Anno III. Capodistria, Novemiire-Dicembre 1905. N. 11-12 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE Capodistria, la Piana M Cone nel secolo II L'aspetto della Piazza, Platea coraunis, di Capodistria, poi ta da oltre quattro secoli la sua vecchia impronta, che si formo diretta dai profili antichi dei palazzi Bretori, dell'Al-bergo nuovo ed Armeria, da quelli delle čase che occupavano lo spazio su cui sorse la Loggia nuova e del Portico della preesisteute Basilica. • Al principio del sccolo XIII, sotto il dominio temporale della Chiesa d'Aquileia, sullo spazio in oggi occupato dal palazzo pretoreo sorgevano due distinti edifici; quello a sinistra adetto a sede del potestas Iustinopolis, 1' altro a destra del potestas Marchionis (gastaldio o potestas regaliae)1). Ncll' anno 1269 il comune di Capodistria sotto la reggenza del podesta e capitano del popolo Mariano Morosini eresse la prima Loggia tra i due palazzi pretorii2). Di questa Loggia, che venne chiamata in seguito lubia vetus per distinguerla dalla lubia nova, esistono ancora le traccie sotto il portico del palazzo pretorio. In quei tempi il palazzo del podesta (potestas Iustinopolis) era congiunto colla torre del comune, la quale si presentava isolata senza alcun accesso dalla piazza e doveva apparire piu estetica, priva della cuspide che le venne aggiunta piu tardi. A breve distanza dalla torre, di fronte aH'Albergo novo ed ali'Armeria, su una lunghezza di ventitre passi, si estendeva *) Camillo De Franceschi — II comune Polese o la Signoria dei Castropola. Atti e Memorie della Societa di Archeologia e Storia Patria. — Anno 19. Vol. XVIII, pag. 183. — Cod. dipl. istr. anno 1200 e seg. 2) Da una iscrizione lapidaria deli' epoca, che trovasi in oggi murata nell'Atrio dol Ginnasio di Capodistria. il portico della Basilical). Una bellissima miniatura che fregia un antico corale posseduto dal Duomo, riproduce la facciata deli' antica Basilica, la quale senza rivestimenti, semplicissima si presentava con tre porte corrispondenti alle navate e nel mezzo in alto sopra la porta principale si apriva una finestra rotonda che dava luce alla navata centrale 2). Le due čase in quei tempi esistenti hi dove sorgerS, piu tardi la loggia nova, erano di proprieta del comune, forse adibite a pubblici uffici, certo in una vi erano i campioni delle misure lineari e di volume imposti dal comune e la pubblica stadera3). Le successive moditicazioni che nel corso degli anni doveva necessariamente subire l'aspetto pristino della Platea comunis nel fatale rinnovarsi degli edifici che 1' attorniavano, le vediamo spesso accelerate dali' opera distruggitrice del fuoco che imponeva la loro ricostruzione. Cosi durante la rivolta del 1348 contro il dominio della Veneta Republica4) venne incen-diato il palazzo pretoreo ed il ristauro che ne segul valse a mantenerlo fino ali' irruzione dei genovesi i quali nel 1380 capi-tanati da Paganino Doria posero a sacco la citta, incendiarono il convento e la chiesa di S. Domenico, l'Atrio della Basilica, i palazzi Pretori e molte čase del rione di Zubenaga. La sollevazione di Capodistria contro il veneto dominio fu la crisi violenta di un conflitto ardentissimo, una crisi certo non propria di questa citta, che anzi ebbe sorelle assai rasso-miglianti in altre comuni della costa orientale dell'Adria quali Trieste e Pola, crisi che gitto nell' oscurita medioevale un tragico bagliore che valse a rischiarare le dure condizioni dei tempi. Troppo lontano dal modesto nostro assunto ci trarrebbe 4) Tanto viene rilevato dal tenore della supplica del vescovo giusti-nopolitano Lodovico Morosini, diretta al Veneto Senato per rivendicare alla sua Chiesa la proprieta dell'Atrio, usurpata dal Comune. Documenti della Cattedrale di Capodistria. 2) Questo antico Corale in pergamena, adorno di bellissime miniature, viene conservato nella cancelleria deli' amministrazione della Chiesa Concattedrale di Capodistria. 3) Da documenti della Chiesa Concattedrale relativi ali' ampliamento della antica Basilica. 4) Giovanni Cesca — La sollevazione di Capodistria nel 1348. — Drucker e Tedeschi, Verona e Padova, 1882. il chiarire la lotta tra le citt{\ istriane e Venezia, lotta che in questo paese e la caratteristica della vita italiana del medio evo. Come ogni altra contesa che ha le sue radici in profonde ragioni storiche, anche questa si aggroviglia in un' innumere serie di avvenimenti grandi c piccini: ribellioni preparate di lunga mano col malcontento e le cospirazioni, conflitti non mai quietati e sempre rinascenti, gelosie e guerricciuole tra citta e cittii, insidie e soperchierie baronali, la nessuna garanzia di protezione e cli difesa che offeriva il governo dei patriarclii aquileiesi ebbero per corolario la Veneta Signoria del Mar-•chesato. * * Di tutti gli edifici che incoronano la piazza clel comune quello che nella sua genesi storica evoca i fatti piu ignorati e fortunosi della cittii e la Cattedrale. La prima, 1'antichissima Cattedrale venne eretta durante la dominazione Bizantina nei primi decenni clel secolo VI quando la cittA, chiamata Capri prese il nome di Giustinopoli in onore deli'imperatore bizantino allora regnante; e la seconda, il presente dnomo, venne fondata cinque secoli dopo dalle forze riunite del libero comune. Le speciali condizioni fatte dalla natura a questa citta che sorge in un' isola, un tempo assai piu difesa dal mare che non sia al presente e le mura che 1' attorniavano, la rendevano nel secolo V quasi inespugnabile. Si fu per questo che intorno ali' anno 480 la popoiazione cli Capri ebbe un notevole incre-mento dai profughi qui riparati dinanzi alle irruzioni barba-riche Ristabilito nell' anno 539 il dominio Bizantino con grande letizia della popoiazione che odiava gli ariani Ostrogoti, su-bentro un periodo di pace che fu rotto dali' ansia e dalla paura che invase la popoiazione nel 568 durante la prima scorreria procellosa e devastatrice dei Longobardi i quali saccheggiarono ') II Patriarca Marcellino dalla sua sede di Aquileia infestata dai barbari, nei primi anni dopo il cinquecento qua trasferi la sua residenza, dimorandovi per 1' intero corso di dodici anni; e morto ch' egli fu, Steffano succedutogli nel Patriarcato, qui pure flsso il suo soggiorno fino ali' anno vigesimo quinto del secolo predetto. P. Naldini, Corografla Ecclesiastica della Diocesi di Iustinopoli, Venezia, Albrizzi, 1700. il Friuli, 1' Istria superiore e smantellarono la citta di Trieste 1). Allora in questa isola ospitale cercarono riparo i fuggiasclii della regione contermine, molti dei quali vi si stabilirono. Poco dopo la citta di Capri allargo la sua cinta abbracciando colle nuove mura i sobborghi abitati dai profughi; ed a testimo-nianza della gioia per la sconfitta degli Ariani e per la ridonata Santa Eepubblica prende il nome di Giustinopoli, in onore del-1' imperatore Giustino. D. N. Caes. Iustinus P. Sal. Faelix, Pius, Inclitus, ac triumphator semper Augustus. Pont. Max. Franc. Got. Max. Vandal. Max. Cona. IV. Tribun. VII. Imp. V. conspicuam liane Aegidis Insulam ad intima Adriatici Maris commodisn. interieetam Venerandae Palladis Sacrarium quondam, et Colchidum Argonautarum persecutorum guietem, ob gloriam propagandam Imp. S. C. in Urbem sui nominis excellentiss. nuneupandam honestiss. P. P. P. designavit, fundavit Civibus Ro. Po. Q. et gente honestissima refertam. Si fu allora che i Giustinopolitani eressero la prima Ba-silica Cattedrale votata a Nostra Signor a, e nella loro ardente fede fortificata nella lotta del perdurante scisma 2), la vollero edificata fuori la cinta turrita della citta romana, sul terreno sacro ali' ospitalit& e benedetto dalla sventura. Nel lungo periodo di questo litigio scismatico (a. 556-698) vennero costruiti nell' Istria numerosi templi, molti dei quali tuttora si presentano nel loro aspetto primitivo, altri ci per-vennero piu o meno modificati dai successivi restauri che non riescirono sempre a cancellare la loro impronta originale. Questa apparizione sinerona di tante Chiese, assai piu che alla liberalita dei principi, devesi attribuire al sentimfcnto religioso deli' epoca, alla pieth del elero e del popolo, alla fervida e viva fede alla quale allude il veseovo Eufrasio nel-1' iserizione musiva da lui posta nella Basilica di Parenzo: et fidei fervens ardore sacerdos, Eufrasius. «E non senza ragione storica sorsero appunto in questo tempo si numerose le basiliche nell'Istria: erano espressioni *) Kandler, Cod. dipl. istr. anno 568. — Dandolo, Chron. V 15. 14. — Iohannis, Chron. g-radense. 42. 2) Scisma dei tre Capitoli, chiamato anche Scisma Istriano perche i Vescovi deli' Istria ne furono i piu arditi ed ostinati fautori. Baronio Annales ecclesiastici a. 553. Rubeis Mon. Ecles. Aquil. XXII. Vascotto Padre Chiaro — Lo scisma istriano (Istria a. 1847 II n. 3). di gratitudine verso la divinita per averla liberata dal giogo degli Ostrogoti ariani ed avervi ristabilita la Santa Republica, erano espressione di quell' ardente fede religiosa, che viviflcata nella lotta, non fiacca ed offusca il sentimento, ma lo innalza a piu eccelsi ideali. A quel tempo 116 Longobardi, n6 Avari, nč Slavi avevano ancora impressa la loro orma sanguinosa sulle zolle dei nostri campi; ne i tesori accumolati dalle pre-cedenti generazioni nei lunghi secoli di pace e di prosperiti erano divenuti trofeo a genti barbare e pagane» '). La soppressa Chiesa della Madonna della Rotonda fu in origine il Battistero della prima Basilica Cattedrale di questa citta, e se di quell' epoca a noi lontanissima non abbiamo che poche memorie scritte2) che alludino alla sua esistenza, in con-cambio parlano le ruine e le pietre sculte deli' epoca che po-tranno ravvivare la scintilla del vero e farcelo apparire nella sua semplice nuditi3). Questo Battistero porta tutte le impronte della origine primitiva. Davanti la sua porta che un tempo si apriva a meriggio si estcndeva un Portico del quale rimangono ancora le traccie e nell' interno nel mezzo aveva una cavit& dove trovasi sepolta tuttora una vasca rotonda di due metri di dia-metro alla quale si scendeva da una specie di gradinata per entrare nell'acqua. Questo Battistero non sorgeva isolato. Si hanno sicuri indizi che ai suoi fianchi esistessero altri edifizi ai quali accennano delle porte oggi murate tra cui 6 certo es-servi stato il Consignatorium, luogo dove il vescovo impartiva la cresima ai neofiti, al quale certamente allude una pietra ') Bernardo Dr. Benussi — L' Istria nell' epoca bizantina. Lettura tenuta al VI Congresso della SocietA, Istriana di Archeologia e storia patria. Atti e Memorie, Anno VIII. Vol. VII, fascicolo 3-4, pag. 429. Parenzo, Ti-pografia Coana 1891. 2) Negli atti dei Santi Permo e Rustico scritti intorno 1' anno 750 pubblicati dal Maffei (Istoria Diplomatica) e. noti ali' Ughelli, al Padre Pietro Padoano ed al Panvinio, si fa cenno di una Chiesa esistente in questa citta dedicata a Maria Vergine. — Vedi Carli, delle Antichita di Capodistria. 3) II compianto canonico Don Paolo Deperis aveva in animo di pra-ticare degli scavi nella vicinanza della soppressa Chiesa della Madonna della Rotonda, certo di rinvenire le fondazioni ed altri oggetti pertinenti alla scomparsa Basilica, dopo avutane la certezza dalle osservazioni ed assaggi fatti che la Chiesa della Rotonda era un antiehissimo Battistero. sculta in forma di croce adorna di intrecci a nodi e della mano episcopale che impartisce la cresima. La primitiva Basilica Cattedrale che sorgeva accanto il suo indivisibile compagno il Battistero, sara stata probabilmente soppressa per cagione della sua decrepitezza nel periodo stesso che segui la costruzione della seconda Basilica trasformata nel duomo attuale: e allora forse per conservare alla venerazione uiTimmagine della Vergine esistente nella diruta Basilica questa sarti stata trasportata nel Battistero il quale trasformato in Chiesa venne chiamato per la sua forma la Rotonda. Questa Chiesa, come abbiamo accennato, aveva la porta a mezzogiorno, il vescovo Paolo Naldini nell' anno 1700 la fece restaurare, e mutandone 1' asse porto il suo ingresso dal lato di le vari te, e di faccia vi trasporto 1'altare sul quale all'anti-chissima madonna bizantina era stata sostituita aneora nel 1546 una Madonna opera di Benedetto Carpaccio. A meriggio di questa antichissima Basilica Cattedrale si estendeva aneora durante molti anni dopo la sua demolizione un largo spazio intersecato da orti e vigneti, che imprimeva un carattere ru-rale a quella estesa loca lita denominata Caprile. Su quest'area vennero in seguito edificati i conventi e le chiese dei Padri di S. Francesco (1263) e delle Monache di S. Chiara (1331). Dopo il mille quando cominci6 ad agitarsi la coscienza libera del popolo giustinopolitano, venne eretta dal Comune la seconda Basilica Cattedrale in sostituzione della primitiva gia soppressa ed atterrata. Q,uesta Basilica fu chiamata Duomo, la časa del Santo protettore che impersonava il Comune, del Santo che ricordava la cacciata degli Ariani ed il ripristino della costituzione municipale romana, del Santo che benedi i profughi qui rifugiati e la citt& ospitale. Nel Duomo d'oggi non si riseontrano che pochissime traccie della seconda Cattedrale giustinopolitana. Le varie e radicali trasformazioni subite da questo tempio fecero disperdere tutti i caratteri primitivi della preesistente Basilica Veneto-bizantina della quale non rimane che un pallido avanzo in quella parte delle mura che prospettano la rovina del Vescovato. Da questo lato quasi in tutta la sua lunghezza venne innalzata la parete della Chiesa sulla forte muraglia del tempio antico, sulla quale, attraverso 1' intonaco sgretolato della malta s' indovinano le forme delle fmestre ogivali ed a semicercliio che le davano luce. Le sue pareti longitudinali venivano fiancheggiate a mez-zogiorno dal Vescovato, a tramontana dal Battisterio e dalla canonicas) dietro ai quali sorgeva il palazzo e la torre dei patriarchi aquileiesi3). La trasformazione del Duomo data dali' anno 1380 nel quale i Genovesi incendiarono il suo Portico. Questo Atrio, come veniva allora chiamato, si estendeva su tutta la fronte della Basilica ed il comune che se ne era impossessato, lo affittava a venditori di corone e d' immagini sacre e durante le fiere a mercanti di oggetti profani4). II vescovo Lodovico Morosini, a cui sorse primo 1' idea deli' ampliamento della Basilica, volle prima di tutto rivendicare alla Chiesa la proprietjl del suo portico; e l'Atrio contiguo alla Chiesa per quanto si estenda e circondi fu riconosciuto di jurisdicione Sua con decisione del Veneto Senato d. d. 27 Giugno 1385 5). Mancato ai vivi il vescovo Morosini, il suo progetto venne accolto ed eseguito dal di lui successore Francesco Biondi, il quale allargo 1' antica Basilica dal lato di tramontana, occu-pando tutte le sepolture che da quella parte si allineavano lungo il muro della Chiesa. restringendo di oltre due metri la Via del Carmine, e la prolungo di circa otto metri verso la Piazza del Comune su tutta la superficie deli'Atrio. Ricostruita e mantenuta la disposizione interna della Chiesa in relazione al compiuto ingrandimento, venne rinnovato 1'abside, il soffitto, gli altari gia nell' anno 1445 ed otto anni dopo (1453) costrutta la facciata, semplice ed austera, benche non le man-casse lo sfavillamento deli' oro. ') Questo Battistero venne costruito 1' anno 1317 dal vescovo To-maso Contarini. r) La Canonica si estendeva dal Battistero fino ali' angolo formato dalla via del Carmine e via Pier Paolo Vergerio. 3) Di questa torre che figura riprodotta quale simbole della potestft patriarchina in due sculture murarie del Duomo e nella stessa arca del Santo protettore della citta, vi esiste ancora il tronco rude e caratteristico deli' epoca nel cortile deli' Istituto Grisoni aperto sulla via Pier Paolo Vergerio. 4) Cio rilevasi dal reclamo del vescovo Lodovico Morosini al Senato Veneto — Documenti della Chiesa Concattedrale di Capodistria. 5) Decreto del Veneto Senato d. d. 27 Giugno 1385 da una tradu-zione dali' originale latino esistente tra gli atti e documenti della Chiesa Concattedrale di Capodistria. Ampliato cosi il Duomo lo vediamo nei secoli successivi decorarsi di vari dipinti d'autori insigni e serbato incolume da ulteriori rinnovazioni. Forse per questa gelosa ed avara conservazione nell'anno 1713 il tempio antico reclamava dei radicali restauri per la sua minacciata stabilitA, ed allora pur troppo ai lenti e costosi lavori di conservazione si preferl la sua ricostruzione nella quale si cur6 a preferenza 1' economia, sacriflcando ogni sentimento estetico. Durante questa rifabbrica che segui nell'anno successivo 1714, si abbasso il livello del Presbiterio e del Coro, si distrusse la Cappella sotterranea di Sant' Elio e la Cripta ed innalzando le pareti laterali del Tempio si porto le tre navate sorrette da dodici mastodontici pi-lastri ad eguale altezza. Cosi sparve la Basilica Veneto Bizan-tina eretta dal libero comune di Giustinopoli'), cosi tutto fu II vescovo Paolo Naldini cosi deserive 1' interno di questa Basilica, quattordici anni prima della sua demolizione: »Non v' e fabbrica in Giustinopoli ne piu alta, ne piu vasta, ne piu ragguardevole del Duomo. Posa questi tra le due Piazze maggiori poco fa accennate (Piazza del Duomo e Piazza del Brolo) e porgendo la fronte alla prima verso ponente, e il tergo alla seconda verso levante, coll' interposta sua mole, e le se-grega e le congiunge. Ai di lui fianehi allargansi due dritte strade, che pure aprono doppio transito dali' uno ali' altro Foro. Consta di tre navate a giusta proporzione larghe, e lunghe ; ma quella di mezzo che in altezza le altre eccede, accorciasi alquanto per il sito in essa occupato dal Coro. II pavimento e di marmorino battuto ed il Cielo di legname intagliato, lavoro disteso in piano nelle navate minori e nella maggiore inarcato a guisa di un mezzo Cielo : opera antica, ma durevole e ben ordinata. Le muraglie divisorie di queste navate si appoggiano col beneflcio di nove archi per parte a dieciotto colonne di marmo fino, tra le quali le prime, si dissero dal Sansovino, Serpentino nero, e dallo Sterlio, Marmo d' Antiochia. A capo della navata maggiore, grandeggia maestosa Tribuna di marmi, piegati dallo scalpello in vari fogliami, fregiati d' oro. Qui la preziosa tomba del Santo Vescovo Nazario serve di Mensa al Sacro Altare. Ai lati di questa Tribuna, quasi sotto gli Archi delle navate, si ergono due altre tribune minori, ossia piccoli pulpiti di marmo, d' onde antica-mente costumossi nelle Messe Solenni annunciare al popolo il Sacro Evan-gelio. Tra queste Tribune e la grande preaccennata, dimezzano due ampie scale marmoree di piu gradini e servono alla šalita dal piano della Chiesa a quella del Coro. Qruesto spalleggiato dalle sedie Canonicali, chiudesi con altra Tribuna di marmo fino ma piu bassa, benehe in sito piu eminente della prima: ed (s V altare Maggiore, adorno del venerando Simulacro della Vergine Madre, Sua Titolare, cinta delle Statue di altri Santi tutte lumeggiate d' oro. Evvi qui di rimarco la Sacra Mensa, composta di un rinnovato, manomesso, sconciato da una furia innovatrice alla quale non e sfuggita che la facciata eretta dal vescovo Francesco Biondi con architettura d' un Maestro a noi ignoto. Compiuto il famoso lavoro si muro in alto sulla parete del Duomo che prospetta la eterna rovina del Vescovato una piccola lapide che quasi presaga di tramandare ai posteri la memoria di un' opera sconsiderata, tenta nascondersi tra 1' in-tonaco delle malte la quale laconicamente suona: RUEBAT ELEVAVITUR A. D. MDCCXIV. candido marmo cosi trasparente, bene.he massiceio, che un lume acceso pošto al di sotto, tramanda al di sopra il suo splendore. Serve di grande 4 Nicliio a questo Altare, e sua Tribuna, un ampio semicircolo che rissal-tando nella Piazza al di fuori, e il compimento e la corona della Chiesa. Sotto del Coro, sostenuto da piccoli Archi con sue colonne, v' ts un oratorio sotteraneo, che direbbesi nell' Insubria lo Scurolo : sebbene egli e a sufficienza luminoso ; e se gli scende per due scale corrispondenti nelle navate minori. Nell' una e nell' altra di queste veggonsi diversi Altari, ma non uniformi nel modello deli' arte e nella finezza dei marmi. Vi sono bensi in vari di essi, come pure nelle pareti aH' intorno, molte eccclenti pitture, delli due celobri Vittore e Benedetto Carpatii, del Panzano, del Celesti, del Zanchi, del Liberi e di molti altri«. Corografia eeolesiastioa della dioceui fli Giustinopoli dotta volgariuciite Copodistria — pastorale divertimento di Monsignor Paolo Naldiai — vescovo di Giustinopoli in Venezia 1700 — Appresso Girolamo Albizzi — pagine 10, 20, 21. Ci piace qui riportare la deserizione che fa del quadro di Vittore Carpaccio esistente nel Duomo, Luigi Lanzi, nella sua Storia Pittorica (Tomo III, pag. 40. Bassano, 1818) dove allude ad una prospettiva la quale riproduce colla fedelta tutta propria cli questo grande nostro concittadino lo sfondo della Tribuna deli' antica Basilica: «Nel fondo del quadro siede in trono maestosissimo Nostra Signora col divino infanto ritto sulie ginocchia ; e fan corona disposti sopra tre gradi sei dei piu venerati protettori clel luogo, variati egregiamente nei vestiti e negli atti, ed alcuni angioletti, che suonano, o con certa pue.rile semplicit;\ guatano insieme lo spettatore, e lieti paion chiedere che gioisea con loro. Conduce al trono un colonnato lungo, beninteso, ben degradato, che una volta era unito ad un bel colonnato di pietra, che partivasi dal quadro, e distendevasi in fuori per la cappella formando ali' occhio un inganno, ed un quasi incanto di prospettiva, che poi si tolse quando ne. furono rimosse le colonne cli pietra per aggrandire la tribuna. I vecchi della cittži, che videro il bello spettacolo, ai forestieri il rammentano con desiderio, ed io volentieri ne iserivo prima che obliterata ne sia la memoria«. In oggi la facciata del Duomo, dopo la ricostruzione del suo interno che tolse ogni carattere deli' originale Basilica, costituisce il piu bizzarro contrasto eol corpo della Chiesa. Allora metteva in luce la figura delle tre navate ed assumeva come linea principale la cornice superiore che dominava le navate laterali. Le statue degli Evangelisti circondatc da ta-bernacoli a cupolino con colonnine a spirale sorretti dalle quattro colonne murate della sua parte inferiore, erano un tempo dorate e rivelavano le interne dorature deli' abside, della tribuna e le statue dei Santi lumeggianti d' oro che circondavano il venerando Simulacro della Vergine. * * * Griči nel XII secolo, sulla Platea comunis poco distante dal Duomo fu ineoininciata e compiuta 1' erezione del campanile eondotto dopo vari anni di lavoro ad oltre 40 metri di altezza. Questa torre costrutta con grossi blocchi quadrangolari di pietra arenaria delle cave di Valle Oltra faceva parte sulle prime delle fortificazioni interne della citta. Nella sua mole massiccia non vi 6 nulla di estetico e sebbene le sia stata aggiunta la guglia e tolto il ponte che la congiungeva al palazzo pretorio, mantiene i tratti caratteristici della rude archi-tettura militare deli' epoca e tra gli edifici che ineoronano la piazza ci trasporta a preferenza ai tempi dell'antico comune. Dal suo lato di mezzogionio, in alto a circa otto metri dal suolo si vede murata una porta ed ai suoi lati i fori nei quali si bilanciavano le travi che reggevano il ponte a leva: cio dimostra che per accedere a quella porta bisognava per-correre un viadotto sorretto da mura ed arcate che congiungeva originariamente la torre coi vicino palazzo del comune. Queste arcate *) che si ripetevano a tutti gli sbocchi delle vie prima di raggiungere la piazza, erano distinte coi nomi dei vari sestieri nei quali era divisa la cittk; e forse durante il libero comune, Queste arcate sparirono gia nella prima meta del secolo XV e di esse non rimane in oggi che una traccia nell' angolo verso la Piazza, del-l'edificio dove ha sede il Municipio. I Veneziani dopo la rivolta della citta nell' anno 1348 si valsero di queste arcate per tenere di notte sbarrata la Piazza del Comune. — Vedi Giovanni Cesca, opera citata, Documento LXXXIX, pag. 161. nelle solennit& religiose e nelle adunatize civili regolavano la sfilata delle fraterne e facilitavano il eontrollo delle tessere dei rappresentanti dei singoli rioni. Piu in alto dal lato prospi-eiente la piazza, sotto la eupola delle campane esiste aneora un balcone che domina il mare, dal quale i guardiani della torre segnalavano 1' approssimarsi delle navi, gli incendi, il movimento delle galee e regolarmente eolle campane davano il segno delle ore. Dopo la dedizione della cittii alla republica veneta e sue-cessivi commovimenti che provocarono la completa esautora-zione del Comune, T uso della torre venne quasi eselusivamente concesso alla Chiesa. Esaurito cosi il suo compito di torre fortificata, venne aperta alla sua base una porta dalla quale si entrava attra-versando l'atrio della basilica. Allora il campanaro prima e dopo aver compiuto il suo ufflcio, si segnava eolla croce come ne fa fede la pila d' acqua santa che si seorge aneora esistente nell' interno del campanile alla destra di questo ingresso. Dopo la ricostruzione della Basilica questa porta venne murata c sostituita da un' altra aperta sulla piazza, piu in alto del sito dove attualmente si trova, per accedere alla quale bisognava salire i gradini, che da due lati con una scalinata bifronte mettevano ad un poggiuolo. Da questa specie di tribuna, che non ci fu caso di comprendere la ragione del suo atterramento, il pubblico banditore notiflcava al pubblico i contratti, le sentenze, gl' incanti. Prima deli' anno 14G3 venne introdotto nel campanile 1' orologio a battuta in sostituzione deli' opera dei guardiani che segnalavano eolle campane le varie fasi del giorno. • Si ha notizia che in data 3 dicembre di quell' anno 1' orologio venisse restaur&to per opera di certo maestro Antonio magnan cio che dimostra che 1' introduzione di questo ingegnoso meccanismo dati da vario tempo prima. Pur troppo nei documenti di quest' epoca s' incontrano delle dcplorevoli lacune che arrestano qualsiasi conferma offi-ciale sull'esistenza di fatti altrimenti accertati. Pero, se non ci e dato di precisare 1' anno della sua introduzione nel campanile giustinopolitano, forse seguendo la sua aclozione da parte delle citt& a noi vicine potremmo avere un bandolo per avvicinarsi. Cosi troviamo che sulla torre del palazzo comunale della vicina Trieste venne collocato un orologio nell' anno 1336, novitži di cui Padova vantava la pre-cedenza. Successivamente nel 1387 Muggia lo introduce nella torre del suo palazzo comunale e domanda ali' uopo un salva-condotto per Don Giovanni pievano di Codroipo che 1' aveva costruito e doveva portarlo in detta citta. Le gare e le gelosie allora perduranti tra Trieste e Capodistria 6 possibile abbiano imposto a quest'ultima cli munire il suo campanile deli' orologio, por non esser da meno della sua rivale. Pertanto e probabile che 1' orologio a Giustinopoli abbia funzionato poehi anni dopo quello della torre del palazzo comunale di Trieste. Queste gare municipali allora pronunciatissime, possono in certi časi servire cli guida quasi sempre infallibile! La piu antica campana della torre giustinopolitana, ornata di cifre, di simboli ed altorilievi porta la data del 1333 ed una inserizione in caratteri onciali. II suo bordo logoro dal continuo martellar del battaglio, richiama alla mente sette secoli cli vita cittadina, segnalati nelle fasi umili, rituali ed eccelsc del dovere, del duolo e della gioia del comune, della famiglia, della religione e della patria. * * * Dopo 1' incendio appiccato dalle ciurme genovesi ai Pa-lazzi Pretorii nell' anno 1380, questi edifici gi& sgangherati e scossi dalle passate bufere non erano piu al caso di venire rabberciati. La loro riedificazione intrapresa sotto il regimento del podesta e capitano Leonardo Bembo nell' anno 1387, venne completata nel 1452. In questa rifabbrica, era naturale venisse sulle prime preso di mira 1' edificio dal lato destro, quello che originaria-mente era stato la sede del Potestas Marchionis; piu vasto e meglio adatto ad accogliere gli uffici e la famiglia del veneto podesta: cosi la loggia ed i locali terreni deli' edificio esistente alla sua sinistra saranno stati riattati alla meglio in attesa deli' ideata completazione deli' intero Palazzo. Questa compren-deva la fusione dei due Pretorii in un solo edificio attraversato da un atrio, nel quale si apriva la Loggia nella sua fronte sulla Callegaria, ed odriva libero accesso dalla Piazza a questa contrada. Sotto la reggenza dei podesta Domenico Diedo ed Antonio Marcello (1447-1452) venne completato 1' edificio, ed al primo piano del suo lato sinistro, sopra la Loggia e 1' atrio, allogata la sala del Maggior Cousiglio alla quale mediante la scalinata esterna, venne dato direttamente accesso dalla Piazza. Questa gradinata a due rami, difesa cla una balaustra di pietra, era riservata per le grandi solennita. Comunemente si entrava nel palazzo dalla porta del lato destro, oggi stazione delle guardie comunali, la quale metteva agli uffici situati al piano terreno e con - una scala interna portava al piano superiore. La sala del Consiglio la quale nelle successive modifica-zioni subite internamente da questo editicio ci venne preservata almeno nella sua sagoma originale era, da quanto ci fu tra-smesso dalle memorie deli' epoca, d' una severa semplicitiL II softitto lasciava scoperte le travi finamente riquadrate e dipinte in giallo con filetti blu; le pareti bianche, fredde attendevano di venir tappezzate cogli emblemi e stemmi del podesta *), sullo sfondo di sopra il seggio deli' Eccellenza 111 u-strissima Reggente era dipinto un Leone di S. Marco 2) alla destra di ciascuna delle sue due porte vi era un' immagine sacra: quella che metteva sui poggiuolo dal quale si discendeva in piazza aveva un crocefisso, 1' altra di fronte al seggio po-destarile che conduceva nell' interno del palazzo, una madonna, entrambi illuminate da un lumicino ad olio sorretto da un cesendelo3); il pavimento ammattonato a grandi quadrella gialle di pietra cotta; le finestre colle vetrate di rulli da ') Anno 1516. 26 Giugno — Marin Clerigin depentor dipinge l'arma del podesta Francesco Cicogna nella sala del Palazzo — Biblioteca coni. N.o 1026. 2) 21 Agosto 1460 vengono pagati a inaestro Piero pentor per aver fato un San Marco in sala del Palazo e per una anchona in lo albergo novo ducati 4 vale lire 24. soldi 16. — Biblioteca coni. Reg. N.o 1027, pag. 14. 3) 15 Giugno 1516 — Item dati a inaestro Marin Clerigin depentor per fare una madonna et un crucefixo nela sala dol Palazo per saldo fato sin al presente giorno lire 6 — di piu vengono ordinati a Francesco Sauro magnan per fare el ferro cum il suo cesendelo da meter davanti el cro-cefixo e la madona. — Bibl. com. N.o 1029, pag. 15 retro. Murano ') difese esternamente da gelosie2) internamente da coltrine di tela bianca3): attorno alle pareti erano disposte le mensole che reggevano i torchi4) che la illuminavano nelle sedate notturne. Questo palazzo sorto dalle rovine di due distinti ediflci di stile tra loro diverso, ha eonservato nella rifabbrica la d i sparita originale, ed 6 presumibile che la parte destra di stile ogivale e la sinistra di archiacuto, riproducano qnelli dei preesistenti Pretorii5); anzi la parte sinistra ideata in modo che tutte lo grazie ed il lavorio deli' artefice appaiono concentrate nella scalinata esterna, presenta alcuni indizi da cui si sarebbe tratti a ritenere che nella sua ricostruzione siasi non solo rispettato lo stile originario, ma adoperati degli stipiti e bifore ad arco acuto che lo decoravano Le torri coronate da merli ghibellini clie s' innalzano ai suoi lati invadono quasi la meta della facciata e visualmente la restringono. Per allungare con tinezza prospettica la sua parte intermedia il modesto architetto vi suppli coll' artiflcio piu semplice e piu ingegnoso che si potesse escogitare. Cosi dalla torre destra alla sinistra le merlature gradatamente s' im-piccioliscono in modo che 1' aria tra le due torri sembra disten-dersi, allargarsi, ed il palazzo acquista maggior imponenza. Queste irregolarita swente avvertite nei monumenti me-dioevali danno spettacolo d' arte piu vario e compiuto; la rigi-dezza geometriea non apporta la varieta che emana e traluce dalle linee convergenti create a dare illusione di grandezza. Vengono pagate ad Antonio de Almerigoto lire 10 per aver lavo-rado de novo do finestre de vero, zioe, una in palazo pieola et una grande in chastelo — 27 Nov. 1462. — Biblioteea coni. N.o 1027, pag. 55 tergo. 2) Anno 1513 — 12 luglio. — Le finestre del palazzo vengono munite di gelosie. Biblioteea coni. N.o 1029. 3) Anno 1514. Coltrine di tela bianca per le finestre del palazzo. Biblioteea com. N.o 1029. 4) Anno 1514. La sala del consejo veniva illuminata da candele e torzi. Biblioteea eom. N.o 1029, pag. 23 reete. 5) Una pittura a fresco del secolo XIV esistente nella Cattedrale di Trieste dietro 1'altare di S. Giusto, ritrae 1'antico palazzo comunale di quella citta il quale consisteva di due corpi di fabbrica di stile tra loro differente. L' ultimo arco della (juadrifora del lato sinistro del Palazzo e sorretto dagli stipiti deli' antica porta che da quello attraverso un viadotto metteva nel campanile. Nel mezzo della facciata del Pretorio in alto tra le mer-lature che lo coronano s' innalza una statua antica sotto la quale incisa nel marmo leggesi la seguente iscrizione che rimonta all'epoca della ricostruzione. Palladis Acteae fuit hoc memorabile saxum Effigies guondam, clara haec Urbs dum Aegida mamil A Caprin Divae sic tum de pelle vocata; Quae guoniam religuos semper superaverat Istros, Artibus Ingenii, semper Caput esse decorum Promeruit Patriae, cui toli haec praestitit una; Inde a Iustino, mox Iustinopolis ultro Principe, et a Venetis dieta est Caput Istria tandem, Auspitiis guorum vivet per saecida tuta. La rifabbrica clel Palazzo Pretoreo ha durato oltre cin-quant' anni. Gli artefici che hanno contribuito eolla loro opera a questa fabbrica non ci sono noti. So I o "quelli che operarono alcuni lavori di dettaglio, e di ornato, come pitture, stemmi ecc. ci vennero tramandati dalle memorie e documenti del-1' epoca. * * * Alcuni decenni prima che il quindicesimo secolo volgesse al tramonto, gli aliti clel Rinascimento cominciarono a diffondere nuove idee, far sentire nuovi bisogii^ alla societa medioevale. La Giustinopoli cli quei tempi sensibilizzata alle tendenze nuove per opera dei migliori suoi cittadini la vediamo prima tra le citta istriane introdurre alcune istituzioni cli carattere econo-mico, migliorare ed ampliare le gia esistenti, abbellire eolle modeste sue forze la cittš,. In questo tempo venne riformato ed ampliato il vecchio Fontico, fondato il Monte di Piet&, eretta la Loggia nuova, lastricata con mattoni la piazza del Oomune'), costruita la Porta della Corte del Palazzo, rinnovata la Porta clel Ponte 2), migliorata la conduttura deli' antico Acquedotto. Al maestro Tomaso da Venezia tajapiera, veniva nell'anno 1400 commesso 1' ampliamento del Fontico costrutto nel 1392 Addi 25 Novembre 1505 vengono pagate dal cameraro del Coinime lire 12.10 a Matteo Fornasar de Piran per resto de pierre cotte fo tulte per salizar la piaza. — Bibl. Coni. N. 1028, pag. 46. 2) La Porta del Ponte, ehiamata anche Porta della Muda, fu rico-struita nell' anno 1518 dal maestro Marino de Vedelo tajapiera, il quale durante il tempo di questo lavoro abitava nella časa di certo Ser Bortolo Grison posta in contrada Ognissanti. — Bibl. Com. N. 1029, pag. 41. sulla Piazza del Brolo maggiore. Questo lavoro fu eseguito con somma celerita: iniziato il giorno 10 Aprile 1460 lo si vede compiuto nel mese di Giugno dello stesso anno. Opera di maestro Tomaso sono le finestre ogivali del pianoterra e Parma del magnifico podesta e capitano Andrea Venier che si animira sulla fronte di questo editicio. La tinta uniforme di questo marmoreo stemma venne allora, seconclo il costume deli'epoca, ravvivata con vaghi colori e dorature per opera di messer Pietro pintor l). Due anni dopo, sull' area occupata dalle due čase che sorgevano sulla Piazza del Comune di fronte al palazzo Pretoreo, vennero gettate il giorno 17 Ottobre 1462 le fondazioni della Loggia nuova, la costruzione della quale affidata ai maestri Nicolo da Piran e Tomaso da Venezia tajapiere si vede com-piuta nell' autunno del successivo 1463 2). Originariamente questo editicio di stile archiacuto si pre-sentava aperto con quattro arcate verso la via del Belvedere e cinque sulla Piazza, chiuso dagli altri lati. A levante aveva la porta alla quale si accedeva salendo quattro gradini, a si-nistra della porta si apriva una finestra, a destra era impostata la scala che metteva al piano superiore il quale traeva la luce da nove finestre corrispondenti alle arcate inferiori. In-ternamente la loggia aveva il soffitto di legno a leggeri riquadri, sorretto nel mezzo da due colonne di pietra. La sua decorazione esterna era semplicissima. Costrutta in pietra bianca e mattoni rossi portava sulla facciata verso la piazza 1' arma del podesta Honoradi e piu al basso due me-daglioni in terra cotta raffiguranti gl' imperatori Giustiniano e Giustino II3). Sul capitello che sovrasta al grave fusto della colonna d' angolo verso la via del Belvedere sporge un cupolino che racchiude una Madonna in ceramica ed al lato prospettante la stessa via sino a pochi anni fa esisteva un terzo medaglione raffigurante 1' imperatore Costantino; dal lato di levante 1' ar- II cameraro del comune in dala 29 Giugno 1460 pagb a Ser Polo de Zarotti per oro, azzurro ed altri colori tolti dalla sna bottega per V arma del podesta posta sopra el fontico lire 12 soldi 18. — Bibl. Com. N. 1027, pag'. 20. 2) Bibl. Coni. N. 1027, pag. 64. 3) Carli: Delle antichitži di Capodistria. chitrave della porta d' ingresso reggeva un grande1) leone di San Marco. Nel suo interno aveva delle panche 2) che vennero piu tardi sostituite con sedili di pietra; le pareti dei suoi lati chiusi portavano alcune iscrizioni lapidarie la raccolte e con-servate ad illustrare la vita secolare della citta3) ed accoglie-vano gli stemmi degli illustrissimi podestii appena entrati in carica. Nell'anno 1G98 sotto la reggenza del podesta Marco Mi-chiel Salamon, la facciata di questo editicio venne allungata coll' aggiunta di due arcate tolte dal suo lato verso la via del Belvedere, murandone la superflcie da loro occupata. La parete a levante venne portata nella linea corrispondente al seguito allungamento conservaudo al loro pošto la finestra e la porta d' ingresso. Questo lavoro modiflc6 la pristina decorazione esterna deli' editicio: i due grandi medaglioni di ceramica gia esistenti sulla facciata scomparvero e furono sostituiti dagli stemmi dei podesta sotto la reggenza dei quali fu eretto ed ampliato questo editicio; e ros), V irnportante e decoroša fabbrica detla pubblica Loggia ebbe il suo condegno compimento 4). * * * Li fronte al Portico della Basilica Cattedrale vi esiste-vano, come al preselite, gia nel 1400 due distinti editici che dali' angolo destro del Pretoreo si allineavano sino la via del Porto, congiunti al Pretoreo stesso mediante 1111 terrazzino che allora soprastava alla Porta della Corte. 11 primo, quello ade-rente al terrazzino, aveva in quel tempo un solo piano superiore destinato agli ospiti del Podesta ed era chiamato albergo noro, il piano terreno era occupato dagli Ufflci delle Gabelle e del Sale. L'altro editicio si presentava nelle sue linee prin-cipali come oggidi; solo al primo piano aveva le finestre ar-chiacute allineate con quelle eguali deli' albergo noro, e sopra il suo portale d' ingresso si animirava un bellissimo Leone di 4) Addi 3 Dicembre 1465 il cameraro del comune pago soldi 8 per mastice adoperato per incolar la coda de Messer San Marco grande de piera che ž sopra la porta della loža. — Bibl. Coni. N. 1027, pag. 65. 2) Bibl. Com. N. 1028, pag. 62. 3) Carli: Delle Antiehita di Capodistria. *) Bibl. Com. N. 1159, pag. 32. San Marco dipinto in rosso col libro dorato 1). Questo eclificio fino ali'anno 1550 nel quale venne insediato nei suoi locali terreni il Monte di Pieta e piu tardi anche gli uffici della Vicedominaria, serviva di deposito delle armi eolle quali ve-nivano arnmte le ciurrae della galea cittadina e gli altri pae-sani in tempo di guerra. Per dar luogo agli uffici c locali di deposito di questa nuova istituzione umanitaria, Vanneria venne trasferita in un edificio esistente in brolo, piecolo odierno Bel-vedere, gia eretto dal governo veneto dopo i torbidi deli'anno 1348 nel quale sino ali' anno 1518 erano state depositate le spingarde e le eolubrine che difendevano il Bastione del Bel-vedere concesso ed aperto sino d' allora al pubblico, e dal comune abbellito e dotato di sedili di pietra bianca 2). Nei primi giorni del mese di Ottobre deli' anno 1505 venne atterrata la vecchia Porta della Corte del Palazzo Pretoreo 3) e rifatta a nuovo per opera dei maestri Antonio e figlio Bar-tolameo tajapiera justinopolitani4). Questa Porta e un bellissimo esemplare deli' arehitettura del Binascimento, inspirato alla purezza delle forme classiche: due pilastri corinzi che sorreggono una trabeazione ed un frontone che serviva a spezzare la monotonia delle linee marali del sovrastante terrazzino: niente altro; eppure quanto movimento nell' effetto, quanta signorilM, quanta nobiM di proporzioni! Pochi e sobri particolari decorativi ma elegantissimi, i capitelli sono scolpiti con maestria, ed alcuni dei loro orna-menti distaccano a traforo. Tutto 6 condotto con grandissima distinzione. Sull' architrave corre 1' iserizione 4) Questo bellissimo Leone di S. Marco og-g-i si trova nel parco del Castello di Tersatto presso Fiiime. 2) Bibl. Coni. N. 1029, pag. 11. 3) Addi 10 Ott. 1505. A maestro Zorzi Cosmor muraro per aver la-vorado zorni do a butar zozo la porta della corte del palazo lire 2. — BibL Com. N. 1028, pag. 29. 4) Addi 22 Ott. 1505. Vengono pagate acconto lavoro della Porta della Corte del palazo a maestro Antonio tajapiera lire 13. Addi 20 febbr. 1506. Vengono assegnati a Bartolameo del qm. maestro Antonio tajapiera lire 12 acconto lavori della Porta della Corte del palazzo, — Bibl. Coni. N'. 1028, pag. 43 e 45. PETRI LAVREDANI PRAET. aeqviss cvra remp ayxit et illvstravit'). In al to i u mezzo al frontone 6 scolpito lo stemma dei Loredan e la data 1505. * * Nella Piazza del comune poco distante dalla Porta del Pretoreo vi esisteva allora una colonna quadra che sosteneva 1' antenna sulla quale veniva spiegato il gonfalone della citt& che portava la sua antica impresa: sole dorato in campo az-zurro 2). Questa insegna venne nel seicento alterata dai nostri accademici, i quali infatuati nelle leggende degli Argonauti e di Giasone intravidero nei raggi che contornavano la faccia del sole il protoplasma deli' anguicrinita testa di Medusa. Era 1' epoca che si voleva il nuovo ad ogni costo, si voleva essere moderni dopo essere stati antichi e dopo aver preteso per lungo tempo di tornare ad essere antichi: il secentismo, nega-zione del vero della naturalezza della semplicita, trasformo la faccia gioviale del sole che spiccava dorata sul nostro stemma in quella terrificante della Medusa. Nella vicina Piazza del Brolo maggiore, la colonna che reggeva lo stendardo della citta trovava il suo riscontro retti-lineo nella colonna della Giustizia la quale s' innalzava da un largo basamento di pietra e sorreggeva la statua che la rap-presentava. Su questa piattaforma costrutta di grossi blocchi di pietra bianca venivano legati i condannati alla Berlina. In uno dei vari processi di Stregoneria del secolo XV si rileva che i condannati alla Berlina indossavano delle vesti speciali e portavano in testa delle corone che venivano dipinte con determinati colori. Cosi ai maestri Pietro e Clerigius pinctori venne pagato il giorno IG Maržo 1463 dai denari della impoxicion lire 5 de piccoli per loro mercede de aver depento 1) Maestro Adamo orese neg']i nltinii giorni di Maržo del 1506 doro 1' iscrizione. — E pur probabile sia opera degli stessi maestri tajapiera la bellissima porta del Veseovado, costruzione isolata cui sovrasta una elegantissima loggia. — Bibl. Com. N. 1028. 2) Su questa antenna veniva spiegato nelle feste il drappo della citta, mentre cjuello della Dominante veniva esposto sul poggiuolo del palazzo, e quello speciale del podesta-capitano sul terrazzino soprastante la Porta della Corte. serte corone et veste de atgune herbere et incantarixe over invocatrixe de diavuli trovade mani fes tumente colpevole '). Vittore Carpaccio nel suo quadro che decora la sala clel Municipio di questa citta, ritrae coll' esattezza fotografica tutta propria di questo illustre giustinopolitano, la Piazza di Capodistria nel 1517 (data del quadro) e nello sfondo si vede la Porta della Corte opera di maestro Antonio e figlio Bartolomeo, parte clel palazzo Pretoreo e 1' edificio deli' albergo novo come lo abbiamo descritto, dipinto a quadrelle alternate di giallo e rosso. Q,uesto motivo non aveva soltanto valore decorativo ma costituiva una affermazione di dominio veneto: erano i colori della Dominante. Era allora in uso di ornare coi piu vaghi colori i prospetti degli edifici, le armi e gli emblemi marmorei che li fregiavano. Cosi si tappezzavano di svariati colori le facciate delle čase e dei palazzi, 1' oro, 1' azzurro, il rosso rav-vivavano le tinte fredde dei marmi. La decorazione policroma degli edifici che fronteggiavano la Piazza doveva contribuire a darle una impronta austera e solenne. Le iscrizioni e gli stemmi disseminati lungo le facciate degli edifici che la contornano narrano la loro storia secolare, ci fanno sapere quando e da chi fu eretto quel tale edificio, ci narrano di una benemerenza dimenticata e di vari avveni-menti che il tempo ha sepolto nel suo oblio: nessuna accenna agli umili artefici che gli idearono e condussero: molte magni-ficano le opere dei veneti podesta e ricordano lo spleuclore della loro reggenza 2). La piazza vive tutta in quelle memorie, essa compone da se stessa la sua cronaca e la sua storia, e si svela a chi la contempla con occhio curioso ed innamorato. N. Del Bello. Bibl. Com. N. 1027, pag. 62. A porre un freno a questa abitudine che gravava i comuni tento provvoderc la legge. Nella Piazza, nei por ti, sui pouti e nelle fortezze non sieno scolpite o dipinte le armi o stemmi dei Rettori. (Legislazione sun-tuaria della Regg. Ven. anno 1489, 4 lulio). L'Istria e gli Istriani. II Museo Civico di Venezia conserva, fra i suoi manoscritti, un Codice di provenienza Correr (N.° 1412-1) nel quale 6 una dissertazione sull' origine del popolo Istriano e sui corso del fiume Timavo che bagna appunto il settentrione e l'occidente deli' Istria: 6 dedicata a don Francesco Centoni parroco di santa Maria Zobenigo in Venezia e porta la data del 1775. La dissertazione, che non ha nome di autore, e accompagnata da sei Tavole con alcun i disegni a mano che servono ad illu-strazione del testo. La prima Tavola ha pure la dediča al Centoni e riproduce la penisola istriana: essa e firmata cosi: Franciscus Cerroni delineavit. Che si tratti deli'autore stesso della dissertazione? Non fu dato di poterlo stabilire. Vana riusci ogni ricerca ali' Archivio di Stato: 1' Indice dei Testamenti, lo Schedario degli Avogadori di Comun e lo Schedario degli Inquisitori di Stato non danno alcuna notizia sui Cerroni; la Bibliografia Istriana (Capodistria, Tondelli 1864) ne lo ricorda, ne accenna alla pubblicazione della suddetta Dissertazione; cosi pure non ne fanno menzione ne le Bibliografte Veneziane del Cicogna e del Soranzo, ne le Iscrizioni Veneziane dello stesso Cicogna che nella sua eruditissima opera parla diffusamente di moltissimi scrittori veneti; le Indicazioni per riconoscere le Cose stori-che del Litorale, dettate dal dottor Kandler nel 1855 (Trieste, Lloyd), la Caduta detla Repubblica di Venezia, che Girolamo Dandolo pubblicava pure nel 1855 (Venezia, Naratovich), non fanno cenno alcuno del Cerroni e deli' opera sua e tacciono del pari Carlo De Franceschi nella sua Istria (Parenzo, Coana 1879), M. Tamaro nelle Citta e Castella delt' Istria (Parenzo, Coana 1892-93), l'abate Emilio Silvestri nell 'Istria (Vicenza, Rumor 1903) e inflne il Caprin nel vol. I della sua Istria Nobitissima. Nulla adunque che possa dare affidamento che si tratti di un Francesco Cerroni, ad un tempo scrittore e disegnatore, se si eccettui la seguente pubblicazione che vide la luce a Venezia nel 1773: «Reverendissimi Domini Paulli Schioppa- lalbae plebani, Canonici, Archipresbgteri-Laudatio Funebris Rabita In Parochiali, Collegiata, Necnon Matrici Ecclesia Santae Mariae Jubenicorum A Francisco Ceroni Ejusdem Ecclesiae Alurano — Die Septima Mensis Novembris An. M D C CLXXII — Venetih MDCCLXXIII.» Qui il tempo e an-teriore di poco a quello del Codice Correr e 1' Orazione funebre e in lode del parroco della stessa chiesa alla quale piu tardi presiedette il Centoni cui e dedicata la Dissertazione: ma e sufficiente tutto cio? Basta, per ritenere essere il Cerroni l'au-tore ricercato, 1' aver appreso che di tal nome vi era un prete in santa Maria Zobenigo ? E un po' diffieile rispondere: certo pero — g hi che la Bibliografia Istriano, accenna a moltissimi lavori sull' origine degli Istriani — non šara del tutto inutile che venga dato alle stampe anche questo, dettato da persona che fece «dimora nella provincia d' Istria*. Verra adunque riprodotta qui integralmenle la breve Dissertazione, corredata di tutte quelle annotazioni che possano renderla piu interessante ai lettori. DISERTA2ION K sopra 1' origine degl' Istri e Confini de medesiini non che sopra la sitnazione del Fiume Timavo Consecrata Al Revd:mo Sig:r D. Francesco Centoni Pievano di S.ta M:a Zobenigo di Venezia MDCCLXXV Non si ritrova certamente tra gli uomini di buon senno, chi accordar non voglia il piacerc, ed utile gTandissimo, che ci vien fatto di raccogliere, allorche possiamo coi mezzo di lumi tratti dalla Storia, o in forza d' un' esatta ricerca dei monumenti preziosi del-1' antichita indagare le origini dei popoli, e delle na-zioni, quantunque impresa laboriosa al sommo grado, per le falsita nelle quali inavvedutamente si pno in-cappare da piu esperti ancora. Dovendosi pero a tal' uopo ricorrere alli scrittori antichi li piu accreditati, come a Plinio, Tucidide, Evodoto, Ca tone il maggiore, Censorio, Annio di Vi-terbo, ed altri, e ritrovandosi in questi infinite dubiezze allorche trattano de'popoli d'Italia, eonviene, seguendo le traccie de medesimi, non perder di vista cio che a rischiarare la confusa antichita ci resto di prezioso, quantunque dali' ignoranza, ed incuria de' po])oli ne-gletto, ed abbandonato, e contcndandoci come loro di sempliei congiettnre, appoggiate pero sopra d' una ragionevole probabilitk sgombrare per quanto sia pos-sibile quelle tenebre sparse dalla fatale incertezza ehe appunto e la sorgente funesta della diversita delle opinioni eausa di non mai sopite eontese nella litte-raria Repubblica, Sopra (|uesti modi cliversi adnnque di opinare degl' antichi, meditando nel tempo di mia dimora nella provincia d' Istria, e con I' occasione d' osservare nelle rispettive Citta della medesiina alcuni rimasugli d'an-tichita, e coi formare la ( 'orografica Carta della stessa vastissima Regione ora considerata parte della nostra Italia, quando una volta si uuiva ali' Illirio non che dopo aver esaminati li scritti eruditi di alcuni ingegni singolari delFillustre Citta di Giustinopoli, e consigliati E infatti unita al codice una Carta Corografica della penisola istriana, dalle foci del Timavo al golfo del Quarnero. E un disegno originale del Cerroni člie, come fu detto, lo firmo: Franciscus Cerroni delinearit. s) L'Istria_negli antichissimi tempi era compresa tra l'Arsa ad oriente, 1'altipiano, che dal monte Sia e quindi dal Tajano arriva ai laglii di Doberdo a settentrione e dal fiume Timavo acl occidente. L'imperatore Augusto amplio la Venezia, 1'Italia cioe, da prima, coi fissarne il confine al fiume Risano e quindi estendendolo al fiume Arsa. Da allora Tintera Istria formo con la Venezia la decima Regione italica, ampliatasi poi, sotto Car-lomagno, con 1'aggregazione del territorio liburnico cli Aibona. su tal proposito li medesimi, cioe il Nob. Sig/r Giro-lamo Gravisi Marchese di Pietra Pelosa, il Nob. Sig.r Francesco Almerigotti, e principalmente ripassate le memorie del Nob. Sig.r Conto Carli '), pensai d' azzar-dare un mio pensiero, il quale occultassc ogni sua deformit& per esser dal suo compatimento coperto, sicuro che voni trapassare li difetti deli' imperizia, ') Dire del marchese Girolamo Gravisi, di Francesco Al-merigotti e del conte Carli in un periodico che vede la luce a Capodistria e veramente del tutto fuor di luogo. Del marchese Gravisi, nato appunto a Capodistria circa il 1719 e ancora vivente nel 1808, e utile ricordarc, oltre ad altri molti lavori, quelli che piu hanno relazione con la presente pubblicazione, e cioe, le erudite lettere sull' isola di Cissa, sull' antico commercio di Aquilcia, sulla situazion del Timavo, sulla Dalmazia: b opportuno anche accennare alle sue Considerazioni Apologe-tiche di un Accademico Romano dettate in difesa di Capodistria Francesco Almerigotti pure di Capodistria, morto nel 1775, scrisse le due dissertazioni: Aguileja non solo compresa nelVIllirico, ma anche nell'Istria e Della estensione deli'antico lllirico. Fu anche autore di una Lettera sulla citt^i di Trieste e della Raccolta di Monumenti che tratta del Consiglio di Capodistria. II conte Gian Rinaldo Carli nacque a Capodistria 1' 11 aprile 1720 e mori il 22 febbraio 1795. Fu veramente uomo ernditissimo e di tale dottrina da meritarsi nel 1744 la cattedra di Nautiea e di Astronomia dello Studio di Padova. Gir6 poi 1' Italia, sempre in relazione con gli uomini piu illustri del suo tempo, finche nel 1765 s'ebbe le due cariche di Presidente del Supremo Magistrato di Pubblica Economia e di Decano del Supremo Tribunale degli Studii di Mžlano. Nominato dali' imperatore Giuseppe II suo intimo Consigliere di Stato, si ritiro nel 1780 a vita privata per attendere ai suoi studi. Furono tanti i suoi scritti che nel 1784, a Milano, per cura dei monaci di sanfAmbrogio, essi furono pubblicati in 19 vohuni. — E opportuno qui ricordare i suoi lavori Sulle Anti-chita di Capodistria — Sulle scoperte fatte nell' Anfiteatra di Pola e sui Vescovo Pietro Paolo Vergerio. ne po tra biasimare cio che a causa d' utile esercizio raccolsi, ed al suo giudizio sottometto. Por dare per6 un qualche ordine alla concepita idea, čredo opportuno al fine, che mi sono proposto sviluppare, per qunnto si pu6, in primo luogo li dubbj, che nascono circa 1' origine de priraitivi Istriani, indi osservare quali siano stati, e sieno li conlini de me-desimi, aggiugnendovi qualche nozione circa il fiume Timavo, causa di molte dispute tra letterati, per poseia accordare con detta originaria successione, e eonfina-zione le antichit;\ della Provincia, le quali quantunque poche sono per6 grandiose, e di prezzo infinito. La Provincia delTIstria considerata come si ritrova al presente, e si pu6 scorgere dali' inserta Carta Co-rografica, da una parte e circondata da monti, i quali vanno in seguito delle Alpi Giulie, e dali' altra e cinta dal mare, dali' antichissimo eastello di Duino, e dal fiume Timavo, e va in progresso sino al fiume Arsa, contandosi uno spazio di miglia italiane cento cinquanta in circa. Secondo il giudizio diverso degl' antichi, che ne' loro seritti possiamo vedere, e de moderni aneora, fu considerata ora parte deli' Hliiio, ora della Venezia, ora confusa coi Carni, o coi Liburni popoli confinanti dacche venne la denominazione delle Alpi Carnie e Liburnie, causa appunto della oscuritk della Storia '). Sopra 1' origine di cotesti popoli si son finte infinite favole, anzi fecero venire, o volare a queste parti gli Argonauti, e i Colchi, dietro le traccie di Appollonio *) I termini qui ricordati corrispondono precisamente a quelli accennati in una Nota precedente e le mutazioni di essi, avvenute sotto Augusto e sotto Carlomagno, fecero si che alcuni scrittori abbiauo confuso gli Istriani con i Carni e con i Liburni. Rodio '); sopra di che canto un eccellente Poeta de' giorni nostri ......Non vanto Favole argive di mentite Navi Silil' Istriaco Timavo..... Studiando pero di cautamentc segnire le orme di chi ha buon senno in materia storica preveggo non do ver altronde rivolgermi nella ricerca deli' origine degl' I-striani che aH' Oriente, cioe ali'estremita delFEuropa, e delFAsia ancora. Omero [Lib. p.° Illiade] fa menzione degli Eneti condotti da Pilamene alla guerra di Troja, e questi vuole fosscro abitatori della Paflagonia. Fu creduto quindi, che doppo la guerra di Troja Antenore conducesse detti Eneti in Italia, ed occupassero quella parte detta gli Euganei: cd ecco appunto perche Po-libio [Lib. II.] vuole che si nominassero i Veneti col-1' epiteto d' antichissimi. Un tal fatto viene fortificato con l' autorita di Strabone [Lib. 12. pag. 543], di Cor-nelio n i po te [Lib. 4. cap. 2.], e di molti altri. Tutto ali' opposto de sopra mentovati, Servio [Ad Aeneid. lib. I v. 247] suppone che prendesse la Venezia tal nome da Veneto Pte deli' Illirio, Erocloto [Lib. I cap. 146] nomina li Veneti Illirici, ed altrovc [Cap. 5 lib. 9] dice non esservi alcuno, che sapessc quali genti abi-tassero di qua dai Traci, e nomina i Veneti delFAdria-tico senza dir nulla degl' Illirici. In qualuuque modo sia la cosa, penso di appi-gliarmi ali' opinione la piu ragionevole, cioe che i popoli accennati delFAsia, in Europa passassero, e poi gl' uni cacciando gl' altri, come accadeva d' ordinario, occupassero passo passo un nuovo terreno, sinehe fi- Allude alla tradizione che tanto gli Argonauti quanto i Colchi che li inseguivano, passate le Alpi Giulie, prendessero stabile dimora nell' Istria. nalmente nel paese degli Euganei ponessero il piede. Cio si seorge da Dione Grisostomo [Orat. XI de Illio] il quale asserisce che i Veneti si ritrovavano in Italia prima che vi venisse Antenore, e Dionisio Periegete [Ver. 378] serive che 1' opinione d' Ariano era, che i Veneti fossero venuti in queste parti cacciati dagli Assiri. Strabone [Lib. XII. pag'. 543] flnalmento asserisce che aoppo Troja, perduto il condottiere gli Eneti si dispersero per la Tracia, e poscia in Italia passassero. Non occorre dubitare del passaggio de popoli dell'Asia in Enropa. avendocene lasciate illustri pruove Sesostri, e principalmente Serse, e Dario. La ragione pero su la quale appoggiamo la venuta dei Veneti per via di terra a queste parti fa che si determiniamo a eredere tale esser stata pure quella degl' Istriani. (Continua) dott. Rieciotti Bratti. DI UN DIPINTO DELL'ALLORI. Non c' e dubbio che, nel periodo di rinascenza della pittura toscana, dopo i traviamenti derivati dalle mesehine imitazioni del grande Michelangelo, Cristofano Allori occupi il primo pošto: lo asserirono critici eminenti e puo persuader-sene ognuno che, avendo intuito del bello, esamini le opere di lui, pur troppo non molto numerose. Dice il Lanzi che Cristofano Allori, fu, a giudizio di molti, il piu grande pittore di quell' epoca e che per 1' eccellenza acquistata in un corso di vita non lunga (1577-1621) parevagli in certo modo il Contarini della sua scuola. Molto anche 1' uno somiglia ali' altro nella bellezza, nella grazia, nella finitezza delle figure; se non che in Simone piu ideale e il bello, ma il colorito delle carni in Cristofano e piu felice. E cio tanto piu e rimarchevole, in quanto che egli non conobbe ne i Caracci, ne il Reni. II San Giuliano della Galleria Pitti, continua il Lanzi, 6 il pili gran saggio del suo talento. Ora noi abbiamo avuto la fortuna di scoprire a Trieste, proveniente dali' Istria, una tela preziosa, alta 90 e larga 73 cent., la quale, sicuraraente, se non e il primo, e uno de' migliori e piu completi studi fatti dall'Allori per il suo «San Giuliano*. A chi per istudio od anche per diletto, magari una sola volta, abbia esaminati i tesori d' arte inestimabili che il palazzo Pitti raccoglie, non sara certamente sfuggita la grande tela dell'Allori, rappresentante «1' ospitalit& di San Giuliano» che si trova nella sala d' Apollo. L' asceta che, con la sua pia donna Basilissa consacro tutta la vita e tutti i suoi beni al sollievo dei poveri e degli ammalati, appare in tale dipinto, in tutta la grandezza dell'anima generosa, che lungo le rive del inare d' Egitto, trasformo la sua časa in un santuario. Tutto il quadro rivela 1' alta idealita deli' artista' e le sue doti non comuni, manifestate nella scelta del soggetto umanitario, nell' aggrup-pamento delle figure, nella finitezza e nel sentimento squisito del colore. Non si sottrae, 6 vero, 1' Allori ali' influenza degli altri artisti deli' epoca, i quali volevano con la pratica, mai abba-stanza lamentata, delle imprimiture e delle forti masse di ombrc, dar rilievo alle figure; ma di cio non si pu6 fargli grande rimprovero, avvegnache egli seppe applicarla con mo-derazione e con gusto fine, si da non pregiudicare 1' effctto generale de' suoi dipinti, ed anzi da farne rilevare e le qualit& e i pregi eccezionali estetici e tecnici. Confrontando il grande quadro e gli schizzi d' esso, su carta, che si trovano nella Galleria Pitti, col dipinto da noi qui illustrato, chiunque si convincerž, come 1'Allori ben sapesse rendersi conto deli' importanza del soggetto che intendeva trattare e non corresse alla subitanea fissazione sulla tela della prima impressione, resa facile dalla scorrevolezza della mano deli' artista consumato. Se nella grande tela di Firenze 1' osservatore acuto e ben educato alle raffinatezze deli' arte, puo scoprire la preoccupa-zione deli' artista di voler fare il capolavoro che lo rendesse immortale, nello studio qui riprodotto, puo all'incontro riscon-trare la sincera manifestazione del proprio sentimento, senza preconcetti e senza lo stimolo egoistico, umano del resto, di "L' ospitalita di S. Giuliano,, di Cristofano Allori — Galieria Pitti. (Fotografia Alinari, Firenze). Bozzetto pel dipinto della Galieria Pitti. (Fotografia Alinari, Firenze). PAGINE ISTRIANE _ •_ volersi elevare sulla medioerita invadente de' suoi contempo-rauei. E noto clT egli visse in aperto antagonismo col padre suo Alessandro, del quale, in ordine artistico, soleva dire che era un eretico! Passando ora allo studio comparativo della material ita dei due dipinti, troviamo che tra essi v' ha una notevole difterenza. — L'aggruppamento delle figure venne addirittura spostato, tanto da raggiungere nel quadro 1' aceordo il piu sin-tetico ed il piu squisito. Non torna necessario il soflermarsi sulla intensitA espressiva dei volti delle singole figure, impe-rocche egli e certo che 1' artista, nel fare il quadro definitivo si sarA valso dei modelli che piu rispondevano al suo sentimento ed alla sua delicata e fine sensivitA; riesce pero evideute che anche nel mettere sulla tela la prima idea, l'Allori istintiva-mente fece delle belle teste, le quali, oltre che 1' impeccabilita della forma, derivata da uno studio coscienzioso del vero, dimostrano lo spirito che dominava la mano. E di fatti, chi potrebbe chiedere di piu ad un artista che sa far parlare, come nello schizzo nostro, la carit&, la semplicita e T.abnega-zione della figura principale deli'opera? L'inclinazione del capo, il protendere della mano, in segno di aiuto e di conforto, verso colui che viene a cercar protezione e salute, non potreb-bero essere piu appropriate. Maggiore intensita di espressione forse e di austerita sembrano riprodotte nello schizzo, nel quale vi ha un minor curvamento del corpo del santo e piu sieura la mano nell' aiutar 1' infelice che riceve sotto la sua caritate-vole protezione. Altrettanto appropriato ci pare il movimento delle mani deli' infelice, che timido e confuso scende dalla barca; nello schizzo proposto la palma della mano sinistra ha differente atteggiamento di quella del quadro che e rivolta verso terra, e la gamba destra, di stupenda modellazione, ma forse un po' lunga, dimostra piu intensamente il timido suo procedere verso un luogo aneora a lui sconosciuto. La figura che gli sta dietro e che lo sorregge, fu, nel dipinto della galieria Pitti, mutata di sana pianta: essa b il tipo di bellezza ideale che piu deve aver preoccupato 1' artista, che riusci a fissarlo sulla tela definitiva in modo squisitissimo si da far provare ali' os-servatore un vero godimento artistico. II uocchiere, alquanto meno di profilo che nel quadro, e con il girone del remo, tonu to dalla mano sinistra, molto piu corto, per la sua modellazione pura ed euritmica e la bellezza del colorito bronzeo, che contrasta con quello delle carni cle-licate e sensuali del giovane ricoverato, raggiunge, nello schizzo, una potenzialit& di espressione spinta al massimo grado. Anche esaminando il disegno cli questa figura che si trova nel corri-doio della galleria Pitti si deve ammettere che 1'Allori 1' abbia improntata cli getto e che non abbia saputo resistere alla ten-tazione di modificarla gran che. II berretto rosso che sulla testa del noccliiere per la sua tonalita produce un' armonia di colore incantevole, e obliquo a sinistra nello schizzo, mentre nel quadro pende a destra del riguardante. La pia Easilissa, appena abbozzata nello schizzo, sta in fondo alla scena, sulla soglia della časa benedetta che le pro-curo le piu aspre persecuzioni e la corona del martirio; un'altra infelice, sorrretta da un bastone, riceve da lei un pane. Nella tela cli Firenze, la figura della santa donna, messa piu in alto per ragioni cli prospettiva, scompare quasi dietro la colonna, lasciando vedere poco piu della sola testa, mentre nello schizzo, ella ci appare in tutta la figura ed e diritta sulla persona. Nel dipinto da noi brevemente illustrato il tocco e piu franco e piu decisivo, mentre il colore e intenso e grasso, come di smalto, si da far sentire 1' influenza sull' artista del Correggio e dei grandi lombardi. E noto, di fatti, che 1'AUori era un copiatore inarrivabile del grande Correggio e che una Maddalena da lui riprodotta fu ritenuta per lungo tempo per lavoro del Correggio stesso. Se poniamo mente alle poche opere che sgraziatamente 1'Allori ci lascio e che persino le gallerie ecl i musei piu im-portanti non possono vantarsi cli possedere, non sembrer& soverchio ardimento 1' asserire che il dipinto da noi messo in luce, ha tanta importanza artistica da meritare la pena di averne fatto questo cenno. B. Trieste. La narrazione della pcrra istriana M178-177 in Livio e in Ennio. Nell'anno 178 a. Cr. i Romani mos.sero guerra agli Istri. Guidati dal console M. Vulsone s' accamparono presso il lago del Timavo; di qui C. Furio duumviro navale fu mandato con dieci navi nel porto piu vicino deli'Istria'); sull'altopiano non lontano da questo s' attendo il console. Gli Istri evitando una battaglia decisiva, spiavano 1' oc-casione di piombare non veduti sui campo Romano. E cio fecero una mattina protetti dalla nebbia, per la quale dapprima invisibili apparirono poi alla paura dei Romani impreparati piu numerosi; i Romani fuggirono quasi tutti terrorizzati: un solo tribuno rimase con pochi dei suoi, i quali morendo mas-sacrati dalla moltitudine dei feroci Istriani resero piu vergo-gnosa la fuga degli altri. Gli Istri preso il campo, senza pensare Livio, XLI, 1. Senza contare i lavori di quelli, che a proposito di questo porto scrissero Con poca serieta, citero aleuni dei lavori, a mio giudizio, migdiori : Petruzzi: «Men te o Cuore» 1874; de Franceschi: L'I-stria, note storiche, Parenzo 1879 e Benussi: L' Istria sino ad Angusto, Trieste 1883. Questi tre risolsero nello stesso modo la questione molto dibattuta sui luogo ovc dagli Istri fu proso il campo romano. Essi credono che il campo in questione si trovasse a Muggia e adducono a prova il passo seguente di Livio (XLI, 1): Eae naves ad proxiinnm portum in Histriae fines rnissae nun t (si tratta delle navi