ANNO XIV Capodistria, 16 Marzo 1880 6 39'tq '!5ti| iiiì'^llà 1 a 1111 ir LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. EFFEMERIDI ISTRIANE Ularzo 16. 1288. — Venezia. Il senato autorizza gli officiali, addetti all' inscrizione dei militi per la guerra iu Istria, a ripetere il soldo dell' ingaggio di que' che si ritirassero dal servizio prima del tempo convenuto e a esigere da loro auclie la stabilita pena. -6 1, 157. 17. 1420. — Francesco Basadona, capitano di Raspo, e Guntero de Herberstain, signore di Lupogliano (Marenfels), a ciò delegati, tracciano il confine tra i veneti di Rozzo e gli austriaci delie ville di Semicb e Lupogliano, previa V approvazione superiore. - 13. 18. 1474. — Capodistria. Il vescovo Pietro riapre in loco il convento delle monache in San Biagio con la Regola di S. Agostino. - 41, 237. 19. 1487. — Capodistria. Il vescovo Valaresso ordina a que' di Albuzzano presso Corte d' Isola di portare entro 15 dì il quartese su la decima non ad altri che al capitolo giustinopo-litano. - 12. 20. 1384. — Isola. Il consiglio invia a Veuezia Giovanni de' Mirissa e Domenico Marau per porre un fine alla lite mossagli dalle monache benedettine di S. Maria d' Aquileia per la decima del vino e dell' olio. - 13. 21. 1332. — Il senato, rispondendo favorevolmente alla supplica degli stipeudiari del Paisiuatico.delega il capitano di San Lorenzo, Marino Sorauzo e Marino Venier capitano di Cresano (Chersano) ad accordar loro un ronzino ed un servo. -6, 1, 114. Il senato accorda a Nasinguerra de' Tarsia di Capodistria, uno dei confinati in Venezia per la rivolta del 48, di recarsi in Istria sino al mese d' ottobre e di stabilirsi in Isola coli'obbligo di presentarsi tratto tratto a quel podestà, come lo faceva a Venezia, ove doveva recarsi dagli avvogadori del Comune. - 11, XXVI, 89. a Ducale Malipiero che ordina al pod. e cap. 22. 1352. 23. 1461. di Capodistria, Vittore Duodo e 'successori, di consegnare a Giovanni conte di Veglia e suoi successori 500 annue moggia di sale delia decima al prezzo della giornata. - 4, l74.a 24. 1488. — Trieste. Il vescovo Acacio de' Sobriach investe il giustiuopolitano Gian Antonio del fu Andrea de' Giroldo del Feudo di Calisedo detto anche di Geroldìa. - 13. 25. 1416. — Trieste. Il consiglio accorda a Gasparino de' Lazzaro di aprire il dì primo ottobre una farmacia in loco, spirando col dì ultimo settembre il contratto che il comune avea stipulato iu proposito con Sulimano da Bologua. - 2. li.a 26. 1426. — Ducale Foscari che delega il pod. e cap. di Capodistria^ (liiujoiiro Veirter, a i-v.»^*-. il nuovo vescovo, frà Martino de' Bernardini, nel possesso de' suoi diritti e ad eccitare la popolazione al rispetto ed all' adempimento dei propri doveri verso il suo pastore. - 4, 62.a — Terminazioue che proscioglie i coloni de' possidenti di Capodistria dalle prestazioni di carriaggio per conto dell' arsenale di Venezia. - 28, 160. — Il senato delibera che gli eletti per l'Istria a servizio del Comune possano aver diritto al posto pel quale furono nominati, ancorché si fossero fermati in Venezia 15 dì dopo la loro nomina. - 6, I, 149. — Il senato officia il capitano di San Lorenzo del Paisiuatico a star iu sulle vedette, perchè Ianel in Los di Postoina nou scenda a danneggiare gì' Istriani; 1' autorizza di sborsare a Ropille de Raeutal ed a Corrado di Gorizia 1000 ed anche 1500 zecchi ni ove gli consegnassero vivo il detto Ianel, finalmente lo avvisa di ringraziare per mezzo dell' anzidetto Corrado i conti di Gorizia, Mainardo ed Alberto, per l'esibizione dei loro servigi alla Repubblica. 11, XXI, 21.b 30. 1228. — Arrigo degli Andechs, fu marchese d'Istria, riceve in Venezia da Domenico Grimani 380 marche, e si obbliga di estinguere detto imprestito in rate annuali di ducati 50, verso quietanza da spedirsi per mezzo dello stesso doge. - 18, 99.a 31. 1348. — 11 senato ordina agli Isolani Minello di Carlo, Lombardo e Giacomo di Margarite, 27. 1538. 28. 1283. 29. 1343. zar-- 42 Brido e Pietro Zanni, vicedomino, di recarsi entr' un mese a Venezia per presentarsi all' autorità ove non vogliano che i loro beni siano confiscati. - 11, XXIV, 70.a V VA Dei decadimento dell'Istria1' Ed anzi tutto rammentiamo quali fossero i tempi e le condizioni generali dello stato, dopo la pace di Parigi, quando, cessate le guerre di Austriaci, e di Uscocchi ladroni, Venezia rimase nel pacifico possesso della miglior parte della nostra provincia. Cessati gli eroici tempi delle grandi imprese, la corruzione si era introdotta nella gloriosa repubblica ; i cittadini godevano delle immense ricchezze ammassate; artisti e poeti glorificavano ed abbellivano la corruzione. Già la congiura di Bedmar avea scoperto il lato debole dello stato, e messo a nudo una nuova miseria: cittadini non più amanti della patria e pronti a sacrificar tutto per l'amore del nome veneziano ; ma congiurati in segreto contro le instituzioni ; nobili decaduti, Bamàboti viziosi pronti ad afferrare qualunque occasione per farsi largo, ed acquistare ricchezze ed onori. E quali i governanti tale i governati. Dalla capitale molte famiglie di nobiluzzi emigravano in Istria, e diffondevano nelle nostre città i costumi ed i vizi della capitale; quindi i ridotti, le maschere, e il fare di notte giorno, e la superstiziosa mollezza, così bene espressa in quel motto — messetta e donnetta, diffusa anche fra noi, e durante fino a pochi anni or souo e specialmente in quelle città che più frequenti ebbero comunicazioni con la dominante. Pare che un'aria senza mutamento, un nebbione autunnale, "'l'ala, soffochi la vita e scemi le forze ; a quest'epoca comincia il degradameuto del nostro carattere, gli spiriti bellicosi si fiaccano; l'Istriano indomito, fiero insofferente di servitù, rozzo ma integro s'incivilisce, ma si fiacca; lo scilocco e la cioccolata l'addormentano e l'impinguano. Poi quali furono le instituzioni di governo fra noi? Venezia mirò a restringere, anzi a distruggere la libertà provinciale. Non più parlamento, rispettato perfino dai patriarchi, non alcun'altra complessiva rappresentanza popolare ; liberi invece fino ad un certo punto i singoli comuni. Così rotta sempre più 1* unità naturale della provincia, I' Istria dividevasi in tanti piccoli comuni ; ogni città faceva vita da sè segregata dalle altre; poche e in pessimo stato le strade. Liberi abbiamo detto fino a un certo punto i comuni, perchè a capo di questi stava il podestà, non eletto dal corpo dei cittadini, ma ufficiale del governo, un nobile mandato da Venezia che sedeva in carica pochi anni, buono qualche volta, tal altra cattivo, per Io più inetto e d'altro non curante che di lasciare sulle mura del palazzo una pomposa iscrizione che rammentasse ai posteri in istile barocco i suoi altissimi meriti. 2) E il comune godeva sì d' una certa autonomia ; ma era in mano di pochi nobili legati per interessi fra di loro, e che tal volta si opponevano anche agli ordini di san Marco, pel bene proprio, non già pel comune sostenuti da altri nobili e legulei uella capitale, piccole 1) Continuazione. Vedi Num. 23, 24, 1, 2, 3, 4, 5. 2) Quali fossero negli ultimi tempi della repubblica i podestà ce lo ha descritto Ippolito Nievo nel suo Romanzo — Angelo di bontà. Quel podestà di Muggia la cui moglie sospen- ! deva nell' atrio i salami ed i prosciutti, avviso ai villani, è un | tipo comico, e rappresenta benissimo i costumi dell' epoca. "'oligarchie, spalleggiate da quell'altra e potente oligarchia centrale; come accadde a Pola, il cui municipio nel 1600 era caduto in mano di cinque sole famiglie. Siccome poi circostanze particolari esigevano particolari provvedimenti, così da Venezia venivano con ispeciali incarichi tre nobili col titolo di Provveditori, cioè il Provveditore o capitano di Montona, di Raspo e di Pola, incaricato il primo di sorvegliare la foresta, onde grande utile ritraeva l'arsenale; il secondo di custodire i confini contro gli arciducali; ed il terzo di provvedere alle Coudizioni della città e dell' agro di Pola; e come provvedessero, specialmente quest'ultimo, vedremo. Così nelle città; ma nelle campagne misera la condizione dei contadini angariati dal dominio feudale. È bensì vero che Venezia favorì alquanto i comuni, concedendo che alcune baronie passassero a giurisdizione comunale: Capodistria ebbe perfino quaranta ville soggette. Ma così come erano costituiti i comuni, non si trattava che di cambiale padrone; anzi di averne trenta 0 quarauta invece di uno. Non dunque radicali riforme; sempre soggetti i miseri contadini alle consuetudini feudali, agli arbitri, alle angherie e peraugherie più odiose durate fino a nostri giorni, al 18-18 al tempo dell'esonero del suolo. Onde il Cosci, potè scrivere che — l'Istria era si un possesso importante di Venezia, ma che la costituzione statutaria del paese, e la impossibilità nel proprietario di mutare le antichissime condizioni del colono erano gravissimo ostacolo ai buoni intendimenti del governo. Come nel Friuli regnava nell' Istria tuttora il Medio Evo. 2) E non altrimenti negli ordini di chiesa. Frequenti 1 capitoli e le collegiate rurali, divenute nidi d'ignoranza e d'ozi beati: frequenti i benefìci semplici, di juspatronato di nobili famiglie, piccoli pascialati assicuranti pane, fumo ed ozio agli sterponi ed ai cadetti dei serenissimi ; negletta la cura d' anime specialmente nella campagna; più quindi raccolto il clero a pompe esterne ed a lusso che ad edificazione dello spinto. Ed ai buoni e dotti, e non furono pochi, chiusa la via ad ascendere a cariche maggiori, chè da Venezia venivano negli ultimi tempi i vescovi, scelti nelle nobili famiglie; buoni di una boutà passiva, e spesso di un'ignoranza crassa divenuta proverbiale. Dell' ultimo vescovo di Cittauova si raccontano tuttora novelle da far ridere le brigate. Questa una faccia, e non la più lieta del libro. E voltiamo pagina; perchè questi inconvenienti, queste asprezze venivano per dir così addolcite, appianate dalla proverbiale boutà veneziana, dalla gentilezza del costume, dalla maestosa semplicità di qualche nobile uomo o prelato, dalla decorosa bellezza di qualche gran dama d'illustre casato, dal quieto vivere, da leggerissimi aggravi di uu governo che poco o nulla chiedeva, perchè poco o nulla dava; dall'omogeneità di sentimenti, di idee, di costumi e soprattutto di lingua coi padroni fratelli : omogeneità tanto più sentita ed apprezzata, qnauto erano più vivi i confronti con altre istituzioni, che, se anche buone, si sentivano contrarie ai nostri sentimenti, ai nostri costumi. Ma questo affetto, questo sentimento nobilissimo e caratteristico dell'epoca nostra non ci deve far velo alla ragione, nè preoccupare il nostro giudizio. Perciò a convalidare queste osserva- 3) Cosci. Opera citata pag. 162. La notizia è però inesatta, non toccandosi della differenza tra campagna e città. Poi, a chi toccava mutare quelle antichissime condizioni? zioni generali sul governo veneto e le sue conseguenze nell' Istria rechiamo le tranquille prove dei fatti. IX. E qui confessiamo di provare una certa renitenza a palesare con franche parole la verità. Venezia è pure la nostra sorella; e al governo veneto con tutti i suoi torti si sentirono i padri nostri legati da vincolo fraterno; perchè l'essere veneziani tanto valeva a que' tempi che dimostrare la nazionalità italiana la quale dalle istituzioni, dalla lingua, dalle consuetudini venete inteudevasi dovesse ottenere incrementi e difesa. Se adunque il desiderio di riferire il prò e il contro delle questioni, di esaminarle sotto ogni aspetto, la naturale vivacità dello stile, e certe ragioni sottintese, ma che è facile immaginare» hanno potuto offendere il delicato senso di qualche lettore, o, che è poggio, prestare ad altri, che combattono in campo opposto, armi contro di noi e quanto abbiamo più caro, si rassicurino i primi e si disingannino i secondi : il passato e il presente nostro sia a tutti caparra che non verremo mai meno a quella fiducia che in noi hanno riposto gli amici, e neppure a quella cordialissima antipatia che abbiamo eccitato, come è d'altronde assai naturale, negli altri. Ciò premesso rientriamo nell' argomento. Ai provveditori che, compiuto il loro ufficio, ri-toruavano in patria, era imposto di leggere nel senato la relazione di tutto ciò che avevano visto, osservato ed operato. Queste relazioni sono un bel documento della veneta sapienza, e insieme alle altre celebri relazioni degli ambasciatori presso le varie potenze d'Europa, e alle più umili ma sagge istruzioni date ai podestà quando entravano in carica 1) formano una raccolta di scritti stupendi che gettano viva luce sugli avvenimenti ed eccitano anche oggidì l'ammirazione degli storici e iei diplomatici. Di queste relazioui sulle cose dell'Istria moltissime si conservano nell' Archivio dei Erari, ed alcune furono pubblicate dai nostri scrittori. La più vecchia e che si riferisce alle cose di Pola è del 1583 e di Marin Malipiero. 2) Gli era stato affidato di ripopolare la città e il suo territorio devastato dalle guerre e dalle pestilenze. Quali furono adunque i provvedimenti del Malipiero? Trovò la città ridotta a 3000 anime; le ville del suo agro di 72 ridotte a 12. Tali le sorti dell'infelicissima città, per essere stata il capro emissario nella lotta fraterna tra Genova e Venezia: i Genovesi, non potendo sfogare la loro collera su Venezia, tre volte l'aveano presa, arsa e saccheggiata (1328, 1354, 1379). Rialzare Pola dovea essere per Venezia un compito di gratitudine e di onore. Ed ecco ora i provvedimenti del Malipiero. E notisi che fu uno de' più destri ed attivi, e che gli altri non fecero che copiare da lui. Suo compito fu popolare l'Istria bassa con Greci e Morlacchi. A debito di giustizia dobbiamo però subito rammentare che ebbe le mani legate, e che la repubblica, già decaduta dal primo splendore, gli avea tracciato la via da seguirsi, trasportando sul suolo istriano un Francesco Calergi con cento famiglie da Famagosta. Non si pensò a provvedimenti radicali ed interni, nou a sussidi e franchigie, come esigevano i tempi ai vecchi abitanti 1) Vedi Note Storiche ài Montona, pag. 178. È degli ultimi mi del secolo XIV, de' bei tempi della repubblica e contiene apienti massime di governo, tanto più ammirabili e proficue ligi'Istriani, quando si pensi agli arbitri e alle prepotenze del llominio feudale nella vicina Contea d'Istria. 2) Vedi Notizie Storiche di Pola, pag. 309. di razza latina : colonie, importazioni di Greci e di Morlacchi scappati dal giogo turco, ecco il mezzo unico, e a più riprese tentato. Ed ecco così la più grave rovina, il più grande danno recato all' infelice provincia, e quel che è peggio, concesso quale una grazia : 1' agro istriano divenuto un campo di profughi ladroni, l'Istria nou solo politicamente ma etnograficamente divisa e uel suo agro slatinizzata: la parola non è di crusca, ma calza. Il cielo mi guardi dal suscitare qui odio tra nazione e nazione ; quando dico e dirò Greci e Slavi ladroni, non intendo portare uu giudizio generale offendere un' antichissima e una moderna nazione chiamata a nuovi destini, e il cui nome non a caso significa gloria. Ma ladroni veramente furono gli orientali e le varie tribù slave trasportate dalla repubblica sul suolo italiano dell' Istria, e perchè già da gran tempo in lotta col Turco, e perciò usi a rappresaglie feroci; ed auche per la semplice ragione che i migliori se ne stanno sempre alle case loro. Tornando adunque al Malipiero diremo che per rialzare Pola non seppe fare altro di meglio che trasportarvi Napoletani e Malvasiotti; Napoletani (intendiamoci, non si sa mai, è bene parlar chiaro) Napoletaui di Napoli di Romania, oggidì Nauplia. Si può di leggeri immaginare quale impressione dovesse produrre sui vecchi Polesi uu simile provvedimento. Molti terreni dichiarati incolti furono ceduti ai nuovi coloni ; quindi un risveglio, una febbrile attività nei cittadini, per non veder dichiarati incolti i loro beni; quindi baruffe, incendi e toilette dannose; e uu correre a Venezia por sostenere le loro ragioni. Poi altro guajo. La nuova gente non era solo di lingua, ma anche di religione diversa; e ciò torua in onore a Venezia sempre tollerante e di manica larga in cose di culto. Nou dovea però piacere ai Polesi ed agli Istriani di que' tempi il vedere la Repubblica, che non ispendeva un soldo per salvare dalla rovina la famosa basilica di Santa Maria di Canneto, ed altri edifizi romani, regalar denari per la chiesa greca officiata da buoni e sufficienti religiosi. Ma noi vogliamo ammettere che ingiusta fosse la resistenza dei Polesi contro gli ordini della repubblica. E scusabile fu infatti; ma non giusta, quando si pensi che quindici famiglie nobili (a tale numero erano allora ridotte) pretendevano di ritenere vastissimi possessi, e non avendo i mezzi di farli coltivare gli abbandonavano, o li cedevano a livelli. Avesse almeno saputo sostenere la repubblica le ragioni dei nuovi venuti ; ma tutt' altro. L' oligarchia di Pola poteva infischiarsi delle leggi e dei decreti del Malipiero e ripetere — che i nobili erano li signori, e che li rappresentanti si mutano e partono, ed essi sempre restano e sono quei medesimi 3). __(Continua) 3) Oper. cit. pag. 323. D'UNO SCKITTO INEDITO del nobile signor GIOVANNI ANDREA DALLA ZONCA DI DIGMNO Il cav. Tomaso Luciani, indagatore tanto benemerito dei parlari istriani, pubblicò, tre anni or sono, una preziosa monografia sui dialetti dell' Istria 1), ') Fu stampata sotto il titolo: Sui dialetti dell' Istria, la prima volta nell' Archivio Veneto (Tomo XI, Parte II), e poi riprodotta subito dalla Provincia dell' Istria (anno X, n. 1(5 e segg.). monografia dalla quale deve ormai preuder le mosse chiunque voglia intraprendere studj serj intorno alle parlate della nostra provincia. Ora, a pag. Il di detto lavoro, là ove si discorre degli scritti minori del uobile signor Giov. Andrea dalla Zonca di Dignano 2), si tocca, fra le altre, d'una versione in dialetto diguanese d'un dialogo, tratti) dall' Amico del Contadino di S. Vito ; versione, che, come osserva il Luciani, è tutt' ora inedita. Avendo 1' esimio cav. colla liberalità che lo distingue, messo a mia disposizione, già da uu pezzo, oltre ad altri scritti maggiori del uobile diguanese, anche questa traduzione, spero di non fare cosa sgradita al valentuomo albonese ed ai lettori della Provincia, se la renderò qui, di pubblica ragione. M' accoutenterò, per ora, d' accompagnare il testo di pochi cenni illustrativi, tanto che servano a dichiararne le voci di più difficile iutelligeuza. In un altro lavoro, che ho per mano, imprenderò a dimostrare, in seguito a una minuta analisi dei suoni e delle forme del dialetto diguanese, per servirmi delle parole dell' Ascoli 3), qualmente a Diguauo, del pari che a lioviguo, "il linguaggio ladino, nella sua varietà friulana, "sia venuto a toccarsi, e in parte a fondersi, con un "linguaggio che si rannoda al veneto di terra ferma ed "abbia quindi in sè medesimo delle somiglianze ingenite "coi parlari ladini.,, In questo mio studiuolo cercherò di mettere, iu pari tempo, in rilievo i tanti punti di contatto, i' per così dirli numerosi cordoni ombilicali, che tengono ancora uniti i volgari istriani ad altri dialetti della grande madre antica, la vicina Venezia. S' abbia qui dunque per intanto il testo del nostro, riprodotto nella sua integrità e grafia, sebbene, circa quest'ultima, io nou possa, tutte le volte, convenire col nobile Diguanese. A. IVE. Versione in dialetto dignanese del dialogo tratto dall' Amico del Contadino (Anno II, N. 47), ed intitolato Economia del tempo. I zivi 1) óuu dèi a cavàl IO) par campagna vi, invèr 10) óuua me stanzia eli' a fa in dichéin 10) dalla parto 2) eh'a zi óun rugiél 10) e i passivi 1) a trésso 3) óuu busco par reivàghe 8), cando i gi-é 3) véisto al me colòno, eh' a stiva 5) in tuia terra zutta óuna feigbéra a vardaéndo invèr de méigio. A no savaéndo baén al somedér 10) eh' a ziva dritto al passàzo. par zéi 8) draénto la stanzia, i gi-é ciamà 9) pariccie vòlte al colòno, che allo tante gi-ó 2) fatto motto de intaéu-deme 8) teiraendo al cappél 10) zu dal cavo, e mei ghe zeighivi 1), eh' al vigno a insignirne 8) al passàzo. e i' glie domandivi 1) se i' vivi 1) ciapà 9) la cai 10) bona; e lóui al me gi-ó respus 10). "I vaégni 1) in bótta.„ I' gi-é veisto eh' al se móu 10), ma in pe' 12) da vignéi 8) invèr de méigio, al zi zéi invèr le case, eh' a fà sóul alto della stànzia. 1' gi-é spettà 9) là dóur 10) óun bon carto de ura, e a no vedaéndo pióun neinsóun i' gi-é sevéità 9) par al somedér, e i' soin 7) reivà 9) al rugiàl ; i' gi-é fatto zéi draénto al me cavàl, eh'a zi restà impéiantà 9) in tut 12) paltàn 10), e i gi-é bóu9) pourassé 3) da fà 9) a cavàlo 8) fora ; ma. alle tante, cun gran 10) fadéiga. al me cavàl gi-ó possóu 9) teirà 8) óun salto dall' altra banda. — Reivà eh' i' soin a pai 12) d'ai terraén, i lo gi-é cattà9) dóutto insarrà9) dalla nivóna iiitravessàda 3) de galòppi e de spéine, e in a) Intorno alla famiglia dei Dalla Zonca, pubblicai io delle noti/.iuole, per nozze Valla Zonca-Fabris (Milano, 1877). ') V. Archivio Glottologico italiano,i 435. tul maéutro2) ch'i no' savivi 1) pióun da vulla2)zéi draénto, i gi-é sintóu 9) la bus 10) d' al culóno eh' a zói^hiva 5) : "Siur 10) parón, la gi-ó fallà 9), la turna indréio, la vaégno duve eh' i' soin uiéi„. A no vidaéndolo, e a no savaéndo che cai ciapà 8), i no me soin movisto 5) inféinamaénto 2) eh' al se gi-ó cattà prisovàso da vignéi iu zirca de mèi, eh' i gi-éri 1) iu dóutti i giavi par sto spettà8), e marappaéna 11) eh' i lo gi-é véisto, i lo gi-é interrugà 8) par chi razón al no gi-aéro 2) viguóu 9) in botta, eh' i' lo' vivi ciamà 10). Cont. Alla baélla préima i no la vivi cugnissóuda, ma marappaéna eh' i' la gi-é véista, j soin curristo 5) ; i no gi-é fatto altro che dà 8) óuua scampadéina alle case, parchi i vulivi 1) maétti 2) zu la paladura, par maudàla 8) a gouzzà 8). Pad. Tei pudivi 5) spettà par la paladura ; a no gi-aéro tanta fóurja, e mèi no savivi de vulla 2) vignéi draénto. Cont. A déighela 8) s'citta e uitta, i vivi óun per 10) de braghissazze iudósso eh' i gi-é vulisto 5) zéi a moudàmele 8), vaéndola véista gila, Lóustréissimo ; e poi i cardivi 1) che la me varavo spettà. Pad. Ma tèi soin stà 9) óuu' ura! Se tei vignivi sóubéito, i no saràvi zéi a impéiantàme 8) iu tul paltàn. Cont. Che beneditto omo eh' al zi lóu ! Ma la varda de vulla che la g-ió ciapà! Pad. No gi-aéro quii al passàzo ? Cont. Siur, sèi, ma dalle vendimmeó) i'io struppil), paramur 10) eh' a no se passo. Pad. Donca 2) mei vivi ciapà la cai bona, parchi la nuva zi fatta da téigio inséina 2) che mei savissi, e tèi de bòtto te par 10) da stràglio. Pazaéuzia ! Zircaém4) al gliógo de duve eh' a se passa. I vaém 1) cammèinà 9) óun zaéntenér 10) de balighi, infrà i galòppi e i sassi, e i gi-é cattà eli' a se passiva 5) par l'appóunto duve che al acqua d'ai terraén ingróu-maéndose cagiva 6) in tul rugiàl. Pad. Tei vidi ! tei gi-é fatto al passàzo in tóun cattéivo séito, a cagión 10) che al acqua saémpro pur-tai ó 2) vi della terra, e tanto pióun eli' al gi-ó da saérvi 8) par cai. Cont. Siur, sei, la déis 10) baén, ma cando zi fóra 1' óua, i lo gióusti 1), e poi i vói 1) ciò 8) al passàzo; là sóuu i passiva massa fazéilmento 2), e poi, a déighela a gilo, della terra 'nde cagio 2) anca massa. Pad. A no te veiguaró 2) fatto de ciólo, e in pe' da' vi' óun passàzo ch'a no te fiva 5) dagno, te scognaró 2) viude 5) óun altro ch'a dagueizzaró 2) pourassé pióun la stanzia, ne tèi varé 3) altro vautàzo ch'ai acqua por-taró vi la terra pióun fàzele. Iutauto i sognaém 4) passadi magio eh' i vaém 5) pussióu, e in pé de cattà al trozo, i se sognaém 10) cattàdi in mezzo all' arà 9); e par sta cagioni ghe gi-é déitto: tèi vidi: a se ruvenia 6) anca sto terraén; mei déiràvi che tei turnàssi a vaérzi 8) al passàzo duve eh' al gi-aéro. e che tèi insaràssi quisto con dii sassi, par recouparà 8) la terra paérsa ; anzi mèi vurravi ch'a fóusso 2) fatto praésto. Cont. I farò 3) cumo che la vói 10), cuntaéuto gilo, cuntaéuti dóutti; marappaéna ch'a turna me féio, i ghe lo déighi 1), e a se gióusta. Pad. Ma dii féijoi 10) tèi'nde gi-é pióun d'óun ! Cont. Iuzéppo zi intreigà 9) par gilo: al gi-ó da zéi in véilla; i lo gi-é inandà stamit.téina 9) a purtà 8) al cavagióu dal fattùr. 10) Pad. E Battéista? Cont. Al zi al piò un véccio, e dii anemài, 10) no séia par repouzià 8) al sen intaéndo. A zi passi 9) so cuséin 10), voi dèi 8) che me zéia e so nonno gi-aéro fardai de paro 2) e de maro 2), in féin dii fatti i se ciama, cuséini; e poi i zi saémpro 2) pa-raéuti ; óun sarvéizio infrà, de nui altri no se pòi 10) cun de meno ...... Pad. Ah!.....va baén, al paraeutà 9) no zi grando 2) . . ma póur 10) chi al zi zéi a fi ? Cont. Al zi zéi a inferri 8) óun per de bòi. Pad. E quill'altro? Cont. Ancùi se viva 5) poco da fi 8) ; i vivi óun agnellitto eh' i volivi mazzi, 8) par le vendimme, ma invize al lo gi-ó vindóu .... chi la vói ! Bezzi no i 'nde vido mai ... i zi zóveni, e al zi zéi a Ruvéigno a cumperisse 8) óun cappél. Pad. Cumo 2) mai a Ruvéigno? Intun óun' ura i zi a Déignan, e, par zéi a Ruvéigno, a ghe vói almeno tri 5) ure ! Cont. I ghe déiré 3). a Ruvéigno i cappài 10) zi mijuri 10), e i custa manco. Pad. I vidi 1) cumù 12) ch'a fi 5) vuialtri villiin 7): par sparignà 8) gise 5) carautiin 7) iutun óun cappél, i pardi 5) óun dèi da lavuri 8) ! Quii eh' a zi zéi a inferri i manzi, cando al turna ? Cont. Al poi sti 8) poco, al zi zéi sta mittóina all'alba. Pad, Ma adèsso zi dui ure despói 12) mezzo dèi. Cont. Chi la voi? mezza ura pióuu, mezza ura manco, no ghe se bada. Pad. 1 favalli 5) bastànzia 11) mal 10), parchi la préima culuméia 11) zi quilla d'ai taémpo; insomma vardl 5), a son 10) de no fande cagio, de tri féijoi i no 'nde vi 5) néinsóun 10) a casa. Cont. Ma i turna sóubéito, parchi i no gi-ó véizii, la sa... i no zi de quii ch'a se firma par la cai, le osta-réigie i no si cumo che le zi fatte; i no gattarivo vi óun fénigo par dóutto l'óro d'ai móndo. Pad. Quisto sarò 2) viro, ma al fatto zi eh' a no staéndo alla stanzia, no se lavura, e le fazzaénde resta indréio. Cont. No la se indoubeitia 6) ; i fa pióun luri intun óun dèi che canti eh' i cugnussi 1) intun óuna settemina. Pad. Sarò viro, ma paricci gi-ó zi lavuri 9) della terra, e vui . . . Cont. I ghe déiré: lavurà praésto zi no se pòi, vaén 10) la péilula (?) Pad. Ma quille piaére eh' i ve gi-é déitto de ingròu-mi 8) sóul terraén ch'a zi paricciA 9) la settemana passida parchi no le vi ingròumade? Cont. Giaéri a se zi zéidi da sto campagli òl 10) veizéin 10) de nui a dighe óuna man 10), paramur ch'ai no' viva termeni 9) de lavuri la terra, par al gran. Chi la voi! A zi zaénto 2) ch'a ghe se poi domandi 8) óun sarvéizio, i lo fa in bòtta. Pad. E l'altro dèi? Cont. I gi-é quii manzo ch'ino vorrivi téignéi 8) par sto invérno, parchi a no me par eh' al faén 10) al lo magno pouléito ; i lo gi-é meni 9) al marci, par vidi 8) sei fivi 1) óuu barattéin 15), ma i no gi-é fatto gnaénte. Pad. E a casa uo gi-aéro i vostri féijoi? Cont. I gh>! dei ré : lavuri, o2) ch'a li gi-ó urde-nidi al parón 4), porpreiamaénto 9) lóu, . . . o eh' i no ghe soin mèi, i no le lassi 1) fi, a mutéivo ch'i no me féidi 1) de néinsóun. Pad. Deisime 5) mo, la rasón, parchi eh' a no li vi fatti lóundi. Cont. Lóundi gi aéro faésta. Pad. Zeiové faésta buléida, 11) ch'a vói dèi ch'a no se zi in obbiego che de sculti 8) la santa missa. Cont. La déis baéu ; ma, o che nui altri, campagnuoi, i vaém véisto al préto sóull'altir 10), par che no vago baén. Pad. Paérdi 8) la zurnida de mezza faésta a zuga-éndo, o a staéndo de bando, no va baén, ma lavurà despói 12) de vi sculti 9) la santa missa, a zi quii ch'a va baén . . . binéissimo. Cont. Ma in quii zórui a se fa le cosse pióun li-zére; chi la voi ! a se scogniva tacci 8) i manzi; e i manzi eh' a se inzulgoh'a 6) in dèi de faésti .. . Pad. I no intaéndi 1) sto scròupelo par baén dii bòi; e poi a me par che despói scultàda la santa missa, se poi lavurà, curnu i altri dèi. Cont. Baén, zi i 'nde ourlarivo 2) dréio, se a se fazxsso 2); ma no la pagouria 6), quii eh' a no zi fatto se farò; la vido 2) baén, al taémpo no fóuggio 2). Pad. Par 1' appóunto, quisto zi quii eh' i no vola-rivi mai sintéive 8) a dèi, parchi savi 5) al pruvérbeio: Chi gi-ó taémpo no spetto taémpo. Cont. I vaém tante cosse da fi, se farò anca 2) quista; a zi stadi tónti intréighi gióusti 1) in sta settemana. Pad. A me par altro eh' i séiio stadi dóutti intréighi vulòudi, e eh' i podivi 5) binéissimo coupive 8) magio. I deisi 5) eh' i 'vi pourassé da fà, e in stii cattro dèi néuusonn de vui altri a zi sta bon 10) da fà quii ch'i vivi urdenà 9), e a no ve par de vi paérso taémpo ? Cont. Chi la voi; al taémpo no se comperia 6), e l'anno zi 1-ngo. (Continua) DEI DACO-ROMANI IN ISTRIA.** Dopo la conquista fatta dai Romani dell' antica ! Dacia, vi furono condotte delle colonie, principalmente di militi, e ne risultò una popolazione e lingua romanica, che gl'indigeni chiamano anche oggi romana. Il Baco-Romano chiama sè stesso Roman, e siccome questo nome viene pronunciato a labbra semichiuse, suona Rumun, stretto per altro. Una volta questo popolo veniva chiamato da altre nazioni Yalacco, dal nome Viali, che gli diedero gli Slavi. Nelle lingue europee si adottò ora il nome di Rumeno, ma senza alcun fondamento; poiché se i Rumeni vogliono distinguersi dai veri Romani, si dovrebbe adottare la denominazione di Rumuni, come quella che si avvicina *) Senza permetterci alcun apprezzamento su quanto asserisce 1' autore nel presente suo studio, noi lo accogliamo di buon grado col doppio scopo di avvantaggiare chi s'interessa di studii storico-lingustici, e di aprire in pari tempo ai nostri giovani il vasto e proficuo campo della discussione, oggi specialmente che possiamo rallegrarci essere sorto tra noi un forte risveglio in argomento di patria storia, iniziato per opera di quei benemeriti comprovinciali che sono il Combi, il De Franceschi, il Luciani, ed il Tedeschi, ai quali ogni buon istriano tributa ormai riconoscenza perenne. La Red. di più alla propria loro pronuncia, e così lo fanno anche i linguisti. 1 > I Rumimi dell' Istria e dell' isola di Veglia erano un tempo molto più numerosi che attualmente ; almeno la loro lingua veniva da molti parlata. Oggi invece la perdettero e la cambiarono colla slava. — Secondo il Padre Ireneo della Croce si parlava la lingua rumuna perfino a Obciua presso Trieste. Se si considera che questa lingua va giornalmente restringendosi, perchè non insegnata nè dal pulpito ne in iscuola, si è indotti a credere che oltre all' isola di Veglia una buona parte dei distretti giudiziari di Albona Pisino Pinguente Castelnuovo Sessana e Feistritz fosse occupata dai Rumimi, i quali per la ragione adotta, e perchè da ogni parte chiusi da popolo slavo, successivamente perdettero la loro lingua; argomento questo nel quale ci riserviamo di ritornare. Oli scrittori del Seicento che descrissero l'Istria, constatarono bensì l'origine romanica di questo popolo e della sua lingua, ma propendettero a crederlo rimasugli di Romani immigrati direttamente in Istria e che la lingua di lui fosse la latina cor- | rotta dalla lingua slava del vicinato. Benché la patria storia non contenga notizie quando e da dove sia immigrato questo popolo, i signori Luciani, Defranceschi e Covaz ne ricob-bero la lingua per Daco - romana, e questa loro fondata supposizione fu confermata da un erudito venuto appositamente dai Principati danubiani, e dal nostro professore linguista signor Ive. La lingua, per quanto corrotta, è pretta Daco-romana, e 1' erudito sullodato disse di conoscere il dialetto ninnino col quale la lingua dei Rumimi istriani ha la massima somiglianza. — Un Rumuno dell' Ungheria o della Transilvauia (devesi notare che i Rumuni istriani cambiano il t aspirato o il tj in z, e molti n in r) li, comprende. Noi adur-remo soltanto un esempio : il iatino dice tene bene ; il Daco - romano tinje binje, il Rumuno istriano zire - bire. Da queste due parole la popolazione della Valle dell' Arsa li chiama ziribiri. È pertanto uno strano fenomeno linguistico quello di mutare T n in r. Essendo impossibile che in Istria si formi da Coloni romani una lingua uguale a quella che si formò nella Dacia dagli stessi Coloni, conviene conchiudere che i Rumuni istriani immigrarono dallaDacia. — L'epoca in cui seguì tale immigrazione non è nota; ma il fatto di una grande successiva emigrazione di Daco - romani nella Galizia Moravia Servia Bosnia Bulgaria Croazia e Dalmazia, la loro .»> VA «vi Hun«8tr Bsns-w apparizione nell' isola di Veglia è constatata da bellissimi studii storico - linguistici dell' esimio professore Miklosich, il quale pubblicò recentemente un dottissimo opuscolo col titolo Sulle migrazioni dei Rumuni. Le prime notizie storiche di questi popoli appariscono nel secolo XIV. Sembra che una parte, forse una speciale tribù di Daco - romani, preferisse la pastorizia assoluta all'agricoltura. Coll'assoluta pastorizia va congiunto il bisogno di uua grande estensione di terreno e la vita nomade. Questi pastori Daco-romani non ebbero sufficiente terreno per le loro gregge nella Dacia ed invasero successivamente, sia patteggiando, sia perchè trovarono regioni deserte, sia perchè non si trovò convenienza di respingerli e si fece della necessità un' opportunità, sia per altri perchè, il fatto sta che in Bosnia Servia Croazia e Dalmazia, i Rumuni, benché abbiano perduta la propria lingua, costituiscono buona parte dell'elemento nazionale di quelle contrade ; ed il signor Miklo-sich addita con grande cognizione di causa le voci Daco - romane intruse nella lingua serba, la quale è la dominante nella Serbia, nella Bosnia, nella Dalmazia e Croazia. In Istria non seguì la medesima cosa che in parte ; vi sono ancora intieri villaggi che parlano il Rumuno, e ciò deriva, come osserva il sig. Miklosich, dalla circostanza che i Rumuni occuparono in Istria un territorio quasi unicamente atto alla pastorizia e quindi separato dal resto della popolazione' che esercitava in prima linea l'agricoltura. I Serbi li chiamavano VlaM - Kara - VI ahi ; nei documenti latini si chiamano Mauro -Vlahi - mauro, co.me Kara significa moro nero ; i Veneti li chiamavano Morlacchi ed ancora adesso gì' Italiani chiamano Morlacchi i contadini della Dalmazia montana. Morlacco proviene da Mauro Vlaho e non da Mor - Vlah (More mare) come alcuni slavisti volevano far credere, non avendo i Maurovlahi pastori nulla da fare al mare ed abitando anche adesso le montagne e gli altipiani. La sarebbe questa un' etimologia simile a quella del lucus a non lucendo, il voler dedurre la denominazione di Morlacchi dal mare, perchè ne sono lontani. Benché il signor Miklosich non abbia chi lo superi nella profonda cognizione della lingua slava, egli non cerca un' origine slava ov' essa ragionevolmente non si lascia giustificare : mauro-moro vuol dire nero scuro, ma la ragione per la quale i Rumuni della Dalmazia fossero chiamati così, egli dice di non conoscerla. .nuòani'.n «b (f ibi'A «m un Noi, e qui abbiamo la persuasione d'interpretare 1' opinione anche dei signori De Franceschi e Covaz, riteniamo che ciò sia dal colore scuro 'dei capelli, degli occhi e della tinta scura della pelle dei Rumimi. Alla regolazione del confine militare, come risulta dagli Atti del Parlamento Ungarico, la popolazione si componeva di Slavi Vlalii, e Predauci. Quest'ultima denominazione si riferisce probabilmente al cangiamento di religione, perchè i Predauci erano per qualche tempo maomettani. Sotto la denominazione di Slavi comprendiamo gli Sloveni, i Croati e i Serbi di religione cattolico - romana, e sotto Vlahi (originari Rumimi) quelli che professano il rito greco. — La popolazione del confine militare è circa la metà cattolico - romana e metà di rito greco. Ora, vedendo schierato un battaglione di militi confinari era focile indovinare chi sia cattolico e chi greco. I primi sono di regola biondi, i secondi bruni, ed osserva anche il signor Miklosich che i Mauro -Vlahi (ossia originari Rumimi) nella Serbia, nella Bosnia, nella Croazia e nella Dalmazia sono di rito greco. Una sola eccezione dobbiamo fare riguardo ai Bunjevci (così si chiamano in Croazia e nel Confine militare quei popoli di tinta bruna, quindi originari Rumimi che eccezionalmente professano la religione cattolico-romana). In Slavonia la medesima distinzione di religione e di tinta: i Cattolici si chiamano SoJcci. quelli di rito greco Vlasi : e siccome i villaggi sono per lo più composti degli uni e degli altri, quando loro si domanda come stiano, rispondono SoJcci - Bogci, Via-si - Si romasi, Bogci e Siromasi sono sinonimi e significano „ poveri per cui si tradurebbe poveri tanto gli uni che gli altri, cioè tutto il villaggio. Frammisti come erano a popoli slavi e diventando anch' essi agricoltori, i Rumimi si slavizzarono e divennero un elemento importante della nazione slavo - croata - serba e bulgara, in una parola slavo - meridionale. — Noi siamo disposti a consentire a tale amalgama di razze il dolce e melodioso accento e la mancanza di aspre aspirazioni, ma nello stesso tempo scorgiamo in questo popolo intelligente e poetico, pochissima inclinazione all' assiduo lavoro, quale si richiede nella professione agricola. Tornando ai Rumimi dell' Istria, quelli sotto il Monte Maggiore non si distinguono nel vestito dal rimanente della popolazione slava, che li chiama Vlahi o Ziribiri ; mentre essi stessi si dicono Romani (pronunciato Rumimi). Nei monti poi dei distretti di Castelnuovo e Pinguente, i Rumimi vengono chiamati dei dai vicini Sloveni e Croati. Fra questi Cici ve ne sono molti che hanno perduta ogni traccia di origine; ma è certo che originariamente, non erano Slavi e per le seguenti ragioni: I. perchè si dà loro un nome particolare dagli slavi vicini; II, perchè portano, o almeno a nostro ricordo portavano vestiti come quei Cici che parlano ancora il nummo ; 111. perchè hanno lina grande facilità di cambiare nazionalità ; finché i sacerdoti delle loro ville erano per lo più Croati parlavano il croato; dacché i sacerdoti vennero dalla Carniola adottarono l'idioma sloveno, ed ogni giorno più vestono come gli Sloveni ; popoli sprezzati dai vicini ed in piccolo numero sono inclinati a cangiare di nazionalità ; IV. perchè i Cici (pura nostra supposizione) portano o portavano sandali che i Romani d' oggidì chiamano Cioci (il primo i non si sente nella pronuncia italiana e la parola è breve). La parola Ci( pronunciata principalmente da Sloveni è pure breve, e fra Cic e Coc brevi vi è pochissima differenza nella pronuncia. — Non sarebbe possibile che nella lingua rumunà si fosse conservata dalla antica lingua volgare latina la denominazione di Cioci per sandali, e che gli Slavi vicini chiamassero Cici quel popolo perchè portatore di sandali da essi chiamati Cioci ? Raccomandiamo l'investigazione in proposito a chi è alla portata di farlo. Anche il nome di Schitaccia nell'Albonese, ci sembra qualche cosa di straniero. La Comune di Schitaccia è la più alta dell' agro albonese ; ivi si rifugiarono Rumimi nomadi come in regione atta alla pastorizia e poco conveniente all' agricoltura. La loro lingua è quasi totalmente estinta. Perchè si chiama Schitaccia quella Comune ? — A Veglia vi sono delle famiglie di nome Schitar : molti anni fa ci fu dato di leggere un diploma di Conte palatino (Sacri palatii lateranensis Comes) dato da un Imperatore „ Sacri Romani Imperii" ad uno Schitar di Veglia, e la fantasia del Cancelliere imperiale ci vedeva uno Scytarcha sive Scytarum Dux. Noi supponiamo piuttosto un significato ninnino nelle voci Schitaccia e Schitar, ma nulla di scitico. Chi può farlo ci studi. S. NOTIZIE In seguito a gentile comunicazione, siamo in grado di pubblicare la seguente relazione del locale i. r. Capitanato distrettuale sui sussidj distribuiti fin ora dai varj fondi destinati allo scopo: Colle sovvvenzioni per gli indigenti dell' Istria pervenute a mezzo dell' I. R. Luogotenenza a questo Capitanato distrettuale, ed elargite dalla Munificenza Sovrana con . . fior. 800, — dalla filantropia triestina con. . . „ 1300,— dal tesoro dello Stato con , ... „ 1928, 45 nel complessivo importo di fior. . . . 4028, 45 furono sussidiate le famiglie, bisognose, e con distribuzione in granone, e con danari in effettivo per 1' epoca dai 28 Ottobre 1879 fino a tutto 12 Marzo 1880 nelle seguenti comuni : Capodistria con.........fior. 185. 33 Pirano comuni foresi...... „ 476.12 Isola............................138.— Muggia............. » 165.05 Paugnano............ » 747.48 Decani.............. * 269.47 Dolina ............. » 53. — Pinguente e Rozzo....... „ 1694. — Somma 4028. 45 Si continua tuttora a sovvenire i bisognosi coi sussidi che vengono somministrati dallo Stato. Dall' I. R. Capitanato Distrettuale Capodistria, 13 Febbrajo 1880. Cose locali Se da una parte la carestia anche tra noi si fece sentire quest'anno, dall'altra la carità cittadina studiò di menomarne gli effetti con quella modesta premura e costanza che sono proprie di chi vuol fare il bene per il bene. — Municipio e privati, con sottoscrizioni e sovvenzioni, tutti fecero a gara per lenire gli orrori della fame, e tra questi dobbiamo porre in oggi i nostri dilettanti, che animati dallo stesso spirito filantropico, vollero dare un trattenimento drammatico la sera del 4 corrente, in questo teatro, a totale beneficio dei poveri. L' esito fu ottimo ; il pubblico numeroso, scelto, plaudente; e l'introito, avuto riguardo all'angustissimo locale, grande, straordinario. I dilettanti si distinsero tutti. La signorina Del Bello piacque, come sempre, per la sua naturalezza e disinvoltura, immedesimandosi nel difficile personaggio con quell' arte vera che nasconde l'artifizio, tanto malagevole per citi non è nato sulle scene. La signorina Borisi recitò con intelligenza ed impegno la sua parte dà vecchia, assai importante e faticosa, riescendo anche a mascherar bene la freschezza della sua età. La signorina Lugnani fu una gran dama leggera, boriosa, civettuola. _ UAPOUliSTUIA Tipografia di Carlo Priora. Cara nella sua ingenuità la signorina Kodennatz. Appassionato, senza manierismo, il signor Pio Gravisi, e dimostrò, benché sempre fra le strettoje, la sua disposizione anche pel serio. Con brio e verità il signor Gregorio Calogiorgio. Il signor Giuseppe Giovannini fece sbellicar dalle risa in quel comicissimo titolato, galante, conquistatore, libertino. Con spontaneità, vis comica e possesso di scena il signor Nicolò Del Bello. Leggiadramente disinvolto e sicuro il signor Emilio Zetto. „Che poi del cupolino voto sembrasse il seggio, „Fu merito in gran parte del signor de Baseggio. (Unione) In una parola tutti — auspice la carità — fecero a meraviglia, compresa l'orchestra, diretta dal distinto signor Gaetano Montanari, che ad ogni pèzzo fu calorosamente applaudita. Ci resta ora una lusinga, condivisa dai più; ed è di riudir presto e spesso questi bravi nostri dilettanti, i quali col farci passare delle bellissime serate, potranno sempre giovare alla nostra città. La sera del 12 corrente ebbe luogo in questo teatro un' accademia vocale ed istrumentale a favore dei nostri poveri, sotto il patronato del Comitato di beneficenza e colla gentile cooperazione dell' egregia artista del teatro comunale di Trieste signorina Rosa Caponetti, in unione ai signori Luciano Gasparini (tenore) Giovanni Sidri (basso) Carlo Coronini (professore di violino) Giovanni Guidicelli (maestro di pianoforte) nonché dell'orchestra della locale filarmonica, diretta dal bravo maestro signor Gaetano Montanari. Dallu spett. Municipio di qui riceviamo il seguente AVVISO IL COMITATO PROMOTORE della Società di Navigazione a Vapore Istria-Trieste si pregia di avvisare il Pubblico, che col 1 Marzo a. e. darà principio all' accettazione delle sottoscrizioni delle azioni necessarie a costituire la prefata Società Istriana di Navigazione a Vapore lungo la costa d'Istria da Pola a Trieste. KB. Per Pola dirigersi per informazioni e sottoscrizioni presso il Notajo D.r Glezer, presso la Ditta Rocco e Bartoli ed Andrea Rismondo, e per la Provincia presso le singole Podesterie di ogni paese. Gli statuti sono ispezionab^i presso le Podeste-rie, principali Caffè ed Associazioni di ogni luogo. — Nicolò de Madonizza edit. e redat. responsabile