Anno III. Capodistria, Aprile-Maggio 1905. N. 4-5 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE Ossero e le siie opere (1'arte. Gli studi diligentissimi dello Schiaparelli, del Diefenbach, del Vircho\v, del Fligier e cli cent'altri hanno assodato che le regioni dell'Europa meridionale e occidentale furono abitate fin dai tempi preistorici dagli IberoLiguri, popoli di razza ca-mita, ai quali successei'o nel periodo storico gli Illiri (forse v i Celti; certo gli Itali ed i (i reci), cli cui discendenti diretti son gli odierni Albanesi. E non e necessario ripetere come le nostre regioni abbian veduto succedersi sni castellieri ibero-liguri, studiati dal Burton, dali'Amoroso, dal Marchesetti, i Celti coi loro tumuli (i Men-hirs del Morbihan, a Cherso detti ancor oggi Menichi) e a cpiesti seguir gli Egizi e i Fenici e gli Etruschi e i Greci e i Romani, fondendosi ai Celti. Ma che da cosi fatta evoluzione storica assai piu che mil-lenaria, e che dal cozzo e dalla tusione di cosi fatto incivili-mento sia sorta la grandezza e la potenza di una povera bor-gatella, or perduta fra le roccie del Quarnaro procelloso, son ben pochi che lo sanno. E di Ossero in veriti merita che si parli nelle «Pagine Istriane*, non per tesserne la storia, ma piuttosto per illustrare i suoi monumenti. Infatti e la che ad ogni pie sospinto veggonsi prove non dubbie deli' avvicendarsi cli differenti civilta dalla piu rozza ed informe, alla piu tinita, a quella di Roma erede e della cul-tura d' oriente e cli quella d'occidente. Ove si voglia arguire anche dalla cinta delle sue mura, Ossero doveva contare al-l'epoca del suo splendore non meno di ventimila abitanti. Lk, fra le mura cadenti e le torri, fra l'erica e le macerie furon scoperti cimeli preziosissimi, fonti di storia antichissima, ambra, alabastro, idoli, amuleti, monete, embrici, lumi eterne, fibule, armille, lancie, cuspidi, galee, anelli insieme a musaici, a fram-menti di colonne, a cornici, a piedestalli, a pietre sculte. E per poco voglia il visitatore di quelle ruine divagar colla fantasia vede nella superba basilica, sotto i portici della curia, nelPaerarium, questori e duumviri, litori e decurioni, una plebe neghittosa e ciarliera cianeiar coi liberti e coi servi, altri affaccendarsi alle ripae, alle cellae promptuariae del porto mentre le navi stanno alle ancore a Viaro, rimpetto ai colli coperti cli viti e di olivi e alle supeibe ville dei Claudi, dei Giuli, dei Sexti, degli Oclatini, a Nia (Unie) fra il mirto e 1' al-loro sempreverde, fra il balsamo ed il profumo del tirno odo-roso e della salvia. E dalla vetta del monte, faro delTAdria-tico, scorge la sabbiosa Sansego, villeggiatura oltre alle altre prediletta, e Leporaria, e le navi liburniche che agili solcan l'onda, cariche di lana, di vestes scutulatae, di vino, di olio da portarsi e vendersi sui mercati di Aquileia, di Ariminum, di Ravenna, e piu lungi, chiuso fra pareti di monti ripidi e rocciosi, il delizioso lago di Urana, corso da leggere navicelle, circondato da ville ove or sorgon povere capanne, fra boschi di elci e di quercie, troppo duro contrasto colla nuditi d'oggi per Scimnio da Chios, che allora appunto cent'anni prima del-1'era volgare, cant6 a Nicomede di Bitinia la fertiliti dell'isola. Stoviglie, strumenti, armi, crani dolicocefali del periodo neolitico, oggetti dell'epoca miocenica, egizia, fenicia, etrusca, greca e romana, lapidi sepolcrali, che a inerito speciale del chiarissimo arcidiaeono d'Ossero D.r Bolmarcich (fu egli che primo e con suo grave dispendio die principio agli scavi) e della Cominissione Centrale d'arte e di storia a Vienna, stanno raccolte nel museo di Ossero, son documenti non duhbt dell'im-portanza storica delle Absirtidi — di quest'anello di congiunzione fra l'oriente e l'occidente nelle eta remotissime. Ossero, il ri-fugio sicuro delle navi nelTestremo settentrione, tu lo scalo del commercio etrusco, egizio e fenicio; la si barattavan le merci venute fin dal Baltico agli Etruschi con quelle delle piu lontane regioni d'Asia, trasportatevi dai Fenici. Nell'eti di mezzo, passata da Roma agli Eruli, agli Ostro-goti, ai Bizantini, quasi rasa al suolo dai Saraceni, non tocca dal dominio slavo, ella risorge non grande come per lo passato e vero, pui- sempre ancora importante sotto il dominio unghe-rese e veneziano fino a tanto che, per la malaria, e i suoi ve-scovi e il con te non son costretti cli trasportar la sede a Cherso, 1' antica Crexa, un pagus pošto a confine fra la respublica cli Gaput insulae (oggi Caisole ali' estrema punta settentrionale deli'isola) e il Municipium di Apsaros (1453). Da allora la cittii deeadde; pure ancora nel 1553 gli eecellentissimi sindaci Giov. Batt. Giustinian e Anzolo Diedo (manoscritto p. 3. 11 nov. 1553) potevan seri vere alla Serenissima che «et hoggidl si tro-vano molti monumenti con 1' iscrittioni greche*. Poclii anni dopo S. de Petris in un suo opuseolo dal titolo: Ghirlande conteste a Sebastiano Quirini nel suo reggimento di Cherso ed Ossero (Padova, 1583) narrava essersi rinvenuta ad Ossero «que' di una magnica statua di marino, lavoro greco rappresentante Medea«. La statua trasportata a Venezia e posta nelFatrio del palazzo Grimani a S. Maria Formosa, trovasi adesso al palazzo ducale. Non e vero dunque per le Absirtidi quanto per la Libur-nia in generale dice Plinio: «paiica effatu digna* e con ben maggiore ragione si dovrebbe esclamare con Perseo: o cura hominum! o quantum est in rebus inane! La decadenza in fatti della cittk grande ed opulenta alla fine del NIII secolo era tale che il cancelliere del comune, nel farne cenno nei Libri Consigli della citta, serive: spopolata di habitanti, popolata di cadaveri, priva degli anfichi suoi onori et ingombrata di perpetui oneri nella sua ealamita chiunque camina per la citta non imprime che orme di tristezza, non vede che vestigia di rovine, non incontra che spettacoli di morte, fresehi avanzi' di quelle postieme che non contente di aver incancrenito il corpo gli vanno serpendo neH'anima (Lib. cons. 1. 6. 1695). Ed e ben triste cosa in veritft, cosi ci seriveva il Luciani, per chi non & senza cuore il trovarsi frammezzo aile rovine e agli avanzi di una citta distrutta. Egli e infatti come trovarsi frammezzo alle rovine di un campo di battaglia dove non si puo mutar passo senza spruzzarsi di sangue, senza calcare i brani aneor palpitanti dei troncati cadaveri. Ma 11011 e dei monumenti deli'Ossero antichissima che s'ab-bia a parlar qui; quelli parte son scomparsi, parte son certo ancora sotterra, altri son stati illustrati in opuseoli e nelle re-lazioni della Commissione Centrale (v. Programma deli i. r. Ginnasio sup. di Capodistria a. s. 1883, 1885, 1889, 1890, 1894, 1895 e le Mitteilungen der k. k. Central-Kommission zur Erfors. u. Erhalt. der Kunst u. Hist. Denkmale, 11. B. i. H.). Diremo invece dei monumenti dell'et,a di mezzo, ricchi per squisitezza di architettura e per tele dipinte, e principieremo eolla chiesa principale della citta, la basilica ausserense. P. KOTEREIiUfl BIOGRAFICA VERGERIA8A (A proposito cli nn eodice Petrarchesco) Fra i c-odici dell'«Africa» del Petrarea e di granclissimo valove I' Ashburnhani. 1014, non conosciuto dal Pingaud (1872) ne dal Corradino (1874), i due ultimi editori del grande poema Petrarchesco. A mo' d' introduzione preeecle il testo del Poema, in quel codiee, la vita del Petrarea di Pier Paolo Vergerio il Seniore, la quale termina con: *ExpUcil sermo de publicfitione Affricae Petrarce composihts per renerabilem artiurn et medicine doetorem dominum Petnim Paitlitm de Verzeriis in Cirili j>tre peri!)tm»etc.... II ms. porta la data del 1398, scritta pero d'inchiost.ro e di mano, che non sono del testo; nonostante noi erediamo, che questa sia una data attendibile. E cio ci proponiamo cli mostrare con un accurato esame dei preziosi elementi cronologici, che ognuno vede racchiusi nella indica-zione delle professioni del Vergerio, che compaiono nel ricor-dato Explicit. Se non che non e molto facile penetrare prestissimo nelle visceri della cjuistione e sciogliere 1'intrigo. No e arduo questo nost.ro pensiero, se si pensa, che di quanti si sono accinti a trattare del Vergerio nessuno, che noi si sappia, ha mai osato finora toccare di alcuni speciali pnnti. E pure ne avrebbero avuta l'occasione! Si domanda: cpiando il Vergerio fu adclottorato nelle arti (cioe in lettere) ed in medicina ed insieme fu perito nel giure eivile? La risposta a questa domanda ci dara modo di chia ire la cosa. Sin dal 186(5 giaceva ignota assolutainente ed intonsa nella Bibl. Naz. di Firenze una buona monografia sulla vita di Pier Paolo Vergerio 1' unica di qualche valore che finora si abbia — del prof. G. Babuder '). Aveimno quindi il piacere, come altre volte aneora ci e accaduto anche di libri assai importanti, cli tagliare per la prima vol^a 1'esemplare fioren-tino del voluinetto del Babuder. Leggendcjne pero le pagine, mentre ammiravamo 1'ordine e la compos|ezza dell'autore, ci accorgemmo, non senza maraviglia, che del Vergerio medico 4) G. Babuder: «Pier Paolo Vergerio il Seniorr da Capodistria, uno dei piu celebri umanisti Italiani aH'epoea del Risorgimento« in Atti del-ri. R. Ginnasio Superiore di Capodistria. Capodistria, Tipograiia di Giu-seppe Tondelli, 1866. si faceva appena menzione.E poiche ricorreramo senza frutto al Tiraboschi, allo Zeuo, allo Stancovich e ad altri mol t i, cosi pensammo cli rivolgerci direttamente al Babuder, il qualc per altro, con cortese premura, ci fe' noto che dal 1866 non era piii tornato suH'argomento ! Le prime difficolta si presentano gia circa 1'anno di na-scita del Vergerio. E' nato egli nel 1349 o nel 1370? Discordi sono quanti di proposito o no se ne sono occupati. E le ra-gioni dei singoli, a stare soltanto con loro, paiono convincenti. A noi, che pure non presumiamo di por fine alla quistione, pare clie si debba stare piuttosto con quelli, che sostengono la prima data '). Crediamo infatti oltremodo importantissima la testimonianza, che, a pro' del nostro avviso, trovasi nel Vergerio stesso, nella sua Epistola, dettata da Costanza il 6 Novembre del 1417, «de morte Francisci Zabarellae Patricii Patavini 1. U. D. et Cardinalis Florentini 2).» In essa e cletto: «Quid enim illudV an oblivisci? Nunquam, etiamsi voluero, pos-sum, quod quum me decennio aut circiter anteiret, et esset tunc in eo gradu constitutus, qui supremo proximus habetur, tamen non aliter unquam, quam inter se pares solent in conversatione domestica, ut secum agerem, patiebatur» etc... Dunque egli stesso, il Vergerio, si dice minore d'eta di circa 10 anni del suo carissimo e tanto illustre amico il cardinale Francesco Zabarella. E poiche lo Zabarella nacque verso il 1339:i), e ') Sono deli'opinione del 1319: il Babuder, op. cit.; Franc. .Mar i a Col le. «Stori a scientitico-letteraria de lo studio di Padova«, Padova, Tipografia della Minerva MDCCCNNIV; il Tiraboschi «Storia della Letteratura Italiana« Modena MDCCLXXVI, Toni. Šesto, p. 57; il De Sade «Memoires pour la vie de Fraiu;ois Petrarcjue tires de ses oeuvres« Amsterdam 1784, t. premier, pag'. IX ; Domenieo Venturini «Di Pierpaolo Vergerio il Seniore pedagogista» Capodistria, Tipografia Cobol e Priora 1904 etc... DelPopi-nione poi del 1370 e, fra gli altri, Francesco Novati «Epistolario di Co-luccio Salutati» nelle Fonti per la Storia d'Italia pubblicate a cura del-1'Istituto Storico Italiano. vol. II Roma, 1893. Finalmente sono indecisi o non si pronunziano: G. B. Gerini «Gli Scrittori Pedagogisti Italiani del secolo decimoquinto> G. B. Paravia, 1896, e Andrea Gloria «Monuinenti della Universita di Padova (1318-1405)» Padova, Tipografia del Seminario, 1888, vol. I. parte II. pag. 491, cpv. 960. 2) V. L. A. Maraton «Rerum Italicarum Scriptores« Mediolani MDCCXXX, Tom. XVI pag. 198. E' riportata pure dal Babuder nel-1' op. cit. :i) V. Alphons. Ciaconius «Vitae et res gestae Pontificum Romano-rum et S. R. E. Cardinalium ab initio nascentis Ecclesiae usque ad Cle- ovvio argomentarne 1'aono di naseita del Vergerio. Ma c'e ancora di piu. Difatti dalFabate L)e Sade l) sappiamo che il Vergerio per ordine senza dubbio di Francesco da Carrara, Signore di Padova, intraprese a scrivere la vita del Petrarca, di cui fu amicissimo, e che dalla bocca stessa degli amici ancor vivi del poeta ne apprese molte notizie. Orbene il Petrarca, com'e a tutti noto, mori nel 1374 e quasi nelle braccia del sao ammiratore Francesco di Carrara. II quale, poiche fu tanto amico del Petrarca, pote mai pensare di farne scrivere la vita molto tempo dopo la morte del Poeta? Naturalmente quando i I dolore era ancora vivo dove cercare un degno o-maggio di ammirazione e di gratitudine, da prestare al glo-rioso suo amico. E 1'omaggio, che egli meglio credette oppor-tuno, fu appunto quello di contribuire ad eternare la memoria del Poeta, ispirando 1'idea nel Vergerio di tesserne la biografia. Cio pošto, se il Vergerio fosse nato nel 1370 e fosse stalo quindi bambino di soli 4 anni alla morte del Petrarca, quanclo avrebbe avuto la fiducia del Signore di Padova per scrivere del poeta? Ed inoltre, come il Vergerio sarebbe potuto essere amico del poeta stesso? Che se pure il Petrarca avesse conosciuto il Vergerio ancor bambino e, naturalmente, prima ancora del quarto anno d'eta, si puo dire che avrebbe avuto un amico vero e proprio in una creatura quasi appena nata? II Petrarca mori con tutti i sensi!... ne aveva molto tempo da perdere con i bambini, benche tanto li amasse! E poi, se il Vergerio fosse nato nel 1370, a quale eta avrebbe potuto godere tanta fiducia da parte di Francesco II, da esserne chiamato come educatore del giovane Ubertino? Ed avrebbe poi a soli 21 anno presumibilmente scritto il «De ingenuis moribus* 1'opera, che tanto maraviglio il grancle Coluccio Salutati e Leonardo Aretino? 2) Come appar chiaro, se il De Sade questa volta at- mentem IX P. O. M.» Romat'. MI)CLXXVII čuva et sumptib. Philippi et Ant. de Rubeis. T. II. pag. 805. — II Cardella ne ta ancora testimonianza, dicendo che lo Z. mori nel concilio di Costanza del 1417 in eta di 78 anni o di 80; cfr. «Meinorie Storiche dei Cardinali della Santa Romana Chiesa® Roma, MDCCXCIII; T. III. pag. lfi. 11 cfr. op. cit. T. I. pag. XI. 2) V. Carlo A. Combi «Di Pier Paolo Vergerio il Seniore da Capodistria e del suo Epistolario« in Monumenti storici pubblicati da la R. De-putazione Veneta di Storia Patria. Serie Quarta, Miscellanea vol. 5, Venezia 1887. Cfr. Epist. CXXXIX da Firenze del IV Nonas Martii s. a. tinge a fonte sicura, noi non possiamo non escludere assoluta-mente che il Vergerio sia nato nel 1370. E per conseguenza, a meno che non si voglia aver fatto vivere al nostro Pier Paolo — il che per altro non e in se assolntamente impossi-bile — 104 anni di vita, staremo anche qui con quelli, che ne pongono la morte prima del 1428. Infatti anche la quistione deli'anno di morte e discussa; chi propone 1'anno 1445'), chi 1' anno 1428 2), chi qualche anno prima 3) e chi finalmente nel 1431. Ma, dopo aver toccato e con ragione deli'anno di nascita e d i morte del Vergerio, torniamo ora al punto, donele abbiam preso le mosse. Nell' explicit dunque della vita del Petrarca il Vergerio e detto «venerabilem artium et medicine doetorem.... in civili jure peritum*. Presso tutti quelli, che lianno scritto del nostro autore, nessuna lontana menzione si fa del Vergerio medico. E' questo un fatto che sorprende, specie se si pensa che pure il Venturini, il quale presume ed a ragione d'aver fatto meglio e piu degli altri, tace assolntamente delle cono-seenze di disciplina medica del Vergerio. Si sa infatti del Vergerio che fu solo un dotto pedago-gista e letterato ed un rinomato giurisperita. Tanto, che solo rispetto a queste qualita e ricordato con lode■*). Ed invero 1391, e 1'Epist. CXXXVI 11011 datata. Male s'avvisa il Venturini (op. cit. pag. 11) a eredere che il «De ingenuis tnorihus» sia presumibilmente di dopo la battaglia di Breseia, cioe posteriore al 1392. Infatti la Ep. cit. CXXXIX di Coluccio Salutati, in cui si parla deli'operetta Vergeriana, porta, come abbiamo indicato, la data del 1391. Quindi 1'operetta dev'essere perfino anteriore a (juesta data. ') Come p. es. il Gerini, op. cit. 2) Come 1'Advocat «Dizion. Biograf.«; Fra Jacopo Filippo da Ber-gamo «Suppl. Chron.» ad ann. 1428; J. Alb. Fabricius «Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis cum supplemento Christiani Schoettge.nii« etc. Florentiae, Tvp. Tbomae Baracchi et f. MDCCCLVIII, Toni. VI. II Fabricius si vale della testimouianza di Aeneas Svlvius e di Jacobus Philippus Bergomensis, ai quali s' attiene pure il Muratori op. cit. vol. cit. «...obiisse illum tempore. concilii Basileensis in Hungaria testatur Aeneas Svlvius et ex isto Jacobus Philippus Bergomensis in Supplement. Chronic. ad Annum MCCCCXXVIII. 3) Come il Babuder, op. cit., e il Papadopoli < Historia Gvmnasii Pa-tavini» T. I. 4) II Papadopoli, p. es. (Cfr. op. cit. ) lo dice: sphilosophiae ac juris utriusque doctor». E, per farla breve, ricordero aneora il Bavle (v. Vocab. T. IV), che, riferendo un giudizio del Volterrano, dice: «Petr. P. Verge- solo G. B. Gerini scrisse nel 1896 che il Vergerio ottenne la licenza in diritto canonico ecl in medicina nel 1404 e, due giorni clopo, quella in diritto civile l). Forse il Gerini ha attinto la notizia dal Muratori2), presso cui pero e detto che nell' i-stesso giorno, in cui ottenne la licenza in diritto canonico ecl in medicina, il Vergerio ebbe pure quella nelle arti «in scientiis Artium», e che nel settimo giorno (e non nel secondo, come vuole il Gerini) ebbe 1'altra in diritto civile: «Septima vero die altera licentia examinis in Jure civili eidem Vergerio con-cessa». Intanto della reputazione clel Vergerio come medico ci fanno fede le relazioni e le corrispondenze, in cui il Vergerio fu con i piu bravi e piu reputati medici del tempo. Basta, per convincersene, sfogliare appena il suo Epistolario nell' edizione ricordata clel tanto benemerito Carlo A. Combi. Che se molta fama non ebbe cli medico, cio in moltissima parte e dovuto, come tutti sanno, al fatto che a quei tempi i medici eran molto odiati. II Petrarca stesso scrisse V Invectiva contra me-dicum, ne si perito di chiamare i medici ignoranti3), non ri-sparmiando tale titolo ne pure a quel Dino del Garbo, padre del famoso Tominaso, autore cli pregevoli scritti. E dire, che di medici anche allora ve n' erano cli molta fama e dottrinaJ). rius jurisconsultorum suo teinpore eloquentissimus, sive mavis dicei-e elo-quentium jurisconsultissimus et philosophus fuit»; e finalmente il Muratori, che (op. cit. vol. cit.) dice nella Prefazione alle lettere del Vergerio: «At-que hinc luculentius intelligas, quanta in Vergerio eloquentia, literarum-que Iatinarum peritia foret et quam mature, imino ante reliquos, Italici viri ingenia sua exercuerint ut squallorem et barbariem linguae latinae post secula barbara detergerent atque eriperent«. E poi a pag. 111 «ma-gnutn sibi nomen inter Eruditos comparavit suh finem seculi christianae Aerae Decimiquarti atque initio sequentis. Jurisprudentiae, Eloquentiae et Philosophiae laude emicuit« etc. ') V. op. cit. pag. 10; dice ancora il Gerini, che in quel secondo giorno ottenne insieme il dottorato in tutte e tre le scienze, essendone pro-motori Prosdoc.imo Conti, Francesco Zabarella e Giovanni Ubaldini. 2) Op. cit. vol. cit. pag. 111. Al Muratori rimanda senz' altro il Ba- buder. 3) V. la lunghissima lettera al Boccaccio, Sen., lib. V, Ep. 4; la let-tera deli'8 maggio del 1370 a Pandolfo Malatesta, Sen. lib. XIII, Ep. 8 etc. V. inoltre G. Tiraboschi, op. cit. Toni. 5 parte I. lib. II., Cap. III. 4) da F. Villani «Vite d'illustri fioreutini« sono ricordati p. es., con molta lode: Niccolo Falcucci, il Mondino, celebre restauratore deli'anato-mia, del, quale, dice il Tiraboschi (loc. cit.), la patria non era quasi men controversa di queila di Omero, etc... Ma, eomunque sia della sua farna, del suo valore, dei suoi studii, della sua vita infine di medico, a noi interessa special-mente di stabilire quando veramente il Vergerio s' addottoro in medicina e nelle arti. Come e uscita fuori la data del 1404 a segnare l'anno del dottorato in medicina del Vergerio? Certo 'anche qui ci troviamo di fronte a difficoM. Si disse che presso il Muratori nell'istesso giorno del 1404, in cui il Vergerio fu addottorato in medicina, lo fu pure «in Scientiis Artium». Eb-bene, se noi ora sfogliamo invece 1' epistolario del Vergerio, vi troviamo una lettera non datata'), a lui indirizzata da Giovanni, medico Bolognese, e che nella intitulatio suona cosi: «Joannes medicus Bononiensis scientiae multae laudabilisque famae Petro Paulo (Vergerio) artium doctori et medicine študenti, fratri carissimo» t). Dunque qui il Vergerio si fa dottore t> nelle arti quando era ancora študente di medicina. E cosi la cosa si fa suscettibile di moltissime e varie divergenze, di cui e opportuno tacere e per brevita e per chiarezza. Evidente-mente 1' errore deriva e dalla non conoscenza delle fonti e dalla non giusta interpretazipne di esse. L'istesso Venturini, che pure b cosi valente studioso, mostra di non conoscere un'opera fondamentalissima e veramente grandiosa: alludo ad un'opera deH'illustre paleografo Andrea Gloria 3). Con la scorta del Gloria appunto noi cercheremo di porre ordine nella quistione. Pier Paolo Vergerio fu certo addottorato nelle arti prima, che non lo fosse in medicina. E nelle arti compare dottore gi& fin dal 1391, quando in quella qualita e ricordato come testimone ad un atto insieme con lo Zabarella e con un Nicola, figliuolo di Nino de Monte 4). Medico invece dove essere addottorato per lo meno fra il 1391 e il 1394, se in quest'ultimo anno si trova gia ricordato come dottore «arcium et medicine* nella commissione presenziente al conferimento del notariato, 1) V. Ep. CXLI nella cit. ediz. del Combi. 2) Solo pero nel eodice della Guarneriana di S. Daniele, n. 76. 3) Andrea Gloria »Monumenti de la UniversitS, di Padova» raceolti in 3 grossi volumi; dei quali il I e diviso in 2 parti, eostituenti eiascuna un grosso volume a se: l'uno stampato a Venezia nel 1884 per i tipi di Gius. Antonelli, e l'altro a Padova nel 1888 presso la tip. del Seminario. I voli. II e III sono pure del 1888 ugualinente stampati a Padova. I Monumenti veri e propri eomprendono 1' intero vol. II. 4) V. Gloria op. cit. vol, II pag. 252 — Mon. 1795; 1391, 5 Maggio. fatto da Rizzardo di S. Bonifacio, conte di Verona, a Daniele Lodovico, flg-liuolo di Giov. Lodovico Lambertacci professore dello Studio Padovano. Anzi nell'istesso atto e ricordato pure come študente di diritto civile l); circostanza questa importante per noi di rilevare, come vedremo. Posteriormente, in un atto deli'Agosto del 139(5, e menzionato pure come dollore nelle arti ed in medicina aH'esame di Gugliehno da Verona per ot-tenere la licenza «in facultate arcium* 2). E in un altro atto deli'ottobre delFistesso anno lo si trova detto «artium doctore ed in medicina ličentiat:» 3). Finahnente solo nel 1400 compare per la prima volta perilo nel giure civile all'esame per il dottorato nel medesimo di Tommaso Birigerio di Calabria *). Queste le date autentiche piu antiche. Ma e ancora da dire per conciliare bene le tre qualita date al Vergerio nell'explicit del nostro cod. Ashburnham. Anzitutto, dobbiamo noi maravi-gliarci, come fa il Gloria per il Vergerio e per altri5), di tro-var detto del Vergerio promiscuamente do flore e licenziato in medicina? No; ne il fatto di trovare licenziato in un do-cumento posteriore ad uno, in cui, compaia il dotiore, ci deve far rimanere come perplessi e quasi disposti a ributtare l'au-tenticita del documento anteriore. II Gloria evidentemente vuole, ad ogni costo, che la licenza preceda il dottorato sempre. Qui sta il suo torto; ed e davvero strano, come al Gloria, che e cosi seriamente dotto, sia sfuggito che la licenza 6 ugnale in sostanza al dottorato. Piu strano poi e ancora che egli stesso altrove6) dice che: «Stima non guari inferiore (a quelli forniti del titolo di dotiore) godevano i licenziati, che potevano pervenire al dottorato, quando voleano, pagandone le tasse». II Gloria stesso dunque c' invita a pensare che c' era soltanto differenza di ufficiosita (mi si permetta il brutto vocabolo). Po-trebbe percio dirsi che anche allora si facesse promiscuamente ') V. Gloria op. cit. vol. II pag. 290 — Mon. 1902; 1394, 18 Ottobre. «...pres. egr. et bon. viris d. Francisco de, Zabarellis... d. Petropaulo de Verceriis de Justinopoli arcium et medicine doctore, študente Pad. in jure civili, fil. d. Verzerii de Verzeriis habit. Pad. in contrata Ruthene:> etc... 2) id. id. id. pag. 306 — Mon. 1953; 1396, 13 Agosto, p. 11. 3) id. id. id. pag. 308 — Mon. 1957; 1396, 18 Ottobre. 4) id. id. id. pag. 359 — Mon. 2089; 1400, 17 Maggio. 5) V. op. cit. vol. I. part. II. pag. 491. 6) V. in Avvertenze al I. vol. della sua opera. Cfr. altresi il Colle: op. cit. vol. I. pag. 101 e seg. uso di dotlore e licenziato, presso a poco come oggi si dice indifferentemente professore o dotlore e si da, magari, del professore a chi 11011 e doltore aneora. AL;i allora c'era anche di piu. Tanto £ vero che il licenziato fosse perfettamente u-guale al dottorato, che il primo potea occupare anche le cat-tedre maggiori. A Firenze, per esempio, si trova che Francesco di Dante di Guido da Castiglione l), il degno discepolo di Vit-torino da Feltre, soltanto nel 1458 fu laureato, quando cioe era da qualche anno lettore nell' Universit& 2). Del resto, per quelli, che sieno restii aneora ad ammetterlo, che licenziato significhi perfettamente dottorato o laureato ce ne fa sicura testimonianza la spettabile e benemerita Accademia della Crusca3). La difterenza dunque stava soltanto nella spesa per la pomposa esteriore formalita '). Per cui puo essere bene che il nostro Vergerio sia stato in medicina soltanto licenziato e che^lo abbiano tuttavia chiamato anche doltore. 11 Vergerio infatti, benehe di nobile famiglia, fu di molto modesta fortuna, e fu spesso alle prese con la dura necessita tanto, da servire a principi e ad imperatori, benclie vi sentisse una naturale avversione! E con cio concludiamo per prima che il cit. M on. 1902; VA94 IS Ottobre del Gloria ha vero valore, e che percio il Vergerio fu addottorato in medicina avanti il 1394 o, almeno, al principio di quell'anno. L' altra ed ultima questione si riferisce finalmente al-l'istesso Mon. 1902. Ivi il Vergerio e detto: «Studente Pad. in di Cercina; da non confondersi con Francesco da Castiglione Aretino. 2) V. Apostolo Zeno. «Dissertazioni Vossiane» Venezia, G. B. Albrizzi MDCCLII, tom. I. pag. 363. 3) V. »Vocabolario degli Accademici della Crusca» Quinta Impres-sione, vol. IX, Fascicoio II, Firenze. Success. Le Monnier, 1902, pag. 348 sotto alla voce licenziato § III. 4) Chi volesse avere un'idea delle cnormi spese, che importava la cerimonia del dottorato rispetto a quella del licenziato, veda nel Colle (op. cit. vol. I pagg. 105-106) una nota delle spese per 1'una e 1'altra cerimonia. C' e nientemeno la difterenza di Duc. 76 e Lire 54.50. — Le spese per la laurea erano del resto gravissime presso tutti gli altri Studii o Uni-versita come p. es. presso quello di Firenze. V. al riguardo il «Discorso» del prof. Carlo Morelli, pag. XLIV in «Statuti della Universita e Studio Fio-rentino deli'anno MDCCCLXXXVII seguiti da un'Appendice di Documenti dal MCCCXX al i\ICCCCLXXlI» pubblicati da Alessandro Gherardi, Firenze coi tipi di M. Cellini e C. 1881, jure c i v i 1 i». Ora Ja formula del eod. Ashburnham. «in civile jure peritus» si riscontra per la prima volta šolo nel 1400') «... d. Petro Paulo de Verzeriis de Capiteystrie in jure eiv. perito*. E qui ripetiamo la domauda: ce ne dobbiamo maravi-gliare? Questa volta ancora noi diremo di no; ed eccone le ragioni. Anche qui il prof. Gloria si t.rova in imbarazzo tanto, da disperare assolutamente d'una qualunque via d' useita. Ma pure la cosa si concilia sufficientemente. 11 torto del prof. Gloria e d' interpretare indifierenteinente per scolare lo studens ed il perUus"), ereandosi a (|uesto modo da se la somma delle difficolt.fi. Infatti, se e impossibile far corrispondere a scolare lo giusperito, che forse il Gloria vorrebbe vedere nel in jure civ. perilus, e per altro possibilissimo che perilus, nel senso di intendente o esperto di una data disciplina, sia sinonimo di studens. Studens di fatti dicesi spesso per studiosus ed in senso elevato; ne ve n'ha difetto d'esempi nella latinit43). E studens stesso ha un valore, che certo si discosta molto da quello, che si suole oggi attribuire al nostro študente; quest' ultimo invece potrebbe avere il suo equivalente nello scolare del Gloria,. E che studens valga qualche cosa di piu del nostro študente o scolare, appar cliiaro, p. es., nella frase philo-sophiae studens, lilterarurnque (Iraecarum peritissirnus, ri-portata dal Forcellini '). Tant'e: lo studens del Mon. 1902; 1394, 18 Ottobre del Gloria va inteso non nel senso esclusivamente e strettamente di chi va a scuola per imparare (scolare), ma nel senso di studioso di una data disciplina. Nel qual senso — si badi — sono tutti študenti, anche i piu grandi dotti! Per il caso nostro speciale poi, non e inopportuno richiamare l'attenzione del lettore sui fatto, che nel piu volte ricordato Mon. 1902 Pierpaolo Vergerio, che i vi e detto študente Pad. in in jure cir., e in commissione col cardinale Zabarella e con altri insigni eruditi del tempo nientemeno che a presen- ») V. cit. Mon. 2089-1400,. 17 Maggio. 2) V. op. cit. vol. I. pagg. 491-492. 3) In Plinio, p. es., trovasi un.... «Ipse studiosus, litteratus, etiam disertus» Lib. III, Ep. o. E di simili frasi si potrebbero ricavare in gran numero da ogni autore latino e di qualunque eta. *) Nel suo aureo Totiua Latinitatis Lexicon etc. Patavii, Tvpis Semi-narii MDCCCXXXI al vocab. studens. Ed anche per (juesto non e difflcile trovarne altri esernpii. ziare proprio al eonferimento di un notariata. Uno scolare vero e proprio di diritto avrebbe avuto tanto onore....? II documento dunque del 1394 non e intirmato per militi dai documenti posteriori e dalle perplessita del Prof. Gloria. E rimaniamo fermi nell'affermare che il Vergerio era fornito di tutte le qualita, di cui e insignito neH'explicit del suo sermo nel cod. Ashburnham., fin dal 1394, se non prima. E cio, oltre a ribadir meglio la bont& della nostra opinione, deli'esclusione cioe della nascita del Vergerio nel 1370, ci induce a pensare che la data 1398 del cod. Ashburnham. sia autentica. Che se poi si potesse provare che il codice fosse autografo, si potrebbe dire che il 1398 stesse li a segnare probabilmente l'anno, in cui il ms. fu finito di scrivere. Carlo Maria Patrono. Contro gSi astro!oghi ed indovini. L'anonimo, del quale facciamo conoscere l'inedito capi-tolo, alle divinazioni astrologiche mostrava di non credere punto sebbene nella sua Venezia, d'onde presumibilmente lo stimo nato, i partigiani fossero tutfaltro che rari: prova ne siano i 199 processi che nel secolo XVI (al quale, per 1'etA del codice marciano di cui mi valgo, ATa ascritto il capitolo o tut-t'nI pili ai primi del seguente) furon trattati dal Santo Uffizio nella Citta in materia di sortilegi, negromanzia, magia, streghe-ria e invocazione di demoni '). Ma a riderci su non fu egli il solo: l'eta d'oro era finita per gli impostori, affermava il Cal-rao: «Adesso i sende traze, i se ne fa bete, i l'ha per un in-sonio e si la tien per un ziogatolo e si no la priesia un baga-tin» quell'arte «stupendissima» che un di «giera in su quel culmine che podeva mai esser scientia niguna» 2). Bella cosa certo presagire il male e il bene di sulle mani «de un bri-ghente» o la prole futura su quelle femminili; e bello anche v. B. Cecchetti — La Rep. di Venezia e la Corte di Roma. Vol. II Doc. I. pp. 5. r) Le lettere di A. Calmo curate da V. Rossi. Torino Loescher 1888 pp. 187 e sgg. scoprire un furto o rinvenire qualclie cosa perduta »vardando int'una ingistera d'aqua sofistica, riolando un vuovo, conside-rando un pezzo de cera e calculando una imagine de cera, bu-tando diese fave, con carbon, pan e sasso e mille sorte d'her-barie;> ne lo scrutare il corso della vita umana da Giove, da Marte, dalla Luna e va dicendo era faccenda di minor conto! Alcuno si dava a codeste dottrine «esperimentando con circuli e caratere scrite in carta verzene, con sangue de notola, in a-scendentia sferica, sconzurando in liogo remoto i capi infer-nali, con candele de grasso de morto, corteli fabricai con esor-cismi, notando suso un libereto fatto de pele de anemal desperso, fazzando vegnir, per forza de parole altissime, demonii a zurar al maistro fldeltae....» ed al tri segreti ancora si conoscevano per suscitare le fiamme amorose come lo « scriver suso la palma e tocar una dona, suso una foia de salbia e darla a nasar, dirghe tre parole dormando int' una rechia e mostrarghe un fazzoleto bagnao in orina de rospo e incensao con sete sorte de profumeghi...» Tutte belle cose, chi no '1 vede? ma il buon Calmo preferiva credere «in Deum patrem, per quem omnia facta sunt, co fa i fedeli c.ristiani e no in ste zanze e baie, fusare, tatare e zaratanarie.... sta vostra chiromantia, geoman-tia, astrologia, fisionomia, negromantia o arte magica, co la vole interpretar, no me quadra, no la voio e no la me con-sona» Ne altrove egli risparmia i suoi strali contro quelli che «co i ha imparao a mente la santa c-rose, i vuol saver quanti brazza e longhe le štele, si le xe fisse o cadente con el corso de le erante, el moto del sol, e donde '1 vadagna tanti soldi ch'el spende in cavai e carete, in far tanto viazo conti-nuamente nel obliquo circolo, si la luna ha machie e quanto renso ghe fa un camisoto, e de zo che se nutrisse le so con-giontion e oposition, el combater d' i pianeti, el concorso d' i elementi a la generation de le cose e finalmente algune fan-donie, da far deventar mato un Platon, un Thales, un Chilo, un Cleobolo....* 2J Cio non toglie peraltro che, talora, anche il buon Calmo attinga ali' arsenale delle caccabaldole astrologiche, come nella lettera a «M. Zuan Maria dal Corneto» dove egli i) ib. La lettera e una delle piu note clel Calmo «notevolc, bene af-ferina il Rossi, come protesta contro le scienze occulte, che nel periodo del rinasciinento ebbero molti fautori e seguaci» (pp. 189 in Nota). *) id. pp. 73. afferma: «Scartabelando la elavieula de Salamon, el centum Re-gum, la ohiromantia e le raise de 1'astrologia, con fronta da la fisionomia e da le linee che indiea miseria e aventura, e var-dando per pendaculi de le inclination, segondo le proposition elementarie, e' cognosso che la piu parte e anche diro cusi, el mazor numero de le generation de brigae, quando le nasce le mena e porta con esse el boletin de le so aspetative, perche in efeto i pianeti, che xe maistrali de i nostri corpi, ha fatto un acordo in fra de lori e dividesto i zorni per dominarli a so beneplacito....» l) E al Raimondi veronese egli facea tanto di berretta come quegli che assai nobilmente e dottamente professava 1'arte sua «veramente pura, honesta e simplice a-strologia, che va a lai de la broca de le venture o molestie, che die intravegnir a l'homo» 2). Nel disprezzo buon compa-gno gli fu il Garzoni il quale, parecchie volte, appunto 1'ira sua contro gli indovini in genere «i quali su le piazze et bot-teghe radunano il circolo, mentre parlano deli'astrolabio, del scioterio, del quadrante, del direttorio instromenti astronomici, mentre meglio si convien loro un ciffolotto in mano, o un ca-capensiero in bocca, essendo insipidi nel sermone piu che un zocco, et frolli di cervello piu che l'ocche de gli Hebrei*3). Ma la furberia giovava assai come quelli che davan fuori pro-nostici oscuri a somiglianza del Pizio Apollo « che ne la Sphinge, ne Edipo gli saprebbono sciogliere, e tanto communi, che pos-sono applicarsi a molti principi a un tratto, a diverse nationi, et cose intinite in un medesimo tempo, e non e gran tatica il torre a indovinare quello che indovinano: concio sia che fra tante stelle, che sono in cielo, bisogna che ve ne siano di quelle che promettono bene, et di quelle che promettono male...»4) Ed era cosa invero da infedeli giudicare dalle stelle gli atti e gli avvenimenti umani e ridicoli erano i poeti «cosi antichi, come moderni« che quelle chiamavano empie e crudeli come se congiurate a' danni loro, ma specialmente vituperandi co-loro i quali, peggio che eretici, facevan dipendere dagli astri e da essi riconoscevano «il dono della profetia, la forza delle Religioni, i secreti della conscienza, 1'impero sopra i Demoni, id. pp. 118. 2) id. pp. 242. 3) La Piazza nniversale ece. Venezia 1592. Disc. XXXIX pp. 369. *) id. pp. 389. la virtii de' miracoli, la possanza de preghi, et lo stato della vita futura....» ') E dannabile era la chiromanzia e «il gettar delle festuche ineguali; il consklerar le figure ch'avengono nel piombo liquefatto; il tirar de p unti sopra una t a vol a, o pietra, con la faccia rivolta alla luna, il tirar le fave, come fanno piu meretrici et r.... di Venetia...,®2); da ultimo il Garzoni ricorda i inetoscopi, i piromanti, gli idromanti, gli aeromanti, gli axinomanti, i capnomanti, i capiromanti, i conschinomanti, i botonomanti, i gastronomanti, gli alfitomanti, i tiromanti, i geomanti e i chiromanti «i quali considerano i monti della mano, quel del police, dell'indice, del medio, et deH'anulare, et deli'auriculare, et insieme insieme i pianeti loro, et cosi le linee di quella, e prima le quattro principali, cioe la vitale, la naturale, la epatica, et la mensale, e con esse le loro sorelle, e insieme il quadrangolo, e '1 triangolo, con 1'angolo suo su-premo, e destro, e sinistro, e poi le tre maniere della linea Saturnina, e le tre della lattea, et cosi la linea solare, la mercu-riale, il cingolo di Venere, con altre mille maniere di linee per-fette, imperfette, grosse, sottili, apparenti, confuse, continue, in-terrotte, intiere, intercise, diritte, tortuose, profoncle, superficiali, marcate, rifiesse, biforcate, ramosculose, puntuate, fossele, circo-lari, semicircolari, stellate, incrociate, congionte e parallele...*3) Ma 1'arte ormai era invilita e «i Cingari soli.... attendono a quella, dando con spasso e trastullo del mondo buona ven-tura a tutti, guardando sulla mano, e dicendo mille novelle alle paparote massimamente, non con minor falsita, che gioco, essendo da tutti stimata una professione ridicola, et erronea da dovero* 4) Ne le attribuzioni, nella loro apparente assur-dita, sono esagerate; basta scorrere, chi il voglia, anche super-ficialmente alcune delle memorie di processi cui piu sopra ac-cennammo e le credenze piu pazze e bestiali vi vedremo af-fermate, corroborate da diabolici e assai strani esperimenti. Si gettavan le fave, si scrivevano i nomi su un determinato nu-mero di foglie di salvia, o su uova, si adoperavano pelli umane tolte alle parti piu delicate, pietre, pergamene con segni ma-gici, ossa di defunti, orine, statue di cera, sapone, calamite, in- ') id. pp. 391. «) id. Cap. XL pp. 413. 3) id ib. pp. 416. *) id. pp. 417. censi, ferri, filastrocche amatorie, olivi, lampade, ostie consa-crate, dicerie deprecatorie, orazioni, disegni, imagini sacre, agli, erbe, chiodi e via via che la storia sarebbe certo divertente ma troppo lunga a voler enumerare le varie arti alle quali, se-condo il desiderio vario dei postulanti, si avea ricorso: certo ne avremmo uno studio interessante e pieno qua e 1& di gaie sorprese, grazie specialmente al numeroso stuolo di eerte don-nacole che a tali arti, naturalmente, prestavan lede ad occhi chi tisi. «Altro ci vtiole, esclama ancora il Garzoni altrove ') k possedere il nome d'Astralogo, che havere la sfera in mano di-pinta, gli occhiali al našo, 1' astrolabio a' piedi, comporre un luna-rio sopra tutti li mesi deli' anno, formare un pronostico rubato dalle tavole di Nostradamo, et allegare Tolomeo neH'Almagesto, o Martiano, o Giulio Firmico, overo il R6 Alfonso in cjualche libro loro. Con quanta complacenza fanno star la gente attenta mentre diranno, che 1'anno, secondo la rivolutione del Sole co-minciara al primo di Genaro, a, minuti quaranta, secondo il calcolo del Re Alfonso; che Mercurio sar& padrone dello splen-dente, et predominante, e Marte, e Giove nella sesta časa; che sarči mitigata la fierezza di Marte, dalla piacevolezza di Giove.. E fino a quanclo il mondo, gotfo, avrebbe prestato fede a simili trufferie ? «....non Astrologieran quelli «ma stralocchi, non Matematici, ma veramente, et realmente matti e della piu fina materia, che si ritrovi....» Tali i pareri di due tra i piu caratteristici personaggi del tempo cli'io o creduto opportuno mettere insieme, a maggior chiarezza e a confronto, coll'anonimo autore del capitolo scritto in odio agli astrologhi e indovini in genere: troppo breve e modesto e il documento perche io reputi utile dargli attorno una piu ampia cornice; a publicarlo m'in-duce e il desiderio ch' io accarezzo da tempo di illustrare, anche nelle minuzie, il secolo XVI nella Republica Veneta e la persuasione di otfrire un lieve contributo alla storia della for-tuna deli'astrologia in Italia:2) scienza che, ciecamente colti- 4) in opere di T. Garzoni — II Theatro de' varij, et diversi Cervelli Mondani. — Venezia MDCXVII pp. 80 e 81. 2) Nel codice inedesimo e un sonetto, in materia di magie. del quale tralaseio le terzine soverchiamente libere: Se le fave non mente per la gola, che butiti hiersera in zenochion, de scriver e dir mal ho gr&n ras on tle sta mia solenissiiua mariola. vata da una parte del volgo, gode anche le simpatie di eccelsi spiriti e 11011 t'u del tutto vana ne' suoi effetti: necessaria quasi a quel senthnento di idealita che forma uno dei caratteri es-senziali del Rinascimento;l) scienza eni, a Venezia almeno, non valse a contenere il rinnovato ordine di cose instaurato dopo il Concilio di Trento poiche ben piu numerosi časi colpirono le leggi della Republica nel secolo XVII. Dr. Antonio Pilot. Capitolo contra li Astrologhi, et indivini. A sti Astrologhi muffi da dozena, in fe do Dio, 'che 110 ghe crederave se i me zurasse che un pan ha molena. Pensfe po fradel mio zo, che farave ep' i me volesse entrar su quei secreti che xe stai sempre sotto tante chiave. E provanne per forza de pianeti che Sier Saturno ;Y mimero disnuove fa i homeni mal sani e poveretti. E dirme, che quel lil xe m. Giove e quel altro mercurio con braghesse pare de quei, che v A, portando nuove. Ma mi 110 vogio che i me petta vesse e pi presto che starghe d' 1111 inarchetto L' investirave in tante bone lesse. Stemo troppo pe ])ian, e in liogo stretto e il ciel vA, in aito tin a cha de Dio, e chi ghe vnol tirar rompe l'archetto. Tiole l'essempio da chi traze a Lio, i "Tiara ve in tel coniio ben in brocca, se i stesse il largo tanto co xe un mio. Mo inflna in tel tirar el collo ali' occa co la corda xe conza troppo in alto assai se butta e nissun mai la tocca. Che se (lie dir de chi vuol far sto salto da <|ua lili nel empireo, e remurchiar pronostichi sui jionte de rialto. Perch« {'ti mm.i al lin ilellu parola chc termina e flnisse Toration, visti tra il i>an, tra la cera e 'i cnrbon su la gazeta la so fava sola. l) Cfr. il beli' articolo «Astrologia» (in «Gazzetta Letteraria» Anno 1892, N. 41, pp. 330-1) del Gabotto il quale, coni' e noto, tratto magistral-mente, in parecchi lavori, il medesimo argomento : altri ne parlarono, che qui non čredo indispensabile nominare, per la mndesta contenenza del mio scritto. 0 che i xe matti, o che i ve vuol far star con Loiche senza testo, ne mesura, ina besogna maudarli a far squartar. v Onde se ben culu dalla ventura disse, che morire sotto sto Dose per questo no habbie niente de paura. E lassfe andar ste cose Diavolose che no ghe la piu dretta che dormir de longo via co se ha"fatto la crose. 1 xe pur matti chi se sta a stornir perche no '1 poria far dal tal in zoso, che un sapia zo che (lie intravegnir. E po voler trovar quel che sta scoso se convien tanto A nu, co' una baretta de veluo alla testa d' un tegnoso. Arnaso ingordo no vuol porta stretta, l E chi xe troppo grossi de tamiso no fa mai vegnir zo farina netta. E se un de nu volta un puochetto el viso in ver del sol ghe sbazzega~la luse, varde chi vuol trescar in Paradiso. Sti Astrologhi xe noine tutti fuse, E chi ghe sporze nrT quartariol de nose, no i sA zA dir quante ghe n'e de buse. I e co xe questi con le man rognose, E van vendando bon onto da rogna, E da farle vegnir belle e pastose. Cusi sti m al andai senza vergogna vuol saver dir ai altri con scritture quel che aponto per essi ghe besogna. Sti vardari de man, e ste ven ture, Dio sia con nu, I' e fie del trentapera con tutti i assi e doppio de figure L'e un dir A, mente, e no minga l'e vera Perche se ghe la veritA da un lai dali'altro ghe carotte A eentenera. I Astrologhi xe co' el libro di dai che te manda da Rodese a Pilato, con quei so eerti versi strupiai. che tal volta A vardar cusi da smatto al flume tabor ghe ho trova partie de cose, che par vere in proprio fatto. Horsu se e bone ste so Astrologie che vuol dir che i pronostichi, che i spazza xe quasi o tutti pieni de busie. Che cd i dixe el tal di sarA bonazza, el fa fortuna, co i chiama, in sirocco vien zoso tanta buora, che i se agiazza. No i ghe ne vuol saver troppo, ne puoeo E tutte ste so historie mal stampae xe fatte per chiapar qualehe bertocco. Oh quante volte hai ditto el tal instae šari gran earestia, che a sette e a otto se vendeva le bone bnratae. Spesso co '1 dir ch' el teni]io 110 xe rotto i proinette abbondantia, che magari se sentisse a criar caldo el megiotto. E sti niarioli e sti pezzi de lari ha fatto fin del priino cielo forsi pezzo de quel che xe el campo di bari. Co '1 metterghe inontoni tori et orsi Gambari, searpioni e castronazzi che die spuzzar da seniola e da torsi E ]io qua i vuol che da sti anemalazzi vegna dogai, corone e teste rosse niitrie, nianeghe a coniio, forche e Iazzi. Oh grami quei, che se impazza in ste cose, perche bandij d'ogni lnogo sagrao i va cusi airinferno in carne, e in osse. E sto voler, che ogni honio sia bolao da sti so certi segni maledetti ha del Lutteran maržo fina in cao. Ale barbe de quei santi Profeti che indivinava za niiera d' anni con altro, che con luna et con pianeti. I 110 buttava minga fave in grani ne i vardava in tel gotto, o in la madona, con tante strigarie, tanti malhanni. Ma i lo feva con fe.de della bona E sti alt iT" tira zo Domenedio co '1 fosse proprio una mala persona. Con dir ch'el brazolar 110 xe avalio, E che le stelle de sto soffittao fa un cievolo da bon, 1'altro da rio. E co un liomo fa qualche peccao 0 qualche bella botta, el 110 si e lu, ma i so pianeti, chel sia accanao. 1 110 vuol che se possa tra de nu nianche trazer 1111 petto, che sia so, sel no vien ballottao prima de su. E i črede, ch' el so star in liago i far la vardia a madona Diana de dir el tutto, se no al prirno, ai do. E si alla fe fradello, che i se inganna, E che i serrasse un de essi in magazen no' i poria dir zo che se fa in altana. Ficbeve un pugno de qualchosa in sen, che se i ve disse mai zo che ghe drento no rne habbie piu per zovene da ben. Tiole qualche monea strania d' arzento per farli indivinar zo che g'he 6 sotto ca 110, che i no vel dixe alle dusento. I vuol po saver dir del tarraniotto de guerre e k che rason, cTTe vegnera el vostro bollettin fuora dal lotto. Nigun no puol saver zo che ghe sar&, 1' ho ditto, el torno a dir, el diro ancora tutte le volte, che besognera Doncha fradel mando custu in inalhora, perche se sto humor salso pia raise, tardi la man a! cul co '1 petto 6 fuora, Cancaro alla ven tura, 6 a chi la dixe Di alcni creflenze e costumi nella cltta i Ctao, A persuadersi, che gli studi folklorici non sieno ragazzate, come per un po' di tempo si credette, basta leggere la rispettiva Bibliografia di Giuseppe Pitre, che puo dirsi il fondatore insigne di questi studi in Italia. II folklore, cioe lo studio delle tradizioni, delle credenze, delle superstizioni e degli usi popolari, forma il sostrato della storia di un popolo, siccome quello che dando a divedere il carattere e la psiche di un popolo, lumeggia per con-seguenza i momenti storici in cui s'appaleso ranima popolare. Ma per l'Istria il folklore ha un valor tutto speciale: esso e una prova di pili deli'italianM deli'Istria; ed e una prova psicologica, per la quale, nella comparazione delle tradizioni e credenze istriane con quelle italiane del Regno, si 'riscontra, che l'anima dei due popoli - due, cosi per dire — e la stessa, perche 1' anima e la fantasia popolari sou le stesse, mentre di-vergono dalle tradizioni di altri popoli, teutoni e slavi. A vieppiu dimostrar cio, era inteso il mio pensiero, quando impresi a scrivere questo semplice saggio folkloristico su certe speciali credenze e su certi usi speciali della citta di Cherso, dove le credenze comuni a quelle del Fiorentino, del Veneto e del Napoletano, e gli usi che si riscontrano nell'Abbruzzese e nel Marehigiano, battezzati italianamente dalla storia e dalla gloria di Venezia, dicono che 1' italianita di Cherso non si puo contrastare e che la vita che vi si vive e nienfaltro che ita-liana, se pur nelle credenze e costumi del suo popolo ha pro-fonde radici il sentimento nazionale. Naturahnente gli usi, credenze e tradizioni di Cherso sono le stesse di altri luoglii italiani deli' Istria e d' altre contrade d'Italia: e sono senza nuiuero, perche il popolo ne e adatto, avendo una facolt& immaginativa, non isterilita da troppe e gravi fatiche, onde le credenze e le tradizioni popolari cher-sine son genuine e saporite ancora. Si legga quanto scrisse nel 1900 splendidamente il Vesnaver sugli «Usi etc. di Portole* italiana, e si avranno a un dipresso gli usi di Cherso italiana. Qui soltanto vuol dirsi di alcune speciali cose, le quali clel resto saran per avventura anch'esse comuni ad altre localita istriane. Tuttavia si istituisca questo ragionamento: — tali sono le credenze popolari chersine; ma simili sono pure le abbruzzesi, lombarde e via dicendo; dunque fra le due popolazioni c'e una comunanza di carattere; cioe sono tutte e due italiane. — Ep-perd, certo di far cosa buona, plaudendo ai nomi di Tomaso Luciani, del prof. Antonio Ive, dell'ab. D. Iacopo Cavalli, e di Giovanni Vesnaver, che soli s'occuparono di folklore istriano ex professo, comincio il mio piccolo saggio'). * * * Una delle superstizioni e credenze popolari, che piu ri-scalda la testa al popolo di Cherso, e formata dalle leggende ') Per non citare nel corso di questo saggio continuamente opere riferentisi al folklore delle diverse provincie del Regno, cito qui, per una volta tanto, gli autori che scrissero degli usi, costumi, canti e credenze dei diversi luoghi. Vedi dunque quanto scrissero il Bernoni del Veneto ; Caterina Pigorini-Beri e G. B. Compagnoni-Natali per il Marehigiano; V. Oslerman e L. Morassi per il Friuli; G. Ferraro per il Monferrato ; il Pitre, A. Storniello, Salvatore Salomone-Marino, E. Sarzana-Mosso per la Sicilia ; C. Guerrieri per Rimini ; B. Mavena e Caterina Coronedi-Berti per il Bolognese; Grazia Deledda e G. Calvi-Secchi per la Sardegna; Pio Barbieri per il Ferrarese ; Duchessa d'Es!e per la Puglia ; Antonio De Nino e G, Ficcamore per gli Abbruzzi; C. Bottecchia per il Bellunese ; Marta Savi-Lopez per le Alpi; T. isencini per Siena •, M. Pasguarelli per la Basilicata ; G. Perotti per il Piacentino ; e molti altri. Ad ogni modo va consultata la grande opera di Angelo de Gubernatis «Tradizioni popolari italiane« in molti volumi. dei tesori nascosti, dei misteriosi depositi di soldi e di oro, detti per antonomasia seniplicemente «depositi». Clie queste leggende dei tesori formino il sogno pauroso e tentatore di tante notti, e facile a eomprendersi, perche nel popolo e ben generale la smania di arricchire, tanto che il campagnuolo, quando ara o quando zappa, si sente sempre acceso dalla speranza di trovar deli'oro sepolto; ond'egli rianda i fatti di tesori scoperti, le mille volte uditi e le mille volte da lui stesso narrati. La fantasia popolare, chersina ch'e molto inventiva, dice che tutti i tesori — come si črede nel Sulentino e Napoletanol) — sono incantati. Come il vello d'oro degli Argonauti, essi sono custoditi da spiriti, piu spesso cattivi che buorii, ai quali biso-gna immolare qualche anima, per lo piCi la propria, per riu-scire a trovar il pošto preciso del tesoro e poi levarselo. A rendere piu romantiche le leggende dei tesori nascosti la fantasia del popolo li pose fra i ruderi di antiche castella, dove forse i ricchi castellani sotterrarono le loro gioie all'a-vanzarsi del nemico predatore, oppure fra le macerie in luo-ghi solitari, disabitati e deserti, dove qualche avaro morendo dimentico i suoi denari; ma piu di sovente presso le chiese e presso i ciiniteri, dove li nascose o qualche spirito folletto o qualche ladrone, tocco da pentimento. In questi časi le leggende raggiungono il colnio del jera-tico e del mirabolante, dove la fantasia del Ch črnin o, che tiene assai deli'orientale, ricama i fatti piu sorprendenti, che su-scitano brividi di paura, piu che la ballata del Goethe — der Kchatzgraber. Quello pero che va osservato nelle leggende chersine dei tesori nascosti, si e che in sittatte narrazioni c'entrano sempre i Greci. II che dimostra una specie di egemonia che su Cherso e sull 'isole del Quarnero ebbero sempre i Greci ed il grande contatto fra quelle isole e i Greci, specie con i corsari Epi-roti, con i mercanti di Zante e Corfu e con i profughi del 1821. Non riesce tanto difficile lo spiegare queste leggende. Parecchie famiglie chersine povere salirono in breve a gran ric-chezza. II popolo non sapendosi dar ragione di tali quasi im-provvisi cambiamenti di fortuna, invento, basandosi forse su qualche raro fatto realmente avvenuto, scoprimenti di tesori Trad. popol. ital. a. I, fasc. IV e VIII. occulti, cosi e cosi, con tutte le loro brave circostanze, talche ne venner fuori delle belle leggende. I Colombis appartenevano ed appartengono aneora alle famiglie piu cospicue di Cherso. I loro antenati possedevano un intiero quartiere di čase in citt&, fra cui anche quella, ch'e ora propriet& del mio amico don Giuseppe Crivellari. Uno dei vecchi Colombis, il capitano d'armata Biazio (Biagio), trovan-dosi in Grecia udi narrar da un Greco, che in una delle čase Colombis, dove spunta il sole, stava naseosto un tesoro. Egli tenne a mente questo fatto e lo noto. Ma nel ritorno in pa-tria, quando le navi erano gia entrate nel Quarnero, venne meno e mori. Fra le sue carte fu trovato questo viglietto: — Dove spunta il sole — giace il piccol tesoro — di nobil me-tallo -— del tempo buono. — Ora e opinione comune a Cherso, che questo tesoro stia naseosto presso la časa Crivellari, dove spunta il sole. Si dice, che l'attuale famiglia del sac. don Gio-vanni Colombis possegga e conservi un documento risguar-dante il tesoro del capitano Biazio. E a proposito una vecchia fantesca di časa Colombis, nar-rava che facendosi la divisione di due edifici, confmanti con la suddetta časa fatata, dovevasi allargare una finestra. II mu-ratore — un gorinso della costa di Segna — nel demolire un tratto di muro, trovo immurato un vaso di vetro, pieno di o-live secche. La padrona, visto il vaso volle esaminarlo; ma il muratore fu lesto. a riporlo nel suo vano e a gittarvi sopra una cazzuola di malta, dicendo che non valeva niente e che non c' era niente. La padrona nulla sospettando, ritorno alle sue fac-cende domestiche; ma quando poco dopo ritorno sul luogo dei lavori trovo il foro del muro riaperto, mentre muratore e vaso s' erano involati. Si sparse tosto naturalmente la voce in citta che quel tale aveva scoperto un tesoro. — E guesto xe ve)-o, la sa, sior! — mi diceva la donna, e come prova aggiungeva: — la se figura, che la serra de sior a Zaneta la gaveva in man el covercio del vaso... — Anche Pietro, il capostipite della famiglia detta dei Conti Piero, divenuto ricco in breve, secondo il popolo avrebbe trovato un tesoro. Infatti (si narra) una vecchia udi a Fiume da un Greco che a Cherso ci doveva essere un gran tesoro, e dopo molto istanze, mosse da curiosM e da avarizia, ne riseppe anche il pošto, cioe dietro 1'altare della chiesa di S. Maria Mad- dalena. Nel tragitto di ritorno da Fiume a Cherso la vecchia a hordo della brazzera non seppe tacere e racconto 1'affare del te-soro ai compagni di viaggio. Ma fra gli uditori, in apparenza tranquillo e disattento, ma che in realta non batteva palpebra per ascoltare, c' era anche quel cotal Piero dei Conti Piero, che medito un tranello alla vecchia. Giunto ai pressi della Fare-sina, punta settentrionale deli'isola di Cherso, si finse arama-lato, tanto che 1' equipaggio lo costrinse a sbarcare. Appena fu a terra, corse alla chiesa. Di notte, armato di quattro fuscelli di ulivo benedetto, che indicano la direzione del tesoro, sul pošto fece con 1'acqua benedetta il di dell'Epifania (cosi pure si črede doversi fare nel Cadore e nel Friuli italiano) un cir-colo completo, per cacciare il diavolo e poi senza fiatare scavo, tinche... trovo il tesoro e divenne un riccone. * * * I tesori poi formano per gli spiriti un covo di loro tre-gende. Quindi non sempre la fanno passar liscia a chi cerca di involar loro i preziosi depositi. Cosi una sera una vecchia vide luccicar un mucchio di monete d' oro accanto alla chiesa di S. Maria Maddalena. Cheta, cheta, di not te si appresso al luogo misterioso, si riempi il grem-biule d' oro e ando a depositarlo in una sua cantina sotto una botte. Anche una seconda volta le riusci il giuoco. Ma alla terza si vide sbucar dalla terra un diavolo — nientemeno! — armato di tanto di forca, che la batte e la fece scappare piu morta che viva. Talora gli spiriti incutono spavento, senza farsi vedere. Una donna chersina trovandosi a Fiume udi, che due Greci parlavano di una fiasca di zecchini d'oro, che doveva trovarsi nella schiena di una statua d i legno dietro 1'altare nella chiesa cli Santo Spi rito, luogo cli sepoltura della nobile famiglia Petris. Arrivata a Cherso cli notte, temendo cli essere prevenuta da altri, volle tosto recarsi alla chiesuola. Si reco dal custode e gliene domando le chiavi, clicendo, d' aver fatto un voto allo Spirito Santo durante il viaggio burrascoso, che, ove fosse ri-tornata sana e salva in patria, avrebbe acceso tutti i lumi della sua chiesetta, subito subito, appena arrivata. Cosi la scaltra vecchia ebbe le chiavi e rintraccio il tesoro. Ma nel sollevare la tiasca, fu presa da tale misterioso spavento, che poco dopo di- venne completamente storpia. Ad ogni modo arricchi e lascio, come si dice, bes z i e roba. Ma non sempre a custodia dei tesori stan gli spiriti maligni; ve ne sono anche di buoni. In tal caso sui sito del tesoro si mostra una luce. Se, a mo' d'esempio, una persona ha na-scosto un deposito e mori senza rivelarlo ad alcuno, l'anima sua non trova pace ne pu6 salire alla heatitudine eterna, fin-che da qualcuno non venga levato il tesoro. Percio il fantasma si aggira sempre intorno al luogo del deposito. Chi ne rieeve la rivelazione deve farsi coraggio e incuorar anche lo spettro. Dirgli per esempio, come nel Friuli e nel Veneto, e come anche a Portole '), tre volte Anema terena, che peca te mena. contime la to pena! Sta lontan de mi! Alloi 'a il fantasma s' accheta, battendo col piede in terra indica il luogo dove si dee scavare, e sparisce rabbonito. Chi pero leva un tal tesoro, lascia bensi ricchezze a' suoi, ma in breve tempo va alPaltro mondo. Cosi un colono, zappando insieme ad altri lavoranti presso la Madonna di Loznati, sopra un mucchio di ruderi' vide ar-dere un candelotto in pieno giorno. Racconto tosto la cosa ad un suo compare e secolui stabili di andar sui luogo di notte. Ma costui piu furbo, ali' insaputa del colono, si porto cola con un tale soprannominato Pipizza. Compiute le prescrizioni di rito, come teste dicemmo, trovarono un otre di fiorini {un ludro de bezzi). I discendenti di Pipizza, che ritengono ancora questo no-mignolo, sono benestanti. Riporto ancora una splendida leggenda chersina. In una chiesa al Prato, dove i preti vanno a cantar ve-speri solenni la vigilia delPAssunta, c'e un tesoro nascosto, alla cui custodia vigila sempre una bellissima fanciulla, simbolo deli' attrattiva e del mistero. A chi si attenta di levar il tesoro, la fanciulla ad un tratto si trasforma in serpe. Chi si sente il coraggio cli poter compiere Pimpresa, deve recarsi nella chie-suola, cli notte; essere spettatore delPapparizione della bellisima vergine e della sua trasformazione in serpe; lasciarsi da lei avvolgere tutto il corpo fin sui viso e ricevere da lei un bacio l) Vesnaver, op. cit. pg. 300 e 301. nella bocca. Bel soggetto per qualehe simbolista scandinavo o olandese. — Mol ti, dice il popolo cliersino, tentarono la prova; ma nessuno vi riuscl, per il ribrezzo e lo spavento della scena. — E forse percio che ad esprimere il mistero, si veggono talora scol-pite delle urne arcane ravvolte nelle spire di un serpente verde. Quanto poi si sbizzarisca ancora la viva tantasia del popolo chersino intorno ai fatti misteriosi dei tesori nascosti, non si puo ben definire; perche si puo dir, che da ogni cervello di popolano c di popolana balzi una qualche tantasia, specie nelle čase dei marinai durante le sere d' in verno, o d'estate in sulla riva, tra i frizzi delle brune ragazze, nell' attesa pittoresca dei bragozzi e delle tartanelle da pešca. * * * Ma il popolo chersino ha anche le sue brave narrazioni di spettri notturni. Oltre il massariol, la pes&ntola detta anche mora, le streghe e le fade, credenze che i Chersini e gli I-striani tutti hanno comuni con 1'Italia, Cherso alberga ancora alcune apparizioni speciali. Premetto che le bizzarrie piu invero-simili e paurose si trovano nell'interno dell'isola. Onde a Vrana, sugli spaldi scoscesi e rupestri, che attorniano quel lago e sulle rovine di un villaggio chiamato Padova, si favoleggia di capre danzanti ed invisibili, di funebri canti di gallo a mezzogiorno, e cose simili. In citta van notate due strane apparizioni. Le prime son le Pianzote, che sono donne piccole, dai lunghi capegli con-fusi, šparsi per le spalle. Queste megere erano una specie di prefiche, piangenti un pianto rauco e lungo come uno stridor di sega, che terminava in un lugubre urlio. Andavano di sera per le vie della citta a spaventare ed uccidere di spavento i bambini e le vecchie. Talora si univano insieme sotto le ftne-stre delle čase, o ve le donne attendevano di sera, filando, il ritorno dei mariti. Le befane cominciavano una loro tregenda piagnucolosa e poi levando la voce in mezzo ai loro ferali sin-ghiozzi, chiedevano alle donne, se avean filato. Le donne allora con i bambini dovean tacere e nascondersi per non essere vedute dalle pianzote, perche se rispondevano o se af-facciatesi alla flnestra fissa^ano i loro sguardi su quelle facce cadaveriche, sarebbe loro incorso di certo un grave sinistro, od anche la morte. Nei quartieri a pianoterra, dove le pianzote levandosi sulla punta de' piedi avrebbero potuto guardar den- tro, le donne dovevano spegnere i lumi e rincantucciarsi in-torno al focolaio. Questa credenza tvora un riscontro in certe streghe del Veneto e del Piacentino. I secondi sono un genere di spiriti molto buffi. Erano que-sti i marcodlazzi, spiriti fuggiti dall'inferno, che apparivano per la citt&, di sera, in forma di asinelli. Naturalmente quando per le vie comparivano siffatti somarelli, era una gazzarra e un baccano per rincorrerli. Che se poi a taluno fosse venuta la mala voglia di saltare su una di tali bestie, il somaro si levava, si levava sempre piu in aria insieme al malaugurato cavaliere, per modo di arrivar sino al tetto di qualche časa, dove lo sbal-zava bruscamente, o dove, trottando su per le tegole, spariva con quel povero diavolo, a cui era toccata si cruda sorte. E mi si assicurava — e bisognava vedere con che serietA,! — che una tal vecchierella, quand' era ragazza, era stata presente ad una di queste sparizioni. E dico poco! Ad ogni modo — aggiungeva il mio cicerone popolano, molto eruditamente!! — le pianzote e gli asinelli non si ve-dono piu, perche furon tutti rinchiusi nel Satir Officio di Venezia!!! — e compresi per Sani'Officio di Venezia egli in-tendeva. una specie di prigione degli spiriti della Serenissima. Insomma: piu si vive e piu si impara! Queste credenze sono etfetti di paura, d'ignoranza, cli su-perstizione? Di tutto un po'. Talora sono alcuni burloni, che narrano di aver visto quel che non videro, e cosi spacciano, come argutamente dice il Manzoni, cli quelle terribili storielle, che i furbi sanno comporre e gli eccitati sanno credere. II con-tadino e il pescatore, i quali, si pno dire, ad ogni istante sono spettatori di fenomeni naturali, perche non hanno studiato, non sanno spiegarsi le cause fisiche cli questi fatti, onde con l'aiuto della loro fervente fantasia, ricorrono a spiegazioni, che hanno del preternaturale, ingrandendo sempre piu si il bello chel'or-rido, si lo spaventoso che il ridicolo, particolarmente nelle riu-nioni famigliari, d' inverno sotto il camino, mentre la monotona voce della nonna fila i suoi racconti, ovvero a prua delle pa-ranze peschereccie, quando gli uomini cli bordo se la contano, al cigolio delle sartie, dolcemente cullati dali'onde. Da qui le novelle sul tipo delle maraviglie clel Poe, che non si fermano al semplice stadio di racconti sporadici, ma assurgono al lusso di terme e generali credenze popolari. (Continua). Francesco Babudri. Notizie storiclie di Grisigriaria (Coutiimazione — v. A. III, pg. 60). Eni anche vietato di stendervi sopra i «grisi», e cio per non «dcbilitar dette muraglie*. E poichc'; i guasti alle mura davano occasione a raolti contrabbandi, il capitano di Raspo doveva invigilare alla conservazione loro (Atti e memorie, a. XIII p. 122). Dopo tre ore di notte chi camminasse per le vie del Časi ello, doveva portare con se un lume acceso e non avere armi. Se alcuno pero andava nel suo campo con arme o senza, con lume o senza, e se ne tornava, poteva farlo senza incorrere in pena di sorte. Se si dovesse accompagnare donna od altri a časa sua, era concesso di portare armi, ma dovevasi avere anche il lume. E armi era vietato di portare in qualsiasi tempo, eccetto nelle feste pubbliche e durante le fiere franche, e toltine «li ufficiali della corte et foresteri per transito*. Vietato di portar via i frutti dai campi altrui. II cavallo trovato a danneggiare le possessioni, era legato e conclotto in berlina; per i danni recati dagli altri animali, il padrone doveva pagare il danno e soggiaceva anche a pena pe-cuniaria. II salta ro che fosse trovato far vino dell'uva altrui o portar via le frutta dai campi, incorreva in una pena pecuniaria e doveva stare in berlina un giorno. Erano del pari puniti coloro, i quali senza il consenso del padrone, segavano 1' erba nel fondo altrui. Le ingiurie recate ad altri senza arme nella sua časa o nel suo podere, erano punite con la pena di 25 lire; se erano fatte con arme, la pena era doppia. II pascere i propri animali era concesso a chiunque in tutto il territorio e per tutto 1'anno. Ma dal giorno di s. Gia-como in luglio sino ad otto giorni dopo il s. Michele di settembre il pascolo entro le finide era vietato. I buoi pero e le vac-che da lavoro potevano pascere liberamente 8 giorni innanzi s. Michele. Alle vacche che non erano da lavoro, alle pecore e alle capre non prima di s. Luca. Libero pascolo tutto il tempo deli'anno ai «capretti et montoni da semenza». Le accuse per danni recati alle possessioni entro i confini delle saltarie, potevano farsi soltanto dai saltari o dal dan-neggiato. Chi danneggiava le possessioni altrui era tenuto al risar-cimento del danno e incorreva liella pena di 3 lire di giorno e al doppio di notte. I «danni dati» ai carapi da uomini o da animali dovevano denunciarsi entro tre giorni «all' ufficio della cancelleria*. Non poteva farsi accusatore di danni recati ai campi al-tri che il proprietario, 1' affltuale o il saltaro ossia guardiano. Ma se il saltaro accusava alcuno falsamente, era punito con la pen;i del taglione; sofFriva, cio&, lui quella pena che sa-rebbe toccata aH' accusato, se la denuncia fosse stata vera. La prescrizione per il pagamento dei danni recati in campi «de biave, vigne et frutti» era di un anno. Chi comperava lite da un forestiero contro un cittadino era punito. Ed era punito eziandio chi toglieva ad alcuno gli attrezzi rurali sen za il consenso del padrone. Non si poteva metter prezzo ne far mercato di biade prima del giorno di s. Pietro e Paolo in giugno, di vino prima del giorno di s. Maria in settembre e di olio prima d' Ognissanti. Chi rubava fieno o paglia di giorno pagava tre lire. Se rubava di notte, la pena era doppia. II distorre un famiglio od una massaia da' suoi doveri verso il padrone innanzi il tempo convenuto era vietato. Chi lo faceva era punito, e il famiglio che si recasse a servire un altro padrone, era cacciato in prigione per un mese. «Formento over altre biave» era vietato di esportare dal territorio senza il permesso del podestA, se non per condurle a Venezia. Chi con arme offendeva alcuno, pagava tre lire; uno schiaffo si scontava con la pena di lire £-10, un pugno con una lira. La donna che ingiuriasse un'altra, pagava 5 lire; e un giorno di festa «dopo la messa grande et davanti la chiesia in presenza del populo* doveva «retrattar le parole mal ditte et mentirsi per la gola». , Ma se 1'uomo offendeva l'onore di un altro, senza poter dimostrare la verit& di quanto aveva detto, pagava 10 lire e doveva disdirsi publicamente come la donna. Le eose rubate non potevano comperarsi che publica-mente in piazza. Ogni sabato chirtnque avesse časa nel Castello, doveva spazzare tutte le iniraondezze che si trovassero sulla via publica dinanzi la sua abitazione. Era vietato di gettare sulle vie im-mondizie o acque sucide e il lordare vicino alle chiese. Chi batteva il frumento od altre biade sulla piazza di s. Cosmo e Damiano dinanzi le porte del Castello, era tenuto di spazzar via entro tre giorni tutta la paglia che restava. La quale pero 11011 dovevasi gettare nel fosso sotto il ponte «tanto quanto dura il fossale predetto per longo et per largo de tutto el barbacan». Segate le biade nel campo, era vietato per tre giorni di pascere animali sulla stoppia senza il consenso del prorietario. Per toghere il pericolo d' incendio, il fleno doveva tenersi lontano dalle čase abitate. . Chi rapiva la moglie altrui, perdeva la mano destra e un occhio «o veramente star debba in galia de condannati del Ser.mo Dominio al remo in catena anni cinque, et cio sia ar-bitrio del giudice*. La donna perdeva la sua dote che spettava al marito. Chi sforzasse la donna maritata, la vedova o la fanciulla, incorreva in pena capitale. II ladro, sino a cinquanta lire, era »frustato al costume delli ladri per tutto el Castello de Grisignana con restituzione del furto». Per un importo da lire cinquanta sino a venticinque ducati era »frustato et bollato a correttione et terrore degli altri». 11 falso testimonio era pronunciato infame, e doveva «vo-gar il rerno in galea de eondennati deirill.mo Dominio in catena anni X con taglia ad arbitrio del giudice». II notaio che serivesse strumento falso era privato per sempre del suo ufficio, perdeva la mano destra ed era procla-mato infame. Quelli poi che presentavano in Giudizio scritture false, incorrevano nella pena di cento lire «con perpetua nota de infamia*. L' usura era punita con la pena di cento lire, e dichia-rato nullo il contratto usurario. Al podesta era inibito di decretare aumento o diminu-zione alle pene sancite nello statuto. E se avvenisse un caso, sia in materia civile o penale, al quale lo statuto non provvedeva, dovevasi ricorrere allo statuto cli Capodistria. Era infine lasciata facolta al Consiglio comunale cli ag-giungere nuove disposizioni, quando ci fosse bisogno, anche dopo 1'approvazione del presente statuto. IV. Piemonte. — Castagna. — Cisterna. — Cnberton. Grisignana, comune locale, ha ora dipendenti i comuni cen-suari di Piemonte, Castagna, Cisterna, (Sterna) e Cuberton, i quali tutti appartengono al distretto giudiziario cli Buie e a quello politico cli Parenzo. Al tempo che divennc sede del se-conclo Pasenatico e fu veneta, il che accadde, come s'e veduto, neiranno 1358, il distretto cli Grisignana era da ogni parte circondate da terre feudali, toltane Montona, venuta sotto il dominio di s. Marco appena da pochi anni (1278). Buie, Por-tole, Momiano erano tuttora de' patriarclii d'Aquileia, Piemonte e Castagna appartenevano alla giurisdizione dei conti di Pisino. II castello di Piemonte sorge a 250 metri del mare sopra un colle pošto fra mezzo, o meglio tra le fauci — come assai appro-priatamente scrive il Percichi — di due alti monti che se gli inalzano da oriente e da ponen-te; e serrandosi a settentrione, offre a mezzodi un' apertura deliziosa, verso la valle cli Montona, che gli di un aspetto vaghissimo. II paesello e tutto aggruppato in cima al colle, dal cui centro si estolle la chiesa parroc-chiale, il campanile a torre merlata e il palazzo dei signori che furono del castello. Ebbe gia due porte, una a bora, dinanzi alla cjuale si apre una breve pianura, ove sono gli orti e i vigneti del paesello assai fertili; 1'altra, a mezzodi verso la valle del Quieto. Sopra questa seconda porta vedesi ancora a sinistra, Farme dei Contarini; e a destra un pezzo di marino di forma ovale, senza alcuno seritto, con due figure in rilievo che si daiino la mano. Ercole sembra la prima figura in piedi; 1'altra, pure in piedi, una donna che tiene in mano una patera, e fra di esse appare un piccolo cane e un tripode con una tazza da bere. 11 sasso fu veduto anche dal vescovo I. F. Tomasini. Presso a questa porta, che e ancora intatta, era la loggia della comunita, ove 1'agente comunale giudicava fino a 20 lire, ri-servato ai sudditi il diritto d'appellazione al giurisdicente del castello. La chiesa parrocchiale, antica, sta nel mezzo clel luogo ed e intitolata a san Primo ed alla Vergine. Ha ora due al-tari, ma ne aveva quattro, e fu rinnovata nell'anno 1634 per diligenza dei sudditi e del capitano Giuseppe Del Bello, il quale tenne a fitto l'entrate del castello per lungo tempo. II fatto e ricordato dalla epigrafe che si legge scolpita in lettere d'oro1). A questa chiesa il vescovo Tomasini, nella sua visita del-l'anno 1643, dono una reliquia di san Primo, titolare della chiesa, ch'egli avuta dal cardinale Altieri, porto seco da Roma. Fra le iscrizioni del tempio e notevole quella che ricorda Pietro Fvnz o Fiinez (o anche Fiines, come nella epigrafe) portoghese, e che oggi si puo vedere in una nicchia della sagrestia. II Fi-nez ebbe nell'anno 1461 in dono il castello di Piemonte e Ca-stelnuovo «ad dies vitae» da Leonora moglie di Federico III imperatore, e figlia di Odoardo re di Portogallo, la quale in assicurazione del dono di 10.000 zecchini2) aveva ricevuto dal marito la contea di Pisino, e con essa quindi anche Piemonte. Su questa pietra si vede prima, in alto, l'arme del Fines ossia tre teste bendate in triangolo coi cimiero d' un cavallo ram-pante, e sotto la iscrizione recante l'anno 1474 in caratteri che, 1) TEMPLViM HOC IVSSV ILL- ET ECC.MI D. IVLII CONT:1 D. LOCI HVIVS A SP:LE COlTE E FVN DAMETIS PROCVR :TE D: IOSEPHO DEI BELLO CIODIESE HIC DIV CAP0 RESTAVRATY FVIT TEPORE PERILL RR DN1CI ARMANI PLEBANI I0S AVGVSNI CAP:NI ETANT1 TESARIJS MA ANO A VIRGS PARTV 1634. P. MAH 2) Atti e memorie, v. XIII p. 171. a detta del prof. Sticotti, segnano col loro stile il passaggio dal gotico al rinascimento '). Pietro Finez, che era ammogliato a una contessa di Sau-rau, rammentata nella detta iscrizione, aveva donato a questa chiesa un bellissimo calice d'argento dorato, fregiato di rae-daglioni finamente smaltati tutto ali'ingiro della coppa e del-1'ampio piede, su cui stava pure ricordato il nome del dona-tore. Nella chiesa stessa egli fece erigere un altare cledicato ai Santi Fabiano e Sebastiano, dotandolo di propri stabili e fon-dandovi nell'anno 1476 una mansioneria perpetua 2) Questo ca- La iscrizione dice: INSIGNA ■ PETRI • FIINES HVIVS • CONDITOR • OPVSCVLI NOBILIS ■ FIINS ■ EXTITIT PETRVS: ANNO • CVRRENTE DOMINI: M • CCCC • LXXIIII QVI ■ NATIVVS • FVIT: EX • IN CLITO • PORTVGALIE • REGNO SVA • DENIQVE • FIDELITATE HIC • DIV • PRO ■ DIVO • MERVIT FRIDERICO • PRESIDEM • FORE INSIGNEMQVE • SVSANAMDE SAVRAV • DVXIT • LIGITIMAM ■ II senso della quale 6 questo: -Sulla piazzetta, dinanzi alla porta di settentrione, s' inalza un'altra chiesa, assai piu grande della prima, dedicata ai santi Giovanni e Paolo. Entro questa chiesa, a destra, e murata una epigrafe deli'anno 1792, da cui s'apprende che il tempio fu costruito o meglio rinnovato sotto gli auspici di Lodovico Con-tarini, signore del castello, mentre era capitano Giovanni An-tonini 2). {Contin.ua) G. Vesnaver L' ARCHIVIO ANTICO DEL MUNICIPIO DI CAPODISTRIA (Continuazione; vedi A. I, N. 6-12; A. II, N. 1-12; A. III, N. 1-3) Armudio f. N. 604. Libro di otto fascicoli legati insieme, sub regimine cl.mi D. Aloysii Superautio. 4) E posta sul pavimento della chiesa e dice: AMICETR NOLI NISI VS SVFFRACCIVM PORIGAS EGO ANTONIVS CARSICLA CA PELANVS DEFVTVRA MOR TE CONSIDERANS SEPVLCRVM ISTUI) MIHI MEIS HEREDIBVS ALIISQVE HVIVS LOGI SACER DOTIBVS HVC SVA COR PORA PONI VOLENTIBVS PA RAVI ANNO DNI 1689 2) Ed 6 la segmente: AVSPICIIS ET AVCTE NOBILIS VIRI ALOYSII CONTA RENI COMITIS IOPPE EQVITIS ET D: NI PEDEMONTIS TEMPLVM HOC A FUNDAMENTIS SVMPTIBVS ECCLESIARVM ERECTVM IOANNES ANTONINI DVX HVIVS C ASTRI IN HOC OPERE AB IPSO D: NO DELEGAT VS ET M A THEVS VALLE, MATHEVS VIDACH ET IOANNES FRANCO PROCVRATORES AB IPSO DVCE ELECTI IN PERENNIS SIGNVM MEMORIE HOC MON VMENTVM POSVERE DIE III AVGVSTI MDCCXCII EANDEM ECCLESIAM REGENTE EMERITO ARCHIPRESBYTERO D: NO PETRO BARTOLI E.vtraordiiiariorum lihe r: di carte 86. Dal G gennaio al 13 maggio 1592. Sni cartoncino c' e 1' immagine della giustizia a penna. Praeceptornm primus : di carte 40. Dal 15 maggio al 30 agosto 1591. Sul cartoncino c'e lo stemma del capitano in colori e sotto i seguenti versi: «Cio che mai pose Giustiniano in carte, E Solone e Licurgo ; il gran Soranzo Con retto stil a' buoni o a' rei comparte.» Secundus: di carte 77. Dal 30 agosto al 16 dieembre 1591. Sul cartoncino c'e lo stemma dei Soranzo in colori. Tertius: di carte 70. Dal 1 gennaio al 5 maggio 1592. Sul cartoncino c' e la figura della giustizia. Terminorum primus : di carte 14. Dal 14 maržo al 30 agosto 1591. Sotto lo stemma, che si trova sul cartoncino 1' amanuense serive: «Questo signor d' usar pieta c.onsiglia Perche fu sempre di clemenza aniica La Soranza illustrissima famigiia.» Secundus, collo stemma, di carte 10. Dal 3 settembre 1591 al 3 gennaio 1592. Tertius, eolla giustizia, di carte 13. Dal 10 gennaio al 20 maggio 1592. Procesni, lin fascicolo di carte seritte 53. N. 605. Libro bene conservato pero senza eartoni. Podesta e Capitano Antonio de Musto. Praeceptoruni primus, con lo stemma, di carte 29. Dal 1 al 30 luglio 1593. Secundus : di carte 56. Dal 1 agosto al 15 dieembre 1593. Tertius: di carte 58, con stemma a colori e la seguente epigrafe : «His libris leges lector tum bella videbis Et Musti nomen stabit ubique suuin.» Dal 5 gennaio al 29 aprile 1594. Quartus, con stemma a penna, di carte 41. Dal 2 maggio al 31 agosto 1594. Quintus, con stemma a penna, di carte 39. Dal 1 settembre al 21 novembre 1594. Termiiiorum primus, con stemma a penna, di carte 9. Dal 30 giugno al 25 agosto 1593. Secundus: di carte 15. Dal 6 settembre al 19 dieembre 1593. Tertius, con stemma a colori, di carte 29. Dal 7 gennaio al 4 maggio 1594. Quartus, con stemma a penna, di carte 13. Dal 4 maggio al 31 agosto 1594. Quintus, con stemma come sopra, di carte 9. Dal 1 settembre al 22 novembre 1594. Extraor-dinariorum primus, con stemma a penna, di carte 41. Dal 30 giugno al 31 agosto 1593. Secundus : di carte 62. Dali' 8 settembre ali' 8 dieembre 1593. Tertius, con stemma a colori, di carte 57. Dal 2 gennaio al 30 aprile 1594. Quartus, con stemma a penna, di carte 66. Dal 1 maggio al 29 agosto 1594. CJuintus, con stemma a penna, di carte 53. Dal 1 settembre al 16 dieembre 1594. Pro-cessi. Carte seritte complessive 304. N. 606. Podesta e Capitano Francesco Cappello. Fascicolo con lo stemma a colori: carte 64. Un po' macchiato, ma leggibile. Dal 1 settembre ali' 11 novembre 1595. N. 607. Libro legato fra tavole sotto il Podesta Gio. Francesco Segredo. Praeeeptornm primus: di carte 75. Dal 17 settembre 1597 al 2 gennaio 1598. Secundus : di carte 86. Dal 2 gennaio al 22 aprile 1598. Collo stemma a penna, Tertius : di carte 80 Dal 1 maggio al 31 agosto 1598. Sul cartoncino c' e lo stemma a penna eol verso virgiliano *Semper honos nomenque tuum laudesgue manebunU. Quartus : di carte 109. Dal 1 settembre 1598 al 27 gennaio 1599. Terminorum primus con stemma a penna: di carte 20. Dal 19 settembre al 31 dieembre 1597. Secundus : di carte 20. Dal 5 gennaio al 18 aprile 1598. Tertius con stemma a penna: di carte 36. Dal 1 maggio al 31 agosto 1598. Quartus : di carte 33. Dal 2 settembre 1598 al 26 gennaio 1599. Extraordinariornm primus con stemma a penna: di carte 58. Dal 19 settembre 1597 al 2 gennaio 1598. Secundus con stemma a penna : di carte 60. Dal 3 gennaio al 30 aprile 1598. Tertius con stemma a penna : di carte 58. Dal 2 maggio al 31 agosto 1598 Quartus : di carte 97. Dal 1 settembre 1598 al 4 febbraio 1599. Processi. Carte scritte 190. Un fascicolo contenente: 1) Lettere 10 di Pirano, Isola ed altri luoghi. 2) Proclami et mandati et altre eose pertinenti ali' ufficio della Sani ta. C. 33. N. 608. Fascicoli tre contenenti: 1) Lettere sei ai Provveditori della Sanita (1600), carte 5 ai Prov-veditori della Sanita del 1601, lettere quattro del 1607 al Podesta Gradenigo. 2) Processi dal 1600-1602. Carte scritte 28 piu il processo Pietro Caogrosso contro il monastero dei Servi del 1602. 3) Extra-ordin. Officii salutis. Carte scritte 7. N. 609. Libro mancante del principio e sciupato verso la fine, specie ali' estremita delle pagine. Podesta Antonio Ba-sadona. Terminorum primus : di carte 17. Dal 1 settembre al 9 dieembre 1603. Secundus : di carte 61. Dal 12 gennaio al 11 maggio 1604. Extraordinariormn primus: di carte 34. Dal 18 luglio al 20 agosto 1603. Secundus: di carte 66. Dal 1 settembre al 31 dieembre 1603. Sul cartoncino del fascicolo vi sono due stemmi a colori; il piu grande e <]uello del podesta, sotto vi sta scritto : Godendo hor quel ch' altri bramand' aspetta Egida ben nomar ti poi felice Ne di piu ricchi fregi adorno lice Brami Rettor, ne d' altro seettro retta. Tertius : di carte 84. Dal 2 gennaio al 18 maggio 1604. Testiinoni esaminati ad instantia delli vidni eomuni. Carte 15. Testimoni esaminati ad instantia di Hier. Siena. Carte 8. Cednle testamentarie Carte 48. Processi. Carte scritte 132. Scriptnraruin diversarum volumen primum. C. 53. Volumen secundum. C. 86. Altri Processi Carte scritte 103. Annessi al libro vi sono altri processi del 1603 e 1604 di carte scritte 54 ed uno di carte 5 del 1611. N. 610. Grosso libro guastato nella parte superiore, composto di molti fascicoli, una volta legato fra tavole ; il primo fascicolo e staccato. Podesta e Capitanc Francesco Boldii. Praeceptornm primus: cli carte 97. Dal 1 settembre al 10 novembre 1(505. Secundus : cli carte 132. Dal 1 gennaio al 13 aprile 1606. Tertius : cli carte 90. Dal 5 maggio al 9 agosto 1606. II fascicolo porta nel frontispizio io stemina colorato del Podesta coi seguenti versi: «Con grave modo e incomparabil arte Un gran Francesco quivi e pene e preži Debitamente altrui dona e c.omparte». Terminoruin primus : di carte 2. Dal 12 luglio al 17 agosto 1605. Secundus: di carte 25. Dal 1 settembre al 16 dicembre 1605. Tertius: cli carte 31. Dal 1 gennaio al 29 aprile 1606. Quartus : di carte 88. Collo stemma come sopra. Dal 1 maggio al 30 ottobre 1606. Ex-traordinariornm primus: di carte 18. Dal 1 luglio al 31 agosto 1605. Secundus : di carte 65. Dal 1 settembre al 25 dicembre 1605. Tertius: cli carte 103. Dal 1 gennaio al 30 aprile 1606. Quartus con stemma : di carte 125. Dal 30 aprile al 27 ottobre 1606. Proeessi diversi carte scritte 788. (Continua) Prof. F. Majer. - Per la retta grafla moflema fl' un cooome. Non per fare della polemica con chicchessia; ma per mettere i puliti sugli i in una questione, diro cosi, di lana ca-prina, butto giu alla buona queste quattro righe, per dimostrare come vada scritto oggidl il cognome del celebre architetto Lu-ciano, detto per antonomasia artiere di Dalmazia*, ch'ebbe tanta parte nella costruzione del non meno celebre palazzo dei duchi di Montefeltro, poi d'Urbino. Saro brevissimo, diro quasi autoritario, perche le mie e-nunciazioni vanno considerate quali deduzioni irrefutabili di quanto s'e detto e pubblicato sin qui sulla patria del citato architetto. Premesse. 1. Uno dei tanti modi di trarre i cognomi nel M. E. ei si fu quello di trarlo dal luogo di origine, preponendovi in latino il de, in italiano da o di. 2. Era uso costante nelle scritture del M. E. di adoperare 1' u vocale per la v consonante. Crederei di far torto alla cultura de' miei lettori, ove di queste due affermazioni offrissi qui le prove. Se qualcuno tuttavia vuol sincerarsi da se della verita d i queste due premesse, non ha che da consultare una qua-lunque raccolta di doeumenti latini del M. E. La patria deli' architetto. 1. Dal testamento di Luciano (si riferisca il de Iadra a lui o a suo padre, e inconferente), si puo eseludere, che Lovrana della Liburnia sia stata la patria deli'architetto in diseorso '). 2. Da varii indizi si puo sostenere con certezza, che il luogo onde trassero gli antenati di Luciano, fosse stato La Vrana (scritto anche La Urana e Laurana), rinomato castello — le cui rovine si possono vedere ancora oggidi — sito nel circon-dario di Zara (Iadra). La gralia del cognome. Se, come risulta dai doeumenti italiani clell'epoca in cui visse Luciano, il luogo di origine de' suoi antenati si seriveva inditferentemente La Vrana, La Urana e Laurana '1), ne viene, che quand'anche allora la grafia del cognome fosse incerta, quand'anche allora qualcuno serivesse Laurana con due enne; quand'anche Luciano si sia sottoscritto: dellaurana; oggidi questo cognome va scritto cosi: da La Vrana, o, se si vuole, di La Vrana, o finalmente in dialetto: de La Vrana 3). 1 II nome di Lovrana liburnica venne scritto nei doeumenti: Lau-reana o Lauriana, Laurana; deriva da laurus, c doveva condurci all'ita-liano Lorana, forma che in realta s' ineontra talvolta. L' intrusione del v io la ritengo dovuta ali' influenza slava, che da Laurentius, Lorenzo, ha tratto: Lovro, Lovre, Lovrinaz. *) Vi sono molta localita dette Vr:.na; fra le altre noto : una sul-l'isola di Cherso e una neU'Istria occidentale. Quest'ultima si trova scritta: Urana e Vrana, e talvolta Urania (sporadicamente Aurania) che ci diede Vragna. Tutti questi luoghi ricevettero il nome dali' essere dirupati, sco-scesi, pieni di cavita, asili prediletti di corvi e di cornacchie (in islavo : vran, vrana). 3) Ignoro perche questa localita — detta oggidi Vrana — si sia chia-mata nel M. E. La Vrana. Forse si diceva cosi tutto il suo territorio. Ac-cetto il nome com'g, e ne do le prove. Queste si trovano in molti volumi dei Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium; rna special-mente nel Tomo I delle Commissiones et Relativne* venetae, Zagabria, 1876. pag. 1: «prior de' Aurana» (1440) — pag. 3: «il priorato di Vrana», Le varianti nella grafia del cognome non han valore alcuno, perche son di terze persone, e son fatte a orecchio e per sentita dire. E punto. G. Vassilich. BIBLIOGRAFIA Centurio, Per Valtra rim deli' Adriatico. Roma. Voghera. 1904 in 8. Lo scopo precipuo di questo libro, che e accompagnato da un di-segno delle comunicazioni traversali balcaniche, e quello di presentare un chiaro schizzo del programma economico e politico dell'avvenire dell'A- — «sendo sua la Vrana» (1449) — pag. 27: «il castello de Laurana e de Novegradi, perche Laurana si e un castello, che bate Zara e Sibenico« — quel de Laurana (il castellano) — nel borgo de Laurana* (1450) — pag. 111: »el prior de Laurana» (1509) — pag. 115: «el prior de Laurana» — e — «prior di Laurana» (1509)— pag. 127: «el prior de Laurana« (1511) — pag. 155: *a Laurana»; pag. 156: «a Laurana» (1520) — pag. 171: tla Vrana, Nadin et Novegradi» — pag. 172: «la forteza de Laurana» — tra Nadin et la Vrana — tra la Urana et Nadin — tra La Vrana et Nadin — pag. 173: »come e la Vrana, Nadin et Novegradi« — pag. 175: «de quei de la Vrana«, «ala Vrana» — pag. 176: »dal luogo de la Vrana» (1524) — pag. 182: «el castello de Laurana» — «et dal dieto loco de Laurana-,, (1525) — pag. 186: «como e la Vrana» — »in la Vrana» (due volte) — «de la Vrana» — pag. 187: «tra Nadino et la Vrana»; «da la Vrana lino a Novegradi« (1524,1 — pag. 196: «et Laurana» — pag. 198: «c Laurana,-, — e pag. 199: «alla Vrana» — pag. 200: «de la Vrana» — pag. 201: «a Laurana» — pag. 202: mila Vrana» (della stessa mano, 1527 ). Cognomi del 1527 nella stessa fonte. (Zara) pag. 206; «M. Lorenzo da la Vrana» — pag. 208: »Matthio da la Vrana« — Simon da la Vrana — pag. 209: «Meser pre Gregorio de Laurana» — pag. 217: «M. Matthio da Laurana». Ville del terrltorio di Zara. pag. 219: «Castello de la Vrana et suo borgo». Cognomi del borgo di Zara. pag. 220: «Margarita de Laurana». Quasi non bastasse tutto questo po' di roba, aggiungo, che nei vohuni dei Monumenta ecc. citati, talvolta questa Vrana, nei documenti la-tini e detta Aurana; cio che a me non fa ne ealdo ne freddo; perche ne ho viste delle piu belle nei documenti del M. E. Non voglio pero lasciar nella penna 1'osservazione, che nelle trattative fra Venezia e Ladislao di Napoli, cirea la vendita della Dalmazia, questa Vrana e detta piu volte, in latino, si badi: castrum o terra Laverani e Laverane. (Cfr. Vol. 5, pag. 180, sgg; 1409;; cio che e una pretta riproduzione della forma italiana: La Vrana. driatico e di buona parte dell'Italia del Mezzogiorno; «ricollegarlo alle tradizioni delle libere repubbliche commerciali (Venezia per la prima) che assicuravano un tempo le teste di tappa delle grandi vie di penetra-zione balcanica sull'Adriatieo ed in Dalmazia; sintetizzare insomma il senso degli ammaestramenti del passato e eoordinarlo con gl' interessi eco-nomici del presente, affinche siano norma per l'avvenire». L'autore inostra, e questa sua convinzione sono persuaso si tra-sfondera in tutti coloro che leggeranno questo libro, che e ora che ab-biamo flducia in noi, e ne' destini che saranno serbati alle forze nostre. Ji. C. Silvino Gigante, Venezia e t/li Useocchi dal 1570 al /620. Fiume, Bat-tara li>01. 1 vol. in S. In questo lavoro 1'A. si propone di parlare della origine degli Uscoc-chi, della politica seguita da Venezia, che vede compromesso il dominio di S. Marco sull'Adriatieo nel combatterli, e delle cause, per le quali essendo essi pur in numero relativamente esiguo, la repnbblica dovette spendere tanto tempo e tanto denaro prima di aver il mare libero dalle loro molestie. II lavoro di quasi un centinaio di pagine e curato in ogni riguardo. S. C. II professore cavalier Lorenzo Schiavi, il nostro egregio ed instan-eabile poligrafo, mette fuori, pe' tipi della Tipografia del Seminario di Padova (1905), una ristampa del suo noto rifacimonto della commedia gol-doniana L' antiqnario Borioso. Qualunque sia 1'opinioiie che si possa nutrire silila convenienza del rimaneggiare, sia pure con ogni possibile rispetto, la roba di un ilhistre, bisogna pero confessare che monsignor Schiavi, rannodando (e calzante parola sua) coteste scene goldoniane, ha proceduto con intelletto d'amore, con gusto squisito e con mimira sagace. In verita, 1'accurato lavoro dello Schiavi si legge d'un fiato; e, giunti alhi parola fine, non ci si puo capacitare come inai il teatro italiano moderno abbia dato un addio definitivo alle gloriose tradizioni goldoniane, cui tennero pur fede — e con segnalatissiini successi — intelligenze superiori come Giacinto Gallina e Riccardo Selvatico. Scadimento? E perche? Gli e piu tosto che le pietanze semplici non si confanno piu ai nostri palati guasti: ora e la voga de' nianicaretti coinplicati e delle polpette esotiche. Ali' Antifjuario Borioso, segue, nell'opuscolo di monsignor Schiavi, un monologa finora inedito, cosetta riboccante d' allegria e di trovate una piu salace deli'altra. G. Q. Elio Sante Reitano, II carine della patria; Roma-Torino, Časa edi-trice nazionale Roux e Viarengo, 1905. In una nota premessa dagli editori al carme si legge che Doinenico Oliva giudico assla tenne li 19 gennaio a. c. dalla cattedra dantesca di Firenze una splendida lettura sulla Vita murna, lesse li 12 febbraio p. d. al Collegio Nazareno di Roma il V canto del Paradiso di Dante e li 2 maržo corr. alla Filarmonica di Fiume ritorno sni non facile tema della Vita Nuova. % Addi 21 gennaio mori a Gorizia, in et& senile, Mons. Luigi Pa-vissicli, nativo di Maearsca in Dalmazia. Detto varie opere, la maggiore delle quali, dal titolo: «Giovanni Lucio», fu publicata a Trieste nel 189ti. * II nostro Dott. (!. A. Ura visi publico nell'autorevole Rivisia Geografi ca Italiana di Firenze (A. Nil, 1905, fasc. I) una studio sulla »Distribuzione della popoiazione deli' Istria secondo la costituzione geologica del suolo» e nel Bollettivo della Societa Geografica Italiana di Roma (A. 1895, fasc. III) altro lavoro sulla «Nazionalitft e densita di popoiazione in Istria«, corredato di una cartina illustrativa. -S II bravo giovane triestino, Dott. F. Savorgnan, inseri nella Ri-vista Italiana di Sociologia di Roma (A. VIII, 1904, fasc. V-VI) un bel lavoro su «Carlo Cattaneo e la Sociologia«. * Nei fascieoli 1 e 2 (A. X, 1905) della Rassegna bimestrale Alpi Giidie il nostro N. ('oboi continua la publieazione dei suoi lavori «Sull'o-rografla delle Giulie alpine» e «Riordinainento della nomenclatura geografica della nostra regiouc !.—Fra gli altri importanti articoli della detta rassegna notiamo nel fasc. 2 lo seritto del nostro collaboratore Eng. Boegan sulle «Grotte e caverne presso Monfalcone«. — I fascicoli in parola sono ornati di incisioni veramente spleiulide. ^ «La guerra« si intitola una robusta canzone di Elda (jianelli, edita dallo Stabilimento BaleStra di Trieste sullo scorcio di gennaio p. d. — Nello stesso torno di tempo un' al tra scrittrice triestina, Enrica Barzilai-(Teutilli licenzio per le starnpe in seconda edizione notevolmente aumen-tata, la sua raccolta di «Monologhi per bambine« in versi martelllani. Ne 6 editrice la rinomata Časa Roux e Viarengo di Roma-Torino. ^ Addi 6 febbraio p. d. cessava di vivere a Graz il Prof. Dott. Eduard Richter, insigne geografo, amico dell'Italia e degli Italiani. * Addi 11 febbraio p. <1. moriva il Dott. Tnllio nob. de Sartori- Montecroee, benemerito Decano della facoM giuridica italiana deli' ITni-versiti di Imisbruck. Addi 16 febbraio p. d. moriva a Bruxelles, nell' et/i di 76 anni, il eelebre pittore Cesare Dali' Acqiia, nativo di Pirano. Figl»o al capodi-striano Andrea Dali' Aequa fn Domenieo, passo la sua prima giovinezza a Capodistria e fn amico fedele ed estimatore convinto del nostro Barto-lomeo Giauelli. Nella Miseellanea di studi critiei, offerta li 15 febbraio a. e. al-1'illustre Adnlf« Mnssafla in ricorrrenza del suo settantesimo anno d'eta riscontriamo i seguenti lavori di scrittori nostri: Appunti diversi di (i!iii-seppe Ara; Di una metafonesi nel venetu di Miu/yia di Matteo Giulio Bartoli; II ccuito di Trt/m. Da Saemttndar Edda di Giaconto Branil ; Per il bat/no di Laura di Edgardo Maddalena; Montiana di Ferdinand« Pasini e Tre noterelle sintattiche del Trista.no Veneta di (Jinseppe Vidossieli. Addi 24 febbraio p. d. il Prof. Micliole Stenta, triestino, tenne al-1'Ateneo di Venezia una applaudita conferenza sull'imperatore Giustiniano. Elda Gianelli parla diffusamente nel periodieo La FarAlla di Trie-ste (A. I, N. 3) del poema Roma nel M ille di Fiiippo Zmnboiii e ne riporta i giudizi di vari nomini illustri. # Lo stesso fascicolo della Farilla cnntiene una recensione di Rie-cardo Pitteri sui sonetti di (iigi« da Muran (Prof. Luigi Vianelloj pubbli-cati reeenteniente col titolo Fra acque e pqlui. Questi sonetti, dice fra altre meritate lodi il Poeta triestino, «hanno... il pregio raro deli'architet-tura sobria e graziosa; filan via seorrevoli. con 1'eleganza della seuipli-cit&, la musica del ritino, la fresca leggiadria del disegno e del colore, la prontezza della imagine, l'evidenza della descrizione rapida e precisa». Nel Marzoceo (li Firenze del 5 maržo corr. viene riportato un esteso riassuuto deli'articolo: f.'«' imitazione del «Paradixo<> di Dante nel se-cento, publicato dal Prof. Baceio Ziliotto nel fascicolo di dieembre 1904 del nostro periodieo. II Prof. Filipp« Zamboni nella Neue Freie Presse di Vienna e Albert« Boccardi nella Perseveranza di Milano ricordano — ora che tanto si parla della nuova tragedia Venezia salvata dello Hofmannsthal —, che lo stesso episodio storico fu trattato da Giuseppe Revere nel d ranima II mar-chese di Bedmar o Venezia e yli spagmioli nel 1618. * Nel Piemonte di Torino (A. III, 1905, N. 10) il nostro egregio collaboratore Dott. Antoiiio Pilot publica una seconda redazione, con pa-recchie varianti, della frottola vernacola: «Versi per oceasione della Peste del 1575 in Venetia». ^ L'importante rivista delle tradizioni popolari d'Italia intitolata Niccolb Tommaseo e eosi egregiamente diretta dal Prof. fcriovanni Oiannini di Arezzo contiene nel fascicolo d^ febbraio a. c. un brillante articolo del Dott. C. Musatti sui «Modi di dire veneziani con parole latine» e alcune interessanti «Filastrocche popolari venete» raecolte e annotate dal Conte Ar-rigo Balladoro di Verona. Nella parte bibliografica si elogiano le recenti pu-blieazioni del Dott. A. Pilot sul broglio e sul giuoco nella Republica Veneta. Domenico Ventu:uni, direttore — Carlo Priorv, editore e redattore responsabile. Tipogralia Cobol & Priora, Capodistria.