ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 577 IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR Liliana FERRARI Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Studi Umanistici, Via Economo 4, 34124 Trieste, Italia e-mail: ferrari.units.it@gmail.com SINTESI La vicenda di Luigi Fogar, vescovo di Trieste dal 1924 al 1936, anno in cui è cos- tretto alle dimissioni dalle pressioni del governo fascista, rappresenta un nodo chiave nella storiografia riguardante il fascismo di confine. Il censimento delle opere su di essa incentrate o che ad essa riservano uno spazio significativo ha confermato questa ipotesi di partenza, avvalorata anche dall’ampiezza dell’arco temporale in cui l’interesse sul "caso Fogar" si è manifestato. L’analisi del testo, alla luce dei dati biografici relativi agli autori, ha messo in luce una marcata intenzionalità politica nei diversi filoni in cui si ar- ticola il discorso sull’attività del vescovo (cui viene attribuito un chiaro valore simbolico) e sull’origine dell’opposizione da questi incontrata. Parole chiave: Luigi Fogar, Trieste diocesi, fascismo, clero sloveno, Trieste rivista, chie- sa cattolica THE DISCOURSE ON LUIGI FOGAR ABSTRACT The story of Luigi Fogar, the bishop of Trieste from 1924 till 1936, when he was forced to resign by the Fascist government, is the crux of the historiography on border Fascism. The number of works focusing on it or according it a significant amount of space confirms this preliminary hypothesis, which has also been bolstered by the extent of time in which interest in "the Fogar case" has been shown. An analysis of the texts in the light of the bio- graphical data on their authors reveals a pronounced political intentionality in the varied currents by which discourses on the activities of the bishop (accorded an obvious sym- bolic value) are distinguished and on the nature of the origin of the opposition he faced. Key words: Luigi Fogar, Trieste diocese, Fascism, Slovene clergy, Trieste magazine, Catholic Church received: 2012-06-05 UDC 27-726.2Fogar:930"19"(450+497.4) review article 578 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 La letteratura su Luigi Fogar inizia quando il "caso Fogar", giunto all’epilogo, è anco- ra in corso. La prima edizione di quello che diventerà il testo di riferimento sulla vicenda degli sloveni e dei croati nell’ex Litorale austriaco annesso all’Italia tra le due guerre, licenziata in inglese da Lavo Čermelj, è infatti del 1936 e precede di poco – se teniamo conto dei tempi di scrittura – le dimissioni cui il vescovo verrà costretto nel settembre di quell’anno. Do per conosciute le varie fasi della vicenda, che non è in sé oggetto del mio discorso, mentre lo è la sua rappresentazione da parte degli storici. Non potremmo, a dire il vero, ascrivere il Čermelj del 1936 alla suddetta categoria. Uomo di scienza, Lavo Čermelj usa l’acribia del ricercatore per scrivere una memoria d’immediato uti- lizzo politico, rivolta ad un pubblico internazionale. Raccoglie informazioni sul presente e sull’immediato passato, da fonti giornalistiche e orali. Sin dalla prima edizione ampio è lo spazio riservato alle questioni di natura ecclesiastica. Su Fogar, allora ancora vescovo di Trieste, nel 1936 scrive in questi termini: "The present bishop, Mgr. Luigi Fogar, is an Italian of Friuli (Friulania), a man with an unbiassed sense of justice, who strives to protect the rights of all members of his flock, irrespective of nationality and language. His position is all the more difficult, as his diocese comprises parts of three provinces. Because of his impartiality, his conscientious observance of the principles of the Catholic Church, Bishop Fogar soon came in conflict with the Fascists and the temporal authori- ties" (Čermelj, 1936, 158). Il passo resta immutato nell’edizione ampliata del 1945, con un’integrazione relativa alle avvenute dimissioni (Čermelj, 1945, 130). Mentre nel 1936 concludeva: "Under these conditions it has become practically impossible for Bishop Fogar to vindicate the rights of the Slav priests and congregations in his diocese", nel 1945 aggiunge: "The ecclesiastical and civil authorities made up the quarrel as to the form, by an evident compromise; the departure of the bishop Fogar was a gain for the Fascists" e conclude: "The Church also persisted in its slavophoby" (Čermelj, 1945, 132), distinguendo tra l’uomo e l’istituzione, una distinzione che gli deriva dall’appartenenza ai settori più laici del liberalismo nazionale, non alieni da anticlericalismo, come rivelano le sue memorie degli anni triestini. Per quanto riguarda Fogar, pur sempre nei termini di una valutazione limpidamente positiva ("non piegò il capo dinanzi ai piani ed ai metodi fascisti"), rispetto alle prime edizioni quella del 1974 proporrà un giudizio più sfumato. Il successore di Bartolomasi, così la traduzione italiana, "di nascita era un friulano del Goriziano […] cercò di essere giusto e di difendere il diritto di tutti i fedeli a prescindere dalla nazionalità e dalla lingua. Egli era cosciente che non poteva impedire la snazion- alizzazione della popolazione slava. Perciò tentò almeno di mitigarla e di impedire ogni violenza" (Čermelj, 1974, 218), con scarsi risultati e danno per se stesso, come dimostra il seguito del racconto. Tra le prime edizioni e l’ultima di Čermelj si colloca una quantità di scritti di altri, destinata a continuare negli anni successivi. Su Luigi Fogar si è scritto dunque parecchio (più esattamente: spesso), e si continua a scrivere, in varie lingue, dal momento che il suo "caso" è ritenuto rilevante, sia nella storia dei rapporti tra la chiesa ed il fascismo, sia nell’ambito della storia delle minoranze all’interno degli stati nazionali. Aggiungo che sin dall’inizio il "caso Fogar" è stato og- getto di una discussione dai forti accenti politico-ideologici, che si è svolta soprattutto Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 579 nell’area linguistica italiana, senza lasciare però indifferenti quelle slovena e croata: una discussione intimamente legata alla storia politica degli ultimi decenni. Possiamo suddividerla in più fasi. Alla preistoria, che abbiamo inaugurato con Lavo Čermelj, appartiene anche la raccolta di documenti pubblicata dallo stesso in italiano nel 1953 col titolo Il vescovo Antonio Santin e gli Sloveni e Croati delle diocesi di Fiume e Trieste-Capodistria, che di Fogar si occupa marginalmente, riproponendo lo schema che lo contrappone al successore, giudicato, sin dall’esordio fiumano, un fiancheggiatore del progetto snazionalizzatore del fascismo (Čermelj, 1953). Segue un testo d’area croata Neki dokumenti o svećenstvu u Istri di Danilo Klen, pubblicato nel 1955 a Zagabria. Si tratta di una denuncia ampiamente documentata della compressione fascista nei confron- ti del clero sloveno e croato, sulla base soprattutto di materiali contenuti nell’Archivio di stato (DAPA/ASP) di Pisino, molti dei quali, riprodotti integralmente ed anche foto- graficamente, costituiranno la base di diverse ricostruzioni successive. Si tratta indub- biamente di un lavoro importante sotto il profilo della conoscenza; la sua pubblicazione obbedisce peraltro con tutta evidenza a motivazioni propagandistiche. Siamo a ridosso della conclusione della "questione di Trieste", ad esodo ancora in corso: insistere sulla snazionalizzazione subita dalla popolazione slovena e croata dell’Istria ribadisce la legit- timità dell’attribuzione dell’intero territorio di questa alla Jugoslavia. Le carte d’archivio documentano torti subiti e sottintendono l’esistenza di diritti maturati, oltre che preesi- stenti. Il vescovo Fogar occupa un posto notevole in questo volume, sin dall’ampio spazio riservatogli nell’introduzione. Il ruolo attribuitogli è decisamente diverso da quello dis- egnato da Čermelj. Il materiale scelto parla di un vescovo intento a dare manifestazioni di buona volontà alle autorità fasciste, i cui contrasti con il regime nascono dalla preoc- cupazione di perdere credibilità nei confronti dei fedeli slavi se questo non attuerà la snazionalizza-zione con la suggerita gradualità. Quello che va notato in questo lavoro, in linea generale, è un approccio destinato a riproporsi negli anni successivi, che quan- do inconsapevole mi limito a definire "ingenuo", privo cioè dell’avvertenza critica che contraddistingue il lavoro dello storico. Si tratta della fiducia nella "verità" delle carte d’archivio, meglio se guarnite da un "riservato", ancora meglio se "riservatissimo", senza tener conto, ad esempio, del fatto che nel caso di Fogar in molte di quelle carte il vescovo si rivolge ad un interlocutore che sa ostile e dal quale è intenzionato ad ottenere il più possibile (Klen, 1955). Il lavoro di Klen – i cui interessi di ricerca resteranno comunque legati piuttosto all’età moderna – non ha séguito nell’immediato (non ho verificato la presenza di re- censioni): verrà ripreso, abbondantemente, soprattutto in Italia, solo successivamente. Che di Fogar non si scriva più è comprensibile anche alla luce del suo riserbo; al di là di questo, del confine orientale negli anni Cinquanta in Italia si parla in relazione alla questione di Trieste, in un clima di contrapposizioni ideologiche drastiche al quale va fatta risalire anche la silloge di Klen. Quanto alla storia della chiesa, in Italia è piuttosto occupata a ricostruire la tradizione democratica del partito cattolico al governo (De Rosa, 1953–1954; Jemolo, 1955). Dell’importanza del rapporto stato-chiesa nella Venezia Giulia e di Fogar non a caso Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 580 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 si comincia a parlare, nella prima metà degli anni Sessanta, nell’ambito di una rivista che si propone di superare le drastiche contrapposizioni della guerra fredda. Si tratta di "Trieste", in cui tra il 1963 ed il 1965 Claudio Silvestri, Carlo Schiffrer e Guido Botteri mettono a tema il ruolo svolto dall’episcopato locale durante il fascismo. Botteri, in par- ticolare, scrive (eloquente il titolo) dell’"esempio" del vescovo Fogar (Botteri, 1965; Sil- vestri, 1963). I materiali a cui questi autori attingono vengono dai fondi della Prefettura di Trieste, che resteranno indisponibili per la comunità degli studiosi ancora per molti anni. Entrano in campo anche i materiali che Botteri – anche qui eccezionalmente – ha potuto consultare nella preparazione del suo "Antonio Santin, Trieste 1943–45. Scritti, discorsi, appunti, lettere", uscito nel 1963 (Botteri, 1963). La materia è sensibile: par- lando di Bartolomasi, Sedej e Fogar si entra nel discorso sul fascismo di confine: in de- finitiva nel campo dei torti, questa volta, inferti con la politica di snazionalizzazione. La serie, iniziata da Claudio Silvestri con un articolo su mons. Bartolomasi, continua con un articolo di Carlo Schiffrer, che allarga la prospettiva. Parlando di Chiesa e Stato a Trieste durante il periodo fascista Schiffrer, data per scontata l’inconciliabilità radicale – al di là di singole deviazioni – tra l’universalismo della chiesa e la politica fascista, si mostra interessato soprattutto ad esaminare, in questa vicenda, l’operato del fascismo (e insieme quello della classe dirigente locale), di cui denuncia, prima ancora che l’aspetto sopraffat- tore, l’ottusità rivelatasi controproducente per la presenza stessa dello stato italiano nelle terre annesse dopo la prima guerra mondiale. La "questione di Trieste" è ancora sullo sfondo e l’analisi di Schiffrer addita responsabilità. Fogar vi compare non a caso come "una delle poche menti politiche della classe dirigente triestina", capace cioè di vedere "con chiarezza quella che, alla lunga, avrebbe potuto essere la linea di condotta più red- ditizia per tutelare gli interessi permanenti della nazione e dello Stato italiano in queste terre" (Schiffrer, 1963, 7). Conciliarsi le minoranze linguistiche dimostrando attenzione alle loro esigenze: dopo Bartolomasi e Fogar, per Schiffrer anche Santin è interprete di questa linea. Il discorso prosegue, con altre voci, nei numeri successivi, in cui si riprende il tema della snazionalizzazione come parte di una più generale violazione dei diritti, di cui sono state oggetto tutte le nazionalità. Della loro difesa si fa carico il cattolicesimo democra- tico, di ogni lingua: questo il succo degli interventi di Botteri, che possiamo collegare anche al particolare momento vissuto dalla chiesa triestina in quegli anni, caratterizzati dalla celebrazione del concilio Vaticano II, dalle spinte verso il centro-sinistra e, a Trieste, dal contrasto del gruppo di cui fa parte anche Botteri con il vescovo Santin, di cui dà conto un recente lavoro sul settimanale "Vita Nuova" (Dessardo, 2010). Botteri dà al suo articolo del 1965 il significato di una "riparazione", di un doveroso ripristino della verità. Ripercorre puntualmente, anche sulla scorta di nuovi materiali, i passaggi di un conflitto che considera "inevitabile", tra esponenti di due "piani diversi e incomunicabili": quello della politica (il fascismo) e quello della pastorale: "l’atteggiamento del Vescovo, anche se – nella prospettiva da lui più volte ripetuta – esso ha risultati e conseguenze politiche, è esclusivamente riferito a preoccupazioni pastorali […] ed a preoccupazioni religiose" (Botteri, 1965, 5). Si tratta di una sottolineatura che appartiene al discorso cattolico di quegli anni e che a Trieste ha un significato tutto particolare, in un momento in cui il Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 581 vescovo entra in campo a contrastare precise scelte politiche. Ad essa si affianca un altro motivo: il collegamento tra la sensibilità di Fogar ai diritti linguistici e la sua formazione austriaca. Mentre in Schiffrer troviamo ancora qualche eco delle antiche polemiche sul ruolo svolto dal clero prima del 1918, in Botteri l’attenzione alla scena asburgica trova accenti di deciso apprezzamento. In essa – sottolinea Botteri – ha operato un movimento cattolico democratico forte e impegnato nel sociale. Nel Goriziano in cui si forma Fogar, quello di Faidutti, i giovani triestini impegnati nella democrazia cristiana degli anni Ses- santa possono insomma scoprire un dignitoso album di famiglia, quello che manca loro a Trieste. Botteri tornerà a scrivere di Fogar, sempre su "Trieste", in occasione della morte del vescovo, avvenuta a Roma nell’agosto del 1971 (Botteri, 1971). Nel frattempo però di- verse cose avranno contribuito a portare le vicende della chiesa nelle regioni di con- fine all’attenzione della storiografia nazionale. Nel 1966 viene pubblicato da Laterza il fondamentale lavoro di Elio Apih "Italia, fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918–1943)" (Apih, 1966). Cresce in quegli anni, registrando un’impennata nel decen- nio successivo, l’interesse per i rapporti tra chiesa e fascismo, in uno sforzo di ripen- samento che mette in luce, oltre ai motivi di contrasto, anche quelli di comune consenso, nonché le linee di continuità tra governi prefascisti e fascismo nella gestazione della Conciliazione. Ha un taglio di storia del diritto il lavoro di Francesco Margiotta Broglio, "Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione", uscito anch’esso per Laterza nel 1966, che dà qualche risalto ai temi legati alle provincie di nuova acquisizione (nella ricca appendice troviamo un documento su Fogar) (Margiotta Broglio, 1966). In con- clusione, l’operato della chiesa nelle diocesi già austriache si avvia a diventare un punto sensibile della storiografia sul fascismo, uscendo dalla dimensione della storia locale, grazie a queste pubblicazioni, ma anche al fatto che a Trieste nei primi anni settanta vi si cimenti un gruppo di giovani che fanno riferimento ad un nome di prima grandezza quale è Giovanni Miccoli, che nell’università di Trieste in quegli anni alla dimensione di medi- evista unisce quella di storico della chiesa contemporanea, in stretto contatto con l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione. In questo contesto il discorso storico su Luigi Fogar avrà modo di svilupparsi, di- ventando un nodo cruciale nel confronto ideologico, dopo la morte dell’interessato. L’articolo che Botteri pubblica in tale occasione su "Trieste" ripropone con forza il mo- tivo della "giusta riparazione" che a Fogar è dovuta soprattutto dal mondo cattolico tri- estino. La polemica col vescovo Santin, che si intuiva qualche anno prima, si attenua di fronte alla denuncia delle gravi responsabilità di elementi del clero (i panni sporchi che si devono cominciare a lavare in pubblico) e della classe dirigente cittadina. L’attenzione ancora una volta è focalizzata sul locale, in un intervento che nasce dall’impegno, come politico e come esponente di quel mondo cattolico. Sul piano documentario il lungo ar- ticolo aggiunge qualche tessera, scabrosa, e di segno opposto a quello delle carte pubbli- cate da Klen: la traccia lasciata da registi di intrighi e delatori. La morte di Fogar dà il via agli interventi anche in area slovena. Si tratta stavolta di ambienti cattolici. Nello stesso anno Rudolf Klinec, cancelliere della curia arcivescovile e figura di riferimento nella storiografia cattolica slovena del Goriziano, lo rievoca con Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 582 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 un lungo intervento sul "Koledar" della Goriška Mohorjeva Družba, anticipazione della voce che pubblicherà nel 1977 nel "Primorski slovenski biografski leksikon" (Klinec, 1978, 1979). Ma è l’area cattolica goriziana nel suo complesso a muoversi per celebrare – senza più le restrizioni imposte dall’interessato – quello che rivendica come uno dei propri esponenti più significativi. Lo scrive nel 1972 Camillo Medeot ne "I cattolici del Friuli orientale nel primo dopoguerra", in cui emerge il Fogar capo di una corrente del partito popolare, vicino a Faidutti, ed il carismatico organizzatore di giovani (Medeot, 1972). Il "vero interprete" di una Gorizia di cui in questi anni si sta iniziando a parlare, per il passato, come di un’ideale punto di incontro tra culture. Inizia con Medeot una linea di discorso che verrà ripresa nel decennio successivo dall’Istituto di storia sociale e reli- giosa e dalla rivista "Iniziativa isontina", ma anche, successivamente, da quella che resta l’unica biografia, uscita nel 1995 dalla penna ancora una volta di Guido Botteri. La produzione in sloveno che possiamo ascrivere al campo cattolico, o comunque al campo non comunista, critico nei confronti della Jugoslavia di Tito, si muove, con apporti successivi sulla linea inaugurata dal "Koledar": ripropone il Fogar del primo Čermelj (naturalmente senza le punte anti-ecclesiastiche) o, in quei primi anni settanta, del secondo volume del "Hrvatski narodni preporod u Istri" (1973) di Božo Milanović, prestigioso esponente del clero croato, appartenente all’area che ha aderito alla Jugosla- via (Milanović, 1973). Nel caso di Klinec questa produzione può avvalersi, per gli anni goriziani del vescovo, della conoscenza di prima mano delle carte della curia goriziana, ma soprattutto di una messe di testimonianze orali, prima fra tutte quella dell’antico col- laboratore Velci, autore a propria volta di scritti su Fogar. Il 1973 è un anno chiave per la discussione su Fogar. In una rivista, uscita per soli due numeri, intitolata "Chiesa e società", frutto del gruppo sopra ricordato coordinato da Giovanni Miccoli, viene pubblicato un intervento dal titolo Note sull’episcopato di mons. Luigi Fogar (1924–36) (Miccoli, 1973). La documentazione che utilizza è quella di Klen, integrata da altra, dello stesso tenore, proveniente da un fondo dei National Archives di Washington, conservata presso l’archivio dell’Istituto nazionale per la storia del movi- mento di liberazione: ancora una volta, dunque, materiale destinato alle autorità politiche e rapporti di polizia. Questo il nucleo del discorso: stante la linea generale della chiesa, che presenta più di un punto di contatto con quella del regime, l’opposizione di Fogar non può che subire uno scacco. Non solo: i documenti provano che il vescovo ha in qual- che misura aderito alla linea del "trapasso etnico", di cui proponeva un’applicazione più graduale di quella attuata dal fascismo. Dando il via alla snazionalizzazione il fascismo è venuto incontro ai desiderata della media e piccola borghesia triestina, aspirazioni e paure condivise dal clero italiano. Di fronte a ciò le buone intenzioni di Fogar non possono che restare tali, tradursi in compromessi (centrale nell’analisi quello del 1927), inquinarsi infine, almeno in parte. L’intervento, dal forte e scoperto carattere ideologico, nell’immediato ha una cir- colazione estremamente limitata, ma l’interpretazione che propone – qui sintetizzata all’estremo – è destinata a produrre una serie di lavori di ampiezza e rilievo ben diversi (va da sé, destinati a suscitare polemiche). Esso inoltre riceve un immediato riscontro nella vicina Jugoslavia, e più precisamente nell’attuale Slovenia, negli ambienti della Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 583 storiografia ufficiale. Nello stesso anno infatti compare, tradotto da Milica Kacin, nella rivista "Prispevki", organo dell’Inštitut za zgodovino delavskega gibanja, impegnato in una crescente e proficua collaborazione con gli omologhi triestino e friulano (Kacin- Wohinz, 1973). Resterà un intervento isolato. Fogar non riceverà in ambito jugoslavo l’attenzione riservata a Santin e Margotti (ho già sottolineato il ridimensionamento che l’operato di Fogar subisce nell’edizione del 1974). Per quanto riguarda gli sloveni in Italia, a Gorizia viene più volte riproposta la rievocazione commossa e puntuale (Klinec nel 1977 e nel 1979), senza arrivare però all’avvio di un vera e propria ricerca. A Trieste va segnalato, nella seconda metà degli anni ottanta, il lavoro di Tomaž Simčič su mons. Ukmar (Simčič, 1986), nel quale Fogar ha un ruolo importante, ma comunque di secondo piano. L’articolo su "Chiesa e società" ha un seguito. Esce nel 1978 su "Italia contemporanea" un saggio di Franco Belci (che a Fogar ha dedicato anche la tesi di laurea). Vi troviamo riproposta la linea di pensiero del 1973, con l’apporto di nuovo materiale documentario, proveniente dall’Archivio centrale dello stato e da quello di Pisino. Si tratta della prima ricerca di ampio respiro sulla vicenda di Luigi Fogar, che suscita, oltre ad un’immediata reazione polemica, anche la produzione di altri studi e riflessioni (Belci, 1974; 1978; 1979; Miccoli, 1976). Trieste non può essere considerata un modello del rapporto tra la chiesa ed il fascismo, scrive nel 1978 Pietro Zovatto in un saggio che riprende, sia pure in un senso diverso da quello di Medeot e Botteri, il filone delle radici austriache di Fogar: viste stavolta in negativo. In questo saggio, che ripropone più di uno stereotipo della polemica liberal-nazionale, l’annessione di Trieste all’Italia comporta per Trieste l’immissione dei germi di una rinascita religiosa, che la sottrae ad un clima spirituale opaco e ad un assetto politico (austriaci) in cui la chiesa non ha margini di autonomia. Proprio perché si è for- mato in questo quadro Fogar non è stato in grado di usare la sottigliezza diplomatica che sarebbe stata necessaria per smussare, come era sua intenzione, gli eccessi del fascismo. Piaccia o meno il taglio interpretativo, si deve attribuire a questo lavoro il merito di collo- care la vicenda in una prospettiva meno schiacciata sull’alternativa opposizione/consenso al fascismo. Il retroterra austriaco giudicato così severamente viene preso in esame (sep- pure attraverso il filtro di una letteratura italiana critica nei suoi confronti). Quanto alla chiesa locale, Zovatto indica la necessità di studiarne più a fondo i comportamenti: con at- tenzione alla dimensione religiosa prima che a quella, che giudica parziale, della politica: una distinzione che si trovava anche in Botteri, ma che qui, come anche in un successivo saggio del 1982, si trasforma in un "racconto alternativo": quello della fioritura pastorale di Trieste negli anni della vicenda Fogar. Una fioritura da cui – nella lettura di Zovatto – il clero sloveno resta escluso soprattutto a causa del suo attardarsi (come il vescovo che lo difende) negli schemi asfittici di una religiosità (quella austriaca) su cui il giuseppinismo proietta la sua ombra lunga (Zovatto, 1978; 1982). Il taglio di questo saggio può essere ricondotto, in ambito nazionale, ad un filone di studi che in quegli anni si riconosce in Gabriele De Rosa, e più precisamente agli Istituti di storia sociale e religiosa che traggono ispirazione dalle sue ricerche sulla religiosità popolare e, sull’esempio francese, dall’attenzione verso le fonti seriali, quali ad esempio gli atti delle visite pastorali. Mentre una serie di studiosi che in Italia si ispirano a Pietro Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 584 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 Scoppola comincia a parlare, a proposito delle articolazioni istituzionali del mondo cat- tolico, di "afascismo", altri autori – va citato qui il convegno che si celebra nel 1977 a Torreglia – propongono di spostare l’attenzione dalle élite alla base, concentrandosi sulla vita religiosa e dando alle vicende della politica l’importanza che meritano – a fronte della ‘tendenza’ – gli ‘avvenimenti’. Salimbeni riproporrà questo taglio metodologico, proprio a proposito del caso Fogar, in occasione del secondo convegno sui "Cattolici isontini" organizzato nel 1982 a Gorizia dal neonato Istituto di storia sociale e religiosa (Chiesa, 1979; Salimbeni, 1982). Gli atti del convegno danno largo spazio a Luigi Fogar, con interventi (Botteri, Forna- sir e Zovatto) diversi per taglio, ma accomunati dall’intento di contestare l’impostazione della "scuola Miccoli", le cui argomentazioni vengono esposte, a dire il vero, non senza qualche forzatura (Fornasir, 1980; 1982; Cattolici a Trieste, 1982). Gli approcci, come già detto, variano non poco, ma rimandano tutti alla necessità di sgombrare il campo da ogni interpretazione dell’operato di Fogar che non rimandi a motivazioni "severamente" religi- ose. Dai rapporti con le autorità fasciste l’attenzione si sposta così sulla sua collocazione all’interno dell’istituzione ecclesiastica. Va detto a tale proposito che, sia pure continuando a contrapporsi polemicamente ai suoi critici, sembra essere in parte questa la strada imboccata anche da Belci, che nel 1985 pubblica su "Qualestoria" un saggio che amplia notevolmente il lavoro del 1978. In esso il motivo dell’accettazione da parte di Fogar della prospettiva dell’assimilazione etnica appare sfumato, mentre cresce un altro aspetto: l’isolamento in cui il vescovo viene a trovarsi all’interno della chiesa triestina, ad opera, tra l’altro, non solo del clero italiano. I materiali che questo lavoro esamina sono ulteriormente aumentati e maggiore vi appare l’attenzione ai documenti di carattere pastorale. Anche se continua ad essere considerato prioritario "individuare le reazioni e i comportamenti collettivi rispetto" alla "cronaca spicciola di tante vicende individuali", sin dal titolo si capisce che l’attenzione ora si ap- punta su una situazione "ingarbugliata" (così viene definita) (Belci, 1985, 66), che si sente la necessità di conoscere meglio, avvertendo nel contempo che i materiali per farlo sono al momento largamente inaccessibili. Siamo tutt’ora a questo punto, anche se quell’inaccessibilità in buona parte non sus- siste più. Di Luigi Fogar negli anni successivi si è continuato a parlare, con notevole frequenza, ma la ricerca sul suo episcopato non si può dire abbia fatto dei passi avanti. Su di lui è stata pubblicata nel 1995, ad opera di Guido Botteri, anche una breve biografia, che si limita però a sintetizzare il già detto (Botteri, 1995). Tuttora il "caso Fogar" viene evocato ogni volta che si scrive del fascismo di confine, tanto più che il tema del confine ha acquistato un nuovo interesse dopo la dissoluzione della Jugoslavia, come elemento di un’equazione ormai risolta. Il tema della snazionalizzazione è passato gradualmente in secondo piano, nella storiografia italiana, rispetto ai temi del secondo dopoguerra: le foibe e l’esodo. In lingua italiana negli ultimi anni Fogar viene chiamato in causa, di volta in volta, a seconda del contesto: se della politica di snazionalizzazione si parla come di un mo- tivo sufficiente a spiegare i fatti del dopoguerra, dalle foibe all’esodo, oppure se la con- Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 585 trapposizione di quegli anni si intende far risalire a tempi più remoti, attribuendo cioè pari responsabilità ai diversi gruppi linguistici, ognuno intenzionato a guadagnare spazio nell’impero asburgico in crisi. Per quanto riguarda la storiografia slovena, se Milica Kacin ripropone in un lavoro pubblicato in Italia nel 1991 i temi dell’antica ricerca di Belci (Kacin-Wohinz, 1991), in tempi più recenti l’attenzione sembra concentrarsi piuttosto sull’azione repressiva svolta dal partito comunista nei confronti delle altre componenti ideologiche dell’OF, cattolici e clero in testa. Di nuovi studi sull’episcopato di Luigi Fogar, anche su singoli aspetti, che scavino a fondo nel suo operato, ma comincino anche a districare il "garbuglio" rappre- sentato dai mondi cattolici sloveno, croato ed italiano della Venezia Giulia in quegli anni, non mi pare si possa ancora parlare, con poche eccezioni. Per il versante sloveno, Tomaž Simčič ed Egon Pelikan affrontano Fogar solo marginalmente, anche se iniziano a delin- eare un’immagine ravvicinata – e dunque meno schematica – di quello che è stato il "suo" clero sloveno (Pelikan, 2011). A ciò recentemente ha contribuito anche la pubblicazione del diario di Rudolf Klinec, e potrei citare anche un contributo di qualche anno fa di Peter Černic (Černic, 2006) sui rapporti tra mondo sloveno e occupazione tedesca a Gorizia. Sono tutti lavori che, se non parlano di Fogar, danno ragione dei motivi per cui solo con difficoltà le carte che lo riguardano si lasciano leggere e le cose vedere da vicino. Si tratta di lavori che parlano di disparità di linee, e persino di lacerazioni, dove a lungo si è voluto far emergere solo una nitida separazione tra campi, fra torti e ragioni. Dunque molte rievocazioni e pochi studi, in entrambe le lingue; e sia nell’una che nell’altra una dialettica di posizioni che ha a che fare con l’ideologia più che con l’appartenenza nazionale. Quanto agli studi, esiste a Trieste una tesi di laurea su Fogar, discussa nel 1999 nell’ambito della Facoltà di Scienza della formazione, relatore il com- pianto Paolo Ziller. Il titolo promette bene: "La diocesi di Trieste e Capodistria durante l’episcopato di mons. Luigi Fogar", ma la sua consultazione non è permessa (Muresu, 1999). Tra le cose più recenti, è interessante una monografia di Almerigo Apollonio, us- cito nel 2004 per i tipi della goriziana LEG, intitolato "Venezia Giulia e Fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consolidamento della dittatura mussoliniana 1922– 1935". Esito di una paziente ricerca all’interno dell’Archivio di stato di Trieste, questo volume, in cui la vicenda di mons. Fogar ha un largo spazio, presenta, insieme a difetti, la qualità del lavoro di prima mano, ed il merito di proporre fonti inedite (Apollonio, 2004). Per finire, potremmo aggiungere: occorre dell’altro per sottrarre Luigi Fogar al ruolo di icona che, in varie maniere, gli è stato imposto. Figura-simbolo, occasione per parlare di qualcos’altro, esponente della vera gorizianità, friulana e non (Peri, 2000; Tavano, 1996), del cattolicesimo democratico, di una formazione austriaca per alcuni incentivo all’incontro tra diversi, per altri ingessata in un rapporto con la politica antitetico allo spirito del concilio. Dall’altra parte, simbolo dei limiti che l’appartenenza alla struttura ecclesiastica impone comunque al singolo suo componente, nel momento in cui si trova a muoversi in opposizione ad una linea generale. I termini della questione sono già tutti posti alla metà degli anni ottanta: per andare oltre occorre uno studio che non si limiti a riproporre schemi interpretativi generali a casi singoli, e su questo mi pare siano tutti Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 586 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 d’accordo. Per questo occorre andare in archivio. Per quanto riguarda l’Archivio segreto vaticano, il pontificato di Pio XI è aperto alla consultazione; probabilmente gli archivi di Lubiana riservano altre scoperte e non è detto che l’archivio vescovile triestino sia chiuso a doppia mandata. Presso la biblioteca del seminario di Gorizia esiste un archivio Fogar, a quando mi dicono (non l’ho esaminato di persona) depurato da materiali più "sensibili", con tutta probabilità in obbedienza a sue disposizioni. Ma Zovatto fa cenno nei suoi lavori a "carte Fogar" depositate presso un "Centro studi storico-cristiani di Trieste" e lo stesso fa Botteri per quanto riguarda il suo archivio privato. Probabilmente molto c’è ancora da vedere presso archivi parrocchiali e decanali, da una parte e dall’altra del confine, per non parlare degli archivi personali di singoli sacerdoti. Insomma, molto si può fare per dipanare il quadro "ingarbugliato" di quegli anni, e non solo in relazione al "caso" che porta Fogar alle dimissioni, bensì, nell’ottica della ricostruzione a 360 gradi, o se vogliamo a tappeto, di un "caso storico" di storia politico-sociale-religiosa con un ap- proccio meno condizionato dal capoluogo-centrismo che ostacola spesso la visuale degli storici di Trieste, consultando fonti in più lingue, e il più possibile svincolati dalla neces- sità di tracciare il confine tra i buoni ed i cattivi. C’è un tempo per raccogliere le carte, forse, prima di ricominciare ad interpretare e sintetizzare, ed è il caso, per quanto riguarda Fogar e non solo, di andare nuovamente a caccia di documenti e lavorare di filologia. Nel frattempo, oltrepassato l’anno 140.o dalla nascita (2012), sarà forse il caso che almeno qualcuno scriva un’adeguata voce in italiano per Wikipedia. Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 587 DISKURZ O LUIGIJU FOGARJU Liliana FERRARI Univerza v Trstu, Oddelek za humanistične študije, Via Economo 4, 34124 Trst, Italija e-mail: ferrari.units.it@gmail.com POVZETEK O prisilnem odstopu tržaškega škofa (1936) je bilo že precej napisanega in se še ved- no piše. Njegov ‘primer’ velja za pomembnega tako v zgodovini odnosov med Cerkvijo in fašizmom, kot za zgodovino manjšin znotraj nacionalnih držav. Dogodek je bil že od vsega začetka predmet razprave, ki se je odvijala zlasti na italijanskem, v manjši meri pa tudi na slovenskem in hrvaškem jezikovnem območju, v tesni povezavi s politično zgo- dovino zadnjih desetletij. Prvi je k tej temi z znanstvenega vidika pristopil napisal Lavo Čermelj, ki je v različnih izdajah svojega dela (1936, 1945, 1974) poudaril nepristran- skost, s katero je Fogar opravljal delo dušnega pastirja vernikov različnih narodnosti. Danilo Klen (1955) s hrvaške strani pa je bil denimo do njega kritičen. V Italiji se je razprava začela v reviji Trieste v začetku šestdesetih let prejšnjega stoletja. O Fogarju so pisali Claudio Silvestri, Carlo Schiffrer in Guido Botteri. V njihovih esejih Fogar nastopa kot predstavnik demokratičnega katoličanstva, ki se zoperstavlja raznarodovanju kot delu širšega kršenja pravic. Izpostavili so tudi Fogarjevo izobraževanje v avstrijskem okolju. Po škofovi smrti (1971) so pisanja postala še bolj množična; v njih ga nekateri slavi- jo kot pogumnega branitelja narodnostnih pravic (Medeot, Milanović, Botteri), drugi pa zmanjšujejo pomembnost njegovega nasprotovanja fašizmu (Miccoli, Belci, Kacin). Kritične poudarke je najti tudi pri Zovattu, ki analizira omejitve, izhajajoče iz Fogarjeve- ga šolanja v Avstriji. V osemdesetih letih je bila to osrednja tema celega niza študij, nast- alih na pobudo Inštituta za socialno in versko zgodovino v Gorici. V poznejših prispevkih polemičnost popusti. Na celovito študijo Fogarjevega škofovstva, ki bi presegla ‘afero’, v katero je bil vpleten, pa še vedno čakamo. Ključne besede: Luigi Fogar, tržaška škofija, fašizem, slovenska duhovščina, revija Tri- este, katoliška cerkev Liliana FERRARI: IL DISCORSO SU LUIGI FOGAR, 577–590 588 ACTA HISTRIAE • 20 • 2012 • 4 FONTI E BIBLIOGRAFIA Apih, E. (1966): Italia, fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918–1943). Bari, Laterza. Apollonio, A. 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