della virilo età di cinquantacinque anni, gli fu posta sulla tomba una iscrizione che giustifica la sua promozione a beato, e lo raccomanda alla posterità come santo. Anche Cornelio Castaldi giureconsulto meritò vivente una medaglia; fu oratore della patria innanzi al senato e sempre devoto all' indipendenza del suo paese nella guerra Cambraica. Viene lodato da molti contemporanei per lucidità nel verseggiare, sia quando cercava d'imitare il Petrarca, sia quando compose un carme riprovando i rigidi e servili imitatori del grande poeta '\ Scrisse poemi latini con eleganza , e le sue poesie italiane si devono conservare in un codice manoscritto della libreria del •i Un tempo vosco mendicando fui Scelte parole, quasi come 'I pane Va mendicando il poverel d' altrui. Poi lai raccolte conobbi esser vane, Perchè, a volerne far novelle parti Me li mancava a chi piedi, a chi mani. È s'io volea integrar tutte le parli, L'opra mia ri manca d'altrui, non mia, Onde mi posi a seguir miglior arti, Fin eh* io trovai che la diritta via E non seguir uè moderno ne antico Per eccellente e singolar che sia; Ma farse ognun di lor noto ed amico, Aver gli spirti ben purgati e lustri, E di poca fatica esser nemico, eccj Per ch'io non m'ho nelle parole astretto Alle parole del poeta vostro Ciò scritto mi sarà tanto a difetto? CULTURA. UOMINI ILLUSTRI 655 seminario di Feltre, delle quali alcune furono pubblicate a Parigi colla data di Londra da Giuseppe Farsetti ne! 1756. Morendo nel 1537, lasciava le non poche sostanze ch'egli teneva in Padova per istituirvi un collegio, ove mantenere i discendenti di due sue parentele di Belluno e Cone-gliano, e i giovani feltrini a cui ne mancassero di mezzi. Furono professori di scienze legali in Padova i feltrini Francesco Uomagno (1455), e Paolo Borgasio che venne promosso a vescovo di Nicosia nel regno di Cipro (1532). Vi leggeva teologia e metafisica Benedetto Bovio, che soscriveva la soluzione di tutti i problemi scientifici con queste parole : Ego Fr. Benedici un Bovius ad ornne quaìsùum, Dea [avente, satisfaciarn (1631). Alle celebrità letterarie di Feltre formano degno riscontro dotti e bravissimi Bellunesi, fra i quali occupano il primo posto i due Bolzani, zio e nipote, che sui fianchi di una porta laterale della chiesa di Santa Maria dei Erari in Venezia hanno lapide onoraria. Urbano dalle Fosse da Bolzano a dodici anni si vestì minore conventuale a Belluno, e nel 1472 a Venezia applicò alla filosofia ed alla greca letteratura, e per erudirsi nella filosofia orientale e nella greca viaggiò molti anni a Costantinopoli, nell'Asia minore, nella Siria ed Egitto e percorse tutta la Grecia; sbarcò quindi in Sicilia, fissando finalmente la sua dimora in Firenze, ove fu precettore di Giovanni de Medici divenuto poscia pontefice col nome di Leone X. Bitornato a Venezia nel 1490, aprì scuola di lettere greche^ alla quale accorrevano i giovani studiosi del dominio. Nel 1497 pubblicò, per istanza del tipografo Aldo, i principj grammaticali della lingua greca, che, per essere dettati in latino e per chiara e concisa esposizione, conseguirono l'universale approvazione in confronto delle altre grammatiche. Dedicò questa prima edizione a Pico della Mirandola; poscia l'ampliò con preziose aggiunto, e finalmente lo sue Istituzioni Grammaticali divise in nove libri produssero un lavoro completo e vennero stampate nel 1523. Prestò l'opera come interprete all'ambasciatore veneto Gritti, e con lui viaggiò di nuovo a Costantinopoli, facendo incetta di codici greci. Nelle vacanze autunnali, anche già in tarda età, scorreva le ardue cime delle patrio montagne classificando le piante. Amato dai patrizj veneti, precettore d'un pontefice generoso, mori volontariamente povero ma sereno nel 1524. A suo onore si coniò una medaglia, sul cui rovescio vedesi un libro chiuso circondalo da duo tralci di palme e di quercia. II suo busto in marmo a mozzo rilievo con elegante epitalio latino sta nel convento di San Pietro, ora Seminario. Alla sua" scuola si maturava il nipote Giovanni Pietro dalle Fosse, iltuslruz. del L. V. Vol. II. Si notissimo sotto il nomo di Picrio Valeriano Bolzanio. Aveva ricevuta la prima educazione letteraria in Belluno presso P insigne maestro Vicentino Faustino Giosippo, che si offerse quale ostaggio all' ingresso dello truppe imperiali di Massimiliano, e che impotente a pagare l'enorme riscatto, mori prigioniero ad Jnnspruck , vittima compianta del suo amore di patria e della propria generosità. Valeriano, allogato come maestro in una casa patrizia di Venezia, attese indefesso ad ogni genere di studj, e cominciò la sua fama di letterato col pubblicare alcuno poesie latine col titolo di Preludia nel 1505. Spiegò grande abilità noli' interpretare geroglifici od emblemi egiziani :I, e dopo un ritiro di tre anni nei dintorni di Verona, al comparire delle armi imperiali esulò a Roma , ove fu eletto maestro ai figli di Bartolomeo Dalla Rovere. Pei meriti proprj e dello zio riuscì caro a Leone X che lo delesse notajo pontificio, prelato domestico, e volle istituita per lui la straordinaria carica di arcidiacono della cattedrale di Belluno; quindi fu ammesso al protettorato del cardinale Giulio de Medici, col quale alternava sua dimora fra Roma e Firenze. In lingua italiana fu stampato un dialogo fra Toscani e Lombardi sull'argomento se si debba dare la preferenza alla lingua toscana oppure alla vulgare, cioè a quella mista di tutta Italia, che pretendesi predicata da Dante; lascia in esso indecisa la questione nel timore di ollendere la suscettività dei suoi grandi mecenati. Le suo opere in versi e prosa sopra Virgilio, i geroglifici, i quattro sermoni sulle antichità bellunesi, il trattalo sopra la sfera , le epistole sulle Pandette o molti altri lavori di vario argomento sono in Ialino facile, corretto e saporito. Dopo la morte di Clemente VII e dei suoi nipoti, Ippolito ed Alessandro de' Medici, che segui ncll' esiglio come nella prospera fortuna, entrò maestro di Alessandro Farnese nipote del pontefice Paolo III ; finalmente nel 1537 decise di farsi [irete, e negli ozj, abbastanza proveduti di pensioni e di benelicj ecclesiastici , compi la sua grande opera sui geroglifici. Nel paesello di Ca-stione presso Belluno invitava i giovani ingegni bellunesi a studiare e poetare, gettando le basi di quell'accademia letteraria, che, mutato nomo, visse più o meno fiorente fino a noi, ed ora col vecchio titolo degli Anislamki sembra risorgere. Sul suo esempio s'innamorarono della poesia nobili e cittadini, e manifestarono in vario argomento splendidi saggi Nicolò Cordato o Co-raulo ed il figlio Piero vero talento poetico, spento sulP aurora della vita ; brillarono come poeti Flavio Maresia, il Tisoni e l'eloquente Tom-fi S'intende come poteasi allora, cioè assurdamente. C. C. COLTURA. UOMINI ILLUSTRI 657 maso Miari, emulati dagli Egrogis, Persecini, Doglioni, Colle e Novello, che queste amene valli allegravano di orazioni e di carmi. Altro ingegno singolare, professore di belle lettere a Treviso, attirava l'attenzione dei duchi di Milano, di [leggio e di Ferrara, e divise cogli Aldi la gloria di perfezionare Parte tipografica in Italia. Lodovico Pontico, discendente dalla famiglia Da Ponte, che poi si chiamò Pontico Virunio, noi 1490 fu maestro in Venezia ad Antonio Visconti, ambasciatore di Lodovico Sforza duca di Milano, poscia ricercato dal duca stesso, soggiornò in Milano quale precettore dei figli di Gian Galeazzo, finché per la fuga del duca nel principio del 1500 venne a Reggio professore di lettere greche e latine, quivi stabilì in società una tipografia, divenuta famosa per lo corrette edizioni di libri greci e d' autori Ialini ridotti e purgali dallo slesso Pontico. Compose le storio britanniche e la storia arcana d'Italia, che con l'edizione della grammatica greca del Crisolara, gli apportarono molta 'fama e non lieve fortuna. In un viaggio in Italia, impreso colla nobile consorte Ubaldi di Reggio, fu arrestato per troppo libere opinioni politiche a Forlì ; sprigionato per opera del cardinale Ippolito d'Esle, si rifuggì a Ferrara, ove fondò altra tipografia in società col Boniccioli : inimicatosi con questo che aveva il favore del duca, lasciò Ferrara, e diodo in LugO, ito Bologna e poi a Macerala pubbliche leti ure. Fu compagno all'editore Solicino nella tipografia dei Gonzaga di Mantova, ma essendo finalmente invitato con lauto stipendio a lettore in Bologna, rimase soddisfino del numeroso concorso e della gloria che gli procuravano le sue opere composte e stampate; laonde Gssò quivi la sua dimora finche inopinatamente morì nel 1520. Sul finire del XVI secolo e il principio del XVII fu coltivata la lot-teratura da Panfilo Persico, autore del Segretario e di altre operette di filosofia, onorato di difficili legazioni dalla Corte di Boma, e alla morte del dolio suo amico Lodino eletto vescovo di Belluno sua patria (1025); da suo nipote Giuseppe Persico, canonico riputato della cattedrale di Padova; dall'abate Michele Cappellari, segretario di Cristina regina di Svezia, il (piale compose in Boma carmi latini, ed un poema in dodici canti intitolalo alla stessa sovrana, col nome di Christina lustrata. Di nuovo si animò la letteratura in Belluno quando, sull'esempio del Pieno Valcriano e di Giovanni Colle medico e letterato, entrambi fondatori di una raccolta accademica di fervidi ingegni, il padre Agnadelli istituì quella degli Anistamici, eh' ebbe a lodarsi dei lavori dell'Alpago, di Carlo Miari, del botanico Giuseppe Agosti, di Lucio Doglioni, celebre per le vaste sue cognizioni in ogni genere di letteratura, di Giuseppe Urbano Pagaui-Cesa, ingegno pronto e vivace, di carattere altero e irrequieto, poeta lirico- -tragico, critico mordace e traduttore l'orbito; finalmente di Francesco Maria Colle istorie-grafo dell' Università padovana, le cui memorie sono ricercatissime La scienza medica venne appresa e praticata con singolare amore e perizia, onde abbiamo sopratutti famoso quell'Andrea Alpago , che ottenuta la laurea dottorale in Padova, viaggiò per la Siria e l'Egitto in cerca dei codici manoscritti di Avicenna e di Avcrroè, eh' egli tradusse correggendone i testi che correvano allora zeppi di errori. Dopo tren-Uanni di fortunata carriera medica nel Levante, in cui lasciò con mollo fi Stefano Ticozzi lecchesc, da noi già nominato, fece la S/ow de' letterati e degli artisti del dipartimento del Piave , ma essendosi allontanato dal paese al cader del regno d'Italia, non lo compi, e giunse solo a Pontico Virunio. Il conte Florio Miari fece il Dizionario storico-a/"listico-letterario bellunese ne! 1843; nell'anno seguente il conte Marino Pagaid diede il Catalogo ragionato delie oliere de' principali Scrittori hella-nesi non viventi. Il senatore Francesco Maria Colle visse dall'? 44 al 181.", e lasciò postuma la Storio scientifica letteraria dell' unirà siiti di, Padova. Il l'agaiii Cesa , nato il I7!i7 e morto a Venezia il t83!i, sotto la repubblica fu ispellnr de'liosehi; sotto il regno d'Italia, intendente delie finanze in patria; il resto di sua vita feda letterato atrabiliar«. II Cesarolti conosciutolo allo studio di Padova, lo guastò con lodi immodiche per quella agevolezza di poelare, che ne'giovani è piuttosto a reprimere. In l'atto le prime sue poesie, stampate il t7S'2, non hanno che facilità d'espressioni e d'immagini, dietro il modello allora veneralo di Ossiam e del Cesarotti. Poesie di fattura migliore e di sentimento più vero dettava allora, ma non le esibiva al pubblico, in parte per la sconvenienza loro, in parte perchè non dicevoli col gusto corrente. Come accade, gli applausi prodigatigli per le prime opere si cambiarono In critiche al comparir di altre; e mentre il suo Tremuoto di Mesnina era stato accollo da tolta Italia come un capolavoro, si torser le labbra al Viaggio per aria e alla Villeggiatura di Clizia. Ridondante nella sciagurata infelicità d'improviselore, avversava naturalmente la dura concisione. d'Ai fieri, e le medie tragedie clic fece [l'ollissena, Andronico, Servio Tallo, Lucrezia vendicata. CUdildc, il Convito, Arisbe, Costantino, Jacabbo, il trabucco, la Moglie indiana....) conservarono e il coro e le decorazioni, e tutto il corredo lirico che l'Astigiano repudiava. Scontento del Cajo Gracco del Monti, ne fece uno che pretendeva delineato secondo la storia, e per verità riusei forse meglio che in ogni altro tentativo, perchè, applicatosi a produr.il vero, e col proposito di superare mi tal emulo, si nutrì di pensieri meno frivoli e comuni. Nel Nabucco adombrò la caduta di Napoleone; poi fece drammi per musica, enei ISI ti stampo a Firenze le Considerazióni'..Sul teatro tragico italiano, libro ristampato,» non isproveduto di buone vedute, ina da gazzetta più che da vero tratlato, quale, pai-esempio, quel dello Sebegel.Criticato dalla Biblioteca indiana, ripicchio col Mazzo di /tori, e potea dir mazzo di spine. Taeiaiuo una sua traduzione \\AVEneide, opera sì poco conforme al far suo trascinato, e quella deW Aleeste di Wieland, del l'Atrio e Tieste di Cre-billon. Stese gli elogi del Doglioni, del padre Clemente, del vescovo Sandi, di san Bernardino, di Antonio Miari, e nel 18ll> propose un'associazione a tutte le sue opere, che dovea comprenderne molte, non mai stampate che noi sappiamo. Insofferente della contraddizione, ebbe zulVa con chiunque il toccasse, foss'anehc cortesemente ; pienissimo dell'idea del proprio merito, facilménte trovava disgusti, e perciò mutavasi di citta in ci Uà sempre vedendo o asineria o ignoranza in chi noi venerasse , e ciò incontrava sovente nella generazione nuova, volgentesi ad altri idoli che quelli nel cui culto egli crasi formato. C. C. CULTURA. ARTI 651) credilo il nipote, fu prescelto dal senato alla cattedra di clinica medica in Padova, ove repentinamente mori nel 1521. Sulla facciata della sua casa in Belluno se ne vede il busto in marmo a mezzo rilievo coir i-scrizione : Andreas Alpagus vir genere ci., qui, lingua? arabo? perilns, Avi-cennam ab infintiti erroribus vindicavit patr. famil. q. decus perpet. MDLXVI. Eustachio Budio, eletto dal senato professore di Padova nel 1599, e cavaliere di San Marco, oltre essere pratico molto stimato, compose opere di scienza profonda. Nei tre libri De naturali atque morbosa cordis constilutione, e nei due De pulsibus chiaramente espose la teoria della circolazione del sangue, ben prima d'Hcrvey. Bipetiamo il nome di Giovanni Colle, che, invitato medico alla corte di Urbino, vi stetto ventitré anni, poi a Padova morì professore lasciando opere mediche riputate, e, lavori storici e letterari' sulic provincie venete o snlP accademia degli Elevati, da lui fondata in Belluno. Professò pure in Padova Zaccaria dal Pozzo di Feltre, autore della Clavis medica, che preparavagli posto eminente fra gli autori, se, cadendo dalle mura di Padova, non fosse perito di trentacinque anni. Suo tìglio ne ereditò la scienza, e lesse medicina in Padova nel 1480. Furono celebrati in Germania e archiatri dell'imperatore Federico, che li creò conti dell'impero, Girlo o Girolamo Da Castello di Belluno, e Vittore Lusa di Feltro suo discepolo e successore, finalmente il terzo feltrino Donato Villalta. In questi tempi lesse medicina all'università di Bologna Matteo Bellati di Feltre7. Servirono lo straniero con distinta capacità militare e civile Bona-corso e Paolo Emilio Grino, il primo capitanò contro il Turco 600O soldati per la repubblica veneta ; poi si segnalò al servigio di Carlo V nelle guerre contro i Protestanti di Germania ed ebbe in dono da lui il castello di Burtcnbach col suo territorio; morì combattendo nella Lorena noi 1553. Era peritissimo nello lingue dotte e parlate, scrisse dialoghi di piacevole argomento e tradusse dal greco a latino con qualche maestria; Paolo Emilio Grino suo nipote, commissario per le truppe di Carlo V, trovandosi in Monaco, ebbe il coraggio di levarsi solo in mezzo a molli Tedeschi che offendevano l'onore italiano e vendicarlo coli'armi. Ritornato in patria mori nel 1562 lasciando a prova della sua cultura alcune orazioni in lode dei veneti dogi. Ebbero titoli di nobiltà e privilegi da Carlo Vi Tel trini Francesco Facini, l'oratore Giovanni Pasolle, 7 Fra i naturalisti aggiungiamo cinque della famiglia Chiavaind che lutti scrissero, ma il solo Nicola ebbe nome per l'estratto d'assenzio che cavò dall'ubsinthitim uuh bettiferum, da lui rat colto sul monte Serva, e che da Linneo in onor di lui fu denominato Achillcea Clave n me. C. C. (if>0 STOMA ]>! BELLUNO mentre Tommaso Pasolle fu segretario del duca di Baviera. Ci dispensiamo dell'annoverare molti altri che figurano in questi tempi, bastandoci aver Offèrta la prova della svegliata indole e della civiltà espansiva di queste popolazioni. L'operosità industriale dei nostri Comuni viene testificata dallo relazioni dei veneti rettori i quali nel secolo XV e XVI scrivevano al senato : « Si occupano i cittadini di Feltre alla mercanzia, csscndovene di tre sorte, la prima è il lanificio per la quantità delle pecore; avendo l'obbligo di essere tosate nel suo territorio per il loro statuto; così si l'anno grandissima quantità di panni, che si spediscono per Bolzano, Bologna, Ferrara e Puglia. In questo negozio sono intervenuti molti nobili o cittadini, ma quello che più importa vivono in esse molte persone filando e tessendo. La seconda merce è le lame di spada od altri lavori ili ferro, per la vicinanza delle miniere e comodità delle acque, sopra le quali sono numero grande di fusine che lavorano con molti uomini e sono sempre occupate ; la maggior parte di queste spade sono spedite per Franza, Messina, Fiandra e Allemagna. Hanno ancora il negozio delli legnami da lavoro e da brusar, che si tagliano parte nel suo territorio e parte in quello di Primiero, e discende giù pel Piave o pel Cismon H Brenta; il guai negozio, pel grande guadagno, per la gran quantità - -li opera] ci edifiej per tagliare, condurre e segare è di gran comodità utilità a quella città e territorio, per il qual servizio sono nella villa Fonzaso molti edifiej di seghe, e per ^questo commercio è fatta villa - -ì grande e ben fabricata ed ornala, che poche ne ho veduto altrove cosi accomodate » 8. L'arte della lana prosperava anche in Belluno; si fabbricavano armi d'ogni specie molto ricercate in Lombardia e nel resto d'Italia. V avea fucino da ferro e acciajo in Àgordo e nella villa di Allcghe; numerosi forni di fusione di ferro e piombo esistevano in Zoldo , oltre le miniere di questo metallo, di rame e mercurio che si escavavano nelle metallifere montagne dell'Agordino e Zoldano. Attivissime erano le cave dei nostri marmi e.delle arenarie cineree ad uso di mole da molino, c quelle scaglie rosse, disposte in strati orizzontali presso il lago di Santa Croce ed altrove. Con tali industrie e colla migliorata coltura dei campi dopo 1' introduzione del frumentone; colle severe pene contro i furti campestri minacciate nei nostri statuti, e con quella specialmente di rendere so- C Relazione di Giulio Garzoni, podestà e capilanio di Feltro, 1578. CULTURA. UOMINI ILLUSTRI 061 lidarj del furto tutti i membri della famiglia, e nel caso d' impotenza obbligare il Comune all'indennizzo, si era ovviato alla piaga sociale che ingombra in oggi le prigioni dei nostri distretti. Negli statuii poncasi che, in ogni matrimonio ed alla nascita d'ogni bambino lo sposo ed il padre dovessero piantare un pero, un pomo ed alcune viti, obbligo che nelle montagne della Svizzera, mantiene la riproduzione degli alberi resinosi. Con tali elementi di materiale prosperità, di educazione morale, di sviluppo letterario e scientifico le arti risentirono quel rigoglio di vita, che in soli dieci anni fece risorgere Feltre colla sua bella piazza circondata dal palazzo dei rettori (ora teatro), dalla chiesa di san Rocco colle fontane marmoree sottoposte, e con un caseggiato ampio e saggiamente costrutto. Si ammira il lusso delle arti, col superfluo ornamento nelle facciate dipinte a buon fresco dai celebri pittori feltrini Pietro JVIercscalco e Pietro Luzzi detto il Morto, emulo del Giorgiono7, e secondo un' antica sua biografia, inventore di quegli ornati a graffito sul muro, di cui si hanno bellissimi avanzi nella facciata del Monto di pietà, della casa della pretura e di altri fabbricati di Feltre. Mostra il rinascimento della scultura l'arca marmorea, ove giaciono lo spoglie dei santi Vettore e Corona, eretta in quella chiesa nel 1440. Belluno, colla vasta sua piazza di Campitello, con quella più ristretta del Duomo e l'altra del Mercato, co*' suoi borghi alquanto angusti ma abbastanza simmetrici, vi offre l'aspetto di ridente e graziosa città che si spiega in armonica linea di anfiteatro. La piazza del Duomo è circondata dalla cattedrale, dall'antico palazzo dei Vescovi che conserva ancora al lato settentrionale una torre, in cui giace la campana del consiglio. Il palazzo del consiglio fu distrutto, e sostituito invece dal pesante c golfo edilizio del tribunale; cogli avanzi di esso sul gotico stile venne recentemente, a disegno del valente architetto Segusini, innalzato l'attuale municipio. Il palazzo dei rettori, ora delegazione, cominciato nel 1409, ricostruito nel 1491, ha una bella e gentile facciata ad archi con intagli, fregi, fogliami e busti in bronzo e marmo di buon gusto con isquisito lavoro. Appena fuori della città sta la villeggiatura dei vescovi della Belvedere, nelle cui sale sono pregiati affreschi di Marco e Sebastiano Ricci. Questa provincia fu invero la culla di artisti in ogni genere di pittura e scultura, e noi potremmo registrare molte opere e nomi, dei quali i nostri cronisti, e specialmente il Miari, tenner esatto conto e dieder 7 Dol Morto di Feltro ci lasciò In biografia il Vasari C (]. preziose particolarità. Limitandoci a citare i sommi, il pensiero ricorre subito al secolo XV e XIII, in cui notiamo il suddetto Morto da Fcltre, AUTISTI CG5 Casa ilei Tiziano a Cadore, Tiziano e Francesco Vecollio e molti altri di questa famiglia, originaria da Pieve di Cadore ove se ne conserva la casa Successero a questi Nicolò ti La famiglia de'Vecellj è noverata Ira quello che, noi ITmS, costituivano il consiglio bellunese. Francesco fu fratello di Tiziano: Orazio fu tiglio, Marco nipote e compagno lllustraz. del L. V. Vol. II. Stefani, Gaspare Diziani e i due Ricci, l"uno felice paesista e il più fedele interprete della natura, 1' altro bravo c ompositore e pittore sul fare di Paolo Veronese; che dipinse nelle capitali d'Europa e in Venezia, e qualche opera sua han le chiese di Belluno. Si distinse il Frigimelica per la viva intonazione del colore e per la facilità delle mosse nei ritratti e nelle composizioni, che ritrae del Paris Bordone. Contemporaneo ai Bicci fi] Antonio Lazzarini grazioso pittore ; aggiungiamo i due Ridolli e il Xais felice imitatore dei paesi del Zuccarelli e splendido dipintore di battaglie. Ognuno conosce Andrea Brustolon (1 (Ì62-1732), che fece tanti intagli in legno nella Romagna e per case di veneti patrizj, e per confraternite, e la famosa custodia di reliquie dei Frari: ma non tutti possono conoscere i lavori dei suoi scolari, come Della Dia Dollabela e di altri moltissimi, le cui opere si veggono a profusione nelle nostre chiese, e nelle anticaglie delle nostre case. Si ricordano scultori in marmo ed in plastica, incisori in rame, e modellatori corretti neh' arte figulina che, a cognizione dello storico Barpo, * fabbricavano vasi di squisita finezza non punto inferiori ai Fajentini ed all'istossa porcellana del Giampò (Giappone) nell'Asia, come tutt'bora possiamo cognoscere da alcune reliquie di essi, custoditi in casade particolari per cosa preziosa ». Chiudiamo il periodo veneto con sì belle e rispettate memorie e coi grandi nomi poc1 anzi annotati, senza perderci nella descrizione della loro vita più o meno avventurosa. Le opere li raccomandano abbastanza alla presente generazione, come gloria, eccitamento ed esempio. ir.senarabile. Da questo nacque il Tjacianello, franco coloritore, ma molto degenere dalla prima schiera. Sono d'un aiti o raniu della famiglia stessa Fabrizio (tS80) Cesare e Tomaso. C. C. NOTI- NOTA I. Relatio viri nobiltà Bernardi Balbi, revèrsi Potestatls et Capitativi Feltri presentata Dominio àie attimo oclobris MDXXVl. 1. De mandati» di vostra Sublimità, Priiicipe Serenissimo, sum stalo al re-zimento della vostra cita di Feltra et suo destretto, la qual mi ho sforzato rezer et guberuar, iuxla la commissioni! sapientissima a mi data dalla Serenità vostra, et praeeipue socundo li sui statuti et laudabel consuetudine, et in qllo hano mancato, sccundo la dispositionc della leze comune non havondo rispetto ad alcuna persona di qualunque grado et stato in far iustitia, si in lo cause civile come in le criminale, in punir li delinquenti, et in purgar dia cita et territorio dclli mali et tristi, per dat exemplo a tuli de ben vivere et di abstenirse dal mal operar, et per lenii1 dita cita et territorio in quiete, et tulo homi sforzalo di far cum quella sincerità et integrità ql si ricerca in qualunque bon Rettor e\e-cutor della saucta mente di vra Celsitudine. Ho trovato dita povera cita, qual prima eia fatta un monto di cencio per lo incendio universali' di ([india , ben noto a vra Ex.tia et a tute il mondo, tamen assai ben reduta et reedificata cum li horgi, prò maiori parte per la industria laudabile dolli fìdelissimi citadini vostri, di quella, dico, per la industria, perchè credo che ogni altra cita, caeteris paribus, alla qual fosso occorso simil infortunio, non barche potuto così ridarsi, dome hano fato loro, li quali sono homeni industriosi in la mercatura de panni et alleo cose; et per lo grande lanificio qual sustenla ditta fedelissima cita: onde meritano comondatione et ogni insto suffragio; et spero che se non sarano impediti dallo guerre, che Dio non lo voglia, no la resti-tuirano più bolla (die prima, et olirà lo fabrichc private, hano speso assai in restituir le puhlice, come dirò di sotto. Ho trovato in dita cita una laudabil civiltà, si de cavalieri et dottori, come de altri nobili et mercadanti, et luti in qualùnque grado fedelissimi di questo Illustrissimo Stato, et a me, come rappresentante quello, obe-dientissimi, et attenti ci solicili ad compagnarmi, El a ciò che dita cita non manchi do tute quelle parte le (piali convengono ad ogni altra bona cita, ho fatto un collegio di dottori canonisti et. legisti al numerò de xvij, et dottissimi, tuia via do conscensu et auctoritalo do Vostra Serenila, dinotandoli reverente esser li uno altro collegio de nodarj al numero de sottanta et ultra, et altre frataglie1 de l'arte de lana della Gloriosa Virgilio, di Sancto Vctlor, et Sancta Corona, et de altri Sanctj, che saria tango dir, et esserli monasteri do'frati Mendicanti numero B et di monache numero 3ioltre la chiesia cathedral; ma ho voluto comemorar queste cose, aciù la intendi esser in ditta cita quello che apparticn ad ogni altra cita ben instituta. E ritornando allo fattrice puhlice, oltre la habitatione dclli Rettori nel castello, et loze, et. piazé fatte de comandamento dclli mici magnifici precessori, ho dato opera a compir la fabricha dell'antiguo palazzo dclli Rettori , et a compir il loco del fonticho delle biave, et della casa et loco della Sehola, tute cose suinamente necessarie, et ho dato opera in far stro-par el ferar tuli li tinsi dolli muri della cita, et le porte et ponti di quella. Talmente che ditte porte ogni notte se serrano, àciò del luto habi forma di cita, corno di prima, perchè se potea dir che fossero in campagna: che saltom sarano sccuri do qualche impelo do correrie de inimici: et omnino tute porlo, qual sono tre , hanno li sui capitani et compagni, li quali havevano li sui consueti stipcndj senza faticha. E perchè dita cita è stretta de biave, ma abundantc de vini, homi sforzato di tenirla abundante de tormenti, cum tenir le botege tolte ad affilio in luco del fontego, piene de minienti, admodo che et sono anchor de fermenti vecebij st..... alla mensura venctiana: et cum il refar del fonticho et dita schola, ho liberato quella povera comunità da spese de fìtti de ducati venticinque in trenta al anno. Homi sforzato di tenir ditta nostra cita in unione et pace, come è di mente di Vostra Illusi rissima Signoria, et de ben vicinar cum li sudditi della Cesarea Majcstà, overo dell'Illustrissimo Principe et Archiduca do Austria, li quali confinano al ditto vro] Termine per la via della Schalla miglia X. per la via delTasino miglia XV, per la via de Primiero miglia XV, facendo a ditti confinanti quelli piaceri mi è stato possibile, tuta via servando l'honor et decoro di vostra Serenità. Ho atteso ad mandar Ulto il danaio mi è stato possibile del tratto di colte alla camera vostra di Treviso per conto dello arsenal, et per altri conti, talmente che nel mio rezimento bassi recepii lo L.... nò ho mai permesso che ditti danari de colto sijno deputati alle fabrice, nè ad altri . bisogni. Ma 1 io voluto che sijno tuti mandati alla ditta Camera, et il debito di quella (iddissima Comunità per conto de ditta Camera non è causato sotto el mio rezimento, ma sotto li pcessori per le fabrice preditte da loro fatte, come chiaramente si vede per li lor libri publici, et io non ho speso un soldo de danari do ditto colte in fabrice preditte qual ho l'alto fai'. E per declarar a Vostra Signoria lo intradc et speso qual ha la Co- 1 Fratatie, fratte chiamavansi nel Veneto quelle eh e ila noi società, compagnie, mae stronzo, c,C. NOTE 667 munita de ditto loco per gratia et privilegio di Vostra Illustrissima Signoria li notifico, come liano le intrade delle colte universa! le quali ascendono alla somma de Ure 7(.).r>2 : delle qua! colte si traze il censo di Vostra Sublimità et ducati 9o al mese deputati alla vostra Camera di Treviso per conto della solita prestanza delle lance spezate; hano poi le intrade dell i lor datij. le (piali non sono perho ferme come sono le colti;; perchè ora calano, fiora crescono secondo li lempi, come fa per luto il mondo: del tratto delle quali se paga li vostri Rettori del netto, et de quello va alti Clarissimi Governatori vostri delle intrade per la limilation ; che è, alla stimma do due.....al mese; ilem de ditti datij pagano uno phisico exel- lenlo, al qua! li dano de salario due. 200 al anno; ilem uno ciroicho, al qual li dano due. 100, ilem uno magistre de schola al qua! li dano due. 101) al anno ci la casa; ilem pagano li capitatici de tre porto cum li sui compagni, zioò il capitaneo della porta imperialo al qual li dano L.... al mese, et ai dui sui compagni L... al mese; et similiter al capitanio della porta aurea cum li dui compagni. Ma al capitaneo della terza porla et la Pu-sterla li dano LIO al mese: ilem li ditti datij dano a tre cavallari L 12 al mese per uno; itom a uno lontanare per esser necessario che Le fontane sijno tenute in conzo per il pericolo del focho, al (piai o exposto dilla cita ; perchè la mazior parte dclli toti sono de scandole; li danno L... al mese; item a un capo de cavallari L 24 al mese; item al trumhetla li dano L... al mese; item a campanari L... al mese; item a uno capcllano per li magnifici Rettori L.... al mese; ilem a uno che attende alla chiesa de Sancto Stephano, capella della piazza L____al mese; item a uno massaro del Comun L 12 al mese; ilem a duo cancellieri de Comun L 8 al mese per uno; item a uno rajonalo, overo quadarnicro, che tien il conto delle intrade et spese, L 12 al mese; ilem a dui sindici de Comun L B al mese per uno; item a 8 deputati L 4 L 10 al mese por uno; item a due desgrossadori, che sono sopra le strale L 3 al mese per uno. Et queste tutto spese sono ordinarie. Hano la intrada del datio del sale, qual li rende L 100 di pizoli al mese et le commendation, le (inai sono incerte, et la più parte difficile ad scoilere, per le appellalione vieti interposte; ma hano assai spese extraordinarie; come sono le fattrice, et ponti puhlici, et de ambassadori, et de allie cose, che alla zornata occorrono ; et maxime sono grande le fahrico delle cose puhlice, necessarie, per la mina de ditta povera cita. Et perchè, come ho ditto, (pici territorio è confinante cum tedeschi, sum cavalcato ad veder tutti li passi, par li quali ponno discendere suso quel territorio, per veder cum che via et modo se li potrebe obslar et resister; unde ho veduto alcuni de ditti passi largì, per li quali pono discender cum Io esercito a piedi et a cavallo, et cum carri et artigliane, et alcuni angusti, per li quali ponno descender solum fantarica pieci i cum schiopetti, et altre arme da man, li quali sono li infrascritti videlicet: prima, il passo della Schalla dove soleva esser una bella fortezza minata da Tedeschi, per il qual per la Val Sugana et de Trento poi venir exer- cito pedestre et equestre cum artigliarle et altre cose necessarie, dove se potria renovar un'altra fortezza, come prima, che lo intertegneria; ma di sopra ce' uno loco, che se chiama il Forame, per il qual potria venir so-lum fanti a piedi per dar molestia a ditta fortezza dalla parte dentro, acio-che lo exercito che la comhatesse dalla parte de fora più la strenzesse; ma ditto forame poi esser custodito da 200 boni fanti cum archinosi et simil artigliane, li qli interlegneriano ogni numerosa fanteria da inimici. L'altro passo si domanda il monte di Celarzo, pur sopra la Seimila miglia cinque nel circa, qual è latissimo et piano, et nel tempo dello altre guerre ce sono stati fatti bastioni, dove sono stati ociosi assai fantarie, per esser loro molto distante da soccorso, ma volendo lo exercito inimico descender in la villa de Arsio per lo ditto monte ampio, si restrenze ad una villa detta Meliamo, dove se poi far un bastiono, che lo intertegneria tanto che li vegneria soccorso d'Arsie et Fonzas, ville grosso, dove ce sono boni fanti, et dalle altre villo circumvicine sino che dalla cita di mano in mano, et dal resto del Territorio li zonzesse soccorso, tuta via li bisognarla fanti et cavalli usati. Il terzo passo, è la villa de Lamon, sino alla qual per una montagna ditta Poit, cohorente al Tasin, se poi descender a piedi et a cavallo ; ma volendo descender dalla ditta villa de Lamon alla ditta villa do Fonzas, zite nel piatì, si poi intertegnir per do vie, una por incastellar, come era consueto, la giosia della ditta villa, qual è su un cole, che domina tuia la campagna de essa villa, et. intcrtegnii li poi de sotto do dilla villa verso Konzas ad uri loco angusto qual si domanda il Ponteto, over il Ponto alto, dove si suol far un bastione, il «piale con 200 fanti cum sui schiopetti, over archibugi, intertegnirano ogni grande esercito sino al zonzer del soccorso. II quarto passo si domanda il Schener; per il qual si descende dalla vai di Primier alla villa de Servo et Zorzoi, et do li in campagna di For= Ire; ma è un loco angusto, ita che per quello non poi descender se non fanti a piedi cimi sui schiopetti in spala; ne poi esser condotto vitualie, ma solum poi portarle pani nelli carnieri et vino in li botazj, et per questo fu de mandato de Vostra Sublimità fabricato ivi una fortezza, la qual in queste guerre è sta minata da inimici; ma polriasi l'ire più forte che prima; e questo è il passo per qual li ditti de Primier conducono suso some de muli et cavalli, solamente vino et altre viluarie del territorio feltrino et trevisano per uso del viver loro, dove se tion un deputato alla custodia del ditto passo, acio non siano contessi contrabanni, portando le robe nelato, le quali tamen non ponno passar de li, se la bollota dclli datiari non è sigillala da Vostri Rettori. Quinto, è un passo nominato Fenestra, qual è posto in capo da una valle chiamata Val de Canzoi, confinante alla Val di Primier; ma ditto passo è tanto angusto et stretto, che per quello non poi descetuler se non fanti a piedi con li sui scluopi et carnieri eie. el fanti dusonto NOTE m interteniriano ogni numeroso esercito, che per quel loco volesse descender od dani de Feltrini. Sesto, è il passo de Val de Garza, el qual simelmente è angustissimo; pche da quello non poi descender dalla ralle di Primier con la qual confina, se non fanti a piedi cum sui carnieri et schiopetti, et è consueto in tempo di guerra farli un bastione, qual custodito per cento fanti cum sui archinosi da ria impedimento a quanti fanti a piedi volessero descender per quel loco. Il septimo è nominato Carni de Mis, qual die esser custodito da Feltrini et Bellunesi, per esser et spettar ad ambedue populi prò dimidio; et perche per un loco chiamato Gosaldo, confinante cum la Val de Primier, se poi descemler in ditto canal, per il qual discorre un fiume chiamato el Cordcvolc, è consueto ad farsi un bastione in un cole dito Piera Mula posto in dillo i-anale verso il feltrino; perche dalla parte del fiume li Bellunesi solen.0 fargen un altro, nelli quali cum fanti dusonto per parie se poi impedir ogni exercito de fantaria, che venise ad dani de luno et laltro Territorio ; per perchè ditto canal non poi descender, se non fanti a piedi cum carnieri, etc. Questi sono li passi. Serenissimo Principe, importanti ad ohviar, et, a proveder de obviar contra Todoschi in li tempi de guerra, quando volessero venir per dilli passi ad dano de vostri sudditi; ma in queste guerre pio-xime scorse, par che sijno venuti dalle parti inferiore, zoè del Trevisano, dove solevano descender per le parlo superiore preditte, et sono sempre venuti per il passo vro di Castel novo di Quer ad la mina ed dani della ditta poserà el mine infelice cita vra di Feltre; unde reverentcr mi pareria de ricordar, non errando, che se facesse qualche provisione circa il fortificar detto passo di Castel novo; il che facilmente si potrebe far piacendo a quella ; perche etiam anliquamente era fatto di la dalla Piavo, suso le rive della qual è ditto castello ex opposto, una certa torre, dalla qual li erano (adone che erano sopra ditto fiume della Piave, stendendosi sino al ditto castello per traverso, per impedir, che inimici non potessero passando ditto fiume della Piave, come hano fatti li tempi passati, passar verso Feltro, lassando ditto castello de dritto, et potriase per fortificar ditto passo butar zoso un loco si dimanda il Scalone,qual è ex opposito del ditto castello, acio non lassando quello non andassero verso il contado di Cesami, et de lì intrar suso il Feltrino, come è sta fatto altre volte, per esser ditto contado disiamo dalla cita di Feltre miglia tre, mediante la Piave, tutavia mi riporto humilitcr al Sapientissimo discorso di Vostra Cel.ne Pur mi ha parso chel sij il debito del bon servitor, qu.il som io di quella, di ricordarli reverenter tute queste particolarità, acio quella intendi el comprhendi non aver inanellato da mi di considerar il tuto et referir quello alla Exellentia Vostra, la qual cura lo suo sapientissimo iudicio se degnerà trazer quel sugo et frutto, qual li parerà esser expediente de questa mia insulsa et inepta rclatione ; ma pur, ut cum sit, piena della solita mia fede et devotione. Pertanto, Principe Illustrissimo, se lo ho inanellato in conto alcuno in ogni actione mia circa ditto rodimento chiedo humiliter perdono da Vostra Serenità, perche se error alcuno se mi potesse imputar, è causato da mia ignoranza, non già da alcuno mio concopto, ma se a Vostra Sublimità sarà sta grato il mio servir in dito rezimento rengratiando la Malesia Divina dalla ipial procede ogni gratia et dono, parorami haver acquistato uno grande Ihcsauro in havor satist'ato al 1 i mandati et voleri Sapientissimi di Vostra Cel.ne alla gratia della qual humiliter mi racomando. Conto dello intrade della magnifica Comunità di Feltre che dar per la Illustrissima Serenità Vostra et Veneta per lo Censo se paga ogni anno del Serenissimo Principe: 1525................... L. 3100: 9 Per la Camera phiscal de Treviso........ L. 0810 : 0 Per li signori Govcrnadori et lintrat....... L. 277(5: 9 Por lo magnifico et CI. ms lo putta........ L, 1218: 9 Per lo sp. ms lo vicario............ L. 180: 9 Per li dui sp. sindici della colla......... L. 120: 9 Por li 8 sp, deputali ad utilia.......... I*. 430 : 9.1(1 Per li signori frati do ogni Sancii........ L. 108: 9 Per li signori frati de S. Mana......... L, 9(1: 9 Per pre Nadal m." de coro........... L. 100 : 9 Per bieremo causimi disc la prima messa in la chiesia de S. Stephano............... L. 72: 9 Per lo sp.1 ms Dona in latta phisico........ L. 1240: 9 Por lo spollaiici ccroicho ... -....... L. (520: 9 Per lo sp.1 preceptor de Schola......• . . . L. 500: 9 Per li tre capitanci delle porte......... L. 720: 9 Per li quattro compagni allo porto........ L. 432 : 9 Por lo quadarnier de commi.......... L. 144: 9 Per li do desgrossadori do cornuti........ L. 72: 9 Per li do cancellieri de commi......... L. 192: 0 Per lo capo di cavallari cu in li 3 cai....... L. 720: 9 Per lo ufficiai della Corte........... L. 120: 9 Por Io trombetta.............. L. 120: 9 Per li campanari de Castel........... L. 240: 9 Per lo mastro dolio horologio.......... L. 48: 9 Per le monache de S Stefano.......... Li 48: 9 Per lo capo de schioppetlieri.......... L. 148: 9. 16 Per lo maistro delle folane .......... L- 264: 9 Per la casa del fontego............ C- WO : 9 Per lo capit. di Sòhener............ lj- 446: 9 Per li do pifari............... L- 72: 9 Per lo sei laro................ 120: 9 NOTE 671 Per lo litto della casa di vu...........L. m.. : 9 Per lo masser de comun............L. 144 : il Per qullo spaza la piaza............L. 12: il S.a L. 2SS,Ì64 : 14. Per lui medemo porto creditor per suo resto et saldo per ducati..........L. 287,692: 1.6 S.a L. 25,040: 9. 6. p. 6 Conto della intrada della magnifica comunità di Feltro die haver Per signor Antonio de Villabruna exattor della colta del anno 1525 .............L. 7951: 9.18. p. 6 Per signor Simon Villabruna Datior per lo fìtto del datio 1525..............L. 15780: 9 Per lo datio del Sai............L. 1200: 9 Per le tanse del Conteslabele del magnifico et Cla- rissimo ms b Podestà.........'. h. 96 : 9.18 Per alcuni livelli.............E. 11:9.10 S.11 L. 25,040 : 9. 6. p. 6 Conto soprascritto del anno 1525: Det.Sump. per lui medemo l'atto debitor por suo resto et saldo tratto do sopra..........L. 2876: 9. 2. p. 6 NOTA II. 1529 %\ setlcmbrc Relaziono del Podealae \ Capiamo Francesco Soranzo Serenissimo Principe Essendosi compiaciuta la Serenità Vostra di comettormi il governo della sua fedelissima città, di Belluno son bora venulojallajpresenza sua, secondo l'ordinario, per riferirli quelle cose che mi pajono degnejdi sua intelligenza. Et cominciando dalla città, il sito dalla quale so che gli è benissimo noto esser tra monti, in luogo però assai vago et dilettevole, gli dirò che sebbene per il passato vi sono state molte discordie, et discensioni tra quelli del consiglio et quelli del popolo, ai presento nondimeno, per gratia di lUustraz, del L. V. Voi. II. Dio, vivono in molta quiete et tranquilla, conversando insieme onorevolmente : non posso però affermare che non vi sia qualche rancore occulto in alcuni di essi, il quale io mi sono sforzato di lenir ammorzato conservandoli uniti in pace, et in amoro, siccome m'è successo con l'ajuto di N. S. Gli uni e gli altri, per quello che si può scoprire dall'estrinseco, mostrano d'esser di ardentissima fede et divotione verso la Ser. Vostra et di animo prontissimo in servicio, et beneficio delle cose sue. Tutti in generale sono molto cattolici et religiosi. Circuisce la città, compresi li borghi Inori dello mura, miglia due in circa. Di fortezza non occorre parlarne, essendo circondata da mura vecchie, alte et inutili, et il castello lutto rovinato, del quale era già castellano il clarissimo signor Antonio tla Canale, et bora per gratia della Ser. V. sue ligliole godono la provvisione eh'è de ducati 257 all'anno, senz'altro carico, che li sono pagati dalla Magnifica Comunità. La città et borghi fa anime n. 3355, et con il territorio 211)52, de' quali 3668 sono da fatione dalli 18 fino ali i 40 anni, il resto poi tutte donne et vecchi. Li giovani nella città vivono per lo più con molt'olio onde, riverente raccorderei l'istituzione d'una scuola di Bombardieri, come in tutte le altre sue città di terra ferma, che saria per opinione mia di molto servicio puhlico. Vi è un Collegio honoratissimo de dottori al n. di 30, il quale, come residuano del Biverendissimo Vescovo Giulio Contarmi di felice memoria , dispensa all'anno d'elemosina buona suma di denari, che fa ch'ogni giorno va crescendo con molta honorcvolezza della città, et di essi riusci-riano benissimo per Assessori. Ha un monte di Pietà, fondato l'anno 1501 da fra Elia bresciano dell'ordine de'Servi conventuali, governato da quelli del popolo solamente, che ha di capitale ducati mi3~ oltra li depositi che possono essere circa ducati 500, et li ordini in materia del governo d'esso sono buonissimi; vi erano nondimeno alcuni che andavano debitori dei loro maneggi, a'quali ho fatto saldare. Il territorio per lo più è montuoso: la maggior sua lunghezza è miglia 37, et la larghezza 3ì: confina da levante colla patria del Friuli et territorio di Serravalle; a mezzogiorno con li contadi di Mei et Valdimareno ; a ponente con il territorio di Feltro; et a tramontana con Cadore et monti che lo separano dall'Alemagna, over contado di Tirolo: è molto soggetto alle nevi et al ghiaccio, et ò diviso in 12 pievi, due delle montagne, et 10 chiamate della pianura. Quelle di montagna sono Agort et Zoldo, ad ognuna de quali la Magnifica Comunità manda ogni anno uno de' suoi cittadini col titolo di Capitano, ma non hanno se non giurisditione in civile et quella limitata fin a lire 50, et da li in su convengono andar dal Rettore; NOTE «75 sotto Zoldo vi ò un luogo chiamalo la Rocca di Pietore, ove il cap." ha giurisdizione civile et criminale con beneficio dell'appellazione al consiglio della città come luoco a lei già particolarmente raccomandato, qual luoco può far circa 150 fuochi, et sono tutti esenti d'ogni sorta di fatione così reale come porsi male. Le altre 10 Pievi tra tutte hanno ville 126, ma molte di due case sole o tre al più : in generale vi è anci povertà che mediocrità, così nella città come nel territorio. Le biave che nel paese nascono, non suppliscono a pena per 4 mesi, all'anno consumandone in particolare le pievi di Agort, Zoldo et di Lavazzo grandissima quantità, questa per boschieri, et quella per minerali, onci' è necessario per supplire al bisogno provvederle allo basse, come dalla patria del Friuli et dal Trevisano, et per quest'effetto vi è un fontico nella cit'à, che ha di capitale ducati 1500, che si sogliono investire ; vi è anche un altro fontico nella città di oglio, che può aver di capitale circa ducati 1400 do parte de' quali si suol servir alcune volte quello delle biave, ma nònno nò l'altro suppliscono a gran lunga per poterne far la necessaria provvisione massime in questi anni, che le biave sono state a pretti altissimi, onde dalla Serenissima Vostra la Comunità è stata sovvenuta de denari ad imprestito per quest'effetto particolarmente l'anno 1590 de ducati 2[m che tantosto ch'io fui giunto a quel rezimento feci che li furono restituiti, et per supplire al necessario di quei populi senza lasciar dar molestia alla Serenità Vostra io li prestai del mio proprio buona suma de denari, et fu compro quel più che si puntò, che fu però assai puoco, rispetto al bisogno, et perchè pareva che non si trovassero grani, et se pur se ne trovava, non si poteva haver la traila da diarissimi Rettori; per non mancare delle debite provvisioni, mi risolsi di procurarne per altra via, et mi riuscì col mezzo d'amici di averne di Baviera conia tratta del Serenissimo Arciduca Ferdinando, ove per quest'effetto a mio proprie spése mandai uno delli provveditori alle biave et M. Nicolò Pace da Udine mio Cancelliero, servitore devotissimo della Serenità Vostra et nella professione di mollo valore et esperienza, dal quale io mi trovo haver ricevute ottimo servicio come ne riceverà sempre la Serenità Vostra in ogni occasione che si valere della persona sua. Il paese da tutto lo prtrti è aporto. Solevano ben altre volte esservi cinque luoghi tenuti per fortezze, tre verso l'Alemagna, et altri duo verso il Trevisano, et Friuli. Li primi sono la chiusa di sopra d'Agort, il secondo Castel Agordino, posto sul canale che va da Cividal in Agort, et il terzo la Gardona sul canaio corrente che va verso Cadore, gli altri due verso Serravalle chiamati Casamatta e l'altro San Roldo verso Valdemareno. È abondanle di bestiami d'ogni sorte, così grosso come minuto. È anco copioso di legnami, così dalla parie della Piave, come del fiume Cordevole, ch'è di grandissimo trattenimento agli abitanti, aggiongendovi anco tinelli che si fanno nelle giurisditioni di Cadore, Patria di Friuli, e del Serenissimo Arciduca Ferdinando che sono condotti per questi due fiumi, quali passano quasi per mezzo la vai di Belluno et se non fosse questo trafico del legname, la quantità del bestiame et li negotii delle ninerc di rame et del ferro con verità si potria dire che li habitanti non variano da che cavar danari per suoi bisogni, essendo che nel rimanente le cose necessarie al vivere, per la sterilità del paese puoco suffragio pos-s ino apportare. Nelli territorii particolarmente d'Agort et Zoldo si lavora assai di colar ferro, la vena del quale si trovava già ci veniva portata solamente dal Colle di Santa Lucia, giurisditione dell'Illustrissimo Cardinale d'Austria vescovo et prencipe Prescinone (Messanone), ma ora si trovano altre tre mi-nere, nello stesso territorio di Bellurie, una nel monte di Schiosa sotto la rocca di Pletore, et è di M. Pompilio Alpago et consolli, la seconda nel monle drio Zovo, territorio Zoldano, ch'è di M, Antonio Boarno ambidue da C ivi da le, 6| la terza in Canale sotto Agort nel monte drio Volpes ch'è dell'I II usi rissimo N. Vincenzo da Molino, viene anco attivarsene in altri luoghi cosi sotto Agorl, come sotto Zoldo, che si va facendo dei sazi per Operimeli (arie et se no spera di tutte buona riuscita. Li forni che lavorano a colar quesle vene sono in tutti al num. di 8, cioè 7 in giurisditione di Vostra Serenità et uno dell'Illustrissimo Cardinale Vescovo di Prescinone, et le l'usine tutte 28, sopra questi forni tutti per relalione ch'io ho havuto si può far circa miara 150 di ferro al mese, et tulio si consuma parlo a Feltro et Cividale per far spade el altri lavori da taglio, et parie anco ss dispensa per le città et castelli della Serenità Vostra e si vende due. 23 circa ogni m iato lavorato, el li azzali 42. In Agort poi vi sono 4 buse, over minore di'rame. Li ed itici i di questi lavori fi a di rame et di vetriolo sono 7 et da vedrioli in particolare 2, del qual vedriolo se ne fa in tanta quantità che supplisce (piasi per bisogno dei territorii di questa città e davantaggio. Li minerali che in questo si esercitano sono molli; soleva già la Serenità Vostra cavar dalla rnjX di queste miniere fin due. 600 annui, ma da sei anni in qua le faccende sono state pochissime rispetto che le buse erano s tropa te et serrate, che l'acque da basso non poteano sortire, onde non si è trovato chi babbi voluto condur essa* m]X (decima), ma bora che sono state aperte mediante le spese fatte cinque anni continui dal Clarissimo Signor Vincenzo da Mol in et M. Battista Barpo in che hanno speso per le infoirnationi havuto due. mfil, credo che tornerà al stato di prima. Trattengono queste minore per csercitio de' mercanti minerali huomini al n. di 300 in circa. Cava la Serenità Vostra d'intrada di quella città et territorio all'anno, compreso il datio del sale due. S800 in circa senz'alcun'altra spesa che del NOTE 673 mandar galeotti condannati di qua, et pagar cavallari che portano denari puhlici aH i oflìcii ove sono destinati, che può importar questa spesa un anno per l'altro due. 40 in circa, la qual si cava dal datio de' panni, che denari d'altra ragione non possono esser tocchi, per parte dell'Eccellentissimo Senato di 22 agosto 1582. D'entrala extraordinaria poi vi sono le mfX del Clero, che importano due. 162 per cadauno. Cavava anco dalla colta delli datii delle lance che hora è alienata a particolari, due. 1103 all'anno. Il resto delle entrate, che si trae da quel territorio per conto dei datii sono tutte della Magnifica Comunità insieme con le condennazioni pecuniarie , le quali ponno ascendere alla suma di due. 5400 circa all' anno l'un per l'altro, ma è tenuta oltre il censo et limitationi dovute a Vostra Serenità pagar il salario del Rettore, del Castellano, et satisfar tutti gli altri salariati, et provvisionali della città, oltre molte altre spese extraordinarie, che un anno per l'altro, la spesa importa due. 5390 in circa, onde il più delle volte resta anci intacata che in avanzo. È vero che li massari ed esattori che hanno il carico dell'exatione et dei pagamenti ben spesso rimangono debitori, et si servono del denaro in suo particolare, de' quali avendone io trovati molti li ho fatti tutti saldare con beneficio puhlico di quella città. Fra molti boschi che sono in quel territorio, tre soli sono da remi; uno detto de Caggiadra che fu tagliato l'anno 1557; di Valdesvova verso Valdemaro confinato et tolto nel publico l'anno 1589, et il terzo quello di Alpago, ch'è il bello et il buono essendo di circuito di forse 10 miglia, posto parte sotto la giurisditione di Polcenigo, Avian et Caneva, territorij della patria del Friuli, parte sotto Cordignano et Serravalle, et parte sotto Cividale, et per quello che vien affermato generalmente da tutti è il più bello per remi, che sia in molti e molli luochi, ma non forse di quella quantità d'arbori buoni per ditto servicio che vien predicato, convenendo ad esser buoni per remi, che siano lunghi et grossi a sufficienza, dritti di corpo e di vene, dritti nelle superficie di rami et groppi, et nella sostanza sani et sodi, della qual sorte credo ve ne siano assai puochi rispetto alla grandezza del bosco, et al numero d'albori che dentro si at-trovano. La causa di questo mancamento procede per opinione di molti con chi n'ho ragionato dalla densità degli arbori, et dai molli legni secchi che sono per terra ; da questi perdio impediscono il nascere delle piante giovani o li causano la curvità ; et de la densità perchè li arbori vecchi con l'ombra delli rami loro tolgono l'aere, ed il sole ai germogli che non possono crescere, onde vien tenuta ferma conclusione da vecchi et da periti del luoco che saria bene il far tagliar li legni vecchi et inutili, et il nettare il bosco da legni secchi, facendo ridur gli uni et gli altri in carboni « nome publico, che saria di grandissimo giovamento ad esso bosco, ci se ne cavaria tre notabili benelìcii; il primo clic il bosco "crescerla molto più bello et con maggior prestezza che non si fa ; il secondo, che si faria tanto carbone che si supplirla per longo tempo alla Casa dell'Arsenale et della Cecca ; et il terzo che saria levata l'occasione a molti di dannilìcaiio, come fanno, sotto il pretesto di legni secchi ; et se ben sono alcuni clic tengono che il tagliar grandi et vecchi possi apportar più danno che benetìcio, dicendo quelli difender et riparar dai venti gli altri, et che anco il marcirsi dei legni per bosco apporti benefìzio, volendo che con il marcire ingrassino, io non di meno tengo con la maggior parte che più sia il danno che questi secchi fanno ai arbori nascenti; et quelli vecchi ai giovani crescenti che il benefizio che rendono. Saria da remediare ad un altro grandissimo danno, et maleficio che vien fatto ad esso bosco dai maestri che vanno a tagliare li rami, de quali alcuni per voler l'avarilo della bellezza et bontà vanno facendo sciolta dei più beili et migliori legni del bosco, in qual luogo si siano, et li tagliano giù ; con la caduta et condotta de' quali al loco del lavoriero, ne guastano et rovinano a centinara d'allri puoco manco buoni, ma che veniriano buoni che restano per terra a marcirsi. Altri poi, che con mezzi puoco leciti, benché inetti et imperiti del lavoriero, sono dai sorladori admessi per sostituti dei maestri ordinarli tagliando per il più legni non buoni, sebhen in apparentia belli, desertano il bosco con perdila del tempo, et della mercede, perchè dei legni cattivi non atti a far remi, non sono pagati. Il rlmddio che a questo si potria fare saria il compartir tutto il bosco in tagli, come è divisò quello della Val di Montona, che per la grandezza sua si potria benissimo dividere in cento et ogni volta che occorcsse farsi remi tagliar la porzione che toccasse tutte a gitalivo tanti li buoni, come non con che il bosco si anderia rinovando de legni in numero et bontà, non essendo dubbio, che in cent'anni li legni vengono alla sua perfelionc, ed anco in meno, et si cavaria tanti remi che suppliriano ogni anno al bisogno dell'armata di Vostra Serenità, et inoltro si furiano dei non buoni tanti carboni che suppliriano per quell'anno alla sua Casa dell'Arsenale et d'avvantaggio, il che saria conforme alla deliberazion fatta dell'Eccellentissimo Sonalo l'anno 1564 21 giugno, che non si possa in oc-casion di taglio dei remi tagliar dove sia sia tagliato Tanno precedente, ma che si debba arrotondare il bosco, che non viene però eseguito da chi ha il carico delle fatture, attendendo tutti alla maggior loro comodità, onde delle sei parli del bosco, quattro certo non devono mai essere state tocche, da che ne segue che li arbori si vanno invecchiando, et impes-sindo, et rendendosi inutili al lavoriero, et li luochi dove si taglia disca-vendado (discapitando). Fra tutte le Piovi del territorio vi sono 28 compagnie de'boschieri, che in ogni occorrenza sono obbligati andar a lavorar fin al n. di 6 per compagnia, (piando tutti et quando parte, siccome sono comandati, le quali NOTE 677 avendo io trovate con l'occasiono dol taglio l'atto fare l'anno passalo d'ordine dei C le men t issi ini Signori Procursori et Patroni dell'Arsenale, esecutivo da parte dell'Eccellentissimo Senato, por la maggior parte deficiente, quelle ho tutte rinnovato et riempile do buoni huomeni, ondo in occasion di bisogno non si avrà più per un pozzo da mendicar maestri, come convenni far io, quando li mandai a lavorare. Alla custodia di questi et altri boschi la Serenità Vostra mantiene un capitanio con salario di ducati ib'O all'anno, qua! è il Capii.0 Attilio Scolari cittadino di Cividal, persona da bene et diligente nel carico suo, et molto fedel servitore della Serenità Vostra non risparmiando lui alcuna fatica, nò guardando ad alcun incomodo o disastro per ben servire, ed io ne posso di ciò far ampia et indubitata fede perché so che molte e molte volte ò cavalcalo con tempi crudelissimi de pioggio, venti et freddi, per veder se venivano fatti danni. Ha la Serenità Vostra in quel territorio galeotti 543 descritti ultimamente dall'illustrissimo Procorsore Gen. Grimani di felice memoria, et soldati dolio cernide 608 ordinarii, et 292 tra volontari! et di rispetto sotto il governo et disciplina del strenuo Ottavio Goracci soldato veramente pratico et valoroso nella sua professione, il quale con la cura et diligenza sua non manca d'esercitarli conforme alle leggi, et per le mostre da lui fatte, a' quali sou sempre intervenuto così alle particolari come alle generali di tutta la compagnia, ho veduto et compreso, che sono molto ben istruiti et disciplinati nel sparar l'arcobuso, all'intender del suono del tamburo, et d'ogni altro esercitio militare, onde non posso, se non con verità dire, che detto Capii4 sia degno et meritevole della gratta di Vostra Serenità. Questo è quanto, che, sotto quella maggior brevità ho potuto, m'è parso di rappresentar alla Serenità Vostra degno di mia saputa, non avendo io mancato in tutto il tempo del mio Reggimento di procurar V utile, et beneficio delle cose di Vostra Serenità, e di quei populi con ogni sincerità, et candidezza d'animo, Dio mi sia testimonio, eh'è vero servatore de'cuori et animi nostri; il medesimo farò sempre in ogni altro carico che piacerà alla Serenità Vostra di commettermi, ad imitatione dei miei maggiori che non hanno mai tralasciato in ogni occasione che se le è rappresentala, di spender volentieri et con prontezza la roba et la vita istessa, in servitio della Serenità Vostra, alla quale m'inchino et bacio le mani. Stemmi e Sigillo di Belluno. i. Stemma del territorio di Belluno. 5. idem della città di Belluno. a. Sigillo della città di Belluno. ULTIMI TEMPI is ninno. Ultimi tempi. fi 797-1838) Prima che si cangino la forma e P amministrazione territoriale della città, descriveremo il suo assetto sotto il dominio veneto. La più facile ed ordinaria divisione di Belluno si era in territorio basso o del piano, e erritorio alto ovvero dei capitaniati. Il primo si componeva di dieci P evi e della Regola della terni cosi distribuite : 1.° La Sindacarla di Oltrardo composta di alcuni paeselli e ridenti villeggiature confinanti colla città. ! ' ? Lavazzo, antica stazione di soldati romani, provata dalle lapidi e da frammenti di un marmo votivo, in cui si menziona la quarta coorte, il cui luogo principale è Longarone con dodici ville. 3.° Alpago con le tre parrocchie di Fara, Tambre, Lamosan, a cui appartiene il vastissimo bosco del Cansigìio, tanto nominato dai veneti podestà, e comprende ventitré Illuslraz. del L V. Vol. II. 87 villaggi sparsi fra quelle montagne. 4.°Frusseda e Caduto, nel cui raggio si nolano le ville di Santacroce col suo ampio lago; quella di Cugnano ove si lavorano le pietre che servono al lastrico delle vie; di Socher, da cui si traggono le mole di macina; e Capoiliponte sul Piave col ponte di legno che lo attraversa, incendiato nel 1848 e rinnovato sul sistema americano nel 1850. 5.° Verso mezzogiorno oltre Piave si notano Castion presso Belluno, con tredici ville. G.° Umana, 7.° -Sa» Felice e Trichiana, che nello spirituale dipendono dalla diocesi di Ceneda. 8.° Dalla parte di Feltre verso il Cordevole Micr con le cappelle di Salce, San Fermo ed Orzes. 9." Sedko per cui scorre il Cordevole. 10.° Verso Agordo si ritrova la Sindacarla di Pedemonte composta delle parrocchie di Libano, Tisoi e Bolzano. 11.0 Pegola della terra si appellava l'associazione delle ville di Oltrardo, Castion, Mier e Pedomonte, che aveva i suoi statuti fino dal 1304, in cui si riservavano il diritto di votare nell'amministrazione degli affari territoriali, d1 intervenire ai consigli a mezzo del loro Merico (Maire) od avvocato quando traltavasi di nuove imposte, contribuzioni ed altri interessi comuni. I Captiamoti così denominavansi, perchè Belluno aveva diritto di spedirvi un suo nobile col titolo di capitanio. Sul principio si estraeva a sorte da poi sceglievasi dal consiglio per un anno con facoltà di giudicare nelle cause civili e criminali sino a determinata somma. Il più importante capitanìato era quello di Agordo. Prima dei tempi di mezzo era un castello di confine; divenuto più popolato passò nel dominio dei vescovi Bellunesi restando sempre attaccato a Belluno, (peni riconobbe le leggi statutarie. Volle però conservare separata ^amministrazione delle rendite e che sedessero al consiglio quattro consoli agordini onde influire sulle deliberazioni che risguardavano specialmente le imposte territoriali. Aveva un particolare consiglio, al quale erano aggregale 79 famiglie, i cui membri si radunavano formalmente ogni qualvolta occorresse provvedere agli affari locali, od attinenti alle relazioni con Belluno. Eleggevano due consoli, un fiscale, i provveditori alla sanità, due giurati per la limitazione dei vini e verificazione di pesi e misure, due deputati che fissassero il prezzo delle biade insieme coi due consoli ; tre all'amministrazione dei beneficj e dei luoghi pii; uno alle strade e ponti, due agli incendj, finalmente un cancelliere ed un esattore delle imposte e cassiere. Il capilaniato dividevasi in due corpi federativi, il primo di Soprachiusa con dieci regole o ville, fra cui primeggiava Alleghi per lo sue officine fabbrili e fabbriche d'armi e coltellerie, che a Venezia spaeciavansi per inglesi; l'altro di Sottochiusa con tredici regole, di cui Agordo era la prima. Ciascuna di queste nominava due deputati per la speciale sua amministrazione , e quattro ne sceglievano in comune i due riparli, onde mandarli in A,rordo ULTIMI TKMPI c8i ad assistere e votare gli affari complessivi e dettare le norme, che regolassero i doveri e diritti col capoluogo. Nelle diverse dominazioni a cui soggiacque Belluno, Agordo ne fu temporariamentc staccato quando venne ceduto in feudo da Carlo IV ro di Boemia alla famiglia Avoscana (1347). Due anni dopo riunito a Belluno, partecipò a tutte le sue vicende, percorse Agordo. insieme il lungo periodo della veneta dominazione e cadde con essa. Limitrofo al principato di Bressanone ed al Tirolo, sostenne insieme coi Bellunesi importanti fazioni guerresche ; ricordasi fra le altre la gloriosa morte di Bartolommeo Miari capitano di Belluno, ucciso mentre incalzava alla testa dei suoi soldati il fuggente esercito di Filippo Maria Visconti, che era disceso nelT Agordino per garantirsi il possesso delle miniere di ferro e di quelle rinomale officine (luglio 1439). Si pugnò valorosamente, per più di un mese, alternando vittorie e sconfitte contro Sigismondo arciduca d'Austria, e vi accorse volonterosa la gioventù bellunese ed agordina guidata dagli intrepidi capitani Ippolito Doglioni, Cavassico, Lippo, Bar-tolammco Campana, encomiati e regalati dalla repubblica veneta ("aprile 1487). Oltre la solidarietà delle battaglie, esisteva quella più civile della concordia nella buona come nella contraria fortuna. Cosi quando i Bellunesi erano in frangenti o chiesti dall'amata repubblica di qualche sussidio in uomini e denaro, Agordo non reluttava : veniva poi ricambialo col sollievo delle imposte e coi soccorsi cittadini o comunali nelle disgrazie d'incendio e di carestia. Di eguali diritli e doveri godeva il Comune di Zoldo, governato da un nobile bellunese col titolo di capitano. Dividevasi in più comuni federati, in due corpi di Zoldo basso e Zoldo alto. Sempre unito alla giurisdizione bellunese per la sua prossimità al Cadore, erasi con questo alleato nella comune difesa al tempo della lega di Cambrai ; ma con ducale del 1517 venne di nuovo assegnato alla città di Belluno. Prosperavano questi Comuni specialmente per le miniere di zinco, di piombo e di ferro, le cui scorie annunziano anche al presente il luogo dell' antica operosità, come i paesi nominati i forni. Un terzo capitanato era sul confine di Àgordo in cima alle Alpi, e comprendeva una popolazione di GOO anime, dispersa in poche ville che aveva un ritrovo comune a Ròcca dì Pletore o Roccabruna, Dimenticata in mezzo ai suoi alpestri dirupi, questa comunità di quarantacinque famiglie fece atto di dedizione a Gian Galeazzo Visconti conte di Virtù, che ne zelava la protezione onde estrarre le armi e 1' acciajo che si lavoravano nelle fucine del vicino Caprile. Quando il Visconti pretese im-porvi una tassa vi si ribellò ; ma i Bellunesi li ridussero a stipulare un accordo. Con esso riconoscevano la supremazia della comunità di Belluno, che vi avrebbe mandato un capitano, purché non chiedesse mai alcuna imposta o colta, nò fazioni personali, e rispettasse il loro statuto 1 formulato in sessantasei paragrafi, registrati nel 1418 nei libri pubblici di Belluno. È curioso il leggere le leggi di civile e criminale procedura estese con chiarezza e precisione, e la magistratura costituita da quattro consoli colla presidenza del capitano bellunese. Si prestarono molte volte spontanei alle contribuzioni bellunesi, senza però derogare mai al loro diritto di non essere aggravali per legge o consuetudine da nessun peso. Ed orano tanto gelosi dello loro franchigie, che, temendone la violazione, ricorsero al principe di Venezia, e in senato venne recitalo da un loro ambasciadore il 10 febbrajo 1G59, un discorso, che così cominciava: • Serenissimo principe. La Ròcca di Piotore, situata ne' monti più t aspri e confinante con paesi esteri, in tutti i tempi esposta alPinva-» vasione dei nemici, con caratteri di sangue ha dati segni infallibili della » sua fede, e dimostrato che gli abitanti di quella, quanto più semplici e » poveri di beni di fortuna, tanto più sono dotati di ardenza e pronto/./.a » a sagrificare sè stessi in servigio del principe loro ; da che è sortito che » sempre dalla Serenità Vostra sono stati con clementissimo occhio riguar-» dati conservandoli in tutti i tempi illesi ed intatti quei privilegi, che i II manoscritto di questo è posseduto dalla famigli;! Pezze ili Caprile,e venne Illa* trato nella Cronaca giornale di Milano (agosto 1837) dall' ,'gregio Pietro Mugna. ultimi tempi 605 » teslimonj della pubblica beneficenza e delli meriti dei loro maggiori » gli sono più delle pupille degli occhi cari, ecc. ecc. » Verso mezzogiorno oltre Piave, dieci miglia da Belluno, siedo sopra amena pendice il villaggio di Mei, che riconosce il nomo dal propinquo castello di Zuinelle, il (piale, fondato dai Goti, subì le vari»1 dominazioni barbariche, restando infeudato ai Da Camino, ai Colfosco ed al vescovo di Belluno, donde nacquero lunghe contese e guerre incessanti dei Bellunesi c Feltrila contro i Trevisani. Il castello di Zumclle (V. pag. (>43) coll'esteso contado nel 20 giugno 1404 rassegnò la propria giurisdizione alla repubblica veneta coir espressa condiziono « che sicno conservati gli ordini » tutti ; le libertà, le consuetudini, immunità, grazie e franchigie solite a » godersi sotto i duchi di Milano o precedenti signori. » Il sonato vi mandò per due anni a percepire le rendilo di ducati 800 Donato Giustiniani, il quale come rettore rendeva pubblica giustizia nel palazzo d Mei. Nel 1422 la repubblica veneta assegnò in feudo il castello di Zu-i molle al patrizio Giorgio Zorzi in compenso del contado di Cuzzola e Me-Jeda, isole dell' Adriatico, che nel 1358 erano state levate a quella famiglia e concesse al re d' Ungheria. Ai Zorzi era ingiunto di risiedere in luogo o di mantenere altrimenti un vicario ad reddendum jas el justitiam secundum consueludinem, I sindaci ed amministratori del Comune reclamarono però alla dominante, nel timore che tutti i beni comunali fossero vincolali al feudo ; ma il doge Leonardo Lorodano nel I5H emise un decreto , che commetteva ai nitori del Trevisano e della terraferma di rispettare la libertà e lo prerogative allodiali ded Comune di Mei. Nel 13 aprile 1720 il doge Cornelio riconosce il diritto di successione per le rappresentanze di questo feudo nei tre fratelli Gritti del fu Alessandro. Lo statuto del castello c contado di Zumelle abbraccia novanladue paragrafi senza quello sui dazj di asportazione od importazione di animali, vittuaric od altro merci. Da questi dazj si ritraeva gran parte delle entrato comunali ; il resto degli estosi possessi in montagne , boschi e pascoli tenuti in amministrazione o con tenue affitto dati in uso ai comunisti. Era vietato nello statuto di tagliare alberi di qualunque sorte senza permissione del Comune, e nel tempo stesso era obbligato « ogni » lavoratore e proprietario di piantare ogni anno almeno piantisi dieci v con dieci viti; e che il rettore sia tenuto per vincolo di giuramento » inquisir e castigar li contraflacienti ». Onde evitare l'impoverimento degli abitanti, facili ad essere imbrogliati nello stato di ebrietà dagli osti e tavernieri si proibiva di far credenza oltre le lire cinque di piccoli in un anno; e se P osto affiderà per maggior somma « non gli sia resa ra-» gione dal rettore, nò possa in alcun modo essere astretto il debitore » oltre la detta somma, anzi sia il creditore scacciato dal soglio del giù- » dizio ed ogni uno possa accusarlo ». Savie leggi che conservarono per molto tempo la proverbiale semplicità dei costumi, c perpetuarono il si-stoma di lavorare i possesssi col contratto di mezzadria fiduciaria , clic ancora sussiste. l'e\l t r e. Feltre si protendeva negli stati tirolesi,avendo diritto il suo vescovo di in-stituire feudi o rinnovare le investiture nella Valsugana, Tesino e Primiero, paesi che le vennero staccali per una parte o prima o dopo della lega di Gambrai, conservando la supremazia spirituale fino al 1780. Il corpo della sua provincia si estendeva verso il Bellunese e il Tirolo, comprendendo cento e venti ville. Queste concorrevano alf elezione di un consiglio del contado di trentasoi deputati, dai quali venivano poi nominati quattro colmellari, che governavano l'economia di tutti i villaggi; si.distinguevano questi secondo la loro importanza col nome dì Cappelle e Pievi, ULTIMI TEMPI «83 I colmellari tenevano in città un loro rappresentante dottore in legge ed avvocato, chiamato sindico del territorio. Tutti cinque potevano intervenire coi deputati dell1 università del Comune negli all'ari della pubblica economia spettanti alla città e territorio. Un feudo di cui disposero sempre i vescovi di Feltre fu quello di Co-sana, paesello che costeggia il Piave in continuazione del contado di Zu-melle verso Treviso. Divenuto castello, riparò i Guelfi e i Ghibellini, prevalenti e a vicenda cacciali dalla città. Il primo investito per meriti speciali acquistali nel sostenere la parte ghibellina rappresentata dal vescovo Adamo di Feltre, fu Tempesta Camposampiero di Treviso, che poi lo vendette ai Trevisiani, e servì di pretesto a gravi contestazioni. Seguitò la sorte della città di Feltre nelle varie dominazioni, venendo regalalo corno feudo ora ai vescovi od ora alla città, che ne investiva i proprj aderenti con dritto di alla e bassa giustizia. Gli ultimi investiti erano i conti Vergerlo, Mozzi e Colle, i quali ne furono spogliati dalla Repubblica per T abuso che facevano del potere a carico dei vassalli. V organizzazione politica e civile, e lo scompartimento territoriale su descritti duravano da secoli, e colf ordine e tranquillità offrivano prova di sufficiente benessere. Kè la smania del progresso e delle idee di libertà e d1 eguaglianza potevano rinvenire caldissimi propugnatori nei nostri paesi, ove un1 aristocrazia elettiva e l1 universalità del popolo potevano da sè o col mezzo di legali rappresentanti far valere i proprj diritti ; e qualora fossero posposti o negati dalle autorità locali, trovavano nelle alte regioni del senato e del doge un appoggio disinteressato e leale. Quindi solo di rimbalzo e da pochi letterati entusiasti si caldeggiavano le esotiche idee venute di Francia, o come novità necessarie alla felicità del popolo. Il popolo però, conservando il senno, vide indifferente ed anche a malincuore le truppe francesi, guidate dal generale Mas-sena, passare per Feltre verso Belluno inseguendo l'austriaco condottiero Lusignan, che fu fatto prigioniero a Longarone dopo leggero scontro nel piano di Polpet verso Capodiponte (marzo 1797). Il veneto territorio calpestato dai Francesi, che mascheravano P invasione col trattato di passaggio neutrale, fu contro ogni diritto internazionale e civile venduto all' Austria nel trattalo di Campoformio. Allora i seimila soldati del generale Delmas in Belluno, e i tremila del generale Vergier in Feltre s'installarono da padroni nei pubblici stabilimenti di educazione e nei conventi cacciandone i frati. I primi decreti della libertà francese emanati in provincia ordinarono la requisizione'di tutte le armi, il cui valore approssimativo si calcolava a centosessanta mila ducati, sotto la promessa di restituzione, che non venne mai attenuta Si abolirono i dazj gravanti il popolo, ma si chiese con violenza j giornaliere mantenimento di tutta la truppa col cor- redo delle solite spese; si volle un anno anticipato di tutte le imposte ; si approfittò di tutti i depositi delle casse pubbliche, del rame di Agordo, d'ogni altro oggetto vendibile per pagare le non mai sazie esigenze dei comandanti. Si gettò un prestito forzato sopra i più facoltosi, di circa ottantamila ducati, da versarsi in rate a seconda degli ordini, e un cinque per cento sopra le rendite di tutti i censi privati e un testatico generale. Sotto pena di mortesi requisirono tutte le argenterie delle chiese pel peso di circa ducentomila once, e quindi dell' importo di più di un milione di franchi. Indarno si reclamò da tale ingiusto ed enorme procedere contro ogni legge e diritto; indarno da Feltre e Belluno partirono commissioni delle persone che si ritenevano meglio accette al generale Buonaparle. Essi dichiararono invano essersi in pochi mesi inaridita ogni Tonto di guadagno, palesarsi minacciosa la carestia col corredo dei tristi suoi effetti nella popolazione: e che il solo mantenimento della truppa costava a Belluno più di 4000 franchi al giorno e 2000 a Feltro, oltre il debito di circa un milione assunto per le requisizioni verso i privali. Ber lutto compenso si potò danzare una ridda dalla plebe briaca innanzi all'albero della libertà (Fi figura pag. dicontro), e spingerla a cancellare le venete insegne, scalpellarne le iscrizioni, onde le memorie della giustizia e del buon governo non soccorressero cos'i pronte alla mente del popolo rinsavito, dopo tante sventure. Altro decreto sopprimeva i titoli di nobiltà, le distinzioni e gli ordini di tutti i ceti ; come se la maggior parto di questi onori non fosse stata acquistata con opere magnanime c con meriti indubitati verso la patria; come se queste gloriose insegne non fossero più tardi sostituite da fetuccie, medaglie e titoli profusi a quelli che maggiormente si prostituirono al francese o contribuirono al suo trionfo tradendo le speranze e l'interesse del paese. Tutti questi alli ufiiziali, emanati nel primo impeto della massima libertà venuta di Francia sulla bocca dei cannoni e sulla punta delle baionette, si leggono ancora negli ar-chivj municipali di Feltre e Belluno. Se il despotismo risedeva nelle alte sfere del governo politico, la confusione e il disordine erano insediati nell'amministrazione civile. Al semplice organismo municipale veneto era subentrato lo sminuzzamento dello autorità e della gestione. Si convocarono i capi' di famiglia, esponendo alla votazione una scimiolteria della costituzione francese. Si elesse cioè nelle duo città una rappresentanza detta dei municipalisti, composta di nove o dieci membri con un presidente che doveva durare in carica soli ventisette giorni. 11 territorio di Belluno venne scompartito in nove cantoni, e in set quello di Feltre, avendo ciascuno un comitato di cinque membri col segretario che funzionava separatamente e teneva corrispondenza col mu- ULTIMI TEMPI 087 nicipio dello città mediante un incaricato speciale. La giustizia imparziale dei rettori veneti, assistiti dagli eletti del consiglio, si assoggettò ad uu magistratura nominata sotto la pressione dell'invasore, composta di tre giudici per le cause civili e di un altro giudice con due aggiunti per la sezione criminale. Si istituirono uftìzj separati di sanità, istruzione, sussistenza, arti e commercio, finanze o polizia ; i quali due ultimi specialmente stesero la mano rapace sui beni dei conventi, dei monasteri, dei pii stabilimenti , e spinsero 1' occhio scrutatore sulla coscienza, facendo di tutto e di tutti sperpero e mercimonio. Allo scopo di prepararsi buono reclute, si permise la guardia civica, con esercizi ed istruzione alla francese, e si cercò provvedere all' unità, all' ubbidienza ed alla proporziono dei pesi, convocando a Belluno un consiglio generale di ventitré individui scelti dai varj riparti di Belluno e Feltro, a cui si aggregarono il Cadore e la Carnia, ritornati però poco dopo sotto il Friuli. Questi fatti e cangiamenti seguirono tutti nei primi mesi dell' occupazione francese innanzi la pace di Campoformio fra 1' Austria e la Francia. Il mondo attonito vide in questa spegnersi il dominio veneto, e che la Francia, vantatrice dei diritti dei popoli, senza conquistarlo e senza comprarlo, lo aveva venduto. Il trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 venne pubblicato in Belluno dal generale di divisione francese Delmas con questa lettera ai rappresentanti della provincia di Belluno e Feltre. « Ilo 1' onore di prevenirvi, cittadini, che le truppe « francesi stazionate nelle vostre provincie partiranno domani 21 ne-« voso (lOgennajo). La maniera proba, franca e leale con la quale voi « avete giustificata la mia scelta durante l'esercizio delle vostre funzioni, « vi dà il maggior diritto alla mia stima. Quanto ò dolce al mio cuore « il potervene dare una testimonianza, altrettanto mi ò stato penoso il « vedervi aggravati, per la serie degli avvenimenti della guerra, di un « peso che non dipendeva da me alleggerirlo. Aggradito l1 espressione « libera della mia anima, ed assicurate il popolo che avete così degna-« mente rappresentato, del santo rispetto che giustamente m1 ispirò « la di lui buona condotta verso i Francesi. — Il generale di di-« visione Delmas ». Nei due giorni rimasti liberi da truppe straniere, i municipj providero alla sicurezza conferendo il potere ai capi delle guardie civiche ; poche reazioni contro alcuni ritenuti più infrancesali, causa della occupazione violenta, furono ben presto represse. Intanto comparvero le milizie austriache del generale Gordon, staccato dall'esercito del Wallis, e quale commissario civile con residenza in Treviso il veneto patrizio Francesco Pesaro divenuto commissario imperiale ; quello stesso Pesaro che in senato aveva con generose parole incitato il timido consiglio a non disperare della salvezza della patria, e tentare ogni sforzo contro i potentati stranieri. Parve un benefizio la venuta degli Austriaci, preceduti da un ordim1 che ripristinava l'antica forma di governo, e ridu- I LUMI TEMPI fiS9 ccva le imposte come avanti il 1790. Si restituirono le vecchie amministrazioni conservando però la sezione del tribunale civile e criminale, e introducendo nel sistema amministrativo nuove regolo secondo i decreti del 1799. L'antica organizzazione, sconnessa dalla meteora francese, innovata in alcune parti, se fu possibile ricostituirla nelle forme, perdette ogni valore e credito nell'opinione pubblica. L'agitazione della guerra manteneva gli spiriti irresoluti nel chiarirsi per l'uno o l'altro dei contendenti. Le idee francesi, il prestigio de* trionfi, la gloria dell' uomo fatale, avevano affascinato alcune intelligenze e disposti non pochi a ridursi satelliti al gran pianeta. Quando lo si seppe ritornato nelle pianure d'Italia e vincitore dell'Austriaco, vi fu chi incitò i contadini a recarsi a Belluno per disarmarne gli abitanti, ed imporre un capitolare di quattordici articoli, i quali tendevano in complesso ad allargare le loro libertà, a diminuire le imposte territoriali e mitigare i prezzi delle derrate. Chiamato un rinforzo d'Austriaci da Treviso ed invitati i due capi della numerosa turba ( Florio Bertoldi, mulattiere e Lazzaro Andriolo, oste ) a colloquio col capitano , sufi1 imbrunire furono arrestati ed i villici «li-spersi. Intanto la battaglia di Marengo ed il passaggio del Mincio, al 2,r> dicembre 1800, produssero la tregua di Treviso del 16 gennajo 1801, per cui i Francesi della divisione di Bassano col generale Brunet vennero (24 gennajo) a occupar la provincia, rimanendovi fino all'ultimo di marzo; gettarono una sovraimposta su terreni, capitali, animali, censi e livelli per un milione, che la nostra doveva prestare in comune colla provincia di Treviso. Ripristinato il governo austriaco (8 aprile), Belluno , Feltro e il Cadore si compresero sotto il nome di capitaniate circolare, residendo in Belluno il capitano del circolo , eh' era il tedesco Grim-schttz (1803;. Pel trattato di Presburgo le Provincie venete furono aggregate al regno d'Italia, e la provincia di Belluno, col nome di dipartimento del Piave, si divise in distretti, cantoni e comuni. Risedeva in Belluno un prefetto ed un consiglio di prefettura di tre membri con un segretario; a Feltro un viceprefetto, ed un altro in Cadore ; in Belluno e Feltre si istituì un tribunale di prima istanza, con alcune giudicature di pace nei rispettivi territorj. Il municipio, rappresentante il Comune, era formato di un podestà e quattro savj col segretario. Cessò il consiglio dei nobili, e si abolirono tutti gli uflicj esistenti prima della nuova sistemazione. Le finanze si affidarono ad un intendente, che dipendeva dall'ispettore generale di Venezia ; si stabilì un conservatore del registro degli atti e contratti, e un direttore del demanio e diritti uniti. Questa magistratura avocò a se tutti i possessi del governo veneto, parte di quelli dei Comuni, molti beni o depositi delle chiese e conventi. Col decreto del I ò aprile ISOÒ' vennero confiscati i beni di tutte le scuole c corpo razioni, e soppresse le chiese di San Giuseppe, Santa Giuliana, Santa Maria del Carmine, San Hocco, San Giorgio, Santa Maria dei Battuti, Santa Mafia dei Iìalluti. Santa Croce, San Lucano, alcune delle quali possedevano preziosi quadri ed oggetti d1 arte, che furono miseramente venduti e rubati. In Feltre si soppressero, fra gli altri, i conventi di Santa Chiara, San Pietro, quello degli Angeli, le Dimesse ed i Francescani di San Spirilo. Col decreto30 marzo 180G Feltro o Belluno furono dichiarati grandi feudi dell'impero francese, e il titolo onorifico di duchi ne venne regalato ai due generali Victor e Leclair, rimasti nella storia col predicato di duca di Belluno e duca di Feltre. Si organizzarono a militare nel dipartimento un battaglione di guardia nazionale ed una compagnia di granatieri, che equipaggiati del proprio, dovevano servire di guardia d'onore nelle grandi solennità e nei palazzi reali. Malgrado i mali inseparabili dalla suprema ingerenza dello straniero, che intendeva regalare quella nazionalità e quelle Jrauchigic da lui violentemente usurpate, in onta alle difficoltà di applicarti ULTIMI TEMPI Olii nuove leggi e nuova amministra/Jone in paesi da secoli abituati a governarsi da sè, l'epoca del regno d'Italia fu dagli Italiani rimpianta dopo caduta. Il governo preceduto, nella sua breve dimora rimettendo l'ordine antico, distruggeva inconsultamente anche il buono che a tenore dei tempi e delle idee, dovevasi conservare, mentre i Francesi elevavano a cariche importanti e ad onori Italiani e provinciali, sapevano dare pascolo all'orgoglio nazionale colP istituzione della guardia civica, colla compagnia dei granatieri e col formare una truppa d'italiani con ufficiali italiani , sebbene fosse legata all'impero francese. La lingua, facile ad apprendersi, i modi geniali e la prodigalità dei soldati ed impiegati francesi, destavano un certo molo nel commercio e nello industrie, da rendere meno incresciosa la dominazione straniera. Quindi noli'avvicendarsi della guerra, durata dall'aprile del 1801) al marzo 1810, gli abitanti del dipartimento del Piave, eccetto pochissimi, parteggiavano pei Francesi, e Belluno fu multata di cinque mila zecchini da un capitano austriaco , perchè gli si sparò addosso mentre si ritirava dalla città , inseguito dalle armi francesi. Ad accrescere il malcontento, i Tirolesi, in nomo dell'Austria, organizzati in corpi franchi, non cessavano di infestare i confini della nostra provincia, o qualche volta discendevano a molestare e derubare le villo prossimo allo città. Perciò fu sentita con piacere la notizia della paco , elio ci lasciava definitivamente alla Francia; pace che lini nel 1818, in cui le venete provincie ricaddero nel dominio austriaco, confermato Panno successivo col trattato di Mantova poi con quel di Vienna. Da quell1 ora cominciò un altro scompartimento territoriale della provincia, qual tuttora sussiste. A Belluno siedono gli uflicj centrali di am-mistraziono (Delegazione), delle finanze (Intendenza), tribunale, direziono del|e poste, pubbliche costruzioni. Cos'i il sistema politico amminislrativo cangiò totalmente di base e di forma. I nobili, non più calcolati come casta privilegiata, furono rimossi da ogni rappresentanza nell'amministrazione pubblica, e cosi i cittadini, che pure influivano nelle più importanti deliberazioni ed avevano un voto nel commisurare e distribuire le imposto3. Gli affari comunali, quelli risguanlanti la provincia, i rapporti col regno Lombardo-Veneto o col contro della monarchia, le gravezze d'ogni sorta, insomma lutti i diritti che costituivano i fondamenti del regime anteriore, cedettero innanzi al potere centrale residente a Vienna, rappresentato nelle provincie dal delegato, e nei distretti dal commissario. Un inaspettato avvenimento destò noi Bellunesi il massimo entusiasmo, cioè la promozione a pontefice di Bartolommeo Alberto Cappellari 3 Son noie le attribuzioni della Gongregazione centrale, e come in essa abbiavi un deputato di nobili, ma dello non dìversamenJU dagli altri. <:, rj, nato in Belluno , d'antica famiglia nel 18 settembre 1705'. Gamahlo oso in Murano, studiò filosofìa e teologia presso il celebre padre Nacchi : mandato a Roma a lato del procuratore dell'ordine nel 1791, compose l'opera sul Trionfo della fede e della Chiesa contro lo spirito degli innovatori. Richiamato a Venezia, vi dimorò fino alla soppressione del suo convento, e nel 1812 a Roma fu eletto vicario generale dell'ordine, esaminatore dei vescovi e consultore della congregazione de propaganda fide ; quindi impiegato nella correzione dei libri della Chiosa orientale ed in affari ecclesiastici straordinarj. Per tanti titoli venne iscritto fra i membri del collegio teologico, insignito da Leone XII nel 1826, e dopo un quinquennio nominato pontefice (2 febbrajo 1831). La dottrina e la' scienza teologica gli valsero il titolo di padre della Chiesa ; prerogative che non bastarono per farne un buon principe ed un accorto politico: e fu non ultima prova del quanto sia diverso un padre spirituale e un regnante temporale. :\el 1831 le feste por V innalzamento e nel 184G la cerimonie dei funerali del pontefice richiamarono i Bellunesi ad insolite e grandiose funzioni ecclesiastiche. Egualmente festive ed improntate dal carattere religioso furono le solennità che aprirono il periodo della rivoluzioni; ne! 17 marzo 1848. Al vescovo, che si recava al tempio per cantare il Tedeum, si staccarono i cavalli per trascinarne la carrozza a braccia di popolo plaudente fino al Duomo : c tutto le classi della società sembravano allora soltanto affratellate da un vincolo di comuni interessi. Non vi fu esorbitanza di partito o imprecazione ai caduti; la vittoria si palesò pura d'ogni eccesso, e gli individui delle autorità austriache anche più invisi vennero accompagnati alla carrozza e scortati con gentilezza dalle guardie nazionali. Poi benedir bandiere, festeggiar la liberazione di Venezia e di Milano senza offese alla moralità ed al decoro, nò sfogo di ribalde passioni. Lasciando in vigore la vecchia amministrazione, s'istituì soltanto un comitato direttore, e si armò la guardia cittadina. Feltre e Belluno, riconoscendo l'antica dipendenza, mandarono una commissione a rassegnare a Venezia il governo delle proprie città e territorio. Prestarono il contingente di volontari sull'Isonzo e nei dintorni di Vicenza, i quali pugnarono bravamente in quegli scontri irregolari e poco fortunati. Ma ben presto richiamati in patria per la comparsa di sedicimila Austriaci sotto il generale Culoz, sostenute alcune avvisaglie si ritirarono per Belluno e Feltro, abbandonate dai più agiati abitanti. Alcuni volontarj combatterono coi Roma-gnuoli a Cornuda, e poi in Venezia formarono un reggimento di cacciatori delle Alpi, comandato dal colonnello Calvi che, più tardi, arrestato sui confini del Tirolo, venne condannato a morte, dopo tre anni durati nel castello di Mantova. Egli aveva organizzato nel maggio 1848 alla resistenza ultimi tempi m gli intrepidi montanari del Cadore, che con poche munizioni si sostennero contro Welden per oltre due mesi. Con questo episodio cominciò e si chiuse la rivoluzione nel Bellunese ; le conseguenze le sentiamo. Molti, anche preti, furono arrestati; passato per l'armi l'avvocato Tasso. Il vescovo Cava, vedendo non poter giovare, rìtirossi povero ed intemerato a vivere nel seminario di Ceneda sua patria. Nò altri avvenimenti o mutazioni politiche accaddero nel susseguito decennio, subendo la provincia nostra la sorte, del regno Lombardo-Veneto. Solo nel nuovo riparto amministrativo, fu soppresso il commissariato di Mei, compene-irando il disi retto in quello di Belluno; e Fcltre, nel febbrajo 1854, cambiò la deputazione comunale in municipio, aggregando ai proprj Comuni quelli di Zermen e Villabruna con aumento della popolazione c della rendita censuaria tanto opportuna pel ristauro della città. Coltura e religione. La soppressione o concentrazione dei monasteri e conventi, la diminuzione delle chiese avvenute nelP invasione francese, potean esser giustificate se lentamente compiute, e con leggi speciali che regolassero P amministrazione e vendita dei beni demaniali, o provedessero al risparmio ed alla tutela dei capi d'arte e monumenti lasciati in balia dell' arbitrio e dell' espilazione. Ordinalo ed eseguito a fretta e furia, quest'atto del governo francese restò barbarico nella essenza, tirannico nella attuazione, nè il guadagno aspettalo fu pari all'odio che gli protestarono i presenti e i futuri. Il vescovo Alcaini di Belluno e Feltre veneziano, della religione somasca, riparò alla sua patria appena vide lo straniero manomettere i beni e le chiese e vi mori nel 1803 di cin-quantaquatfro anni, prima di vedere il fine della tragedia. Egli aveva concentrato i tre ospitali di Santa Maria dei Battuti, Santa Maria del Carmine e di Santa Croce di Campestrino, in un solo, che mercè una saggia amministrazione , provede ai bisogni del suo distretto, mentre quello di Feltre, di recento ristaurato, può sopperire agiatamente alle necessità del proprio riparto. Vedemmo all' epoca napoleonica erigersi in Belluno un nuovo cimitero a San Gervasio e le prigioni. La guerra aveva richiamato sotto la bandiera del moderno Alessandro non pochi Bellunesi e Feltrilo. Cadde combattendo fra i primi, presso il forte dei Due fratelli di Genova (1801), il generale Giuseppe Fantuzzì, il quale da conduttor di zattere si era guadagnato il grado col sangue sparso per la causa polacca a canto il prode Koziuscho. La repubblica di Venezia Io invitava a presentare un piano d'armamento generale, che, se non fosse stato rigettato dal partito timoroso del Consiglio, l'avrebbe forse salvata dalla rovina. Ingegno pronto e svegliato appare dalla sua memoria del 1795 Sul corso dei fiumi, e nel discorso lì I osp fico-pol i t i co Quale dei governi liberi convenga meglio aW Italia, che pure concludendo per la repubblica dedicò a Bonaparte: lasciò incomplete Ossa-razioni slo-rico-poliliche e filosofiche sopra gli avvenimenti della Polonia, perchè morto a trentott' anni. Suo fratello Luigi fu ispettore alle rassegne sotto il governo d'Italia col grado di colonnello, e nella campagna di Russia con molti della provincia lasciò la vita. Di là tornarono in patria il cavaliere Marco Migliorini, il cavaliere Doglioni, Dal Mas distinti uflìziali, ed alcuni soldati, fra i quali vive tuttora in Àrsiè un vecchio, decorato perchè nell'assalto di Saragozza una palla di cannone rompendogli il braccio, egli gotto in aria il moncone gridando: « Viva T imperatore ». Il vescovo di Feltra, della famiglia Caranzoni di Brescia, indovinò nel primo colloquio con Napoleone le suo idee riguardo al papato, e sembra ne adottasse i principi : onde l'imperatore, nell'adunanza dei vescovi a Parigi nel 1811 , ebbe a dire che « se vi fossero sette vescovi dcl-« P opinione del Caranzoni, trionferebbe la religione, e non avrebbe a « impazzire col clero ». Venne eletto della commissione che doveva recarsi a Savona presso il pontefice ; ma uscendo dal palazzo del ministero del culto, dove avoa bevuto la cioccolata col bravo suo segretario don Vettóre Giobbe di Lamon , fu còllo da acerbi dolori di ventre, che nel giorno dopo lo trassero al sepolcro non senza sospetto di veleno. È venerata in Fellre la sua memoria pei talenti e per la generosità dell'animo dimostrata col disporre un pingue legalo per P orfanotrofio femminile , che venne aperto nel 181G a merito di elemosine cittadine. Il Mengotti di Fonzaso divenne celebre giureconsulto in Venezia, ove esercitava a venti anni l'avvocatura fi78$) J nel 1804 intendente alla correzione del censo veneto sotto il regno italico; nel 1806 presidente dell' amministrazione generale finanziaria delle provincie venete, quindi regolatore delle finanze in Ancona. Insignito da Napoleone della corona ferrea, da l'io VII di una medaglia, fu eletto senatore, membro della legion d'onore, conte del regno, ed uno fra i ventiquattro membri pensionati dell'Istituto di scienze, lettere ed arti. Sotto il governo austriaco richiamato a consigliere aulico c vie-presidente della giunta del censimento, nominalo commendatore dola corona di ferro, colmo di gloria mori il-S marzo ' 1830. Oltre l'onorato disimpegno dello pubbliche cariche, vive tuttora glorioso fra gli economisti, gli idraulici e i letterati per le seguenti opere: Dissertazione siti commercio dei Komam dalla prima guerra punica a Costantino , in risposta al programma dell'accademia di Parigi cos'i concepito*; • I Romani si temuti, si opulenti, « sì grandi, ebbero anche il più llorido, il più vivo commercio? L'impero « più stabile è quello della forza o dell' industria ? Lo ricchezze, per « immense che sieno, possono essere durevoli in uno Slato senza indù- ULTIMI TEM PI m « stria e commercio ? » Il Mengotti discusso e sostenne le tesi, I.°che dalla fondazione di Koma lino alla prima guerra punica, i Romani, soldati e poveri, non ebbero cognizione di commercio ; 2.° che, da quel-P epoca fino alla battaglia d'Azio, grandi e potenti lo trascurarono ; 3.° che, da questa battaglia a Costantino, i Romani rovinarono con un commercio passivo. L'erudizione e la logica sfoggiale in questo suo [•rimo lavoro gli procurarono il doppio premio dell"1 accademia di Parigi e d'esser ristampato in più di venti edizioni e tradotto in altre lingue L'operetta sul Colbertismo, in cui abbatte il sistema dei dazj e delle proibizioni sulle materie greggie, sui prodotti nazionali, sviluppando la massima della libertà di commercio, perché genera la concorrenza delle persone e del denaro, quindi la floridezza dell'agricoltura e delle industrie, mentre le tasse e i balzelli ridondano a solo vantaggio dell'erario, gli meritò il premio dai Georgofili di Firenze. Passeggiando lungo il patrio torrente Cismone, concepì e meditò il bellissimo Trattalo d' «Iraulica fisico-sperimentale, in cui svolge con chiarezza di stile, brillanti e concisi ragionamenti sparsi di aneddoti graziosi e vivaci, l'origine dei torrentelli sulle montagne, le cause del loro accrescimento , le barriere offerte dalla natura alle loro piene, che l'umana industria finora non seppe imitare. Sopra i principi della natura, e della scienza fonda il metodo'facile e sicuro di evitare le immense fiumane, che scoscendono le montagne, disertano la pianura e turbano P andamento dei torrenti e dei fiumi. La chiusa delle acque fra monti imitando i laghi formati dalla natura, e Y imboscamento attivo e sorvegliato apparvero, come sono di fatto, i mezzi più efficaci e sicuri contro le pione e le rotte dei fiumi. Gli accademici della Crusca gli aggiudicarono il premio per la purezza della lingua, e cinque edizioni provarono l'importanza dell'argomento. Nella memoria Sui responsi dell' oracolo di Delfo osserva come i deputati dolio città greche se ne servissero per rinforzare sul popolo, col velo della religione, le massime della costituzione greca. In altra scrittura provò i danni dei prestiti pubblici, i quali pei loro interusurj aggravano le condizioni dei soggetti, distraendo nel presente una somma di capitali che andrebbe altrimenti impiegata nel commercio e neh' industria, e mettendo un' imposta permanente sopra le future generazioni. Negli ultimi anni scrisse dell' Influenza della rugiada e della luce sui prodotti delPagricoltura, ed altri lavori i cui manoscritti si custodiscono dal nipote ed erode Francesco Mengotti di Feltre. Fu danno gravissimo alle scienze economiche, che P opera di maggior lena, nella quale avea profuse le cognizioni e la pratica di tutta la sua vita, siasi smarrita o bru- lìtastraz. del L. V. Vol. II. t i STOKI A DI BELLUNO ri,ita nel nefasto io aprile 181'i, quando la plebe di Milano invase il palazzo senaloriale \ Può reggere al suo confronto Francesco Maria Colle, nato a Belluno nel 1744, entralo nella compagnia di Cu-sù , dopo la cui soppressione j Francesco1 Mengotti fu educalo nel seminario di Tel Ire, alla qual città era allora sottoposto Fonzoso nel civile, lo perchè, da molli è detto feltrino. Invaghitosi d'una Bilesimó, come seppe che già ne era preso il fratello Angelo, cedette a questo ogni pretensione, e pari dalla patria, più non tornandovi sin ch'eli;! visse;; Appena, dal premio conferitogli dall'Accademia Francese, Venezia s'accorse de' suoi meriti. Fadoprò come consultore in cose i ol.tiio-eeonomiche, poi in missioni imperlanti al momento ch'essa periva, 1 nuovi padroni l'ebbero docile e zelante, massime negli oTficj delle finanze più odiosi. Nell'Istituto Italiano lesse due memòrie, Sui debiti degliStati,;»■ Svtl agricoltura aulica e moilerna. Nella chiesa di Fonzaso gli fu posta un'iscrizione con parole del Cicogna e intagli del Uosa. L'abate Jacopo Bernardi di Ceneda ne tessè un elogio pieno di notizie domestiche ■ -onali, delle quali ci duole ch'egli credasi obbligato a scusarsi. Quanto alle opere conosciute per la stampa, a noi pare che il Colbertismo siavi combattuto debolissimamente, e con ragioni che possono ritorcersi a suo sostegno. Di fatto 11 Irebbe ragionarsi così: Ricchezza è la quantità delle proibizioni, e questa è sempre proporzionale al consumo. Tutto quel che va in manifatture vien dalla terra. I manifattori fanno alzar di prezzo le merci perchè consumano assai. Consumando assai, vengono a d;*r aumento all'agricoltura. Dunque chi favorisce solo l'agricoltura non favorisce che una parte; chi favorisce le manifatture, fa crescer anche l'agricoltura. Sulla bilancia del commercio esterno vaneggia coi poveri prammatici, cogli Economisti, calcola ne' lavori la sola durata, e quindi il valore di quello che vi ci consuma ; locchè P .reggia il ciabattino a Canova. L'idea fondamentale poi del libra è clic una nazione, dando CQime t» e ricevendo come 10, si trova bilanciata. Noi pretendemmo altrove confutar la sua opera sul Commercio de' Romani, e mostrar quinto anche in ciò fosser grandi essi, mentr'egli non vi vede che povera rozzezza nella prima epoca, negligenza superba nella seconda, rovinosa passività nella terza. 11 successo strepitoso che ebbe quella dissertazione va in gran parie attribuito all' essere comparsa l'anno prima che scoppiasse la rivoluzione ; e ne'ladri proconsoli romani volle scorgersi un'allusione ai provveditori veneti. Quanto meno fu ascollato, tanto più merita e>ser ricordalo il Saggio sulte acque i ci renti (Milano, Mussi 1810-12;, che poi comparve nella Raccolta d'autwi italiani ohe trattano sul molo delle acjuc , sotto il titolo di Idraulica fisica esperimentalc . quarta edizione con nuove correzioni ed aggiunte dell'autore. Bologna, 18'2.>. Neil'avvertimento è dello che quell'opera « a giudizio de'conoscitori di vaglia, è il trattato il più completo che siasi sino ad ora veduto sui fiumi •. Non è, alle presenti circostanze , inutile il riferirne un brano: « Le pioggie d'oggidì son quelle a un dipresso che v'erano in addietro. Ma una volta non potevano congregarsi così rapidamente in massa. Or a/ contrario cadono a precipizio dalle montagne Ignude e formano prese insieme una massa d'acqua non inferiore a quella d'un lago. Ma noi abbiamo rotto le barriere del lago, tolte le sue porle or sono aperte?; l'afflusso delle acque è istantaneo e precipitoso; non è più ormai una piena sola, com'era in antico, quando si trovavano coperte e giuncate d'erbe, di macchie e di boscaglie le ripide coste montane; ma' due, ma quallro, ma otto 'son ora le piene che in breve spazio di lempo si ammonticchiano sformatamente passando sopra i nostri argini come se non vi fossero, e devastando le nostre sbigottite contrade. O voi che siete al piano, e vi affannate intorno agli argini del vostro tronco di lìume, non vedete come lai monti vi piombi addosso un improvviso ed immenso cumulo d'acque? Voi fate come colui che si difende da un nemico che ha in faccia, mentre molli alle spalle m Mscono e l'opprimono. Voi siete, siami lecito di seguir l'immagine che mi si offre, ULTIMI TEMPI m (1773) professò storia nell'Università padovana, e dettò la continuazione dei fasti del Facciolati fino al i780. Cominciò la storia di quella Università , condotta fino al 1405 é pubblicata dopo la sua morte, avvenuta il 18 marzo 1815 nella villeggiatura «li Navasa presso Belluno. Durante il governo francese ed italico, copri la prima magistratura politica nella Mia patria ; e fu consigliere di Stato in Milano e cavaliere della corona di ferro; lesse in vario accademie dissertazioni di diverso argomento, fra cui Che cosa fosse e quanta parte a resse la musica neW educazione dei Greci, pubblicata nel 1775 c premiata dalla reale Accademia di Mantova; un'altra sulle Piene del Po, od una Sulla sistemazione del Brenta ; senza contare le opere restate inodilo per la severa modestia dell' autore. Il nobile Giuseppe Urbano Pagani-Cosa, nato in Belluno noi 1757, fu applaudito per un poemetto sul tremuoto di Messina. Quando imperversava la guerra si ritirò in patria e visitando le poetiche rovine di Vedana e l'antico cenobio de'Certosini, s'ispirò alla calma della natura, cantando gli amori e la pace della villeggiatura di Clizia ; dipinse quel tranquillo recesso fra monti, lambito da impetuoso torrente, e quelle amene vedule che contrastano coli'orrido dei massi biancheggianti nella sottoposta pianura. Tradusse molte poesie ed operette dal latino e dal tedesco. Trattò forbitamente anche la prosa pubblicando in Firenze nel 1824 Le considerazioni sul Teatro tragico italiano, ristampate in Venezia, ed altre lettere accademiche: elogi e dialoghi di vario argomento io dinotano erudito e robusto prosatore. Di carattere sdegnoso e mordace, ma di cuore onesto e benefico; la passione pel viaggiare e per lo apparenze dell'agiatezza e del lusso, gli assorbirono la non ricca fortuna, onde in ristrettezza morì in Venezia nel 1835 ". Tutti questi si educarono nell' età veneta, quando in Belluno Fioriva un'accademia degli Ani^tauìici di scienze, lettere ed agricoltura, e si rinvenivano menti filosofiche e riflessive ed immaginazioni poetiche e brillanti. Fra queste per la singolarità merita di essere nominato Valerio Dal Pos, contadino delle Alpi Canalesi sopra Agordo, che senza educacene il Off Ho d'Anchise in quella lerrlbll notte, in cui dopo aver l'atta ogni prova per difenderò la città dal furore dei Greci, vide sull'alto della rocca e sulle, porte Scec Giunone e Nettuno e Fallane e Giove slesso die atterravano le torri e lo mura di Troja. Allora s'accorse della vanità de' suoi sforzi. Così voi non vi potrete salvar mai dagli assalii del fiume, lincile le Naiadi, le Driadi, le Amadriadi e le Napee e tutte le divinità cusfodi delle fonti e delle selve, piene di sdegno per vedere violate le loro sedi, verseranno furiosamenle dalle urne rovesciate tolta IVijua che cade dal cielo». c. C. •> 9e ne parlò a lungo a pag. CS7. La prima opera indicatavi è ULTIMI TEMI'! 699 morie di vario argomento nelle scienze geologiche e naturali sia autore il nostro Catullo, e quanta sia la stima che gli tributano i naturalisti d1 Italia e d1 oltremonte. Sebbene vecchio e di salute malferma , medita ancora sui problemi della scienza, e stampa di quando in quando elaborate \\ Manuale mineralogico, stampalo a Belluno noi 1H12, ch'è puro il primo libro in Italia fondato sul sistema cristallografico chimico di Ilaùy, Alcune note di quello, e moltissimi degli scritti posteriori descrivono la geologia o la mineralogia del Bellunese, e le miniere di esso e la zoologia fossile. Fra quegli son notevoli al caso nostro quello Sopra le rovine ch'ebbero luogo nel Comune di Borea nel Cadorino (Belluno, 1814), che furono cagionale dallo sfasamento del monte Antela; e Sulla nei essi là di promovere lo scavo delle miniere nella provincia Bellunese, e sopra i vantaggi che si può ritrarre dalla, faggina e dalle legne giacenti, che infracidiscono nella selva della il Consiglio, Ba-gionamenli due. Belluno, 1818, di pag. 44 in 8". Vi fa conoscere quanto più numerose*! vantaggiose fossero nei secoli XVI e XVII le miniere dell'alto Bellunese. Quelle di Santa Lucia sopra Caprile, dì Goima e di Valle Inferna nel Zoldiano, di Gian e di Cibiana nel (Indorino; di Grigne nell'Auronzese, ecc. ecc., potrebbero fornire abbondali/.;) di ferro, di nune, di zinco, di piombo e di argento, eppur giacciono abbandonate. Véne argentifere in una galena a grani lini ha il Catullo rinvenuta a Bove de'MedoIi, presso Oont nel Zoldiano, dalle quali potè estrarre molta quantità d'argento. Notizie originali intorno le miniere di cinabro in Vallalla, cavò dagli scritti inediti dell'archivio minerale di Agordo. Osservazioni locali ha fatte anche poi in epoche posteriori, una parie delle quali gli servì a compilar l'articolo inserito bel Nuni. 7H della Gazzella di Venezia del 18P2, che qui riportiamo : • Mimerà di Vallalta. Se il maggiore o minore profitto che trae l'umana industria dai prodotti naturali sta sempre in rapporto co'progressi che fanno le scienze e lo arti, non è però che in ogni luogo, ove le scienze e le arti vengono con ardore coltivate, si voglia e si sappia ricavare tulli que'vantaggi, che da esse dovrebbero naturalmente fluire. Nelle sole Alpi Venete v'ha gran numero di miniere, da cui i nostri maggiori ritrassero 8 dovizia diverse falla di metalli, che noi del tulio trascuriamo, ad onta dei lumi e dei mezzi assai volle maggiori che sono in nostro potere per facilitare i lavori, e per render, più proficua l'impresa. Sappiamo da Strabone (Rerum Gcof/raphicarum. lom. I, lib. IV), dall'Agricola (De veteribus et novis metallis), e da Giovanni Candido (Comment. Aqnilcjens. Lib. I), che l'oro cavavasi dai monti Camici, F argento nel monte Primerio, dove sussistono tuttavia gl'indi^ delle fatte escavazioni; e nessuno ignora che il ferro, il rame, lo zinco ed il piombo argenlifero si estraevano nei monti del Bellunese per conto di privati azionisti, e sulla l'immediata sorveglianza del magistrato alle miniere, residènte in Venezia. È appunto dalle memorie consegnate nei libri di questo magistrato , che si pud trarne sicure notizie sull'antica condizione delle venete miniere, di quelle d'argento specialmente, poste nella valle Imperimi, di cui adesso ignoriamo il luogo de'cuniculi che davano accesso ai filoni , quantunque esse fossero in pieno lavoro nel secolo XVI , cioè pochi lustri prima che il Croia ili Lecco scoprisse la famosa miniera di Agordo, situata nella medesima valle. Ma del mercurio," che pur si trova nelle Alpi nostre, non abbiamo negli antichi registri vermi documento che comprovi la sua esistenza. Solo sappiamo che, verso la metà del secolo passalo, si scavava il cinabro in Vallalta presso Tiser nell'Agordino, e si traduceva il minerale a Venezia per separarne il mercurio mediante la distillazione; ma l'imperizia degli azionisti fu tale, che mai si è pollilo trarne un certo guadagno, e l'impresa venne abbandonata. Nel 1H14 sono stali ripresi i lavori con la mira di aggiungere al rame ed al ferro, che somministravano le miniere di Agoido e di Primerio, un terzo metallo. In quello stesso anno visitai per la prima volta la miniera di Vallalla, e vidi che l'escava- dissertazioni. È membro effettivo dell'Istituto veneto e socio corrispondente di molte accademie nazionali e straniere, decorato dal pontefice e dal re di Sardegna. zìone ora affidata allo cure di due soli operaj, i quali eoo ferri male assortiti sgretolavano il cinabro che appariva sulla superficie della roccia. Ben si poteva dire ch'era quella l'opera della formica, non essendosi mai proveduto ai disatri recati dalle inondazioni, si doveva di quando in quando sospendere que'meschini lavori per estrarne l'acqua; ma questi operazione, che non poteva essere condotta a buon line senza il sussidio d' un'apertura o galleria di scarico, stancò la pazienza dei due alpigiani, e la miniera fu di bel nuovo abbandonata. Nel IStti essendo io ad Agordo, ritornai a Vallalta per rivedere quel ramo di monti che da Tiser progredisce verso Sagron, ed in quella occasione volli meglio conoscere la geOgnosia della roccia che dà ricci lo al cinabro, nonché il modo di giacere del solfuro metallico, se In arnioni, in vene, o piuttosto in filoni, come sentiami inclinalo di verificare tino dal tempo della prima ispezione fatta in quel luogo {Sulla necessità di promuovere lo scavo delle miniere, pag. 8). Assicuralo che la matrice del mercurio è l'arenaria variegata, ovvero quel conglomerato che nei contorni di Agordo, come da per tulio altrove, copre il micaschisto, e serve di ganga al cinabro tanto nell'aulico come nel nuovo Continente (Humuolut, Essai Ge'ognost. pag. M!l) tolsi ad esaminare gli scavi fatti sino allora, quelli cioè che per essere occupati da poca acqua non impedivano intieramente l'accesso. Appresi dalla mia ispezione, che il cinabro trovasi disposto ove in vene di tre o quattro linee di spessore, ove a spruzzi o macchie allungate, sparse irregolarmente nella roccia, sovente accompagnati da grani di ferro solforato. Le vene sono di colore cinereo fosco e di aspetto cristallino, laddove le macchie hanno una tinta rosso-vermiglia, ed un'apparenza terrosa. La prossimità di questa miniera ai grandi depòsiti metalliferi di Agordo e di Tiser, come pure lo ondulazioni «die si scorgono nel suolo di Vallalta, e la strana positura a^-SUntó dagli strati della roccia arenacea, di cui il suolo stesso è quasi intieramente costituito, fanno supporre che una forte commozione sotterranea abbia sollevato il soggiacente micaschisto, ed insinuato fra le porosità e fenditure deH' arenaria il cinabro , nonché i grani e nodi di pirite da cui è accompagnalo. Questa congettura , tanto conforme alle idee generalmente ammesse dai geologi sull'orìgine de'metalli, conduce a pensare che la miniera di Vallali:» sia il prodotto di sublimazioni emanate dal centro ancora incande-seenle del globo, le quali tanto più debbono comparire copiose, quanto più gli scavi saranno profondati, giacché percorrendo la sloria delle osservazioni fatte in diverse miniere d'Europa si apprende che i depositi melali i feri sono in generale mollo ricchi nelle parli più vicine al contro dal quale derivano, e poveri b sterili nelle più lontane. Di fallo i frammenti di arenaria impregnata di cinabro, che negli anni addietro slaccai da un pozzo allora poco profondo, alla bilancia di Nieolson mi si palesarono specificamente meno gravi di quelli che mi furono, non ha guari, presentali dal signore de Bosio, attuale proprietario delle miniere; e gli assaggi docimastici che si sono fatti confermano ancora più il predominio del mercurio nei pezzi di roccia schiantali nelle parli più basse dei pozzi, in confronto di quello ricavalo nei pezzi arenacei superiori. Merita ogni encomio I' atlività con la quale il De Bosio cerca di rendere proficua quella miniera, appianando, per quanto sia in lui, le difficoltà che pur sono inseparabili da sì falle intraprese. Portali «li scavi ad una maggioro profondità, si cerca adesso di riconoscere lo spessore di un filone trovato in fondo al pozzo Santa Maria, del quale ho alle mani alquanti esemplari. Codesti non sono altro che la stessa arenaria (pecitiana) tramezzala dalle consuete vene di mercurio solforato, ed inquinali ovunque di macchie rosso; ma così ricchi di metallo, che da cento parti di roccia potè il signor Venturi, farmacista di Padova, ricavarne 19 lj'2 di mercurio puro. Tra i pezzi che ultimamente mi furono recati dal De Bosio, ve n'ha uno ULTIMI TEMPI 701 Le scienze storiche ed economiche, la letteratura latina e italiana occuparono ai giorni nostri l'attività intellettuale della provincia, che in riguardo alla sua popolazione ed ai scarsi mezzi di erudizione eh' essa olire, produsse un numero rilevante di scrittori forbiti e addottrinati 8. Certo la generazione che passa come la presente non è inferiore a nessuno nell'amare la patria, nel sobbarcarsi, in tempi di squilibrata economia, ai pesi necessarj per promoverne gli istituti bendici e nel decorarla secondo le moderne tendenze. Con largizioni privato si sussidiò il seminario, si istituirono la pia casa di ricovero, l'orfanotrofio dei fanciulli a merito del promotore don Antonio Sperti e coi denari del Comune si apprestarono le scuole maggiori e comunali ; si fabbricò il ponte di marmo sul Piave, opera di gran valore rovinata dalla piena del 18òl ; si selciarono le contrade, si abbellirono i pubblici edilizj, ricostruendo, con parte dei materiali e sullo stile del crollato palazzo del Coasig\ÌQ(V.fig.pjeg.)f il nuovo municipio. Il disegno ne spetta al valoroso architetto Segusini, che progettò e costrusse il teatro di Belluno, cretto a spese di società privata. Sopra i suoi disegni e colla sua direzione s'innalzò il seminario di Feltre, e si fabbricarono e ristamparono alcune case di privati feltrini e bellunesi, le quali, nel complesso del disegno o nel dettaglio degli ornamenti, mostrano l'immaginosa fecondità dell'artefice. Upa bella fama ottenne in questi ultimi anni il Segusini specialmente nella costruzione di <'\ tinta piombina e di tessitura scliistosa, dentro il quale vi lio scorto ad occhio nudo, un' infinità di giobicini di mercurio nativo. Esso è ancora arenaria marnosa (pcciliu>iiny non già micaschisto, come fu creduto da altri, dal quale si discosta per la minore durezza, per l'aspetto granulare delle fratture, e perchè non ha quel lustro micaceo che di rado manca nell'altro. Dal vedere però che nelle pertinenze di San Lucano e nei contorni di Agordo l'arenaria perde la compage granulare, e diviene scliistosa a misura che più si avvicina al micaschisto, su cui riposa, si può per analogia giudicare che al di sotto degli strati arenacei esista anco in Vallalta il micaschisto, forse assai volte più metallifero della roccia che gli sovrasta ». G C. 8 Le notizie sloriche economiche della provincia si Indiarono dai signori professore (..tulio, conte Florio Miari, Dalla Libera, nobile Doglioni Angelo distinto ornitologo, nobile Ottavio Pagani-Cesa, bellunési, dal professor Pietro Mugna dotto vicentino, da monsignore Zanettini ed abbate Znnghellini di Feltre. Le scienze economiche in generale vennero studiate e discusse dall'avvocato Giovan Battista Zannini in diverse applaudite .....morie lette all'Istituto Veneto, sopra le imposte, il problema dell'oro, l'educazione pri- maria, ecc.; dal dottor Bajo di Fonzaso con studj coscienziosi sul sistema forestale e sul pensionatico, letti all'Ateneo di Venezia. In letteratura emersero Filippo De Poni di Fonzaso, che nell'esiglio alimenta la fiamma patria: come dovette star esule e prigioniero il bellunese abate Sebastiano Bamzzi poeta e traduttore della Mcssiarfe di Klopstok e della Bibbia. Nominiamo ancora fra i letterati il conte Francesco Miari pietà, il nobile cavaliere Giovanni Pagani Cesa avvocato, e monsignor De Menech; fra i giovani il professore Domenico Martini matematico e poeta, dottoi Zacehi, dottor Cantilena e dottor Pagello dotti e bravi cultori delle scienze mediche. 702 STORIA DI BELLUiNO Piazza del Duomo e nuovo Municipio. chiese. La provincia nostra ha quella di Agordo, si bene instaurata ed ampliata sullo stile del 1500, e quella di Villa Piccola frazione di Au-ronzo in Cadore disegnata sullo stile greco, con gradinata ed atrio a colonne, che impone per Tardità sua cupola !). !) I progoti i principali dovuti al bravo Segusini, oltre i qui detti, sono la metropolitana di Erlau in stile greco-romano; un tempietto alla greca noi distretto di Mei; la riduzione del duomo di Oderzo; i teatri di Innspruck, Serravalle, Conegliano; il liceo e l'ospedale di Udine... Quando s'aprì il seminario di Feltro, furongli diretti buoni versi, fra cui cerniamo i seguenti: fo mi ricordo d'una bella sera Inargentata dalla luna, e fresca . Della brezza autunnal ; solettamente Passeggiavamo le silenti strade Della tua Feltre, e ci vedemmo innanzi L'attiche forme sollevar modesta E severa e gentil questa novella Gemma del tuo pensiero. 0 qual m'apparve Nella pallida luce della luna E nei silenzj della notte immersa Pomposamente! Mi destò nel petto Soavissimi sensi, ed al pensiero Un'idea consigliò, che l'assomigliu Al simulacro di Minerva, intesa 561914 i h rim za. Il gonio delle arti sembra naturale in questi paesi, giacché si vèti » artieri digiuni d'ogni istituzione, esattissimi nei lavori fabbrili, pazienti nell'intaglio minuto e nella scultura in pietra ed in legno, e felici nel maneg AU alti studj nella quiete arcana Del firmamenti e della lena, oh! guarda Guarda con giuja come io pur l'ammiro Lfl vasta mole che da le s'impresse A si belle sembianze. [Hustre e santa È quella pietra, sovra cui l'altare Hiimovcllasli consacrato a culto Dei patrj Gcnj: la segnò il passalo Di memorande note, ed or di glorie Al nipote favella, e gli racconta Di quella man che prima la rimosse Dallo speco nativo, e inauguro![a Di tanto amor, obe per gelato influsso Di cento verni, per l'obbliqua vece Delle sorti, e per l'impelo e per l'urto Di Stranie guerre non si transe e stette: Peri he nel crollo dei mutali imperi, Fra il tumulto dcH'ariui e lo spavento Dei popoli sommossi, olii ì segreto Alla .sapienza sbigottita asilo; Siccome nelle tenebre muggenti Htiktràx, del L. V. Vol. II. M giare la matita e lo scalpello. Si applicano allo studio? sorgono il Paoletti, il Demin e il Calli, tutti tre bellunesi, che hanno raggiunto lo scopo dei-Parte e guadagnata una ben giusta celebrità. Il Paoletli, colpito da morte immatura sul linire del 1847, era corretto e delicato nel disegno, e SÌ mostrava egualmente distinto nei quadri a olio, ne' freschi e nei lavori a penna, che a guisa di miniature illustravano il margine dei libri, come si riscontra in quello donato alla cattedrale di Belluno da Gregorio XVI commesso ai Paoletti dalla congregazione israelitica di Boma l0. Boma, Venezia, Padova, Vicenza e Belluno mostrano un genere o nell'altro preziosi lavori di questo illustre pittore, che aveva meritato il titolo di cavaliere. Una feconda immaginazione, secondala da un facile e pronto pennel-leggiare e da una robusta intonazione di colorito rende meritamente stimato l'artista Giovanni Demin. La sua patria non gli fu avara di commissioni, perchè chiamato a dipingere nel municipio di Belluno, in molte chiese della provincia ed in alcune famiglie private. Milano, Venezia, Padova, Vicenza, Gencda, Treviso possedono belle opere di soggetto saero e profano, a buon fresco, che vengono ricordali dalle guide e visitati dai passeggieri. Nè P avanzata età gli toglie la giovanile franchezza e sollecitudine; e se questo valente artista non fosse stato sempre pressato dai bisogni di numerosa famiglia, a cui non troppo lautamente soccorrono E nel spfllar degli uragani 'I muli» Santuario proteggo la fiammella Della lampada sacra. Eccelsi nomi Mostra sculti di lor die a dotta scoi» Dettar precetti, o l'alme discipline (tesser prudenti, ed orgogliosa pompa Di cenlo altri rivela eccelsi nomi, Onde è memoria di l'elici alunni Che all'onor della mitra, agli ardui scanni Ove alla luce del diritto iulegra Sorveglia Terni, al Portico supremo Della veneta Alene, ad alti uflizj Brillaro assunti, o modular canzoni Con amor ripetute, o delle care Patrie memorie, o d'altro scritto all'arte D alla scienza segnar pagine elette. C.C. 10 II Paoletti, formatosi ai grandi esemplari a Roma, colà, siccome altri, fu svialo dalle commissioni, piuttosto ornamentali che di gran soggetto; dove anche la pratica del fresco pregiudicò alla l'orza del tinger a olio. Bestituilosi a Venezia, Io vedemmo, nellSìG appassionarsi sopra quo'sommi coloritori, al tempo stesso che studiava la composizione filosofica e la verità. In Santa Maria Formosa, trovatosi accanto a emuli tremendi, incessantemente migliorava, siccome appare negli affreschi dell'aitar maggiore; ma fra l'ostinatezza del lavoro mori in fresca virilità. C.C. ULTIMI TEMPI 70 i i mecenati moderni, i suoi lavori non risentirebbero in generale di quella trascuratezza nei dettagli, e di quella prolusione di figure nel componimento, che si criticano quali difetti e sono invece esuberanza di fantasia che non ha tempo di scemerò e da maturare, e celerità di lavoro, che impedisce la perfezione nella condotta ". Il genio della pittura prospettica non guidò mai pennello più intelligente di quello d' Ippolito Caffi. Superiore nel cogliere gli effetti di luce negli albori e tramonti, nelle notti serene o procellose, non ha rivali nel dipingere feste e spettacoli popolari. Appassionato dell'arte, percorse molte regioni dell' Europa, dell'Asia e dell'Africa copiando fedelmente i costumi, e quasi direi trasportando in essi quel cielo infocato che batte sui deserti della Libia, e animando le rovine della spenta civiltà orientale. Molti giovani artisti seguirebbero le nobili orme stampale da questi maestri se i tempi corressero meno tristi per le arti belle, le quali per essere incoraggiate hanno duopo dell'agiatezza generale e di liberi eccitamenti1*. Basii intanto l'avere segnata a brevi tratti l'operosità intellettuale e morale del ceto medio, che prepara indubbiamente il trionfo dei grandi principi sociali, dietro a cui si commove e spera l'attuale generazione. 11 Può, vedersi una memoria letta dal dottor Beltrame nel l'ateneo di Treviso jsul pittore Demin. Fu ne'primi passi sorretto dal Canova, e acrampagnato'ìn tutti dalla invidia. Diremo che alle censure diede giusto appiglio? Ci ricorda-essersi detto molto gentilmente clic « Una lacrima paterna, caduta sulla sua tavolozza, ne alterò e illanguidì i colori». A Ceneda dipinse la sala del palazzo municipale, dedicata a Ferdinando imperatore qnand perdonava, e nel soggetto venne a gara con Hayez. Il giudizio liliale a Monigo e a Pove; a Ceneda presso Sacile la caduta degli Angeli ribelli] a Candide, a Moriago, a San Cas-siano del Mescine l'Assunzione di M. V ; la lolla delle Spartane nella villeggiatura Manzoni ai Patt, e molti soggetti saeri in chiese bellunesi e trevisane: a Conegliano Cesare che sconfigge gli Elwzi, e l'ingresso di santa Saba in Costantinopoli : in llelluno nelia sala municipale, il vesenvo Giovanni che sottoscrivo la pace coi Veneziani, e i Bellunesi (die respingono Ezelino, oltre soggetti allegorici; nel calte Pedrocchi a Padova Diogene, e un Beduino: in Ceneda molli falli patrj di cui parleremo a suo tempo, ecc. C. C. t'i Fra i giovani pittori si apprezzano nella figura Speranza e Feltrili, Il cui padre raccolse Circa 240 rinvilii disegnati a chiaro-seuro degli nomini Illustri della provincia; e dispose alcune memorie sulla storia Cadoriua e Bellunese: Osvaldo Monti r: il conte Francesco Agosli (ambedue dilettanti) bellunesi e Fot di Feltro; nel paesaggio Danieli, Mad-dalozzo, Guerra e Tonelli: nella pittura decorativa Sommavilla, Moech e Tana: nell'in taglio in legno Besarelli di Zoldo e non pochi fabbricatori di mobiglie di Belluno e Feltro. Fra i restauratori di quadri Tessali , Tonejfutti , e fra gli scultori in marmo Daren di Agordo e molti abili scalpellini sparsi por In provincia. STATISTICA DELLA PROVINCIA I. Distretti I di Longarone. II di Pieve di Cadore, III d'Auronzo. La provincia di Belluno è quasi tutta circondata dalle Alpi, che ne rendono dilettevole e amena la posizione, la difendono dai venti del nord, e segnano quella linea di conline col Tirolo, che imporporata al cadere del sole d'estate, fa apparire si fantastico e bello l'orizzonte delle nostre montagne. La sua popolazione, di circa 101,000 abitanti, si estende sopra una superfice di 942 miglia geografiche, ma più che due quinti restano inabitati, perchè situazioni alpestri di nuda roccia calcarea o improduttiva, od appena col tenuissimo ricavo di pascolo estivo pegli animali minuti. La cifra d'estimo secondo l'ultimo censimento, venne stabilita in L. 1,463,412. 17, cifra che, come vedremo, riesce superiore alla potenza agricola ed economica del paese, quando si vogliano valutare gli altri dispendj che direttamente o indirettamente riflettono il loro peso sul censo. Da Ceneda a Seravalle si ascende a Santa Croce, percorrendo una strada di IO miglia, che si rallegra per la vista dei laghi formati dallo sfasciarsi del monte Sochero il quale, deviando il corso del Piave, vi lasciò questi due bacini, che nella loro prima origine, cioè nel quarto secolo dell'era cristiana, si crede ne componessero un solo. La divisione ineguale del Lago Morto, più piccolo ma più profondo di quello di Santa Croce, si giudica effetto della rovina dei monti circostanti Pigne e Calmada ; rovine che formarono queir ardua salita del Fadalto, che poteva divenire più agevole, se dagli ingegneri d'allora si fosse modificata di poco la sua direzione. Nel discendere da Santa Croce a dritta del lago si scorge una quantità discaglia rossa compatta, disposta a lamine orizzontali; che si adopera a lastricare le vie e per qualche grossolano arnese domestico. Circa un miglio dopo il lago di Santa Croce . per la strada di Fara d'Alpago si sale alla catena de' monti Pigne, celebre pel magnifico bosco erariale detto il Cansiglio, in gran parte di faggi, con rare macchie d' abeti : esso è foltissimo, ed incalcolabile il numero delle piante, che tolgonsi in mezzo una vastissima prateria della circonferenza di cinque miglia , ad uso di pascolo estivo, la cui stupenda veduta nel più bello d'estate vi ricorda la lieta impressione d'un artefatto panorama. Ne volete in breve la descrizione? — Sul vertice dei monti Tarvi sini delle tre Provincie di Belluno, Friuli e Treviso, giace il Cansiglio alla elevatezza media di 1)00 in 1400 metri circa dal livello del man* Adriatico. Quasi tutta la base di questa foresta deriva da antichissimi scoscendimenti del monte Cavallo, componendosi di una infinità di frammenti calcarei della stessa formazione, con profondissime caverne ed antri, che assorbono l1 acqua piovana, la conducono per meati sotterranei a pie' del monte, e danno, come pare, erigine alla Livenza. La sua estensione è di 7241 ettari, pari a pert. cens : 72418, compresi i pascoli interni: e si divide come segue: 1.° Terreno non soggetto a coltura, case, cascine, strade, stagni, ecc. pert. cens: 355,88; 2.° Ter- I li Piloni nella Storia di Belluno, ed il conte Antonio Dal Corno in quella di Felli 'e assegnano all'anno ."(ì!ì dell'era nostra un terremoto nel Bellunése, per cui, caduto il monte Pinelo, olle sia a mezzogiorno di Fadalto, il Piave, die scorreva verso Serravalle, sviò il suo corso alla volta di Belluno. Si formò allora il lago di Santa Croce , denominato anche Lapisino, Varano e di Casamata, lago eh' è lungo tre. miglia italiane circa, con un miglio all'incirca di larghezza. Di tale avvenimento abbiamo qualche cenno anche presso il canonico Lucio Doglioni, e presso Demanio Trevisano nel Trattalo del/n Laguna di Venezia; Dizionario Storico-Arlistico-Lettcrario Bellunese, compilato dal conte Florio Mi.vni. Belluno, Tip. Deliberali, pag. 110. II deviamento del Piave per causa della caduta del monte venne conlradetto dall'avvocato Moneguzzi, dotto cultore delle memorie patrie di Cadore. STATISTICA 70 V Ci Popolai Lire Belluno « 'ni a Belluno 132,563 1 li (i Longarone - 10,728 li no Pieve di Cadore — 19,7.-)« 22 71) Au ronzo - 17,012 :>2 81 Agordo ' - 21,112 18 Sli Feltre 1 3.>,1'j7 16 52 Fouzaso ì»)7,:>:>'i — 18,371 23 83 Totale 2,1189,378 li» 100,711) 1,487,424 7-fO PROVINCIA bi UKLLL'NO Longarone e poi pel Cadore, la cui valle si aggira intorno al monte A;:-lelau, e si estende per quaranta miglia air incirca, procedendo dal con-linc tirolese verso Ampezzo, lungo il corso del Boite; poi rimontando dall'altra parte lungo il Piave e l? Ansici lino all' altro confine de! Ti-rolo alla volta dell'Andro. La vallata del Comelico e la piccola valle di Sriva e Pescul, separata dall'antecedente, la prima pel monte Santa Caterina, la seconda pel torreggiarne Pelmo , che gareggia in altezza cor Antelau. compiono il territorio odierno di Cadore. La Boite da una parto. l'Ansici e il Piave dall' altra sono le acque maggiori che scorrono quasi nascosto nei profondi lor letti pel fondo della valle, ed ajutano il commercio portando alle subalpine pianure i legnami che si allestiscono nei boschi cadorini. Comprendo i due distretti amministrativi di Pieve e di Auronzo, ed è composto di 22 Comuni; dodici nel primo e dieci ne! secondo distretto; confina a settentrione coi circoli tirolesi di Bressanone e di Licnz, da un lato colla Carintia , e versa mezzogiorno co! Bellunese ed il Friuli. In antico, e lino all' anno 1797, ad eccezione del comune di Sappada aggregato da ultimo al distretto di Auronzo. gli altri 21 Comuni si reggevano indipendenti con proprie leggi e statuti , sotto la protezione della repubblica Veneta. In questi due riparti il terreno coltivabile a patate, orzo , segale e frumento arriva appena a un trentesimo della sua totale estensione di pert. cens: 1,029,730, delle quali circa un terzo boschivo, ed il resto ad uso di pascolo e prato, od affatto infruttifero". Ivi non allignano nò la vite nò il gelso; il frumentone giunge a maturità appena una volta ogni decennio, il frumento ed il saraceno ogni cinque anni, perché quest'ultimo viene molte volte rapito dalla bruma; ne vi regna alcuna pianta di frutto amabile. Anno Distretto Bòvi hi Pecore Capre l'orci imi Pie '* ti 35 to.rM 5851 88 Auronzo 581" 7,2 i 3 t:,i,i 393 is:;o Pieve 48K 9,279 2520 29.T • Au l'oli ìf) :ìust r»,i2t 2412 Il Ni 'otalo 'Ir! Cadore nel ma *m« 15,591 4SI," 2 t *47 • 1812 11,952 17,570 7443 481 Dunojdé dui 4812 al 4880 si veri lieo una non lieve diminuzione d'animali, tranne i suini che crebber sin quasi al doppio, La periferia sopri» la quale si nutrono tulli questi animali 6 dì tornalure (ettari) 1206. *Ji» in prati, 20,715. y«0 in pascoli, e 11,048. 80 in mezzi boschivi, cioè prati, zerbi e pascoli arborati. Sebbene la produttività di questo paese sia sufficiente tampoco per tre mesi, i fondi così ingrati furono nel nuovo censo slimati assai più dei terreni di Ceneda e Serravalle : le abitazioni pagano d' imposta prediale qm.si l1 intoro importo dell' annue pigioni : gli opilizj da mulino e da sega furono consiti sul calcolo della colonna d'acqua, non avendo riguardo al decreto veneto del HÌ63, confermato dall'I. R. Cancelleria nel 1832, per cui era concesso ai Cadorini libero e gratuito l'uso delle acque scorrenti pel loro territorio : le gravezze imposte sui boschi, di circa L. 75,000 all' anno, faranno in breve sparire le poche selve, e le conseguenze del diboscamento porteranno l'estrema rovina a' suoi abitanti , impossibile a ripararsi. Solcati come sono i paesi del Cadore da torrenti, che rendono facile la flottazione e la segatura dello piante, e principalmente dal Piave, che per Belluno si mette in relazione col territorio più commerciale del Veneto e colla sua capitale, avrebbero in sè tutti i germi per prosperare; a piene mani la naturavi versò i prodotti minerali, che attendono solo l'industria dell' uomo che li raccolga e gli adatti a' suoi usi. Nel basso Cadore sarebbero molto apprezzati, per la varietà delle tinte e per la vaga politura di cui sono suscettibili, i marmi che si estraggono dalle cave praticate nel calcare del Giura, cominciando da quelli di Castel Lavazzo dilungarono, e proseguendo in tutti i dintorni; approfittando delle seghe e della macchina di levigazione mossa dall'acqua, si potrebbero porre in commercio coperte d' armadj e da tavoli, e gli infiniti ornamenti da stanza, intagliati da abili scalpellini, di cui siamo tributari allo straniero. Onde conoscere poi di quanti filoni metallici sia ricco il calcare delle nostre Alpi, basterà leggere 1' elenco delle miniere che si lavorarono in altri tempi, trascritto e copiato dal Saggio di Zoologia Fossile del Catullo, che studiò con indagine paziente palmo a palmo la formazione dei monti di Belluno sua patria e del Veneto 4. 4 Miniere del C adorino. 1. Ferro epatico del monto Hrussolai posto nel Comune di Selva. Il minerale vi è abbondante, e somministrò ottimo ferro a Tommaso FranceSèliinelti, dal (piale fu la miniera lavorata per molli anni. 1. Pion)bo solforalo, situala nella valle di Caialzo. Rese il t>0 per cento di metallo a Bernardino Tonetti ohe n'era l'investilo. 3. Ferro epàtico nel Comune di Cibiana, di proprietà di Domenico Pagai) e fratelli Federici. Sarà l'orse una continua/ione dei Elioni dì Gbiértiè nel medesimo Comune. 4, Rame piritoSO. Trovasi in liloneelli nel monte Venas, e ne fu tentata l'escavazione dal suddetto Domenico Pagan che n'ebbe in seguilo P investiture: Vi ha degli fndtzj di rame piriloso nella Valle Serenai posta nello stesso Comune ri i Venas. S Mercurio solforalo. Fsisté in piccoli strali nel calcare di Visdende. e propriamente nel luogo dello Cadeua. Un certo Giovanni Francesco Tio/.zi ne era \\ padrone. Strale lllustraz. del L. V. Vol. II. 91 Da Longarone divergendo a sinistra, si perviene al basso, poi all'alto Zoldiano, riputato un tempo per le miniere di ferro e di piombo, che serpeggiano lungo i lati del torrente Maè. Si mostrano al visitatore i rovinati cunicoli della miniera di ferro a Fagare presso i Forni di Zoldo, e proseguendo gradatamente nella valle Inferna, le macerie accumulate all' ingresso di una miniera di piombo, lavorata per circa un secolo dal 1000 al 1700 a prolitto della famiglia Grimani, poi trascurata, a quanto sembra, per difetto di tecniche cognizioni nel favorire lo scolo delle acque, da cui rimasero coperti i tiloni più ricchi; si ripreso quindi V e-scavo sui banchi di essa, ma la scarsa quantità del minerale o la cattiva direzione sospesero di nuovo il lavoro. Sulla traccia di altra già abbandonata si rinvenne pur di recente una miniera di piombo argentifero dai rolli di cinabro si veggono ancora in Comelico, e nel così dello Pian del Cordevole sulla Strada di Canal. C. Piombo solforato argentifero. Nel monte Peralba, di cui ne godeva il possedimento Giovanni Milani di Treviso; come per conto di questo stesso soggetto fu lavorata molti anni una miniera di cinabro, posta nel Comune di Comellico di Sotto. 7. Piombo solforato e zinco ossidato. Nel monte Kit, Comune di Venas. Fu lavorata dal cavaliere Antonio IJenuzzi; e nel principio del secolo presente dal signor Giovanni Catullo. 8. Rame piritoso. Nella così nominata Vizza di Casada presso Comelico. Codesta miniera diede all'assaggio docimastico '20 libbre di rame puro per ogni cento di minerale. Per la morte dell'imprenditore Zuanne Monte il lavoro restò abbandonalo. 9. Ferro solforalo. In liloni nel monte Spezzacucco, Comune di Oltre-Piavc. L' in vestitura n'era concessa a Sebastiano Andreolto. 10. Ferro solforato. Nei contorni di Ituggion, Comune di Calalzo, di cui furono investili Nicolò Brunello e Valentino de Toflbl. 11. Carbone fossile. Nel calcare di Calalzo. Di questo combustibile vi sono degli in-dizj in parecchi altri luoghi, sia nell'arenaria rossa, sia nel calcare che ad essa sovrasta. A Marasmi nel Zoldano fu tentala l'escavazione. l'i. Piombo solforato e ossido di zinco. Nel monte Ruggiana , Comune di Auronzo. Apparteneva a Domenico Castellan. 13. Piombo solforato argenlifero. Nel monte Gian , Comune di San Vito. Nel 1730 si lavorava per conto della repubblica Veneta; e, a quanto si dice, 100 libbre di vena somministravano 80 libbre di piombo, dalle quali potevasi ricavare quattro oncie circa di argento. 14. Piombo solforalo. Nel monte Pian di Barco , Comune di Auronzo. Era lavorata con prolitto questa miniera da Giuseppe Oxqueter. 15. Ferro epatico. Nel monte Ranze» Comune di Cibiana. Il prodotto n'era il ferro di getto, che vendevasi all'arsenale di Venezia da Zuanne Rani, proprietario degli scavi. 16. Ferro epatico. Nel monte Ferada, Comune di San Vito. Riducevasi in ferro malleabile o da lavoro dall'investito Antonio Rraida. 47. Ferro epatico. Nel monte Chiersiè, Comune di Cibiana. Era una delle più ricche miniere di ferro che lavoravasi nello Stato Veneto. 18. Piombo solforato. Nel monte Argentiera. Comune di Auronzo, e nel monte Grigne. E sempre accompagnato dalla giallamina, o zinco ossidato che si cava anche al presente per esitarla ai Germani. STATISTICA 713 signori Collalto e compagni nelle vicinanze di Dout «, il cui filone dal Canazzò passa alla parte opposta del Maè, nella montagna a mezzodì. Si è a Dout che gli avanzi dei forni fusorj e le scheggio di ferro, occorrenti dapcrtutto, danno una chiara idea dell' abbondanza di questo minerale, che già trovasi sparso con più o meno speranza di ricchezza nella valle di Goima e del Duram. In queste montagne, ma principalmente a piedi del monte Quitta, si scoperse un segno manifesto d'antracite (carbon fossile), che pure si trova ramingo nell'alto Zoldiano, e specialmente in Staulanza presso il Grot, ove l'acqua di una fontana, detta di rame, induce il sospetto che in quella località possa esistere anche questo metallo. Oltre le miniere che accennammo, altra fonte naturale di ricchezza per Zoldo dovrebbero essere i boschi. Ma queste montagne, vestite un tempo dal fosco verde d'innumerevoli abeti e di larici, ora ci colpiscono solo per la loro nudità, e per la forma dello loro cime irregolare e fantastica, o foggiata regolarmente come nel Pelmo, a modo di turrito castello. L1 industria, ristretta al presente a qualche fabbrica di chiodi e di pentole col ferro vecchio acquistato in Venezia, potrebbe, col lavoro delle miniere, ristabilirsi fiorente, od impiegare così parte delle popolazioni, costrette ad emigrare in cerca di pane, abbandonando a malincuore quella patria, che, secondo un antichissimo adagio ripetuto in paese, cela land tesori. Se dalla valle Inferna di Zoldo, per Cibiana, e Val di Cadore si vuol giungere nel centro di Pieve, si riscontrano, tutto lungo il decorso di queste montagne, vestigia di ferro e di piombo, e specialmente a Val quelle di una miniera di piombo argentifero. Onde poi ricavare il metallo sono necessarie operazioni chimiche (torrefazione e fusione) richiedenti il consumo di una quantità di combustibile, che nell'esaurimento attuale dei boschi non si potrebbe a nessun patto ottenere. Collo sperpero di essi fu troncata ogni speranza di agiatezza e di lucro pe' suoi abitanti, la cui industria si limita al segare i legnami provenienti dall'Alto Cadore ed al trasportarli in zattere pel Piave a Belluno. Dunque si rinnova anche qui la necessità dell' emigrazione come negli altri paesi, a cui la natura fu benigna dispensatrice di ricchezza, che venne non curata dagli uomini, o pel sorgere di circostanze sciagurate restò inaridita. Da Pieve bisogna s'innalzi verso l'Auronzo, e pel Comelico fino all' origine del Piave nei monti di Sappada e Visdende e nelPAmpezzano, chi voglia esilararsi alla vista di .qualche bosco folto di abeti e di larici, 8 Venne ceduta nel tNSS alla Società Monlanislica di Venezia, tanto benemerita nelle Provincie di Vicenza, Verona e Belluno, perchè lavora con profitto varie minici e c fa sperare un'attività continuata. tagliati con regolarità e quindi di una rendita annuale sempre crescente. Anche quivi si trovano traccie di minerali, e specialmente nella valle d'Alisei (torrente che mette nel Piave a tre miglia circa da Auronzo), da cui si può ascendere nelP altra montagna di Grigne , ove si ritrae pure in oggi l'ossido di zinco o giallamina, accompagnala dal solfuro di piombo, ma affatto priva d'ossido di ferro, e quindi preferita a quello del Tirolo dai fabbricatori d'ottone. Negletta l'industria metallurgica, le braccia rimangono inoperose, e la miseria infiltrata anche in questa contrada come nel basso Cadore, ove la suprema necessità dei proprie-tarj, e la pessima amministrazione comunale no affrettarono la rovina col distruggere i boschi. Ma nell'Alta, i Comuni essendo i più ricchi possidenti di essi, ci salvarono in parte da tale sventura; e vi sarebbe sufficiente agiatezza negli abitanti, se le rendite ritratte dalla vendita del legname non fossero altrimenti rivolte, coi soliti mal calcolati dispendj e colle inesatte proporzioni che sempre accompagnano le pubbliche aziende. I boschi del Cadore occupano tornaturc o ettari 38,059: 80; e relativamente alla proprietà si dividono in 1. Bosco erariale di Sammadida, detto anche Vizza di San Marco , ceduto spontaneamente dal Cadore alla repubblica Veneta nel 1403......ettari 2705 2. Boschi comunali ...... » 291: 57 3. Boschi privati......* 6734: 80 II prodotto forestale ilei paese si rileva dai seguenti dati, che abbiamo attinto da fonti autorevolissime. L'ufficio forestale nel 1851 assegnava alle 29,157 tornature di boschi comunali la seguente quantità di legname: Distretto. I.epna da fuojo. 1)1 costruzione Scgativo Totale. Metri culli Pieve 18,277 8119 5,483 32,379 Auronzo 12,074 29 36,968 49,671 Totale :k),u:ì i 8148 42,451 82,050 Andrebbe per altro molto lunge dal vero chi supponesse esatte le cifre esposte sotto le rubriche ; dappoiché, se quelle del legname da costruzione e da sega sono presso a poco precise, non avendovi da aggiungere che metri 54,000 circa provenienti da boschi particolari ; corre invece una forte dill'erenza fra la cifra enunciata e la reale della legna da fuoco. I Comuni indicano sempre meno di quanto tagliano effettivamente , e nelle stime si omette generalmente la valutazione delle spoglie , cioè della ramaglia e del pattume che avanza dalla riduzione degli alberi destinati ad usi tecnici. Il calcolo seguente darà una cifra più sicura del combustibile nel Cadore; e sovra esso calcolo si potrà venire ad un* importante osservazione sul vero Stato odierno dei boschi cadorini. In Piave ogni fuoco consuma in termine medio metri cubici IO: 50, per la massima parte di faggio e di tolga- quindi i 2709 fuochi del distretto danno un consumo di metri cubici . 28,443 Così pel distretto di Auronzo, con fuochi 2802, calcolando cinque fasci per ciascuno, si hanno metri .... 44,131 A questo consumo della popolazione si aggiungo quello delle seguenti industrie: 1. Le 102 calcaje esistenti nel Cadore, di cui 40 sole attive, per ogni anno consumando ciascuna in due accensioni 20 passi di borre, coll'ottanta per cento di massa solida, importano passi 800 di legna, pari a metri.......silfio 2. La fornace di laterizj, unica nel Cadore, consuma mediamente 30 passi di legna grossa, col 75 p.0|0 di massa, e quindi metri 193 3. In Cadore si accendono per due volte V anno circa 147 carbonaie, comprese quelle di Auronzo ; ogni accensione importa sei passi, e quindi annualmente si ha un consumo di i 704 passi, cioè metri . . . ..... 5557 4. Le miniere di Auronzo, in termine medio calcolato col periodo di undici anni, consumano (escluso il carbone già compreso al n. 3) tese viennesi 710 all'anno, corrispondenti a metri 1810 5. Viene in appresso l'asportazione di combustibile pel distretto di Longarone,, la quale ammonta a passi 2800 al 00 per 0|() di massa, metri........ 7875 La ijuantità totale della legna da fuoco prodotta annualmente in Cadore è dunque, non già di metri 30,951, bensì di metri 91,371 noi quali per altro è da comprendersi quella poca quantità di legna proveniente da boschi privati e dall'erariale di Sommadida. La tratta annuale delle selve cadorine giunge , come rettificammo , a circa 147,470 metri, e quindi ogni tomalura rende in termine medio circa 3. 8 metri cubi all'anno, pari a 120 piedi cubi viennesi. Circa 3000 zattere di legname flottano lungo il Piave dirette a Venezia : e ammettendo che ognuna di esse porli il valore di 1000 lire , si avrà un annuo capitale di tre milioni. Anche detratti gli aggravj pubblici, resterebbe una forte somma a vantaggio de'comunisti, ma l'incasso maggiore se ne versa a profitto dei più abili negozianti di legname in Venezia, i quali, in cambio del denaro, rimandano somministrazioni di grani e di altri generi occorrenti al mantenimento della popolazione; parte va consumata nella manutenzione delle strade, eseguite quasi tutte a spese 716 PROVINCIA DI BELLUNO dei Comuni; e gli ultimi avanzi di tanti redditi stanno giacenti nella cassa comunale, finché imprevedute occasioni di dispendio non li faccian uscire. Un quadro desolato vi presenta il distretto di Auronzo, co' suoi miseri casolari di legno, male costrutti e peggio riparati nei lunghi rigori del verno, ove la stanca popolazione si riposa quasi in covile; eppure s'intraprese in un Comune di nessuna importanza (villa piccola d'Auronzo con 400 anime) l'erezione d'un bellissimo tempio di stile greco che costa circa L. 300,000 (V.pag. 703): somma che sarebbe bastata a riedificare in pietra cotta tutto il paese. E ormai un fatto evidente, che a rendere morale il popolo e conscio della propria dignità, si ricercano anzitutto la pulitezza e la salubrità dello case per gli artieri e per le plebi; in questi luoghi in vece, come in tutti i Comuni del Veneto, è trascurato un tale importante argomento di civiltà, mentre si profonde il denaro in opere di lusso e di falsa speculazione. Tutti i Comuni del Cadore avrebbero potuto nel passato trentennio rifabbricarsi a nuovo , e mettendo a profitto le somme incassate per l'aumento dei loro prodotti boschivi, animare tutte le industrie di cui sono suscettibili, attivare lo scavo delle miniere, l'industrie dei metalli e dei marmi, promovere la pastorizia, favorire la selvicoltura; anzi, coli'esempio di estese piantagioni ove maggiormente si palesava la devastazione, ovviare alla miseria invadente, ed affluire alla sua numerosn famiglia pane e lavoro. Squallida è la moltitudine di quei montanari e resa inerte da un tenue soccorso di granoturco, che si dispensa nel verno, elemosina che aumenta e non diminuisce 'la poveraglia. Dalla pratica è già sanzionato il principio, che, a migliorare l'economia di un popolo, anziché spargere a profusione tesori per toglierne le miseria, si dovrebbero fondere le somme in utili istituzioni di ricovero per vecchi e fanciulli, di case d'industria per gli adulti, o, come nel caso nostro, impiegarle in quel ramo di commercio, che la natura del suolo largamente promette. E valga l'esempio ; perchè non potevano i Comuni di Zoldo e di Cadore, o soli od associati a quelli di Auronzo e del Commelico, iniziare l'estrazione dei minerali di cui sono a dovizia forniti ; e a quello scopo dirigere tutte le forze intellettuali e materiali del paese, quando avrebbero bastato senz'altro i capitali, di cui nel presente trentennio potevano disporre e che furono senza vantaggio dispersi ? Col metallo greggio a buon prezzo, chi non suppone l'impianto di qualche fabbrica di oggetti e manifatture di ferro, di piombo e dei mille arnesi di ferro fuso e di bronzo di cui siamo consumatori con tanto nostro scapito, e che ci involano quei pochi denari, che basterebbero al prospero risorgimento del commercio nostrale ? Perchè non potrebbe il Comune intraprendere 1' estrazione dei minerali, .se vediamo l'utile non indifferente che ne percepisce lo Stato, in onta alle gravissime spese ed al numeroso personale tecnico ed amministrativo? Perchè non verrebbero approvate le somme da disporsi in una vantaggiosa speculazione, quando fu sanzionato tanto dispendio nella chiesa d'Auronzo, e si accordarono spese di nessuna pubblica utilità? Sono domande, alle quali sarebbe difficile la risposta se non si voglia considerare le circostanze locali o generali, le viziate istituzioni, la nessuna educazione pratica della gioventù, quell'inerzia d'azione, e mancanza di fiducia reciproca, che da circa mezzo secolo invalsero nelle nostre contrade. Anziché opporre alle gravezze sempre crescenti una maggiore e sempre crescente attività e vigoroso spirito di associazione, si cadde nello scoraggiamento e nell'apatia, e la popolazione complessiva di circa 48,000 abitanti si rese in gran parte inerte e girovaga. E sì che la svegliatezza d'ingegno dei Cadorini è proverbiale, l'amore al patrio suolo li renderebbe economi ed onestamente industriosi; la natura svariata delle Alpi li fa nascere artisti, ed i sublimi dipinti dì Tiziano, come gli intagli del Bruslolon ne formano prova. Quando esiste una sì felice disposizione intellettuale, converrebbe appianare le difficoltà, che possono incepparne Io sviluppo od attraversarne lo scopo. Onde emerga il genio degl'individui come quello dei popoli, vi vogliono anzitutto favorevoli circostanze ; la è come della semente, che non manda rigogliosi germogli, se non vi concorrano combinati aria libera e pura, luce limpidissima e calore. Distretto IV di Agordo. Per molti riguardi e per diverse circostanze locali può essere paragonato al Cadore il circondario di Agordo. Posto a 16 miglia da Belluno verso il nord-ovest, a gradi 46°,16' di latitudine, e 9°,43' di longitudine , tira nella sua maggiore lunghezza circa 22 miglia, e confina per una corona di monti coi territorj di Zoldo, Belluno, Feltre, Primiero , colle valli tirolesi di Ficmme, Fasca, Livinalongo e per breve tratto col Cadore verso Caprile. Sovrastando al livello del mare 1933 piedi parigini, ha clima lungamente freddo ed incostante, dominato com' è da venti settentrionali massime neh' inverno, è soggetto a frequenti e rapide variazioni di temperatura, sensibili in ogni stagione, minori in antunno; poca è l'elettricità, facilmente dispersa; debole pure il suo stato igrometrico, ma con forti e repentini sbilanci ; P atmosfera quasi sempre in agitazione durante il giorno ; F annua media di poco superiore ai G gradi B. Entra cosi nella quinta zona isotermica : quantunque il limite australe di questa passi a 3 gradi e più di distanza verso il polo. Si arriva in questo ridente bacino per una strada di vaghissimo aspetto che costeggia il Cordevole, terreno che quasi arteria centrale ha origine nel vicino Tirolo e solcando l'Agordino shocca nel Piave poco sotto a Bribano nel Bellunese. Agordo è il capoluogo del distretto, che si compone di 13 Comuni, ripartili in (5 di Sottochiusa e 7 di Sopra, con una rendita censuaria di L. 110,401, e con una popolazione, secondo l'ultima anagrafe, di 22.335 anime, che era di 10.090 nel 1822, c di 18,908 nel 1838. Da questa anagrafe inoltre si raccoglie, che vengono nel distretto nutriti al servizio, al commercio e ad altri usi 14,688 animali, divisi come segue: cavallini 78: asini 38: muli 1 49 : bovini 5297: pecorini 4442: caprini 4107 e 509 suini I prodotti del suolo poi consistono principalmente nel granoturco, alimento, si può dire, quotidiano di questi villici, ridotto in polenta, e sta nella proporzione di 26,750 a 5735 sacchi bellunesi con quelli presi insieme del frumento, della segala, dell'orzo, dei fagiuoli, ecc.; nelle patate che entrano pure non poco nel nutrimento di molti; ed. in legna forte e dolce per 165,000 passi bellunesi. Ai quali prodotti, per averne l'intero voglionsi aggiungere 182,661 libbre tra formaggio(147, 800), burro (6468): frutte varie (10;250): lana (2221): Alati di lino (2243), di canapa (9084): i semi di queste due piante tessili per 1653 libbre, e linalmente 190 di miele con 39 di cera. Questi prodotti sono ben lontani dal bastare ai bisogni della popolazione, che, oltre a molto altro cose, importa annualmente dai 14 ai 15 mila sacchi di granone, 1400 in circa di frumento, e quando vi avea abbondanza, fino a 1500 botti di vino. Da ciò anche ne'mesi d'inverno non piccola la migrazione di uomini, che calano i piò alla pianura a farvi da facchini, muratori, fabbri, seggiolaj, cioccolataj, salsiccieri, ecc., o passano nel Tirolo e altrove a lavorare dietro le strade come braccianti. Curioso è poi che in tale migrazione, quasi fosse avvenuta tacitamente una ripartizione di terra, ogni Comune si rivolge alla volta sua. Quei di Valle, a modo d'esempio, vanno a Ferrara, Bologna, ecc. ; que'di Voltago, tranne pochissimi a Mantova, battono la provincia di Brescia, quo' di Frassene Venezia, e via dicendo. Lo sciamare poi sarebbe maggiore, se tanti non ne occupassero le due miniere di Valle Impenna e di Vallalta. La natura del terreno, quasi tutto boschivo e di pascolo, dimostrerebbe senza bisogno d' avvertimenti che le montagne dovrebbero comparire sotto questo ricchissimo addobbo: ma da Belluno fino al centro di Agordo, non ti appare che qualche rara macchia d'abete, e così proseguendo sino a Canal, o deviando nel Comune di Valle. Il eommer- STATISTICA 719 ciò di legnami, da un secolo fìorentissimo,Tnel corrente trentennio andò dibassando e forse in meno di un lustro rimarrà annichilato. Appena a 300 zattere Tanno si può calcolare il complessivo esporto dei tavolami per Venezia, ed una ditta principale, cioè il nobile De Manzoni , sostiene questo ramo d'industria, mentre gli altri aspiranti, vista la penuria dei boschi, si diressero ad altre sorgenti più ricche. Argomento importantissimo si è la dovizia dei minerali, sparsi in tutto questo distretto; e qui sotto scriviamo l'elenco delle miniere di cui meriterebbe tentare l'escavo °. Ora si scorge, sulla strada postale a due miglia di Agordo, l'antica miniera di rame, prima della famiglia Crotta , poi della repubblica Veneta ed oggi in amministrazione gover nativa. La pirite (solfuro di rame) con una varietà di processi (torrefa zione e fusione) si converte in rame rosetta, e si hanno come prodotti il rame, il solfo, il vetriolo di ferro e di rame : poca quantità di piombo, argento e ferro si trascura. Credono che l1 utile netto ritratto annualmente dallo scavo di questa miniera giudicata ricchissima ascenda a ben lì Miniere nell' Agordino. 1, Rame piritoso amorfo. Il suo colore si assomiglia a quello del bronzo, e la sua frattura si manifesta un po'scagliosa. È scintillante, ed al cannello si fondo in un glo-betto nero. La miniera somministra tre varietà di pirite; la prima obesi dice di miglior Oliatila, rende otto o dieci parli di rame per ogni quintale: la seconda si chiama pirite d1inferiore qualità, ne rende che il duo per quintali', e la terza, die si trascura, porta il nome di rifiuto. 1. Pirite piombo-argentifera. Varietà di Dalhertz. Il suo colore varia dal grigio del-l'acciajo al grigio chiaro: viene Intaccato dal coltello, e percossa coll'acciajo manda scintille. 3. Rame solfato concre.zionato. Si rinviene sotto forma di sta I lutti t i, che pendono dalle volle di alcune gallerie; ma il solfalo è sempre impuro di ferro, di allumina e qualche volta di zinco. 4. Ferro spatico. E solubile nell'acido nitrico quando è polverizzato, e al cannello si fonde in un globelto nero, che viene attratto dalla calamita. Trovasi nelle vicinanze di Tiser , sei miglia sopra Agordo, dove forma parte del terreno di calcare alpino che si eleva in quel paese. 5. Ferro oligisto. Trovasi nelle medesime circostanze della specie precedente, e sembra derivare dalla decomposizione del ferro spalico. fi. Ferro solforalo cubico. Questa specie è mollo diffusa nel calcare alpino di tutta la provincia, ma la varietà eubica non mi fu dato incontrarla che al Cingielo, e a Cima-dasta nella Pieve di Tesino, dove si trova anche la varietà amorfa, presa nel talco stea-tilo o speckstein di Werner. 7. Mercurio solforato. Trovasi in piccole vene nel grès schistoso di Vallalta, a cui ò quasi sempre unito il ferro solforalo, che talvolta si trasmigra in ferro solfato. 8. Mercurio nativo. Esiste in piccoli globuli nella roccia schistosa di Vallalta. 5». Piombo solforato lamellare. Gli arnioni di questa specie si trovano tanto nel calcare alpino quanto nella pietra verde. 10. Parile solfata. Si presenta in filoni nel gres rosso di Vallalta. 11. Soda solfata esaedra a piramidi diedre. Si vede nicchiala nel gesso. Saggio di Zoologia fossile, pag. 311. lllustraz, del L. V Vol. II. 92 poca somma, cioè dalle lire 100 alle 500 mila 7. A circa sei miglia da A-gordo, e propriamente a Vallalta nelle vicinanze di Gosaldo, si cominciò con grande successo a estrar il mercurio da una miniera già conosciuta, per molt' anni inoperosa, finché fu riattivata nel 1770 dal veneto cavaliere Jacopo Nani : poco dopo rimase abbandonata del tutto fino al 1853, sebbene da circa mezzo secolo si predicasse di ripeterne V estrazione 8. E poiché siamo a parlare di metalli nobili, conviene ch'io indichi pure la miniera d' argento di Primiero nel Tirolo, circa dodici miglia a nordovest di Agordo, citata da molti autori'*, e di cui si ammirano le rovine all' imboccatura de' suoi pozzi, che si credono ostruiti da un terremoto occorso verso la metà del secolo XV, il quale cagionò pure gravi disastri a borea di Cadore e nel Friuli. Non vi è forse circondario alpino più ricco di minerali di quello di Agordo, compresa la catena dei monti situati al lato destro del Mis, che racchiude vene di rame grigio combinato all' argento, e di cui in altri tempi si praticò con profitto il lavoro. Nel villaggio Tiser si rinvengono due varietà di ferro spatico bianco-cinereo a grandi lamine e bruno di garofano, e nel confine dell'Agordino avvi la miniera di ferro ossidato di Santa Lucia, che sembra prosperasse nei secoli XIV, XV, XVI, allorché si fabbricavano con questo metallo le famose armi da taglio ricercate da per tutto, e di cui si vedono in oggi gli avanzi presso un qualche antiquario. A Cencenighe e presso il lago di Alleghe si ricordano ancora l'attività di un tempo, mentre si cita come celebre la fabbrica di armi detta la Lupa. Quel lago si formò nella caduta del monte Spiz, che improvvisamente sfasciandosi la no'tte dell'11 gennajo 1171, 7 Produzioni delle miniere Erariali nel 1848. Specio minerale Valore per miint. Valore complessivo Rame Q h i nI. '2240 lire Hi. 48 lire 31M48. 00 Zinco 364 .VJ. 10 . 11,0*4. 40 Solfato di rame » 6832 3, 90 - 20,644. SO Piombo 39 SS, 00 1,248 00 Giullamina • 1288 l. 3!i 1,7.-8. 80 Solfo 274 • Ili 18 4,502. 10 Lignite , • 2000 0. Ali 0,000. 00 Totale ilei valore dei prodotti minerali lire 3 71,720. 10 NR. Esistono depositi di torba nei Comuni di l'ellre , di Mei e di Belluno che si estrae c si dissecca, e poi si rimetti' a Treviso. Quella del Comuni' di Ledro e Sospiralo si consuma nelle miniere erariali di Agordo. 8 Anodini, Memorie della Società Italiana, tomo III. Saggio di Zoologia fossile, p:ig. 300. 9 Saggio di Zoologia fossile, pag. 71. RàCRÌiÌnT, Memoria stampala in Felice nel 1733. Montbbkllo Aivdiiea, Solide Storielle della ValsiigaM. Roveredo, 1792. Lago d'Àlleghe. seppellì sotto le sue rovine le tre piccole ville di Rieto, Marin e Fucine, composte di varie famiglie, di cui perirono 49 persone. Le macerie occuparono oltre un miglio della valle per cui scorre il Cordevole, arrestandone il corso; l'acqua, innalzandosi per tale barriera, sommerse le ville di Perrou, Àlleghc, Torre, Costa, Soracordevole, Sommariva, salvati però gli abitanti. Questo lago è lungo circa 2 miglia comuni, largo mezzo miglio e profondo 50 passi. Costituito il bacino, continuò il torrente a discendere per il cammino ordinario. Ad altro ramo d'industria si presterebbe la varietà dello pietre , che per essere di un solo colore, e screziate in diversa maniera, offrirebbero i più gentili oggetti di mobili di lusso, mentre la sua politura e l'intaglio sarebbero di facile esecuzione per gli abitanti dotati di finissimo ingegno e sempre stimati noli' arte di scalpellino e di falegname. Vi è anzi una singolare varietà di pietra verde, che lavorata o pulita darobho grazio-sissimo aspetto; il suo coloro assomiglia al verdemare, e trovandosi in istrati laminari ed abbondanti alla Listollade sopra Agordo, o in ciottoli sparsi lungo il Cordevole, potrebbe servire a molteplici usi, infranta a pezzetti, bellissima nel musaico dei terrazzi alla veneziana. L'agricoltura, corno in tutte le alpestri giogaje, non offre che scarsi sussidj, poco conformi allo laborioso cure prodigati1 al terreno ila quei montanari; l'orzo, le patate e la piccola quantità di granoturco non sono sufficienti a nutrire una popolazione di circa 22,000 individui, sparsi sopra una superficie censihile di pertiche 402,504. Di questa estensione solo una su ventitré parti è arativa, un quinto boschivo, un quinto prativo, il rimanente pascolivo e zerbo. Tale divisione del terreno censihile raccogliemmo da un prospetto uffiziale del -primo censimento, ma ora sarebbe inesatta, poiché nell' ultimo trentennio i boschi vennero disertati, sicché le acque non più trattenute dalle radici nò assorbite dalle foglie degli alberi, trascinarono nel loro rapido corso verso la china il terriccio, il quale copriva la roccia, e restò a nudo la montagna, che prima facea tanto sfarzo d'amenità e di bellezza; i piccoli solchi divennero torrentelli, e trasportarono in gran parte la ghiaja verso il piano rovinando prati e terreni ; quindi nella nuova statistica, anziché calcolare un cinquantasettesimo di infruttifero, si potrebbe senza tema di errare, valutarlo almeno un quarto della totale estensione. E tanta sciagura non fu mai antiveduta, e neppur ora che sovrasta a quelle genti l'apparato spaventoso della miseria, non si cerca di porvi riparo. Distretto V di Belluno. i La città di Belluno, situata nei gradi 39° 6' di latitudine e 29° 53' di longitudine, circa 380 metri sopra il livello del mare, è il più ridente ed ameno dei 09 Comuni, in cui va suddivisa l'intera provincia. Essa è capoluogo, e divide con Feltre la residenza del vescovo. Oltre i soliti I. R. uffìcj pubblici, ha i seguenti stabilimenti: 1" Il Seminario: cadde e risorto in varie epoche dalla sua fondazione nel 1564 fin al giugno 1834, in cui rinnovato con una somma regalata da papa Gregorio XVI e con oblazioni dei cittadini e un soccorso governativo, si fissò stabilmente. Studiano in esso teologia 17 scolari, e 90 lo studio ginnasiale. 2." L'ospitale civile formato dalla concentrazione di pie fondazioni, capace di 1G0 ammalati. 3.° Il monte di Pietà, istituito nell'anno 1501 con oblazioni dei zelanti per cure di Elia Bresciano dell'ordine dei Servi di Maria. 4.° La casa di ricovero, aperta il 20 luglio 1839 a merito del municipio, per bandire la mendicità pur troppo invece accresciuta. 5." Per magnanimo zelo dell'abate don Antonio Sperti sta per fondarsi con carità privata un orfanotrofio d'ambo i sessi per i poveri artieri, i cui genitori perirono specialmente nell'ultima invasione del cholera. Dei luoghi rimarchevoli diremo più avanti. La sua posizione centrale la predestinò a capoluogo, e sarebbe pure stato il punto vero e naturale di passaggio per tutti i distretti della provincia, se nel descrivere il raggio delle strade erariali s'avesse prescelto Ja linea più retta che mette in comunicazione col Trevisano, attraversando il monte di Sant'Ubaldo, anziché divergere per la via di Santa Croce più lunga , disagiata e dispendiosa. In tal maniera la città restò tagliata fuori di 5 miglia dalla strada di Cadore e di Allemagna, e per- STATISTICA 723 dette quel iiore e queir attività commerciale, che le avrebbero impresso la permanenza ilei Cadorini e la stazione di tutti i convogli provenienti dal Tirolo e dalla Germania. Fu per questa idea che si costrusse troppo tardi il ponte di pietra sul Piave, e che andò poi rovinato dalla piena del 1852, e della cui rifabbrica il Comune non si trova più in caso di sopportare la spesa, mentre tuttora trovasi impegnato a pagare lire 200,000 per la sua prima erezione che ne costò 400,000. La strada di Sant'Ubaldo, che porterebbe il dispendio di qualche milione, forse si lascerà pei nipoti come legato di un pio desiderio dell'attuale generazione. Da questo isolamento derivarono l'assoluta mancanza d'ogni commercio, la scarsità dei capitali in circolazione, e quindi l'illanguidire di qualunque genere d' industria, sebbene natura abbia favorito questa città d'acque correnti, e delle prime materie di cui si alimenta V attività manifatturiera degli altri Stati. La superficie censibile del distretto compresa quella del cessato distretto di Mei, è di pertiche 032,503, delle quali un nono arativa, un terzo a prati, un ottavo a boschi e circa un settimo a pascolo o zerbo. Ma per terreno boscato non si deve comprenderne uno già in fiore, bensì che è suscettibile di tale coltura, mentre sia i boschi cedui come quelli d'alto fusto vennero quasi interamente tagliati. Perciò la sua popolazione, di 40,521 abitanti (di cui la città ne conta 5000) deve dedicarsi esclusivamente all'agricoltura, che esercitata soltanto col sistema della mezzadria, mantiene in condizione quasi normale i suoi cittadini, costretti a vivere sempre fra i limiti di una discreta mediocrità; avvegnaché qualsiasi spesa straordinaria sarebbe sufficiente ad infrangere l'equilibrio misurato della loro fortuna, ed un' annata sfavorevole basterebbe alla loro rovina, il numero dei proprietarj è molto esteso, ma si rinnova anche qui lentamente ciò che succede nell'altre provincie, cioè il passare delle ditte dalle mani del povero possidente al fortunato speculatore. I pesi pubblici e privati crescendo a dismisura, resero impossibile il rifarsi degli scarsi raccolti e delle passate disgrazie; quindi pochi grandi assorbiranno i piccoli, e la popolazione mancante d'industrie patrie ridurrassi inerte poveraglia e girovaga. Distretto VI di Feltre e VII di Fonzaso. Ameno, perchè situato nella stessa valle dove giace Belluno, è il distretto VI. Feltre n'è capo, con pretura e commissariato; ha 1.° un seminario con rendite proprie, recentemente riedificato dal celebre Se- gusini ; 2.° un Monte di Pietà con un annuo giro di circa 50,000 lire, prestate sopra almeno 6000 pegni. 3.° un Ospitale civile con l'en-trata di austriache lire 30,000, e capace di 80 ammalati ; i.° un Orfanotrofio femminile per 10 fanciulle povere, la cui istituzione sarebbe di maggiore profitto , se la loro educazione corrispondesse allo scopo di formarne buone aje e buone madri. il distrotto comincia al ponte del Gordevole«presso Brinano, e per Iti miglia battendo la strada postale e costeggiando il Piave, si arriva al confine di Treviso verso Gornuda. Nel mentre lo sguardo del viaggiatore riposa sopra il vago aspetto delle colline circostanti, che a grado a grado scemando il declivio, formano l'ultimo lembo dell'Alpi, l'anima si rattrista nel ricordare i foltissimi boschi di pini che coprivano il loro dorso. Se poi ila Feltre si devia per Fonzaso a Primiero, o per Arriv e Primolame verso il Tirolo, o lungo il Canal di Brenta fino a Bassano, noi non possiamo a meno di deplorare l'orrida, per quanto bella veduta di tutte le Alpi, biancheggianti per la snudata roccia, le cui verdi selve costituivano un tempo la ricchezza degli abitatori. Adesso le frane e valanghe, il crescere a dismisura del volume e corso delle acque, vi apportano lo squallore e la miseria, rendendo arido e più breve lo spazio delle sottoposte pianure. Chi ignora i benefici effetti dei boschi col trattenere e deviare V impeto dei venti , conservare la regolarità dei fiumi e le sorgenti perenni, rendere Paria salubre, fertilizzando il terreno e convertire immense vastità di suolo infruttifero in territorio bellissimo, ubertoso por se, e lietamente ricco per la popolazione ? Nella parte alpestre, che nei distretti di Fonzaso e di Feltre rappresenta più della metà della estensione, mancando il naturale prodotto del soprasuolo, si ebbe nel principio lo scarso vantaggio di un pascolo esteso, il quale andò via via diminuendo , perchè il terriccio, dal rapido succedersi «Ielle pioggia e dallosquagliare delle nevi abbondanti, fu travolto alla china, ultima speranza svanita e nuova causa di povertà rinascente. La pianura feltrese, che supera forse in fertilità quella dei distretti contermini, figura per circa un settimo della totale superfìcie; ma i coloni si mostrano poco curanti di migliorarla; non cercano aumentare colPirrigazione il raccolto dei fieni onde provvedere al maggiore sviluppo dei bovini, e migliorando lo razze, facilitarne lo spaccio e duplicare cosi il valore. Estendono poco l'impianto delle viti , e ne trascurano la coltura; in generale non pensano al soprasuolo per difetto d'industria agricola e di cognizioni opportune, o per non iscusahile inerzia. Basta dire, che la massima parte della popolazione di Fonzaso e Feltre, eh'è di 51,569 anime, manca assolutamente del combustibile necessario a cuocere il meschinis-simo vitto. Non essendovi più boschi nò privati nè comunali guastano le STATISTICA 718 siepi, e nella notte tagliano portino gli alberi da frutto, il noce ed il gelso ; ragione per cui viene da qualche possidente abbandonalo il pensiero di piantagioni, finché d'unanime accordo non si pensi attivarlo in comune, e garantirne lo sviluppo con una severa custodia di numerosi e bravi guardiani. Quasi tutti ricordano ancora, che lungo le sponde del Cordevole e del Piave , erano naturalmente cresciuto solve di pioppi, d'ontano, di salici e spini, i quali servivano al doppio scopo di limitare l'alveo dei torrenti e di salvare le private campagne dalla manomissione, mentre i soli rami, anche di nascosto sottratti, soddisfacevano ai bisogni degli abitanti limitrofi. Quanti' ecco si viene a sapere che i Comuni ne abbandonano la sorveglianza, senza demandarla a nessuno; allora l'avidità od il l'urto baldanzeggiano ed in pochi giorni si atterra con insana ferocia il lavoro di circa mezzo secolo della pro-vida natura. Ma se riusciva troppo gravoso al Comune il mantenere guardie campestri, perchè non fu diviso il possesso fra i comunisti , coli'obbligo di conservare la coltivazione boschiva, usufrutlando gli utili della rimondatura ed il taglio delle piante mature? od almeno, perchè nel distribuirne più tardi 1' arido terreno già coperto dalle ghiaje del torrente che lo invase per tutto, e toccò pure le confinanti campagne rodendone qualche buon tratto, non si stabili per primo articolo di non adottare altro genere di coltura che quello a bosco ceduo? Male invece rispose allo scopo il beneficio, perchè, coli' assegnare ai nullatenenti alcune porzioni di quelle ghiaje, in luogo di fissare la loro dimora e garantirne la sussistenza, vengono respinti nella miseria dall' eventualità d'una piena del torrente, che in un punto distrugge il frutto d'una vita stentata e laboriosa. Nel riassumere i dati spettanti all'intera provincia di Belluno, noi facciamo osservare di quali aggravj essa sia colpita, per dedurne le conseguenze, a lume di quelli che volessero, con vedute più estese, o con la potenza dei mezzi, additare o raggiungere ti fine che noi ci siamo proposti in questa breve disamina. La sua superficie, apparente dal quadro statistico è di pertiche censuarie 2,598,378 , che si riducono a campi 685,249. Di questa grande estensione bisogna levarne quasi la metà, fatta improduttiva parlo dalla natura , e nella massima parte dal diboscamento , sicché non resta che un limitato e magro pascolo estivo. Quindi dei campi 350,000, meno d'un sesto è arativo , e la maggioro quantità rimanente si suddivide in quasi eguali proporzioni fra prativo e boschivo. Neil' aratorio poi non si può paragonare la fertilità della veneta pianura con quella della montagna, solo che si ri-llefta alla più lunga durata del verno, alla maggiore incostanza della pri- mavera e dell'autunno, e al debole l'ervor dell'estate. Manca inoltre quasi affatto il soprasuolo se si eccettui in alcuni Comuni vitiferi dei distretti di Feltre e Fonzaso ; la coltura dei gelsi è ancora sui primordj, e ia granaglia che meglio vi prospera, quando sia ben concimato il terreno, è il granoturco, il quale d' ordinario produce circa il triplo od il quadruplo della semente per la quota dominicale. I prati danno buoni fieni, ma dovendosi occupare il concime all'ingrasso dei campi, nè essendovi praticata in alcun modo P irrigazione, la falciatura si effettua una sola volta in quasi tutti i prati di montagna e collina, in pochi due volte, ed in pochissimi del piano tre. Avuto riguardo alla poca produzione del suolo ed alle circostanze da noi brevemente citate, ne consegue sproporzionata l'imposta erariale in austr. lire 701,313. 53: alla quale sono da aggiungersi la comunale, che in alcuni luoghi supera la regia, ed altre tasse che importano più d'un milione ; non tenuto io J 'E Distretti .- e Popolazione del 1852 "Sb m "Il z? 5 g "fi 1 A — > SC co tese l-Viiini. Totale e « tu p g t_ 3 re cj Cu || ■ i/i o Cm s 1 1. II. III. IV. V. VI. VII. Belluno Lo rigarono Pieve di Cadore Auronzo Agordo Feltre Fonzaso 1 9 3 12 10 13 12 4 20,285 3,302 0.745 8.600 11,'»21 16,751 0,566 19,674 5,184 10,004 8,6601 10,577 16,182 8,052 30,9 9 J 0,576 19,743 17,269 21,898 32,913 18,218 5 862 1,749 2,771 5,044 3,973 5,987 5,587 5,281 1,446 1,855 1,823 5,706 4,672 3,230 21 6 15 9 17 9 20 76 32 31 45 28 57 16 8,057 4,275 9,263 0,513 8,758 10,096 6,401 120/"' ut 71,^ hA —^\ 08 81,640 78,942 160,582 26,973 22,061 97 505 57,265 mri NB. La pertica censuaria che è di mille metri quadrati corrisponde Wj Il jugero o joch austriaco che è di ^ STATISTICA 727 conto di quelle pei contratti in genere e di eredità, che pesano gravemente su tutte le classi. Dai quadri della produzione del suolo bellunese 11 appare come i ge neri di prima necessità, cioè il sorgo turco ed il frumento, e specialmente quest' ultimo, non bastino a pezza a mantenere la popolazione della provincia. Per soddisfarvi, esce ogni anno più d'un milione; poi calcolate il prezzo d'importazione del riso, olio, generi coloniali, vino, canapa, ecc., e di tutte le manifatture necessarie e di lusso, e ponete a confronto il loro valore con quello dei prodotti che si asportano, consistenti nel legname proveniente dal Cadore e da Agordo, negli animali bovini del monte e del piano, lane greggie e poca seta , e troverete superiore la cifra del denaro esportato in ragione di quello che entra. Ognuno conosce che un paese non può arricchire se non produce più di quanto consuma ; altrimenti succede lo stesso squilibrio che &16 443 !%42 Superficie in pertiche metriche Fruttìfera Infruttifera Totale 692,594 iti 57,817 n 050,212 02 225,081 41,742 il 289,814 15 331,711 OS 118,429 li 471,140 TI 471,189 (Ili 201,095 19 072,812 '25 375,145 IO 114,728 »7 487,8f2 57 385,421 Vi 45,223 88 410,345 Tm 101,705 99 2 i ,8-20 Si 189,580 7 i '■!,:;«<;, ioti 79 005 430 27 5,171,803 0(i Rendita censuaria in lire austriache Terreni 387,392 50, corrisponde a pertiche censurine 5,75543. ìlluUraz, del L. V. Vol. II. 93 si osserva nella famiglia; se questa un tempo risparmiava nelle rendite, ora, per gii accresciuti bisogni dell'epoca, si trova ogni anno obbligata a STATISTICA 720 spendere più di quello die può incassare, e quindi la necessità di nuove sorgenti di lucro nel traffico e nelle industrie, o inevitabile la povertà. Dell'accrescere di questa ò prova senza eccezione il numero dei pegni, che nel 1856 superò di più di seimila quelle del 1848 l*. A confermare questi fatti offriamo l'inesorabile argomentazione d'un calcolo aritmetico. Stando alla rendita censuaca di lire 1,465,412, il valore reale dei fondi stabili dell' intera provinola non dovrebbe passare i quaranta milioni, ma noi, portandolo al massimo, vogliamo stabilirlo in cinquanta. Su questa somma stanno inscritte nei registri ipotecarj di Belluno o di Feltre lire 5,831,000, compreso il debole importo delle rendite vitalizie e cauzioni d'imprese e d'appalti; quindi le inscrizioni stanno al valore reale in ragione di lire 1 a 9. Se noi dividessimo la rendita censuaria ed il valore reale nelle 05,000 ditte censite, la proprietà risulterebbe sminuzzata in piccole quote non inferiori alle lire 690 , colla rendita di lire 2250, sicché, detratte quelle ditte che figurano in varj Comuni, i possidenti devono ritenersi in ragione di uno ogni tre abitanti. Dunque all'estrema divisione della proprietà, alla mancanza d'ogni industria unendosi pure una grave sproporzione fra i valori di asporto con quelli importati, ne scaturiscono evidenti le cause dei pochi avanzi, del ristretto circolar del denaro e delle rare fortune ; si spiegano con logica induzione il poco progresso dell'industria agricola, la quale suppone capitali e ri-sparmj nei possidenti ; la miseria di quasi due terzi della popolazione formata d'agricoltori, e per ultimo la forzata emigrazione annuale di forse lodici mila individui della parte più vigorosa, indnstre ed attiva. 12 sialo comparativo ilei pegni, dal 18 <8 al 1855-50. isìs Belluno n.....ito dei pegni o,7.<8 Valore lire 100,S37. 00 • Feltre » • • 3,433 ■■ ■ ,7 rìoo Totale I3,2©i 130,892. oo 1855-KO Belluno Numero dei pegni 15,775 Valore lire 103,823. oo » Feltre • • » 0,301 . . 48,241 00 Totale '20,15S 152,008. 50 Anniento 8,933 13,478; 50 Seminari e loro rendile. 1854 di Belluno lire 27,208. !I7 1K17 di Feltre » 25,28». '25 Lire 53,4311. 20 CONDIZIONE BEI/LA IMIOVI.XCIA BBLlUNfiSfi i. Selvicoltura. Qualunque sia la causa del generale diboscamento, avvenuto con lentezza in antico, accelerato nei tempi di mezzo, precipitato negli ultimi secoli e rugosamente nel nostro, è pur l'orza mettervi un riparo : nella rinnovazione dei boschi consiste il primo e vero metodo di accrescere il prodotto e migliorare la condizione della provincia bellunese. Al rimboscamento si può valersi del metodo naturale, o dell' artificiale. In alcune località piane o montuose le piante naturalmente si riproducono colle sementi trasportatevi da' venti e dalle acque che vi generano un SELVICOLTURA 731 bosco irregolare composto di molte essenze: in altre ove si abbatterono alberi resinosi, come T abete rosso e bianco (pmut abics picea), il larice (pinus lari.r), il faggio (fagus selvalicus), basta impedire ogni pascolo perchè si ottenga la naturale riproduzione: le piante frondifere e di bosco ceduo, come il salico, il carpino, la robinia, Fontano, si propagano sempre da se per semi, per propaggini e barbatelle, o rami, che a guisa di margotto si levano dall'antico ceppo. L'artificiale riproduzione di un bosco, specialmente di piante resinose, si effettua collo spargere i semi se la superficie della montagna sia tutta coperta di terra, oppure col trapiantarvi gli allievi ila vivaj, che si dovrebbero tenere numerosi e forniti in ogni Comune. Quanto è difficile ad un privato il sostenere le spese e Panti-cipazione di qualunque capitale per un prodotto che in sua vita non polca forse fruire, altrettanto corre l'obbligo ai Comuni di preparare alla futura generazione una ricchezza perenno; e così, con piccola parte delle rendite, che ora vanno senza frutto disperse, ridurre a bosco i pascoli è le sodaglie. La pratica della Svizzera di piantare alcuni alberi resinosi nelle patrie montagne nelle fauste occasioni di matrimonio o della nascita di figli, sussisteva comandata prima del 1500 nei nostri statuti municipali. So, nel compilare le leggi, si fosse ad essi rivolto lo studio spassionato del legislatore, vi si sarebbe scoperto il bisogno di richiamare in vigore quelle particolarissime alle provinole, che tanto contribuirebbero alla loro prosperità: e si sarebbe abbandonato il sistema forestale che lunga e dolorosa esperienza dimostrò inopportuno. Con esso, per esempio, si obbligano i Comuni a mantenere le guardie boschive, le quali pel loro poco numero e pel meschino salario non possono esercitare un'attiva sorveglianza o resistere alla seduzione di un premio. 1 Comunisti, vedendo l'ingerenza assoluta dell1 autorità forestale, credettero divenuta proprietà erariale i loro possessi, e quindi non risparmiarono i furti, sospintivi pure dall' assoluta necessità della fame e del freddo. Disertati i boschi cedui lungo le sponde del Piave e del Cordevole, nei quali i frontisti godevano il diritto di usufruttare il beneficio dello scalvo, s'impoverirono d'alberi le campagne che ora si allacciano senza ornamento ; e il combustibile crebbe a tal prezzo, da quasi superare fra lo montagne il valore della piazza di Venezia. Questa tutela rigorosa e minuta del governo nell'amministrazione del Comune, togliendo ogni responsabilità ai preposti deputati, li rese indifferenti per qualsiasi avvenimento. Siccome poi il bene ed il male vengono consigliati ed approvati dall'autorità superiore, cosi mancò ai rappresentanti del Comune l'incitamento dell'ambizione ed il premio d' un applauso. Ciò nul-lameno la deputazione di Agordo, preseduta dal nobile Luigi de Manzoni, propose fin dal 1848 una scuola di montanislica e selvicoltura, e con PROVINCIA DI BELLUNO essa il rimboscamento di qualche montagna appartenente al proprio distretto ; sollecitò con suppliche od invìi, ma nulla ottenne a tutt'oggi. Bendesi perciò indispensabile la riforma dell' organamento comunale e lo svincolo dell' autorità governativa : che se la pubblica amministrazione intende di riservarsi il potere, accordi, approvi e concorra almeno in quelle misure reclamate dall'opinione pubblica, dalle quali dipendono il benessere materiale e morale d' una popolazione svegliata ed attiva. Agricoltura. L'agricoltura della provincia varia secondo la posizione più o meno elevata delle montagne. I distretti veramente alpestri di Agordo, Pieve di Cadore ed Auronzo, che comprendono un'estensione di pertiche cen-suario 1,202,768, sono almeno per la metà improduttivi. La parte coltivabile a patate, orzo, segala e poco granoturco, calcolandosi appena un trentesimo della sua superficie, non può sopperire alle sussistenze e al lavoro di una popolazione sempre crescente di 58,163 abitanti; perciò i distretti di Agordo e Pieve di Cadore, dove sono maggiormente disertati i boschi, offrono più numerosa remigrazione e più squallida la povertà. In questi palesasi a preferenza il bisogno della selvicoltura onde arricchire la scarsissima produzione, e facilitare colla copia del combustibile P escavo dei minerali, profusi nelle viscere delle sue montagne. Gli estesi pascoli, magro compenso del depauperamento boschivo, sarebbero opportuni allo sviluppo della pastorizia, ove si migliorassero le razze bovine e pecorine, e l'istruzione, convalidata dall'esempio, introducesse metodi più conformi nel periodo d'allevamento. Non riuscirebbe di nessun peso a qualche Comune di montagna, solo od associato ad aitri, il tenere in amministrazione una stalla modello, onde sperimentare le rasze e diffondere le migliori per tutta la nostra provincia e quindi pel Veneto. Conviene pur troppo confessare che in molte eccellenti applicazioni manca la perseverante volontà, o prevale l'inerzia. La valle bellunese, detta Serpentina dalla via tortuosa che la percorreva in antico dall'una all'altra estremità, diverge a Belluno oltre Piave verso mezzodì, e si apre nella fertile spianata di Mei, che si prolunga nel contado di Česana al confine trevisano. Da Belluno proseguendo per IV AGRICOLTURA 733 mena vallata feltrese fino a Quero, si dispiega per circa 20 miglia un'altra estesa pianura, costeggiata quasi sempre dal Piave, e più o meno ristretta fra le Alpi degradanti in colline. La superfìcie del suolo a seconda della sua naturale disposizione comprende un decimo di campi aratorj e circa un quarto di prativi ; un terzo viene occupato dal pascolo estivo, e tutto il resto, meno un decimo di nuda roccia , sarebbe adatto alla coltura boschiva, in mancanza della quale la coltivazione di circa un terzo della superlicie censibile di Belluno e Fcltre coi distretti limitrofi, che somma a pertiche censuarie 1,386,510, rimane deserta o con tenuissimo frutto. Beggendo dunque le conclusioni sopra indicate per la parte maggiore del territorio bellunese e feltrino più elevato ed alpestre, restringeremo inostri ritiessi ai 48,000 campi aratorj, e ai 130,000 prativi, che figurano censiti sotto questo titolo nell'estimo stabile. Quantunque sembri assai limitata la campagna nei distretti di Belluno e feltro per una popolazione di 102,540 abitanti, composta quasi tutta di agricoli, pure si dovrebbe ancora limitarla almeno d'un quarto e ridurla a prato artificiale, seminando le varietà del trifoglio. Dall' estendere la coltivazione dei prati dipende l'incremento dei bovini ; nella vendila di essi anche P attuale possidente trova il proprio interesse e la provincia il ramo che, dopo i legnami, le offre maggiori vantaggi. Converrebbe quindi rifor man1 le stalle troppo basse ed anguste, ed accrescere i fieni onde favorire l'allevamento dei bovini ed ovini: il concime aumenterebbe la produzione delle granaglie coli' ingrasso dei campi. Pel miglioramento dei prati si proporrebbe P irrigazione, se non fosse difficile l'ottenerla per la troppo frazionata proprietà, per la differente coltura che nel piano rappresenta un musaico, e perchè le acque dei torrenti, non più stazionarie per le selve, ma passando per strati nudi e calcarei, restano sprovedule di materie vegetabili o del terriccio, ormai rovesciato sulla pianura. Ria l'accordo dei possessori di situazioni irrigue, lo stabilire bacini di riposo, o il far trascorrere le acque attraverso a conserve di concime, potrebbero ovviare in parte alle accennate difficoltà. Se queste operazioni poi si eseguissero in consorzio comunale , toglierebbero il grave ostacolo della spesa, non possibile ai piccoli proprietari dei nostri monti. Nondimeno, si possono nominare parecchi che, per la riduzione dei campi, per la rotazione dei seminati, per la ampliazione dello stalle e pel miglioramento dello razze bovine ottennero un vero progresso ; fra i molti vanno distinti in Belluno i nobili Pagani-Cesa, Do-glioni, Colle, ecc., ecc., nel Feltrino il nobile Avogaro, il Mezzan ed altri non pochi. Come poi i capitali possano trasformare una possidenza abbandonata in produttiva e fiorente, bastano gli esempj del Talacchini a Lcn-garone e dello Zanussi in prossimità di Beiluno. Se questi meritano lode la si deve molto maggiore a quo1 possidenti, che con economia, intelligenza e sacrifizi mirano a quello scopo, il quale agli altri era agevolato dall'abbondanza dei mezzi. Penetrato una volta il principio e posto in azione, sarà in seguito fecondo per la maggioranza , eoi prevalere la massima che nella montagna la pastorizia deve essere preferita ad ogni coltura. Dopo l'ampliazionc e il miglioramento dei prati, viene d'immediata necessità la coltura del soprasuolo. Quanto giovi il frutto detto dell'aria, Io sanno alcuni Comuni del distretto di Feltre e di Fonzaso, che coi loro vigneti guadagnano in pochi anni il valore dei fondi; lo sanno quei Comuni della provincia ove coltivasi il gelso, che produssero quasi annualmente 200,000 libbre di bozzoli; lo conoscono i possessori dei broli che trovano facile smercio ad ogni sorta di frutte: si dovrebbe ancora sapere che gli antichi statuti prescrivevano al colono di piantare ogni anno un pero, un pomo ed alcune viti nel proprio recinto. A tutte queste vere e buone applicazioni del sistema agricolo si opposero per la generalità molteplici cause. 1. ° Il contratto di mezzadria, adottato comunemente nella provincia, restringe il diritto nel colono lavoratore sulla modalità della coltivazione ; questi, che vive col frumentone, subordina ogni altra idea al raccolto del granoturco, timoroso di pregiudicarne la quantità sia col diminuire il terreno arativo, sia con P ombra naturale degli alberi o perfino del gelso : perciò oecorrebbero proprielarj capitalisti i quali potessero anticipare per molti anni tutta la parte mancante all' annuale sostegno della famiglia colonica. 2. " Olire questa materiale difficoltà, si oppongono le difficoltà morali del pregiudizio e dell'ostinazione nei vecchi metodi: per togliere tali difetti de'contadini è di stretta necessità l'istruzione agricola almeno domenicale, avvalorata dall'esempio di un podere modello per ogni distretto. Sarebbero anche opportune a questo scopo le esposizioni annuali agricole e di animali bovini, coli'incitamento dei premj. Essendosi rinnovata in Belluno l'accademia degli Anistamici, perchè non si volgerebbe principalmente allo sviluppo agricolo industriale, come voleva il governo veneto al tempo della sua istituzione (1770), annoverandola fra le sei società agrarie della Repubblica ? II metodo d'asciugar coi tubi di terracotta venne iniziato dal nobile Manzoni, il quale richiamò una macchina alla Cla\lon da Londra, e sono sugli occhi di lutti i felicissimi risultati in una palude presso la strada postale di Belluno nel Comune di Sedico. 3. ° Le imposte erariali dirette assorbono circa la metà della cifra totale censuaria di lire l/i6o,000, e le indirette unite alle comunali sorpassano di molto il milione; questa semplice cifra basta a convincere quanto AGRICOLTURA 735 sia ragionevole e giusta la proposta del valente economista Pasini della perequazione delle tasse dirette cogli altri Stati. L'eccezionale divisione della proprietà, che in questa provincia si ritiene nelle proporzioni di un possidente ogni tre abitanti, rende assai più onerose le tasse sui contratti di compra vendita, di permuta, e sui trapassi che vennero a colpire le squilibrate fortune del Lombardo-Veneto. 4.° La produzione agricola non può alimentare che per alcuni mesi i 162,000 abitanti; quindi il valore delle importazioni di granaglie, di vini e di tutti i generi necessarj e di lusso, non basta ad equilibrare l'asportazione dei legnami, bovini, burro, formaggio e lane, sebbene importino circa 4 milioni. Da questa diderenza nei valori emerge, che la condizione economica disila provincia non potrà mai migliorare se non attivi l'industria agricola, pastorizia e manifatturiera ; questo le è duopo se vuole evitare il deperimento delle piccole e V imbarazzo delle maggiori fortune, alleviare la miseria delle classi operaje, diminuire la poveraglia e togliere la forzata emigra/ione della parte più vigorosa e industre della popolazione. III. Industria. Torna sempre vantaggioso il gettare uno sguardo sul passato per istituire un confronto, e rinvenire le cause del miglioramento ovvero della decadenza presente. Dalle relazioni dei Rettori veneti dal 1524 al 1700 si desume 1' operosità industriale di Feltre e Belluno, specialmente nelle fabbriche di pannilani e coperte di lana, e d'armi ed istromenti rurali; «anzi da queste arti la repubblica Veneta ritraeva la tassa di esportazione, che si doveva dai compratori fuori di provincia. Dal 1700 andarono via via in diminuzione tali industrie, sia perchè gli artieri si mutarono altrove, invitati dalla speranza di maggior lucro , sia per la concorrenza venuta dallo sviluppo manifatturiero delle altre città d'Italia ed estere. I\'elP ultimo secolo la totale cessazione di tali arti portò la conseguenza già accennata del forzato migrare annuale della parte più industre ed oprante della nostra gente. Per dimostrare l'obbligo che correrebbe ai privati e ai Comuni di prò Illustruz. del !.. V. Voi. IL Vi movere una qualche industria, basterà l'accennare sommariamente i materiali in natura, di cui questa provincia ò fornita: li? Vedemmo che, di quaranta miniere esistenti nei distretti metalliferi del Cadore e di Agordo, ora non vengono lavorate che quattro ; due di proprietà erariale, cioè la miniera di solfuro di rame presso Agordo e quella di solfuro di zinco o giallamina in Auronzo: due della Società Montanistica, cioè quella di piombo argentifero nel Zoldano distretto di Belluno, e l'altra di solfuro di mercurio in Vallalta a dieci miglia da Agordo. Quelle di ferro di Zoldo e Cadore e del Col di Santa Lucia nell'Agordino, che davano alimento alle molte fucine di Agordo, Belluno e Feltre, da tempo furono abbandonate, come si ommise la scavo dì altre miniere di recente trovate. Precipua ragione n' è il depauperamento boschivo, che apportò la carestia del combustibile. Ecco come una sventura ne chiama molte altre; ecco perchè accennammo come suprema necessità e unica speranza per questa provincia, la coltivazione dei boschi cedui e di alberi resinosi: ma pronti a distruggere, siamo pur troppo lentissimi nel riprodurre. 2. ° Finché la deplorata mancanza del combustibile non venga redenta da un bene inteso sistema di coltivazione boschiva, la naturale disposizione del suolo offre somma opportunità per altre industrie, egualmente profittevoli, qualora si osservi che quasi in ogni paesello della provincia esistono acque torrentizie perenni, contandosi nel complesso della sua totale estensione dieci torrenti principali e cento e sessanta secondari : l'elemento principale perchè riesca poco dispendiosa e divenga fiorente un'industria. Di queste si approfittò soltanto nel Cadore per segar i legnami, e nel Cordevole pei legnami provenienti dalPAgordino. Del resto, si può dire, non esservi edifizj d'arti e mestieri che si vagliano di questo prezioso motore, se non per macine da grani. 3. ° L'industria metallurgica nel Bellunese e Feltrino si restringe a qualche maglio da battere il ferro , che serve in parte ai pochi bisogni locali. Eppure il rame di Agordo e lo zinco di Cadore potrebbero dare origine alla fabbricazione in grande dell'ottone, e coll'aggiunta del nichel, alla bella composizione del paefond: il piombo ed il mercurio dovrebbero servire ai diversi usi che le arti e le scienze indicano come opportuni al commercio, e che noi stessi acquistiamo trasformati in chincaglie ed in altri oggetti di lusso, ovvero in prodotti chimici per uso medicinale. Eccovi tutte le industrie della Provincia. Tornano inutili le acque, che pur si pagherebbero a peso d'oro là dove è necessario valersi della l'orza motrice del vapore: passarono inavvertiti i trovati delle scienze fisico chimiche e della meccanica, nella nostra come in quasi tutte le prò- INDUSTRIA 737 viride del Veneto. Se si volesse retrocedere colla storia, si vedrebbe che sola Feltre fabbricava 14,000 pezze di panno : ora il numero diminuito delle pecore somministra una quantità forse minore di lana, ma sarebbe sufficiente al movimento di non pochi filaloj e tela j semplici ed alla Jacquard con l'impiego di molte braccia. Con tali materie greggio si potrebbe fondare un complesso di fabbriche, le quali diverrebbero per Feltro la sorgente di prosperità. Se per la tessitura dei drappi, sono necessarie le lane di Spagna, le sue basterebbero nullameno alla fabbricazione delle vesti per gli alpigiani. Le nostre lane si vendono invece senza nemmeno purgarle agli speculatori di prodotti greggi, che poi le rivendono ai filatori, e questi ai tessitori: mentre noi avremmo un vantaggio enorme sopra tutti comprando il prodotto greggio di prima mano, ed i consumatori coll'acquistare le manifatture alla vera fonte, non falsate dall' industria straniera. È provato che gli uomini agiscono per imitazione; quindi la prospettiva di vantaggio in un ramo spingerebbe il desiderio e solleciterebbe le speranze della speculazione; perciò accenniamo soltanto l'arte della lana senza contare la trattura e filatura della seta, della canapa e del lino, coi mille svariali tessuti, non parliamo dell' arte di conciapelli, in paesi ove abbondano le cuoja che ora si lavorano in due sole fabbriche coi metodi antichi; di fabbriche di stoviglie ove si rinvengono a dovizia le argille, ed i marmi che restano nelle cave quasi deserte, sebbene la vaghezza delle tinte, la facile pulitura e l'ingegno degli abitanti invitino a lavorarli. Altre industrie connaturali al paese sarebbero le mobiglie semplici a intaglio o intarsiatura, abbondando i legnami di bella qualità ; per renderli pregevoli e tali da meritare la preferenza, basterebbe che in ogni distretto vi fosse una scuola di disegno, correggendo cosi i nostri modelli che peccano nell'eleganza e nella forma. A queste considerazioni , fondate sulla vera condizione fìsica e materiale della provincia, si opporranno indubbiamente ragioni di opportunità, di mancanti mezzi; e quindi si griderà ai novatori, che vorrebbero risuscitare industrie, morie da secoli, od atlivarle in un'epoca in cui la Germania c' innonda delle sue manifatture a buon mercato. Ma esce prontissima la risposta dal dimostrare come la qualità e la durata delle produzioni ed il gusto nel disegno possono esercitare una superiorità incontrastata sopra la concorrenza straniera, quand'anche lo spirito nazionale non T incoraggi. Abbiamo il fatto, che in Lombardia fioriscono non poche fabbriche di stoffe di seta e cotone; e lavori di oreficeria, le chincaglie di bronzo, le carte semplici e colorate, le porcellane e terraglie , e molte altre industrie che segnarono, da circa un trentennio, un deciso progresso, in onta alla temuta e reale invasione dei prodotti stranieri. È inoltre storia contemporanea, che le industrie e le manifatture si stabi- 738 PROVINCIA DI BELLUNO Iirono dovunque il suolo non offriva sufficiente impiego alle braccia dei suoi abitanti, e dove l'agricoltura non poteva prosperare pel clima e per la scarsa ubertà naturale, come la Svizzera, la Germania, l'Inghilterra, ecc. Prima di ripudiarle è duopo provare quelle vedute, dalla cui applicazione dipende il risorgimento economico della nostra provincia. IV. Pubblica Istruzione. Resta poi un'assoluta lacuna riguardo alle scuole per l'istruzione tecnica, onde non è meraviglia so duri una piena ignoranza dei nuovi sistemi adottati in ogni e qualsiasi industria manifatturiera. In quanto ali* istruzione morale ed intellettuale, occorre un difetto radicale, e pur troppo comune a pressoché tutte le campagne: vo' dire la poca o nessuna coltura nelle persone insegnanti, attesoché la meschina retribuzione assegnata ai maestri comunali, non basti nemmeno a provvederli del necessario pane quotidiano, proporzionato alla loro umile condizione, quasi sempre di villici od artigiani. In questa provincia tal retribuzione corre dalle lire 55. 20 (1) alle lire 540 alPanno,e la maggior parte supera appena le ducento lire. Neh" anno scolastico 1854-1855 erano iscritti alle 150 scuole pubbliche, tra femmine e maschi, numero 11,029 alunni; dei quali 748 alla Scuola Beale inferiore ed alle Elementari maggiori, e gli altri 10,281 alle Elementari minori. Le scuole pubbliche erariali trovansi in Belluno, e sono tre: la Reale inferiore, e le Elementari maggiori maschile e femminile; sono comunali tutte le Elementari minori tanto pei maschi che per le femmine, e la Elementare maggiore maschile di Feltro. Delle somme erogate per queste scuole offriamo le cifre uffiziali, separando la parte che spetta all'Erario da quella che pagano i Comuni. Le Scuole Reali inferiori e le maggiori maschili entrarono in attività nel 1822, e nel 1820 le maggiori femminili; l'Erario annualmente spende per la Scuola Reale inferiore ed Elementare maggiore maschile aL. 40,700 per la Elementare maggiore femminile .... » 4,290 per viaggi e cancellerie degli otto Ispettori (1 provinciale e 7 distrettuali)........» 2,957 Onde paga lo Stato per l'istruzione elementare . . aL. 23,941 ) PUBBLICA ISTRUZIONE /39 Le Scuole Elementari minori datano dal 1823, e sono: Distretto V. riolle Scuole Spese per uflizj e scuole Popolazione Belluno 27 7,093 39,959 Longarone 11 3,149 10,570 Pieve 23 10,100 19,740 Auronzo 30 9,949 17,209 Agordo 22 5,507 21,878 Feltre 18 11,909 32,913 Fonzaso 15 3,298 18,218 Totale 14G 51,071 100,582 Ove si aggiungano 4025 della Comunale Maggiore di Feltre, e 23,941 spese dair Erario per gli Ispettorati e per le tre scuole di Belluno, si han lire 79,037 pagate annualmente per l'istruzione elementare e tecnica del popolo. Quanto alla superiore, vi sono destinati i due ginnasj vescovili di Belluno e di Feltre i Da un opuscolo Delle scuole e degli uomini celebri di Belluno, stampato da un nostro amico per fausta occasione nel 1838, leviamo queste, notizie intorno ai seminari e alle scuole. Il difetto di una buona istituzione si era già fatto sentire da molto tempo, onde non meraviglia che sino dal K>o7 si mettesse l'occhio sui Gesuiti, che tanta fama eransi guadagnata nella educazione della gioventù. Le pratiche andarono per le lunghe, tinche, superate le molle difficoltà, poterono essi entrare nel nuovo collegio, eretto di pianta sovra non ispregevole disegno del pad** Andrea Pozzi, uno di loro, con la sua chiosa elio lo intermezza. Si pose mano alla fabbrica nei fN4» e nel 17*28 era aperto e frequentato il collegio, che i Gesuiti tennero sino al 1773, anno della loro soppressione generale ; ridestando qui operosamente e promovendo l'amore alle lettere nel gusto che allora dominava universalmente e più fra i loro. L'anno dopo soppressi i Gesuiti, il Consiglio comunale trasferi in quel fabbricato più degno le scuole pubbliche, coperte da quattro maestri con un rettore; le quali poi furono concentrate il 171*3 nel seminario, passato all'intero possesso del collegio, mentre il seminario vecchio, ceduto dal vescovo Sebastiano Alcaini, radunò in sè i tre piccoli spedali della città, e serve tuttavia a quell'uso. Se non che le speranze concepite per tale riunione delle scuole andarono ben presto in fumo: lutto era in convulsione per i prepotenti moti di Francia; e un bel di, nel 171)7, il seminario Yenne militarmente occupato e licenziali alla militare maestrie scolari. A'chierici allora si provvide alla meglio privatamente, mentre le altre scuole vennero messe alla Minerva, dove prima l'accademia degli Anislaniici. Sotlcntrato il governo italico di bella memoria, e divenuta Belluno capo del dipartimento del Piave, si aprì qui pure un liceo nel convento di S. Pietro, con otto professori (uno de' quali per turno diveniva reggente), insegnanti le lingue italiana, latina, francese, la retorica, la logica, la morale, gli elementi della matematica, della lisica, dei diritto civile e il disegno. Così la durò sino al 1815, quando, venute le provincie lombardo-venete sotto l'Austria, questa abolisce il liceo, lasciata sussistere la sola cattedra di disegno, incorporata poi alle Scuole Elementari maggiori. Cessato il liceo, si cereo di tener vivo in qualche modo un insegnamento di grammatica latina e di belle lettere, il quale crebbe nel 1818 a ginnasio vescovile con un col- A chi però dai dati esposti volesse arguire la diffusione dei lumi nella provincia, faremmo osservare che le occupazioni campestri impediscono ai fanciulli di valersi dell'insegnamento in tutta la stagione da Pasqua a San Martino, sicché ne restano senza alcun profitto, dimenticando nell'estate ciò che hanno imparato nell'inverno. legio-eonvilto di pochi cheriei nel nominalo convento di San Pietro ; ma lutto si sciolse nel 1820. Ora a questa mancanza sentita e lamentata di scuole, venne rimedio dell'innalzamento a supremo gerarca della Chiesa del cardinal Mauro Capillari bellunese il dì 2 foli -brajo 1N31, sotto il nome di Gregorio XVI. Nel comune entusiasmo si pensò ad un seminario, da intitolare al nome di lui: e concorrendovi con bella gara, ciascuno secondo le sue forze, ogni ceto ed ordine di persone della città e diocesi, si potè aprire il Gregoriano (così cbiamossl il nuovo seminario nel convento di San Pietro) il novembre del 1834 cogli studj ginnasiali e filosofici. A' quali studj si aggiunse l'anno dopo pur quello della teologia, dotato largamente dal Pontefice, il quale, dopo tanti altri doni e munificenze, contribuì anche con buona somma all'acconcio ampliamento della fabbrica. Un gran desiderio della città così fu pago: ma un seminario formale a Belluuo con un altro a Feltre e sempre durato nella doppia diocesi, piccola anche dopo la buona giunta del Cadine dal 1847, è cosa piùfta lodare che da imitare. I due seminarj són parassiti l'uno dell'altro: nò potranno prosperare, tinche non si venga ad una amaramente generosa transazione, concentrando in questo o in quello l'insegnamento teologico, e lasciando all'altro il ginnasio liceale. La sapienza del vescovo e di chi presiede ai due municipj, superando grandissime difficoltà, può solo a poco a poco comporre la cosa in guisa, che dalla (li-visione vengano utili stimoli sì ai discenti che agli insegnanti, e che le scuole, massime di teologia, sieno in qualche, maniera degne del nome...... Nel 13(10 esistevano certamente a Feltre scinde di prammatica, e forse anche molto prima. Il celebre Vittorino studiò i rudimenti di prammatica in patria, e a Padova recossi solo quando, per manco di libri e di altri ajuti, gli era impossibile di più ivi progredire, come si raccoglie da lettera di Francesco Filelfo a lui. La domus scolarum sorgeva, stando alle auliche topografie, là dove nel secolo XVI si eresse il seminario. Era il Comune che mantenea la scuola, e vi conduceva il maestro con lo stipendio di 100 ducati annui e col diritto di abitare nella casa della scuola. A quel maestro poi si aggiunse nel 1401 un ripetitore, salariato con annui ducati 30, oltre a 30 lire di piccoli che percepiva da ogni scolare. Il Comune metteva gran cura ncila scelta del precettore . demandata a quattro nobili, che lo andavano a cercare dove meglio credevano. Ciascun nobile due ne proponeva, ed il Consiglio eleggea fra i proposti il maestro a pluralità di voti, mentre il ripetitore (quasi sempre terriero) veniva dai due consoli nominalo, l timori della guerra nel 1416 fecero trasportare la scuola dentro alle mura della città, e si aperse presso il palazzo, coperta per 50 anni da cittadini. Indi si ricorse di nuovo al di fuori, come nel 1519 fu elevato lo stipendio del maestro a lire 700 di piccoli con l'obbligo agli scolari di contribuirgli 30 lire annue, e 10 sole al ripetitore in luogo delle SO che gli si sborsavano. Alcuni di questi maestri si distinsero, fra' quali Antonio Coratella di Loreggia nel Trevisano, autore del Polydorris e dell'ose//» Camola, eletto per opera del gran Vittorino, di cui fu discepolo, e morto a Feltro il 27 luglio 1448. Nel 1523 la scuola di grammatica si accrebbe di una di musica, ad insegnare la quale renne chiamato Marco Natale da Trento. Senonchè, non dando questa ultima scuola buoni effetti, venne sostituita da quella di aritmetica e geometria, affidate al milanese Andrea Malabarba, che ebbe a successore il figlio Silvio. La scuola, con la ricevuta giunta, appel-lossi ginnasio nel 1530. diviso poi nell'insegnamento di grammatica, di retorica e matematica da maestro Egnazio fatto venire da Venezia nel 1042 a rimediare agli abusi inlro-dotlisi, e così la durò fino al ll>70. Nel quale anno venne data dalla città l'amministrazione del benefizio de'santi Vittore e Corona ai padri Somaschi, i quali apersero un PUBBLICA ISTRUZIONE 74l Di Scuole agricole nella Provincia appena si conosce il nome; di gui-sachè T odierno sistema di educazione popolare è tuttavia ben lungi dal raggiungere i vantaggi che si potrebbero aspettare; e può dirsi che le Scuole minori comunali, più che ad istruire, riescano a tener vece di reclusorio ed asilo pel tempo in cui le faccende della campagna non tengono occupati i fanciulli2. Si aggiunge il desiderio che i libri primitivi sieno dettati con massime chiare e adatte alle tenere e rozze facoltà dei conladini: sieno pensieri di agricoltura pratica, geologia, fìsica e chimica elementare: appunto perchè le parole della sillabazione s'imprimono con più facilità nella memoria, comprendano tutta l'idea di esperimenti ed utili cognizioni, che convitto per 12 nobili e tennero anche per 20 anni il ginnasio. Circa il 1700 chiuso quel convitto, lo insegnamento si ristrinse alla grammatica e alla retorica, e subi nel 1708 una variazione novella, e limitossi alla sola grammatica superiore col nome di scuola grande, durato cosi sino al 1811, nel quale anno andò soppresso. Ai oberici poi era provisto con la scuola di teologia nelle canoniche, unite alla cattedrale dal 1148 al 1580, quando si raccolsero nel seminario eretto dal vescovo Filippo Campeggi, stato al concilio di Trento, pronipote ilei cardinale Lorenzo Campeggi, uno de'più insigni canonisti dell'età sua, e nipote e successore nel vescovato di altro celebre Campeggi Tommaso. Nel seminario insognavasi grammatica e retorica, filosofia e teologia pe* chierici, e la introduzione alla lingua latina pe'chierici e pe'secolari uniti insieme, i quali ultimi passavan poi alla scuola del Comune. Quel seminario liorì (come lo condizioni comportavano) nei secoli XVII e XV11I e proprio sino alla ristorazione di quello di Belluno, col quale ebbe ed ha una concorrenza a lutti e.due nociva. Dal l'G8 al lf!8 la istituzione vi consisteva nella teologia, nelle scienze (così chiamavasi V insegnamento filosofico), nella retorica e nella grammatica superiore ed inferiore, prima pe'soli chierici sino al 1811 , e da questo anno al 1818 comune a tutti, con numero proporzionato di professori. Si vuole inoltre notare che il ginnasio formale annesso al seminario dopo il 1816, niantennesi in nome onorevole, massime nel vicino Tirolo, appartenente per buona parte alla diocesi Feltrina sino al 178.", e che vi mandava con fiducia amorosa i suoi giovani figli. Quantunque il seminario di rtelluno, col pieno insegnamento ginnasiale, filosofico e teologico ne abbia assottigliato di molto il numero degli alunni, pure i Fel trini non si disanimarono: anzi, a veder modo di migliorarne le condizioni, alzarono dalle fondamenta un nuovo Seminario in sito migliore sovra il convento demolito di Santa Chiara servendosi di un bel disegno del Segusini loro compatriolo (Vedi pag. ). Non ostante il seminario dirò rivale e in onta alla piccolezza della diocesi e al colpo avuto dal nuovo piano scolastico, quel seminario conta tuttavia nell'anno correnti! 100 scolari de'quali 34 sono convittori. Ila altresì una scuola di disegno, ottima cosa e di nessun altro seminario che io sappia. Aggiungeremo che v'è pure l'insegnamento della lingua tedesca; e che nel vecchio collegio de' Gesuiti fu, il 1853, collocato un collegio militare inferiore. C. C. 2 Ci pare dovere il qui memorare il signor Francesco Gaz/etti , che diffonde il metodo fonico per insegnar contemporaneamente a leggere e scrivere e in breve tempo. Il perfezionamento, al quale bisogna spingere le Scuole elementari, consiste appunto nell'ac-celerare l'insegnamento; col che, oltre eansar la noja, si usurpa minor tempo alle occupazioni campestri e industriji, cui son destinati i figliuoli. Vorremmo aver voce creduta per encomiare il signor Gaz/.etti, e chi propaga la slatilegia e i metodi nei quali è combinata la memoria col giudizio, invece di restringersi lungamente nelle materialità. c. C. 742 PROVINCIA DI BELLUNO poi dilucidate dai maestri, diventino dogmi della vita sociale. Bando a quelle nullità, stampate fino ad ora nei testi; si proponga un premio lu eroso air autore dei libri migliori, adottabili nell'istruzione delle classi inferiori comunali; le letture contengano aneddoti della vita reale, vite degli artieri o degli artisti che si distinsero per moralità e progresso , e in essi si investano tutte le cognizioni possibili per formare Fingegno di un contadino onde migliorare la sua intelligenza, spogliarlo dei vecchi pregiudizj, torlo dalla perpetua immobilità del sistema ; stabilire finalmente quello scambio d'idee pratiche, di agronomia e di fisica, che lo avvicini al padrone e ne consolidi le attinenze col vincolo di una dignitosa dipendenza e non di una abjetta servitù. L'epistolario e il conteggio versino sopra argomenti relativi alla condizione degli allievi, i quali devono imparare a non essere ingannati sul valore delle merci, a non cader vittime dei raggiri dei mercatanti, a conoscere la qualità e differenza di monetazione, di pesi e misure, finché un unico sistema diventerà obbligatorio per tutti gli Stati italiani. L'istituzione dunque dei maestri, un appannaggio conveniente alla dignità del professionista, e P orario opportunamente disposto secondo le stagioni, nei giorni festivi un'ora di lezioni d'agricoltura pratica, convalidata da esperimenti fatti in un ettaro di terreno, concesso gratuitamente dal Comune a quella persona che si assumesse di dare questa breve e chiara istruzione festiva; ecco i fondamenti dell' istruzione delle nostre campagne. V. Stato Sanitario. Le condotte sanitarie sono presentemente GO: due mediche, 44 medicochirurgiche, 1 d'alta chirurgia, 3 di chirurgia minore, 17 ostetriche e 2 veterinarie. Non- ne sussistevano che 2G al \831,le altre furono istituite, ed in vario modo anche migliorate nel soldo e nell'assegno del territorio, dopo il 1835. Il distretto di Belluno non contava che le condotte della città, quella de' Comuni dell'Alpago e le due di Mei e di Villa. Di due condotte crebbe anche il distretto di Longarone, di cinque quello di Pieve, che non ne aveva che una, di nove quello di Auronzo, di tutte sei quello di Agordo, di sette quello di Feltre, che come più provveduto ne aveva sette con Cesana ; e di cinque quello di Fonzaso, che ne aveva solo due. Sono poi tutte nuove le condotte d' ostetricia. STATO SANITARIO 743 Delle veterinarie non sussisteva nel 1831 che un embrione a titolo di residenza nelle due dei distretti di Belluno, Longarone, Pieve, Auronzo, Agordo, e di Fcltre, Fonzaso e Mei. Ora è affatto sistemata quella del distretto di Belluno , e si sta organizzandone tre altre pel resto della provincia; una sarà costituita dei distretti di Longarone, Pieve ed Auronzo, un'altra da quello di Agordo, e la terza dai due distretti di Feltre e di Fonzaso. Essendo poche le condotte al 1831, scarso doveva essere il numero dei medici e dei chirurghi. Como crebbero pertanto e migliorarono le condotte, si aumentò e divenne migliore anche il personale, nel quale com-prcndevansi dieci o dodici bassi chirurghi. Presentemente in provincia si hanno 51 medici, 10 chirurghi per lo più maggiori o civili provinciali, e 27 levatrici, le più delle quali sono di fresca istituzione. Quanto ai veterinari, 2 erano nel 1831 e 2 sono anche ora, in aspettazione di averne di più. Al 1831, erano 18 farmacie nella provincia; dal 1836 in poi si apersero a molta distanza, le cinque di Santa Giustina, di Lozzo, di Lamon, di Canale e di Caprile. Le parecchie scadenti, a poco a poco si ristorarono e vennero in fiore. Oggi per P esercizio delle 23 complessive si prestano 29 farmacisti, 2 approvandi, 14 alunni e 7 assistenti. Nei distretti di Belluno, come Mei, Feltre e Fonzaso, la cui popolazione ascendeva a 91,820 abitanti, dietro visita domiciliare dei medici condotti, della quale non si può garantire tutta l'esattezza, nel 1853 si trovarono 1419 pellagrosi, 701 di primo stadio, 476 di secondo , e 182 di terzo. Poco più poco meno ò la stessa situazione anche oggidì. I distretti montani di Cadore non offrono pellagra, pochissimi casi quello di Longarone, e quello di Agordo in Falcade. Per le malattie ordinarie, in gennajo, febbrajo e marzo prevalgono le bronchiti, le pleuriti e le pneumoniti, di maggiore o minore violenza ed . intensità a seconda degli anni e delle particolari costituzioni ; talvolta congiunte a nota tifoidea, ciò che le rende più maligne e mortali. In aprile e maggio e parte di giugno frequentano, con qualcheduna delle suddette forme ma più miti, le sinocche reumatiche, ed in taluni luoghi le febbri intermittenti a fondo infiammatorio. Alla fine di giugno, in luglio e nella prima metà d' agosto, causa i calori della stagione alternati con notturne frescure e con qualche giorno piovoso, sono quasi comuni con maggiore o minore estensione le diarree e le dissenterie. Da mezzo luglio a mezzo settembre regnano negli agri palustri, che sono assai pochi e non molto estesi, le febbri intermittenti, che facilmente cedono allo specifico, suffragato o no dal salasso. Le recidive di dette febbri continuano in ottobre e novembre, nei quali due mesi si può Illustra», del L. V. Vol. U.' M 744 PROVINCIA DI BELLUNO dire tacciono tutte le altre malattie. In dicembre, al riprodursi del freddo si veggono con qualche frequenza le bronchiti ed i catarri polmonari, specialmente nei vecchi. Fra le malattie epidemiche che travagliano la provincia, la febbre ga-strica-tifoidea è la più frequente. Non passa anno che non si abbiano di questa attaccale parecchie località, d'ordinario di non molta estensione, vale a dire di un solo villaggio. Senza regola la infestano a quando a quando con maggiore o minore estensione il vajuolo, che si spegne colla vaccinazione e rivaccinazione, il morbillo, la tosse ferina, e più di rado la scarlattina. Da dieci o dodici anni fa si introdusse anche la migliare, che diventando sempre più frequente, attacca quasi tutti i paesi sporadicamente, e di quando in quando anche taluno epidemicamente. Memorabili sono le epidemie migliarose di Comelico Superiore del 1840, di Do-megge del 1851 e di Vodo del 1853. La tisi polmonare, nella quale degenerano la bronchite trascurata, la pleurite e la pneumonite, è piuttosto rara, quando le malattie a cui è postuma, sono trattate con energico e sollecito metodo antiflogistico. Anche la scrofola e la rachitide, fedeli sorelle, ravvisatisi rare, e si può dire isolate, negli abitanti dei borghi e della città. Perarolo, piccolo borgo posto sul fondo di una vallata dove il Boit si congiunge col Piave, offre ragguagliatamente i maggiori esempj di queste due malattie infantili e fanciullesche. Il cholera morbus nella prima invasione risparmiò molti Comuni del Bellunese, talché il numero delle morti fu assai minore che nel 1854. Cominciò il morbo al 13 giugno e si estinse al 30 ottobre 1854, e dei 4134 attaccati morì circa la metà. Trentuno dei 69 Comuni restarono esenti. Due ospitali sono nella provincia ed in bastantemente buono stalo pei miglioramenti continui. Quel di Belluno ricovera in adeguato dagli 80 ai 90 ammalati giornalmente. L'altro in Feltre, ne ricovera dai 50 ai CO. Presso i medesimi vi hanno anche due case figliali pegli esposti: quella di Belluno ne accetta 60 all'anno; a quella di Feltre non ne affluiscono che 24. Particolari nutrici gli alimentano e governano fino a che vengono dati a balia nei contadi vicini. Vi ha 158 cimiteri, quasi tutti (eccetto due del Comune di Belluno, tre del Comelico e i due di Sappada, Comune della Carnia aggregato di recente a questa provincia) costrutti a legge ed in gran parte anche perfezionati con ingrandimenti o con mutazioni di sito dal 1828 a questa parte. Anche 1' esercizio dei medesimi è in generale molto bene regolato. V ha scarsezza però di celle mortuarie presso le chiese, amando questi abitanti di trattenere e custodire in casa i cadaveri loro fino al momento dell' esequie, dopo cui segue immediatamente la tumulazione. STATO SANITARIO 7*8 Nel formare T edilìzio cimiteriale della provincia offrirono difficoltà la ripugnanza degli abitanti di allontanare i cimiteri dalle chiese, poi la scarsezza o mancanza di idonei terreni. Nulladimeno colla pazienza e colla ferma volontà si potè sistemare questo importante ramo di polizia sanitaria. Son note le recenti concessioni fatte ai medici-condotti. Il governo ed i Comuni, facili a secondare gravi dispendj non sempre giustificati dall'evidenza dell' utile, furono oltremodo ristretti nel proporre riforme vantaggiose al personale sanitario. Non si è dato verun peso ai 30 anni di studio, alla pratica la più laboriosa e la meno retribuita di tutte le professioni, agli sconforti e pericoli che l'accompagnano. Se si eccettui la pensione concessa secondo le normali vigenti per gli altri impieghi, lo stipendio venne mantenuto nelle proporzioni anteriori ; non si tenne conto quanto meschini sieno i proventi avventizj nelle condotte mediche , e nulli in alcune della montagna. Con quattro lire al giorno si condanna un professionista, la cui scienza è la più difficile e astrusa, la cui vita è un continuo sagrifizio, a mantenersi col decoro che conviene a persona educata, e cogli agi, a cui gli dan diritto la sua nascita e la sua posizione sociale. Tale ingiustizia che si credeva cancellata dalla moderna civiltà, invece di essere almeno alleviata, restò ribadita dalle nuove disposizioni '. i Questi particolari e suggerimenti, sia nella condizione sanitaria come nel suo personale , e gran parte delle presenti istruzioni, le dobbiamo al dotto, diligente ed onesto dottor Angelo Portilo, medico provinciale di Belluno, che dal t83t in qua disimpegna con zelo instancabile le molteplici sue attribuzioni 746 PROVINCIA DI BELLUNO osservazioni meteorologiche 747 Riassunto delle osservazioni meteorologkhe f 0 241 » » H fi venti dominanti quantità della pioggia pollici linee Osservazioni 7 5 12 6 2 6 4 5 5 69 68 1 ignoranti per mancanza d'a-ncmome-Iro e di osservazioni relative a cura altri medici della Provincia 6 2 » 6 17 3 5 2 7 4 4 2 64 63 8 9 10 8 9 4 2 11 7 Moderatamente freddo ed umido, con molte giornate alternativamente piovose e nevose. Poco freddo e sereno nella prima e nelP ultima terza parte. Poco meno che temperato, con giornate tutte serene , eccetto le sei dall'11 al 17 inclusive, che furono nuvolose e burrascose. Temperato ed umido, con giornate per lo più coperte o piovose. Più che temperato, quasi sempre nuvoloso ed assai umido, perla caduta di straordinaria quantità di pioggia. Assai caldo e sereno con qualche saltuario temporale. Moderatamente caldo, con giornate alternativamente serene e nuvolose. Caldissimo e quasi sempre sereno, eccetto poche giornate nuvolose e piovose dal 18 al 23. Moderatamente caldo, con giornate interpolatamente serene e nuvolose e piovose. Più che temperato nella prima metà, e gradatamente fresebetto di poi, con giornate quasi tutte a meraviglia serene. In generale freddo specialmente nell' ultima sua metà con giornate alternativamente caliginose e serene. Mollo freddo e sereno nella prima terza parte, e caliginoso, piovoso o nevoso quasi sempre in tutto il resto. Fra le cinque e le sei an limeridiane del 20, cinque piccole scosse di tremuoto, ed una alle 0. Riassunto delle osservazioni ALTEZZA MEDIA DEL BAROMETRO ALTEZZA MEDIA DEL TEMPERATURA Mese TERMOMETRO MASSIMA pollici linee gradi giorni gradi Gennajo . 26 8 26 2 26 2 7 Febbrajo 26 5 36 1 03 27 28 6 Marzo . 26 5 22 6 13 19 20 26 28 11 Aprile . 26 7 00 9 00 18 18 Maggio . Giugno . 26 26 6 8 87 70 11 15 81 97 26 27 28 8 30 20 24 Luglio . 26 8 28 17 70 9 10 14 15 23 Agosto . Settembre . » • 26 26 8 8 71 66 18 14 29 17 2 3 4 25 26 1 25 21 Ottobre . Novembre . . . 26 26 7 8 16 10 12 6 19 00 1 7 8 17 18 12 Dicembre . . . 26 8 06 2 22 25 4 NelP anno 1855 . 26 7 532 8 984 > Neil' anno 1854 . 26 7 975 8 895 » j Differenze \ in più [ in meno » 0 443 0 089 » » orologiche falle nel\ ia di OSSERVAZIOxNI METEOROLOGICHE Belluno durante P anno solare 1855. 747 venti quantità' della domi- P10< 1 g i a nanti pollici linee Ignoransi 4 3 per man- canza d'a- 6 nemome- » tro e delle 6 3 osserva- zioni re- 5 7 lative. 7 3 3 9 ' 4 3 i 3 6 11 1 9 6 2 10 » D 63 4 51 8 10 8 Osservazioni In generale molto freddo e sereno nella prima sua metà, e nuvoloso e burrascoso nel rimanente. Alle 5 antiin. del giorno 0 scossa sus-sultoria piuttosto forte di tremuoto. Per lo più nuvoloso e piovoso con grande scirocco dai 3 ai 9, che sciolse molla neve, e con vento forte la notte del 16. Alternativamente piovoso e sereno con burrasca forte ai 12 e ai 13, e con straordinario abbassamento del barometro nel secondo giorno. Temperalo, molto piovoso nei primi quattro giorni, e quasi lutti* sereno di poi, se eccettuami i 23 e 24 che furono burrascosi con brina che tolse lutti i frutti. Umido ed eccessivamentepìovososinoal23, costantemente serenodi poi. Mollo caldo e quasi sempre sereno fino al 14, e meno caldo e saltuariamente piovoso e nuvoloso di poi, con neve sulle vette dei monti ai lì! e 20. Costantemente caldo e sereno con qualche saltuario temporale e piog-gic passeggici. Costantemente molto caldo e sereno, con saltuarie pioggic passeggiere. Alternativamente nuvoloso e piovoso nei primi due terzi, e sereno neir ultimo, cioè dopo il 23. Alternativamente piovoso e sereno con dolce temperatura. Piuttosto piovoso nella prima metà, ed alternativamente nuvoloso e sereno nell'ultimo. In generale molto freddo, e costantemente sereno fino al 17, ed alternativamente nuvoloso, nebbioso e sereno di poi. 750 PROVINCIA DI BELLUNO OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE Riassunto delle osservazioni meteorologiche fatte » .,!(/(t d- Mmi0 ^wmte ranno solare d854. 75 L O S S li li V A Z ION I. Generalmente mollo freddo, ma più in principio che di poi. Inoltre nella prima metà fu alternativamente nevoso e piovoso, e ne!!' ultima tutto sereno. piuttosto freddo in principio, e con Tulio asciutto , piuttosto freddo o sireno, con un solo giorno di vento forte. Tutto asciutto , per Io più sei pochissima neve e pioggki. Nei primi due terzi lutto sereno e piuttòsto caldo, nel!' ultimo piovoso e freschotto. Tutto bello, eccetto pochi giorni nuvolosi o piovosi. Piuttosto umido e poco caldo, perchè erano alternati e frequenti i giorni di pioggia e di burrasca. Saltuariamente piovoso e. poco caldo nella prima mela; sempre sereno e caldissimo noli' ultima. Continuamente sereno e caldo eoo saltuaria interpolala pioggia d'ordinario in occasione di qualche temporale. Straordinariamente sereno e caldo. Sereno, caldo lino al 17, piovoso e fiesehello di poi, meno gti ultimi quattro giorni ancora sereni. Alternativamente nuvoloso, nebbioso, e piovoso con bassa temperatura dall'I! al 15 inclusivo. Saltuariamente sereno e nuvoloso, con freddo moderato fino al 13 e piultoslo forte dal li in poi. Differenze} .;nmP™0 Illustra z. del L V. Voi.f i VII. Altezze principali della provincia di Belluno. Nome dei luoghi. Piedi parigini Osservatori. Belluno, soglia del Duomo, lai, 46.1, long. J).9 1202 Schouv Belluno 1225 Fuchs Fcltre, albergo al vapore 779,28 Berti Feltro, locanda alla Stella, lai. 46, long. 9.6 791 Schouv Agordo, soglia della cbiesa, lat. 46.3, long. 9.7 1933,3 Fuchs Agordo » 1888,1 Berti Pieve di Cadore, locanda ai tre Cuori 2665 Schouv Longarone 1418 Schouv Perarolo, sulla Piave 1504 Schouv Lorenzago, soglia della cbiesa 2794 Schouv Primolano 728 Fallon Oncinighe, presso Agordo , alla cbiesa 2411,4 Fuchs Canale, alla soglia della cbiesa 30'i 2,2 Marmolada Alegbe, allo speccbio del lago 3004,5 Fuchs Caprile, letto del Cordevole 3123,1 Fuchs Frassenè, alla soglia della cbiesa 3452 Fuchs Biva, pianterreno dell'osteria 3029,37 Berti Vallalta, ulìicio delle miniere al piano 2236,5 Berti Miniere d'Agordo, bocca delle gallerie 1991,81 Berti Pinei fuor della Muda 1 445 Marmolada Peron, sponda del Cordevole 1230 Fuchs Mas, pianterreno dell'osteria 1169,7 Berti Pianaz nel Zoldano, alla soglia della chiesa 4063 Fuchs Fusine, nel Zoldano 3576 Fuchs Passo di Fadallo 1485,4 Berti Pianezze, forcella sopra la Vallada 6214 Marmolada San Tomaso, forcella al punto culminante 4250 Fuchs San Pellegrino, passo tra TAgordino ed il Tirolo 5994 Fuchs Duran, passo tra Agordo e Zoldo 4798 Fuchs Monte Scova, nel Bellunese 4313,42 Sandi » Cavallo, nel Bellunese 6921,16 Sandi ALTEZZE 733 Nome dei luoghi. Pi*di parigini. Osservato: i. Monte Pizzocco, nel Feltrino 0730,21) Sandi » Vescovi, coro di Castellai 5922,7 Marmelada » Vescovo, Gesto dei Ros 7130,1 Marinolada » GelOjCorno sud-est d'Agordo 0380,1 Fuchs » Luna, ovest d'Agordo 5383,5 Fuchs » Agner, ovest presso Agordo 8860 Fuchs » Sape, nord-ovest d'Agordo 7731 Fuchs n Armerolle, sud-ovest d'Agordo 4684,3 Fuchs • Pelsa, nord d'Agordo 7378 Fuchs Civita, nord d'Agordo 9790 Fucbs » Migion 7047,41 Sandi » Ombretta, alla Casera 5714,8 Marmolada >' Marmolata, lat. 46.5 long. 9.6 10,233 Fuchs » Feilaja, conline al lago 0209,7 Marmolada » Staulan/.a, passo al Pelino 5439 Fuchs » Pelino, nel Cadorino 9730 Fuchs » Antelao 10,020 Ciani » Peralba 8284 Ciani » Cridola 7951 Ciani » Tudajo 7(171 Ciani » Sformivi 7416,84 Sandi » Najarnola 7555,41 Sandi » Palambino 7989,53 Sandi >• Marmami e 8374,38 Sandi » Croce, passo nel Cadorino 5103 Fallon » Mauro, passo nel Cadorino 3959 Schouv Vili. Corsa per la Provìncia Bellunese. Nel bollore d' estate o nel mettersi dell'autunno, quando si sente il bisogno di respirare un'aria fresca ed elastica e si vorrebbe godere di tutta la pompa della natura e del vivo rigoglio d' ogni vegetazione, schermiti dal solione e dall' affannosa caldora delle città e dal riverbero dell' ardente suolo delle nostre campagne, venite a fare una gita nella provincia di Belluno, e n" avrete diletto e interesse. Situala questa provincia a circa 60 miglia da Venezia verso il settentrione, dai 380 metri sopra il livello del mare va innalzandosi gradatamente verso il contine tirolese. Più della metà del viaggio si percorre colla via ferrata da Treviso a Conegliano. Attraversando le grosse ed amene borgate di Geneda e Ser-ravalle, che si potrebbero chiamare cittadelle, si giunge con omnibus giornaliero a Belluno, o smontando a Treviso e costeggiando il Piave, si arriva in tempo pressoché eguale all'antica Fellre. Su ambedue gli stradali l'occhio divagando misura dalla cima alla base una catena di alte montagne, alle quali dagli uomini venne tolto il ricco addobbo d'alberi e arbusti, -e dalle acque furono denudati i versanti col trasportare il fecondo terriccio nel Piave o nelle sottoposte bassure. Ma dove, per naturale avvicendamento, la montagna fa conca, e potò mantenere uno strato di terra, la si scorge tappezzala di un verde più o meno cupo , a seconda che i raggi del sole vi mandano in copia la luce. Se nella via di Belluno si trova un'erta salita, è tolta la monotonia del cammino da due laghi, formati dalla caduta de' monte che deviò il corso del Piave, il quale ora discende per Capodiponte a Belluno. E sopra i laghi sorge quasi livellata la fila delle Alpi di Al-pago, nel cui mezzo giganteggia il folto bosco di faggi detto il Gansiglio, che la Bepubblica Veneta, con altri boschi, serbava alla sua gloriosa marina. Sempre più avvicinandosi alle due città per le direzioni indicate, si allarga la strada, e verso la metà delle montagne comincia la serie di degradanti colline, che col lento declivio si vanno perdendo nella pianura. Nel centro di tal paese, tutto circondato dalle Alpi, vi pare un sogno di trovare una ridente vallata in cui il granoturco lussureggia, e, dove la solerzia dell' agricoltore impiegò tempo c lavoro, prosperano il gelso e la vite. Ogni punto del Bellunese e Feltrino vi olire con tinte e posizioni svariate tutte le scene immaginabili di paesaggio, dall' orrido e scosceso gruppo di montagne e dai romorosi torrenti, al dolce e brillante alternare di colli, boschetti e ruscelli. La natura vi ha creato tutte le varietà di giardinaggio, che indarno 1' arte procura imitare. Basta un brevissimo giro pei dintorni di Belluno, nella circonferenza di circa due miglia dal Ponte delle Fontane e Tisoi a Gaverzan, Cusighe e San Lorenzo, ed oltre Piave a Gastion e Visomelle ; ed in Fcltre da San Vittore alla città e da questa a Pedevena o verso il torrente Caorame, per godere d'incantevoli prospettive, di panorami variamente foggiati e scene si belle che stampano nella memoria un gentile e grato ricordo. Queste bellezze della natura impressionano con intensità e modi diversi 1' immaginazione di chi viaggia per piacere o con pensiero d'artista. Architettura ed arti belle. — Splendidi monumenti delle arti editicatorie e della scultura antica mancano totalmente in questa provincia. Colpa in gran parte le forzate emigrazioni successe nel tempo di Attila e nelle successive irruzioni e devastazioni barbariche. Alcune lapidi romane lavorate nel marmo proveniente dalle cave dei distretti di Feltro e di Longarone presentano bassi rilievi, ornati e contorni di qualche pregio ; in Belluno si distinguono il mausoleo di Flavio Ostilio, cavalier romano, presso la chiesa di Santo Stefano (vedi pag. 582J e la lapide romana nelP atrio municipale; a Feltre la lapide romana situata nel coro del Duomo ed alcune nel cortile della villa di Centenere'. Gli edifìzj d'antichissima costruzione son tutti crollati perla vetustà o distrutti da incendj e dalle guerre nei tempi barbarici e in quelli di mezzo. Feltre venne incendiata al tempo della Lega di Gambrai dall' esercito tedesco dell' imperatore Massimiliano in modo da doversi interamente rifabbricare; e la tradizione e la storia dichiarano quest'incendio così generale e distruggitore, ed il saccheggio tanto terribile da rendere inutile ogni ricerca sopra documenti o monumenti anteriori al 1500. Forse la torre che sorge quadrilatera sopra la contrada di Mezzaterra è Punico testimonio dei tempi che furono; mentre in Belluno la torre Do-glioni e quella dell' episcopio si suppongono del 1300. Il caseggiato è di aspetto buono e regolare in ambe le città, ma meritano particolare attenzione sia pel gusto architettonico come pei fregi e per le pitture, di cui vanno adorni alcuni fabbricati che indicheremo. A Belluno. Il palazzo dei Rettori, ora Delegazione Provinciale, di stile lombardo, cominciato nel 1491 , con base a colonne , si presenta grazioso ed elegante per una quantità di lavori in marmo , di fregi ed ornamenti che formano una facciata veramente bella. Contiene monumenti in marmo e busti in bronzo; fatti in grata memoria dei veneti rappresentanti. Sulla M-ala superiore un busto rappresenta il senatore Girolamo Cornaro, l Avendo confrontata meglio le lapidi del Miai-i, facciam qualche correzione alle n »stre, messe a pag "JHi e segfc. Nella prima è scritto mniimì.n'. Metla terza di pagina jSU non QUINTU ma qvinctia. Nella quarta non min ma rum. Nella penultima di pagina !»8(> non tukhams ma tviuumus. Nella prima di pagina S 7 imiti; e molli a hanno la forma a. Nella quinla di pagina US!» non ahiri secvndvs, ma aiuni.. sf.conovs. Nella quinta di pagina 8M non vv. ma vf. C. C. dello scultore bellunese Camillo Calcedonio (1622). Di esso palazzo diemmo il disegno a pag. 662 , qui esibiamo la figura dei rettori , qual si trova in una miniatura posla in fronte a uno statuto manoscritto dol 1423 esistente nella biblioteca del Seminario vescovile di Belluno. ARCHITETTURA 7o7 11 palazzo dei Vescovi fondato nel 1190 dal vescovo Gerardo de Tac-coli, ha portone c finestre di buona forma lombarda. Ora è nella massima decadenza, aspettandosi il progettato ristauro. La torre situata alla destra del palazzo fu destinata fino dal 1403 alla pubblica campana, e credesi che la interna armatura, per impedirne la rovina, sia di Palladio. Torre e pnljzzo vecchio dei vctcoei di Kelt uno. Il palazzo di Belvedere, a un miglia circa fuori della città sopra un colle, venne eretto nel principio del secolo XVII a spese del vescovo Rombo, che lo lasciò per villeggiatura ai suoi successori. Nelle due sale ha pitture di Sebastiano Ricci e Marco Ricci suo nipote-?, che in mezzo alle altre figure fecero i proprj ritratti. Abbandonato dai vescovi, si trova al presente nel massimo disordine. Il palazzo Municipale venne compiuto nel 1838, architetto il Segusini. Ad un esterno di graziosa forma gotica non corrisponde T interna dispo- '2 Sebastiano Rizzi 0 Ricci, nato umilmente in Belluno il IW*, a Venezia dal Ioni-bardo Federico Cervelli imparò freschezza di colorilo e facilità di pennello , della qual facilità abusò. Fu protetto dal duca di Parma, poi da al(ri dipìngendo a Roma, a Milano, a Schònbrun, a Firenze, a Londra. Fissatosi a Venezia, condusse grandi tele, e da'suoi car-loni è trailo il gran musaico che rappresenta l'arrivo del corpo di san Marco, sulla facciata della basilica. Il tempo non rispettò i suoi lavori uè la sua fama. Mori nell'operazione della pietra il i7.><». Suo nipote Marco, nato in Belluno il 1679, morto il dallo zio apprese l'arie, e più da Tiziano e dalla natura de' suoi paesi. Venuto in nominanza, cercò Londra, e piacque pe'suoi paesaggi, e ne ornò molti palazzi e le reggie. Volle intagliar le proprie invenzioni, ma in questo campo restò inferiore ai contemporanei. Tornato nel Veneto, per Giuseppe Smith dipinse su pelli di capretto molle vedute gustose, e in questi pie,' ili lavori, più facili a vendersi, esercitò il resto di sua vita. C. C. siziòne dei locali, scarsi ed angusti. Nella piccola sala superiore il pittore Demin rappresentò a fresco la pace fra P illustre vescovo Giovanni e la Giovanni vescovo. Repubblica Veneta (996); e la fuga di Ezelino da Romano nell'assedio di Belluno (1248). Le soffitte e le pareti sono adorne di ritratti degli uomini illustri bellunesi dai tempi remoti sino ai nostri. Bello e generoso pensiero di ricordare le patrie glorie a tempi tanto dissimili. Il Casino presso la piazza del Mercato ha buona architettura con facciata in marmo ed atrio a colonne, dal quale si ascende alla sala e alle stanze di società. ARCHITETTURA 759 Porta Dojona (vedi pag. 6(5) tutta di pietra, innalzatasi nel 1553, e dedicata al veneto rappresentante Francesco Diedo, è- disegno"di Nicolò Tajapietra, ed ai lati leggonsi dei distici composti da Giorgio Doglioni, vescovo di Bellina. Tra le fabbriche recenti è il teatro che, tanto nella facciata a colonne d'ordine corintio, come in quella di fianco verso il Campitalo, mostra semplicità di disegno ed eleganza della forma. Questo , e la casa della nobile famiglia Gappellari sono lavori del Segusini, e ahbellano la piazza del Campitello. Il Palazzo del consiglio dei nobili innalzavasi sulla piazza maggiore, ove di presente si vede il Tribunale; aveva la facciata e la sala delle pubbliche riduzioni dipinte da Jacopo da Montagnana 3 ; nell'altra sala detla la Camminata, la quale serviva di convegno ai notari, eranvi fatti romani dipinti da Pomponio Amalteo, ; di più si vedevano nella prima sala tre figure, ritenute di Andrea Mantegna. Questo palazzo ed alcune porte della città e piazze pubbliche mostravano di buon intaglio in pietra il Leone alato, stemma del dominio veneto. Tra le villo fabbricate sul piano 0 poste sulle colline lungo le strade postali che conducono ai capidistrclti ed alle città, figurano alcune per vaghezza del sito, come la villa Moldoi della famiglia nobile Sandi a Sospirolo ed altre, adorne di passeggi e giardini e case costrutte con buoni disegni ed eleganti proporzioni. Alcune suburbane di Fcltre e Bei-uno e quelle situate nei Comuni di Mei, Sospirolo e Sodico meritano di essere visitate. A 7 miglia da Belluno sulla via di Feltro godo bel nome la villeggiatura dei Patt, del nobile Manzoni di Agordo. La casa non ha nulla di rimarchevole all'esterno, ma ò bene ridotta a moderni conforti nel suo intorno, ed è circondata da due parchi, disposti a giardino inglese secondo il disegno dell'illustre Japelli ; con buona raccolta di dipinti a olio, il più finito a fresco del Demin che rappresenta la lotta delle Spartane, e un altro della stessa dimensione del defunto pittore Paoletti, rappresentante Esopo che racconta le favole ai Greci. Il geologo godrà una bene disposta collezione di minerali della provincia e stranieri. 3 A questo Io attribuisco un'epigrafe in lettere antiche, e arieggiano a quelle della •appella degli Fromitani in Padova C. C. tUUstraz. det L. V. Vol. II. 91 C h i e so so p n resse. Altri monumenti della carità cittadina sono le chiese e li! pitturò vendute, air epoca dell' invasione francese. i.° Santa Croce, ove tra gli altri dipinti esistevano la Cena, il bacio di Giuda, e la Cattura del Redentore dell' Aliente : di Domenico Tintoretto Gesù dinanzi a Pilato e la Coronazióne di Spine; di Cadetto Caliari, il portar della Croce ; del Palma giovane, la Crocifissione; di Paolo Fiammingo, la Risurrezione; di Paolo Veronese, santa Lucia: di Nicolò de Stefani bellunese, san Lorenzo ; di Francesco Vecellio , la Vergine coi santi Pietro e Girolamo. 2.° Quella di «.-mia Maria dei Battuti oltre la tavola del-r aliar maggiore, ch'era il capo d'opera di Alvise Vivarini, possedeva san Sebastiano di Paris Bordone; la Trinità di Carletto Caliari e san Bartolommeo dell'Aliense. Conservata nella sua integrità si ammira la porla d'ingresso, tutta marmo con bellissimi fogliami ed ornati, e sopra il cimiero con un gruppo di figure rappresentante la Vergine che copre col manto alcuni confratelli della Scuola, e più in alto l'eterno Padre, quindi sei statue di santi intorno alla porta. 3.° In San Giuseppe il santo titolare era di Francesco Vecellio e il san Giorgio del Palma giovane. 4.° In Santa Maria Nuova le portelle dell'aliar maggiore di Paris Bordone. .rJ.° In San Lucano la tavola dell" aitar maggiore di Paris Bordone, e le portelle di Nicolò de Stefani. (5.° La chiesa di San Giuseppe possedeva sulla facciata la Stàtua in marmo del santo lilolare, creduta di Giovanni. Melchiori bellunese, 7.° Quella dei Gesuiti, la statua di sant'Ignazio, scultura del Bonazza. Anche nelle chiese conservale si perdonerò alcuni dipinti di non poca considerazione: come in San Pietro un san Francesco del Correggio, ed CH1KSI-; DI BELLUNO 761 alcune pitture
  • 5. Giacché parliamo d'artisti, suppliamo ad un* ommissione : Placido Fahris, nato nel 4804 in Pieve d'Ai pago a • miglia dalla città di Belluno, studiò ili Venezia 1' arte del disegno nella veneta Accademia sotto il maestro Teodoro Mattcini. La sua prima composizione, Amore e Psiche, fatta a iti anni imitava nel colore e nella vita un dipinto di Tiziano. A gloria dell'artista questo dipinto Tu collocato in un' apposita stanza dell'Accadèmia quale modello di bella inventiva e d'intonato colore. Chiamalo a Tri paté, eseguì per eomissione delle più ricche famiglie ritratti e quadri d'immenso inerito. Due volle viaggiò in Inghilterra vendendo i suoi lavori e facendo quadri mollo ammirali e od alti prèzzi venduti a quella intelligente aristocrazia. Valevasi de'suoi wiczzi per raccogliere capi d'arie in Malia e fuori, che dovevano formare il ricco capitale del suo ingegno e la gloriosa credila della sua famiglia. Ma tornando dall'lnghil- VESCOVI 790 Questa rapida descrizione che meglio potrebbe appellarsi un'indice generale delle vedute e monumenti della provincia di Belluno, ci sembra sufficiente a destare la curiosità nei nostri lettori fuori di provincia, e determinarli a consecrare qualche giorno d'ozio a visitare queste città e paeselli che nulla hanno da invidiare alla Svizzera e oflron mollo da apprendere in fatto di geologia a chi studiasse la formazione delle sue montagne. IX. Diocesi di Belluno e Feltro. Si e già avvertito, nell'espor la storia della provincia bellunese, come erano separate le diocesi di Belluno e Feltre si nel temporale che nello spirituale, e la loro unione, inspirala dalle circostanze politiche e dal bisogno della comune difesa, seguì dopo la morte del vescovo Gerardo De Taccoli nella guerra combattuta nei campi di Cesana contro j Trevisani. Il primo vescovo solto il quale si effettuò questa unione fu lena quest'immenso deposilo fu inghiottito dal mare colla nave che doveva tradurlo. Addolorato por tanta sventura, si ritirò dalla società conducendo una vita misera e solitaria e senza produrre lavori che gli avrebbero forse rimessa l'ingente fortuna. Il suo studio in Venezia è da qualche anno a tutti inaccessibile per cui resla il dubbio ch'egli Si sia lilialmente disposto d'adoperare il pennello. L'Accademia di Venezia possiede un suo dono di Circe ti quadri ebe desiano l'ammirazione del visitatore che ha passeggiai? le sale in cui stanno appesi i quadri dei più grandi nostri pittori. Il suo genio elevato lo rese imitatore del genere aulico, componendo è dipingendo quadri antichi dello siile del Giahbellino, del Giorgionc e di Paolo Veronese, e nelle copie di questi riuscendo a nessuno secondo. Dicesi che il grande arlisla deplorando i vuoti che si veggono nel Palazzo Ducale di Venezia c che ricordano lo spoglio de' Francesi , avesse proposto di eseguire due grandi quadri sullo stile di quelli mancanti senza compenso. L'offerta fa onore al grande artista, e non dubitiamo che essa venga accettata, perchè è l'orse 1' unico dei pittori viventi che abbia mostralo comprendere il genio e la virtù dei nostri grandi. Fratello a Placido Fabris è Paolo nato pure in Alpago nel iSll e vivente a Venezia. Famoso nella composizione e buon coloritore Io dimostrano una pala d'altare da lui dipinta pel manicomio di San Servilio in Venezia e i molti ritraili. Una speciale sua inclinazione per lo studio degli antichi maestri lo rese sì perfetto conoscitore del colorito e della maniera di quei grandi da riuscire il più bravo dei moderni ristaurilori Cominciando dalla veneta Accademia quasi tulle le città del Veneto Io chiamavano a restituire all'antico splendore le pale e i dipinti trascurali o corrosi dal tempo. Non v'è maestro antico eh' egli non giudichi eoa linezza e criterio, e sappia imitarne a perfezione i traili e il colore, per cui fu nominalo socio dell'Accademia e professore di risluuro Illustra?, del /.. V. Vol. II. Druso da Camino trevisano, che esercitava l'autorità ecclesiastica e civile sopra le città e il territorio della presente provincia, eccetto il Cadore legato al Friuli, ed il distretto di Fonzaso che, fino da tempi remotissimi, apparteneva alla diocesi padovana. La diocesi di Belluno e Feltre riunita si estendeva nel Tirolo, comprendendo i circoli di Valsugana e Primiero con diciotto pievi , nel Trevisano quelle di Mussolente e la cura di Zopè nel Cadore. Nel 1386 la Valsugana venne ceduta dal Carrarese, allora signore delle nostre città, a Leopoldo duca d'Austria, ma benché staccata nel governo temporale, conservò la dipendenza ecclesiastica dal vescovo di Feltre fino al 1783, in cui Giuseppe lì decretò che la Valsugana (Cioò i distretti di Strigno, Borgo, Levico e Porgine) con Primiero, essendo paese imperiale, non fosse soggetto ad un vescovo di Stalo estero; e sostituiva come delegato il vescovo di Trento: questa separazione venne confermata dal pontefice Pio VI nell'anno 1780. Le parrocchie di Livinalongo e Caprile spettavano al vescovo ed alla curia di Bressanone, finché nel 1810, per ordine del governo bavarese, vennero cedute alla diocesi di Belluno. Cambiato il governo italico, Livinalongo ritornò alla sua prima diocesi, restando Caprile congiunta alla bellunese, a cui sembra appartenesse anche sul finire del 500. Una bolla di Pio VII del 1817 staccò le così dette parrocchie di salto, aggregando alla diocesi di Treviso il vicariato di Mussolente prossimo ad Asolo. Ma nel 1847 il Cadore venne aggiunto alla diocesi di Belluno, togliendolo a quella d'Udine, eccetto il Comune di Sappada che formava parte della Carnia. , Le diocesi che subirono un'altra divisione Rei 1460 per riunirsi finalmente nel 1819, rappresentano ora sotto un solo vescovo di Belluno e Feltro, la stessa disposizione territoriale della provincia, salvo, come si disse, il distretto di Fonzaso, una porzione del territorio feltrese nel Comune di Quero che spettano alla diocesi di Padova, e una porzione del Comune di Mei con la parrocchia di Trichiana, che formano parte della diocesi di Ccneda. Il vescovo si appella alternatamente di Belluno e Feltre, e mantiene, per quanto è possibile, l'antica separazione delle parrocchie spettanti a Belluno e di quelle di Feltre: Belluno conta 65 parrocchie (pievi e curazie), con 8 vicariati, 226 preti, 25 chierici, 44 monache e suore di carità, con 107,613 anime ; Feltre, che anticamente sorpassava Belluno, perchè comprendeva 28 pievi, delle quali 10 nel suo territorio e 18 nel Tirolo, ora numera soltanto 17 parrocchie (pievi e curazie), distribuite in due vicariati con 68 sacerdoti, 10 frati Francescani nel convento de' Santi Vittore e Corona, e 30,486 anime. A maggiore chiarezza si offre la seguente tabella: DIOCESI SOI VICARIATI FORANEI Ci o fa ce C Canonici ! Sacerdoti | '3 "C w u Frati | Monache | Anime RIASSUNTO Diocesi di Belluno 1 2 3 4 5 6 7 8 1 2 3 Parrocchie\ ur.b'inf . ? suburbane Arcidiaconalo di Agordo Vicar. For. di Canale » » di Zoldo » » di Alpago » • di Castione » » di Sedici» Arcidiaconato di Cadore Diocesi di Feltre Città...... Vicariato For. di Cesio « » di Lamone Diocesi di Padova 2 6 8 7 7 5 3 5 22 2 8 7 10 10 44 7 20 48 20 46 9 10 86 32 18 48 25 42 40 44 5,988 5,325 43,705 8.949 41,838 8,943 9,551 7,241 36,073 4,845 11,476 14,165 Parr. 65, sac.230, cher. 25, mona-che44,e!07,613 anime. Parr. 17, sac. 68, cher. 12, frati 10, e 30;486 anime. 1 2 Vicar. For. di Fonzaso » » di Quero Diocesi di Ceneda 7 5 13 II 9,784 5,678 Parr. 42, sac. 24, e 45,462 anime. 4 Vicariato Foraneo di Mei Diocesi di Udine 7 24 44,419 4 Parrocchia di Sappada 1 3 4,315 In tutta la provincia (Anno 1856). 102 20 346 37 40 44 166,075 Dieci sono le prebende canonicali nella cattedrale di Belluno, delle quali otto esistevano da tempo immemorabile, e le altre due si istiluirono neM2."8 e nel 4^61. Altrettante sono nella diocesi di Felice, ed hanno amendue i capitoli una dignità che s'intitola Decani» de'Canonici, il quale godo di un recidilo,oltre la sua prebenda. Epoca Vescovi di Belluno. Incerta. Teodoro. Gredesi vivesse al tempo di Comodo imperatore. » Salvatore. Ne parla il Ferrano nel catalogo dei santi: si ritiene vivesse al tempo di Pertinace imperatore, e che sia quello che si venera come santo nella chiesa di Mares, presso Belluno. » Teodoro; egiziano e vescovo di Barce. Passò in Adria indi a Belluno. » Lotario. m » Vall'ranco. 547. Felice. Dedicò la chiesa cattedrale di Belluno a san Martino vescovo, pel cui mezzo aveva ricuperata la vista, e fu sepolto nella chiesa della Madonna di Yaldenere presso Belluno. 564. Giovanni. Morì in esilio sotto Narsete. 590. Lorenzo. Sottoscrisse la condanna di Severo eretico, patriarca di Aquileja. 006. Albino. Intervenne al concilio romano, sotto papa Bonifacio III. 649. Alteprando. Intervenne al concilio laterancse sotto san Martino papa. Incerta. Bina Ido. » Airoldo. 827. Odelberto. Intervenne al concilio di Mantova con Aurato vescovo di Feltre. VESCOVI 803 851. Pietro. Fu a Roma con Lodovico figlio di Lotario imperatore. 874. Aimone. Intervenne al concilio di Ravenna. Donò le decime dell' Oltrardo ai canonici della, cattedrale di Belluno. 907. Giovanni. Intervenne al concilio di Ravenna presieduto da Giovanni XIII papa, co11'ÌD'?rvento di Ottone I imperatore. Fece circondare la città di mura e fosse. 1000. Erneftredo. Credesi bellunese della famiglia Piloni. 1021. Lodovico. •102(5. Odelberto. Si crede bellunese. Nel 1030, in cui morì, edificò la chiesa del Battisterio nella piazza di Belluno, demolita nel 1555. 1031. Ermanno o Ezemano. Corrado imperatore gli confermò le giurisdizioni e gli acquisti fatti dagli antecessori. 1050. Mario Intervenne con Oldorico, vescovo di Trento, alla traslazione del sangue di Cristo in Mantova. 1070. Lanfranco o Val franco, di Magdeburgo. 1113. Rainaldo. 1118. Ottone. 1130, Alteprando, intruso dell'antipapa Anacleto. Credesi bellunese e fu deposto nel 1143. 1143. Bonifacio. 1156. Ottone. Nel 1184 consacrò la chiesa di Santa Croce di Campcstrino in San Biagio. Morì in Verona. 1197. Gerardo de Taccoli da Beggio. Vescovi di Feltre. 50. San Prosdocimo, primo vescovo. 587. Fontejo dalla Corte, feltrino che intervenne al sinodo di Aquileja. 778. Endrighetto dalla Corte, feltrino. 826. Amato, che intervenne nel sinodo mantovano. 968. Ruperto o Teuperto, che intervenne alla consacrazione della cattedrale di Magdeburgo. 990. Benedetto di Pedevena, feltrino. 1031. Rigizo. Intervenne nel concilio papiense. 1047. Odorico de Falero, feltrino. 804 DIOCESI DI BELLUNO E FELTRE 1096. Arpone degli Àrpi, di Vidore. 1132. Gilberto da Pedevena, feltrino. 1160. Adamo Boninverso, padovano. U interruzione della serie dei vescovi di Feltre è più sensìbile di quella di Belluno fino al 1000; dappoi procede regolarmente. Unione delle due diocesi. 1201. Drudo o Drnsone da Camino. Fu il primo vescovo di Belluno e Feltre che usò il titolo di Conte. 1204. Anselmo di Braganza veronese. Morì nell'anno stesso. 1204. Torresino da Corte, feltrino. 1209. Filippo di Padova abate della Pomposa. 1225. Oddone od Ottone, di Torino. 1235. Eleazaro da Castello, bellunese. Edificò nel 1237 la chiesa di Santa Giuliana nel castello di Belluno. 1241. Alessandro da Piacenza. 1247. Tisone da Camino. Per P inimicizia di Ezelino da Romano non ottenne mai il possesso del suo vescovato. 1257. Adalgerio di Villalta del Friuli. Eresse il castello in contrada della Molta in Belluno e fu sepolto nella chiesa cattedrale. 1290. Giacomo Casale di Valenza minore conventuale. Fu ucciso dai soldati di Alberto della Scala. 1298. Alessandro Novello, trevigiano. Morì a Portogruaro. 1320. Manfredo de' Conti di Collalto, primo vescovo di Ceneda. 1323, Gregorio Sorrenso. Morì in Avignone. 1328. Gorgia de Lusa, feltrino. 1350. Enrico di Valdeich, cavaliere di San Marco de'Teutonici. Un diploma di Carlo IV Io chiama principe. 1355 Giacomo de Bruna, boemo. 1369. Antonio de1 Naserii di Montagnana. Compilò gli statuti del capitolo de' canonici di Belluno. Mori in Feltre. 1393. Alberto di San Giorgio, padovano. Mori in Pavia. VESCOVI 805 4398. Giovanni de Caputgallis, romano. Fu traslatato in Novara il primo agosto U02. 1402. Enrico Scarampi di Asti, consigliere di Sigismondo imperatore. Fu governatore di Milano durante il suo vescovato di Belluno. 1440. Tommaso de Tommasjni, veneto, delT ordine dei Predicatori e teologo. 1447. Giacomo Zeno, veneto, vescovo di Corni. Nel 1400 fu traslatato in Padova l. 4460. Francesco dal Legname, padovano; prima vescovo di Ferrara; morì in Padova. Distacco dalle due diocesi avvenuta sotto Pio II papa. Vescovi di Belluno, 1402. Lodovico Donato, veneto; poscia vescovo di Bergamo. 4465. Mose Buflarello, veneto. Era prima vescovo di Pola. Morì in Vicenza. 1470. Pietro Barroccio, veneto; indi vescovo di Padova. 4488. Bernardo Rossi di Parma de1 conti di Barceto. Fu traslocato in Treviso, e morì in Parma. 1499. Bartolommeo Trevisan, veneto. Fu relegato in Agordo da Massimiliano imperatore nel 1509. Morì in Venezia Tanno stesso. 1509. Galeso Nichesola, veronese. Morì in Verona. 1527. Giovambattista Casalio, di Bologna. 1536. Gaspare Contarini, veneto. Era prima vescovo di Bergamo. Essendo occupato nella dieta di Ratisbona, affidò nel 1541 il governo della Chiesa di Belluno a quel capitolo de' canonici. Morì in Bologna. 1542. Giulio Contarini, veneto, nipote del suo antecessore. Intervenne al concilio di Trento. 1575. Giovambattista Valerio, veneto. Rinunciò Tanno 1596. 1596. Alvise Lollino, veneto. 1 Jacopo Zano scrisse io latino una cronaca, tradotta in italiano da Francesco Quiriti», fcve racconta le^imprese di Carlo Zeno, cioè la guerra di Chioggia; va lino al 1418 e fu pubblicata^fra i Rerum [taikarum scriptores, vol. XIX. C. C. 800 DIOCESI DI BELLUNO E FELTRE 1025. Panfilo Persico, nobile bellunese. Morì a Savona prima di prendere il possesso del suo vescovato. 1026. Giovanni Dolfin, veneto. 1634. Giovanni Tommaso Mallonio, di Vicenza, della congregazione So- masca. Fu prima vescovo di Sebenico. 1653. Giulio Berlendis, veneto. 1694. Giovanni Francesco Bembo, veneto, della congregazione Somasca-1720. Valerio Rota, veneto. 1731. Gaetano Zuanelli, veneto. 1736. Domenico Condulmer, veneto, già vescovo di Lesina. 1747. Giacomo Costa, bassanese, Teatino. 1756. Giovambattista Sandi, veneto, già vescovo di Capo d'Istria. 1785. Sebastiano Alcaini, della congregazione Somasca. Mori in Venezia sua patria. Vescovi di Feltre. 1461. Teodoro de Leliis, di Tarni, dottore, cardinale, prelato assistente e vicario generale di Paolo II, Sommo Pontefice. 1400. Angelo Fasola, veneto. 1489. Andrea Trivigiano, veneto. 1505. Antonio Pizzamano, veneto. 1513. Lorenzo Campeggio, bolognese che fu poi vescovo della sua patria. 1524. Tommaso Campeggio, bolognese. 1500. Filippo Maria Campeggio, bolognese. 1584. Giacomo Rovello, di Salò. 1610. Agostino Gradenigo, veneto, poscia patriarca di Aquileja. 1028. Giovanni Paolo Savio, veneto, già vescovo di Sebenico. 1040. Zerbino Lugo, bassanese. 1049. Simeone Difnico, di Sebenico. 1002. Marco Marchiani, vicentino, 1664. Barlolommeo Giera, di Cadore. 1682. Antonio, conte di Folcenigo e Fana. 1724. Pier Maria de" marchesi Suarez Tarisano, veneto. VESCOVI 807 1747. Gio. Battista Bartoli, veneto. 1757. Andrea de1 conti Minucci, serravallese. 1778. Girolamo Enrico Beltramini, di Asolo. 1779. Andrea Benedetto Ganassoni, bresciano. 1786. Bernardo Maria Carenzoni, bresciano. Nuova riunione delle diocesi. 1819. Luigi dottore Zuppani, bellunese, cavaliere della Corona di ferro, morto nel 1841. 1843. Antonio Gava, di Ceneda. Rinunciò nel 1853. 1854. Vincenzo Scarpa, di Este. Morì a Vienna prima di prendere il possesso. 1856. Giovanni Renier, trevisano. Fine della Storia e Descrizione di Bclluuo e .sua Provincia! Aprile 1339. Illustra-- del L- v- Vol. IL QUADRO STATISTICO DELLE PROVINCIE VENETE Quadro statistico delle Provincie venete. L'I. R. Istituto di scienze, lettere ed arti si occupa della illustrazione topografica, idraulica, fisica, statistica, agraria e medica delle provincie venete. Ultimamente, per opera tlel signor Cavalli, pubblicò parte del suo lavoro sulla popolazione, e noi ne arricchimmo l'opera nostra, come fondamento alla descrizione delle provincie venete già date, e di quelle che si daranno. Fondasi questo quadro sopra le cifre esibite o rettificate da ciascuno degli 813 Comuni, e si riferisce all'anno 1850. LUOGO Provincia VENEZIA VERONA UDINE Distretto Superficie in pertiche cens. Rendita censuaria in lire austriache Venezia Mestre . Dolo. Ghioggia Mirano . S. Dona Portogruaro Verona .... Villafranca . . . Isola della Scala . Sanguinetto . . Legnago . . . Cotogna . . . S. Bonifacio . . Tregnago . . . S. Pietro Incariano Caprino . . . Bardolino . . . Udine . . S. Daniele Spilimbergo Maniago Aviano . . Sacile . . Pordenone S. Vito . . Codroipo . Latisana Palma . . Cividale S. Pietro degli Schiavi Moggio . . Rigolato Ampezzo Tolmezzo . Gemona Tarcento . 120,108.42 160,889.81 378,378.12 322,230.39 101,051.26 433,551.91 591,814.14 2,108,024.05 551,013 45 225,559.53 390,078.20 192,920.01 271,334.87 130,911.58 200,150.91 228,299.30 212,878 25 178,910.05 167,374.67 2,749,431.48 358,259.75 229,849.78 502,768.-602,007.12 212,995.59 185,409.19 347.143.80 237,285.40 221,769.55 212,580.52 320,701.92 442,212.42 163,527.— 462,002.00 284,809.25 400,543.— 467,678.31 282,902.41 156,189.86 6,0~97,475.47 2,376,990,54 20142 521,092,65 777,336,14 528,022.03 613,812,30 704,609,50 634,674,39 6,156,537.55 2,571,355.11 658,690.80 1,293,910.21 533,069.44 874,385.29 661,077.11 783,297.40 256,309.24 567,783 — 352,577.50 366,746.10 2857 5254 0969 3734 3383 3854 40193 14637 24691 8,919,201.20 1,223,181.74 399,258.98 300,827.— 192,105.10 177,845.04 294,898.81 563,097.09 413,533.42 359,678.81 297,03966 514,493.92 666,922.04 108,516.34 72,986.33 76,811.17 83,485.— 179,159.34 211,013.27 211,311.32 6,346,164.38 4105 0237 3319 7008 3997 5376 3059 4435 2511 3251 579951 / 10172 3546 4793 2820 2174 2497 4750 3723 2709 2480 3549 5883 2144 2203 1404 1595 3022 3393 3246 66829 NUMERO DEI MASCHI nubili ammo-Kliati vedovi TOTALE dei maschi NUMERO DELLE FEMMINE nubili maritate vedove TOTALE delle femmine TOTALE della popola/.. RELIGIONE cattolici acat- israe- tolici liti 34732 21962 3584 60278 34449 21962 7869 64280 124558*119752 2828 1978 5089 3549 381 9019 5450 3549 652 9651 19270 19269 1 — 6222 4548 1456 12226 7213 4548 1864 13625 25851 25850 1 — 12800 11188 1440 25428 10464 11188 1482 23134 48562 48561 1 — 5234 4902 371 10567 5917 4962 389 11268 21835 21834 — 1 5897 5483 1050 12430 5835 5483 1032 12350 24780 24775 — 5 8518 0018 931 15467 7900 6018 1290 15268 30735 30735 — • — T9092 57710 9213 146015 77288 57710 14578 149570 295591 290770 2831 1984 27810 10842 5299 49957 25725 16842 4987 47554 97511 90259 1252 5395 3915 10071 10377 3088 3915 919 8522 18899 18899 — 6230 5904 1999 14139 6634 5904 1956 14494 28633 28033 — — 4402 3)83 913 8498 4809 3183 1004 8990 17494 17494 — — 7500 5808 19-25 15233 7869 5808 1837 15514 30747 30747 — — 4055 3517 1169 9341 4438 3517 1536 9491 18832 18832 — _ 6002 5490 1053 13745 5841 5490 1590 12921 26666 26606 — _ 4060 3372 509 7941 4490 3372 583 8445 16386 10386 — __ 6947 3085 849 11481 6170 3685 870 10725 22200 22206 — _ 3918 1385 460 5703 3989 1385 443 5817 11580 11580 _ — 2777 2791 820 0388 3461 2791 1059 7311 13699 13099 — 80308 55892 10003 452863 77114 55892 16784 149790 302053 301401 — 1252 14187 11857 1952 27990 13712 11857 2226 27795 55791 55079 112 6715 4808 1059 12042 0310 4868 1437 12021 25263 25245 — 18 9389 5302 847 15538 9737 5302 859 15898 31436 31436 _ — 6182 3716 788 10086 6044 3716 888 10648 21334 21334 — _ 2090 3509 729 6328 2038 3509 820 6367 12695 12695 — _ 5490 3288 557 9335 5258 3288 906 9452 18787 18787 — — 9536 7053 1420 18023 9260 7007 1704 10837 36060 36050 8 2 7261 4190 1250 12701 7041 4190 1226 12457 25158 25158 — — 4104 3761 1248 9113 4512 3761 1312 9585 18098 18698 — — 3250 3014 1300 7630 3279 3014 1133 7426 15056 15055 — 1 6530 4341 1008! 11879 5921 4341 1204 11460 23345 23323 — 22 10850 0700 989 18551 9791 6706 1310 17807 36358 36358 — — 4799 2400 337 7536 4300 2400 317 7077 14613 14613 — — 3293 2822 475 6590 3048 2822 440 0910 13500 13500 — — 2941 1300 356 4597 3099 1300 310 4709 9306 9306 — 2742 1924 353 5019 3430 1924 553 5907 10926 10926 _ _ 6741 3875 552 11168 7030 3875 812 11717 22885 22884 1 _ 7118 4494 002 12214 7202 4494 450 12140 24360 24360 _ 6641 30001 421 10122 6162 3060 749 9971 20093 20093 j — — 119871 81494J103Ó3 217068 117846 81494 18656 217996|435664 435500 ! 9 "155 814 PROVINCIE VENETE LUOGO Superficie in pertiche cens. Rendita censuaria in lire austriache Provincia Distretto PÀDOVA VICENZA TREVISO ROVIGO Padova . . . Camposampiero Cittadella . Montagnana Este • . . Monselice . Conselve . Piove . . Vicenza . Bassano . Marostica Asiago . Thiene . Schio Valdagno Arzignano Lonigo . Barbarano Treviso . . Oderzo . . Conegliano . Ceneda . . Valdobbiadene Montebelluna Asolo . . Castelfranco Rovigo . . Adria . . Lendinara , Badia . , Massa . . Occhiobello Polesella Ariano . Num.° delle case 535,004.69 241,838.70 180,048.36 178,022.94 283,835.88 220,900.88 175,924.90 238,414.51 2,053,990.92 564,196,99 242,625.29 176,048,14 442,920.64 182,379.11 372,385.15 176,341.22 144,191.76 190,627.31 154,892.78 2,652,608.39 580,460.42 330,351.80 306,846.98 278,499.43 167,090.73 245,561.28 218,080.83 200,505.12 2,327,396.59 224,881,58 384,954.54 134,649.97 126,225.12 128,421.11 169,509.76 109,217.64 208,395.28 6,001,699.29 757,721.12 795.038.55 734,224.05 1,155.300.9;) 781,988.52 789,442.49 798,028.25 11,814,710.77 2,932,219.7» 834,180.40 827,358.01 273.450.78 594,504.67 655,008.72 500,035.57 406.373.29 1,210,409,59 528,292.09 10757 5372 4438 5807 8027 5403 4799 5295 55958 Num. delle famig'ie 23562 6330 5194 0322 8996 5995 4931 0293 67623 13432 17719 7747 8629 8,833,832.91 1,993,121.54 1,078,609.51 810,705.00 530,320.70 278,358.77 586.231.74 493,002.61 620,947.32 6,391,363.79 1,067,124.57 737,385 02 658,613. 0 589.871.97 520,849.01 730.037.31 405,162.44 245.838.70 4666( 4220 3980 7589 4517 3659 5703 2908 58487 2290 5700 5291 5662 3773 4529 5059 4001 6441 4304 4580 8434 4622 4197 0001 3219 68146 30371 1,486,255.- 5,014.882.12 6898 6197 3482 3398 3108 3152 890 2130 2925B|37160 7822 0694 3840 3746 5482 4149 3170 9257 NflMEHO de' maschi Nobili Animo-s-tiati Vedovi 19376 6356 6126 5338 8662 5855 4536 6010 3147 1100 1359 1108 3063 823 754 656 00859 12010 ^077 14916 6545 5592 3031 4076 4332 '^29 8140 Sì*8 4533 ^40' 6113 ?J96 6507 8961362141 |0707 9844 SSlQ 6702 7699 vjyùo 79659 9430 4967 J029 6113 %3 15894 8062 7031 8006 4027 6070 5028 5856 59974 7111 7372 4466 4191 3305 3949 3790 2791 36975 2408 1218 309 874 861 1219 529 1530 681 _ 477 10166 2419 1177 818 1319 635 744 787 628 TOTALE numero delle femmine Nubili Maritate Vedove 51548 16407 13161 13958 21098 13310 11483 13231 154195 40401 20978 14140 11495 10785 19888 11710 11383 13984 7150 161920 38905 19946 19395 19109 10181 13576 13514 13474 8527 994 1018 761 670 345 581 017 327 5313 148160 17535 10784 10194 9175 8679 10643 8028 9203 26208 8273 6143 7371 11317 6656 7059 8279 19375 6356 6120 5338 8002 5855 4536 4610 81300,00859 23309 11031 10944 0433 5409 10400 6577 3381 6892 4240 89276 19780 9854 105121 8833 4929 6551 7342 6308 14910 7921 3031 4070 4332 8140 4533 6113 0507 2572 62141 15894 8062 7031 8006 4027 6070 5028 5856 03Sl 1232 1330 1723 1445 1193 1350 627 15293 3738 1423 381 880 1001 1440 825 1370 1007 499 74109,59974 9838 7111 8043 7372 50221 4406 4195 5284 0201 3431 2970 4191 3305 3949 3790 2791 87241 45590,30975 12630 3554 1400 1034 1502 752 919 1234 640 11101 1071 1053 820 807 444 . 890 763 393 TOTALE TOTALE della Popola/.. religione Cattolici IAccat-1 fsrae lotici liti 51965 15867 13605 14432 21424 13704 12951 13516 157464 40967 20975 14356 11389 10802 20040 11935 10804 14406 7311 163051 39228 19376 18577 18341 9708 13540 13004 12810 103513 32274 20700 28390 42522 27014 24434 20747 311000 81308 41953 28502 22884 21587 39934 15 102889 32271 20706 28387 42522 27014 24433 26747 236 22247 28390 14461 6241 145184 18020 17008 10338 9193 9033 11040 7984 6160 88830 324971 78133 39322 37972 37510 19889 27116 27118 26284 293344 35555 33852 20532 18308 17712 21683 100 i 2 12303 U76077 311029 81324 41953 28501 22884 21587 39934 23045 22247 28390 14461 324926 78081 39315 37943 37437 19889 271 IO 27118 26282 293181 35234 33837 20520 18360 17706 21683 10009 12363 175712 1 Illustra?, del L. V, Vol. II. LUOGO Provincia BELLUNO Distretto Belluno . . . Longarone . . Pieve di Cadore Auronzo . . Agordo . . . Feltro . . . Fonzazo . . Superficie in pertiche cens. 648,322,09 269,838,02 470,874,79 672,687,79 487,826,05 429,278,56 189,442,18 3,168,269,48 Rendita censuaria in lire austriache Num.° delle case Num. delle famiglie 508,634,65 83,093,04 129,475,87 172,382,67 116,431,14 347.503,84 118,441,10 1,475,962,31 5772 1915 2289 1794 3599 5862 3795 25026 6644 1936 3139 2987 4192 6449 3770 29117 H 1 % * PROVINCIA Superficie in pertiche censuarie Rendita censuaria in lire austriache Numero delle case Numero delle famiglie numero de' maschi Nubili j A™£- Vedovi VENEZIA VERONA UDINE PADOVA VICENZA TREVISO ROVIGO BELLUNO Totale 2,168,024.05 2,749,431.48 6,097,475.47 2,053,990.92 2,652,608.39 2,327,396.59 1,486,255.— 3,168,269.48 22,703,451.38 6,156,537.55 8,919,201.20 6,348,164.38 11,814,710.77 8,833,832.91 6,391,363.79 5,014,882.12 1,475,962.31 46193 57995 66829 55958 58487 36371 29255 25026 54,954,655,03 376114 62018 71298 75572 67623 68146 38624 37160 29117 449558 79092 80308 119871 81327 89613 79659 43953 46646 620469 57710 55892 81494 60859 62141 59974 36975 28475 443520 6213 16663 16303 5313 4400 ____,^ 82601 numer( ) dei maschi TOTALE dei numero delle femmine TOTALE delle TOTALE della religione nubili ammogliati vedovi maschi nubili maritale vedove femmine popolaz. cattolici acat- i sme- 11251 3317 6111 5670 6096 8902 4099 7475 1922 3051 2444 3575 0491 3517 901 180 520 507 460 1127 711 19627 5419 9082 8621 10731 16520 8927 11250 3107 6268 5793 7245 8308 4961 7475 1922 3051 2444 3575 6491 3517 1535 412 671 717 733 1301 674 20200 5501 9990 8954 11553 16100 9152 39887 10920 19672 17575 22284 32620 18079 39887 10920 19672 17575 22284 32620 18079 tolici lili _ E 1 4400 79527 46992 28475 1 6043 "81510 161037 161037 1 & li v o TOTALE dei maschi NUMERO DELLE FEMMINE TOTALE delle femmine TOTALE della popolazione RELIGIONE nubili maritale vedove , cattolici Acattolici israeliti 146015 77288 57710 14578 149576 295591 29077C i 2831 1984 152863 77114 55892 16784 149790 302653 301401 1252 217668 117846 81494 18656 217996 435064 43550C 9 155 *5419G 81306 60859 15293 157464 311660 311029 5 626 161920 89276 62141 12630 163051 324971 324926 1 44 148160 74109 59974 11101 145184 293344 293181 2 161 87241 45590 36975 6241 88836 176077 175712 1 364 79527 46992 28475 6043 81510 161037 161037 ■—. ._ *147590 609521 1 443520 101326 j 1153407 2300997 2293562 2849 Jj 1586 LUOGO Sotlo ai 5 anni 'Provincia Distretto Dai ai 10 Dai 10 ai 20 Dai 20 a 30 Dai 30 ai 40 tsa O 3 Venezia . , . 0733 6000 i 5500 5855 10442 11400 1 9629 7004 9683 Mestre . . . 1082 1010 883 905 1035 1073 1384 1400 1378 Dolo .... 2102 2200 1579 1764 2015 2132 2170 2415 1135 Ghioggia . . . 2017 2665 3148 2971 4120 3854 4685 4088 3665 Mirano . . . 1458 1570 1233 1392 1813 1755 1426 1625 1411 S. Dona . . . 1405 1544 1492 1559 1538 1541 1520 1512 1098 Porlogruaro . . 1778 1817 10SS 1682 2602 2173 2235 2208 2079 ■__ 18405 17448 15592 16128 24171 I 24888 23055 20252 21049 ! Verona . . . 7881 7221 0009 4830 9744 8840 0871 0999 6300 Villafranca . . 1318 1334 1832 | 1113 1540 1251 1623 1201 1388 Isola della Scala 1033 1778 2172 2289 2538 2684 2000 2347 2 165 Saoguinetto . . 1115 1215 1259 1390 987 1102 1324 1333 1580 Lcgnago . . . 2070 2146 1814 1805 2014 1998 1943 2014 2055, Cologna . . . 1678 1773 1379 1507 1149 1201 975 1072 109 4 S. Bonifacio . . 1947 1927 1693 1539 2434 2208 1950 1923 1866 Tregnago . . 1322 1441 1197 1245 1375 1480 1144 1232 924 S. Pietro Incariano 1527 1498 1382 1322 1786 1070 1732 1630 1826 Caprino . . . 1084 085 842 878 804 849 1210 1114 651 Bardolino . . 447 436 604 712 1015 1415 1277 1651 1063 22328 Il 754 20243 18090 25386 -24698 22049 22576 20824 Udine .... 4232 4123 2796 2803 5250 5065 4165 4405 3051 S. Daniele . . 1585 1483 1605 1500 1920 2136 1904 1888 1707 Spilimbergo . . 1318 1341 1400 1422 1480 1511 1897 1933 2583 Maniago . . . 1603 1000 1424 1454 1821 1857 1033 1652 1248 Aviano . . . 868 882 902 956 810 811 715 806 080 Sacile .... 1377 1508 1251 1412 1971 1880 1464 1497 1001 Pordenone . . 2460 2534 2010 1964 2572 2470 2163 2354 2714 S. Vito . . . 1419 1457 1312 1288 2415 2404 2086 2044 1745 Codroipo . . . 1033 1148 963 1065 1109 1289 1219 1320 1305 Latisana . . . 1097 1024 903 878 1336 1319 1210 1170 1055 Palma . . . 1587 1634 1345 1336 1904 2051 1900 1813 1592 Cividale . . . 2417 2350 2527 2258 3120 2996 2831 2915 2695! S.Piet.de'Schiavi 1129 1094 1060 1006 1464 1394 1040 988 597 Moggio . . . 936 909 829 934 920 955 916 951 823 Rigolato . . . 541 547 486 530 868 893 659: 821 633 Ampezzo . . . 020 725 595 742 710 812 615! 829 005 Tolmezzo. . . 1401 1558 1470 1526 1700 1825 1709 1759 1400 Gemona . . . 1541 1703 1654 1606 1857 1997 1971 1950 164 4 Tarcento . . . 1341 1261 1144 1102 1858 1854 1369 1631 1506 28511 28897 25682 25842 35139 35519 1 31472^32738 29310 12243 2308 1250 3140 1505 1822 2185 2446:2 Dai Dai Dai Dai 1 agli Dai TOTALE 40 ai 50 50 ai 60 60 ai 70 70 agli 80 80 ai 90 90 ailOO 1OTALE della c g ._ % o CD popola- la u '5 a M « 'a 3 o ■g E dei delle co S CD B a ca a co S co £3 a maschi femmine zione s .O) a S a u s B a ! i 1 7148 8174 6185 6136 3433 4371 945 ■1005 479 700 32 56 60278 64280 124559 1080 1081) 820 1801 334 354 90 101 27 19 — _. 9019 9(551 19270 1017 1125 1034 1055 690 1144 357 459 67 72 _ _ 12226 13625 25851 2711 2303 1972 1896 1392 1519 600 50 ) 101 127 51 41 25428 23134 485(52 1175 1273 9!):; 1099 644 653 299 304 101 81 12 5 10507 •11208 21835 1810 1777 1508 1456 1002 848 278 335 36 27 —. _ 12430 12350 24780 1939 1924 1488 i 1272 1031 1047 564 595 63 05 — — 15467 15208 30735 16886 17656 14002 13715 8526 9930 3139 3969 934 1091 05 10-2 146015 149570 295591 5491 5490 4180 4287 2067 2038 1040 002 291 297 11 3 49957 47554 97511 1138 1023 863 787 400 453 179 109 27 27 3 3 10377 8522 18899 1744 1741 934 900 549 501 101 137 38 24 5 3 1413!) 14494 28(53 3 1002 1008 057 742 351 394 181 136 34 25 2 4 8498 8900 17494 1986 2007 1553 1579 1029 1088 479 408 274 305 10 4 15233 15514 30747 1132 1142 897 876 619 545 357 335 61 46 __ 1 0341 9491 18832 1450 1345 1118 1055 708 679 429 393 134 91 16 16 13745 12921 20(50(5 795 849 647 629 340 380 149 153 45 39 3 1 7941 8 4 45 10386 1382 1294 991 959 5 49 506 247 200 55 46 1 — 11481 10725 22206 451 484 301 372 178 185 121 1751 58 108 3 1 5763 5817 11580 1027 80S 687 680 207 217 48 37 12 10 1 — 0388 7311 13099 17598 17308 12898 12942 7003 0986 3390 3110 1029 1018 55 36 152803 Ì4979Ò 302053 3043 3052 2407 2373 1582 1526 731 648 122 101 17 20 27990 27795 55791 1520 1600 1125 1073 653 577 412 308 193 158 14 11 12042 12021 25203 2599 2078 1829 191)0 1315 1309 714 720 305 371 26 25 15538 15898 31430 1091 1094 864 845 624 580 304 221 72 09 2 3 10080 10048 21334 707 608 629 513 558 528 501 343 89 103 3 2 6328 03(57 12(595 1033 925 093 579 289 372 163 150 53 17 _ _ 9335 9452 18787 2841 2849 1709 1854 996 903 443 357 104 111 10 4 18023 18037 360150 1422 1372 1081 1070 730 079 400 379 84 68 1 _ 12701 12457 25158 1234 1320 975 1041 848 775 280 109 81 39 _ _ 9113 9585 18698 777 700 050 679 500 480 00 69 34 30 2 1 7030 7426 15050 1514 1248 1071 893 550 579 327 306 71 66 0 5 11879 11466 23345 1962 1970 1621 1564 888 820 392 320 82 59 10 3| 18551 17807 30358 554 4951 651 Gli 521 493 331 307 185 180 24 13 7530 7077 14013 793 824 OSI 740 537 577 102 142 11 1 — - 0590 6910 15500 612 522 430 308 247 203 95 88 25 13 1 1 4597 4709 9306 643 700 558 640 550 389 188 209 75 90 14 18 5019 5907 1092(5 1155 1270 909 1001 756 799 413 370 162 162 33 29 11108 11717 22885 1837 1297 900 837 692 738 3441 310 100 65 12 3 12211 12140 24360 1170 1088 853 806 508 514 297 222 74 53 2 10122 9971 20093; 20043 2577Ì 19742 19420|13257 12901 042.) 5704 I960 1762 177 144 217608 277996 4356041 Provincia O a «4 o o C/D > ce £ O LUOGO Distretto SoLlO ai 5 anni Treviso ♦ . Oderzo . . Conegliano . Ceneda Valdobiaddcne Montebelluna Asolo . . . Castelfranco . Rovigo Adria . Lendinara Badia . Massa . Occhiobe\lo Polesella Ariano . Padova . . . 5322 I 4090 Camposampiero . 1661 1585 Cittadella . . . 1015 1879 Muntagnana . . 1485 1591 Este .... 2024 3074 Mouse lice . . •1429 1582 Conselve . . . 1315 1376 Piove .... 810 746 10561 16523 Vicenza , . . 5211 5394 Bassano . . . 2799 2807 Marostica . . . 1930 1978 Asiago .... 1555 1559 Thienc.... 1509 1424 Schio .... 2759 2822 Va Magno . . . 1425 1459 Arzignano . . 1310 1247 Lonigo.... 1525 1549 Barbarano . . 715 | 705 5 Dai ai 10 Dai 10 ai 20 20 Dai ai 30 nasciti mmine nascili £ CJ 1X1 C3 a s o Dai 30 ai 40 4017 1830 1641 1952 2958 1037 1420 1364 .17425 5189 2687 1907 •1246 1520 2502 1408 1166 1578 785 20738 20944 20048 20064 4285 2127 2529 2083 1309 1284 10 45 2220 4250 1982 2340 2409 1234 1293 1000 2246 17791 2327 2055 1359 1118 792 1308 991 850 10800 17421) 2408 2129 1305 1173 837 1393 947 840 11092 4841 1090 1822 1730 2940 1623 1644 1273 17503 5083 2652 1903 1275 1351 2722 1506 1102 1(575 799 5611 2341 2217 2297 1397 1408 1532 2174 18977 2394 1862 1300 1077 785 160!) 1035 834 10950 4540 2351 223(5 2262 1343 1254 1003 200(5 17691 2220 1971 1388 113(5 909 1774 960 775 7505; 7052 2007, 2658 1874 1948 2594; 2760 8961 2900 2300 2401 2080 2124 11133 24001 5020 3240 10(54 1887 1984 2s80 2176 1860 2725 1011 25668 (5337 3435 3280 3115 2039 1951 2489 2019 24071 2487 2481 1710 1479 1715 5000 1415 819 14100 2110 2211 24160 22030 6023 3231 2072 2038 2077 2913 2104 1795 2039 1164 20116 6537 3401 3187 2802; 1958 1947 23071 1999 6957 2337 1786 2138 2962 1828 1599 3029 0891 2981 2175 1738 1485 2482 1884 1470 2321 917 7093 2587 1883 2132 2805 1782 1906 3503] 8087 2469 1776 1910 3022 1888 1043 3004 23709 23859 5841 5078 2175 1747 1705 2019 2010 1459 2015 997 34344 24302 5188 2561 3032 2728 1387 1971 1850 1784 24198 20487 2084 2704 1785 1384 1014 2103 1407 784 14405 5601 2412 2884 2803 1422 1970 2000 1(560 0008 2702 2048 1977 1381 2008 1099 1006 2020 1008 23747 5788 27:10 2677 2(540 1338 2071 1843 1718 808| 2520 2O00 IICIO 288§ ■1897 2013 304j 24415 1 Dai 40 ai 50 Dai 5 0 ai 60 Dai 60 ai 70 Dai 70 agli 80 Dagli 80 ai 90 Dai 60 ai 100 Tot s j,k totale della 3 s ? , s te femmine es re 1 5 S n Cj s re s •5 popolazione 7846 7348 5109 5723 3621 3930 1784 2114 624 879 126 240 51548 51965 103513 2108 2019 1785 1623 1007 802 398 334 74 52 5 7 10407 15867 32274 1940 1794 1485 1293 759 695 228 175 52 23 5 3 13101 13605 2070(5 1689 1736 1223 1311 788 871 133 303 44 41 2 1 13958 14432 28390 2815 2926 1803 2080 1083 1130 450 477 100 80 14 6 21098 21424 42522 1554 1002 1283 1248 807 891 431 427 87 129 — 2 13310 13704 27014 1471 1578 898 1022 652 680 305 505 93 104 7 7 11483 12951 24434 1(530 1604 672 646 369 326 116 113 47 38 10 10 13231 13516 26747 21119 20687 14308 14952 9086 9385 3851 4448 1121 1346 169 276 154196 157404 3116(50 4973 5310 2881 4035 1747 1778 780 710 182 136 10 12 40401 40967 81368 2353 2331 20 )0 1970 1340 1366 624 579 133 122 11 7 20978 20975 41953 1742 1741 1251 1320 618 650 326 338 203 93 5 1 14140 14356 28502 1271 1292 1083 1014 518 487 108 133 50 28 2 1 11495 11389 22884 1120 1056 946 937 525 462 239 203 74 77 2 — 10785 10802 21587 2341 2410 2029 1973 1357 1208 641 573 199 141 24 20 19888 20046 39934 1147 1275 1044 902 614 557 277 ■ 222 35 26 1 — 11710 11935 23645 1326 1437 1197 1281 933 830 381 200 106 25 28 7 11388 10864 22247 1585 1062 1140 1076 643 606 340 348 104 100 3 2 13984 14400 28390 1004 1024 760 7(51 552 521 3)7 282 77 71 14 2 7150 7311 14461 18802 19538 14337 15329 8916 8465 4083 3588 1077 819 _, 100 52 161929 163051 324971 4955 4901 3215 3842 2311 2544 981 965 224 225 10 17 38905 39228 78133 2421 2130 2157 1882 1311 .1119 676 743 166 121 12 5 19956 19376 39322 2037 1007 1862 1839 1066 986 903 506 70 61 15 12 18395 1s577 37972 2624 2358 1999 1869 986 908 337 228 50 57 4 7 19169 18341 37510 1079 947 859 784 559 484 182 118 27 27 5 2 10181 9708 19889 2042 2133 1505 1302 852 895 387 390 99 80 6 4 1357(5 13540 27116 1037 1527 1252 1168 842 876 353 430 82 103 3 5 13514 13004 27118 1401 1274 1091 946 715 679 286 257 57 38 — — 13474 12810 26284 18190 17597,13940 13832 8643 8551 3805 3637 775 Ti 4 55 52 148160 145184 293344 $959 2158 1994 2011 1104 991 357 458 49 55 3 2 17535 18020 35555 2109 2006 1628 1627 772 789 551 550 84 74 13 13 16784 170158 33852 1127 1095 975 962 550 591 304 321 80 69 1 _ 10194 ■18338 20532 1250 1270 848 889 579 547 252 250 41 20 3 _ 9175 9193 18368 1148 1223 794 859 344 339 90 106 23 16 2 2 8679 9033 17712 1173 1201 818 794 305 304 62 60 8 11 1 — 10643 11040 21683 1044 957 693 720 420 430 206 185 31 24 _ — 8028 7984 16012 721 754 437 448 275 291 94 no 41 33 5 6 6203 01(50 12363 10631 10664 8187 8510 4349 4282 1916 204« 3j7 302 "28 23 S 7241 "88830 176077 T ITO no Sollo Dai Dai Da di Dai ai 5 anni 5 ai 10 10 auli 20 90 ai 30 •'30 .ni zn •~ cd S cu •- cu •= cu C la C Provincia Distretlo co a £ E cj VI cb ce £ £ cj l/ì co E E cj co £ £ s E S C .2 C £ cu E e «2 r Belluno . . . 2341 2542 2297 2475 4030 3994 3150 3419 2784 2743 O 1 Longarone . . 711 074 735 747 1121 1060 852 888 682 732 1 Pieve di Cadore 1244 1319 1233 1324 1029 1991 1355 1433 1328 1330 b_t < Auronzo . . . 1041 1151 1105 1190 1401 1484 1371 1387 1136 1191 W j Agordo . . . J 210 1328 1390 1443 2139 2201 1515 1739 1409 1707 PQ f Feltre . . . . 1817 1938 1975 2050 270G 2452 2414 2290 2223 2109' 1. Fonzazo . . . 1303 1372 1192 1213 1280 1335 1207 1281 1188 1235 9727 10324 9933 10448 14300 14277 11864|12437 10840^11107 Nessuno oltre i 100. KIAH Sotto al 5 anni Dai Ì 5 ai 10 Dai 10 ai 20 Dai 20 ai 30 Dai 30 ai 40 Dai 40 ai 50 Provincia maschi femmine maschi femmine maschi cu e 'fi £ CJ CJ m Cd £ cu C a S cu maschi jfemmine maschi femmine VENEZIA 18463 17448 15592 10138 24171 24888 23055 20252 21049 24402 16880 17656 VERONA 22328 21754 20243 18690 2538G 24698 22049 22570 20823 20672 17598 17308 UDINE 28511 28897 29682 25849 33139 35519 31472 32738 29310 29167 26043 23771 l»AD0VA 16561 16523 17425 17561 24001 24160 22(530 23709 23839 24415 21119 20087 VICENZA 20738 20944 < >0048 20064 25668 26116 24344 24302 23747 23834 18802 19538 TBEV1S0 17791 17420 8977 17691 24671 24198 20487 20824 20820 20602 18190 17597 ROVIGO 10800 11092 1 0950 11133 14100 14465 13401 13736 12510 12783 10631 10004 BELLUNO 9727 10324 9933 10448 14366 14277 11804 12437 10840 11107 8799 9110 totale L44951 144408 138850 13781$ 187568 188321 100308 17(1574 102959 107102 138134 138337 Dai Dai Dai Dai Dagli Dai Tat à f 17 TOTALE 40 ai 50 50 ai 60 60 ai 70 70 agli 80 80 ai 90 90ail00 10iALE. della g cu cu cu S a cu '£ cu C dei delle popola- e cj co e cj « fi fi CO £ £ co E o l/ì co E 2 maschi femmine zione e = S e cu ~ E E ~ 2019 1985 1485 Ì489 «24 920 503 471 180 203 14 19 19627 20260 39887 535 57 4 408 414 273 293 86 107 12 11 4 1 5419 5501 10920 1094 1120 872 892 645 505 623 219 206 60 51 3 1 9682 9990 19672 891 1029 785 803 464 251 203 65 43 10 3 8621 8954 17575, 1374 1419 916 988 481 481 160 154 40 32 1 1 10731 11553 22284 1885 1857 1672 1052 1681 1004 594 526 145 156 8 6 16520 10100 52(520 1001 1132 913 849 500 1 548 205 173 17 14 1 — 8927 0152 18079 8799 9116 7051 7087 4309 4333 2018 1840 "519 _, 510 41 ~31 "79527 "81510 161037 SUNTO Dai 50 ai 60 Dai 60 ai 70 Dai 1 70 agli 80 Dagli 80 ai 90 Dai 90 ai 100 Totale TOTALK della maschi femmine maschi femmine maschi femmine 1 maschi ì femmine ' maschi femmine dei maschi dèlie femmine popolazione 14002 13715 8520 9936 3139 3969 934 1091 95 102 146015 149576 295591 12898 12942 7063 0980 3390 3110 1029 1018 55 36 152863 149790 302655 19743 19429 13257 12901 6429 5704 1968 1762 177 144 217608 217996 435604 14308 14952 9086 9385 3851 4448 1121 1346 169 276 154196 157464 311(500 14337 15329 8916 8465 4083 3588 1077 819 100 52 161920 103051 324971 13940 13832 8043 8551 3805 3637 775 714 55 52 148110 143184 293344 8187 8310 4349 4282 1916 2046 357 302 1 28 23 87241 88836 170077 7051 7087 4369 4333 2018 1840 519 510 41 31 79527 81510 161037 104405 105896 r 64209 64899 28631 28342 7780 7502 720 716 1,147590 1,153407 2,300997 lliuslraz. del L. V. Vol. II. 1015 Volendo da uesti prospetti trarre dali e paragoni, risulta che nel Veneto e7è un abitante ogni 9. 87 pertiche censuarie; ma la provincia di Padova è la più, e quella di Belluno la meno popolata relativamente, avendosi un abitante a Padova ogni 0. 59 pert. cens. Venezia 7. 33 Treviso 7. 90 Vicenza 8. 10 Rovigo 8. 15 Verona 9. 08 Udine 13. 99 Belluno 19. 07 Paragonando la popolazione alla rendita censuaria, lire 23, 88 di questa cadono per ogni abitante; ma con misura differente tra le Provincie ; perocché ad ogni abitante si ha nella provincia di Belluno L. 9. 10 di rendita cens. Udine » 14. 57 Venezia i 20. 82 Treviso » 21. 80 Vicenza » 27. 18 Rovigo » 28. 54 Verona . 29. 59 Padova » 37. 97 Le femmine son 5817 più de' maschi, ma non sono contati i militari in servizio. Sopra i 70 e sotto i 10 anni il numero delle femmine è minore. Su mille abitanti, 179 passano i 50 anni, 32 passano i 70, ma ancora con proporzione differente, cioè nella provincia di Venezia passan i 50 N. 188: passan i 70 N. 31 Verona » IGO » 28 Udine » 187 » 37 Padova » 189 * 30 Vicenza » 175 » 29 Treviso » 184 » 31 Rovigo » 169 » 20 Belluno » 172 » 31 Stando al prospetto statistico pubblicato dal Quadri nel 1825, che attribuiva alle provincie venete 1,894,437 abitanti, questi ne' 32 anni sarebbero cresciuti di 416,560; le case da 362,854 a 376,114, e le famiglie da 397,098 a 449,558. FINE DEL SECONDO VOLUME DELL' ILLUSTRAZIONE DEL LOMBARDO-VENETO. INDICE DEL SECONDO VOLUME Stori» di Venezia del Cav. Cesare Canto' I. Età di formazione..............pay. 9 II. Crociate. — Formazione del governo. — Aristocrazia ... 18 III. Le conquiste. — Guerre coi Turchi........» 3( IV. Costumi. — Arti, Feste, Commercio........» 5~ V. I Turchi. — Lega dr Cambray. — Guerra di Cipro . . . » 104 VI. Arti e Lettere nel cinquecento . . ........» 1111 VII. Il seicento. — Controversie religiose. — Congiura del Deci- mar. — Guerra di Candia...........» 137 Vili. Decadenza.................. 109 IX. Fine dalla repubblica Veneta...........» 200 X. Età odierna.................» 22: 826 INDICE Diocesi c provincia di Venezia XI. Chiesa di Venezia.............pay. 247 XII. Ragguagli statistici...............277 XIII. La laguna. — I porli. — Le Isole........» 295 XIV. I distretti della provincia di Venezia 338 XV. Distretto 1 di Venezia. — II di Mestre.......»342 XVI. Distretto III di Dolo............. » 355 XVII. Distretto IV di Chioggia. — V di Mirano...... » 363 XVIII. Distretto VI di San Dona..........• . 377 XIX. Distretto VII di Portogruaro.......... » 387 Conclusione...................»412 Escursione pel litorale dell'Istria I. L'Adriatico................» 422 II. L'Istria.................* 427 III. Il Lido Gradense..............» 465 IV. Aquileja..................409 V. Gorizia . . . •.............. «480 VI. Duino.................. » 487 VII. I Contorni. — L'Alpe Giulia e la strada ferrala .... » 529 Vili. Moggia................. » 537 IX. Pirano.................■ » 543 X. Parenzo .................. » 546 XI. Pola................... » 553 XII. Fine dell'Istria. — La Dalmazia......... » 561 Belluuo e sua provincia, pel dottor GIUSEPPE ÀLVISI I. Popoli primitivi fino al 180 a. G. C. — Storici e cronisti della provincia...............» 579 II. Dal dominio romano fin alla dominazione franca ...» 600 III. Medio Evo fino alla pace di Costanza.......» 003 IV. Dalla pace di Costanza tino al dominio dì Can della Scala » 618 V. Fino alla dedizione Veneta...........» 630 VI. Periodo Veneto...............» 039 Statistica della Provincia I. Distretti I di Longarone. — II di Pieve di Cadore. — III di Auronzo..............» 707 INDICE 827 II. Distretto IV di Agordo...........pag. 717 III. Distretto V di Belluno............ » 732 IV. Distretto VI di Feltre e VII di Fonzaso...... » 723 Condizione della Provincia Bellunese. — I Selvicoltura .... » 730 II. Agricoltura................ » 732 III. Industria................. .735 IV. Pubblica Istruzione.............. » 738 V. Slato Sanitario............... » 742 VI. Riassunto delle osservazioni meteorologiche durante l'anno solare 1856............... » 746 VII. Altezze principali.............. » 752 Vili. Corsa per la provincia Bellunese......... » 753 IX. Diocesi di Belluno e Feltre........... » 799 Quadro statistico delle Provincie venete......809 ERRATA CORRIGE VOLUME I. Pagàia linea 87 penultima con versi conversi 17S 4 sarebbe farebbe € 23 fusto gusto 223 1 a proporzione la proporzione 251 4 da sè di sè 789 6 ultima la sabre le sabre 279 penultima sottraggono a mezzo sotlraggon mezzo milione milione. 28« 18 perocché benelicen/.a perocché la beneficenza fu 32« 7 mi Monastero Magg. del Monastero Maggiore » '26 Sisimio Sisinnio 327 26 grande in rotonda grande rotonda 332 19 passò col, passò a Monaco col VOLUME II. 16 Ili Pier Candiano III Pier Candiano II » Ili 639 939 10 Ili Fortus Romatinus Porlus 12 •1 Obelerio il figlio di Obelerio • 29 Sani' Iricidio San Tricidio • 6 ultima Eraclea Aquileja 27 13 fa sdruscila fu sdruscila 41 14 Carrarasi Carraresi 57 8 Sa li gade Salizzade M 27 la ii la t 68 19 Pietro Orseolo VI Pietro Orseolo II 118 2 1417 1477 135 i Tartoglia Tartaglia 39 M ultima a Sigismondo nel 1336 1416 (»4 note Un. 4 del Belgio dell' antica Belgica 87 26 che no li creda Che non le creda i'20 12 Agg. il Baldelli , cui voglionsi aggiunger l'Atanagi, il Lauro, il Porcacchi, il Ferentilli, il Zucclii, lo Strozzi, 263 3 leggi io Ungheria: qui resta dal 1820 al 1826, quando fu 288 22 NB. Colla patente del 1831 si alterò quella limitazione, non spettando più alla provincia di Venezia alcune parti del Polesine e dell'isola d'Ariano: onde il Po non è confine al mezzodì, ina l'Adige;, sulla cui destra riman solo parie del Comune di Caver-zcre: il Polesine non è più confine occidentale ma meridionale-292 12 dei signori Dossi Valieri del consorzio Dossi Valieri » 16 solo terreni acquidosi gran pezza di terreni acquidosi 516 nell'iscrizione DE CVRIO DECVRIO ERRATA CORRIGE Paghili linea m 6 E ligio Cligio » vllima dà scarsa suppellettile di scarsa suppellettile 50 proposti preposti m le epigrafi sono emendate a png. 7!')!) 6«i 16 e venerato è venerato mi penult. dallo zio dello zio 646 8 commento comandamento 686 27 che dimostrano dimostrano 666 5 di mezzi i mezzi 666 it II ima Flavio Florio 766 not. 12 il cui padre Speranza, Feltrin, Osvaldo Molili , cui padre 71.1 1 Dout Doni 714 8 Ausci Ansiei i il Alta Aito 716 SI a 111 u i re oll'erire 720 12 borea Borea 721 5 Perrou Peron ] 5 Ledro Sedico 724 19 Arriv Arsiè 748 nota e dobbiamo le dobbiamo 775 figura Villabruna Villa dei Conti Villabruna nel disln di Feltre.