ymiiiiiiiiimiiiiiiiiMiiiimiiiiiiiiiiiu Lettori: 5 I i E E = 1 E Segnalateci le edicole SpìoooiSte = E | del nottìo giornale | E E Tì III 111111 ! 111 IH 1 MI 11111111111111111111 (E PREZZO Ih TUTTO IL T.L.T. Lire 20.- Tassa postale pagata - Abb. H Gruppo h. 6 CAPOD/STR/A - 17 GENNAIO 1948 Miunero C Quante nascondano Vesti d’agnèllo dei lupi avidi sotto il mantello, e ancora imgan-nnino qualche «avella Ee frasi sciite più strampalate a frotte sciamano ^spolverate ch’ai tri già dissero* Sà nieordateS B^SppeŠSus comico, Ansaldo. Alessi, Pur fuor dai timpanfi Pcd som decessi; dtrt funzionano, toa acn Sii stessa *a Voce libera», «Giamal <$L. peste», «Prora», «Ultimissime». Radio Trieste.« Tra giorni «11 Piccolo»* Bacchiai- die feste* tocco: «Ritornano * tempi belli quando s’usavano 1 manganelli ® so cantavano stameUio*. Pur ara tatonano ite serenate ®be si risolvono te gran ballate tonache calate*. sditavi E tessono manti d’agnèllo Per lupi avidi-Boto han cervello, * quanto mostrano edhifa a budello! ì dulcinbo ' L | TRIESTE 19« IL PUBBLICO MINISTERO: — Già nel ’43 siete stato condannato per aver scritto sui muri «Viva i partigiani»: siete un recidivo! (Dis. di Red) IL PADRONI SONI EH Ogni qualvolta il Governo Militare della zona anglo-americana del Territorio Libero, deve in un certo senso giustificare le sue marachelle, (perdonate l’eufemismo), dice che esso esercita una funzione di amministratore fiduciario e che pertanto non è in suo potere far questo o far quello. Ma, amministratore fiduciario di chi? Evidentemente delle Nazioni Unite, cioè di tutte le nazioni che hanno partecipato alla guerra antifascista e che hanno deciso la creazione del Territorio Libero. E’ quindi logico che tutti gli atti di questo Governo Militare siano i-spirati appunto a questo concetto di larga rappresentatività, la quale dovrebbe esprimersi in una politica che oltre a tener fede ai principi della lotta, sia tale da conciliare, nella misura del possibile gli interessi di tutte queste nazioni, E da tale proposito crediamo che non occorrerebbe neppure ai nostri amabili governanti il loro dovere morale. Essi che, non si capisce proprio perchè, visto l’attuale stato di cose, godono fama di persone corrette, dovrebbero appunto in omaggio alla semplice correttezza, sapersi regolare in tal senso. Invece avviene tutto il contrario, e i signori di corso ex Littorio, evidentemente pensando che ehi ha la forza ha sempre ragione, fanno e disfanno come piace loro infischiandosene di tutte le amministrazioni fiduciarie di questo mondo e ricorrendovi soltanto come a una comoda scusa auando si tratta di negare qualche cosa agli strati più poveri della popolazione. Recentemente poi hanno voluto raggiungere il massimo della correttezza, rimettendo in vigore la ormai sfiatata «Radio Franz» Quindi non solo poco corretti, ma anche poco originali! E si sono messi a fare, con la collaborazione di un esula-stro, della polemica e della propaganda anticomunista e antisovietica. Cioè, essi, ì fiduciari, si sono messi a gracidare contro una potenza in nome della quale esercitano il loro potere qui da noi. Tutto in omaggio alla proverbiale correttezza anglosassone. Ma non credano che la cosa ci preoccupi soverchiamente. Non è la prima volta che dai microfoni di Radio Trieste dei venduti narlano sul terrore rosso, sull’inferno sovietico, sulle bellezze dell’Oriente Nuovo e sulla perfezione del «Piano Frank» per la salvezza dell’Europa. Col risultato di schifare sempre maggiori masse di Poveri Cristi. Il che porta alia conclusione che tutti conoscono. RONZINANTE TUTTO RISOLTO Esulti il Territorio e le sue genti! Risolto ii rebus! Lode alla bravura del Giemmeà che cambia la struttura, cambiando tutto., meno i dirigenti. Con pochi sforzi e quasi nessun costo, col giorno 10 siamo messi a posto! Sorrise don Chisciotte dell’ar-*,uz*° de! suo scudiero e disse Dì> dunque, Sando, credi tu bìot vi SLa niente di cam- Passato e pìoSmto - ~~ che vuole, Vostra Signoria, J ce Sancìo, lo sono un povero Snomante e non so apprezzare le Jmezze di lor signori. Queste, mi fanno l’impressione di villano che si lavava le ma-‘ coi sapone nero per non ve-la schiuma sporca. Si tacque il Lungo Cavaliere *7» pò e pensò di cambiamenti negli Alti Comandi. ■— Dimmi, allora, Sando, chie-ie. ® Cavaliere, non ritieni che ** possa aver fiducia? ~ Mi perdoni, Vostra Signorìa, precipitò lo scudiero meraviglMi-vi’™* dun ■ 'Ufi u upy y mi 7 A • I A prescindere dal fatto che 1 poveri nm carta già tendenzialmente magri perchè appunto figli di poveri, i poveri, a differenza dei ricchi fanno di lutto per rimanere magri ed ossuti. Lavorano tutti » giorni della loro vita, mangiano poco, si curano scarsamente abitano catapecchie oscure e malsane. Anzi, le più oscure e malsane sono da loro preferite. Razza strana i poveri! Tutto al contrario dei ricchi che disdegnano il lavoro, mangiano molto e » curano costante-mente. Facile a riconoscere t poveri: hanno le mani callose, vestono male e sono sempre indaffarati, lavorano sempre. Molto più delle formiche. Se non hanno alcunché da fare, si lamentano a tal punto da andare in giro con cartelli reclamanti lavoro-1 ricchi invece no. Non solo o-diano il lavoro ma non sanno lavorare. I ricchi non capiscono come possano, i poveri, ad aver tanta bramosia di lavorare. «Strani, stranissimi, i poveri» ■mi diceva un giorno un ricco. «Da bambino credevo che lavorassero per guadagnare danaro, ma poi ho capito che loro lavorano soltanto per il piacere di lavorare. Perchè altrimenti non si spiegherebbe la loro mania di cercare impieghi fra i più faticosi e meno redditizi. Nei luoghi più pericolosi, più oscuri, dappertutto dove c’è da faticare trovi loro, sempre loro: i poveri! Se fosse per il danaro comprerebbero negozi, officine, fabbriche eccetera. Occuperebbero il loro tempo in attività proficue senza muovere un dito. Come facciamo noi ricchi, insomma. Sono matti i poveri! Sprovvisti di fantasia anche nel mangiare: minestra, minestra, sempre minestra. Così nel vestire, cosi in tutto. In treno preferiscono la scomodissima e sudicia terza classe; in teatro vanno ad affollare le dure panche del loggione; quando parlano dei palchi dicono «peuh!» Le fabbriche addirittura hanno domi mobìli, di vestiti, di scarpe adatti agli strani gusti dei poveri. Credete a me, conclude il ricco, i poveri sono un po’ matti». Due razze strane 1 ricchi e poveri, Due razze che per fortuna vanno lentamente, ma sicuramente estinguendosL LANDÒ NINETTO, NOSTRO CARISSIMO AMICO, E’ DIVENTATO PAPA’ Di MARIELLA. AI FELICI GENITORI VADA L’AUGURIO DI TUTTA LA REDAZIONE. E’ QUESTIONE DI BURRO, AMICL «O-Kay» disse Johnny Mitrando nel tugurio senza luce e gocciolante. Gli si fece incontro Nunziatella coi capelli discinti e la veste cascante che lasciava in-travvedere un seno appena sbocciato, come un anemone ai primi di marzo: «io farmi pagare due Scripts» annunciò con voce un po’ roča e più vecchia di lei. «No — ribattè l’americano — io avere portato doni United States, del Presidente Truman per voi; ecco questo essere pacco». E posò rinvolto su una traballante sedia dalle gambe ricamate di muffa. Pasquale, Gennaro e Concetta, precipitatisi giù dal sudicio pagliericcio si fecero intorno al pacco, cercando tutti insieme di a-prlrlo febbrilmente. Ne uscirono una coperta militare, dei viveri in scatola, alcune tavolette di cioccolato e di torrone, una stecca di Carnei. Pasquale, da vecchio intenditore, soppesò i barattoli tra le mani, annusò le sigarette, poi guardando sospettosamente Johnny disse: Cosi gli aiuti americani | A Decadenza n salotto è pieno di cose inutili: una gabbia senza uccelli, delle fotografie sbiadite, un vecchio prete, dei fiori secchi sotto una campana di vetro, e una vecchia signora magra, una poltrona con la fodera ed un’altra vecchia signora grassa. Sono le cose decadenti. Le cose che sfaldano e che si sta a guardare che si sfaldino completamente, le cose tristi e della cui tristezza ci si bea, le cose i-nutili e della cui inutilità non sì può fare a meno; la noia che non si vuole che finisca; il tedio che non bisogna scacciare; le case in cui non si respira, piene d’ombra e di misteriosi pulviscoli; la vesti che non si debbono toccare; le mani bianche e trasparenti, gli occhi perduti, i busti eretti, la triste cariti, la lacrimosa piccola inutile incapacità di fare bene o male. La neutralità sociale; allegria di naufraghi e profumo dii vecchie case spente; balconi su vicoli, con geragni, e vecchi mummificati. Tutto ciò che è inutile, ingombrante; che è pietoso e sofferente; il dolore come religione, la noia come sorella. Queste sono le cose decadenti» Queste sono le cose da cui bisogna guardarsi, fuggirle come 1* peste: con le lacrime non si co- lo confezionare speciali tipi di stnuisce nulla di nuovol Siti m «vengo subito» e uscì. Nunziatella s’era avvicinata alla coperta, ed allargando le braccia per misurarla, mormorava tra sè: «proprio quel che ci voleva... Concetta e Gennaro a-vevano tra le mani un pezzo di torrone che sbocconcellavano, mentre il piccolo Carmelo, rimasto sul giaciglio, trascurato dagli altri, piangeva disperatamen- te, rigandosi il volto di un filo nero. In quei momento rientrò Pasquale, bestemmiando pittorescamente da buon scugnizzo, e tenendosi un occhio gonfio per un recente pugno: «Chillo fetente di Salvatore — disse — m’ha fatto fuori a rob-ba per portarla alla sua Vincenzina, che chiagne sempre miseria e si fa due bigliettoni al gior- na ca ’a caretà dei passanti». Johnny si guardò ancora un momento in giro, disse un’altra volta: «O-Kay», ed uscì sentenziando: «essere fo-king italiani!» Così «gli aiuti» americani. Coperte, scatolette, Carnei; Carnei, scatolette e coperte. Il vero dono che si dovrebbe porgere alle classi op presse sarebbe il sottrarle ai tentacoli del mostro capitalista che vive e costruisce sul fango che esso stesso impasta con la sua carità non richiesta. E’ il sistema che ha bisogno di essere mutato, in modo che la miseria materiale e quella morale possano essere prevenute anziché «aiutate». È’ vero invece che il Governo De Gasperi accantona il valore dei doni americani per farne uso elettorale e per garantire la sopravvivenza del «vecchio sistema», quello che permetterà ai suoi di costruire nuovi palazzi sul fango «proletario», e di chiedere all’infinito altri «aiuti» all’America. Proprio come l’orco di quella favola che vorremmo raccontare al piccolo scugnizzo raffigurato nella fotografia. L’orco che rimpinzava di ghiottonerie le sue vittime, per renderle più saporite nel momento In cui. divenute di suo gradimento, finiva col divorarle. ATTACCHI AL CONSIGLIO DI ZONA — Io non sò come attacc arto; perciò lo attacco al cer (Dis. di Romeo) 0Jm ChiòeioUe Le ” segnorine inghiotte la gomma e presenta ancora il suo sedere al sedere di Joe. Marinerìa non ha più la andatura di nave in rol-Uto, caratteristica deile domestiche. Dove sono i piedi che si Mentivano strascicare nel corridoio fin dal mattino? Dove sono le gambe gonfie — la sinistra fasciata da un cencio sporco — che i padroni evitavano di guardare quando •Mariuccia veniva a cambiare i piatti? Oggi ha »carpe metafisiche « calve surrealiste. •Le cameriere, travesti-le da contesse divorziatev °9gi ballano, ballano seriamente, ferocemente, aome se fosse un dovere lo swing, U boogie-wo-°rìe, ti giriboche. La rauslca non si ferma mak ® sudore dei sfate-boys» cola in rigagnolo »agli strumenti, fino e /artj diventar lubrichi, scivolosi. Joe è ubbriaco, a terra, guarda ih su come una gallina colpita dalla pipita, ma fa niente, per Mariuccia ciò è aanericano. J°e non dice niente di nuovo: «tu essere mia», e dovè andato tutto l’esotismo? Se la stringe guan-da contro guancia e cammina così, col suo Passo a torcinatàche, come se eseguisse un numero di danza. Ebbene, Mariuccia fa di tutto: per lei, è tutto americano. Mariuccia è individualista, lei cerca di salvarsi. C’è la speranza, in lei, & .VA IN SERVA OE UN VERIN CHC due X tiremo cl sa ?Co“° Le "segnorine,, : iAjT>tTTs?*> DES TINO L’uomo magrissima, tacerò, « tremante dal freddo, aprì timidamente la porta delia panetteria, si levò il cencioso berrette^ e chiese un pezzo di pane. Una buona signora, dopo aver-1 lo squadrato, ne tolse un pezzo dada sporta della spesa e glielo diede. L’uomo magrissimo, abbozzò un sorriso di ringraziamento ed ingoiò rapidamente il parte. — Perbacco, — mormorò tt» signore distinto. — Questo si che si chiama appettilo, eh? L’uomo magrissimo abbassò gti occhi: Allora un’altra signora sospirando, trasse dalla propria borsa una pagnottella fumante, e gliela porse. L’uomo con tre bocconi fece sparine le pagnotta. **“ All’anima! —■ «fisse forte signore distinto» La buona signora se credette #» dovere di’ far notare tri numerosi clienti della panetteria che «i povero l’aveva scoperto lei. — Il pezzo di pane che gli ba dato prima, lo buttò giù senaa masticare. Intanto la signora deila pagnotta porgeva al povero diavolo lino sfiloncino che, fra la meraviglia dei presenti, fece la rapida fine della pagnotta. — Inverosimile! Mai vista una cosa tale, — esclamò un giovanotto. L’affamato guardava in giro non rendendosi ben conto di trutta quella meraviglia. — Voglio provare anch’io — disse un vecchietto avvicinando alla bocca dell’uomo magrissimo un’altra pagnottella. — Basta che non mi morda. — ffcm morde — disse rassicurando calma la signora buona. — Non ce la farà — disse il giovanotto incredulo. — Ce la farà--— ribattè’ -la signora buona, —- Visto! — esclamò non appena la pagnottella cessò di essere pagnottella. —Fantastico —disse d giovanotto — voglio tentare anch’io. Fecero sedere l’affamato e gli si misero tutti attorno a provare. Dovettero accontentare anche un ragazzetto che voleva veder sparire una mela. L'uomo magrissimo mangiava, mangiava, guardando tutta quella brava gente con occhio riconoscente. La buona signora, con gesti e sorrisi, lo incitava a continuare. Era quasi orgogliosa. E D U GAZ IONE — Adesso proveremo co* he paste — disse qualcuno. L’uomo era sazio. Non ne poteva più. Ingrassava a vista di occhio. Faceva degli sforai enormi per poter ingoiare. Simulò abbastanza bene con le prtme cinque paste, ma poi, proprio nell’attimo in cui il giovanotto gli stava introducendo la sesta, scoppiò. Scoppiò schizzando pane e paste da ogni poro. —• E’ morto — disse il giovanotto. — E" morto d$ fame — disse la buona signora, — proprio adesso che aveva trovato chi lo sfamava„ eh destino! LAUDO* fanwùtt AH* Mustre collega Pe àrsoti (treno deti'amicizia) (J. S JL Caro Pearson Benché non mi sia ancora stato concesso dal Fato l’onore di conoscerti personalmente, t’invio questa mia allo scopo dì renderti edotto sulla inverosimile, istantanea metamorfosi spirituale e materiale dell’intero popolo italiano dopo essersi accertato che la tua apparentemente utopistica i-dea di un «treno dell’amicizia» è stata tradotta in palmare realtà. Ho voluto dii persona, frammischiandomi alla folla e ai di ELGAR AMORE E CONSUMAZrONI — Arturo, bisogna che si renda conto che io ho per lei soltanto un puro affetto fraterno. —■ Beh, pazienza. Vuol dire che invece di paste e cioccolata farò portare due caffè. (Dis. di Red) comuni giornalisti, conoscere taftano l’effetto di tanta iniziativa e, in fede mia, posso assicurarti che mai si viti e nella storia dell’iniziativa portare il successo a vette sì tanto inaccessibili da raggiungere in un baleno il diapason delia fantastica realtà. Non sono qui, Pearson mio caro, per descriverti le scene di delirante accoglienza che il popolo ha manifestato al tuo «treno» poiché, come tu ben comprendi, il mio compito non è quello di un comune cronista; sono qui invece per darti, in cifre da me personalmente controllate, il nuovo quadro della vita politico-economica italiana ; quadro che per sembianze e aspetti può benissimo essere paragonato a un miracolo. PRIMA Numero di morti per fame (media giornaliera): 75.000. Affetti da TBC nell’impossibilità dii venir ricoverati e curati: 12.528.670. Affetti da TBC ricoverati e curati: 2 (un vecchio, tale Giacomo Iersera, e una bimba, tale Nanda di N. N.). Disoccupati pericolosi; 20 milioni. DOPO Nessun morto per teme. Si registrano, anzi, 12 milioni di casi in cui l’individuo, dopo solo mezz’ora dall’arrivo del «treno dell’amicizia» è aumentato di peso dai 12 a 26 chilogrammi. t Affetti da TBC nessuno? tutti guariti grazie ai medicinali miracolosi del «treno». Disoccupati pericolosi: nessuno. Inoltre gli strozzini hanno calato i prezzi delle loro merci, e per citarti un solo caso ti dirò che prima lo zucchero e-ra venduto a lire 500 al chilo ora, dopo che tutto il popolo i- i !» L. -t it Al fello" Vedl* qaeII° quando saluta non si toglie mai il cap- ~ B’ tanto maleducato? No, non ha cappello. (Dii. di Erio) Seduto sul gradino di una pizzicheria, appoggiato alla saracinesca, le cuii onde si adattano meravigliosamente alle sporgenze e rientranze della sua schiena, Gigi attende paziente che le ore passino, cercando di ripararsi dal vento ritirandosi il più possibile nella nicchia della vetrina chiusa che gli sta alle spalle. Ha l’aria stanca e sfiduciata. Ieri ha incassato il piccolo sussidio della disoccupa, zione, sussidio che se ne è andato in nn sol giorno. Stamane ha girato per tutti i luoghi possibili in cerca di lavoro. Nulla. Ci sarebbe stato a dir 11 vero da fare un lavoretto. C’erano due camion di carbone da scaricare. Ma i pretendenti 1 erano troppi, e polche Gigi non è nè esule nè epurato (ha ti terribile Itibclm, milim & gioì nidi torto di essere nato e sempre vissuto a Trieste) si è visto soffiare il posto da uno che era venuto dopo di lui, ma che era fornito di maggiori «benemerenze». Ora se ne sta seduto, cercando di dimenticare l’amarezza e il livore che lo ha attanagliato tutta la mattina. Ed è uscito di casa appunto per non sfogare questa sua amarezza sui suoi familiari e per non abbattersi ancora di più alla vista dello squallore della stanzetta nella quale vivono in cinque persone. Un mulinello di vento gli porta vicino mezza pagina di un giornale. La raccoglie e le dà un occhiata, così, tanto per fare qualche cosa. «Tragica miseria dietro la cortina di ferro. La popolazione muore di fame. Nelle vetrine vuote, soltanto ritratti e bandierine». Titolo su quattro colonne. Corrispondenza sensazionale dii un famoso giornalista che da oltre quindici anni vive di questo genere d’articoli. La cosa lo schifa. Tuttavia ne legge le prime righe, quasi meccanica-mente. «Lo spettacolo più impressionante che si offre alla vista dello spettatore appena uscito dalla stazione è quello della terribile povertà delle vetr’ne dei negozi. Mentre da no; le vetrine rigurgitano di ogni sorta di prodotti: salumi, dolciumi, scarpe, stoffe di ogni forma e di ogni colore, nelle confezioni più accurate e profuse senza economia, in questo paese....» Basta! Con un moto di stizza appallottola ti foglio e lo getta lontano. Oh, mica che non sia vero Quanto dice il corrispondente sensazionale. Cosa c’è che manchi nelle vetrine dei nostri negozi? Quali cose non si possono ammirare nelle vetrine scintillanti di luci e di lustrini Quali tradotti prelibati, provenienti da ogni luogo Iella terra non abbondano qui da noi, sepa- rati dalle nostre mani soltanto da una sottile parete di vetro? Sì! E’ veramente il paese della felicità e della cuccagna il nostro. Non ci manca proprio nulla. E l’armonia regna così sovrana qui da noi che per legge di compensazione, più le vetrine sono piene, più le tasche sono vuote. Questo pensa Gigi. Pensa pure che fra poco verranno ad aprire la pizzicheria. Pensa che egli potrà vedere tante cose buone e appetitose, che entrerà nel negozio e sentirà mille odori, uno più saporito dell’altro. Ma dovrà accontentarsi di comperare cinque lire di conserva. E ciò purché il piszicagno-o voglia fargli ancora una volta credito. è stato gratuitamente provvisto tii vestiario e viveri per un periodo di almeno undici anni, il prezzo dello zucchero e sceso a lire 1 e trenta-cinque centesimi il chilo, ;il ribasso continua. La vita politica è rinnovata. Nelle piazze non più uomini scheletrici meditanti Marx si vedono, ma rosei e paffutelli signori impellicciati che cordialmente parlano di drammi e commedia dal secolo XIV. Non un mendicante, non u-na faccia gialla, non un malato si vede per le vie. Gli ospedali come per un incanto si sono vuotati, e gli infermieri, per ingannare il tempo, giocano alla morra con i medici. Ma ciò che maggiormente farà piacere a te e al tuo illuminato e generoso governo, è che partiti di sinistra lfmno chiuso i battenti delle loro sedi non avendo più argomenti di malessere da sfruttare, e i loro capi, bracati dagli ex compagni, son dovuti riparare in lontane e sconosciute regioni del Tibet In Italia non esiste più il comuniSmo e il socialismo; e questo miracolo il Governo I-taliano lo deve a un solo uomo. Quest’uomo sei tu, amico mio. Anch’io, con fi pianto che mi rantola in gola; con gli occhi fissi verso la tua adorata terra, benedico la tua opera; e la mia benedizione sia monito a tutti coloro che vogliono far credere che il «treno dell’amicizia» non è che un — bluff — propagandistico, e che i soccorsi in viveri sono stati dati a poche sedi di assistenza invece che abbondali temente a tutto il popolo d’Italia. Abbimi tuo devotissimo Egorio Bell òcmo conservatrici ? di trovare un po’ di eso tico, ma sopratutto, tanta, tanta paura della miseria; una paura che ur ge, che trabocca nel suo sculettare passo di swing, nel suo masticare affrettato la gomma. Per lei, l'America, Radio Londra, l’UNRRA sono realtà di fatto. Mariuccia è una con servatrice: vuol conservare sè stessa perchè sente l’inverno, la fame e il freddo che battono alle porte della grande città. E l’angoscia della città non ha che un limite: Joe, gomma, sigarette, carne, mocassini di cuoio grosso, « tu essere mia », «karman boy», la malinconia di lui che si sente soltanto in un paese straniero, la puerilità e la mancanza di gusto dì lui per cui è sufficiente una mano dì donna anche rocchio, da stringere. Quest’è l’America realizzata per Mariuccia. Volete darle torto? Tl maschio locale ha qualcosa di rimproverarle? A lei, a Mariuccia che cerca dì stare a galla? Le «segnorine» fanno forse cose da pazzi, può darsi. Ma la colpa sarà tutta dell’America e dell'immoralità? E la miseria allora che ci sta a fare? Perchè volete rapare le «segnorine»? Diamo a tutti da mangiare, invece» cocu L’uomo cammina lentamente a testa bassa con passo svogliato. Fissa il marciapiede bagnato che gli scorre sotto i piedi. Vorrebbe pensare alle sue preoccupazioni, alle sue tante preoccupazioni, ma non ci riesce. «Forse perchè sono troppe» pensa. Non sa con quale incominciare. E difficile. Come una matassa intricata i pensieri gli turbinano nella testa e lui non è capace d; afferrarne uno. Forse sono le lampadine stradali che si riflettono sull'asfalto, ad impedirglielo. Sono come stelle. Ecco adesso ha ghermito un pensiero. Tenta di fermarlo ma quello gli sfugge. E’ stato cacciato via da un altro, che pretende la precedenza. Poi viene un altro e un altro ancora. «Mi piacerebbe camminare sempre avanti, diritto. Non mi stancherei mai. Allontanarmi da questo punto il più lontano possibile. In cerca di niente, ma lontano. Ecco, se questo marciapiede fosse interminabile io ne sarei felice. Dovrebbe essere come un nastro attorno alla terra. Già attorno. Così ogni passo lo farei non per fuggire da qui ma per ritornare. Brutte cose le cose rotonde». Adesso l’uomo cammina ancor più lentamente di prima, perchè ha una preoccupazione di più. LANDÒ PASS I ONE — Ora che siamo soli, lontano da orecchie indiscrete, in quest’atmosfera idilliaca, dimmi, dimmi amore mio: Truman o Wallace? (Dis. di Erio) E'on Clìi'icìolle Al UTI AMERICANI Cernirne NOSTALGIA E... LUCA*) (Dis. di Lucas) Me nobile inteioibte Troviamo il nobile Ministro mollemente sdraiato su una soffice poltrona di Palazzo Chigi, mentre un valletto gli gratta la schiena con una stecca d’avorio finemente lavorata. Ci accoglie con un sorriso aristocratico e precedendo le nostre domande ci dice: « Vo.ete sapere qualcosa sili fucilieri di Marina a-mericani, vero? » Annuiamo, che Egli ha già incominciato a parlare: « La mia politica estera — dice — è di vedute tanto larghe, da ginn-. gere fin oltre Atlantico, ed è mol-, to duttile ed intelligente. Sopratutto antifascista: Mussolini aveva detto Ohe le frontiere non si discutono, ma si difendono col sangue, ed io da buon antifascista non le difendo affatto, ma le discuto coi dollari alla mano. Gli americani vogliono venire in Italia? Ben vengano. Al posto delle baionette farò loro trovare accoglienze festose e cortesi come si conviene ad un popolo nobile il quale riterrebbe offensivo ascrivere cattive intenzioni a tutti quelli che chiedono di svernare presso di lui. Insemina, — prosegue il conte — noi non possiamo farci nulla, e d’altronde sarebbe poco fine trascurare i nostri severi studi classici ed umanistici per protestare grossolanamente contro una misura che è di ordinaria amministrazione ». « Ma — obiettiamo timidamente noi — dicono che gii americani avrebbero portato in Italia anche delle bombe atomiche ». « Ordina- ria amministrazione anche quel.a tuona il Ministro — ma d’altronde la notizia non è vera. Si tratta di un equivoco che vi spiego subito. La colpa è di un’agenzia giornalistica la quale ha scritto « bomba » atomica per « bimba » atomica. Volevano alludere a Gilda. Non è Gilda la « bimba » atomica? La Rita Hayworth insomma. Chi non sa che la prosperosa attrice è stata in Italia la scorsa estate. Ed allora ecco che gli americani hanno portato in Italia i-a « bimba atomica » che la stampa guerrafondaia ha facilmente trasformato in « bomba ». Semplice no? » Sconfitti, ritorniamo alla carica : « Perchè, Signor Ministro, Ella che usa tante cortesie con gli americani, s’è rifiutato di ricevere il Ministro jugoslavo? » Una smorfia di disgusto si disegna sulle labbra del distinto diplomatico quando egli ci rivela: « Che volete, si tratta di gente rozza; immaginate che quando Ivekovich viene a parlarmi entra subito nel vivo della questione, senza usare un minimo di tattica diplomatica, senza mescolare all’argomento qualche squisita disquisizione filologica, assomiglia troppo a quel Togliatti, che, lasciamo correre, è così poco decorativo, così brutalone, così sboccato. Dare a me del « nobile decaduto », a me Che sono ancora aitante e bello, con un nome così interessante « Sforza », non sentite che sembra un incitamento alla vigoria, alla nobiltà, al successo? E poi la Jugoslavia ci tampona forse come l’America? No, la Jugoslavia non ci tampona affatto, ed allora Ivekovich aspetti ». Prima di concludere l’intervista, riveliamo al Signor Conte che siamo del T. L. ' T. e gli chiediamo particolari sulla nomina del Governatore. « Niente Governatore a Trieste — scatta il Ministro, — sarebbe tirannico ». « Ma perchè? » chiediamo incuriositi. « Non è forse un Territorio Libero il vostro? » „V IIHIHUIINUII VIGNETTA COSI’ __ Sai, riapriranno il circo i «Bomberdan!» ... accidenti «Don Chisciotte»!... circolo «Oberdan» volevo dire! (Dis. di Serse) ORZA « Certamente ». « Ed allora se è libero, non ha da essere «governato». quindi niente Governatore. Tutt’ai più potreste pretendere un Presidente, che fosse distinto, elegante, di modi raffinati e vi facesse delle «raccomandazioni» - senza governarvi. Per esempio il Presidente Truman, che ci sa fare, e che accetterebbe volentieri la carica. Provate, provate, vedrete che non rifiuterà. Io ne so già qualcosa ». Ed ora ragazzi andate pure e dite ai vostri compatrioti che Palazzo Chigi pregherà sempre per voi, che Sforza si sforzerà di mantenervi «liberi», senza Governatore, e che se proprio non potrà farci nulla, rimane sempre aperta la scappatoia dei fucilieri da marina. Ricordate: le frontiere non si difendono, ma si discutono coi dollari alla mano. Antifascisti dovete essere, sino in fondo. Valete ». STORIELLA CANNIBALI C’è un’isoletta nel gruppo delle Salombo, a sud di Borneo, dove vivono due tribù. Lina di queste è formata di pescatori,- l'altra di individui dediti aya caccia e, se capita l’occasione, all’antropofagia. Per molto tempo le due tribù si erano ignorate perchè una quasi invalicabile foresta vergine, le separava. La guerra recente, però, portata anche in quei recessi prima dagli invasori giapponesi poi dagli americani, aveva messo a conoscenza di Brutang - re dei cannibali - dell’esistenzia di Buoning, re dei pescatori. Da quel giorno infausto. Brutang non ebbe più pace; Buoning e i suoi sudditi, con le loro idee rivoluzionarie, minacciavano le buone tradizioni dell’isola. Mangiar sardelle e molluschi, puah! che roba— Perciò il prode re dei cacciatori di teste si vide costretto a difendersi e, fedele alla teoria che la miglior difesa è l’attacco, mosse col suo esercito contro re Buoning ed i suoi pescatori. La lotta si accese feroce perchè (come Brutang aveva preveduto) i pescatori non vollero accettare i sistemi democratici dei cacciatori, e — u-sando ami, lenze e remi — contrattaccarono vigliaccamente i poveri cannibali armati soltanto di lance e frecce avvelenate. Però questi ultimi, grazie al valore inusitato e grazie allo stimolo della buona causa per cui combattevano, riuscirono vincitori, ed i pescatori si rifugiarono sui monti dell’isoletta da dove, a-dessp, stanno facendo una guerriglia subdola alle pacifiche pattuglie di re Brutang. E’ solo per questo motivo che il soave reggitore delle sorti cannibalesche si è rivo! to agli USA. Solo per ottenere gli aiuti del piano Marshall e dare pace all’isola, re Brutang si è rivolto al Grande Stregone Bianco: a Truman. E Truman gli ha mandato diecimila dentiere artificiali... per digerire meglio i «sovversivi» di re Buoning! A RCCtA $ Y [\ AGi Siete mai stati a ballare all’Adriaco nella palazzina «sociale» al molo Santorio? Sicuramente no. E’ un luogo ove non entra a caso. Per avvicinarsi bisogna fare tirocinii lunghissimi, aver conoscenze immense, essere nobili o avere palanche a palate. L’« Adriaco» è considerato il non plus ultra della mondanità triestina; è, per le ragazze, il ponte di lancio nell’aristocrazia. Quante giovanette smidollate hanno pianto per giungervi! Alle porte d’ingresso sembra vedere accalcarsi tutta la media borghesia desiosa di entrare. E’ una lotta vera e propria. Piccoli intrighi, camarille, atteggiamenti svenevoli: tutto è buono pur di arrivare alla mèta. Una volta giunti, però, ti calvario non è finito. C'è da riuscire simpatici a tutti gli «anziani», c’è da stare attenti alle parole, c’è da essere informati su tutti t pettegolezzi dell’ «élite». Requisito iessenziale, oltre a quelli enunciati: essere coccardosi ed iscritti al partito liberale italiano o (guarda un pò) al partito socialista dei lavoratori italiani di Saragat. Dopo aver soddisfatte tutte queste fatiche d’Èrcole la «matricola» può accedere. Attraverso un corridoio aperto fra imbarcazioni si arriva nel lussuoso salone, ove l’orchestrina piagnucola languidissimi siow’s quando non impazzisce con gli sfrenati boogie-woogie. «Oh — dicono i presenti alla vista della matricola — carina forte, neh?» «Diamole un nome» — saita su una Tippi qualsiasi. Y «Memè» — grida con la sua vocine stridula una Puffi qualunque. «Si, si...» e tutti in coro si mettono a battere le mani e a saltellare. Poi un Bubby le si avvicina e: «Memè, bughivugheggi con... me? — dice — Carina questa; voglio raccontargliela a Dodo. Dodo... Dodo. Sai cosa le ho detto? Le ho detto. Memè bughivugheggi con ... me? Bella, vero? Dodo ride e dice. «Bubby sei un mortaio!» Gli slow’s si succedono ai boo-gie-voogie, i boogie-woogie agli slow’s. I gin si intercalano a scemenze spaventose di esseri rì-citrulliti, il pettegolezzo «éclatant» passa di bocca in -bocca, le gambe della mati icola Memè vengono commentate favorevolmente dai Bubby, decisamente male dalle Tippi, che hanno in Dodo, il pederastrelio di turno, un loro fiero sostenitore. ' Ma poi tutto finisce all’alba gli «adriacini» ritornano a casa portandosi l’ultima vacua stupidaggine della nottata. Senza pensare, poveri fregnoni, che stanno camminando sul filo del rasoio. E questa volta tutto finirà all’alba, per sempre, FALCO Tani era un matto, Matto di quelli autentici con tamo di diploma di benemerenze appiccicati in ogni dove sulle pareti di casa. Sapeva fare il palo nei momenti meno appropriati, era persuaso — come ogni professionista che si rispetti — di essere Napoleone Bonaparte, emetteva graziosi grugniti ogni qualtanto. I vecchi genitori s’erano spaccati in quattro per farlo rinsavire. Niente. In otto. Niente. In sedici. Niente, (continua nell’edizione di provincia). Niente. Tani non solo restava matto, ma aumentava nella sua pazzia fino a raggiungere vette eccelse. Un giorno Bek, gallonato americano, lo trovò steso a terra, carponi presso un tombino, che urlava. Stringeva con le mani contratte le sbarre del canaletto di scolo e sbraitava inveendo contro la malasorte. «Che cosa c’è?» chiese Bek, gallonato americano. «Va via, vile carceriere! urlò Tani — Sono innocente! Non potete rinchiudermi in prigione!» «Quale prigione?» chiese Bek, gallonato americano. «Nel castello d’If ; Non vedi queste sbarre? — e indicava quelle del canaletto di scolo. «Ma io sono l’abate Faria» mentì ignobilmente Bek, gallonato americano. «Ora venga, signor Conte di Montecristo, c’è il tesoro che l’aspetta». Tani si alzò e seguì Bek, gallonato americano. * Tani è ora una persona influente. C’ha un ufficio moderno e lussuoso e, sulla porta, c’è un cartellino: «Tani, Presidente di Zona». £ ab b allo alla franca La polizia federale era in subbuglio. Non passava notte senza che i «gangster’s» della banda di Pink-blak-girls, pericolo pubblico N. 1 scassinassero una banca della metropoli. A nulla servivano le misure precauzionali. Pink-blak-girls era organizza-tissimo. Aveva una rete di informatori formidabile e nulla escludeva che i suoi accoliti fossero frammischiati a funzionari della stessa polizia. Il metodo era sempre lo stesso. Un fischio, una macchina sbucava a Velocità pazzesca da un angolo, si bloccava dinanzi alla banca, vomitava i «gangster’s» mascherati i quali, dopo aver trucidato cassieri, poliziotti di passaggio e donne incinte, facevano man bassa della cassaforte e ripartivano con rapidità meteorica. Sarebbe successo anche quella sera, era cosa certa. I botteghini del concorso Sisal-ladr erano assiepati e tutti puntavano sullo scassinamento della National Bank, Era cosa certa: anche al «bookmaker» si dava la National Bank come grande favorita. E la notte venne, foriera di macabre scene, di cadaveri e di mitragliati. Era di poco trascorso il tocco allorché dalla 38.a strada sbucò un bolide: era l’automobile di Pink-blak-girls ! ! ! Consuete raffiche di armi automatiche ed i gangster’s si precipitarono all’ingresso principale della National Bank. In testa a loro era il famigerato Pink biak-girls. I lampi dei «vacu-blitz» dei giornalisti appostati da varie ore stavano già mettendosi in azione, allorché si senti un’imprecazione spaventosa. Era la voce tonante di Pink-blak-girls : «Maledizione, ragazzi, niente da fare. Ci hanno fottuti!!!» Nuvolette di polvere e in un baleno la gang era nuovamente sull’automobile che ripartiva fulminea. Sulla porta d’ingresso della National Bank spiccava un cartellino sul quale si leggeva: «CHIUSO». LIMBO .. RADIO-FRANZ! (Dis. di Serse) 1 (I V Un sesto dei mondo !» -^è socialista STRADA NICO E T18 E’ notte e c’è il vento. Le foglie secche trasportate dal vento corrono e rimbalzano lungo i viali del parco. Sembrano cose vive e le più alte si confondono con i pipistrelli. Laggiù all’angolo Nico parla nel sonno. E’ povero Nico e dorme sulle panchine, ma sogna dollari e pesos. I PRIVILEGIATI sospira, «San — Sai, riceve pacchi dono dall’America! (Dis. dì Erio) MALATTIE GRAVI — Sì è guarito tuo fratello? — No, è ancora nella «Civ il Police»! (Dis. di Erio) «New-York!» Francisco!» Ma a San Francisco la gente fa la coda per avere il burro e a New-York gli scioperi fermano la produzione. Nico russa, e poco discosto, qualche metro appena, Tib ascolta la canzone dei vento tra le fronde di quercia. «Era più bello prima... «dice il vento.»... quando si andava a scuola. Restava tanto tempo per andare con le ragazze, ed era tutto così semplice. Allora c’era la primavera, gli alberi in fiore, ed anche la luna c’era. Ora invece fa freddo e il sonno all’aria aperta non sazia. In tal modo non sii può essere felici e stringere il braccio alle ragazze. Si è stanchi e tutto il - mondo sembra pesi sulle spalle!» Poi spunta l’alba, e Nico e Tib, che hanno dormito sulle attigue panchine si alzano sbadigliando. «Ho sognato... «dice Nico,» ... un passaporto; salire su di un piroscafo, tagliare la corda!» «Ho pensato... «dice Tib,» ..«la soluzione sta nel non muoversi, nello stare qui, insieme agli altri, per fare numero, e siamo già in tanti da non conoscerci tutti. E altri ne verranno e saremo in molti. Saremo in molti e ci temeranno, e ci restituiranno tutto. Riavremo la primavera, gli alberi e anche la luna. E non avremo più freddo, e non dormiremo più sulle panchine dei parchi, le lascieremo agli innamorati per incidervi cuori e iniziali. Toccheremo le braccia alle ragazze e lavoreremo nelle fabbriche, che a mezzogiorno urlano di gioia!» Così dice Tib, e le panchine sulle quali i due vagabondi hanno dormito non sono più opache dei loro calore, il vento ha rifatto il letto. In città sbucano le prime lattaie e cigolano i carretti dei primi spazzini incrociando le macchine degli industriali che riaccompagnano a casa le proprie a-manti. In fondo in Nico ed in Tib c’è un pò di tutti n . Al. I <» Titolo originale: „The socialist sixth of thè world“-London 1944 ...«1 fanciulli del villaggio legli prosegue) mi meravigliarono. Essi avevano imparato a scuola una gran quantità di cose riguardo al problema dei negri americani. Molti di loro avevano appunto visto il film «Circo» ed e-rano pieni di elogi per Jirmmy, il fanciulletto di colore, di cui io conoscevo il padre. «Noi andammo a nuotare nel grazioso e chiaro ruscello; sulla strada per andare a casa incontrammo contadini che mietevano nei campi; grandi mietitrici raccoglievano velocemente il biondo grano. 1 bambini cantavano per me e io cantai canzoni negre e li deliziai con alcune melodie russe». Questo è un brano del romanzo «Un sesto del mondo è socialista». HEWLETT JOHNSON l» I» V V (> V V V V i». i * \ <» ) V i» V (» V \ <> I» V V V \ I1 <► I» I» t TRAVETTI non ha fame Il signor Gioachino Travetti si guardò intorno con cipiglio. — Nessuno, ricordatelo, nessuno a Trieste muore di fame! Chiunque dica il contrario è un bugiardo! Ansimò un istante. — Solo i vili propalatori delle menzogne standardizzate possono affermare codeste scempiaggini... Arturo, il figlio maggiore, sbuffò sommessamente. — Che c’è? chiese il padre roteando gli- occhi che pareva dovessero uscire da un momento all’altro da quella faccia patita — Che c’è? — Io ho fame, — rispose Arturo chinando la testa. — Io pure — aggiunse Mario, il minore. — Figli degeneri ! — urlò Gioachino Travetti — Figli degeneri e iniqui! Avete il coraggio di chiamare fame un semplice e sanissimo appetito? Tu, Arturo, primo sangue del mio sahgue, dillo che hai appetito e non fame!... Dillo! — Si, papà... Ho appetito... — e deglutì con sforzo — ... Soltanto appetito... — E tu, Mario, — e si rivolse al minore — che ripeti sempre come un pappagallo le parole di tuo fratello, che cosa mi dici? — Che io ho fame! — insistette con impudenza il piccolo. — Svergognato! Mentitore! Pigliati questo ceffone! Ma lo schiaffo non arrivò al bersaglio perchè il signor Gioachino Travetti cadde a terra nello stessso istante in cui faceva lo sforzo di alzare il braccio. Alle grida dei bimbi accorsero i vicini. Breve corsa della Croce Rossa e conseguente trasporto di tutta la famiglia all’ospedale. Referto medico: denutrizione acuta»- Il dottorino che si trovava accanto a] letto quando il degente Gioachino riprese i sensi, si diede da fare per rassicurare il poveretto: — Coraggio, signor Travetti; in un palo di giorni la rimettiamo 8 posto. Deve avere una bella fame, vero? — Appetito... appetito... lurido--propagandista... — e svenne nuovamente. LISA