UDK 82L13L1-992.09:908(497.5):908(495)"17" IL CONFRONTO TRA CULTURE NELLE RELAZIONI DI VIAGGIO DEL SECONDO SETTECENTO ITALIANO: ALBERTO FORTIS E SAVERIO SCROFANI Ricciarda Ricorda Abstract Travel writing is a literary space particularly promoting moments of cross-cultural contact. In 18th century, Enlightenment new ideas encourage the production of odeporics in Italian literature, while writers and readers' interest for this genre increases conspicuously. The article mainly focuses on two travel books suggesting some remarkable research cues, Viaggio in Dalmazia by Alberto Fortis and Viaggio in Grecia by Saverio Scrofani, considering the travellers' specific approach and depiction of local people and analyzing their capability to turn these experiences into occasions to get closer to the Others and to represent them. Key words: travel writing, Fortis, Scrofani, otherness Le scritture di viaggio si configurano, per la loro stessa natura, come spazi letterari destinati a favorire il contatto tra culture; per l'ambito italiano lo si puo verificare, in particolare, nell'area della letteratura settecentesca che, in sintonia con le novitá e le istanze dell'Illuminismo e con la tendenza al mouvement, che viene accentuandosi nel corso del secolo, vede il moltiplicarsi delle opere odeporiche e la crescita dell'interesse di scrittori e lettori per tale genere letterario. Due testi offrono rilevanti spunti di indagine, utili a sondare i rapporti tra le nostre culture nella seconda metá del Settecento: Viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis (1774) e Viaggio in Grecia di Saverio Scrofani (1799). Si tratta di volumi di diversa impo-stazione, dovuti alla penna di due autori la cui formazione e il cui profilo intellettuale risultano per piu aspetti distanti, ma con alcuni elementi in comune: oltre all'itinerario che porta entrambi a visitare una parte della penisola balcanica, condividono l'intenzione di accrescere conoscenze e competenze anche in vista di una fattiva collaborazione con il potere, secondo un'ottica illuministica che punta, nell'utopica ricerca della felicitá, al miglioramento delle condizioni di vita di tutti. Si prospetta per altro, nelle opere dei due autori, una sorta di impasse che si ripro-pone nelle pagine dei viaggiatori, tanto piu 'inquietante' quanto piu aperto e rispettoso delle realtá dei luoghi visitati appare l'approccio privilegiato dai viaggiatori medesimi: nella misura in cui l'accostamento e la conoscenza dell'altro hanno come premessa ed esigenza di fondo la definizione dell'identità di se stessi, di un sé che arriva a rico-noscersi proprio rifrangendosi nello specchio dell'alterità, risulta attiva una tendenza ad accostarsi all'altro secondo un'istanza strumentale, per cosi dire, che favorisce la creazione e l'accettazione, anche da parte dei viaggiatori più aperti e disponibili, di immagini stereotipate. Il caso del Viaggio in Dalmazia appare particolarmente significativo: Alberto Fortis1, naturalista ed etnologo, apprezzato giornalista, collaboratore dell' Europa letteraria e del Giornale enciclopedico dei Caminer, l'ala più avanzata della cultura della Serenissima, si segnala come figura di spicco nel contesto veneto del tempo, per la varietà delle sue competenze, lo slancio riformistico sotteso ai suoi scritti, il respiro europeo delle sue intuizioni. Il suo interesse per la costa e le isole della Dalmazia, a parte un rapido passaggio a Pola e dintorni già nel 1765, si sviluppa all'interno del dibattito suscitato a Venezia nel 1770 dall'intervento russo in Montenegro e in Morea durante il conflitto russo-turco: a questa contingenza puo essere riportato, come suggerisce Franco Venturi, "l'inizio di una originale e multiforme scoperta" della Dalmazia, attenzione capace "di rivelare una realtà naturale ed umana dimenticata, seppellita sotto l'oblio e l'indifferenza dei secoli"; rivela-trice anche la convincente conclusione dello studioso: "la spinta più autentica egli trovo in se stesso, nella sua inquietudine e volontà di trovare mondi più veri e autentici"2. Da tale, duplice disposizione di partenza hanno origine le prospettive di fondo che animano le pagine odeporiche fortisiane, da un lato la volontà di acquisire e far acquisire conoscenza approfondita, ispirata a un'ottica scientifica, di una regione su cui Venezia stendeva un dominio "egoista e assente"3, traendone soldati e poche merci, "volutamente ignara e dimentica della realtà sociale del paese", dall'altro l'ammira-zione per un mondo fatto da un paesaggio naturale e da piccoli centri costieri che si configuravano come un'isola intatta nel cuore dell'Europa, in grado di offrire al dotto viaggiatore settecentesco l'esempio di una vita colta nella sua originaria purezza, un panorama poco segnato dalla presenza dell'uomo. Prospettive simili animano altri intellettuali del tempo, a partire da quel John Stuart conte di Bute, già mecenate di Macpherson, il creatore del mito di Ossian, che 'sponsorizza' nel maggio del 1771 la spedizione di Fortis, in compagnia di Domenico Cirillo e di John Symonds, da cui ha origine il Saggio d'osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Osero, pubblicato nel medesimo anno: opera di impianto erudito, ricca di citazioni, di notizie storiche, di osservazioni naturalistiche, ma animata anche dall'evi-dente intenzione di arrivare a conoscenza sicura della zona e con significative aperture sulle condizioni degli abitanti e della vita civile. 1 Nel rinomato salotto della madre, Alberto Fortis (Padova 1741-Bologna 1803) ebbe modo di co-noscere alcuni dei più importanti protagonisti della cultura scientifica veneta; entrato nell'ordine degli Agostiniani, dopo un periodo trascorso a Roma, si stabili a Venezia nel 1767. Divenne "pubblico revisore de' libri", si dedicó all'attività di giornalista e di traduttore; fece numerosi viaggi, durante i quali ebbe modo di approfondire i suoi interessi di naturalista. Trascorse gli ultimi anni a Bologna, ove fu prefetto della Biblioteca. 2 Ancora suggestivo il profilo che dell'intellettuale veneto ha consegnato alle pagine del suo Settecento riformatore; per le citazioni riportate, cfr. Venturi, 1990: 75-76. 3 Per usare le parole di Torcellan, 1965: 288. Dopo questa spedizione, il naturalista veneto ritorna in Dalmazia e nelle isole più volte: frutto di esplorazioni, che, compiute tra il luglio del medesimo 1771 e il 1773, in compagnia di lord Frederick Hervey, toccano varie località della costa e dell'entroterra, è il fortunato Viaggio in Dalmazia. La relazione si sviluppa in due volumi, il primo dedicato ai Contadi di Zara (Zadar) e di Sebenico (Sibenik), il secondo a quelli di Traù (Trogir) e di Spalato (Split) e alle isole; si articola in lunghe lettere indirizzate a destinatari illustri, amici e celebri scienziati, dal patrizio veneziano Jacopo Morosini a John Stuart, da naturalisti italiani come Antonio Vallisnieri, Gabriello Brunelli, Giovanni Marsili e Lazzaro Spallanzani, ed europei, lo svedese Johann Jacob Ferber, a nobili inglesi come John Strange e Frederick Hervey: insomma, un "picciolo numero d'illustri amatori o di celebri professori", ai quali l'autore si sente legato, come dichiara lui stesso, dal "vincolo fortissimo degli studi comuni", e a cui ci tiene a sottoporre le proprie ricerche, anche per averne adeguato riconoscimento4. Le lettere hanno una struttura simile a quelle delle 'memorie' scientifiche: i materiali vi sono divisi "ora seguendo la separazione topografica dei distretti, ora il corso de' fiumi, ora il circuito dell'isole, ora la natura ed analogia delle materie"5, dunque secondo un criterio di ordine geografico-tematico e non odeporico; in effetti, la relazione di Fortis, che non appare scandita in tappe, ma in capitoli dotati di una loro coerenza sul piano dei contenuti, risulta per tipologia ancora prossima al trattato, piuttosto che al modello dell'itinerario, destinato ad imporsi di li a non molti anni e a portare in primo piano la soggettività dell'autore: nel suo testo, infatti, prevale la focalizzazione sul viaggiatore inteso come narratore, invece che come personaggio. Le singole lettere sono organizzate secondo un modello ricorrente: un breve pream-bolo, rivolto al dedicatario della missiva, fissa qualche nota di fondo che si ritroverà nella lettura, affrontando spesso anche aspetti più teorici implicati dal testo - ad esempio l'impossibilità di raggiungere, con "brevi peregrinazioni" come le sue, un quadro completo della "Dalmazia Veneta"6 -; segue la descrizione dell'aspetto fisico della regione di volta in volta visitata, con particolare attenzione per gli elementi naturalistici, quindi la storia locale e culturale, con l'elenco degli uomini illustri o comunque dei personaggi più distinti che vi abitano, e infine trova spazio la riflessione sull'economia. Ad accompagnare il fluire della scrittura, accanto alle cartine che introducono ciascun tomo dell'opera, con la mappa dei relativi territori, tredici incisioni dovute a Giacomo Leonardi e tratte dai disegni schizzati dal vero da Angelo Donati, che aveva seguito Fortis nel viaggio: il segno delle illustrazioni, che rappresentano qualche spaccato del paesaggio, costumi degli abitanti delle diverse zone, tavole naturalistiche, appare preciso e nitido; i non numerosi quadri della natura, giocati su un bianco e nero non troppo contrastivo, come si puo verificare ad esempio nella raffigurazione della cascata di Velika Gubaviza, restituiscono un senso di distensione, anche laddove rappresentano 4 Fortis, 1987: 7. Per le strategie sottese all'attenta scelta fortisiana dei dedicatari, nell'equilibrio tra personalità straniere e patrizi veneziani, Repubblica di Venezia e Repubblica delle Lettere, cfr. Wolff, 2001: 84-90. 5 Fortis, 1987: 7. 6 Ibid.. Anche per questo aspetto, Wolff (2001: 90) suggerisce la presenza di una strategia precisa, volta a evidenziare, attraverso la sottolineatura dell'ampiezza degli spazi, l'importanza di tali terre nei domini della Serenissima. un panorama "teatrale" come questo del "selvaggio ed alpestre precipizio sotto Duare", nella caduta delle acque "fra dirupati massi appié del monte"7. Nonostante la precisa organizzazione dei materiali e la limitatezza dei riferimenti espliciti alle avventure del viaggiatore, la sua personalità non manca di palesarsi, sia in episodi e annotazioni particolari8, sia, più in generale, nella scrittura, che procede agile, animata da una sua vivacità, con esiti più felici laddove l'interesse naturalistico si apre a quello per gli uomini, rivelando un ricercatore tanto serio sul piano scientifico, quanto appassionato nelle sue argomentazioni e nei suoi contatti con gli altri. Si ritrovano cosi alcune suggestive descrizioni paesistiche, filtrate attraverso l'occhio di un osservatore capace di emozionarsi davanti a uno spettacolo naturale, ad esempio la già ricordata cascata di Velika Gubaviza, lungo il fiume Cettina, in un capitolo assai noto: Le acque, che piombano da più di centocinquanta piedi d'altezza, fannovi un rimbombo cupo e maestoso, ch'è reso ancor più grave dall'eco, che lo ripete fra quelle ripide e nude sponde marmoree. Vari massi rovesciati, che impacciano il cammino al fiume caduto dall'alto, rompono i flutti e rendonli ancora più orgogliosi e mugghianti. Le spume loro ripercosse violentemente si sminuzzano in istille candide, e sollevansi a nugoli successivi, cui l'aria agitata va spingendo pell'umido vallone, ove di rado penetrano a diradarli i raggi del sole. [...] Due grandi pilastri sono piantati come a guardia laddove cade il fiume nell'alveo inferiore; l'uno di essi è attaccato di fianco alla sponda dirupata, ed ha la sommità coperta di terra ove allignano alberi ed erbe; l'altro è di marmo, ignudo, isolato. Mentre il mio compagno disegnava questo pezzo magnifico (Tav. XI), io lo descrissi a mio grand'agio, e non trascurai d'esaminare le materie che compongono quell'alte rive scoscese. Vi trovai una spezie d'oolito molto osservabile, i di cui granelli sono connessi da un forte cemento spatoso, propagantesi a foggia di reticella, e una bella pasta di breccia, pezzata di bianco, angolosa e vergata di vivacissimo rosso.9 La lunghezza della citazione punta a suggerire anche l'idea della ricchezza del-la pagina di Fortis, pronto a passare dalla considerazione estetica del paesaggio alla verifica naturalistica: lasciati i panni dello spettatore ammirato, eccolo rivestire quelli dello scienziato, che fonda il proprio metodo sull'osservazione diretta, come più volte dichiara nel corso della relazione, a partire dalla prima lettera, laddove adombra se stesso sotto le spoglie dell'"osservatore taciturno e raccolto in se stesso", per passare poi attraverso affermazioni esplicite e ribadire il richiamo a non fidarsi delle voci riportate, delle conoscenze delegate alle testimonianze altrui10. Per quanto lo riguarda, dichiara infatti a proposito di una varietà di pesci irsuti che, secondo i locali, si troverebbero nei laghetti di Krin, di non essere disposto "a credere, in fatto di stravaganze fisiche, se non quello che vedo; e quindi avrei voluto vedere il pesce peloso per credere che vi fosse". È anche vero che lui stesso, in qualche caso, 7 Fortis, 1987: 169 e 171; il senso di distensione indotto dall'incisione originale (ivi. 170) si puó apprez-zare se la si confronta con un'altra del medesimo panorama, datata XIX secolo, introdotta qualche pagina più avanti nell'edizione novecentesca del Viaggio (ivi. 173). 8 Ad esempio, laddove Fortis si rappresenta tanto agile nell'arrampicarsi e nello scendere fra le balze dei monti, da suscitare il commento compiaciuto di uno dei suoi accompagnatori Morlacchi, "Signore, tu non se' un Italiano-poltrone, tu se' un Morlacco!": commento che, ammette lo scrittore, lusinga non poco il suo "selvaggio amor proprio", ivi. 169-170. 9 Ivi. 169. 10 Cfr. ivi. 8, 86 ("la gran madre maestra" indica tradizionalmente la natura) e 119. magari meno 'stravagante', si affida alle informazioni che gli forniscono amici fidati: ma, in qualche modo, cerca di tutelarsi sull'affidabilità della fonte, ricorrendo solo a voci autorevoli e di comprovata serietà.11 Fortis punta ad applicare il metodo dell'osservazione diretta anche al mondo umano e ai fatti culturali: certo, le difficoltà sono destínate a moltiplicarsi, in questa direzione, sia per la complessità di tale ambito, che per il maggior peso che non poteva mancare di eser-citare la soggettività dell'osservatore, come è stato sottolineato da Božidar Jezernik12. Tuttavia, va riconosciuto il debito peso a due fattori ben presenti a Fortis nella sua ricerca: in primo luogo la volontà di smentire erronee convinzioni circa il modo di essere di popolazioni cui è stata attribuita fama di barbarie che non si meritano, poi l'intenzione di richiamare la classe dirigente della Serenissima ai suoi doveri nei con-fronti di sudditi, le cui condizioni di vita potevano e dovevano essere adeguatamente migliorate, grazie a un più oculato sfruttamento delle risorse disponibili. Quest'ultimo punto è stato approfonditamente analizzato da Larry Wolff, che ha chiarito come l'operazione di Fortis, cui riconosce per altro di aver svolto un ruolo di primo piano nella settecentesca "scoperta della Dalmazia", abbia fornito alla Serenissima il modello ideologico per una prospettiva imperialistica nell'Adriatico13, commisurata sui principi e sui valori dell'Illuminismo: l'incremento del commercio, il miglioramento delle condizioni economiche, l'utilizzazione di nuovi metodi in agricoltura, sottolinea lo studioso, apparivano infatti finalizzati a rendere gli Slavi "more useful to the state"14. In una simile strategia, ha chiarito ancora Wolff, un elemento di primaria importanza è rappresentato dalla missione civilizzatrice che Venezia si è attribuita nei confronti dei locali, in particolare dei primitivi Morlacchi15: com'è noto, l''irruzione' di questo popolo nel campo letterario è dovuta proprio a Fortis, che ha dedicato una lettera, in-dirizzata non a caso a John Stuart, ai loro costumi; si tratta di pagine molto conosciute, per l'attenzione che riservano a una cultura popolare l'interesse per la quale si sarebbe accampata, di li a non molti anni, al centro del pensiero romantico; attenzione che aveva trovato sanzione significativa, nelle pagine fortisiane, nella traduzione della Canzone dolente della nobile sposa d'Asan Aga'16, destinata ad affascinare Goethe, Herder, e poi molti dotti europei, da Mérimée a Tommaseo. 11 Cfr. ivi. 142-143. Il riferimento ai pesci "pelosi" si legge ivi. 165. 12 Jezernik, 2010: 52-82; a Fortis è dedicato quasi l'intero cap. III, Allattamento al seno e pregiudizio. Per un'accurata analisi del metodo scientifico fortisiano, cfr. Ciancio, 1995. 13 Wolff (2001: 25-29 e 56-75) analizza anche il ruolo giocato da Carlo Goldoni con la tragicommedia La dalmatina (1758), per il cui inquadramento cfr. la densa Introduzione di Anna Scannapieco, in Goldoni, 2005: 11-81. 14 Wolff, 2001: 320-322. Sul dominio veneziano in Dalmazia nel secondo Settecento, cfr. anche l'ampio volume di Paladini, 2002, che, a proposito di Fortis, parla di "via letteraria allo sfruttamento della Dalma-zia" (ivi. 233). 15 Wolff, 2001: 322. 16 Quanto alla competenza linguistica di Fortis, se Jezernik (2010: 59), ricordando alcuni riferimenti, nel Viaggio in Dalmazia, alla presenza di interpreti, parla di "conoscenza superficiale del croato", Ciancio (1995: 70) ne attesta al contrario l'impegno assiduo nello studio della lingua illirica e dei dialetti slavi, impegno su cui concorda anche Gilberto Pizzamiglio (Fortis, 1987: XIX-XXI) che sottolinea a ragione l'attenzione riservata dallo scrittore alla problematica linguistica nelle stesse pagine del Viaggio, ricche di riferimenti etimologici nell'indagine toponomastica e di nomi slavi, forniti a proposito di oggetti d'uso, reperti naturalistici, cerimonie. Per un'approfondita ed equilibrata analisi del morlacchismo di Fortis, cfr. Bešker, 2007: 98-122. Tuttavia, la prospettiva da cui l'intellettuale padovano osserva costumi e usanze dei Morlacchi ha una sua specificità, perché è decisamente simpatetica; lo scrittore avverte infatti il 'dovere' di smentire stereotipi che fissano questo popolo come "razza d'uomini feroce, irragionevole, priva d'umanità, capace di ogni misfatto", testimoniandone una ben diversa indole, sperimentata direttamente: Io mi credo di dovere alla nazione, da cui sono stato cosi ben accolto e umanamente trattato, un'amplissima apologia, scrivendo ció che personalmente delle sue inclina-zioni e costumi ho veduto [...]. I viaggiatori si studiano pell'ordinario di magnificare i pericoli a' quali sono andati incontro, e i disagi sofferti ne' rimoti paesi. Io mi trovo ben lontano da si fatte ciarlatanerie.17 A quanti poi, soprattutto gli abitanti delle città della Dalmazia, accusano i Morlacchi di aver compiuto "eccessi più atroci d'uccisioni, d'incendi, di violenze", Fortis oppone che si tratta di fatti d'antica data oppure che, se accaduti recentemente, vadano ascritti piuttosto "alla corruzione di pochi individui, che all'universale cattiva indole della nazione"18: riesce dunque a evitare i rischi delle semplificazioni e delle generaliz-zazioni, sempre in agguato, anche ai nostri giorni, in questo ambito. Certo, anche Fortis non riesce a evitare le secche dello stereotipo: Jezernik lo rimprovera di aver accolto qualche diceria poco onorevole sui Morlacchi, qualche 'storiella' caratteristica destinata a essere tramandata nel tempo, ad esempio laddove illustra con un episodio comico una pretesa "fortissima inclinazione al rubare" che sarebbe propria dei Morlacchi di Vergoraz (anche loro, per altro, subito 'giustificati' dalla loro situazione "fra monti inaccessibili e sterili")19. Ancora, evidenzia come alcuni tratti che lo scrittore attribuisce alle donne morlacche appaiano segnati da eccessivo gusto del colore e addirittura sfiorati dal rischio del razzismo: gli sembra andare in questa direzione l'esagerata sottolineatura della sporcizia loro attribuita e l'accettazione di un pregiudizio circa la dimensione delle loro mammelle, che sarebbero enormemente ingrandite dai lunghi periodi di allattamento dei figli20. D'altro canto, l'immagine della Dalmazia che usciva dalle sue pagine non sarebbe stata apprezzata, a suo tempo, da intellettuali dalmati come Pietro Nutrizio Crisogono, di Traù, o il giovane Giovanni Lovrich, di Sign: entrambi restii a riconoscersi nella realtà descritta dal naturalista veneto e pronti a rinfacciargli errori e incomprensioni21. Ora, se certo nel popolo dei Morlacchi Fortis ha trovato, per cosi dire, quello che cercava - un mondo semplice - nota su cui ritorna a più riprese -, ancora vicino a uno stato di natura, genuino, schietto nella manifestazione dei suoi affetti, capace di canti il cui merito appare "ricordante la semplicità de' tempi omerici", e lo ha 'consegnato' all'immaginario del tempo, disponibilissimo ad accoglierlo e rielaboralo, nelle sue pagine a colpire è, per usare ancora le parole di Franco Venturi, "quell'elemento di sorpresa, di scandalo" che lo aveva mosso a rivelare tutti gli aspetti, anche "i più oscu- 17 Fortis, 1987: 36. 18 Ibid. 19 Ivi. 40. 20 Jezernik, 2010: 75-77. 21 Sul dibattito contemporaneo sulle posizioni di Fortis, cfr. Venturi 1990: 347-357, Wolff2001: 237-264 e Jezernik 2010: 70-73. ri e gravi"22, di una terra che egli era andato scoprendo e su cui aveva indubbiamente attirato, per primo, l'attenzione dei paesi europei, immettendola nel dibattito culturale dell'Illuminismo. Anche nel caso di Saverio Scrofani23 l'interesse per le terre visitate risulta animato da un'ottica illuministica: quando salpa alla volta della Grecia sulla nave destinata a condurre a Patrasso il console designato Baldassarre Palese, ha alle spalle un bagaglio di esperienze che lo rende promettente osservatore delle regioni verso cui è diretto, in bilico com'è tra la dimensione del letterato illuminista, buon conoscitore della realtà contemporanea e desideroso di porre le proprie competenze al servizio del potere, e quella dell'avventuriero, pronto a muoversi senza scrupoli: condizione da cui deriva, nelle sue pagine, il fortunato equilibrio di componenti diverse, di un côté storico-informativo da un lato e di un piano letterario-narrativo dall'altro24. L'itinerario che compie la nave su cui Scrofani è imbarcato segue la rotta consueta dei bastimenti veneziani; passata l'Istria, visitati Omago e Pola, lasciata la Dalmazia, il viaggiatore approda a Corfù e alle isole Ionie, per poi proseguire alla volta della Grecia: lo spostamento lungo la costa dalmata non si prospetta dunque come la scoperta di una zona poco praticata e poco nota, come era avvenuto nel caso di Fortis, ma si configura piuttosto, secondo una modalità decisamente più frequente al tempo, come fase di pas-saggio verso altra destinazione, in genere l'oriente di Costantinopoli. Diversa anche l'attitudine del viaggiatore, che appare immune dalla ricerca del primitivo, dal mito del 'buon selvaggio', interessato piuttosto alle tracce dell'antico, la cui eccezionale concentrazione nelle terre visitate mette di continuo in evidenza: interesse che pero non prospetta nel quadro di un'erudizione di marca classicista, poiché finalizza l'osservazione non tanto a una conoscenza razionale, ma piuttosto al sentire, un sentire che fa appello al 'cuore', alle vibrazioni della sensibilità; in una sorta di ribaltamento delle gerarchie del codice settecentesco del voyage, Scrofani esibisce infatti le impres-sioni soggettive, le proprie emozioni in luogo del discorso scientifico, prospettando una scrittura odeporica che si allontana dalla struttura del trattato per accostarsi a quella dell'itinerario: a differenza di quanto avveniva nel Viaggio in Dalmazia di Fortis, la focalizzazione è ora sul viaggiatore in quanto personaggio, cui compete una prospettiva necessariamente parziale e le cui reazioni divengono il fulcro della narrazione, con una nuova apertura sull'io e sulle sue dinamiche. Tutto cio non impedisce allo scrittore siciliano di prestare sensibilissima atten-zione alla situazione storico-politica delle regioni che attraversa, pronto a registrarne le disastrose condizioni che riporta, per quanto riguarda le terre ancora appartenenti alla 22 Venturi 1990: 350. 23 Saverio Scrofani (Módica 1756-Palermo 1835), ottenuta la veste di abate, rivolse la sua attenzione alle scienze economiche; lasciata l'isola natale, dopo un breve soggiorno a Firenze, dove poté frequentare gli esponenti del riformismo illuminato, passö in Francia tra Grenoble, Marsiglia e Parigi, ove ebbe modo di seguire i primi sviluppi della Rivoluzione. Tornö a Firenze nel 1791, per trasferirsi poi a Venezia: spostamenti determinati talvolta da motivazioni non proprio onorevoli. La sua tribolata esistenza continuö a svolgersi, anche al ritorno dal viaggio in Levante, nella ricerca costante di agganci con il potere, da Pietro Leopoldo a Maria Carolina, da Napoleone ai Borboni. Cfr. in merito Scrofani 1988: 9-31. 24 Complesse le vicende editoriali del Viaggio in Grecia: lo scrittore avrebbe tentato di pubblicarlo a Firenze, senza riuscirvi; poté farlo stampare solo nel 1799, nella Repubblica Romana e con la falsa indica-zione di Londra, dal Salvioni (ma il ritorno di Pio VI ne avrebbe bloccato la circolazione). Serenissima, all'amministrazione 'coloniale' veneziana, ma anche alla scarsa intrapren-denza degli abitanti, e in riferimento alla Grecia, al dominio turco. Le lettere, che si immaginano inviate a una cerchia di amici e sodali sono costruite come microstrutture dotate di una loro autonomia, nell'attenta alternanza di toni: descri-zione più o meno lirica, intervallata a scene più movimentate, spesso con andamento dialogico, e ancora a riflessioni di vario genere, di ordine artístico o antropologico, per cosi dire. In particolare, alla parte 'balcanica' del viaggio sono dedicate le prime sedici lettere, delle sessanta che compongono il Viaggio in Grecia; ne costituiscono forse la sezione più felice, anche da un punto di vista letterario, proprio grazie ai numerosi riferimenti all'attualità e agli incontri con i locali che contengono: cosi, ad esempio, a Omago lo spirito galante di Scrofani è allietato da quattro "belle, fresche, e cortesi giovani", figlie del "notaro", che lo cibano con pane e ottimi fichi, mentre l'osservatore 'politico' ha modo di apprezzare il comportamento del podestà, l'entrata della cui casa è aperta a tutti, pronto com'è a ricevere chiunque abbia bisogno di lui25. Anche nel suo caso, non manca il cedimento a qualche idée reçue, ma nel com-plesso appare abbastanza attento a distinguere e ad apprezzare comportamenti virtuosi da parte di chiunque li pratichi. Per converso, le responsabilità delle condizioni di indigenza in cui versano i Corfuotti vengono equamente ripartite tra il rapace dominio veneziano e l'inerzia degli abitanti: Al vedere in Corfú l'indigenza passeggiare per le strade, e invadere ogni casa, dal pianterreno al terrazzo, sono tentato di sospettare che i possessori delle terre di quest'isola dimorino altrove: ma dove vanno a perdersi 300.000 giare d'olio, che si estraggono annualmente da Corfú? A Venezia. E 100.000 zecchini che vi lascia ognanno l'armata veneta? A Venezia. Per chi travagliano i 60.000 abitanti del pae-se? Per Venezia. Corfú è dunque nello stato in cui erano, è già un secolo, le colonie d'America. Le contribuzioni sono forse pesanti? No. I litigi, i decreti, le grazie del senato, costano forse più cari a' Corfuotti, che a quei di Cefalonia e di Zante? No. [...] Zante e Cefalonia sono meno grandi di Corfù; la loro popolazione è minore, i dazi, le gabelle, le imposizioni eguali; perché dunque i Cefaloniotti e Zantiotti sono benestanti, e le lor terre fioriscono? Perché? Perché sono industriosi: ecco la parola che scioglie l'enimma.26 In effetti Scrofani, come hanno recentemente dimostrato le ricerche degli storici, si dimostra capace di cogliere con precisione la situazione delle terre in cui viaggia27, pronto a rilevare l'inadeguatezza del personale amministrativo veneziano, dal prov-veditore di Cefalonia C...M..., "un cortese cavaliere, erudito, e che sta scrivendo sull'antico commercio de' Veneziani", attività, questa, che lo distoglie colpevolmente dal presente28, al provveditor D, di stanza a Zante, convinto di esservi stato mandato dal Senato "per far denaro", di livello culturale tanto basso da usare la parola 'anabattista' in luogo di 'ametista'; alla fine, lo scrittore sbotta: "O Venezia, qual è dunque il mistero, 25 Scrofani 1988: 40. 26 Ivi. 48. 27 Cfr. Viggiano, 1998: 113-114. 28 Scrofani 1988: 60, icástico ritratto, testimonia ancora Viggiano (1998: 179-180), del rappresentante veneziano Carlo Antonio Marin, autore di un'opera in 8 volumi sulla Storia civile epolítica del commercio de' Viniziani. qual è l'incantesimo che ti conserva il dominio di questi popoli? E potrai tu regnare eternamente, se regni ancora per mezzo di tali uomini?"29. Ancora più dura è la requisitoria nei confronti dei dominatori Turchi, più avanti: rivelatrici, a questo proposito, già le righe che descrivono, con l'arrivo a Patrasso, l'approdo del viaggiatore alla tanto agognata meta, una Grecia il cui aspetto suscita un'impressione di assoluta desolazione. Io sono dunque nel Peloponneso, nella Acaia? [...] oggi calpesto il terreno che produsse tanti eroi. Ma qual silenzio, qual tristezza vi regna? Qui tutto è muto; questa terra non offre che un quadro, quello d'un naufragio: non si vedono le ruine di qualche antico tempio o sepolcro sparse per la campagna, che come le rotte antenne galleggianti sul mare. Se senti una voce, è d'una lingua barbara, istrumento d'un popolo più barbaro ancora; se si incontra un uomo è un selvaggio, che si crede forte per l'altrui debolezza, che ha il vestito, le armi, i gesti, il cuore d'un selvaggio. Come si chiama quel tiranno, che con la sciabla alle mani minaccia quegl'infelici? Un turco: e come si chiamano quegli schiavi che s'inchinano cosi vilmente, che non osano neppur lagnarsi, o mirarlo? Greci. Greci? ... E perché non hanno essi cambiato questo nome?30 Tuttavia, il permanere di un animus illuministico è verificabile nelle lettere dedicate ai costumi e alle usanze dei Greci e dei Turchi: pagine che lo scrittore tende a mimetizzare, configurándole come momento di pausa nella narrazione e insistendo sulla voluta non-sistematicità del discorso in merito31, ma che risultano in realtà interessanti soprattutto per l'atteggiamento critico del viaggiatore nei confronti dei due popoli, che gli permette di evitare semplicistiche generalizzazioni e di distinguere ció che vi è di positivo e di negativo negli usi di entrambi. La sua condanna colpisce invece a fondo il dispotismo turco, di cui individua la parabola discendente, prevedendone l'imminente crollo: da questo punto di vista, Scrofani dimostra di guardare alle vicende elleniche con la medesima, sensibile atten-zione che il primo tentativo di insurrezione e di liberazione nazionale sviluppatosi in occasione della guerra russo-turca negli anni Settanta aveva suscitato in tutta l'Europa 'illuminata'. Ritornando conclusivamente al quesito posto in apertura circa la responsabilità delle scritture di viaggio nella creazione degli stereotipi etnici, punto che rimane senza dubbio problematico, a fronte per altro dell'insostituibile ruolo di contatto tra culture svolto dal mouvement, mi sembra che i due testi settecenteschi di cui si è discorso, e in particolare quello di Alberto Fortis, presentino un'impostazione peculiare, per la volontà di conoscere che li sottende e che si sviluppa sul piano della comprensione, piuttosto che su quello del giudizio32: impostazione diversa da quella che caratterizzerà la ripresa di immagini destinate a farsi stereotipate nel tempo, secondo traiettorie di ricezione con esiti assai distanti dalle intenzioni e dall'impostazione originarie. Università Ca ' Foscari, Venezia, Italia 29 Scrofani 1988: 67. 30 Ivi. 67-68. 31 Ivi. 97 e 135. 32 Lo stesso Jezernik (2010: 63), che non lesina critiche a Fortis, non puó non riconoscerne le "capacità di onesto e acuto osservatore". BIBLIOGRAFIA Bešker, Inoslav. IMorlacchi nella letteratura europea, Roma: Il Calamo, 2007. Ciancio, Luca. Autopsie della terra. Illuminismo e geologia in Alberto Fortis (1741-1803), Firenze: Olschki, 1995. Fortis, Alberto. Saggio d'osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Osero, Venezia: Storti, 1771. _. Viaggio in Dalmazia, Venezia: Milocco, 1774, 2 voll. _. Viaggio in Dalmazia, ed. Eva Viani, introduzione di Gilberto Pizzamiglio, Venezia: Marsilio, 1987. Goldoni, Carlo. La dalmatina, ed. Anna Scannapieco, Venezia: Marsilio, 2005. Jezernik, Božidar. Europa selvaggia. IBalcani nello sguardo dei viaggiatori occidentali (2004), trad. it. di Gianna Masoero, Torino: EDT, 2010. Paladini, Filippo Maria. "Un caos che spaventa ". Poteri, territori e religioni di frontiera nella Dalmazia della tarda etá veneta, Venezia: Marsilio, 2002. Scrofani, Saverio. Viaggio in Grecia, ed. Ricciarda Ricorda, prefazione di Claudio Magris, Venezia: Marsilio, 1988. Torcellan, Gianfranco. "Alberto Fortis", in Illuministi italiani, vol. VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello statopontificio e delle isole, ed. Giuseppe Giarrizzo, Gianfranco Torcellan e Franco Venturi, Milano-Napoli: Ricciardi, 1965, p. 281-309. Venturi, Franco. Settecento riformatore. V. L'Italia dei lumi, t. II, La Repubblica di Venezia (17611797), Torino: Einaudi, 1990: 71-84 e 347-357. Viggiano, Alfredo. Lo specchio della repubblica. Venezia e il governo delle isole Ionie nel '700, Verona: Cierre, 1998. Wolff, Larry. Venice and the Slavs. The Discovery of Dalmatia in the Age of Enlightenment, Stanford: Stanford University Press, 2001, trad. it. Roma: Il Veltro, 2006. žalovanje vedno reakcija na popravljivo zlo oziroma ali se poraja srd dejansko le takrat, ko se zdi, da je zlo reverzibilno. UDK 81'255.4:821.112.2(494)-31.09Rakusa I. Barbara Jesenovec POETIČNA AVTOBIOGRAFIJA MEHR MEER ILME RAKUSA Namen prispevka je analizirati knjigo Mehr Meer švicarske avtorice Ilme Rakusa iz perspektive žanrskega poimenovanja. Besedilo vsebuje številne avtobiografske elemente in aluzije, vendar je delo hkrati izrazito literarno oblikovano in se stilsko gledano pravzaprav ne razlikuje od drugh besedil avtorice. Ker je knjiga Mehr Meer napisana na izrazito poetičen način, ki je značilen za avtorico, in ker je oblikovana s pomočjo različnih literarnih strategijh, se zdi, da delo najbolje opisuje izraz literarizirana ali poetična avtobiografija. UDK 821.131.1-97.09Panigarola F.:27-475.5«16« Fabio Giunta FRANCESCO PANIGAROLA: IL PREDICATORE V 17. stoletju je pridiga književna oblika tako v Italiji kakor v Evropi. Francesco Panigarola (1548-1598), s katerim se ukvarja pričujoči prispevek, je v razvoju te literarne zvrsti igral pomembno vlogo. Njegovo delo Il Predicatore (»Pridigar«, 1609), ki je izšlo posmrtno, je lep primer tedanje retorike, ki se sicer sklicuje na klasične vzore, dejansko pa uporablja protireformacijske prijeme. UDK 821.131.1-992.09:908(497.5):908(495)«17« Ricciardo Ricorda POTOPISA ALBERTA FORTISA IN SAVERIA SCROFANIJA V času razsvetljenstva je bilo potopisje še posebej bogato. Pričujoči prispevek se ukvarja z dvema potopisoma: Viaggio in Dalmazia Alberta Fortisa in Viaggio in Grecia Saveria Scrofanija. Oba avtorja opisujeta »lokalno« prebivalstvo in zanju je to način, kako se približati drugemu.