ANNO XVII. Capodistria, 16 Novembre 1883. N. 22. DELL'ISTRIA Esce il 1" ed il Itì d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3: semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Ua numero separato soidi 15. — Pagamenti anticipati. La società politica i Ci scrivono: L'interpellanza dell' Istria (X. 96) sull'azione del comitato per la società politica, fu fatta a proposito: ed in conseguenza, nel successivo numero dello stesso periodico, da olii era in grado di saperlo,- veniva assicurato che gli statuti furono presentati alle autorità competenti per l'approvazione. Ma la tema dell' Istria che vi possano essere oppositori nella nostra provincia al progetto di società ; e il dispiacere di non scorgere viva intorno al progetto stesso una discussione, di non vedere per lungo e per largo vagliata la questione, mi paiono esagerate. Il dubbio desolante dell' e-gregio articolista dell' Istria sulle sorti della società, dopo aver detto che gì" Istriani „ devono arrossire della propria ignavia." che „siamo la Beozia delle genti civili," e che „ dovremmo prendere esempio dai barbari dell'oriente" . . . diavolo ! è un po' troppo nero, e se avessi vent' anni, scriverei qui con altrettante frasi roboanti e col sangue in ebollizione davvero ; ma ne ho più che il doppio, e mi pare invece non disutile, ed allo scopo di intenderci, fare qualche riflesso sulla situazione e su ciò che si può sperare e si deve attendersi della società politica. D' accordo pienamente sulle condizioni straordinariamente difficili della nostra provincia oggi, domando se sia poi questa la prima volta che ci troviamo di fronte alle avversità ; e siccome noi, non vecchi, ricordiamo tempi se non più, per lo meno,come questi, difficili, sappiamo anche che non ci è venuta mai meno la forza e non ci siamo smarriti; e se pur vogliamo ammettere che il pericolo, oggi minaccia più serio, dobbiamo riconoscere che sono anche più larghi e più potenti i nostri mezzi di difesa. Non siamo più soli nella lotta: la forte Trieste è con noi, e vorremmo vedere chi ci metterà il ginocchio sul petto. Con ciò non ' intendo dire che si possa finalmente pigliar sonno, e chi e dove si può farlo al giorno d' oggi che V excclsior è la bandiera di tutti i popoli civili? E non è vero che qui si dorme ; guardiamo. L'Istria che si pubblica a Parenzo e che è sostenuta da tutti i migliori patriotti ed è di tanto giovamento alla nostra causa, non è forse una manifestazione recente della nostra forza ? Un episodio non inglorioso della lotta? E la dieta provinciale e la giunta che testé gl'Istriani hanno posto a difesa dei loro diritti non è manifestazione di forza, azione, risultato di lotta aspra? E non sono forse tutti i municipi in mano nostra, tutte le amministrazioni e le società di mutuo soccorso sparse anche nelle piccole borgate? E non è questo l'effetto degli adopramenti concordi e perseveranti di tutti noi ? Ma che si spera di poter ottenere più ancora con la società politica ? Io non ispero molto di più, ma faccio voti che si conservino i vantaggi che abbiamo, e credo che le vittorie si otterranno con minore spreco di forze, e con maggiore sicurezza, e che dal sentirsi uniti, noi stessi daremo vita a una nuova forza che si adoprerà secondo 1' occasione a vantaggio comune. Io sono convinto che la società politica sia accettata da tutti, ma che nessuno di quanti ne comprendono F essenza, s'attenda da essa aperta un' èra di nuove imprese, di uua vita febbrile come alla vigilia di grandi avvenimenti, e perciò la mancanza di vive discussioni, di vagliature e di esami profondi del progetto stesso ; e la mancanza pure di sacri entusiasmi, essendo in grandissimo numero tutti persuasi clie si continuerà, anche dopo costituita la società, 1' azione già da lungo tempo intrapresa perseverante, minuta, in tutte le pubbliche amministrazioni, e nient' altro. Ai nostri tempi qualcosetta si è fatta, e senza la società politica costituita . . . ma tutti d'accordo stretti ad un patto ; ora la vita costituzionale esige la società politica dichiarata, aperta; facciamola adunque nel nome di Dio, siamo tutti d' accordo ; e non andiamo alla ricerca di programmi di attività, come conseguenze necessarie di una nuova forma di affratellamento. La maggior forza, che è il risultato della unione delle forze, verrà da sè, dopo che saremo uniti. Ecco la mia formula; io intendo che i pa-triotti della provincia si uniscano iu società per continuare perseverantemente l'azione da loro condotta fin oggi in seno ai municipi, e nelle pubbliche amministrazioni con un intendimento comune: col maggior ordine e con la maggior efficacia, che deriva sempre dall' unione delle forze. Ed ora due parole sulla organizzazione sociale. Sento ripetersi la solita vecchia questione, che io paragono a quella — mi si passi lo scherzo — non ancora risolta, se sia nato prima l'uovo oppure la gallina; voglio dire diquelli che discutono sali' avvenire della società secondo che, dicono gli uni, la direzione saprà imprimerle il moto; o secondo che i soci, dicono gli altri, sapranno muoversi e dar vita alla direzione esecutrice dei loro mandati. La discussione è oziosa, non occorre dirlo ai nostri lettori, e tutti sappiamo che a capo delle cose pubbliche occorrono uomini di fede provata, di attività molta, e di molta capacità. La direzione dovrà studiare con diligenza e sopra luogo le condizioni di ciascuno dei nostri maggiori comuni, in maniera da poter poi raccogliere nel luogo della sua sede, le fila, che muovono con giusta misura ed in tempo tutti gli affari ; come un buon generale dovrà conoscere tutte le forze di cui dispone, ed il terreno dove si dovranno manovrare. 11 segreto dell'attività sociale, secondo me, è tutto riposto in questa perfetta conoscenza del paese da parte della direzione ; e si avrà raggiunto pienamente il nostro scopo quando i signori soci si manterranno devoti allo spirito di concordia, ed alla disciplina di partito. Ricordiamoci tutti in fine che la società dovrà essere palestra di attività illuminata e di ogni civile virtù. Eccovi le. mie idee, e se vi sembrano meritevoli di riflesso, pubblicatele nel vostro periodico. Una gita alla grotta del Monte Spaccato Assai interessante è la descrizione che leggemmo nell' Indipendente intorno ad una ardita escursione eseguita dagli alpinisti triestini sull' altipiano del Carso, e intorno ad uua più ardita discesa nella grotta, che chiameremo del Monte Spaccato, per essere situata poco lungi da quel monte. L'amore per le gite alpestri, tanto vivo nella gioventù di Trieste, dovrebb'essere stimolo alla gioventù istriana, (lo ripetiamo e lo ripeteremo sempre lino alla uoja, sempre per la grande importanza dell'argomento) a non dimenticare la nostra giovane società alpina, le cui direzioni peraltro, dobbiamo dirlo, tentarono con ogni zelo fin da quando ebbe vita la società istriana di promuovere escursioni, le quali ebbero quasi sempre esito infelicissimo ; ricordiamo, se non altro, quelle di questi due ultimi anni. Chi non avesse letto la descrizione dell' Indipendente; la legga qui oggi come la riportiamo, togliendola per intero dal giornale succitato. Non albeggiava ancora, quando su per 1' erta e faticosa salita del monte la squadra trascinava una quantità di scale a corda ed altri attrezzi, risoluti di strappare all' immane caverna il suo profondo mistero. Alle ore 6 1/2 circa, ogni cosa era deposta all'ingresso dell' antro, ove nulla palesa la magnificenza dell' interno. Accesi i lumi e dato un addio al giorno nascente, incominciarono ad inoltrarsi. Aprivano la marcia i più esperti del luogo ; altri s' occuparono delle misurazioni ; due villici del Padriciano aiutavano il trasporto delle scale, delle corde e di altri utensili. Sino a mezzo chilometro circa dall' imboccatura della caverna conduce un sentiero ingombro di sassi, ma punto pericoloso; poi principia veramente la grotta co' suoi antri profondi, colle sue vòlte immense, coli' opera meravigliosa dei secoli. Alle ore 10 '/2 il convoglio giungeva a 55 metri di profondità in linea perpendicolare dalla superficie del suolo ; e qui principia il primo pozzo. Assicurata la scala ad una robusta stalagmite sull' orlo del pozzo, discesero in una profondità di circa venti metri, lasciando a guardia della scala uno dei villici provvisto del necessario. Un antro tortuoso e di cupo aspetto conduce per lungo e scabroso giro ad uno stretto passaggio formato dalle due muraglie della grotta, tanto vicine l'una all'altra, che a mala pena vi passa un uomo. Sulle pareti si leggono varie date e vari nomi: una data è del 1806. Sopra un masso giacente nel mezzo di quest' antro si scrisse : Alpinisti triestini. 28 ottobre 1883. ore 11 Va e. m. I giovani, non senza fatica, procedettero, sdrucciolando, sino all' orlo di una immensa voragine di un diametro, di circa 46 metri. Qui principia il diffidi passo. Essi guardano 1' aneroide: sono a 120 metri di profondità. La magnificenza del luogo, la maestà della vòlta che li copre e V abisso imponente e nero che si a-pre loro dinanzi, li invita a far sosta e rifocillarsi con un buon pranzo. Dall' ampia volta pendono lunghe stalattiti, alte colonne s'innalzano dalle pareti sinuose. In una nicchia, di squisito lavoro, stagna un' acqua limpida e fresca; dinanzi un piano inclinato e lubrico, irto di stalagmiti ; più in là — nel mezzo — una rupe, e poi voragine nera, incalcolabile. La squadra voleva visitarla ad ogni costo, ma i lumi incominciavano a mancare. Tuttavia essa azzardò una visita in un sentiero laterale, per vedere dove andasse a finire. Salirono, girarono e rigirarono, e giunsero in una vasta, magnifica sala. Qui non traccia di lavoro umano; sembra che mai persona abbia visitato questo luogo incantevole. Volevano visitarlo fino alla fine, ma fu d' uopo discendere. Segnarono i nomi sulla roccia che sta a picco, e ritornati al luogo di riunione, s' accinsero al ritorno. Dopo alcune ore respirarono l'aria libera, e, meravigliati, s' avvidero eh' era già notte. Avevano passate 12 ore nella caverna, e chissà quante ancora sarebbero occorse per esplorarla intera. Per questa volta una profondità di 120 metri; un' altra, se il coraggio ed i mezzi non faran difetto, speriamo che spazi più profondi avranno il saluto degli alpinisti triestini. LUCIANO da LOVRANA celebre architetto del secolo XV Lettera aperta al signor V. B. Zara Prima di tutto, egregio signor V. B., lasci che le stringa io pure affettuosamente la mano al di sopra delle azzurrine onde del Quarnero, Che Italia chiude e i suoi termini bagna. Nella dolce comunione degli spiriti i seni, i golfi ed i mari non hanno potere di separarci, nè i monti alzano barriere ; possiamo adunque anche lontani amarci e rispettarci a vicenda, benché di contraria opinione. Ciò premesso, all' argomento. La sua lettera (stampata nel Numero 20 della Provincia) nella quale ella sostiene con la sua tabella che il Laurana non è di Lovrana nella Liburnia, ma di Vragna nella Dalmazia mi fece 1' effetto di uua tegola sulla testa, perchè io riteneva incontrastata la patria del Laurana. Di fatto la prima spinta a dire di questo celebre architetto mi venne da una nota letta a caso nel Vasari, ove si leggono queste precise parole: — .Maestro Luciano Martini di Laurana ossia di Lovrana, piccola città dell' Illirio" — ecc. (Vasari ediz. Le Monnier. Vita di Brunel-lesco pag. 241. Volume III). Subito mi rivolsi al Caffi, che in tale materia è un' autorità, e questi tosto, dandomi qualche altra indicazione, mi scrisse: — „Luciano da Laurana, ossia di Lovrana, città del regno illirico, circolo di Fiume, signoria di Mitterburg con 600 abitanti (?) chiamata Lovrana d'Istria." — Dico questo, perchè se io avessi saputo che anche i Dalmatini hanno argomenti per ritenerlo dei loro, prima di mettermi allo studio, avrei fatto ricerche, o certo avrei accennato anche a questa circostanza. Cinque sono gli argomenti, indiretti tutti, coi quali il signor V. B. sostiene che Luciano è dalmatino. I. Il passaggio incredibile del padre di Luciano da Zara a Laurana d'Istria non provato da alcun documento. II. Il fatto che quasi tutti gli scrittori italiani, che parlarono di Luciano lo dissero schiavone, oppure da Laurana di Schiavonia. III. L'etimologia di Vragna che può benissimo derivare da Aurana, Urana Laurana, mentre è difficile derivare Lovrana da Laurana. IV. La tradizione costante presso gli scrittori dalmati la quale vuole che Luciano fosse di Vrana. V. Le relazioni politiche e commerciali della Dalmazia col reame di Napoli che spiegano la venuta di Luciano nel reame, come si ha da un passo di Bernardino Baldi nella sua — Descrizione del palazzo d' Urbino. Ad primum. Ritorco l'argomento contro l'oppositore. Mi dimostri egli prima come sia storicamente probabile il passaggio di Martino, da Zara in un remoto castello di terraferma tra i monti ai confini del Turco, a venti miglia da Zara ; e così lontano dal mare che a quei tempi era quasi 1' unica strada della civiltà e dei commerci. In questo senso minore la distanza, da Zara a Lovrana d'Istria, benché tanto lontana. Il passaggio di Martino a Lovrana è poi storicamente probabile, ossia supponendo una di quelle repentine cause per le quali anche nel secolo XV un galantuomo qualunque, un artista, fosse al servizio della Serenissima, poteva da un momento all' altro sentire il bisogno di caugiar aria, oppure immaginando inviti di conti e signori offerenti lavoro all'artista. In questo secondo caso probabilissima storicamente è l'andata di Martino a Lovrana. Faceva questa parte della Contea di Pisino ; un Della Torre ebbe dall' Imperatore Federico Laurana e Bersez nel 1447. ') La data è un po' vecchia al caso nostro ; ma vale sempre a rendere probabile 1' andata di un artista in paese feudale, dove in quei tempi c' era un gran da fare ad erigere su pei monti e sul mare bicocche e castelli, dei quali anche oggi è piena tutta quella regione. E che nella famiglia di Martino ci fosse 1' abitudine di girare, secondo le varie occasioni offerte di lavoro, è ammesso dall' oppositore medesimo, che fa viaggiare Luciano da Vragna a Napoli, e da Napoli ad Urbino. Mar tino adunque, molto probabilmente ingegnerò di castelli, da Zara passò nella contea di Pisino, soggiornò a Lovrana, comunicò 1' arte sua al tiglio, e con 1' arte le abitudini di cangiar dimora; e perciò questi, da Lovrana, lo vediamo venire foi ■se a Yeuezia, a Napoli certo, quindi, poi ad Urbino, da ultimo a Pesaro dove morì. La venuta adunque di Martino a Lovrana è credibile, credibilissima anche senza carte che lo indichino : invito però i miei comprovinciali sul luogo a cercare nelle carte dei vecchi castelli della contea e specialmente nell'Archivio del castello di Pisino, qualche documeuto pe.' avere anche la prova di fatto. Ed ora alla seconda questione. Quasi tutti gli scrittori italiani che rammentano Luciano lo dissero schiavone oppure di Laurana di Schiaro-nia. Dunque Luciano fu dalmata, couchiude il Signor V. B. perchè gì' Italiani designavano così i Dalmati. Ma anche gì' Istriani venivano chiamati Schiavoni aggiungo subito io. Il celebre fra Sebastiano intarsiatore veniva chiamato el laico Schiavon de Santa Lena, o fra Schiavon. Per fortuna che lo sappiamo nato a Rovigno, e che negli Annali Olivetani sta scritto — Venetiis obiit 1505 . . . fr. Sebastianus de Histria conversus. E troppo nota la celebre cantonata, presa da i dotti italiani del congresso di Venezia, che, ,venuti nel 1847 in gita di piacere a Pola, vi >': 1) IBe'FraùeesàÙ - L' Istria }iag. 398. salutarono la Dalmazia per bocca di Cesare Cantù. Ab uno disce omnes. E lo stesso dicasi di Scliia-vonia. Benché però moltissimi confondessero l'Istria con la Dalmazia, e designassero col nome generico di Schiavonia tutto il litorale superiore dell'Adriatico e i luoghi vicini; pure molti scrittori veneti ed italiani sauno benissimo molte volte distinguere tra Istria e Dalmazia, e col nome di Schiavonia indicano l'Istria austriaca, e il litorale croato sotto Fiume ; di là dal Quarnero. Di ciò potrei citare esempi sopra esempi, basti il seguente. „ — La Istria, per le ottime sue condizioni, meritò aneli essa di essere uno dei membri della nobilissima Italia, della quale è Vultima regione, terminando il suo fine il fiume dell' Arsa, che sbocca nel Quarner, et divide essa Istria dalla Schiavonia (Vedi la Relazione di Marin Ma-limpiero Provveditore dell' Istria) ')• E così pure nel Manucci, e nel Sarpi, e in quasi tutti gli autori di libercoli di chiesa, che raccontando la ! leggenda delia Santa Casa, memorano la sua prima sosta in Tcrsato di Schiavonia. Se adunque gli autori parlano di Laurana di Schiavonia, ci offrono un argomento che è tutto in nostro favore. Argomento terzo. Io nou nego l'esatto procedimento etimologico che fa derivare Vrana da La Vrana, Laurana, Urana, Aurana. Dico solo che senza alzate d' ingegno la nostra Lovrana viene da Lauriana o Laurana, come si dimostra facilmente non con processi etimologici, ma con documenti storici che tagliano, come si dice, la testa al toro. Nel 1609 il comune di Lovrana presentava ai commissari arciducali la seguente supplica : -IQ .mi S. S. Commissari . . . Homo non può dire, chi è stato nel castello di Lourana et a chi è noto ecc. ecc. ecc. . . . Ed in calce Di V. V. S. S. 111.mi deditiss.i Sudditi — il Suppano, Con.ri et populo del castello di Lourana. plori]. 1,1, ottMlrfMa n#Ai „Nell'auno 799 il Duca d'Istria Enrico fu ucciso sopra Laurana in un' imboscata tesagli dagli Avari . . . La sua morte fu pianta dall' amico San Paolino patriarca di Aquileja con cantica, in cui il luogo della catastrofe viene chiamato Mons Laurentus ornato di viti, di melagrani, di fichi e castagni, onde anche oggidì è lieta Laurana." s) E sotto in nota i versi di 1) Notizie stól'iche di Pola. Parenzo 1876 (pag. 310) 2) l>e Franceschi. L'Istria pag, 425. 3) Item Itern pag. 85. Liburnum litus quo redundant maria Mons inimìct\ Laurentus qui diceris . . . Negli atti dei conti di Gorizia, esistenti nel-|l'archivio di Vienna, leggesi che nella divisione, avvenuta tra i fratelli nel 1342, ad Alberto vennero assegnati Mitterburg, (Pisino) . . . Galiae (Gallignana) . . . Lauran (Laurana) ecc. ') Nel 1447 Febo della Torre ebbe dall' imperatore Federico in affittanza la contea di Pisino coi castelli di Frajana. (Vragna), Laurana e Bersez. (Codice diplomatico istriano)2) Et de hoc satis ; chè a recare documenti per provare che Laurana e Lovrana sono il medesimo luogo, sarebbe come un portare nocciuole a Rovigno e melloni ad Isola. Di fatto Lovrana viene da Laurana, dai molti boschetti di lauro che adornano il pendio del monte; ed anche oggi si fanno belli di questa poetica origine del loro nome i Lovranesi, senza incomodare 1' etimologia, ed instituire una specie di processo filologico, come devono fare gli oppositori, per tirar Vragna da Vrana, Laurana, Urana, Auraua. Si osservi anche che in tutti quasi i documenti che parlano di Luciano leggesi Luciano Laurana. Magister l.ucianus Martini de Laurana, Lucian Lauranna hiiomo exceliente ecc. ecc. ... Ed è forse storicamente probabile che un uomo colto, iu documenti importanti, come nel testamento, abbia lasciato seniore scrivere ' A così il suo cognome, e non mai suggerito o Vragna, o Aurana o Urana, dato che fosse di Vragna ? Ma l'aver sempre scritto o lasciato scrivere Laurana è prova convincentissima per crederlo di Lovrana. Se fosse stato di Vragna, un qualche cambiamento del nome avrebbe potuto nascere di certo uua volta o l'altra. Invece sempre si legge Laurana, perchè un tal cognome viene netto, chiaro, limpido da lauro. E non solo questo nome fu scritto, ma anche inciso. Il Kukuljevic fra gli artisti ricorda un ljovranin Francesco [Laurana) fonditore e incisore del 15 secolo, (probabilmente fratello o parente di Luciano). Fece questi una medaglia di Luigi XI re di Francia, con sotto la scritta — Franciscus Laurana fecit. Non pare probabile uno sproposito di grammatica nel secolo del risorgimento, e inciso. Se fosse stato di Vragna avrebbe inciso correttamente Aurana. Un'ultima osservazione. Abbiamo anche noi una Vragna nell'Istria, nella Contea di Pisino, non molto lontana da Lovrana data, in affittanza 1) I)e Franceschi op. cit. pag. 373, 374. 2) Idem pag. 393. a Febo della Torre come si disse di sopra. E questa nel citato documento è detta Frajana, e in altri Frain e Goldsburg e mai Laurana, benché alcuni anche questa derivino da Aurania '). Più probabile derivi invece da vrana che in lingua slava, dicono, significa corvo. Passiamo alla quarta questione, cioè della tradizione costante presso gli scrittori dalmati. 10 rispetto le tradizioni, specie se popolari, quando hanno una qualche relazione storica ; ma dubito forte di quelle si creano dai letterati per loro uso e consumo. Quanto queste siano talvolta fallaci ne abbiamo una prova nel fatto dell'architetto del castello di Urbino del quale, sulla fede del Vasari, la costante tradizione dei letterati fece per tre secoli autore un altro, con danno della fama del nostro Luciano. Le prove I poi di quesia tradizione letteraria fornite dal j signor B. sono poche, perchè non risalgono ! che fino al 1855 ; cioè ad un articolo del Ferrari Cupilìi e al Dizionario biografico degli uomini illustri della Dalmazia di S. Gliubich. Di que-st1 ultimo cito per intero 1' articolo. B Luciano di Martino da Zara nacque nella I prima metà del quindicesimo secolo a Vrana, ! piccala terra del tenere di Zara, ma abbastanza ; illustre nella patria storia. Preso nell' età fresca ' dallo studio di pittura e di architettura, recavasi indi a poco a Napoli, allora in istretta colleganza colla Dalmazia per le ragioni ereditarie di quella corte alla corona ungarica, e vi progredì in quei rami di scienza talmente, che n' ebbe plauso alla corte stessa. Di quell' epoca si è la sua costruzione del magnifico fabbricato col titolo : Poggio reale di Napoli," come ci attesta 1' ab. Bernardino Baldi (f 1617. Versi e Prose. Venezia 1590) ed il Bianchini (Memorie concernenti la città di Urbino. Roma 1724) oggi più non esistente. E quantunque altri scrittori rechino che di tale egregia fabbrica fosse autore Giuliano di Mag-giano, pure la si deve piuttosto attribuire a Luciano, e perchè alla corte di Napoli era già salito in rinomanza, e perchè per tal ragione appunto quel re l'aveva offerto al Duca d'Urbino; 11 quale gli aveva fatta inchiesta di un valente architetto per la costruzione del suo palazzo. L' opera più insigne di Luciano si è infatti il palazzo ducale d'Urbino, parto del suo ingegno, come sappiamo da un ordine del Duca, segnato a 10 Giugno 1468 (Giov. Gaye. Carteggio inedito. Firenze 1839 T. 1 p. 214); dal suo con- 1) Vedi Luciani. Documenti per le trattative di vendita del contado ili Pisino in Istria, pag. 43. temporaneo Giovanni Santi padre dell' immortale Raffaello (Biblioteca vaticana Ott. Nov. Num. 1305) dai più sopra nominati Baldi e Bianchini, da Pietro Zani (Enciclopedia delle belle arti), e in ispecialità dal Padre Pungileoni (Cav. Cesare Saluzzo. Trattato di Architettura civile e militare. Torino 1841) il quale ritrovò la patente con cui il Duca Federico creava architetto del suo palazzo d'Urbino il nostro Luciano. Il Vasari 1' attribuisce a Francesco Martini Senese, altri a Baccio Pintelli; ma del primo fu opera una stalla per 300 cavalli, del secondo alcuni ornamenti esterni aggiuntivi dopo. Morì a Pesaro circa il 1482." Ora in questo articolo del Gliubich trovo un' inesattezza. Non è vero che Bernardino Baldi abbia scritto — Versi e prose a Venezia. Questi è il Bianchini ; e del Baldi invece è lo studio — Descrizione del palazzo ducale d' Urbino. Non intendo perciò di darne troppo carico all' egregio Gliubich che è scrittore erudito ; qui c' è un lapsus calami evidente. Inesattezza certo scusabile ; ma quando nello stesso Dizionario degli uomini illustri della Dalmazia, trovo fra gli illustri dalmati il mio Fra Schiavon da Rovigno, capisco il sistema subito, e la spiritosa invenzione della storiella di Frana piccola terra del tenere di Zara, patria di Luciano. E in quanto alla tradizione costante presso gli stranieri, gioverà ricordare che il Kukuljevic a caso vergine ritenne il Luciano di Lovrana, e che, per gli italiani che così all'ingrosso attinsero nel Dizionario del Gliubich, abbiamo il Caffi, il Padre Pungileone, e gli annotatori recenti del Vasari nelle edizioni Le Monnier, i quali a chiare note scrivono : — Luciano di Lovrana, piccola città del regno illirico ecc. ecc. Ed ora ad quintum, et dulcis in fundo. Il Baldi nella sua Descrizione del palazzo d'Urbino dice Luciano nato in Lovrana luogo della Schia-vonia. Ci mancava un documento con la forma Lovrana invece di Laurana-, ed ecco ci è fornita dal Baldi. E i Dalmati non potranno scambiarla in Frana perchè da Aurana si fece Urana Laurana la Frana e Frana; ma non Lovrana come nella lettera aperta ecc. ecc. Ed è possibile che nel regno di Napoli in così strette relazioni con la Dalmazia, non si sapesse distinguere tra Dalmazia e Schiavonia? Ma avendo il Baldi, fondato su tradizioni e documenti, studiati probabilmente in loco, scritto Lovrana luogo della Schiavonia è troppo evidente come volesse indicare appunto tutto quel tratto di paese sul Quarnero fuori della dominazione veneta, usando il termine preciso scelto anche dagli scrittori veneti officiali. Per ispiegare poi la venuta di Luciano a Napoli non occorre tirare in campo le relazioni della Dalmazia con Napoli : gli artisti accorrono dove e' è da lavorare. Concludendo, nella mancanza di altre prove di fatto che non si possono addurre nè da una parte, nè dall' altra, resta per ora dimostrata storicamente probabile 1' andata di Martino a Lovrana, filologicamente certo che Laurana è l'odierna Lovrana, e certissimo, per un passo del Baldi, che Luciano nacque in Lovrana luogo della Schiavonia cioè della Liburnia e non della Dalmazia. Ed adesso, caro signor V. B. mentre noi si sta qui in pubblico a dire le nostre ragioni pacificamente, tutto ad un tratto a me venne un pensiero : Chi sa mai quante insolenze si sarebbero scagliate a quest' ora un istriano ed un dalmato, se avessero trattato questa causa cinquant' anni or sono sullo stile dello Stancovich e del suo oppositore? Ma i tempi, grazie a Dio, sono mutati. In ogni modo la Dalmazia è ricca abbastanza per cedere all' Istria un suo grande ; e così viceversa l'Istria. Perchè, disse bene la „Provincia" o Istriano o Dalmatino, Luciano è sempre italiano, così era nel secolo decimoquinto espansiva ancora, e trasformatrice la civiltà latina, e tutto l'Adriatico lago veramente italiano. Mi voglia bene e mi creda Suo dev. P. T. Lodi 4 Novembre 1883. Archeologìa Pisino li 22 ottobre A Verino, un' ora distante da Pisino, alle falde del colle tratto tratto si scopriva qualche vaso di terra cotta. Questi vasi essendo di pasta ordinaria e da lungo tempo sepolti nel terreno, facilmente andavano in pezzi, e non offrendo nulla di singolare nè essendo adoprabili, nessuno si curava di cercarli. Non faccio menzione degli accidenti per cui venne il professore Moser a fare colà degli scavi negli ultimi del decorso mese ; però essendo nella Provincia stato fatto cenno in proposito, trovo di poter aggiungere alcune osservazioni, per dire qualche cosa, altri poi ne faccia più adeguata descrizione. Il villaggio di Verino sta sopra un colle, sul cui dosso le abitazioni possono trovarsi fuor del disagio di soverchia ripidezza. Nel medio evo era cinto di muraglia come tuta gli altri piccoli luoghi dell' Istria ; cosa non difficile per la poco ampia circonferenza. Gimmo però, forse perchè più esteso aveva solamente nel mezzo un recinto quadrilatero con torri agli angoli, che nel Valvalsor si legge denominato Tabor, e servir doveva a rifugio contro sorprese nemiche. Yermo era stazione preistorica. Le stazioni preistoriche degli aborigeni, rimaste in abbandono dopo 1' occupazione di popoli marittimi alla costa, e dei Celti in seguito, si riconoscono oggidì a colpo d' occhio per la posizione, pel terriccio nero cogli innumerevoli pezzetti di terra cotta, e la macìa risultante del muro di circonvallazione. Le stazioni preistoriche state occupate dai popoli sopravenuti e continuate ad essere abitate sino ad oggidì non offrono le anzidette caratteristiche così marcatamente: la macìa di circonvallazione sparì coli' erezione delle case ; il terriccio nero vi esiste, ma si può far 1' obiezione che poteva formarsi anche nei tanti secoli che scorsero dopo 1' età del bronzo, e che dopo quel-P epoca sino ai giorni nostri potevano pure derivare quei cocci. Chè certe fatture primitive si possano ripetere all' infinito quando per l'uso semplice non vi si esigano modificazioni; e così a Castelnovo d' Arsa in oggi vengono fatte pentole e recipienti di terra cotta, i cui frammenti si possono molto ben confondere coi cocci preistorici. Cotesti cocci devono dar nell' occhio. A i Corridico ne è disseminata tutta la costiera, così dirimpetto a S. Tomaso ; a Pedena sul Campo Curellich si vede molto bene sino a dove si e-stende il terriccio coi cocci su terra bianca. Oggetti di silice può dirsi non si rinvengono, perchè nei tanti secoli furono trovati e cercati per adoprarli come pietre focaie. L" ubicazione può essere molto indicativa. Le stazioni preistoriche si riscontrano sopra colli spianati che emergono come a dominare buon tratto di paese circostante; e le si scorgono in posizioni opportune sulle sporgenze di qua e di là 'delle vallate, o a cavaliere delle medesime, come sarebbe Yermo. In generale, dopo veduto una decina si ha tutta la pratica a indovinarne la posizione, la quale veniva scelta in luogo di non facile accesso, tranne da una parte pella comunicazione principale col circostante paese. Le posizioni più opportune a dimora furono occupate dal tempo degli aborigeni sino ad oggi, come si riscontra a Pedena, Gallignana, Lindaro, Bogliuno, Antignana, Corridico e non v' ha dubbio Yermo. Non si hanno traccie nè indizj nè probabilità che Yermo in tempi preistorici, romani e medioevali, abbia avuto maggior estensione abitata. La popolazione in oggi è di circa duecento e cinquanta individui; ne avrà potuto avere anche trecento, e nei tempi preistorici, finché non si sentiva maggior bisogno di spazio per la vita, ve ne poteva essere cinquecento ; poiché l'area dell' abitato è di circa centosessanta metri in lunghezza ed ottanta in larghezza. Il colle ha circa sessanta metri in altezza, ed ammesso che ai tempi preistorici una cinta si allargasse anche più giù della metà del colle dalla parte di meridie, a ricinto pegli animali, stante che dagli altri lati la costa va troppo ripida, ecco che veniamo presso la zona dove si rinvengono coteste olle cinerarie; e immaginando tra questo sepolcreto e l'abitato una convenevole distanza, vi risaltano i limiti dell' abitato come sono presentemente. Per parlare dell' èscavo occorre formarsi un' idea topografica della località. Il colle di Yermo veduto dalla strada postale si presenta a base larga, quindi a. non ripida costiera, la quale è ripartita a molti piccoli appezzamenti, cosicché ne risultano ripiani, pianerottoli e tante scatole separati da muricciuoli. In uno di questi pianerottoli fece praticare gli èscavi il professore Moser, ed ebbe la fortuna di rinvenire le varie cose che : spedì a Vienna. Saputosi un tanto, venne da parte della Giunta provinciale e del Comune pattuito di continuare gli scavi, e poscia per tre giorni fu lavorato ma con magri risultati. Taluno diceva che il professor Moser portò via il meglio e il buono; però esso non escavò che una superficie di ventidue metri in lunghezza e sei in larghezza; è vero che quell' angolo fu indicato per le olle trovate già prima, ma se a Verino si usava la cremazione, siano pur stati soltanto trecento gli abitanti, questi dovevano aver riposte ben molte centinaia di olle cinerarie forse in sette secoli ; perchè ammesso che coteste genti fossero state celti anzi che aborigeni, giudicando da un certo progresso che si deduce dalla qualità degli oggetti, si otterrebbe tale spazio di tempo assegnandovi quattrocento anni prima della conquista e trecento dopo, finché si smise il costume avito e si andò ad uniformarsi a quello dei romani. Volendo poi adesso fare degli escavi, bisognerebbe mettervisi alla cieca, perchè le dette scatole non formano ripiani regolari continuati, ina stanno affatto senza connessione ; e forse ogni gruppo di famiglie aveva un separato sepolcreto. I signori che posseggono gli oggetti stati estratti di sotto a Yermo, è sperabile che ne diano la descrizione e ci facciano sapere che cosa se ne desuma. Forse questi oggetti non offrono alla scienza nuovi amminicòli. ma soltanto possono servire a constatare il fatto che a Yermo si usava la cremazione; però essendo al caso di fare i necessarj raffronti, si potrà arguire se la cremazione fosse stata usata dai preistorici anteriori ai Celti, se dai Celti e anche dopo la dominazione romana; il quale uso poi non sarà stato limitato al branco di Yermo, ma era forse di tutta la gente che abitava questo paese, essendosi trovati vasi cinerari anche nel vicino villaggio di Caschierga ed alla stirpe cui (lessa apparteneva. II paragone tra gli scavi d'Ossero e questi di Verino non regge nè punto nè poco; che gli oggetti d' Ossero potrebbero aver posto in qualunque museo, abbenchè in quanto a prezzo meritevoli il decimo appena di quanto ne attribuisce il possessore; mentre questi di Yermo credo che non li acquisterebbe nessuno a poco prezzo, abbenehè starebbero bene in un museo nostro provinciale figurando come amminicòli alla patria paleostoria, che deve avere il suo principio, sia pure povero e semplice. E su questo proposito, come vorrei sapere infervorata la colta gioventù per fare delle scoperte, altrettanto vorrei che si si attenesse al vero per non rendere ridicolo o sfiduciato chi se ne accingesse. Per cotesti oggetti non si può fare altrimenti che usare le parole urna, vaso, ecc., ma il lettore tenga in briglia la fantasia, che tale urna cineraria può assomigliare a qualche forma gretta di boccale o pignatta senza vernice; ed un filo o laminetta di rame ruggine curvato a cerchio sarebbe già un braccialetto, e così via. Coi relativi disegni poi non c' è da illudersi, perchè a un disegnatore non riesce copiare una cosa gretta, la quale verrebbe colta più nel vero da un ragazzo che cominci a scarabocchiare ; leggendo poi i plurali devesi ritenere due e tre piuttosto di due o trecento gli oggetti di quel nome. Vogliano però coloro che intendono fare uno scavo, stare attentissimi, circa la posizione, lo strato, la profondità ove giace l'oggetto, per poter trarre un giudizio intorno alle epoche a quelle relative, onde scansare non poca confusione. Così pei vasi di Vermo, ciò che trovasi in essi è certamente del tempo quando vennero collocati; CàPODISTBlA. Tipografìa di Carlo Priora. quello che vi sta* di sotto, certamente non è di wf epoca posteriore al loro collocamento, irta quello che trovasi di sopra ai medesimi ed anche di fianco, può essere più antico del collocamento ed anche molto recente, essendo tutto quel terreno rimaneggiato e venuto di sopra in giti. Il colle è roccia calcare che doveva essere poco coperta di terra rossa, poiché i vasi cinerarj si trovano collocati tra gli interstizi della roccia, con alla parte del pendio qualche pietra come a sostegno. Ora poi il terriccio commisto con pietre, nel sito ove si scava ha più di un metro di spessore, così tirato a scaglioni per ragioni di coltivazione. Cotesto terriccio deriva da escrementi e materie organiche decomposte, e non si può sapere se e come si provedeva in quei tempi a liberarsi del soverchio fango. Nelle stazioni ove non si continuò ad abitare dopo l'estinzione degli aborigeni, il tanto terriccio sarà anche risultato o per incensione o per infracidamento della grande massa di legname di cui erano costruite le capanne e le difese del vallo, dalle cui vestigia non sembra dover essere stato nè largo nè alto, forse per l'inabilità di procurarsi buone pietre e di costruire un solido muro. (A. c.) UST" o tizi e La Giunta provinciale ha posto a disposizione della direzione della Stazione Eno - pomologica provinciale fior. 700 per l'acquisto di macchine agrarie, commesse da alcuni privati, verso rifusione; incaricando nel tempo stesso la direzione a presentare per l'approvazione un progetto per l'istituzione di uno stabile deposito di macchine ed unita agenzia di commissioni. Cose locali Quel signor azionista della società cittadina di navigazione a vapore, che ha scritto la lettera inserita nella Provincia del 16 Ottobre, con l'onesto intendimento di esporre al giudizio del pubblico alcuni atti di inqualificabile contegno dell' amministrazione, mai smentiti, chiudeva col dire che gli azionisti pensino ai loro interessi. E ci hanno pensato; tanto che nel congresso generale che ha avuto luogo il 13 pp., hanno approvato tutto quanto venne loro proposto di approvare, compreso il contratto di cessione della linea con lo stabilimento tecnico triestino. Contenti loro, contenti tutti. E il pubblico ? Il pubblico, longanime, si lusinga che la lezione abbia giovato a cui diretta, che non si ripetano più le cose successe, e fa voti per il migliore avvenire della società. l'iotro Hadoniiza — AnUo (invisi «dit. • rodat. rsapoaukiti.