PREZZO /n TUTTO IL T.L.T. Lire 20. IT. 12 - 28 FEBBRAIO 1948 Tassa postate pagata - Abb. Il Gruppo CWstio/fe Settimanale umoristico dei Territorio di Trieste cì Tlie&te hanno metto in galeìa dei deinoeìatiei! Pelò queliti {abeitii, eh? Numero 12 i Cade la neve, sibila il vento, t; fa un freddo cane, lUnverno è... giunto soffrono i poveri; il fuoco è spento. E ! «grassi» girano con viso gaio, nel loro mondo non regna i buio, c’è caldo in macchina pure a febbraio! Ma non si curano questi birbanti di chi patisce in mezzo a stenti. Spendono e scialano soldi sonanti. Spendono e spandono nei lor bagordi, ma per sfruttare non han riguardi, tanto dimostrano, d’essere ingordi! E sempre dicono a chi ' lavora ch’oggi la vita non è poi cara; le paghe bastano fin troppo ancora. Disoccupati? bei fannuloni! f pensionati? di fiacca pieni! 'Sospesi» e simili? a nulla buoni! Intanto gelido l’inverno è giunto, cade la neve, * sibila il vento. Soffrono i poveri Fino a qual punto? DULCINEO SOTTOVOCE Uscito che fu all’aperto voltolisi Don Chisciotte e, sfregandosi le mani per il freddo, rivolto al suo fedele scudiero: — Dì sù, Sando, che ne pensi di «Alessandro Newsfcf», e dei commenti di qualche starnazzante spettatore?, — Che vuole, Vostra Signoria, rispose Sando, ognuno dice quello che sà e ripete la lezione ohe ha imparato. Do studentello ohe ha battuto le mani all’indirizzo del «signore dì Roma»,-contro cui Einsenstein ha appuntato gl! strali dell’ironia non sà evidentemente che il «signore di Roma» era in quel tempo tino di quei papi che Dante ha piazzate all’inferno ver l’eternità. — E che ne deduci, Sancio, chiese Don Chisciotte. — Poco di buono per quello studentello, sà, fece Sancio Primo perchè non sapeva che battere le mani significava dare dello scimunito a Padre Dante e secondo non sapeva neanche ehe l Cavalieri dell’Ordine Teutonico usavano e abusavano del segno ielle, Croce per nascondere. le loro ruberie e i loro delitti- — Allora sej d’avviso, Sancio che il Circolo della Cultura e delle Arti dovrebbe vietare len-trata agli imbecilli? — Eh, no, Vostra Signoria ne scapiterebbe mezza Trieste crine, di quella che ha là «cultura» - la «civiltà» tutta per sè... — Hai ragione, Sancio, approvò il Cavaliere e creho dai'vero che il comitato dovrebbe andare più cauto nel diramare inviti. — Certo Vostra Signoria, tanto più che quelli che lo desiderano, l’invito, non riescono ad averlo. — Bah, Sancio, sono cose ohe si rimediano. Ma dimmi piuttosto perchè, secondo te è caduta la neve in questi giorni* — Sà, Vostra Signoria na Inteso dire che era dovuto al fatto che era arrivata la Commissione iugoslava e che perciò..., — E chi te l’ha detto, Sancio. dimmelo? fece M Lungo Cavaliere. — Eh, Vostra Signoria, sorrise Sancio, uno. di quelli che approvarono lo studentello mentre batteva le mani; un lettore accani- to degli Asterischi della «Voce libera». — Suvvia, Sancio, fece allora il nostro Eroe, non turpiloquiare e, bando alle ciance, dimmi qualcosa sulla crisi cecoslovacca. — Sà, Vossignoria. Opponiti oggi alla riforma agraria, opponiti domani alla nazionalizzazione non si può che arrivare a opporsi al Fronte Democratico. —» Con che risultato poi, Sancio? domandò candidamente il Cavaliere. — Ecco, Vostra Signoria mi perdoni ma questo mi ricorda quello che si usa dire al mio paese: — se il contadino li arrabbia morde anche il cane rabbioso. — E si ha la morte del cane allora. Sancio? domandò il Lungo Cavaliere. — Si, Vostra Signoria, muore il cane del padrone, affermò sornione Sancio. Non rilevò la sfumatura l’ingenuo della hidalgo e continuò: — Sancio, che ne pensi tu detla «terza for-a»? — Vostra Signoria, rispose Sancio, è un modo come un altro per cer., essate che le de- stre non hanno più forza e cercano di aggrapparsi a qualche chiodo per ritardare la slittata. Anche per quello che scrive la «Voce libera», Sancio? — Soprattutto, Vostra Signoria. Tanto più che lei ha visto u-sare le stesse frasi dei giornali di sinistra per attaccare la D. C. chiamata reazionaria... Credo anzi che tra poco la chiameranno addirittura «federativa» per fare ancora più i democratici. — Eh, no, Sancio, questo sarebbe il colmo, esclamò Don Chisciotte. — Lo crede, lei, rispose Sancio. Io mi aspetto anzi di sentirne di più carine: arriveremo anche al punto di chiamarli «fascisti giallo-bianchi» — E” possibile, Sancio, confessò il Cavaliere... Ma Sancio, dimmi, è vero che all’ONU è arrivato una relazione di un certo signore in divisa? — Si, Vostra Signoria, una pappardella di ritagli di articoli del «Giornale di Trieste», «Voce libera» e cosi via. Alla ONU l’hanno apprezzala molto Pare che il compilatore abbia fama di umorista al suo paese. — Un successo allora, Sancio? — Si, Vossignoria, un successo d’ilarità, rispose Sancio. — Come le dichiarazioni di De Gasperi a Taranto? — Precisamente come l’azione ' di forza dell’incrociatore «Nigeria» alle Flahland. Rise a piene panasele Don Chisciotte pensando alle isole Falkland che gli argentini chiamano Malvine. Anche Sancio rise guardandosi, però in giro. — Non si sà mai, disse fra si, con questa libertà,.. TERZA FORZA Saragat ha parlato a Venezia e Giannini a Milano. Ambedue hanno detto le stesse cose e la «Voce Lìbera», oltre a riportarle, le ripete nel suo «fondo» di lunedi scorso. In pratici il discorsetto è il seguente: il mondo oggi è teatro dello scontro di due giganti, e tale situazione si riflette pure nell’interno del paese, dove l’orientamento degli e-lettori viene polarizzato da due grandi schierarnenti politici: D.C e Fronte. Ma la vittoria di uno di questi due antagonisti sarebbe letale alla Pace e all’esistenza della Nazione. Di conseguenza la salvezza della Patria esige che fra questi due litiganti si incunei una «terza forza», che appunto per essere «terza», costituisce l’unica garanzia di pace e di benessere. Non c’è che dire, questa della «terza forza» è veramente una scoperta grandiosa, una scoperta che rivoluziona non soltanto tutta la vita politica ma finaneo la concezione della società moderna. Finora infatti, le nostre rozze cognizioni si limitavano a ritenere che la società umana si dividesse in due gruppi: quelli che hanno e quelli che non hanno, e i primi, per non essere sommersi, devono mantenersi a galla attraverso la divisione dei secondi, scatenandogli gli uni contro gli altri: magari quelli che non hanno niente contro quelli che non hanno nulla.. E cosi tirano avanti da parecchio tempo. ■Queste- erano le nostre credenze, divenute ormai, dopo la coperta della «terza forza», sciocche superstizioni. Infatti, mettendo fra quelli che. hanno e quelli che non hanno una «terza forza», una specie di cuscinetto, Ogni conflitto viene a cessare e tutto funziona per il meglio. Semplice, pratico e di sicuro effetto. Soltanto, c’è ancora qualche piccolo punto da chiarire: e ciò dipende forse dal fatto che, anche delle persone di così elevata dottrina come Saragat e Giannini,, non possono perfezionare la loro grande scoperta in cosi poco tempo. Il punto sarebbe questo: questa terza forza, da chi è formata? Da quelli che hanno? No di certo, perchè quelli esistono di già rame gruppo a se. Da quelli che non hanno? Ma anche questi e-sistono come forza a Se stante E allora? Che Saragat e Giannini siano dotati di così miracolose proprietà da saper creare dal nulla i nuovi personaggi politici che faranno la «terza forza», magari evocandoli dal profondo della terra a forza di sconcimi? Ma ahimè, se così non fosse bisognerebbe dedurre che questa «terza forza» dovrebbe essere formata da una parte di quelli che non hanno, contro gli altri che pure non hanno, servendo così come cuscinetto per rendere più morbidi i colpi sferrati da quelli che hanno, colpi che naturalmente pesterebbero ben bene anche tl cuscino. Una volta si diceva al meno evenuti, ai più gonzi di quelli che non hanno: Venite con noi. venite con quelli che hanno e di« fendetene la vita e gli averi, perchè, se non esistessero quelli che hanno, come potreste esistere voi? Ora, che Ormai nessuno è cosi gonzo da prestar fede a questa parole, si cerca qualcos’altro: «Macche avere e non avere, macché lotte e conflitti social, «terza forici» e solo «terza forza»■ Il che, in definitiva, è la stessa cosa di prima, cioè la divisione e la lotta fra quelli che non hanno per mantenere a gallo, senza fatica da parte loro, quelli che hanno. Comunque sembra che anche questa nuova formula renda poco, a giudicare dal numero di quelli che abboccano. Non è quindi esageralo ritenere che » sostenitori della «terza forza» a furia di essere «terzi» si ridurranno ad essere in tre. RONZINANTE lenei iene ne iisnB“eiiBneueneiieiiBiieueiieiieiiBM*iie Soleva dire Stabed che uno sciocco dice talora delle cose sensatissime. A leggere le cronache delle questioni discusse al Consiglio di Zona, si potrebbe dire, quindi, che i signori consiglieri siano tntt’altro che sciocchi. * Domenica scorsa la città è rimasta senza acqua, senza luce, senza gas: «Triste domenica». * Con questi aumenti di prezzo nei cinematografi in occasione di film eccezionali non si capisce più niente. Dice mia moglie: — Mi avevi promesso che saremmo andati a vedere «Per chi suona la campanai». Dico io: «Dopo il dodici..» — Dice lei: «Ma come dopo il 12 se siamo già al 28?» — Dico io: «Dopo il dodici alla Si-sai, che diamine!». * In Italia, con le elezioni del 18 aprile, De Gasperi si tra' sformerà in colmo. Infatti il colmo per un «cancelliere» non è quello di essere «cancellato»? (dal governo naturalmente). AUGI Al proletario _ Amico proletario bistrattato da chi ti paga e sfrutta il tuo sudore continua- la tua strada, e in grande onore mantieni i calli da cui sei marcato. Son segni questi del tuo agire onesto; sii sempre fiero: poco conta il resto. Hai scelto un Sindacato. Poco importa qual esso sia, hai scelto in buona fede. Non può aver colpa chi convinto crede in quel che guida e pre nde una via storta. Le azioni tue sare bbero fallose sol quando mosse c ontro man callose. E questo tu non vuoi; seppur talora, in ore dure e critiche per tutti, vedesti volti amici farsi brutti come tu stesso rincrud ivi, allora. Ma come poco a p oco vinse il freno, fra man callose ritornò il sereno. E questo è quanto ti può dar conforto, e questo è quanto ti p uò dar speranza che nulla può creare una distanza fra noi, fra tutti i sof ferenti a torto. Siam gli sfruttati; tu lo sai, lo dici; perciò nessun ci po trà far nemici. La forza diverge . s’a ssottàglia, la forza conver- h a più vigore, saremo presto tutti un solo cuore, saremo presto tutti una famiglia. E splenderà quel di, meravigliosa, la forza unita dell a man callosal DULCINEO Hm ChticioUe TRA SOHDi Seno molto, ma molto ammalato! Come? Governo Militare Alleato? Beh, anche! (Dia. di Sarte) ADDIO MIA BELLA, ADDIO... — Quelle navi che vedi laggiù, diventeranno un giorna le «navi dell’amicizia 1». — E quando ? — Quando so ne andranno! (Dia. di Walter) // APERITIVI MI dia un De Gesperi al selz! (Dia. di Serae) Trieste in^tìata N. 5 „I borghesi66 QUANDO LO ZIO E' D'AMERICA — ...e ricordati Cafìuc-'o, devi assolutamente accattare 1 regali che ti vuol fare la zio, sennò quello ò capace di mandarci la bomba atomica 1 (Dia. di Walter) ! *— Apriamo gli occhi avvocato! — Sempre all'erta ingegnere! — Si comincia con il «Fronte Democratico» e si finisce con 11 ammazzare i borghesi, fucilare i preti, saccheggiare le ville! — Sottovoce per carità! C'è eh* tenie e prende nota! — Purtroppo la borghesia è li Fesso chi legge I bersaglio d'obbUgo di tutte le e- gilazionì. — D’altronde io vivo del mio lavoro, e chi vive del suo lavoro non dovrebbe aver niente da le* mere! — Crede che rispetteranno le piccola proprietà? — Nessuno di noi i indovino. — Da domani smetterà di portare la spilla alla cravatta. V'a tutto ciò che possa apparire di provocazione alla povera gente! — Povera gente che però ria meglio di noi Fondi-invernati, navi dell’amicìzia, ecc. Abbi imo ricevuto noi forre i pacchi della nave dell’amicizia?. — Cosa le dicevo? La borghesi è il bersaglio «fobbligo di tutte le agitazioni. DURANTI A (Milano). Caro amico, abbiamo letto le tua poesie. Carucce, mica no. Soprattutto non mancano di buona volontà e diligenza. Rimane però di latto, che no: pubblichiamo solamente poesie del nostro grande poeta di redazione Dulcinee, pseudonimo sotto 11 quale si cela, te .o diciamo In Camera Charitas, Petrarca In persona; che r.evochiamo solitamente 11 giovedì, ovvero un giorno prima di andare In macchina Prova con gli epigrammi, per quelli slamo sempre disposti. TI stringiamo la mano a. 3. SERVOLANA (Trieste). VI piace fi « Don Chisciotte »? Grazie. Si vede che siete intelligenti e colti. B VINA (Capodlstrìa). Sei di Capodlstr'a e non conosci Pavento 11 direttore di questo giornale meraviglioso? Ma benedetta ragazza non hai mal notato un be. giovane dallo sguardo triste e pensoso, con 1 capelli abbondanti su.-l’occhio dentro? Colorito pallido temperamento mistico e contemplativo scultore e musico, diseccolo di Bolto e Leoncavallo. chiedere a gran voce anziché « Pane e lavoro » « Arpe e Versi sdrucc.o-11»? No? Beh, recati a qualsiasi ora della notte. In una delle tante taverne malfamate del porto e il orlino uomo che sent'rai bestemmiare terrlbl mente dando grandi manate sul sedere alle malafemuline sara lui. GIAN SANTI PINO (Udine). Anche i tuoi lavori sono arrivati In ìedazlone Ce li ha portati il nostro fattorino proprio nel mezzo di una rl.un one settimana e. CI tolga una curiosità: lei disegna sempre cosi, o solamente nel momenti di maggiore indisposizione sp rituale? Non se la pigli sa! Noi slamo gente molto franca e ci place dire pane a. pane e vino al v no. Ecco perchè chiamiamo De G» Speri De Caspe ri e Sce ba Sceiba ! — Giusto Io ho gii fatte sotterrare la pelliccia di visone della mia signora. — Io metterò gli anelli d’oro nella tazza del gabinetto. — E alle prime schioppettate chiudersi in casa. — Io spero nell’Inghilterra che ha tutto l’interesse di combattere il comuniSmo. — Anch’io spero nell’Inghilterra. — Ciononostante se si può fare del bene, qualche abito sm isso, un pò di lana usata, un bicchiere di vino a qualche operaio.. — Ben detto, sempre vtepi o mettere le mani avanti coi tempi che corrono. Gli inglesi, le sappiano, arrivano a lutto, ma sempre lentamente. — Da un periodo, sin pur trave, di violenze e di stragi non ci salverà nessuno. — Purtroppo, come dicevamo, la borghesìa è il bersaglio di obbligo di tutte le agitati mi. — Ad ogni buon conto alle prime schioppettate chiudersi In elsa, questa è la regola. E permette un consiglio? Comperi ogni tanto una copia del «Lavoratore», delV'iVnità» che so io. un domani è sempre meglio farsele trovare In casa. — Ben detto non mancherò. — Sa com’è, non è querelane. ■ Si comincia con fi «Fronte Democratico» e... 1 — Buon pomeriggio ingegnere! — Altrettanto avvocato, e tanti saluti alla signora! ALÌGI 'pensierini dal «®D GIACINTO — Figliolo! — disse il signor Giacinto a suo figlio — gli Stati Uniti sono grandi e Truman è potente! Cosi dicendo il signor Giacinto saltò sopra u-na sedia prendendo n-na posa da Statua della Libertà. Poi, finito che ebbe di Imitare la Libertà, scese dalla sedia e chiamò suo figlio vicino. — Tutto, tutto ci danno gli Stati Uniti! E gratis! Gratis! capisci figlio mio?! H _ figlio del signor Giacinto dondolò la testa impaurito. • — Ahhh— — continuò Giacinto — tu dunque dubi.i della bontà di Truman? forse ti domandi perchè gli Stati Uniti ci offrano tanta grazia di Dio senza pretender nulla in cambio? — Giacinto prese la testa del figlio frale mani, lo fissò profondamente negli occhi. — Truman è generoso — gli gridò in faccia. — Anzi Truman è super generoso! Anzi Truman è la generosità in persona! Giacinto lasciò la testa del figlio, prese una bandicr.na americana e, facendo tuf... tuf... si mise a correre per la stan.à imitando il Treno dell'Amicizia. Il figlio di Giacinto dovette scansarsi con maestria per non venire investito dal treno Giacinto. — Ebbene — disse Giacin.o appena si stancò di fare il treno —sai tu o figlio che cosa significhi capitalismo? Significa bontà! Significa dare, dare, dare! E l’America dà! Tu forse — continuò Giacinto —sei propenso a credere che come il cane non muove la coda per niente così l’America... ah no, perbacco! — tuonò Giacinto dipingendosi stelle e strisele sul petto che nel frattempo si era denudato. — Prima cosa l’America non è un cane e poi la storia del cane non è vera! — E Giac’nto si accovacciò ai piedi del figlio fingendosi cane. Si era levato un lembo della camicia e lo muoveva a guisa di coda. iÀna parola Su Nino GuarescLi (Direttore di „Candido”) Guareschi è un avversario con il quale non mi sarei mai degnato di scendere in lizza se questi (chissà perchè e per quale concessione) non si fosse arrogato il diritto di sedere a scranna in quei nobile consesso di intellettuali che per ingegno e potenza produttiva compongono la nuova Arcadia. Se per aver constatato nel Guareschi un’intelligenza inferiore al la mediocre sono in buona fede portato a giustificare il suo abbaiare in luogo di rispondere, non sono però disposto a condividere con lui l’opinione che sia bastevole l’abbaiare per distruggere le ragioni e le idee, fortunatamente, diametralmente opposte alle sue. Guareschi, della repubblica delle Arti e delle Lettere, fino ora, ha dato ben poche prove dì essere degno familiare; nonostante ciò ne ha date tantissime denotanti il vivo desiderio di esserne parte integrante. Logicamente, per l’incoscienza derivante dall’assoluta ignoranza del Nostro nel campo del le Arti, ha egli ritenuto necessario o forse vantaggioso farsi l’alfiere di quella, in verità, esigua schiera di artisti italiani che non intendono aderire, per ragioni che non mi riguardano, al F ronte democratico, e di avvilire con quello stile taverniere che lo caratterizza tutti gli altri che vi hanno aderito. Da non dimenticare che fra gli aderenti al Fronte vi sono intellettuali il cui ingegno artìstico non poco ha contribuiti a guadagnare all’Italia un posto d’onore nel mondo, delle Lettere e della Arti. Ma il megalomane autome donte degli illetterati, per quella giustificatissima e perdonabilissima ignoranza che l’ha classificato fra i giornalisti di quar Lordine, erigendosi a vessillo dell’Arte italiana e lordando con attributi indegni del frasario di un g'omalista che si rispetti nomi quali. Sem Bene'.Ii, Massimo Bontempelli, Giuseppe Ma rotta, Titta Rosa, e mille altri rispettabilissimi intellettuali, non si accorge di trasformarsi automaticamente in un dispfežzabil e rinnegato dell’Arte italiana e di venire classificato tra gli infimi patrioti italiani dai giudici stranieri. Non basta che il signor Gua restili abbai; deve invece, se vuol scendere in campo per far valere le opinioni che lo riguardano, usare un frasario più forbito, vaie a dire più civile, e scegliere ne! suo ibrido solaio ideologico almeno un concetto degno di ponderazione. Solo cosi il signor Guareschi contribuirà alla fatica degli intellettuali italiani decisi a non farsi rinfacciare dagl; stranieri di aver cacciato Dante in esilio, di aver dato al Petrarca, con la Italia, non madre ma dura mat rigna, di aver lasciato morire in miseria l’Ariosto, di aver por tato alla disperazione il Boccaccio. di aver balordamente coperto d’infamia e dì ridicolo Colombo, Galileo e Machiavelli, ecc. Ci pensi il signor Guareschi, e, per carità, si faccia una cultura perchè gli intellettuali aderenti e non aderenti al Fronte non abbiano a vergognarsi d’essere italiani. ELGAR RADIO TRIESTE Qua'.’è quel radio- a-scollatore che udendo l’annunciatrice gridare; mamma, mamma, voglio un formaggio mio non abbia pen-ato con rammarico allimpossibilità di schiaffare una patata calda in bocca all’annunciatrice, pur sapendo che le! poverina è innocente? (Lei, la patata, s’intende). bacchi Uno che fa dodici punti alla S’sal, porca miseria, si brcca un sacco e mezzo di quattrini. Io che onesta settimana, ho fatto s»i punti dovrei prendere tre quarti di sacco, no? Sempre s-> la rmt-matica non è un’opinione. /Pensierini dal «B(D — Lo vedi figliolo? Cosa mi dai tu? Eppure io muovo la coda! Chiamami Fido, figliolo! E Giaciuto sentendo-. si ch'amare Fido e accarezzare sul collo, cominciò ad abbaiare felice. NEVE Il direttore del «Quotidiano» se ne sta alla finestra osservando compiaciuto i fiocchi bianchi che turbinano nell’aria. «Finalmente» si dice il direttore del «Quotidiano», sospirando, «finalmente nevica!» Adesso il direttore del «Quotidiano» chiude gli occhi: dense espressioni letterarie gli mulinano nel suo cervello: si stà preparando 11 «corsivet-to» sulla nevicata. «Ecco qui— il titolo lo piazzo così: Ospite Bianca... oppure Candore Freddo... oppure, meglio ancora La Neve fiocca. Sì quest’ultimo titolo mi piace: è originale e descrittivo. Poi... il resto è facile, trovato il titolo il resto vien da se— 1 candidi fiocchi hanno coperto la città come un enorme lenzuolo bianco— strani arabeschi di bianco sul tetti, sulle vie e sulle piazze... tenui batuffoli di ovatta ghiacciata volteggiano nell'aria come sospinti da una musica fatata—» li direttore d-1 «Quotidiano» apre gli occhi: sente il bisogno di una sigaretta. E’ orgoglioso di se. Fissando le spire di fumo, continua a costruire ti suo «corsivet-fo». —pare che In cielo degli angeli caprice’osi vogliano divertirsi lanciando manciate di piume delicate sulla terra... J bambini col nasino schioccato sui verini delle finestre battono le manine griderel-lando felici: mammina, mammina! c’è la nevi-na! Che carini frugoli-nl—» TI d:rettore del «Quotidiano» è stanco. Va a letto. Prima di addor-m ntarsi con un sorriso gioioso sulla bocca, riesce ancora a pensare: «Questo cors’vetto sulla neve nm se lo dimen icher anno tanto presto! LANDÒ Domenica scorsa, parlando degli intellettuali che sempre in maggior numero aderiscono al Fronte democratico, il «Giornale di Trieste» v òrgano dei preti, li definiva «utili idioti». Il giorno dopo, la «Voce Libera», organo dei chierici, riportando un articolo dalla saraga iana «Umanità», li chiamava «intellettuali». E non può essere altrimenti. Gente che non ha saputo far altro che allungare Ir proprie camicie nere fino a farle diventar sottane, non può apiegarsi il perchè di questa adesione in massa dei più bei nomi d'Va cu v ura e dell’arte Ita Vana al Fronte democratico, e nella bil- impotente, si arrabatta a chiamarli idioti o a mettere le virgolette sulla parola ìntell ttuali. Lo slesso giorno l’«A-vanti» di Roma, pubbli- ilGUI 1$ Qmlli,, Via mìgolotte, cava un elenco di nomi di personalità delia cultura che hanno aderito ai Fronte, elenco che occupava quasi una colonna e mezza di stornai a carattere tinografico corpo 6. Nell’elenco: pittori, scultori, professori, letterati, artisti cinematografici e attori dramma'lri, registi e,1 editor.i, tutta gente nota e c-lebre il cui nome risuona non soltanto in ItaVa ma in o-gni paese E il giorno prima lo stesso giornale pubblicava la no izia dell’adesione del celebre drammaturgo S-m Bene’li, i] quale in una nobile lettera, spiegava come ia sua adesione fosse il log’co corollario della sua esìst n a di 1-tatiano, di artista. Ubero pensatore, di antifascista e di cristiano. Che dire di questo 1-dicta e degli altri «intellettuali»? Noi già ci immaginiamo il ragionamento eh" nelle loro povere menti di incapaci e di falliti faranno i topi delle redazioni-sagrestie di via Silvio Pellico. Ma questa g nte, già celebre, arrivata, che ormai non ha più nessun problema per la propria vita avendo l’agiatezza, e moltissimi anche la ricchezza, assicurate, che viene applaudita, onorala e ricerca'a da i buoni e pacifici borghesi, disputata nei «salotti» e nei «cenacoli», cosa si sogna di aderire ni Fronte, di mescolarsi con gU operai anticri- sti e i contadini ignoranti? Perchè non se ne sta tranquilla, a godersi i frutti del proprio lavoro e magari a votare per i liberali o i democristiani la cui vittoria garant’rebbe loro U perpetuarsi di questa piacevole esistenza?» Questi sono gli interrogativi che assillano le menti dei nostri tonaca-ti, j quali, misurando tutti secondo il proprio metro, eon po~sono far altro che esclamare: Ma questi «’ntelletiua’’» sono nronrio d"STi idioti! Ed è logico che sia così. Cosa ne sanno questi stipendiati del dol laro di coscienza civica e nazionale, di dignità e persona’ità umana, di insofferenza di ogni oppressione e di ogni bavaglio, sia fascista o pretesco? Come possono comprendere che un vero ari ista che vive il travaglio continuo della crea ion-; che un uomo di cultura che penetra col suo sguardo nel profonda delia vita sociale e delle relazioni fra gli uomini, anche se è ricco, anche s- ha la villa e l’automobile, non può rassegnarsi alla vista di questo triste spettacolo di Ingiustizie e di sopraffazioni e che soffre ne! V'dersi contorno'o da tanta vi’tà e da simile putridume? E allora £® eh’egli sente che ha il dovere di lottare per crear- una situazione diversa, nella quale anche il suo sforzo creativo possa trovare un’atmosfera più pura e più 1 bera. E si schiera con gli op'rai e con i contadini, che sono veramente gli uomini nuovL S|TtImA|I|A Ciao, cocchi di mamma! Beh, che ve ne pare della nostra soleggiatissima prima pagina della settimana acorsa trovatasi improvvisamente di fronte ad un autentico freddo siberiano? Neanche farlo apposta veh? Voi già vi aspettate che noi accusiamo le oscure forze della reali one per l’inaspettata fregatura, invece no; noi siamo fatti così. Capaci di presentarvi una vignetta in cui degl^ esquimesi raccolgono datteri oppure un’altra In cui degli africani sono alle prese con gli orsi bianchi, è tutta questione di antipatia per l barometri; eccovi perciò la «vignetta redazionale» intitolata: QUANDO IL GIORNALE E’ IL «DON CHISCIOTTE»! I REDATTORI: — Non vediamo l’ora che arrivi questa benedetta estate per indossare 1 cappotti. Dopodiché Iniziamo la rubrica vera e propria. A Trieste niente di nuovo. Che volete: brava gente, Trieste è una piccola città che guarda sul mare pieno di navi anglo-americane. Ha 11 suo piccolo cielo di sopra e le sue colline di sfondo, di sotto, invece, ha la terra sufficiente per le tubazioni, nelle quali si nascondevano i fascisti nel Maggio del 1945, e per seppellire i suoi piccoli morti. I vivi, tra la terra e il cielo, fra le colline e il mare, fanno come tutti gli altri esseri viventi, gridano «viva» e «abbasso», vanno in galera o ricevono onorificenze. Da alcune settimane nei cinematografi di questa piccola città, vi si proietta il film «Per chi suona la campana» tratto dal celebre romanzo di Hemingway. Noi che lo avevamo visto parecchio tempo fa proiettato a Milano, ci siamo accorti che la censura dol Governo Militare ha creduto opportuno di fare omettere le sequenze della fucilazione di partigiani da parte del «franchisti» e le varie scene in cui si vedono le camicie rosse delle brigate internazionali. Gli ineffabili censori insomma levando le scene che giustificano il violento atteggiamento dei «^ossi» hanno Impresso al film nn carattere così anticomunista di cui non di certo l’autore di «Per chi suona la campana» ne sarebbe lusingato. Di fronte ad una premura così delicata, c: sentiamo costretti e rispondere con la vignetta seguente: CORSI E RICORSI notile dire di che cosa sarebbe degno un giornale che pubblica un articolo di così lampante malafede; e poiché niente risponderemo a questo falso limitiamoci, permettete è più forte di noi. prendiamo per la cpda questa vignetta . e sbattiamola decisamente e vigorosamente in faccia ai redattori del «Giornale di Trieste»: SUDICIUME GIALLO BENITO e ADOLFO: — E noi fezsi. Invece di fere come loro abbiamo proibito la proiezione lasciando capire apertamente 1 nostri principi an-tidemocraticL ! Quando mancano dei fatti degni di no,.a- noi. poveri gior-, nalisti, siamo costretti ad in-: tsressarci di qualsiasi nor-| choria ’ pur di interessare i I nostri lettori. I Oggi Ir porcheria è il «Gior-! naie di Trieste», il poco noto I quotidiano concorrente di «Vo-I ce Libera», che dopo i ben co I nosciuti risultati di Pescara, j pubblicava in prima pagina, , un articolo dal titolo: «A Pescara vittoria mancata del Fronte». Un articolo di così lampante malafede è indegno di una risposta, e crediamo an<*he 1- I REDATTORI: — Se per tutto l’anno diffameremo 0 prossimo e giureremo il falso con la stessa facilità e la spu» dcratezza di corno lo abbiamo fatto fino ad era, a Dicembre avremo una forte gratificai Insomma vedete com’è? Uno comincia col dire «a Trieste niente di nuovo» e poi vi consegna un malloppo che non finisce mai. Una cosa tira l’altra; si parla della stampa gialla ed ecco che subito vi ricordate del lettori di detta stampa. I lettor; della stampa gialla. noti anche come «na zinna» listi con pennacchio», fino a poco tempo fa accusavano di ri n u n ci atari smo i comunisti perchè non appoggiavano l’idea dell’annessione di un* parte dell’Arizona all’Italia poiché sacrosante rivendicazioni (il grande Leonardo a-veva studiato il volo dei Condor che notoriamente abi*ano quelle regioni) lo esigevano. Ora però che. grazie ad un incessante interessamento del Leader comunista Togliatti, la Russia e altre, nazioni comuniste appoggine la restituzione delle colonie all’Italia 1 «nazionalisti con pennacchi ti SA» declinano l’offerta passando automaticamente nella nosiz:one di autentici rinunciatari. Accettate perciò questa intelligente nonché brillantissima vignetta per nazionalisti con pennacchio: TOEU — Mio caro * amico, bisognò ringraziare ITnghilterra che ci mantiene democratici. La Russia, Invece, volendo che le colonie siano restituite all’Italia non fa che alimentare neri! fiali ani l’ardore espansionistico. Dopodiché planiamola. perchè ci siamo scocciati; ciao. AUGI QUALE CANE PREFERISCONO I democristiani: «Il Can—- celliere». Le segnorine: «Gli ameri- cani». I nazionalisti: «La cagna-re* II dantista: «I canini». Il signore ben riparato: freddo...cane», II vecchio scemo: «Le cas— zenettiste». > Il cantante: «Le can...zone*' te». G. £on Clilb ciotte Tealìiim dei pappi Quando lei è cobi Personaggi: Una panchina galeotta Un mandorlo La signorina Monti Un robusto giovane (All’aprirn dei velano si scorse un rmrariglfioso mandorlo *ulo sfondo azzurro del cièlo Preludio di primavera. Nell’aria *1 sente II nsveglio della natura Uopo il sonno invernale la natu-ra si è risvegliata dolcemente cominciando a disfarsi dal freddo lenzuolo di' brina. Sotto al mandorlo c’è una pan china, abbandonata languida-,ri'nt/‘ ad un robu.-to giovanotto, c'è la racchissima Consigliera di botiti signorina Monti) Signorina Monti: (Dilatando *e narici) — Bah Gastone, decidiamo, a quando 11 matrimonio? Robusto Giovane: — A pre-•to, cara. Oggi stesso parlerà * tuo nadre ner chiedere la di qualche tua > amica. Cala la tela e le speranze. * ónlgaìiatia • Quartieri alti Fu il baronello, mio dio, che rincasando a tarda notte c recatosi improvvisamente nella camera delia sua vezzosa consorte trovò il duchino nascosto nell’armadio a muro e la barenella in preda allo spavento q alle voglie di portoghesi. — Miserabile! — ruggì il baronello — che fate in questo storico mobile a notte inoltrata, indossando queii’orribile pigiama? — Baronello — rispose freddamente il duchino, traendo prima dalla bocca la giarrettiera che s’era infilato nella fretta di nascondersi — è una confess:o-ne ch’ella mi chiede o semplice curiosità? — Demonio! — urlò il baronello — è la confessione ch’io esigo, prima di uccidervi con queste mie mani. Un terribile silenzio ne segui, rotto di tanto in tanto con rantoli della baronella che chiamava, mala femmina, ad alta voce i braccianti della Groenlandia. — Baronello — disse infine 1 duchino — da uomo a uomo, e-rano le mie bretelle che cercavo, perdiana e non riuscivo a trovarle. — Al solito! — urlò il baronello, in questa casa maledetta non si trova mai niente! Indi musica da camera. AL Personaggi: Tremal-naik Kammamuri Il c-n Marshall Gli Iffl. P. (All’aprirsi del velario la sce-"f‘a rappresenta l’interno d’un empio suntvoso. Il generale Mar-* iell è seduto su di un grande Piedestallo d’oro a gambe incrociate. Intorno a lui una folta Tulf>a di M. P UQ una laterale entrano guar-_ righi Tremal-naik e Kamma-ttiuH). »J®- P-i — (In coro) Kali... KaW- KaliililU Kammamuri: — Mamma mia, ,sI (Scanna coma nna T,®.®0*8 seguito da Tremai-c»;k)- / ala la tela perchè è meglio. * ttloiilecitoìiO' ^arsonaggl: D’putato Democristiano Altri denotati Voci delle sinistre lAlVapnrsi del velario la sce-> rappresenta la solita aula di montecìtono, Pemucchi, duelli *eùli angoli Urla, grida, depu-, “’i che giocano a scassa quindici, un tratto un deputato demo-‘stiano si alza e dice): Deputato Democristiano: — sogna produrre farina, mol-la farina! rn «i® delle sinistre: — Sicn-v. B no-olo ha fame! fipYeP«tato Democristiano: — r» v®*16 c’entra; io volevo di-. che ci avviciniamo alla e-1 ’CB( a bisogna far colla per j, m?aif«sti di nropagand» sen-rr *a quale il mio partito è erpafo in pieno I balano l voti alla D. C. AUGI ,,3)m Chiòdo-Ila" Responsabile: REMIGIO PAVENTO Redazione e amministra-sione: CAPODISTRIA. via Cesare Battisti n. 301 Conew5s! ontria esclusiva Per ia distribuzione in ‘(alia e all’estero: MBSSAGERIE italiane P- A. via Paolo Lcmaz-*0 N. 52 — MILANO Quanto lontani i governanti inglesi attuali da Byron. Essi, laburisti, assumono le difeso di un gruppo di avventurieri « dimenticano Byron, dominano l’India (nonostante certe pretese «tn-■ipender.ze») e seguitano sulle orme di Robert Clyve. Onorano Kypllng e Cedi Rhodes pur dichiarandosi socialisti. Appoggiano Ismel Innoenue dimenticando Atatuerk. Fanno mettere In salvo il Gran Muftì non ricordando piai che gid «lavorò* per l’Asse .. Ingrati? Ma no, logici, ferreamente logici. Essere socialisti vorrebbe dire perdere l’Impero e le sue sonanti rendite. quale governante Inglese, che non fosse uno di estrema, ti sognerebbe mai di essere sociali-sta? Essi, da governanti inglesi, preferiscono fare del socialismo. Del resto questa non è mal itti a esclusiva della classe dirigente inglese, conservatrice o laburista, In Francia t «socialisti» alla Slum fanno lo stèsso e a Trieste quelli del P.S.V.G., dimenticano addirittura che cosa sia una morale proletaria per indossare la camicia variopinta del leziosismo nazionalistico, decorata dì medaglie al valore de'.l'S settembre, dell’Unpa a della Guardia Civica. Logici, ferreamente logici abbiamo detto, ma la loro logica non darà 1 ero il potere di trattenere coloro che. giorno per giorno, si avvedono come salvezza non vi sia -e non in un Fronte che raccolga intorno a sé le schiere innumerevoli dei miseri, dei nullatenenti e degli nomimi che hanno fede nell’avvenire del popolo. FTonte democratico, si vuol dire da qualcuno, fronte egli straccioni, con intenzione di dileggio. Si d mentiva però che m Italia, in Francia (per intanto) hanno aderito al Fronte Democratico i migliori pensatori * scrittori di grido, uortdnl che non lo fanno per interesse f> per ricerca di fama. Fronte delia guerra civile, si aggiunge con veleno. Oh bella, e chi ha cMi-mato i «fucilieri» a Taranto. Forse i socialist} di Nenni o « comunisti dl Togliatti? E le formazioni di «fortezze volanti» sull’Italia provengono forse dall’Est europeo? LOMO SECONDO GIORNO CHE dirà il messaggio? Mio Dio, di quanta curiosità è fornito l’uomo 1 Fingo sempre di russare. Alle mie spalle, attraverso il finestrino della por a. sento che l’ispettore delle carceri mi sta spiando. Per allontanare i sospetti e per accattivarmi le simpatie dell’ispettore (poiché è universalmente risaputo che gli ispettori delle carceri di tutta Italia (scrivo italla con l’«i» minuscola perchè non voglio che gli amici monarchici e i posteri diletti pensino che io nutra ancora per questa terra che mi fu madre e alla quale, quand’era governata dal Re, mi onora: di appar- tenere, un sia pur minimamente vago senso di rispetto) sono largamente foraggiati dal Ko-minform» e per esso parteggiano e lottano clandestinamente) fingo di parlare nel sonno e dico: «Togliatti vincerà. «Il popolo è s enco di essere sfru tato e prima o poi detterà alla plutocrazia 1 diritti dell’uomo. Viva Togliatti!» Ma che sento? L’ispettore mi fa del sussurri: Pssst, pssst- Debbo guardare o si tratta di un tranello? «Pssst, pssst!» Mi decido: guardo. Oh, Dio santo! Non è l’ispettore: è un altro carceriere, un graduato. Come l'altro mi fà cenno di avvicinarmi. Come l’altro è cauto: guarda a destra e a sinistra: forse so-I spetta di essere spiato. PERO QUEST’ACCIDENTE DI RUSSIA, EH? — Bah, questi maledetti filorusst, tanto schiamazzo per 1B colonie cho la Russia vorrabbo restituire all’Italia, ma 11 maledetto freddo siberiano dei giorni scorsi nessuno ha protestato! (Dis. a. Red) HAREM Quante finestre ha u-na città! A ra gliala, a decine di mlg’laia. Tutte grandi e piccole, tutte belle. FINESTRE - Beato Ini; nessuno può rompergli le s®at.“$e^ La finestra è tutto: è la porta sn] mondo. Affacciati ad una finestra, alla propria finestra a osservare il mondo che cammina rumoroso sotto, sulla strada! Ecco: una finestra e ni nte altro. A tutte queste cose pensava una volta Leone quando guardava tutte que’le miel ata di finestre con invidia cattiva e con sconsolata tristezza. «Quant- no?» d’"-va alla donna che divideva con lu' invidia e tristezza. «Tante si» sospirava lei. «Chissà qua’e sarà la nostra— Poi un giorno, la ragazza si stancò di sospirare. « Sono due anni ormai che ci conosciamo e credo sarebbe era di darri da far- p~r trovare un apiari amento a sposarci*. Leone non rispose. Aveva previsto che un giorno o l’altro la sua fidanzata gli avrebbe pariate così. «Ci vuole più iniz’atlva» crnlm.ò la raga'za con un tono di vece insni’tam'n’e freddo» conosco tanti che in pochi giorni si seno sistemati per beni-nol» Leene ascoltandola roteava gli occhi e stringeva le mascelle come per dimostrare che lui sprizzava iniziative da tu'.ti i pori. «Bene» disse «vedrai che in otto giorni io ti procuro il n'do, tutto sta ad incominciare». Dopo du» mesi di vane ricerche avevano e-lim’nato la cucina. «Una stanza, un camerino, un buco qualunque! Possibile che tu non riesca a trovarlo. Perse li crei tante difficoltà per non sposarmi— fors' n~n mi ami più!» disse la ragazza fissandolo negli occhi. Leone tace za. Taceva perchè non esistevano vocaboli adatti ad e-sprimere tutto i! suo a-more. I! «ti amo», ner Leone era una semplice frase cord a’e. «Se è ner una stanza fra tre giorni te la trevo, e tra dieci cl sposiamo!» Leone mise nna mano sul cuore. Visitò' tutte le acuzie della cittì. Parlò con signori dall’ara distinta. «Una stanza? oh, una cosa da nulla!— Ve-d’amo quante r.- ho sottomano...» «Che sla grande e racc—rntrr T »ine fiduciosa, «Dunque, ve- diamo— lei come si chiama?— ecco la tassa d'i-seri-ìone costa duemila lire». Leene pagava. Niente. «Sì, ce nera una. ma m no di trentamila mensili: nean- che pensarci...» Un giorno il titolare di una agenzia del genere propose a Leone un abbonamento per due anni. «Cosi viene a risparmiare un miglialo di lire» gli d'sse sorridendo l’affarista. Leone abbassi gl| occhi finché la voglia di uccidere non abbandonò il suo cervello. Ormai il trovar-« una stanza era (("ventato la sua ossessi >ne. Alla sera passeggiava lungo i meli in cerca di qualche suicida. Niente. Prnpa’ava in ci -tà notizie ai'.arm’stl-che: si fermava con un glornal- aperto in mano, davanti ai caffè. «Ci slama» dirrva con aria afflitta. «Che cosa, ci s’amo?» gli chiedevano. Lui piegava 11 g’omale, si guardava in giro con finta circosnoz’cne e sussurrava: «La guerra! io me ne vado oggi stesso!» E ri m tteva a correre. Mtwhè. I n oopo- Irv’-n-, r',rnor,uvu.! Aveva un mucchio fil ind’rizzi di subinqniillni ammalati, e ogni giorno s’informava delle loro condizioni di salute. Quando qualcuno peggiorava, non lo mollava più: passava le nottate setto la sua finestra sperando. Ma Leone era nato disgra iato. Su dodici moribondi, undici s’erano guariti e uno aveva lasciato libero un cesso. Studiò piani per introdursi nel pa’azzo della Radio, e trasmet'ere d’chlarazioni di guerra o Imminenti terremoti. Durante l’ep'demia in Egitto hirsò tutte le porte dti'a città fingendosi coleroso. «Aiutatemi. sono venuto oggi dall’Egitto» d’ceva accarezzanti- ctien’eti'—~i-te stipiti e maniglie. Niente. Rifiutò una cantina n-rchè bisognava ea’-«-s'- giù con lu corde. Visitò una soffrita di due metri quadrati. «No • eternerà. treupo n’cco’a, non m! stà il le'to» disse aria vecchi" che gliela voleva affittare per du ru’*a mensili. «Ma con la porta a-perta fors» sì, Insinuò 'a me-rpra. Leone volle strozzarla. Pl-mp* nori-truccalo moduli datigli dall’Ufficio Alloggi e finalmente potè fare la erniose nza con un funzionario di detto ufficio. «Cara» disse Leone quei giorno alla sua fidanzala» credo siano finite le nostre pene! Uno dell'Ufficio Alloggi è quasi mio amico: siamo a posto. Ma c è ne voluto eh! «sosp-tò Leone con soddisfazione come per dire che ormai il problema era risolto. Passarono quattro mesh «Buon giorno signore» diceva Lqone ogni qualvolta incuo rava l’uomo dell’Ufficio Alloggi. «C;ao L'one» rispondeva quello Poi una mattina parlarono di danaro e di ostacoli. «Col denaro si fà tutto» d’sse l’uomo. «Che cosa posso fare con ventimila lire?» chiese Leone. «Non molto» disse l'uomo», comunqu e «Quel «comunque» procurò a Leone e alla sua cara mogliettina una cameretta Adesso sono abbastanza felici— hanno finalmente una finestra. Piccola è vero e piuttosto In alto, ma sempre finestra. Con una sedia sul letto, sulla punta d:i piedi, manovrando con abilità e uno specchia, qualche volta riescono a vod~rc> 11 mondo che canmv’na rumoroso sotto, nella strada. LANDÒ Anche queste è senza dubbio un amico travestito da sergente carceriere. Forse la Direzione del Blocco Monarchico ha incaricato due del suoi agenti perchè la missione possa, nonostante le difficoltà enormi, essere portata felicemente a termine. M’avvicino e porgo l’orecchio. «Ho per te una cosa» sussurra. Ma subito s’interrompe e: «Maledizione, se mi scoprono sono guai. Allontanati e fingi di dormire». Mi dice Lamico travestito da sergente carceriere scomparendo all’angolo. Intanto dal corridoio giunge qualcuno. Io, strisciando ventre a terra raggiungo il tavolaccio e fingo di russare. Questa volta dev'essere 1*1-spet’ore sul serio. Ecco, 1 pasti si sono fermati alla mia porta. R’peto le parole eh« ho fatto udire al finto sergente riguardo Tcg’iattl e il popolo stanco di soffrire per i ricchi. Sempre fingendo di dormire aggiuntola frase: «Abbasso De Gasperll’af-fama’ore!» Appena terminato di dire «affamatore» sento l’ispettore dire sommessamente. «Olà, cesso!» Ha detto «cesso»? Non essendo certo ripeto il discorso rivoluzionario intercalando fra una frase e l’altra un lamento che di solito l’emettono ì dormenti che fanno sogni agitati. Ma giunto alla parola affamatore. la stessa voce, quasi in un bisb'glio mi dice: «Olà, pozzo nero». E’ inutile tentare ancora: uno che sì rivolge a un «rosso» chiamandolo cesso e pozzo nero non può essere che un amico mio. Volto lentamente il capo verso la porta tenendo gli occhi semichiusi perchè è bene adot are certe precauzioni. Quardo: un tenente carceriere. B tenente. probabilmente essendosi accorto della mia messa in scena mi fa cenno di avvicinarmi. Che anche lui sia un amico? Che anche lui si sia Introdotto clandestinamente nelle carceri per portarmi ur. messaggio? Mentre sono sul forse che si, forse che no. ti tenente, per dissipare ogni mio dubbio mt dice: «Ho qualcosa per te. Avvicinati». «Sei un amico?» gli dico. £ lui: «E come no?» «Grazie, grazie» rispondo schiacciandomi le palpebre con le dita per allontanare !e prime lagrime di gioia che mi stavano sgorgando. «Guarda» mi dice mostrandomi dal finestrino un pacchettino avvolto in carta da giornale. «Dammi» dico. Ma ecco che nuovamente in fondo al corridoio si odono del pasti. «Butati sul pancone e dormi» mi consiglia perentoriamente l’amico travestito da tenente delle carceri. Ritornerò». Nuovamente, strisciando ventre a terra, raggiungo il . mio giaciglio e comìncio a russare. Il mio amico raggiunge con passo sicuro ma veloce lo angolo del corridoio. Il rumore degli altri pasti, quelli del vero ispet’ore delle carceri si fa sempre più vicino. Io fingo di russare. Il mio cuore batte cosi forte e cosi velocemente che un profano di cuori felici e nello stesso tempo ansiosi potrebbe facilmente scambiarlo per un motorino della «Vespa». L'ispettore si è fermato davanti a’ia mia porrà. Sento che mi fissa. Che sappia tutto? Che sospetti qualcosa? Mi fucileranno per evasione? (continua) tentata ELGAB MEMENTO HOMO — Baccaniamo, giudice, beeeeniamo! H Governo Italiano non accetterà mal dalla mani della Russia la ex colonie itrl’ana, ma bensì acesiterà dailTnjjbilterra il rifiuto di notar far garrire in Libia, Eritrea e Somal a il tricolore Italiano. (Dis. di firio) CERTO E’ UNA BELLA DIFFERENZA — Vuoi metterò le colonie che ci vuol dare la Russia con quello che non ci vuol dare l’Inghilterra? ^ 1 . : à \ imi Sion Chiò,ciotto LIQUIDAZIONE DELLA D. C. mmmm ■■ di VASCO PRATOLINI Tu sei Maciste, il boia popolare che ha nome Sorrisoti, l’Angelo dell’Annunciazione; sei un comunista a cui il Partito ha affidato un incarico di responsabilità; il maniscalco Corrado che siringe fra i ginocchi come nella tagliola la zampa del cavallo più focoso. Ma sei un uomo fatto di carne ed ossa, con gli occhi, il nwso, trentadue denti, una ballerina tatuata sull’avambraccio. Il tuo petto è ampio, un intrigo di peli e sotto la selva c’è il tuo cuore; ma se non ti fidassi nel tuo cuore non saresti nel Partito. Hai forse mai letto una riga di quel volume intitolato rii Capitale», che fa venire il sonno so Itanto a guardarlo ? Hai fatto l’Ardito del Popolo in considerazione della teoria del plusvalore o piuttosto perchè il tuo cuore era offeso? Quel marinaio di Kronstadt che ti assomiglia credeva, figurati che Marx fosse uno dei dodici Apostolit Ora tu sei un dirigente dell’organizzazione clandestina, non avresti il diritto nè dii ascoltare il tuo cuore nè di rischiare la vita per correre in aiuto di un massone dal quale gli squadristi sono forse già arrivati. Del resto, costui è un capitalista, nemico del fascismo per caso e nemico della classe operaia per motivi ben precisi. Non ti fanno Un piacere, dopo tutto? (dis. di Zergol) — La sapete l’ultima su De Gasperi? (Dis. di SERSE) |29Febbmio l—j Nascere il 29 febbraio porta disgrazia: io, infatti, sono nato il 29 febbraio. Ma non è di me che voglio parlarvi: perciò non interrompetemi Conoscevo un vecchietto che ai chiamava Ulrico. Ulrico, disgraziatamente, nacque tanti armi fa, il 29 febbraio. La madre di Ulrico, donna osservante le date, festeggiava il compleanno del figlio ogni quattro anni essendosi messa in testa che ogni quattro anni suo figlio invecchiava di un anno. Stando così le cose, Ulrico, a quattro anni, ersendo stato ammaestrato dalla madre, asseriva di averne uno. e tutti benignamente si meravigliavano che un bambino di soli dodici mesi fesse così intelligente e sviluppato. Ma gli anni passavano e Ulrico arrivò ai vent’anni. Sua madre diceva a tutti che il piccolo aveva già cinque anni e che l’anno prossimo sarebbe andato a scuola. Ulrico aveva la barba, nonostante ciò, la signora Teresa (così si chiamava la madre di Ulrico) lo portava a spasso tenendolo per mano, in calzoncini corti, e gli comperava le pa-sterelle e i soldatini di zucchero. Le amiche della madre, quasi tutte zitelle, si contendevano il piccolo Ulrico e spesso, cogliendolo di sorpresa, lo baciavano a lungo sulla bocca e sulle spalle. La signora Teresa protestava e d’eeva che non era bello viziale tanto : bambini ma le a-miche rispondevano che il piccolo era così grazioso che riusciva loro impossibile il non viziarlo, Le zitelle, di comune accordo, decisero di sacrificarsi a turno e di condurre il piccino, le domeniche, in regioni boscose e solitarie, dove l’aria pura e salubre tanto giova alla salate dei bambini gracili e malaticci. Ma dopo alcune escursioni domenicali, il piccolo Ulrico preferì restarsene in casa a tenere compagnia alla giovane e fresca donna di servizio Carlotta. I pomeriggi. Ulrico li trascorreva nel cortile giocando con bambini dai cinque ai sette anni, ed essendo molto più robusto di loro, spesso, nei litigi, li batteva a sangue. Quando la signora Teresa disse che suo figlio aveva compiuto il sesto anno di età lo accompagnò a scuola, ma il di- rettore si mise a ridere, e conficcatesi Le dita nel naso, disse: «Signora Teresa, suo figlio non di studio abbisogna ma di donne. Arrivederci». Profondamente offesa nell’a-mor proprio, la signora Teresa riportò a casa Ulrico e decise di farlo studiare privatamente. Dopo qualche lezione, però, la maestra di Ulrico, donna o-nesta e non portata al libertinaggio, si licenziò sdegnata- a-vendole il piccino manifestato il desiderio di fingere di traversi ambedue non già in una stanza da studio, ma in regioni boscose ove l’aria salubre tanto giova alla salute dei piccini gracili e malaticci. Le insegnanti che seguirono la prima, cóme la prima si licenziarono; e il povero Ulrico, con grande disappunto della signora Teresa, rimase analfabeta e privo di qualsiasi arte o mestiere. E gli anni passavano. Ulrico aveva baffi e capelli bianchi, e la signora Teresa continuava a proibirgli di ammogliarsi ad-ducendo il pretesto che a quindici anni l’uomo è ancora un bambino inesperto e incapace di fronteggiare le astuzie della donna. Ulrico protestava, ma non e-nergicamente, come generalmente protesta un uomo di sessantanni. ma come un giovanetto di quindici che pur sentendo feroce il desiderio d’una donna si vergogna di dichiararlo apertamente. Finalmente, quando Ulrico raggiunse l’ottantesimo anno di età, la signora Teresa, sentendosi prossima alla fine, decise di dare al figlio una buona moglie. Ma, ahimè, tutte le fanciulle che, in base alle informazioni date dalla signora Teresa, si presentavano al ventenne Ulrico, scappavano via spaventate e sbattendo la porta. Dopo molte ricerche (furono mobilitate tutte le agenzie matrimoni ali della città) si presentò a Ulrico una vecchietta di settant’armi che. dopo averlo veduto, dondolando la testa in segno di mestizia per la^ delusione provata, acconsentì a sposarlo. E quando, dopo le nozze, la moglie di Ulrico manifestò il desiderio di recarsi oresso alture boscose e solitarie ove l’aria salubre tanto giova alla salute deg’i uom'ni gracili e malaticci, Ulrico rispose: «Troppo tardi». ELGAR DOPO PESCARA — I grassi' borghesi: — Beh, adesso si esagera; io credo sarebbe proprio l’ora di protestare all’ONU! (Dis. di SERSE) DI FF ONDETE Ci ---- ---^ fiatile fc 1948 La scena rappresenta una strada qualsiasi di Trieste, Piove il pubblico si aspetta l’entrata in palcoscenico del capo-comico che ài' ca: «Piove, governo militare!» invece niente. Alcune «Jeeps» sullo sfondo corrono lasciando qua e là morti e feriti. A destra un C-ivil Police multa un pedone perchè ha inveita contro una «ieeps» che salita sul marciapiede per poco non lo a-veva messo sotto. Il pedone paga e si allontana cantando sul motivo di «Fontane»:) Fontana bella. Se tu vuoi morire affronta pur le strade cittadine è questo il miglior modo per finire, come galline ! ’ Canta fontana Mu ta il poliziotto multa rinvestito. Perchè la testa sua s’è poi trovata vdein S. Vito. Fontana Cara. Han fatto la campagna per regolare il traffico, vuol dire che gravi guai succede a chi si lagna dell’investire! Alla fine delia canzone sopr aggiunge una «Bodge» che 1° stende a terra. Entrano in scena le «12 bellissime ragazze 12» vestile da artisti alleati agitandosi come pazze e cantando sull’aria di «Hop> hop, corri cavallino:) Jeeps, jeeps, corri per benino jeeps, jeeps, investi il triestino. Tanto se l’uccidi con la jeeps proprio niente ti faran. Jeeps, jeeps, corri come pazza Jeeps, jeeps, e la gente ammazza Tanto questi porci di triestin sono tutti sowersfv. Punire perciò nessun ti vorrà. Ammazzali orsù sempre più. (Il pubblico applaude frenet icamente, calorosi battimani' qualcuno vuole appiccicare addirittura fuoco alla ribalta. Le ballerine commosse fanno vedere la ponza... pardon._ W danza... del cigno). Cala la mela... in testa ad uno spettatore di platea lan* ciata dal loggione. AL. ■MmMIMrmiIMlMIIIIIlHIIIlMHHIIlimiMlllllMtHMmiimmmiMlllllllllllllllllUlfMtHIMIIMMaMtMMt**0 LEGGETECI (dis. di Zergol) Il portone della bisca clandestina si apre con leggero cigolio, n signor conte esce con la faccia discretamente rabbuiata. Trecen-tomila lire sono sempre una bella cifra, e perderle tutte in una sola sera non è cosa che lasci Indifferenti. Il signor conte accende una sigaretta, tira la prima boccata e[ pensa che è l’ora di rincasare. — Fate la carità! — C’è un poverello addossato al muro, a due passi dai portone. II nobile signore si fruga nelle tasche, trova cinque lire e *fà» la carità. Come s’allontana, gli piomba addosso la signora contessa. — Mascalzone! Ti ho aspettato e ti ho sorpreso! Ecco dove butti i nostri soldi! Vergogna! Il signor conte allibisce. — La nuova pelliccia di visone me la rifiuti, la «Topolino» non me la vuoi comperare, ho chiesto St. Moritz e mi hai offerto Cortina... Ma 1 soldi li sai dove sprecare... Vergogna! — e scoppia in singhiozzi. — Calmati, calmati. Ti giuro, non lo farò più. Sì, ammetto di aver perduto abbastanza, oggi. Ma ieri sera, però, ho vinto una cifra quasi uguale; e allora vedi.. — Che vai dicendo? Parli di questa bisca? — No, no. Non intendo rimproverarti questo piccolo svago. E’ di quello che voglio dire... Un falso povero... — e mostra col dito il misero. Il conte torna indietro e s’avvicina al mendicante. — Scusi, sa, ma mia moglie mi ha sgridato... Non le dispiace ridarmi quelle cinque lire... — Si figuri... Ma non erano dieci? — No... cioè, forse si... certo che si. erano proprio diedi lire!... Oh, grazie infinite. — Avevi ragione erano soldi sprecati. Figurasi che mi ha dato dieci lire mentre io gli avevo regalato cinque. Un falso povero di sicuro.» Che vergogna! LISA