ANNO XXVIII. Capodistria, 1 Giugno 1894. N. 11 LA PROVI! DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3 ; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Di cose nostre in scritti stranieri LA LITURGIA SLAVA (DIE SLAVISCHE LITURGIE) di G. Stradner ') (Traduzione di G. V-a) La ragione per la quale tanto incresciosa si rende la lotta contro lo slavismo è la maniera di lottare adoperata da' suoi corifei. Ora è il diritto storico eh' essi inalberano £ual gonfalone. pra„è,,. il sogno d'un avvenire fantastico per cui accendono d'entusiasmo le loro file. Che se non possono far valere il diritto del più forte, sanno sfruttare per bene la forza del più debole : non si stancano essi di gridare all' oppressione, fin che non abbiano messo il loro avversario, come si dice, proprio al muro. Quanta sia in questa lotta la malafede dimostrata dai propugnatori dei diritti storici della vence-slaica corona, del regno sloveno di là da venire e dell' idea panslava, quanta la loro arte di travisare i fatti, sa chi negli ultimi decenni s'è occupato di politica austriaca. In questa lotta ineguale e la potestà politica e la ecclesiastica tengono, di solito, dagli slavi più di quello che sarebbe necessario. Abbiamo fra le mani un libro per questo verso molto istruttivo: La liturgia slava nell' Istria del dottor B. Benussi (Parenzo, Tipografia Coana, 1893). Il dottor Benussi, professore nel ginnasio comunale di Trieste2), è uno dei più profondi conoscitori dell' Istria e della sua storia. Egli à il merito di averci fatto conoscere la sua patria scrivendo molte opere importanti, quali la Geografìa storia e statistica del Litorale, L'Istria fino ad Augusto ed altre monografie storiche. E chi si occupi della storia di Venezia trova anch'egli nel Benussi un valente indagatore. ') Leggesi in tedesco nella Posta del giorno (Tagespost) di Graz dei 3 aprile 1894. Vedi Provincia XXVIII 9 pag. 71. 2) Nominato teste dal cittadino consiglio direttore del liceo femminile di Trieste. Articoli comunicati d'interesse generale li stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — U» numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. Questa volta chi spinse lo storico a dar di piglio alla penna fu monsignor Volarich, canonico di Veglia e deputato di Lussino, il quale al cospetto della dieta istriana ebbe ad asserire la liturgia slava essersi introdotta nell' Istria già alla fine del secolo nono e a introdurvela non esserci stato altri che san Metodio. Con isplendida eloquenza e irrefutabile acutezza di argomentazione assoggetta il Benussi quest' asserzione del Volarich a scientifico esame e, strappata la maschera, la fa apparire qual è veramente : una falsificazione storica, per la quale a mala pena si trova una scusa negli errori forse involontari del Ginzel, storico ceco. Il lavoro del Benussi non è però niente affatto polemico, non à il solo scopo di dar botte al nemico nella battaglia del giorno ; egli prenderà anzi un posto durevole nella letteratura storica del paese, perchè contiene una esposizione, attinta proprio alle fonti, delle immigrazioni slave nell'Istria e sì compiuta, che non c' è 1' uguale. Di questo bronzo massiccio può quind' innanzi ciascuno fabbricar sue armi per entrare nel polìtico agone. Ma per gli slavi non ne resterà molto. Essi dovranno sopra tutto guardarsi bene di parlare nella dieta istriana di loro diritti storici. Chè in questo caso si può loro servire una dimostrazione dietale che à di certo l'età rispettabile di mille e tanti anni. Dessa fu una protesta contro il primo tentativo di trapiantare slavi nell'Istria e levossi in seno a una dieta, che sul fiumicello Risano indisse nell'anno 804 Carlo Magno. Erano là comparsi i deputati di tutte le città marittime e quelli delle città interne di Montona di Pedena e di Pinguente e la riunione di questa dieta del pari che l'unanime protesta da lei deliberata contro il primo tentativo di dar quartiere agli slavi dimostra, che nei secoli ottavo e nono slavi che avessero loro stabile dimora in Istria non ce n' erano ancora. Che se ci fosse chi dubita dell' autenticità di questa manifestazione dietale, il Benussi lo rimanda alla Storia della costituzione tedesca del Waitz, dove il placito del Risano viene designato come uno dei documenti più importanti per la storia di Carlo Magno. Sebbene dunque già nel nono secolo il primo tentativo d'importare slavi nell'Istria abbia provocato una protesta da parte della dieta, tuttavia taluni partigiani dello slavismo non si fanno uno scrupolo al mondo di affermare che nel nono secolo Metodio introdusse la liturgia slava nell' Istria. Or che fede può meritare tale asserzione ? Non è egli più che probabile che, attesa la suscettibilità che c'era allora per le cose chiesastiche, contro simile innovazione si sarebbe levata la più solenne protesta ? E che ci avrebbe avuto a fare in Istria Metodio, s'ella avea vescovi propri ed era soggetta ai patriarchi di Grado ed Aquilea ? Metodio era vescovo nella Moravia ed ebbe di che arrabattarsi nella diocesi sua per introdurvi la liturgia slava contro 1'espresso divieto del papa. Appena dopo eh' ei fu stato a Roma e v'ebbe provata la sua ortodossia, ottenne egli per riguardi politici il permesso personale di dire la messa in isiavo nella sua diocesi. Per l'Istria allora tai riguardi politici non esistevano ed anche nella Moravia, quando Svatopluco più tardi mutò pensiero e cacciò persino dal paese i seguaci della liturgia slava, cessò per il papa Stefano V ogni motivo di tollerare quella più a lungo. Fu emanato un breve, per il quale la messa slava che Metodio erasi arrogato d' introdurre (quae idem Methodius Sclavorum lingua celebrare praesumpsit) fu di nuovo soppressa e fu proibito di usare più oltre la liturgia slava nella chiesa con minaccia della scomunica. Anche ad altri posteriori tentativi di novamente introdurre la messa slava si opposero i papi e più volte fu interdetto l'uso della liturgia slava. Papa Gregorio VII chiama imprudente il tentativo di Vra-tislavo di Moravia d'introdurre la liturgia slava ed esorta ad opporre a questa vana temerità energica resistenza. Nel secolo decimoterzo la liturgia slava comparve nella diocesi di Segna, ma giunse a mala pena fino a Veglia. Nella diocesi di Nona i messali glagolitici furono tollerati per riguardo della scarsa coltura del clero, il quale non capiva un briciolo di latino. Taluni di questi preti al tempo della immigrazione degli slavi giunsero in Istria con le loro comunità e recarono seco i loro libri glagolitici, i quali dai vescovi erano tollerati di volta in volta e solo per eccezione e solo tili che si fosse in grado di dare alla comunità sacerdoti chiesasticamente allevati. Che qui si trattasse sempre di singolari necessità subitane e passeggere emerge assai chiaramente dal fatto che nella prima metà del secolo passato non esisteva in tutta L'Istria una sola chiesa, in cui si ufficiasse in isiavo. Nel secolo decimosettimo ottennero gli slavi da Roma nuove concessioni riguardo alla loro liturgia e questa fu loro permessa là dov' era in uso /ino allora. Ma si cava da varie circostanze che i papi si adoperavano a limitare queste concessioni quanto più era loro possibile. Per celebrare a Zagabria una sola messa in onore dei santi Cirillo e Metodio lu necessario un permesso speciale : nella chiesa collegiata di San Girolamo degl'Illirici a Roma, chiesa della colonia slava, si ufficia in latino ; il Montenegro, se volle introdursi la liturgia glagolitica, dovette stipulare a bella posta un concordato colla santa sede. Chi nel libro del Benussi à letto la storia dell' immigrazione degli slavi neli' Istria, "troverà che qui non si può affatto parlare d'un diritto storico degli slavi che ci accorsero da tutte le parti della penisola balcanica, men che meno poi d'un diritto storico alla liturgia slava. Ma perchè monsignor Volarich va tanto fantasticando di questa slava liturgia, da sacrificarle persino la storica verità? e — facendo un' altra considerazione — perchè gli s'invidia quest' innocente piacere? Perchè la cosa non è sì innocente come pare; perchè, come il Benussi dimostra, la liturgia slava altro non è che il primo passo a entrare nella chiesa russa, il mezzo più acconcio per realizzare l'idea panslava. Chi crede esagerata cotale sentenza, ricordi le parole che nel ventesimo quinto congresso annuale della società slava di beneficenza a Pietroburgo ebbe a pronunciare il redattore del Diritto Croato, già sacerdote cattolico. „Pur troppo ci separa ancora la religione. I croati e gli sloveni, eh' ebbero il cristianesimo per opera dei loro apostoli slavi Cirillo a Metodio, per l'oppressione dei latini passarono poco a poco nel dominio della chiesa occindentale. Subito che in tutte le chiese dell' occidente si sarà introdotto l'ufficio divino colla lingua dei nostri maggiori, noi ci avvicineremo al santo ideale e ci sarà un sol pastore ed una sola greggia .... L'unità religiosa e linguistica degli slavi dev'essere ristabilita, costi quel che sa costare." Queste parole non esprimono solo l'opinione personale d'un individuo, ma concordano con la parola d'ordine pronunciata dall' Ignatieic in un discorso che tenne ai 3 di marzo dell'anno scorso: ,11 vincolo che lega insieme i russi e le altre popolazioni slave è l'ortodossia." A Roma pare che dinanzi a questo movimento si stia perplessi. E a Vienna ? ---- .——---—£»?—-- ZLTirxrLOli I£Tostxa,rLi Allo splendore della nostra civiltà nou ultimo concorse il Cristianesimo, e la sua influenza si affermò ben presto pel valore personale dei dignitari ecclesiastici, e per l'arte, oude alcuni monumenti, rimasti malgrado le ingiurie dei tempi, destano adesso l'alta ammirazione dei dotti. Fra le simpatiche figure, che la storia ravennate ricorda a preferenza, vi è Massimiano, dall' Istria giustamente annoverato tra i più illustri suoi tìgli; e il sentimento di speciale gratitudine verso l'insigne mitrato non iscaturisce oggi dall'unico vanto religioso, per poter forse intesservi moderni confronti, o qualche geremiade senza profitto. Ben altri ancora souo gl'impulsi e le compiacenze di questa civiltà, iu cui eravamo maestri, quando non esistevano purauco certi scolari. Chi scrive non avrebbe rievocato questa memoria illustre, della quale distinti comprovinciali, in passato ed anche di recente, ebbero a tenere esauriente e degna parola, se un caso particolare, con la solita concatenazione d'idee, non si fosse reso propizio intermediario alla ne- i cessaria ripresa dell' odierno discorso. Confabulando giorni sono col Comm. Cavalcasene sulle intime relazioni artistiche occorse un dì fra l'Istria e Ravenna, egli avvertì essere stati testé rinvenuti due dei pezzetti, già mancanti alla famosa sedia episcopale di Massimiano; dei quali, uno ritrovato a Milano, ed il secondo vicino a Ravenna ; restituiti ameudue al pristino posto ; anzi il primo per intervento diretto del governo. Circa questa sedia pastorale, conservata nella sagrestia della cattedrale di Ravenna (un dì basilica Ursiana), ecco come si esprimono il detto commendatore e l'amico suo Crowe nella Storia della Pittura in Italia: „Essa „è una fattura iu avorio del secolo VI e presenta piccole figure d'intaglio accurato, nitido, con tipi, caratteri, „forme e pieghe, che più delle altre scolpite iu pietra, „ritraggono dell'arte cristiana di quei tempi." Questa preziosa reliquia, opera di artisti di varia bravura, contiene nelle differenti sue parti storie tratte dall' Antico e dal Nuovo Testamento. — Nel 547 Massimiano compì la costruzione e consacrò la chiesa di S. Vitale, incominciata da Teodorico e continuata da Giustiniano ; e già nel 549 aprì al culto Sant'Apollinare in Classe, edificato nel 534 dal tesoriere Giuliano. Muratori, nella XXIV dissertazione delle Antichità Italiche rammenta le benemeienze del santo istriano per 10 sviluppo dei musaici di vetro e di marmo (lithostrata), specialmente nella edificazione della chiesa di Santo Stefano. E nel successivo capitolo menziona i meriti di Massimiano nell'arte plumaria, consistente „nell'ornare coli'ago la tela, aggiungendovi figure di varie sorte lavorate con diversi colori." Dell'insigne arcivescovo esistono ritratti nelle chiese dapprima citate ; ma gli autori della Storia summenzionata avvertono subito che le fisonomie non si rassomigliano affatto. S'intende che quello dei due ritratti, il quale meno soffrì per successivi ristami, è da ritenersi come 11 più autentico, impregiudicata la questione della fedeltà di fronte all' originale. In ogni modo nel mosaico di S. Vitale poco al di sopra del prelato, che sta alla sinistra di Giustiniano, è segnato con tanto di lettere MAXIMIANVS, da persuadersi che l'artefice fidava quasi più nei segni dell' alfabeto che nella durata della imagine. Or. E. N. IST o t i z i e La Presidenza della Sosietà politica ha convocato il congresso generale in Pola per il giorno 13 di questo mese, col seguente ordine del giorno: 1. — Lettura del Verbale dell'anteriore Congresso. 2. — Relazione sull'attività sociale. 3. — Relazione sulla situazione politica provinciale, ed analoga proposta della Direzione. 4. — Approvazione del Bilancio per I l'anno 1893-94. 5. — Fissazione del Canone per l'anno ' sociale 1894-95. 6. — Nomina della Direzione: un Presidente, due Vicepresidenti, sette Direttori. 7. — Nomina di due revisori dei conti. 8 — Eventuali proposte di riconosciuta urgenza. ! A proposito di questo congresso, di particolare importanza, un distinto nostro concittadino a nome di parecchi, ci ha diretta una lettera che stimiamo opportuno di pubblicare per intero : Spettabile Redazione Credo opportuno far sentire alla vigilia del congresso della nostra Società politica, a nome anche di parecchi concittadini, una parola che suoni pace e concordia in momenti che si delineano assai oscuri e gravi sul nostro orizzonte e vi interesso a scriverne nel prossimo numero. Le dimissioni alla spicciolata improvvisate da alcune delle spiccate individualità della nostra maggioranza dietale, le impressioni risentite dal paese, ed i commenti sulle cause che le originarono, gli apprezzamenti fatti nei vari giornali della provincia, ci dispensano d'illustrare avvenimenti che oramai appartengono alla storia, piut-trsto tocca a noi di trarne 1' esperienza. Supremo a nostro vedere è il momento, dobbiamo considerare bene a fondo la nostra situazione, satura come è di sorprese ed insidie, e più chè mai incerta e confusa. Per questo esame che urgeutemente s'impone, e che abbracciar deve anche lo studio di ben suffragati indirizzi futuri, invochiamo la calma per la serenità dei giudizi, invochiamo l'azione comune foriera di ponderati atteggiamenti. È un fatto grave di pericoli e di somma ingiustizia che ora pesa su noi e sulla nostra secolare civiltà. È la guerra a tutta oltranza che gli avversari ci fanuo o isolati o coalizzati per conseguire maggiori strappi a danno della nostra italianità. A questa inevitabile e sacrilega lotta dobbiamo preparare seria e disciplinata la nostra necessaria difesa, ispirata a quegli ideali di patriotismo, abnegazione e costanza che da soli assicurano la vittoria. Questa nostra legittima difesa la dobbiamo per ciò informare allo spirito dei tempi, ed estenderla a tutte le nostre forze. "Dobbiamo organizzare queste forze iu maniera tale da costituire per intelligenza, integrità di carattere, ed animo patriotico una falange così compatta e disciplinata, che col contegno formi costantemente l'insormontabile baluardo di difesa dei nostri diritti nazionali ora e per 1' avvenire,. Dobbiamo togliere ogni incertezza e non tardiamo di farlo. Spetta l'iniziativa a tutti coloro che guidarono fin ora le sorti del nostro paese, certo non inferiore ad altri per disciplina e patriotismo. Spetta ad essi unicamente di provvedere con e sincerità ed energia all'attuamento di questo programma, che compendia l'unico mezzo della nostra salvezza nazionale, e del nostro prosperamento economico. Al buon esito di questo programma, siamo convinti che la nostra Associazione politica contribuirà efficacemente. O così e vincere; od altrimenti pericoli da ogni lato, diffidenze, incertezze, recriminazioni, indirizzi isolati e passionati, antagonismi ed ire elettorali; uno spettacolo affliggentissimo per un paese civile, e di perniciosissime conseguenze morali e materiali, poiché offrirebbe la breccia aperta ai rfostri avversari. Siamo italiani, e vogliamo vivere e morire italiani. Non intendiamo di lasciarci snaturalizzare. Leghiamoci stretti a questo patto. Per l'elezione suppletoria di un deputato alla Dieta provinciale per ognuno dei collegi elettorali: della città di Pirano, e delle città di Montona, Buie, Visinada, Portole con Montona quale luogo principale, nonché di un deputato provinciale della Camera di commercio e d'industria iu Kovigno, venne fissato il giorno 15 Giugno, p. v. --- La Società Alpina delle Giulie tenne la sera del 28 p. p. l'annuale congresso in Trieste, con numeroso intervento di soci, sotto la presidenza dell' avv. dottor Emilio Nobile. Dopo una breve commemorazione dell'illustre patriota Tomaso Luciani, il quale aveva sempre dimostrato caldissimo affetto per la Società Alpina, si passò a varie comunicazioni. Venne rilevato poi con compiacenza come il numero dei soci siasi aumentato in confronto all'epoca dell'ultimo congresso. Essendo stati approvati dall'autorità i nuovi statuti sociali, si passò da ultimo alla nomina della nuova Direzione, la quale riesci composta dei seguenti signori: presidente: Alberto prof. Puschi, vicepresidente Costantino ing. Doria, direttori : Carlo Adami, avv. Nicolò dett. Belli, Giuseppe Caprin, Pietro Cozzi, avv. Giuseppe dott. Luzzato, Oliviero Bossi, Carlo Seppenhofér; revisori: Riccardo Merli, Enrico Vivante. •—--—--—m—--— La ruggine del gelso (Septogloeum Mori, Lèv — Briosi e Cavara) Ritrovammo questa ruggine su di alcune foglie di gelso spediteci ai 15 maggio da Capodistria. Pochi giorni appresso la rivedemmo sul territorio di Trieste; ed oggidì si è fatta generale anche qui a Parenzo, sollevando gravi lagnanze tra gli allevatori dei bachi, che vedono mancare di giorno in giorno la foglia, proprio in questi momenti più critici. Non bisogna confondere questa ruggine, coni' altra più comune alterazione della foglia dovuta alla fersa. La fersa dipende da vicende meteoriche, e nelle sue macchie di secchereccio non offre traccia alcuna di micelio fungino. La ruggine invece è dovuta alla presenza di un fungillo, visibile anche ad occhio nudo sulle pustolette brune, che occupano il centro e il contorno delle aureole giallicce di cui va irregolarmente chiazzata la foglia, emergendo a guisa di cupolette tanto sulla pagina superiore, quanto sull' inferiore. Le spore del fungillo coprono le suddette pustole, irradiando dal centro, coli' aspetto di una fioritura bianca farinacea. L' avere di spesso confuse 1' una coli' altra la ruggine e fersa recò molta confusione nella letteratura di questa malattia. 11 che torna del resto spiegabile, quando si avverta, che, solo di malattie dovute ad altrettanti diversi fungilli, il Timmen ne annovera ben trentasei sulla foglia del gelso. Non abbiamo però punto da fare con una malattia nuova; anzi tutt' altro ! Coi nomi ora di Nebbia, ora di Bruciatura, ora di Seccume, di Macchie, di Fersa, e di Ruggine, se ne parla dal 1814 in poi. Primo a discorrerne fu il celebre Carradori, che 1' attribuì alla Peziza nebulae, molto probabilmente identica all' odierno Septogloeum Mori, la seguito i micologi le cambiarono nome molto di frequente, dando così origine ad una fioritissima sinonimia, che annovera, tra le altre, le denominazioni di Septoria Mori, di Septoria moricola, Cheilarin Mori, Fusarium maculans, Fusarium lateritium, Fusisporimn Mori, Plileospora Mori, Sphae-rella Mori. ecc. ecc. Nel 1842 se ne occupò il Congresso agrario di Torino, sopra referato del Coppa di Novara. Nel 1843 una primavera umidissima ne provocò una micidiale infezione su quel di Treviso ; che però, nel successivo 1844, in grazia dei venti grecali, ebbe del tutto a sparire. Nel 1846 era ormai divenuta generale iu Francia, in Germania, in Inghilterra, in Austria e iu tutta l'Italia. Dopo il Carradori la studiarono botanicamente il Turpin, poi il Bérenger, l'Amici, il Babenhorst, ed ultimamente il Passerini, il Garovaglio, il Cornu, il Comes, il Saccardo, il Berlese, il Briosi e il Cavara ; mentre ne scrissero sotto l'aspetto agrario Bellani, Sandri, Ridoltì, Cuppari, Gera Salvani ed altri moltissimi. Dalle osservazioui fin qui fatte, parrebbe che le varietà di gelso a frutto rosso e a foglia più consistente ne vadano meno danneggiate. Invano cercammo qualche cenno sui rimedii contro questa malattia. Anche i più recenti autori confessano di non conoscerne. La pluralità nou ammette che la foglia rugginosa possa nuocere ai bachi; e ciò adducendo il fatto, che le parti ammalate vengono rifiutate e vanno tra i rosumi. Però questa ragione non ci appaga del tutto. Riflettendo alla particolare biologia del fungillo, non si può infatti escludere, che le parti della foglia ancora apparentemente del tutto sane all' esterno, sebbene già invase dal micelio nei tessuti del mesoiìllo, sotto all' epidermide, non vengano consumate dai bachi, e non ne alterino le funzioni dell'appararato digerente. La disseminazione del malanno è rapidissima, sebbene sempre molto irregolare, in guisa da vedere talvolta colpiti solo saltuariamente 1' uno o 1' altro dei gelsi contigui, od anche solo qualche ramo. Le spore germinando emettono dei fili micelici, i quali, penetrando per le aperture degli stomi della foglia nell'interno del mesofillo, ivi si diramano all'ingiro, e si intrecciano, in modo da dare origine a dei concettataceli cupoliformi ed aperti che rappresentano i peritecii, dai quali escono in ultimo le nuove spore, a traverso l'epidermide stracciata della foglia, raccolte generalmente in masse fiocconose, che poi si disperdono all'intorno per disseminare il male sulle altre parti ancora sane. L' irregolarità con cui il male si propaga da ramo a ramo, e da gelso a gelso, farebbe supporre che perla normale germinazione delle spore occorrano speciali condizioni di ambiente, non sempre presenti, e forse artificialmente rimovibili. Da ciò, e dalla conoscenza della biologia del fun-gillo qui già rapidamente riassunta, si può desumere qualche lume per tentare 1' applicazione di un rimedio. Distingueremo pertanto i mezzi curativi, da quelli preventivi. Trattandosi di un fungillo che vegeta col micelio nascosto sotto ali1 epidermide della foglia, ci ritroviamo anche qui al caso identico della cura delle viti perono-sporate ; e cioè con poca probabilità di arrestare lo sviluppo del micelio sull' interno della foglia, stante la difesa frapposta dall' epidermide. Avvelenare le parti ancora sane, in modo da impedire la germinazione delle nuove spore ; ecco il metodo che ci sarebbe suggerito dalla cura contro la peronospora, come si sa, virtualmente preventiva e non già curativa. Attesa però la rapidità del diffondersi del male in primavera, dubitiamo che questi trattamenti in presenza del fungillo già sviluppato sull'interno della foglia possano tornare di molta efficacia. Per altro verso, trattan-tandosi di un malanno che difficilmente si ripete da un anno all' altro, pochi si persuaderebbero ad applicare la cura ogni anno in primavera, col rischio di anticipare inutilmente la spesa e la fatica. L'applicazione del rimedio quale cura preventiva sulla foglia da consumarsi dai bachi supporrebbe poi già risolta la questione della inocuità del trattamento rispetto all' esito degli allevamenti. Queste condizioni sarebbero invece eliminate per la cura preventiva della seconda foglia, solo eccezionalmente adoperata negli allevamenti bivoltini. Se non che mentre il Saccardo opinerebbe che la ripetizione della ruggine, molto frequente in autunno, sia dovuta ad una seconda forma della ruggine primaverile, ma sempre ad una sola e medesima specie di fungillo, e quindi alla germinazione degli organi di moltiplicazione lasciati dalla ruggine di primavera; il Passerini invece vorrebbe attribuire la ruggine della seconda foglia ad una specie diversa di fungillo, da lui denominata Septoria moricola per distinguerla dalla Septorìa Mori della ruggine di primavera. Se la diversità trovata dal Passerini si avverasse, la ripetizione della ruggine sulla seconda foglia sarebbe del tutto indipendente dalla presenza dell' altra specie di fuugillo che colpisce la foglia in primavera, e quindi non si potrebbe stabilire rapporto alcuno tra la cura dell'una e dell'altra forma di ruggine. Ad ogni modo la preservazione della seconda foglia dagli attacchi del male sarebbe sempre da consigliarsi nell'interesse della vitalità dell'albero, per cui già torna tanto pregiudizievole la necessità di privarlo della foglia primaverile. Sebbene la ruggine autunnale non faccia cadere le foglie, come lo fa quella di primavera, ed in generale si mostri meno dannosa al fogliame, tuttavia sarebbe inconsulto, nelle località più attaccate dalla malattia, di non prendere nessuna precauzione contro il possibile ripetersi del malanno in autunno. La raccolta e la distruzione col fuoco, del fogliame infetto e caduto dall' albero, e quella pure dei rosumi della foglia malata, potrebbero in parte giovare allo scopo. In mancanza di dati positivi, e coli' intendimento di sperimentare qualche cura di più probabile efficacia, noi già abb'amo attivato nel Podere sperimentale di Parenzo una serie di rimedi, trattando una siepe di gelsi fortemente rugginosa, come segue : 1. Trattamento con una soluzione dell' 1 per cento di solfato di ferro nell' acqua, cospergendone il fogliame coli'irroratrice Vermorel ; 2. Trattamento consimile con una soluzione di solfato di rame nell' acqua al 3 per mille ; 3. Aspersione colla poltiglia bordolese al 2 per cento di solfato di rame e di calce ; 4. Testimonio. Contemporaneamente cercheremo di condurre delle prove comparative, somministrando ad altrettanti lotti di bachi la foglia di ogni singolo trattamento, di confronto col testimonio, per rilevare la probabile inocuità della foglia così trattata. Inocuità che ne parrebbe fino d'ora dimostrata dal fatto, che anche colà dove ai gelsi vanno maritate e frammiste delle viti ad alto e a basso fusto, i trattamenti centro la peronospora coi sali di rame non ebbero finora a sollevare lagni di sorta da parte degli allevatori di bachi, malgrado che i gelsi vi vengano inevitabilmente spruzzati colle irroratrici ad ogni trattamento. Queste prove preliminari saranno ripetute sulla seconda foglia, in attesa di constatarne gli effetti nell' eventuale ricoparsa della ruggine nella ventura primavera. Se qualche gelsicoltore ci venisse in aiuto per ripetere queste od altre prove nelle località più importanti dal lato bacologico della nostra Provincia o del di fuori, ci farebbe cosa sommamente grata ed utile ; e noi ben volentieri saremmo pronti per tutte quelle dilucidazioni, che si desiderassero sul modo di istituire e di condurre siffatte utili ricerche comparative. Si tratta di malattia di vecchia data, dannosa solo in certe annate, e quindi una gravità soltanto relativa, rispetto ad altri mali ben più esiziali. Tuttavia, non conoscendosene ancora un rimedio sicuro, e recando essa dei danni non trascurabili, per quanto saltuari e limitati ; questa ruggine del gelso merita essa pure che si tenti il modo di preservarne dai danneggiamenti le impian-tazioni e le bacherie. — Sarà altrettanto di guadagnato iti queste annate in cui certo non soverchia 1' abbondanza. Parenzo, 55 maggio 1S94 HUGUES —----—■--- Appunti bibliografici Varia. Guardando, leggendo, appuntando. All'amico; al traduttore di Silio Italico il primo posto. — Alcune odi di Q. Orazio Fiacco con un saggio di traduzione di Onorato Occioni. Città di Castello. Lapi 1S94. Dire dell'Occioni poeta, e commendarne la venustà della frase, l'artifizio del verso, e l'efficacia dello stile sarebbe, per dirla in lingua povera, come portar cocci in Aquileja, ed avellane a Rovigno. Dirò adunque di alcune doti di questa traduzione; dell'italianità cioè, e della giusta misura per cui l'autore in una traduzione dal latino seppe guardarsi da due estremi opposti : la stringatezza soverchia e il troppo allargare il periodo. E quanto all' italianità, la debita lode deve attribuirsi piena al traduttore, poiché fedele al verso nostro, non si è lasciato da acclamati esempi, tentare a voltare in asclepiadei, saffici, alcaici e giambici ridotti alla moderna, i metri latini. L'occasione potea parer bella; e già vari imitatori abboccarono all'amo ; il vecchio poeta non tradì la sua musa e con entusiasmo giovanile può sempre ripetere : Ave, o rima. E fa piacere lo, scorgere con quanta amabile disinvoltura, la colga, dirò così, a volo, a rendere il pensiero oraziano quasi sempre senza frange, e senza attaccaticcio di frasi. Sono rime suggerite dal testo medesimo, come nelle due prime strofe dell'ode. 87 libro primo — saliari, pulvinari, — regina, rüina, o dedotte naturalmente dal concetto stesso ; fiori cresciuti su di un uuico stelo. Frutto di questa italianità poi è la tecnica del verso, e il libero movimento del pensiero nella strofa, la quale non è . nè troppo lunga, uè troppo breve. Se il numero dei versi fosse corrispondente a quello della strofa latina, V autore avrebbe peccato certamente contro la chiarezza e la venustà italiana. Perchè, (cosa questa mai abbastanza ripetuta oggi) la lingua nostra, esenzialmente analitica, avendo bisogno di articoli, e di verbi ausiliari, non può senza snaturarsi competere con la stringatezza latina. Ma d' altronde Tacito può benissimo consigliare anche oggi ai nipoti di non sfibbiare troppo il manto, nè di allargare con inutili svolazzi la drappeggiata sottana. L' Occioni batte la via del mezzo che è sempre la giusta, e va quindi sicuro. Così nell'ode prima del suo libro, alla strofa di quattra versi latini risponde una di cinque italiani. E se talvolta, come nella saffica, i versi sono di qua di là in numero pari, ecco che con beli' arte al quarto breve latino risponde uno lungo italiano ; e meglio che con un quinario si chiude la strofa con un settenario, ciò che è in perfetta regola ,con la metrica nostra. Viete norme, vecchi ferri del mestiere, si dirà, da certi novellini maestri che per amore del nuovo danno nello strampalato, e vorrebbero insegnare al falegname di pialare il legno colla cazzuola del muratore, e all' ortolano di cogliere i fichi in vetta con le stiaccine della stiratora. Conseguenza di queste due belle qualità d' or- dine tecnico, esterno, sono tutte le altre interne di fedele traduttore, e di valente fabro di ottimi versi, multa pumice expoliti direbbe il garbatissimo Catullo. Vegga, per dirne una, il lettore con quale spigliatezza l'Occioni sappia rendere le parole duplicate per dar forza al concetto del testo oraziano : hoc, hoc tribuno militumì — „Se tal, se tal, briccone Comanda una legione?" — Quid habes illius, illius. Chi resta, che di quella . . . .? Audivere Lyce, di mea vota, di Audivere Lyce. Li udirò, o Lice, i Numi, o Lice, i Numi Udirò i voti miei. Talvolta il traduttore si misura col suo grande campione, e si direbbe lo vinca Vis formosa vider i. Ludisque, et bibis impudens. „Parer bella presumi Trescando e strabevendo svergognata.. Così vogliono essere studiati i classici ; così s'intende il bello per Dio! Altro che le dissertazioni dei specialisti linguai ! Ma è proprio tutto perfetto questo saggio di traduzioni da Orazio ? si domanderà. Risponderò con Orazio stesso „. . . ubi plura nitent in Carmine, non ego paucis. Offendar maculis..........." Per gl'incontentabili, ecco qui, qualche appunto. La strofa seguente : Deliberata morte fer odor; Saevis Liburnis scilicet invidens Privata deduci superbo Non humilis mutier triumpho. Il concetto è un po' diluito Già ferma di morir, crebbe di audacia; Non volle esser portata A pompa trionfale Sopra liburna odiata Donna priva del regno, eppur regale. Il deliberata, si dirà reso fiaccamente col non volle; e troppo col crebbe; nè piace a tutti il Libur nis (popolo) cangiato in liburna (nave) ; sta il fatto però che tale era anche il nome proprio d'una specie di nave leggera. E perchè nell'Ode 16 Libro II i Medi sono cangiati in Parti? — Neil' Ode prima Libro III il carmina non prius audita è voltato così ......odi novelle Che senza esempio sono Se sono novelle, s'intende già che sono senza esempio. Necessità della rima può rispondere l'Oc- doni come il poeta di Matera a Sisto V, che lo ] condannò dieci anni alla galera. — Viti rotte dalla < grandine (pag. 25). Verberatae è ben altro. — < Dilapsam in cineres facem è concetto forte, arguto. { Il traduttore ci fa una giratina; e vede invece la < gioventù schernii le ceneri della face (pag. 91). i Alzate d'ingegno ! Ma bisogna essere lì a < lottare con la necessità della rima; il criticare è facile. Rimane adunque piena la lode al poeta di un : ottimo saggio di traduzione. S'arrabattino altri fedeli : interpreti a darci parola per parola il testo : il divino intanto s'invola „Nè può il giogo soffrir della parola" dirò col Manzoni. L'Occioni poeta ha capito il poeta, ed il divino rimase. Tra una valanga di romanzi, scesa dalla montagna col primo sciogliersi delle nevi, ecco un masso che sta : — I Maestri Comacini del Prof. G. Merzario (Agnelli, Milano 1894), due eleganti e nitidissimi volumi di oltre seicento pagine. È argomento di grande importanza. Nella storia dell'arte da molto tempo si disputa sull' origine, e lo sviluppo dello stile lombardo, della sua estensione, e dei meriti che i magistri comacini, gli antichi franchi-muratori, abbiano avuto in proposito. Anzi gli scrittori non vanno neppure d'accordo nel nome. I Francesi 1 chiamano questo genere d'architettura romanzo-bizantino, gl' Inglesi e gl' Italiani, lombardo. Altri, e con buone ragioni lo ritengono stile romano decaduto, ina poi sorto a nuova vita e modificato, secondo i costumi ed il clima nei vari paesi ; onde poi si ebbe il normanno misto all' arabo nella Sicilia, il bizantino coli' archiacuto e col moresco pure a Venezia. Quello che oggi è certo si è che i barbari nulla ci hanno a fare ; onde i nomi di longobardo, di normanno, di gotico, non significano già un particolare modo di murare inventato da detti popoli, ma piuttosto le varie modificazioni alle quali il romano decaduto andò soggetto nei paesi invasi dai popoli stessi. Ognuno vede come il libro del Merzario è adunque della massima opportunità. L'autore parla dei muratori comacini prima della dominazione longobardica, delle persecuzioni patite, delle loro escursioni all'estero e nelle varie regioni d'Italia, della loro influenza nella costruzione degli edifizi più insigni sorti tra il decadimento del romano, e il sorgere dell' archiacuto, il quale non sarebbe, in ultima analisi che un naturale sviluppo del lombardo, un effetto cioè dell'arco voltato sulla colonna, senza interposizione d'architrave, e della prima cupola bizantina e lombarda. E questi edifizi sono il Duomo di Trento, di Cremona, di Parma, di Ferrara, di Modena, di Piacenza ecc. ecc. Di tutto questo discorre il Merzario con piena conoscenza di causa dopo un' analisi accurata ed uno studio diligente dei documenti. Si aggiunga il merito della dizione. „Semplicità e chiarezza, scrive un critico, spontaneità e disinvoltura, proprietà e purezza, doti rarissime oggi negli scrittori,. si riscontrano in tutto il libro, e scorrete dalla prima all'ultima frase senza trovarvi una parola men che corretta, senza sentire il bisogno di togliere o di aggiungere, o di posporre o di anteporre un solo vocabolo ; ed instinlivamente ' tornate accapo dei periodi e dei capitoli per gustarli di nuovo." Fin qui il critico della Gazzetta letteraria di Torino N. 17. a. c. Domando perdono, ma in ciò non sono d'accordo con la Gazzetta. Che si senta il bisogno di rileggere i capitoli convengo ; ma non i singoli periodi. Quando questi sono oscuri e male costruiti allora sì, e non istintivamente ma pensatamente si prova il bisogno di rileggerli per capirli ; se il periodo invece corre, ci sentiamo trascinati a seguire l'autore, e così lo stile s'impadronisce di noi da sentire il vivo desiderio di andare avanti, sempre avanti : è questo il prestigio, e la dote essenziale di un libro. Mi scusi, il signor Polvara, ma questa è critica da padre maestro : anche i migliori e spregiudicati talora ci cascano. E neppure sono d' accordo con lui quando lamenta ,,che il Merzario vecchio non ha potuto seguire, per quanto uomo moderno, 1' evoluzione che in questi ultimi anni, rapidissima, ha portato anche nella letteratura un sofio potente di quel positivismo scientifico, che è senza dubbio destinato ad abbattere il vecchio edifizio costrutto sulle basi di un idea-libnio, che per non essere più in consonanza coi dettami della scienza, non può ora rappresentare nè bello nè arte, imperocché senza verità nè bello nè arte è possibile. " E per vero, seguire il progresso ; accettare le scoperte della scienza certo è un dovere : vecchio dei mestiere anche io mi sento ogni giorno uomo nuovo, e studio per non lasciarmi pigliare la mano ; ma quando mi veggo dalla corrente trascinato fino ad un certo punto, m'inchino anche al vecchio, adoro l'ideale e la ragione stessa mi grida: l'alto là, di qui non si passa. E nel caso concreto, parlando d' arte, e degli ideali che inspirarono i vecchi maestri comacini ad inalzare chiese e badie, e a simbolleggiare in così ricco e vario modo il pensiero religioso e politico dei loro tempi, si voleva forse che il Merzario, per non offendere i nuovi dogmi di una scienza talvolta pedantesca ed intollerante, rinnegasse le basi dell'idealismo? Senza verità non e' è nè bello, nè arte ; concedo ; ma tutto sta intendersi sul concetto della verità. Quid est veritasì domandò già quello scettico di Pilato. E per me che ci credo, tanto è verità un libro del Mosso, e del Lombroso, quanto, ed anche più, il soprannaturale, che inspirò P arte nel medio evo, e la inspirerà sempre finché nell' uomo durerà il sentimento. O vorrebbe forse il critico spiegare i miracoli dell' arte con la tensione dei gruppi di cellule che hanno elaborato nel cervello l'idea, e sentono il bisogno di scaricare l'eccitazione loro sui centri minori, e sui polpastrelli delle dita trattanti la sesta od il pennello? Con questi principi saremmo ancora all' arte preistorica, e alle capanne dei selvaggi, ed all' architetto basterebbe andare a scuola dalle sciraie e. dai castori. Lode adunque al Merzario uomo vecchio e nuovo nello stesso tempo, in che consiste oggi il miglior encomio si possa fare ad un scrittore. L'opera sua voluminosa ed elegante non è certo per tutte le borse, ma i ricchi, e le biblioteche la vorranno acquistare, e diffonderla così nel popolo quale, una sana, robusta e dilettevole lettura. Ed ora avrei a dire di molti libri nuovi veduti dai librai, ma riserbandomi di farlo altra volta, mi giova trattenere il lettore ancora sul P opera del Merzario, per tirare il discorso su cose istriane. Abbiamo noi esemplari di stile lombardo ? Rarissimi, rispondo, e per due ragioni, per la prevalenza dello stile bizantino, dopo gl'illustri esempi di Parenzo e di altre nostre basiliche della prima maniera; e per le infelici sorti del paese nei tempi in cui fiorì altrove l'architettura lombarda. Qua e là però ne rimangono vestigia nei dettagli, come in qualche capitello di San Giusto, e nel Duomo di Pola. E per quest' ultimo, non accettando l'opinione del d'Agincourt, e riferendomi a quanto già ne ha detto dottamente il Preposito Cleva, faccio pure qualche riserva. La sesta lombarda vi avrà fatto capolino ; ma come provarlo oggi dopo tante rovine a cui andò soggetto quell' edifizio — rebus? Anche in San Francesco di stile archiacuto a Pola, converrebbe cercare, perchè in generale le chiese francescane sono di stile transizionale, e presentano spesso un misto di lombardo e di archiacuto. Il solo edifizio di stile lombardo è in Istria P antica basilica di Santa Maria de Castro Muglae, cioè di Muggia vecchia. Vegga il lettore quanto ho già scritto in proposito nella Provincia (16 Gennajo 1885). Solo aggiungo che, viste le tavole e gli studi dell' egregio Dr. Pulgher, e precisamente gli archi voltati non già sopra colonne, nè su grossi piloni come nelle chiese lombarde, ma su semplici e rozzi pieddritti, conviene conchiudere essere detta basilica stata innalzata in angustia temporum intorno al mille; sulle rovine di anteriore basilica di stile bizantino. Detti pilastri però non rivestono le colonne prime, come già avea supposto ; nè c' è il caso di tentare un saggio, già praticato felicemente in San Lorenzo di Lodi, qualmente da me fu esposto nella Provincia nell' articolo citato. L'ambone poi e gli altri ornati preziosi del coro sono di stile lombardo, e bizantino, e d'opera anteriore. Non ho avuto tempo di esaminare il Merzario, per vedere se di questo nostro edifizio tiene parola nell'opera; a suo tempo ne terrò informato il lettore. P. T. Proverbi ladini e lodigiani raffrontati (Continuazione ; Vedi N. IO) 95 véit plui kuàtro ògli, Ved pussè quator oeugi ke no dói. che du. 97 far e dizfar ze dut un Fa e desfa 1' è tutt laurà. lauràr. 98 Ki a fat el plùi, fai Chi ha fai el pu ch'el anca el mank. faga anca el mane. 99 Ki ke lavóura ga una Chi lavura pan e sigula, camiza, e ki no lavóura ge chi lavura mai, pan e formai. n1 a dói. 101 óni pei intelkul pàra Ogni pe in del cui el inàint. para inanz. 103 Ki plui spiént, mank Chi pu spend men spend. spiént. 104 Ki ten per la spina, Ten de cont della spina, spant pel bokón. e lassà andà dal cocon. 105 Ki a de zier, vadi, Chi voel vaga, chi no ki no a de zier, màndi. voel manda. 110 carta canta e vilàin Carta canta, villan dorme, duór. 111 kóint spes e misisia Conti spessi, amicissia lónga. lunga. 112 ki dà roba in kre- A dà la roba in credensa, dènsa spàsa ròba asài, piért se resta sensa. P ami k e bes no ga mài. 114 tiénp e pàjasema- Cultemp e culla paja ma- durìs li néspuli. ruda ancha i nespui. 117 ki gadébi't, gakrédit. Chi ga debit, ga credit. 119 ki fa il kóint sensa Chi fa i cunti sensa Post, P óst, lo fa dói vólti. ia fa du volte. 121 una man lava P altra, Una man lava l'altra, e dòti dói lava el mustas. 128 bizuna viguer e lasàr Bisogna viv e lassà viv. viguer. 132 no se póu servier No se poeul tegn el pe doi paróins, e anca: no se in du scarpe, póu star sentàs su doi skanéi. (Continua)