ANNO II._Capodistria \ Ottobre 4868._N. 39* ; r ; if' - »1 > i 1, -.» J.i : t\i. ' ;>,,■■ •.; V ? ,">'• ' p 'u- " T 6»/i:T a ,«i»bii oq& rHiuni li i»il-> r<3iiò(R'jn> ifoflRfa. ol j;• -ni silo •sltfnTQitj oifaon ii_1ciùioibr,oroi é *n % ei 4P A iijqqe t>bo->l LA rHUVlnLlA #10RNALE DEGLI INTERESSI CIVILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATIVI DELL' ISTRIA Elee rt f ed' ri i6 d' ogni mese. ASSOCIAZIOMi per un anno f.ni 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi 5 per linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Pagamenti antecipati. Noi avremmo assai volentieri accettato uria discussione sul tema della convenienza di tramutare l'attuale Ginnasio inferiore di Pisino in una scuola reale superiore ; confessiamo anzi che nello scrivere l'articolo a ciò relativo, inserto nell'ultimo numero del nostro Giornale, ci era sòrta appunto la speranza che qualche voce sorgesse a combatterci, perchè così avremmo avuto il destro di svolgere più largamente il nostro concetto, che crediamo ancora il più giusto e il più opportuno, e perchè ad ogni modo sappiamo che solamente dall'attrito delle opinioni scaturisce la verità, scaturisce la giustizia, scaturisce il benessere generale. Ma quando ci si accusa di muovere una guerra sorda al Ginnasio di Pisino per favorire quello di Capodistria, quando ci si taccia di mala fede, quando ci si lancia in viso il rimprovero di fare delle insinuazionicome dice la corrispondenza dall'Istria pubblicala nel Cittadino dei 22 scorso, noi rinunciamo a ogni polemica, perchè non conosciamo e non vogliamo conoscere siffatta maniera di combat aere, conlrario alla, dignità nostra e ai nostri propositi. Noi credevamo che il passato del nostro Giornale, che ii notne delli uomini,, i quali apertamente diedero il loro appoggio alla Provincia, dovessero bastare a salvarci da certi sospetti, da certe recriminazioni, i quali sono in diretta contraddizione coi principj nostri, col cullo assiduo e tenace, die abbiamo sempre avolo pel nostro paese. Ci siamo ingannati, e ce ne duole, ce ne duole davvero, non per noi, i quali conosciamo oramai che, a propugnare il bene, non si acquista altro prolìtio che di amarezze, ma pel paese nostro, ove pur troppo vediamo prevalere ancora una grettezza di sentimenti, un campanilismo miope, che ci ricorda la dolorosa, storia dei cap- poni di Renzo e ci sfiducerebbe del suo avvenire, se, più che nelli uomini, non avessimo fede nelle idee., le quali finiscono col trionfare di ogni ostacolo. Noi rinunciamo adunque a rispondere al corrispondente del Cittadino e a quelli, che possono averlo inspirato; tra essi e noi giudicheranno, la Dieta prima e poi il paese, al quale facciamo sicuramente appello, perchè quand' anche avessimo errato, esso saprà fuor d'ogni du-bio conoscere e apprezzare la purità delle nostre I MONUMENTI DI POLA. Se ci fosse permesso di cominciare con una sdruscita figura retorica, vorremmo dire che falle lodi dei monumenti romani di Pola gli è peggio che portar vasi a Samo o nottole in Atene; non v' ha, o almeno non vi dovrebbe avere persona colta in Italia, e più ancora in Istria, la quale non conosca il pregio storico e artistico di que' venerandi avanzi di un' epoca di glorie e di splendore. Su di ciò dunque non intendiamo ripetere quanto fu già più volte e meglio detto da altri; e a chi amasse studiare più davvicino l'argomento, consigliamo di leggere quanto in proposito raccolse con affetto paziente e illuminata erudizione quell'illustre storiografo che è il nostro Kandler. Pini tosto ei sembra più opportuna, e anzi diremo necessaria una parola sul modo, onde que* monumenti sono oggidì conservali; tema cotesto, di cui altri giornali di recente occuparonsi, e certo non con troppa benevolenza, e sul quale discorse anche da ultimo un nostro egregio corrispondente di Pola. È questo un' argomento di viva attualità, che deve interessare tutti i buoni cittadini, e sul quale, poiché la slampa periodica se n' è impadronita, il nostro giornale, che intende appunto a promuovere li interessi civili della provincia, non potrebbe onestamente serbare il silenzio. Diciamo schietto e subito il nostro pensiero : i monumenti di Pola non sono conservati con quella cura assidua e rispettosa, che il loro valore richiederebbe; ce ne assicurano le voci di biasimo corse testé pei giornali, ce ne assicura il nostro stesso corrispondente, ce ne assicurano infine testimonj oculari, che visitarono testé quel sacrario delle nostre più illustri memorie, e che tra la commozione destata in loro da quella vista dovettero deplorare amaramente la trascuran-za, con cui i degeneri nipoti lasciano deperire le opere dei grandi avi. Cotesto è un datino, una vergogna, che dobbiamo levarci ad ogni costo di dosso ; non v'ha uomo di senno, il quale non vegga la necessità di circondare delle cure più attente tutto ciò che si collega colla storia passata di un popolo; non v' ha paese, il quale non adoperi studj e denaro per conseguire cotesto scopo ; è un' allo di venerazione verso le generazioni passale e insieme di rispetto a sè medesimi, è una dimostrazione di civiltà, che non è lecito dimenticare. E se tutto ciò è vero sempre e dovunque, quanto non è più vero per Pola, la città del passato per eccellenza, che conserva in sè impronte grandiose di un'epoca più fortunata, e che è direni quasi il panteon d'ogni istriana grandezza? Nei secoli del ferro, quando Genovesi e Veneziani gareggiavano nel disertare quella già splendida città, e più lardi, mentre fioriva la inverniciala barbarie, si capisce che i monumenti di Po-- la dovessero subire oltraggi e rovine, e che buo-n»a parte di essi cadesse sotto il martello demolitore dei nuovi Vandali. Ma non si capisce punto che quanto di essi vinse le ingiurie del tempo e quelle delli uomini (ed è ancora molto) deLba ora, "in tanto lume d'incivilimento, essere peggio che abandonalo, lascialo in preda a un' onda di speculatori avidi e ignoranti, che ne facciano strazio. Sarebbe proprio ancora vero il detto che quvd von fecèvunt barbari, fccerunt Barberini? E non credasi che noi esaggeriamo a disegno, che carichiamo le tinte per comodo di retorica amplificazione. Dio pur volesse che ciò non fosse vero; nessuno più di noi amerebbe poter dire il contrario, poiché cotesta carità di patria, che ci move a parlare, avrebbe il massimo conio rio nel veder le reliquie di Pola tenute in quella venerazione, che meritano, e sarebbe orgogliosa di additarle allo straniero come documento del passato e promessa per l'avvenite. » 6hl«ìboqfiD .II O'f-'f.k Ma chi va a Pola colf animo ripieno di quelle grandi memorie, che il moine suo ridesta, e [nella Arena, che non ha la e-e queir Arco de'Sergj, che è un eleganza, e quel Tempio d'Au-'orla Gemina e quella d'Ercole e qbe'mille altri avanzi della romana grandezza, che cosa trova ia nome di Dio? Trova l'Arena esposta in aperta campagna alli insulti del primo villano che passa, e li armenti pascere l' erba crescente per entro alla sua cerchia, trova l'Arco de* Sergj soffocato da un* ammasso di casipole e vede sotto ad esso correre una strada, per la quale transitano animali da soma e carri di bifolchi, trova la Porta d'Ercole fatto Ietterai-mente cloaca e il tempio d'Augusto divenuto magazino, nel quale stanno gettati alla rinfusa, insieme colle lapidi e coi busti romani, attrezzi e impalcature da manovale, e solo da un pajo d' anni la pietà dell' attuale Podestà di Pola riuscì a cingere quell'edilìzio d'una meschina inferriata e togliere così k> sfregio quotidiano, che gli recavano le turbe multilingui calate in quella estrema punta d'Italia per amor di guadagno. E se chiedete d'un museo, d'un medagliere, ove vengano raccogliendosi i marnai e i bronzi e le monete, che da secoli si scoprono in quel sacro terreno, non trovate che un' ammasso di sassi buttati entro al Tempio d'Augusto o poggiati a casaccio presso al suo fianco esterno. Ed è ancora gran ventura quando ciò avviene, poiché bene spesso inveee un villano, che arando il suo campo discopre un resto di romano edi-fizio, ne adopera i marmi ad alzare una stalla al suo majale o vende per pochi soldi un' urna, una moneta, un cimelio qualunque, che illustrerebbero un Museo. Or ci si dica se tale .spettacolo non «ia tale, da attristare ogni animo bennato, se l'ira lungamente compressa non debba scoppiare impetuosa alla vista di cosiialto sperpero? Ma lasciamo le querimonie inutili sempre, e pensiamo piuttosto ai rimedj. Poiché le cose stanno pur troppo come abbiamo detto, su chi ne ricade la colpa e in qual modo potrebbesi ripararvi t JN'on è nostro costume velare o attenuare come che sia la verità, ossia ciò, che noi giudichiamo tale. E però diciamo aperto che la colpa è di tutti, dello Stato, della Provincia, del Comniune e dei cittadini. 1 monumenti di Pola sono proprietà dello Stalo, e come tali soggetti alla sorveglianza della Commissione Centrale, la quale ha nella provincia, che dicono del Litorale, un suo delegato intitolato appunto Conservatore dei Monumenti. vigila riverente q guale al mondo, mederò di attica gusto, e quella i A questo prima che ad ogni altro si raccomanda fervorosamente di rivendicare al primitivo splendore li avanzi romani di Pola, di provocare dall' autorità competente misure di polizia, che impediscano la quotidiana loro deturpazione dì ottenere dal bilancio dello Stato- » fondi neeessarj pei ristami, cine il tempo rende sempre più or-genti, di provedere infine a che le serperle, che si vengono man mano facendo, non vadano disperse e non divengano oggetto di urna vergognosa .speculazione o di linai più vergognosa disiru-z io ti e, ma siano raccolte e ordinate >n appesili locali ed esposte ad annoiatili ameniò- dal popola e a decoro del paese. Pensino poi. la Provincia e il Commune, che prima eh' essere proprietà dello Stalo, i monumenti, di Pola furono' e sono glorie della provincia,, patrimonio storie© e artistico, che noi abbiaisso ereditato dai nostri pa«-dri, documento di nobiltà, ehe debbiamo trasmettere integro e immaeolato ai negoii. La> rappresentanza previàeiale- quindi, anche senza una e-spressij disposizione di legge, ba il dovere di sorvegliare alla sua volta alla loro conservazione, di stanziare, occorendo,. i fondi necessarj, di eccitare il Commune e ricordargli il debito, che a lui spetta. E. il Commune di Pola non dovrebbe per vero aspettare li eccitamenti di alcuno. Lasciamo, per carità le finzioni legali, non cerchiamo di coprirci sol lo la responsabilità più o meno reale delli almi,, e pensiamo piuttosto che se lo Stato trascura la conservazione dei nostri a^ vanzi storici, la colpa forse ricadrà, sopra di lui, ma la vergogna e il danno saranno tutti nostri. Il Commune di Pola per verità prese in que-ti ultimi anni molti utili prevedimenti pel prosperamento della città, e tra- ir imbarazzi cagionali dall'improviso aumento di popolazione, a cui non corrispose un' eguale aumento dei redditi, tra le difficoltà, ciré 1* agglomeramento di lanla genie più disposta a criticare ehe ad adulare gli venne accumulando, esso seppe mantenere una amministrazione- regolare e lodevole. Abbiamo anche accennato già alle disposizioni date recentemente dal suo Podestà per la tulela dei tesori cittadini; ma vorremmo,, che nella generale apatia esso almeno non si anneghittisse, vorremmo che la quotidiana vista- die'suoi grandi monumenti e della venerazione, eon; cui il forestiero li visita, gli suggerisse di provedere da sé alia taro tutela, poiché altri non vi provede. Sappiamo li o-stacoli, eh' esso deve superare, ostacoli finanzia-rj e tecnici : ma crediamo tuttavia che senza molto dispendio e senza n^po di un' archeologo di professione qualche rimedio si potrebbe apprestare. La inferriata, che il Commune fece porre intorno al Tempio d'Augusto,, dovrebbe quanto prima essere posta anche airingSro dell'Arco de' Sergj e delle due Porte e potrebbe essere e-stesa anche all'Arena; i marmi che si vengono scoprendo potrebbonsi facilmente, se non ordinare, almeno raccogliere in luogo,, ove non fossero mescolati con arnesi volgari e indegni di tal vicinanza!. Così almeno la pulizia sarebbe rispettata e interrotta quella dispersione,, che oggi vediamo avvenire su larghissima scala di (pianto le molte nuove fabbriche vengono recando alla luce. Finalmente i cittadini di Pola poirebhero facilmente venire in ajiito' alla loro rappresentanza e dovrebbero recarsi ad onore di concorrere alla formazione di un Museo Patrio, che aggiun-gereMie splendore alla loro città. Resterebbe che ciascuno di essi attendesse a» raccogliere e conservare i capi d'antichità, ehe si scavano, e a farne dono al Commune, e a breve andare, senza quasi dispendio alcuno, il Museo sarebbe fallo. A ordinarlo si penserebbe poi. Poco lungi di Pola havvi la piccola città, di Albona: colà due cittadini benemeriti, i eui nomi sono troppo noti all'Istria perchè- ei occorra ripeterli impresero a raccogliere ogni cosa, ehe potesse illustrare la città e il suo territorio, lapidi, monete, pergamene, carte, oggetti naturali, rarità, e vennero così formando colle loro sole forze una collezione interessantissima, che può veramente dirsi un piccolo Museo patrio! Perchè I' opera impresa dai Sigg. Luciani e Scampiechio non trova imitatori? Perchè ciascuna delle nostre maggiori città non trova cittadini, che facciano per lei quello, che essi fecero per Albona? Perchè Pola non si ricorda che no-bl'esse obtige,. e che chi più ha più deve fare? Perché ? 0 rispetto e la conservazione delle antiche memorie di un* popolo, lo abbiamo già detto, é il migliore indizio' della presente sua civiltà, perocché in esse si personifica il suo passalo e si concreta il suo avvenire,, per esse Io straniero apprènde- a rispettarlo e le generazioni novelle acquistano la coscienza di sè, dei proprj destini. La storia è maestra della vita, disse Cicerone; ma quanto non sono più eloquenti li ammaestramenti, c e caviamo dalla vista anzi che dalla narrazione delle opere dei padri nostri? Non trascuriamo adunque cotesto elemento essenziale di trita, non lasciamo che il tempo e il martello demolitore disperdano li ultimi avanzi di un' epoca feconda di glorie e di grandezze, conserviamoli religiosamente, perchè lo straniero orgoglioso vi vegga la storia del nostro passato e i nostri figli vi attingano la fulucia di. un migliore avvenire. Il fascicolo 17 dell' Economia Rurale di Torino, dello scorso settembre, portava un eccellente articolo dell'egregio Egidio l'ollacci sul modo di preparare il vino. L'opportunità e la gravità dell' argomento, il modo eminentemente pratico seguilo dall'autore nello svolgimento delie sue idee da una parte, e dall'altra l'imperiosa necessità di smettere una buona volta da noi i metodi tradizionali ciecamente fin ora usati, e l'urgenza d'introdurvi quelle migliorie che la scienza e la esperienza ne suggeriscono di sicuro effetto, ci hanno indotto a pubblicarlo nelle colonne del nostro periodico, certi di l'are con ciò cosa grata agli e-nologi nostri e della quale hanno a saperci grado. Eccovi l'articolo. Leggetelo, e falene pio. ♦no» ,:9 t :,■:■!:;•;■ (5 .,t.f!S»)bHafhgO Ì1> 'Df*l7-»J&5 di alcune ISTRUZIONI PURAMENTE PRATICHE PER PREPARARE il VINO. . -iil «d&w* 'osfctf* a : . •. Vendemmia. — Non si dovrà procedere alla vendemmia, se non quando l'uva abbia raggiunto la sua perfetta maturità. Tutti i pratici conoscono benissimo i segni che accompagnano la completa maturità dell'uva, e perciò mi risparmio dal ricordarli. Per tale oggetto vi è pure un Strumento, detto gleucometro, il quale però non è di tanto facile descrizione, quanto sarebbe necessario per parlarne in queste brevissime i-struzioni. Procurate, possibilmente, di vendemmiare col bel tempo, non prima che il sole abbia dissipato la nebbia o fugata la rugiada, che sì depone sull'uva per la freschezza della notte; e, percorrendo i filari abbiate anche l'attenzione di separare quéi grappoli che non fossero venuti a maturità perfetta. Del separare i raspi daWuva. — I raspi aiutano la fermentazione e migliorano la qualità del vino rosso, purché in esso non rimangano per un tempo troppo lungo. Per aver dunque i vantaggi, e non gl'inconvenienti. che derivano dai raspi, dovrete svinar presto, f questo del restante è ciò che consigliano di fare tulli i più bravi enologisli. Della pigiatura. — La pigiatura dell'uva operata nella così delta culla da ammostare, mediante i piedi netti e puliti dell'uomo, è il mezzo che meglio prepara il mosto alla vinificazione. Per coloro, che non la conoscessero, dirò che la detta culla non è che una specie di cassa di legno con bordi non molto olii, e co! fondo perforato di molte e piccole aperture; la si collega sopra il tino, e vi si pone entro la conveniente quantità di uva, che un nomo o due pigiano agevolmente in poco tempo e con pochissima fatica. 11 mosto cade dai forellini nel tino, nel quale si gettano pure di quando a quando le vinacce rimaste nella culla. Questo metodo di pigiatura ha dei vantaggi, che non si riscontrano negli altri. Empimento dei tini. — Procurate, per quanto è possibile, che i tini siano convenientemente empiti entro le venliquattr'ore, acciocché la fermentazione, una volta cominciata, non provi interruzione, Io che accadrebbe necessariamente qualora per empire un tino si sedessero quattro o cinque giorni di tempo. Se il tino fosse molto grande, non avrete che ad aumentare il numero dei vendemmiatori. Se il tino (lave essere caperlo o scoperto. — Io vi consiglio decisamente il tino coperto, perchè col tino coperto si ha più vino; perchè la vinaccia non prende l'are/o neppure alla superficie, e perchè la massa, che bolle, si mantiene più uniformemente riscaldata. Ma diciamo ran poco: quando ed in qua! modo il tino si dovrà chiudere? Eccovi la risposta. Dovrete chiuderlo subito che vi sia slata posta la debita quantità di uva pigiata, ma avvertile che io intendo dobbiate chiuderlo semplicemente, e non ermeticamente: aggiustatevi a-dunque un buon coperchio di legno, ma noa in modo da otturarne le più pìccole fessure. Vi è anche 1111 altro buon mezzo di chiudere il tino, e consiste dell'adattare al coperchio un tubo di latta in maniera, che mentre una delle sue branche comunica con Finterno del tino, l'altra invece pesca in un vaso d1 acqua, il quale potrà essere collocato sopra il coperchio del tino stesso od in altro punto adattato. Qui pure, finché il tino non sia stato ripigiato, non occorre che il coperchio chiuda esattamente, ma, compiuta la ripigiatura, stuccatelo e otturatelo ermeticamente. L'acqua del vaso in cui pesca il tubo potrete cambiarla cigni volta che vi piaccia. Ripigialura 0 follatura. — Ripigiale ben bene il tino, e con la maggior sollecitudine possibile, nel primo giorno della fermentazione, ripigiatelo un'altra volta nel secondo giorno, e quindi non lo ritoccate sino al momento della svinatura. Svinatura. — Se volete dei vini delicati, profumali, salubri, di lunga dorata, e che piacciano ai compratori che li pagano mollo, svinate presto, e lasciale che la fermentazione, la maturazione e la perfezione del vino si compiano nella bolle. Assicuratevi che i vini, e particolarmente i vini fini, per un contallo troppo prolungato con le vinacce, hanno mollo da perdere e nulla da guadagnare. Ma quando, mi direle, si dovrà svinare? Non è tanto facile precisare il momento della svinatura, dovendo questo variare secondo che il succo delle uve è più o meno concentrato e zuccherino; secondo che la temperatura della tinaia è più o meno calda; secondo che la massa del mosto è più 0 meno grande. Nonostante, lasciando gli altri segni, generalmente fallaci, possiamo dire che una volta rallentato il bollore, 0 la fermentazione, ed il liquido, senza avere intieramente perduto Fabboccalo, si mostra di sapore decisamente vinoso, il vino è fallo e dovrà essere svinato e inesso sollecitamente nelle bolli. Sia pur torbido, sia pur caldo, dovete svinarlo, se volete farne col leiupo un vino realmente pregevole. A raggiungere del resto il momento della svinatura, dai G ai 10 giorni sogliono ordinariamente bastare. Imbottatura, — Di mano a mano che il vino vicn tòlto dal lino, lo passerete con la maggior sollecitudine nelle bollì precedentemente nettale e ben apparecchiale^ avvertendo però di non empirle intieramente affinchè le non Imbocchino. E pur necessario di non chiudere ermelicamenle il foro del cocchiume, diversamente non potrebbe uscire quel gaz, che continua per qualche tempo a svolgersi dal vino. Chiudete adunque, ma non in modo da ostruire tutte le più piccole fessure. Riempitura delle bolli. — 11 liquido 0 vino posto nelle bollì, sia per la evaporazione, sia per l'assorbimento che ne fa il legno, va un poco scemando, e da ciò la necessità che le botli siano riempile. Da princi- pio.s.và bene riempirle ogni settimana, ma enn l'andare del tempo questa operazione potrà farsi anche a più grandi intervalli, cessandola poi del lutto e chiudendo ermelicamente la botte al sopravvenire del freddo, che fa pur cessare nel liquido ogni fermentazione. Il vino per la riempitura deve essere della stessa qualità ed età di quello con cui fu fin di principio empita la bolle. Travasamenio. — Una volta cessala la fermentazione, il vino si fa chiaro perchè quelle materie o fecce che in esso stavano sospese, cadono a poco a poco Del fondo della botte, formandovi un deposito; ma questo deposito, col riscaldare dell'aria, può rimontare e mescolarsi di nuovo c«l vino, imprimergli un movimento fermentativo e determinare facilmente la sua alterazione: ecco perchè sono necessarii i travasameli li. L'epoca più opportuna per questa operazione sarà dal gennaio al marzo, e dovrà sempre eseguirsi in modo, che il vino rimanga il meno possibile in contatto dell'aria (1). Zolfalura delle bolli. — Se volete che il vino non giri e si gua ti nell'estate, zollale convenientemente le botti. Giunto il momento di travasare il vino, ripulirete ben bene le botli vuole, e quindi vi farete bruciare delle micce di zolfo, avvertendo però che non cadano nel loro fondo nè zolfo nè la cenere derivante dal bruciare della miccia. Zolfate per tal modo le botti, non vi resterà che riempirle tosto di vino e chiuderle ermeticamente. Chiarificazione, — Nell'inverno od al principiare della primavera dell'anno susseguente, il vino, di cui \i ho parlato fin qui, dovrà essere assoggettato alla chiarificazione artificiale; la quale serve a sbarazzarlo delle ultime sostanze, che vi si trovano sospese, non che di quelle capici di rieccitare la fermentazione, procurandogli quella limpidezza, che compie la sua perfezione, e lo rende più atto a conservarsi e ad essere in luoghi lontani trasportalo. Le sostanze per tal uopo impiegale sono la chiara d'uovo, la colla di pesce, il sangue. Chiarificazione col chiaro d'uovo. — Se volete servirvi di questo mezzo, dovete separare le chiare dal torlo, porle iu un largo vaso di terra velrinala, od iu «litro recipiente adattalo, ed aggiungervi un poco di quello stesso sino che solete chiarificare, il quale potrà essere nella dose di circa un mezzo bicchiere per ogni chiara. Sbattete ben bene il miscuglio con un mazzo di fuscellclli di vimiuo, o di altro legno adattalo, badando bene di continuare, finché non siasi ridotto presso che intieramente in ispuma. Ciò fatto, logliesi dalla bolle una cerla quantità di vino, sia perchè il vaso traboccherebbe gallandovi il miscuglio spumeggiante, sia perchè il liquido del vaso stesso non potrebbesi ben rimescolare, quando ne fosse perfettamente ripieno. In ullimo gettasi la chiara sbattuta nella bolle, e con lungo e pulito bastoncello di legno introdotto pel foro del cocchiume si agita il liquido iu ogni senso, e per circa 20 minuti, all'og- (I) Il barone Rirasoli, or sono circa due anni, scriteva al Comizio Agrario di Siena queste parole: A Broglio le uve *i fanno fermentare in vasi chiusi ; la fermentazione non si protrae di truppa, e si preferisce che si compia piuttosto nella bolle ; i travasi sono frequenti, e la chiarificazione dei vini destinati ad invecchiare è pure adottata. gello di distribuire uniformemente nel vino la sostanza chiarificante. Riempiesi la bolle col vino che ne fu e-slrallo. logliesi la spuma che suol montare alla bocca della botte stessa, sì chiude legermente, e lasciasi hi riposo. In capo a 10 o -12 giorni, il chiarimento del liquido suol essere compiuto, nè altro rimane a fare, clic operarne con le solile diligenze il Invasamento, per separarlo dal deposito, che in questo tempo si è andato formando nel fondo della bolle. Tre o quattro chiare sono sufficienti per un ettolitro di vino. Volendo poi chiarificare il vino con la colla o siv-vero col sangue, potrete valervi dei due metodi seguenti, che io trascrivo dal Manuale del Vignaiuolo del distinto enologo signor Francesco Lawley; e questo io faccio perchè sono pratici, e perchè mi sarebbe slato impossibile di descriverli con maggior concisione e chiarezza dì quello che ha fallo il Lawley- Chiarificazione con lo colla di pesce. •— La colla di jiesce deve essere bianca e trasparente, e si deve fare rammollire in una piccola quantità d'acqua, in proporzione di tre grammi, ogni due ettolitri, lasciandosela un'intera nolle: di poi vi si aggiunge altra quantità d'acqua, si agila a fine di scioglierla meglio, e qualora ciò non si ottenga, si pone a fuoco lento; quindi si passa per pannolino. Questa colla passata, si mescola ad una mezza bottiglia del vino che si vuole chiarire, si sbatte insieme, e si mette nella botte che 10 contiene. Si può anche struggere la colla in una quantità dello stesso vino che si vuol chiarire tenendolo sopra uu fuoco che non lo riscaldi inolio. Allora con un bastone, spaccato in quadro nell'estremità, si agita quanto più è possibile il vino nella botte, poi questa si tappa, e dopo 7 o 8 giorni si potrà decantare o travasare: il liquido, perchè la chiaritura avrà 11 suo effetto. Chiarificazione col sangue di bove. — Questo modo è usato da molti per chiarire i vini rossi, ed agisce prontamente, perchè dopo 24 ore esso ha compiuta l'operazione, ed ha chiarito il vino. Si prendano due decilitri di sangue di bove, per ogni ellolilro di sino, si sballano in un mezzo litro del vino stesso, quindi ponendolo nella botte, presto sarà chiarito, e si potrà decantare. Alcuni vogliono che il sangue di bose infiacchisca il vino; nonostante si usa perchè è pronto l'effetto che se ne ottiene. Questo genere di chiaritura però è soltanto da adoperarsi nei luoghi ove si può ottenere il sangue fresco. Imbottigliamento. — 11 vino non si dovrà imbottigliare finché non abbia raggiunto almeno -16 o 18 mesi d'età. Quindici o venti giorni prima di procedere a tale operazione, si suol anche assoggellare ad una nuova chiarificazione, a meno che tuttavia non sia destinato ad essere sollecitamente consumalo. Lavale poi le bottiglie, e perfèttamente sgocciolate, si riempiranno in modo da lasciare tra il liquido e il tappo un intervallo di 2 a 3 centimetri circa; chiudetele quindi, ma con soveri di buona qualità, il che vuol dire che dovranno essere sani, elastici e non angolosi. Posta poi che avrete la punta o la parte più sottile del sovero nella bocca della bottiglia, lasciate fare, il , resto ad un martello di legno, o ad altro strumento adattato. I soveri troppo grossi polranno essere assottigliati battendoli con martello di legno, o anche valendosi del cosi detto schiaccia tappi, che trovasi ^facilmente da comprare. Per rammollirli dovete servici fu di quello stesso vino che avete da imbottigliare: l'uso dell acqua dovrà essere bandito. Utilissima è poi la fasciatura cou la foglia di stagno, la quale fa sì che nella bottiglia non penetri aria, che è il più gran nemico del vino. Vi dirò in fine : volete imparare a chiuder bene te bottiglie? osservale attentamente quelle piene che vengono di Francia. Mi duole il dirlo, ma pure, in latto di vino, gli Italiani hanno ancor molto da imparare dai Francesi. Sotto il nostro cielo di paradiso, cou terreni, esposizioni e climi adattissimi, non si possono a-vere vini propriamente cattivi, ina nella loro prepara-zionCj meno rare eccezioni, l'arte, che lauto li corregge e li raffina, non entra che per poco o nulla. E a credere però che i figli dell'Italia risorta non vorranno più a lungo rimanere secoudi in un'arte, nella quale ebbero già un ineoutcstalo prunaio. * --. ' i ■ ' .. s. lì . > 1 __ («up'Jft'i» ùliUi$Mf} j ,(•» ti"1 • ' ùf Dt ssa società' enologica pkr t' Istria. A merito della camera di commercilo e delPL r. Società agraria di Gorizia si sta or» cosili in-nd» colà ima società enologica per Vampkimentoifch commercio dei vini goriziani mediante una razionale s più perfetta loro preparazione. Ne- f» già stampato il progetto di statuto, approvato dall'i, r. Luogotenenza,od il comitato fondatore, 'rappresentalo dai signori Ettore cav. Rider ed Alessandro Claricini, lo diramò nelle lettere d'invito a parteciparvi» Secondo il progetto que-sla società avrebbe la durala di 10 anni, ed il capitale ne verrebbe formato mediante azioni da. Lui 100 l'una, di cui per la definitiva costituzione dovrebbero raccogliersi almeno 400, sicché il minimo del capitale fondazionale importerebbe I ni 40000; però ne verrebbe versato nella cassa sociale subito solo y3, e gli altri y. nel tempo a stabilirsi dall'adunanza generale : un 50% potrebbe corrispondersi dagli azionisti in uva. ."Non è a dubitare, e noi lo auguriamo di cuore, che co-lesta società prenderà esistenza, promossa che è da due influenti corporazioni, e favoreggiata dalle perso-aie più ricche del paese. Ma se questa è anche per noi allegra notizia, considerato l'utile che immancabilmente ne avrà a derivare a provincia consorella della nostra, essa ci fa prosare un doloroso senso di mortificazione con ciò che richiama il nostro pensiero all'urgenza che noi avremmo di una simile istituzione, al molto bene che 1' I-stria potrebbe ripromettersene ed al non scusabile abbandono in che ora giace un progetto consimile egregiamente avviato. Iniperciocehè, spiacc il confessarlo, ina non è meno vero, che con una maggiore energia, nn maggior patriottismo, ed un maggior coraggio d'intrapresa, noi possederemmo oggi una società bella e fatta ed operante, e ci saremmo risparmiata Pumiliazione di essere secondi agli altri anche in questo. Come molti rammenteranno, nell'aprile dell' anno 4866 s'era costituito in Trieste un comitato dì persone (*) che desiderose di aiutare il miglioramento economico della nostra provincia s'erano proposte (") Erano i signori Vincenio Puschi e Domenico Ruggier, fe Trieite, e Bartolomeo Gianelli e Giovanni Depangher, da Capodistria, — di fornirla precisamente d'una società enologica per inlrodurre nella vinificazione quei perfezionamenti che valessero a sottrarla all'ostinalo empirismo dei metodi noetici, e ad accreditare i nostri vini all' estero, a-prendo ad essi eosì maggiori e più proficue vie di smercio. H progetto di statuto compilato da questo benemerito comitato fondatore disponeva nel principale che hi società s'intitolerebbe » Società enologica triestina * e si formerebbe con 100 azioni da Lui 50 l'una, ch'essa avrebbe sua sede in Trieste, che i vini da essa confezionati, sotto la direzione di un enologo di riconosciuta eapacilà, verrebbero messi in commercio sotto Pindicazione di vini istriani, con raggiunta della loro qualità e delle località dove naie le rispettive uve, che la società durerebbe due anni a prova e poi verrebbe eslesa a dieci anni se radunanza generale ne desiderasse la continuazione,, che i soci avrebbero a lasciare in aumento del capital» sociale il 10% dei guadagni netti fino a elle la soeìetà deliberasse altrimenti. Vi sì diceva, inoltre, che a fine d'indurre ima desiderabile gara nei possidenti agricoli, e di diffondere i migliori metodi di viticoltura e di fabbricazione dei vini, la società procurerebbe, in proporzione alla propria influenza od ai propri mezzi finanziari, che si tenessero di tratto, in tratto, ora in questo ed ora in quello circondario vinicolo, esposizioni di uve e di vini, e promuoverebbe eonvegni dei maggiori possidenti e degli agi io u 8 ini del paese. La supplica per ìl permesso alle operazioni preliminari veniva presentata dal comitato fondatore all' i. r. Luogotenenza in data 6 aprile 1866, con la speranza, ragionevole, che 1' evasione non si farebbe attendere a lungo, e che sarebbe possibile la società incominciasse la sua vita e la ssa attività ancora in quell' anno medesimo. Ma altrove non si aveva tanta premura, e Pevasione discendeva appena iu data 7 febbraio, 1867, id est dieci mesi dopo la presentazione. Ritardo siffatto in cosa si importante ed urgente farebbe da solo sospettare che P istituzione non fosse guardata di buon occhio, perciò elle vi si fossero messi alla testa persone colà non benevise, e non sarebbe temerario giudizio il ritenere che si abbia odorato uno scopo politico sino in una società per far migliori i nostri vini i erano cose di quei tempi, ed adesso che qualche mutazione avvenne si può arrischiare a dirlo. Se nonché più fatale del ritardo fu il tenore delPcvasione. Accordava questa, in massima, il permesso di avviare i passi opportuni per l'istituzione della » Società enologica triestina"», ma aveva il correttivo di condizioni che equivalevano nell' effetto ad una franca ripulsa. Cioè veniva imposto Pobbligo di portare da 50 f.ni a 100- il valore d'ogni singola azione,e si fissava il minimo del capitale sociale in f.ni 50000 in luogo dei 5000< portato dal progetto di statuto, perciocché, dicevasi, il capitale proposto di f.ni 5000 non starebbe in relazione con gli scopi dell' associazione. Di fronte all' enorme esigenza cascarono le braccia a quelle persone che, mai supponendo simile risposta, s'erano intanto con consumo di tempo e di danaro, adoperale a preparare la strada alla società, pubblicando inviti e raccogliendo soscriziouì ("), e che ave- vane la coscienza di avere ben riflettuto ogni disposizione del loro stallilo e di avere misurato l'importare del capitale sulla possibilità di concorrenza che offriva il paese dove bisognava raccoglierlo. Concios-siacliè se anche la società portava il nome di triestina e per la sua sede in Trieste, e per P iniziai iva che da Trieste era partita, per il suo scopo essa era essenzialmente istriana, e l'Istria io principalità aveva obbligo di farle lieta ed onorevole accoglienza e di assicurarne la fondazione. Ora chiunque conosca un pochino la nostra provincia sa che cosa voglia dire per essa 50000 f.ni per un' impresa sociale. Dipenderà forse non tutto da impotenza, ma dolorosamente la è cosi. L'Istria è poverissima in danaro, e quei capitali qualunque che pur vi si trovino, stanno raccolti iu poche mani, restie a darli fuori. La propria pecunia ciascuno la vuole amministrare da sè, e vederne i frutti sotto i propri occhi, anno per anno^ mese per mese ; metterla in una cassa sociale pare loro quasi un perderne la proprietà. Nou ci furono mai abituati, perchè lo spirito d' associazione mai è stato qui favorito; Il comilato dunque comprese subito che la condizione posta dal governo alla istituzione della società tagliava le gambe alla loro impresa, e furono costretti ad abbandonarla. E qui ci sia permesso di aggiungere queste altre osservazioni. I cangiamenti governativi che sconoscevano in siffatta maniera la realtà delle cose si devono a quella tutela burocratica cJie vuol darsi il merito di prendersi a cuore, non chiesta, interessi esclusivamente privali. Diceva l'evasione che il capitale di f.ni 5000 non stava in relazione con gli scopi dell' associa/ione. Ora da ehe sulP onestà dei promotori « sulla lealtà delle loro intenzioni non era permesso a nessuno di sollevare dubbio di sorte, perchè erano persone superiori in ciò a qualunque sospetto, da che ciascuno, prima di soscrivere le azioni, sapeva gli scopi della società di cui diventava membro, non trova giustificazione questa ingerenza governativa che vuole aprire gli occhi a chi, come direttamente interessato, li ha già aperti, e mette infondati timori dove lutti veggono le cose liscie e naturalissime. Col di più poi che prudenza anzi esigeva non si arrischiasse un capitale grandioso in una istituzione interamente nuova nel nostro paese; in un tentativo. Se non che è anche errato il dire che f.ni 5000 erano pochi per gli scopi della società. Scopo principale di questa era il migliorare i vini dell'Istria coi metodi suggeriti dalla scienza e l'aprire loro nuove vie di smercio. Ebbene, prima di tutto era sperabile che ottenuta l'approvazione degli statuti e l'autorizzazione a imprendere i passi primi per la fondazione della società, le soscrizioni non sarebbero rimaste alle 100 azioni, e che quindi il capitale sociale avrebbe raggiunto subito da principio i 7 ed anche 10000 f.ni. In secondo luogo, siccome le spese, così dette d'impianto, erano piccolissime, una somma di 4 o 5 mila f.ni che sarebbe rimasta disponibile, avrebbe con ogni sufficienza bastato per il primo acquisto d' uve, ]a prima fabbricazione di vino, e le operazioni per la sua vendita. I primi passi sarebbero stati, naturalmente, misurati sulle forze della società, e non sarebbero slati assai piccoli anche con la misura di un capitale fondazionale di f.ni 5000. Adesso quello che è stato, sia stato. È deplora- bile clic per questo modo siano andati perduti due anni, e che altri ci abbiano preceduto; ma nelle fatta non giova dar di cozzo: si volle così cala dove si puolc, ciò che si vuole, e più non dimandare. Piuttosto bisognerebbe ora pensare a guadagnare il tempo perduto. Nei due anni decorsi accaddero gravi mutazioni, e certe cose voglionsi sperare non più possibili. Perciò a me sembra farebbero opera tempestiva c patriottica quei benemeriti ai quali prima venne l'idea della provvida ed utilissima associazione, se si ricostituissero in comitato fondatore e riproducessero la domanda di approvazione secondo il primo progetta di sta luto, giustificando il mantenimento della primitiva quantità del capitale fondazionale. Gl'istriani, poi dal loro canto avrebbero sacro dovere di dare tutto l'appoggio pecuniario e morale ad una istituzione che potrebbe essere per loro feconda dei più lieti risultali, e portare radicali e benefiche mutazioni nell'agricoltura istriana, presentemente tanto in basso. La nostra camera di commercio dovrebbe caldeggiarla con ogni inpegno, imitando il lodevole esempio della goriziana, e lutti i municipi istriani confortarla del loro appoggio, prendendovi parte. Noi istriani quando ci troviamo fra mano un bicchiere di vino nostro, del lino, non terminiamo dal cantarne in tutti i tuoni le lodi, e poco manca non ne andiamo orgogliosi: a u-dirci, i vini nostri, se si fabbricassero come Dio comanda, metterebbero in sacco tutti i vini di questo mondo. Dunque come li sappiamo levare a' sette cicli, e farli scorrere carezzevolmente nel gorgozzùle con ghiottona compiacenza, vorrebbe gratitudine che ci ponessimo una buona volta all'opera d'ingentilirli, d'incivilirli, di presentarli convenevolmente ad altri paesi, perchè la loro carriera nou abbia a finire eternameiir te nelle locande od osterie di Trieste. E sarebbe in verità dolorosa vergogna se ci fosse necessita di mendicare fuori dell' Istria la soscrizio-ne di azioni per una società diretta esclusivamente al vantaggio nostro. Ogni maggiore nostra città potrebbe, senza sfòrzo, soscrivere 20 azioni, chè ognuna «v vrà certo almeno 20 persone in grado di esborsare Uni 50 senza il menomo imbarazzo. .Naturalmente per questo anno la società non arriverebbe ad entrare in attività, ma dopo l'esempio del ritardo passato sarebbe cauto che chi si risolvesse a costituirsene promotore non perdesse tempo, anche per avere maggiore comodità nella raccolta delle azioni e nell'opera del primo impianto. Non è a tacere finalmente che il patriottismo degli azionisti non rimarebbe senza il suo compenso; giacché, dopo tutto, questa associazione sarebbe eziandio una buona speculazione. Rovigno, settembre. __ ' , : : ■ r-J■ v : ■ ■■ ; •. >■'••/ •„■ r^l ir:;-.. V A R I E T À. sifàb ciucine* slcJòl n oftebso ottoni al sllnl aib Uh cespite 01 rendita pubblica raccomandabile. Nella Svezia è proclamata la legge seguente: « La prima volta che un uomo si fa vedere in pubblico nello stato di ubbriachezza è condannato ad una multa di quindici lire, pena sussidiaria il carcere. La seconda volta a treuta lire; la terza e la quarta a una somma maggiore; perde il diritto di elettore e di eleg-bile, e soggiace alla pena dell' emenda pubblica in faccia alla chiesa parrocchiale la domenica successiva al suo reato d'intemperanza; la quinta volta è rinchiuso in una casa di correzione e condannato a sei mesi di lavori forzati; la sesta volta intine è condannato ad un anno di carcere coi lavori forzali. » Per noi basterebbe la multa. -l'I 14 S* filili fel >trHi1>u[> : Sulla Caccia. Ora ciré le cavallette si mangiano il raccolto in Sardegna ed i bruchi nella Puglia ed in Lombardia e questi si mostrano pure così numerosi nelle nostre campagne, da farne presagire per l'anno prossimo una grande invasione, è necessario che a prevenire il gravissimo danno che tali insetti recano all'agricoltura, siano emanate e fatte eseguire severissime leggi contro la caccia degli uccelletti, la cui missione più importante è quella appunto di distruggere gl:insetti, è necessario che i nostri conladini smettano la cattiva abitudine di accalappiare con ogni sorla di trappolerie le nidiate, e di gettarsi con avidità alla presa, particolarmente nell'inverno, degli uccelli di ogni sorta. In Italia abbiamo circa 500 specie di uccelli insclti-•vori; ma pur troppo, per lo sfrenalo uso della caccia e della persecuzione d'ogni genere che loro si ti), alcune razze vanno scomparendo, altre diminuiscono sensibilmente, e cresce invece con proporzione spaventosa il numero dei bruchi che invadono le nostre campagne. Nella natura tulio è prestabilito con un certo equilibrio, e quando questo viene alterato, sono inevitabili « dannose le conseguenze. L'uccello vive a spese dell'insello, e questo a spese degli alberi e dei campi. Tutti i naturalisti, da graii tempo, hanno gridato l'allarme contro alla distruzione degli uccelli, così dannosa all'agricoltura; leggi furono emanale, e sussistono e qui e da per tulio; ma non sono latte debitamente eseguire. D'altronde, più che i contravventori alle leggi sulla caccia, sono temibili gli avidi bifolchi, che liirbano le covale degli uccelli, o pure li prendono con «lappole, lacci e richiami, senza bisogno di licenza alcuna. In mancanza di leggi, gli antichi posero sotto la protezione dei Numi, YIbi, che si pasce di vermi e di molluschi nelle rene del Nilo: i Greci e gli Ebrei proibirono con pene severissime la distruzione degli animali insettivori. Nella Svizzera, in Francia in Germania ed anche in Italia, esistono leggi: ma di recente una ne venne pubblicata in Pruscia, dove si manifestarono tali danni, che nelle foreste dello Stato si dovettero abbattere fuori di tempo più di 24 milioni di metri cubi di abete, perchè, attaccati dagli insetti, stavano per morire: la qual legge vorremmo fosse applicata auche da noi, e fatta severamente obbedire; a tal fine determinando che tutte le multe cadano a totale vantaggio delle guardie incaricate della sorveglianza e degli stessi denuncianti. Ecco la legge: Art. 1. E assolutamente vietato di uccidere o di porre in gabbia gli uccelli insettivori. (Qui sono no- minate le varie specie di questi uccelli, fra cui l'usignolo e la rondinella, il pettirosso, la quaglia ecc.) Art. 2. E pure proibito di turbare le covate degli uccelli, di levare i nidi degli uccelli nominati nell'art. primo, oppure d'impiegare trappole, lacci, richiami o qualunque altro apparalo per prenderli. Art. 5. I eonlraveutori vengono puniti con una multa da 1 a 10 talleri, e colla prigione, o con una di queste due pene soltanto. Art. A. A datare dal primo gennaio 1868, è proibita la vendila e il trasporto di uccelli nominati nel prillio articolo. I contravventori sono ponili con un'ammenda di 20 talleri al massimo, e di prigionia o di uno di questi castighi soltaulo. - luoo'jq niiqoiq eJ del come aumentare il raccolto delle patate. Il signor Lenormard per aumentare il prodotto in tuberi delle palate consiglia di togliere i liori alle pianticelle mano mano che si sviluppano. La natura, egli dice, mira sempre alla riproduzione delle specie: sopprimendo i liori e per conseguenza il futuro seme, il succo nutritore trovasi costretto di portarsi sulle radici ed i tubercoli diventano per ciò più numerosi e più voluminosi. Il signor Lenormard ha fatti per due 4imi esperimenti di confronto dai quali ebbe risultati conviucentissimi iu favore del taglio dei fiori, figli assicura che dalle piante sottoposte all'esperimento ottenne il doppio e persino il triplo di bellissimi tuberi iu confronto di quelle coltivate col solito sistema. >■( f»i'• »t. aq«ri« l'irli?■*».'.)} t-fi* l't'IJ m ATYISO. Ili ISJ' lì) J5? £ » Jplì l)lfcQ!«p -MIIM Nel Nro. 216 dell Osservatore Triestino leggiamo una pubblicazione di concorso ai sussidj della fondazione Sothen, destinata a vantaggio dei Militari divenuti invalidi nel- DO le campagne del 186G, delle loro vedove e figli; espressamente compresa anche l'i. r. Marina. Osservato, che la pubblicazione, seguita nella sola lingua tedesca, non facilmente giungerebbe a conoscenza dei chiamati nell' Istria, stimiamo opportuno di renderne attenti gli Istriani ; osservando anche che il termine a produrre le relative domande, regolarmente corredate, all' i. r. Comando militare di Trieste, è fissalo al giorno 5 del corr. Ottobre. __ fi? DI GIUSEPPE TONDELLI. NICOLO' de MADONIZZA Kedittor».