Anko I. Capodistria, Novembre-Dicejibre 1903. N. 9-10. PERIODICO MENSILE L .A. O^-S^ DEL PITTOEE Studi sulla vita di VITTORE CARPACCIO Nel largo di Porta S. Martino che per varie calli e la via del Porto irradiava la vita nel rione di Zubenaga, dove nel quattrocento avevano sede i mercanti, i marittimi, i car-pentieri della citta di Capodistria, esiste ancora una vecchia časa a due piani con la facciata volta a mezzogiorno difesa da una linda lunga e spiovente, che trae la Iuce da sei finestre una sola delle quali di stile archi-acuto si vede risparmiata dai restauri e mantunissioni che subirono le altre. La sua entrata e sulla destra e conduce in un atrio o passaggio, in capo al quale e la scala illuminata da una specie di abbaino che va sino aH'attico: al lato sinistro di questo passaggio e un fondaco, al primo piano tre stanze e la cucina; due al seeondo, una delle quali vasta e spaziosa riceve l'aria e la luce dali' ampia finestra di stile archi-acuto. Questa la časa in cui la tradizione vuole sia nato il pittore Vittore Carpaccio e che il popolo designa: la časa del p i 11 are. Questa antica tradizione rilevata ultimamente dal Lanzi, dall ottimo canonico Stancovich di Barbana e dal Carrer, non e frutto di artifici ma ha trovato fortunatamente in oggi fon-damento nel fatto, nella certezza cioe che nel largo della Porta S. Martino trovavasi gia nel 1500 la časa abitata dalla famiglia Scarpaza e che la stessa famiglia possedeva prima di quell'epoca nei pressi di quella citta, un piccolo podere nella localita denominata San Vittore, podere che vediamo Archivio comunale di Capodistria: Libro del novo estimo. (Jopo il 1 ~>l'i') allargarsi fino a raggiungere la superflce di 27 ') giornate di terreno, nel perimef.ro clel quale esisteva una piceola cbiesa votata a San Vittore. Del eelebre pitfore Vittore Carpaccio ehe fu tra gli artisti clel glorioso Quattrocento una delle pili ingenue e dolci espressioni, e che vi ene design ato tra i piu grandi pittori veneti clel Risorgimento, nessuno dei suoi illustratori, ed i ve-neziani stessi che lo vogliono almeno veneto, come lui stesso si afferma per la sua scuola, non poterono fin qui che pre-sentare delle ipotesi sull' origine e nascita sua. Che Vittore Scarpaza, Scarpazza, Scarpac-cia, Carpaccio, fosse nato di famiglia d'origine veneta non e dubhio; rimane solamente in-certo il luogo in cui vide la vita ed in cui cesso. Colla scorta dei fatti enunciati, e di quelli che verremo successivamente a narrare, speriamo cli poter indurre il lettore nella persuasione che Vittore Carpaccio nacque e mori a Capodistria. Gia nella prima meta del secolo decimo quinto la famiglia Scarpazza appare stahilita a Capodistria. Varii suoi membri ligurano in atti pubblici dei primi anni del secolo successivo nel quale le traccie cli questa famiglia si farmo sempre piu certe in modo che gia al principiare del cinquec,ento, permet-tono la formazione del suo albero genealogico nel quale con dati ineccepibili si puo demarcare le varie sue branche nelle successive generazioni fino ali'anno 1817 in cui si estinse colla morte clel signor Antonio Carpaccio 3). Da quanto appare il capostipite della famiglia Capodi-striana dei Carpaccio sarebbe giunto nei primordi del secolo XIV in quella citta dali' estuai'io veneto in cjualita di carpen-tiere. Era 1' epoca che animati gli scambi fioriva il commercio marittimo lungo tutto il iitorale istriano ed il bisogno di artieri ') Anno nel quale. Vittore Carjiaccio ritorno da Venezia a Capodistria. 2) Avchivio coinunale, di Capodistria: Libri del novo estimo 1'ultimo dei quali data dal 1582. :i) Tra i inanoscritti della Biblioteca privata dei signori de Gravisi-Barbabianca si conservano alcuue lettere di Antonio Carpaccio ove egli si dice discendente clel eelebre pittore il rjuale fu il primo della sua famiglia insignito della nobilta. Appartenne agli Arcadi di Roma sotto il nome di Carippo Megalense e ad altre, societa letterario e curo anche, le incisioni dei eapolavori del suo eelebre antenato. adetti alla costruzione delle navi attraeva a quei licli i maestri costruttori, i calafatti, i pegolotti. Preso domicilio a Capodistria vediamo sueeessivamente la famiglia Scarpazza insediata in quella citta mediante l'acqui-sto fatto di alcune realita nella localitii di San Vittore situata a pochi chiloraetri di distanza dalla sua diraora. Da questa famiglia nel 1450 naecjue Vittore Scarpaza (Scarpaccia-Carpatio) il quale mandato di buon' ora a Venezia entr6 nello studio del pittore Lazzaro Bastiani dove r i mase sin cirea P anno 1475 nel quale, abbandonata la bottega di S. Nicolo, al pošto un tempo oecupato dalla pala attribuita a Vittore Carpaccio, avvi una copia dello stesso quaclro eseguita con raro intuito artistico dal compiauto pittore Bartolomeo Gianelli. Ora tutti questi quadri eseguiti da Vittore Carpaccio dopo 1'anno 1515 a cominciare dalla pala esistente nel Duomo di Capodistria sino a quella che adorna la Chiesa di »S. Giorgio a Portole, sarebbero i documentati suoi ultimi lavori i quali e impossibile negare non sieno stati eseguiti dal nostro pittore nella citta di Capodistria: nella quale oltre a questi dipinti che per la loro grandezza e per il luogo dove sono esposti ven-gono con facilita avvertiti dai visitatori, vi sono altri quadri di minori dimensioni sparsi nel convento di SantAnna, nella soppressa Chiesa di S. Giacomo e nel Duomo stesso, alcuni dei quali sono ritenuti di V. Carpaccio, altri della scuola del Giainbellino. Un accurato studio di questi potrebbe rilevare la mano giovanile del nostro pittore ammirabilmente disposta alla fi-nezza e soavita dei lineamenti alla fresca e serena inspirazione. Gii illustratori delle opere cli questo grande artista, che tentarono tratteggiarne la biografia e si forzarono dimostrarlo veneziano, non si curarono o vollero deliberatamente ignorare 1' esodo suo dalla sua amata Venezia ed il documentato tra-scorso degli ultimi suoi anni a Capodistria. Cosi fu, quando il percorso della sua vita aveva passato da vari anni il meriggio e lentamente volgeva al tramOnto: altri artisti giovani ed eletti venivano colle loro opere ad attrarre 1' attenzione della societa veneziana. Al vecchio pittore i rettori di Venezia non ricorrono piu per abbellire coi suoi dipinti la magnificenza del loro palazzo. Gia nel 1518 troviamo notizia che alle opere del Bellini e del Carpaccio succederanno quelle del Tiziano 2). Nella fatale rotina umana, altri astri fulgeutissimi venivano a prendere il suo pošto se non a sostituirlo, e lui nella P. G. Molmeiiti. II Carpaccio ed il Tiepolo, Torino — Roux e Favale! 1885. 2) Diari del Sanudo Vol. XVI e 163. sua fine e delicata a*usterita doveva sentirsi dimeuticato, ne-gletto, tra i successi abbaglianti della nuova scuola iniziata col Giorgione e seguita dal Tiziano. In questa situazione d' animo, non avvinto piu a Venezia ne cla amici, ne da aderenze, che cogli anni si saranno venute sempre piu restringendo, ne molto probabilinente dalla famiglia, doveva sentire il bisogno cli mu tare ambiente, doveva essere attratto la dove era nato. Cosi questa sua partenza dalla citti dispensatricc e te-stimone delle sue glorie, dalla cittii dove trascorse ininterrot-tamente tutti gli anni piu belli della sua vita artistica, mentre lumeggia 1' austera serenita della sua indole, ci rafferma nella persuasione che Capodistria, dove lo vediamo ritirato nei suoi ultimi anni, gli diede i natali c quivi mori. Si, egli si e ritirato nel luogo dove vide 1 vila, dove ancora 1' attendevano alcuni amici, i paren ti, moltissimi amini-ratori, le rimembranze clell'eta passata, dove poteva ancora vivere la vita del suo tanto amato Quattrocento. D. «. Antonio IZ Ermti 1518-1572 (Da una monografla <1 i prossima pubblicazione). In una diffusa supplica indiritta il 1560 «agli illustrissimi ecl eccellentissimi Signori Capi deli'Eccelso Consiglio dei X.», Antonio ci fornisce notizie partieolareggiate su quanto egli venne operando a vantaggio della Republica fino dal 1537. In quei ventitre anni i Turchi diedero molto filo cla torcere alla Serenissima nell'arcipelago, in Albania e in Dalmazia. La pace con la Porta si strascicava fin dal 1533: basto un nonnulla a romperla, cioe il rifluto opposto cla Venezia al Gran Sultano di soccorrerlo nella guerra contro Carlo V (1537). La flotta ottomana incomincio le ostilita nell'arcipelago, a Candia e a la Canea (1538), dovunque respinta dai Veneziani. Ma ben presto le sorti di prospere si cambiano in contrarie: i confederati (imperatore, papa e Venezia), eausa la inettitudine del coman-dante imperiale Andrea Doria, subiscono un sensibile tracollo nel Golfo d'Arta. II Doria, per r i farsi dell'onta avuta, espugno Castelnuovo, che molestava la guarnigione di Cattaro, e che egli muni di truppe spagnuole malgrado le proteste dei nostri. Anche questi Spagnuoli son nominati nell'istanza del Bruti. Finalmente nella pace del 2 ottobre 1540 la Republica perde Napoli di Romania e Malvasia: sesta gemma avvulsa dal conio ducale di Venezia. Ma ritorniamo ad Antonio. Nella supplica predetta dice che avendo egli in diverse occasioni dimostrato 1'ardente divozione sua verso il Serenissimo Stato veneto, raassime coi provvedere di vettovaglie le for-tezze veneziane in tempi oltremodo difficili e pericolosi, come pure la citta di Dulcigno d' ordine del Consiglio dei X, benche sappia di essere conosciuto nelle lagune per le molte lettere a lui favorevoli spedite in piu riprese al Senato dai rettori, dai generali, dai provveditori deli' armata, dai capitani del golfo e sindici di Dalmazia, stima non di meno doveroso da parte sua restituire alla memoria degli eccellentissimi prefati le benemerenze della sua Časa verso la Republica. E qui ri-pete cose gia note; indi entra a parlare di se stesso: Mortogli il padre, si trovo in possesso di un' ingente fortuna. Ma 1' aria di Alessio non gli si affaceva. II governo ot-tomano sapeva benissimo che nella lotta fra lui e Venezia Antonio avea tenuto apertamente da quest' ultima, «e con importanti avisi difeso i Confini delle Terre»: donde la lunga sequela di persecuzioni che, da ultimo, lo obbligarono a rico-verarsi a Dulcigno, ove giunse lacero, affamato, avendo dovuto lasciare ogni suo avere nelle mani dei Turchi. Quivi il prov-veditore deli' Armata, Alessandro Contarini, gli affido il co-mando di un brigantino, coi quale perlustr6 tutte quelle rive, rassegnando poi minuto ragguaglio clel suo operato ali' eccel-lentissimo General Capello, cui parteeipo il naufragio di pa-recchi vascelli di ragione del famoso corsaro Barbarossa (quegli che venne alle prese con Carlo V), e come costui si fosse staccato da Valona e navigasse verso il Levante. In progresso di tempo, dietro in vito clel General Mocenigo, riferi a messer Giovan Mattio Bembo in Cattaro sui «Progressi Tur-cheschi» e sovvenne di biave quella citta e le convicine, soc-correndo contemporaneamente Antivari, stretta dalle armi del Mauronicchi, e cio in seguito a vive richieste del rettore boc-chese Antonio Cucco. Ne qui lian fine le prodezze compiute dal bravo Antonio Bruti. Egli libero il popolo di Dulcigno dalla ferocia dell'emiro Mustafa, battendosi sotto le insegne di Giorgio Valier; piu tardi, avendo a capitano Vincenzo Balbi, tolse le catene della schiavitu a diciotto sudditi veneziani. La guerra intanto proseguiva aecamta e da ambedue le fazioni i colpi 11011 si davano a patti. «Sott.o il Magnifico Missier Benedetto Contarini», continua Antonio, «salvai il Ter-ritorio di Dolcigno, con la Villa del Gierano (?) dalla furia del Sanzacco de Seutari; et al med.mo tempo ricuperai il Schicvaz;o di Marco da Pavast.ro (?) con tuti gli Huomini, e Šali, preso da tre Fuste Turchesehe*. I11 quel mezzo era scoppiata una sanguinosa lotta fra i cittadini di Al essi o (turca) e i Dulcignotti (veneti). II Nostro, comandato per lettera da S. Serenit/i il doge, accorse e eonipose ogni litigio. Non basla. I Turchi d'Alcssio aveano eatturata, svaligiata e poscia vendula la Marciliuna del magnifico mes-ser Alvise Vendramin: il Bruti costringe i predoni a sborsargli il prezzo della nave. Qualche giornc appresso il capitano in Golfo Cristoforo da Canal insegui Assan, corsaro, fin entro il porto di Durazzo. Obbedendo agli ordini del comandante, Antonio sbareo, come nulla fosse, alla riva della citta, e 110110-stant.e il numero imponente dei giannizzeri comparso in aiuto del brigante, e la presenza del catVt, strappo ad Assan la promessa di non molestare mai piu i sudditi delle Serenissima. Di li a poco egli consegna a Dulcigno una marciliana statale involata da fuste turche, e fiacca 1' orgoglio del voivoda «Schiavo» Mersit, creatnra del magnifico Rasten Hassa, «il quale poi venne in Galia (galera) ad inehinarsi, e da lora in qua, e stato sempre buon Amico, e di suoi ordini ancora liber ai in detto ioco della Valona tre Suditi Venetiani delle Fuste, che li tenevano in catena». E poicbč i fatti ch'ei viene esponendo son tali da negargli fede senza un'autorevole te- stimonianza, il Bruti scrive: «.....delle quali mie operationi esso Clariss.mo Canal (Cristoforo) e Testimonio, come anche di molte altre fatte al tempo, che era Proveditor del Armata, havendomi maximamente lasciato nova Sorte di Zifra con ordine che lo gli havessi a spedire prestissimi avisi in Dalmatia, se 1' Armata Turcheseha, la qual dovea passar in Ponente, havesse voluto far altro Camino, del che si dubitava molto, ne si poteva per mezzo d'altri venir in eognizione, havendomi nel resto lasciato commissione a bocca, clie in simili impor-tantissimi Negotij si vuol dar /t fedelhsimi e intendenti Per-sone». II che significa ch'egli fu incombenzato cli sorvegliare i movimenti della squadra nemica: compito arduo qualora si rifletta ali' astuzia infernale degli Ottomani. Ma il Bruti, sor-retto dalla brama cli eseguire puntualmente il suo munere, affronta intrepido l'ira del cielo e degli uomini: questi lo al-leggeriscono degli effetti suoi, quello gli cola a picco la nave su cui era montato. Malgrado tali e tanti infortunii, egli non cessa un sol moinento dal fare buona guardia ai confini, eter-namente insidiati; e, incredibile dictu!, tenta perfino cli gua-dagnare a San Marco il cuore delle stesse popolazioni mus-sulmane. II 15f>6 fu fatale al raccolto delle granaglie. «11 Signor Turco» avea emanato ordini «spavent,osi» che proibivano la vendita di biade ai giaurri; e poiche Cucca, celebre sangiacco, s' era ribellato alla voce del Gran Signore, questi lo fece «horribilmente» appiccare*. Immaginatevi se si fosse trattato di cristiani! Nessuno, dopo un esempio simile, pensava cl'imitare il malcapitato sanzacco; cosiccM la farne desolava tutto il Levante; Corfu poi in modo speeiale. In quel frangente il bailo e provveditore generale Zaccaria Morosini ricorse, come il solito, ali' abilita di Antonio Bruti. II magistrato venete mise a sua disposizione tre navigli, i quah, caricati di «Meglio», furono dall'animoso albanese condotti a Corfu, «mettendo», per adoperare le sue stesse parole, «1' Anima mia a manifesto pericolo di Morte senza voler pretrdo et a lutte mle spese II Consiglio dei X, visto il brillante risultato conseguito dal Bruti come incettatore cli derrate, gli commise di comperare del grano in misura sufficente ad alimentare la Dominante. Antonio, senza incomodare il publico erario, stette due anni continui in Albania «con grandissimi pericoli e fatiche*, rea-lizzando perfino delle economie in favore della Repubblica: e cio, notisi bene, fra le ostilita incessanti della Porta e l'indif-ferenza olimpica dei «Clarissimi Baili» accreditati presso la Corte ottomana, i quali, nulla tentando per ispianargli la via, lo esortavano a supplirvi con la fatica e la costanza.... Di qual mezzo servivasi lo scaltro albanese per mandare a de- stinazione i cariehi di frumento? ] Ragusei, amiei, a quanto pare, dei Turchi, aveano ottenuto dal Sultano il perraesso di approdare con le loro caravelle al porto di Alessio, per e-sportarvi delle biacle. II Bruti, favorito dai paesani (ecl ei'ano sudditi ottomani!), costringe gli allibbiti mercatanti ragusei a prestargli le navi, ch' erano gi& alla vela, in procinto di pren-dere il largo. «.... et essi non ostante questo, hanno cercato, che Io gli sia sempre, Amico, i • a cc o m a n d a 11 d o m i con sue let-tere Publiche Le čase loro in quelli Paesi....». In breve tutte le biade delFAlbania si trovarono nelle sue mani, e dalla vo-lont;'i di lui dipendeva la sorte non solo della Dalmazia, ma di Ragusa e dei limitrofi paesi turcheschi, tormentati pur essi dalla farne: sol che 1' avesse voluto, e i'oro sarebbe piovuto nelle sue tasche. Ma egli non volle sporcarsi e sdegno di an-teporre al servizio della Serenissima 1'utile suo personale: anzi n' ebbe disgrazie e danni Gli Uscocchi di Segna — la-droni ecl assassini — derubano un di lui nipote reduce da Venezia, ov' era stato a vendere della lana per conto dello zio: il giovane portava con se il rispettabile importo di 1500 ducati. Di li a non molto gli Spagnuoli di Castelnuovo gl'in-volano del frumento per il valore approssimativo di ducati Mile Se i ("eni o vin ti (V oro. E' ben vero che il Serenissimo re Filippo II inearico Don Giovanni da Vecjia (7 J di saldare la partita col Bruti; se non che don Giovanni parti per la Spa-gna e i Mile Sei Cenlo vini i d' ovo maruspi rimasero.... a Castelnuovo. L' approvvigionamento delle citta venete in tempi di ca-restia non fu il solo merito del nostro Bruti: maggiori titoli alla riconoscenza del governo egli assicurossi aprendo la strada alle lettere si publiche che pri vate che Venezia trasmetteva a Corfu, e viceversa. I vascelli turchi incrocianti nell'Adriatico e nel mar Ionio, d' aeeordo con le fuste di Levante, molestavano senza tregua le fregate veneziane, renclendo per tal modo difficilissimo, se non irapossibile addirittura, Finoltro della posta dali' Occidente ali' Oriente. II Bruti, forte delle cospicue aderenze che contava fra gli stessi seguaci di Maometto e del-l'aureola d'invincibile e onnipotente ch'egli s'era creato in tutti i paesi marinari dalTisola di Corfu alla fortezza di Cat-taro ed alla repubblica ragusea (Turchi e Cristiani lo credevano superiore agli stessi provveditori generali), riduceva a salva- mento i pieglii provenienti dalla Doniinante per il tramite delFAlbania; al contrario lo relazioni dol rettore di Corfu giungevanr al palazzo ducale ool mezzo del podesta di Dul-cigno, che le consegnava ai provveditori generali dolFArmata di guarnigione in Dalmazia. Notizio, codeste, non prive d'in-teresse ed utili a sapersi, come quollc che illuminano sulle vie e sui mezzi di comunicazione fra il Levante d' allora e la madre-patria. Dalla supplica del Bruti al Consiglio dei X si apprende inoltre che egli dalla sua dimora di Dulcigno agitava indefes-samente per unire i popoli levantini, gementi ancora sotto il giogo dei barbari, con Venezia: giusta la sua relazionc, non pochi figi i del Sultano guardavano di buon occhio il leoue di San Marco. Cosi egli veniva proparando il terreno per una futura annessione di que' popoli alla Signoria. Quale compenso a tanti e si distinti sorvigi, egli pregava il consiglio dei X «di confermar questa oppinione (cioe della sua importanza come uoino di fiducia dol governo centrale) che li Popoli e la Patria hanno di me, honorando la Persona mia con un prilegio che m' apporti credito e riputazioue ap-presso quella Natione per servizio di V.re Ecc.me Signorie, e si degneranno eoncedere a Nove miei Eiglioli in vita loro due spetative de primi Officij vacanti in questa Citta (Dulcigno) e fuori di Ducati Cento Cinquanta l'.una in circa i'Anno, che siano per sostentazione della mia Famiglia, ma sin che si pervenga al benefficio di quella si degneranno darli quanto, che alla sua Clemenza piacera al Mese della Cassa di questo Ill.mo Conseglio, il che Io con ogni sommissione prego in segno, e gratitudine della sua benignita verso di me.» La sua mo-desta domanda incontro 1' adesione del Senato. Ducale del doge Pietro Loredan dd. 7 settembre 1569 fermava «che al Fedelissimo, et Benemerito del Stato Nostro D.no Antonio Bruti Cav.r XTobile della Citta nostra di Doleigno sia per auttorita di questo Conseglio concesso in ricompensa delle molte operationi da lui fatte in servitio del vStato Nostro, a-spettativa di due Officij primi vacanti fuori di questa Citta in tutto il Stato Nostro de Ducati Cento, e Cinquanta almeno per cadauuo di essi ali' Anno». XTel 1552, come da ducale di Francesco Donato a Stefano Tiepolo, generale da mar, Antonio sostenne per la se- conda volta un' ambaseeria a Venezia a nome della citta di Dulcigno. In questo incontro egli rioffrl al doge i propri servigi, e nelle delieate faccende dei confini ed a Costantinopoli, fra le cui mura contava numerosi amici altoloeati, la maggior parte cristiani rinnegati, ma appunto per questo šaliti presto ai primissimi gradi, e molto influenti a corte. II principe, indirizzandosi al Tiepolo, ha delle espressioni molto lusinghiere per il Bruti, nel quale confessa di riporre tutta la sua fiducia, e consiglia il generale di adoperare il prode Albanese in quelle imprese che, per la loro indole rischiosa, richiedono un cuore sincero e una mente avveduta e saggia. «Et vi Commettemo che parendovi a proposito di servirvi di lui in alcuna cosa a quei Confini, 6 altrove, dobbiate come Fedelissimo della Signoria Nostra adoprarlo, usandoli tal di-mostrazione qual si conviene a Persona grata e Benemerita presso il Dominio Nostro». II 30 giugno 1559 speciale diploma munito di «aureo si-gillo» crea esso Antonio cavaliere del iSenato. 11 testo del diploma eontiene delle frasi sommamente onorifiche per lai. Riportiamo integralmente il citato diploma: Lanrentius Priolus Dei (Jratia l)ux Tenetiariini. Antonij Brati Nob. Olehinensis, ex Nob. Uiraehij Civitatis Prosapia oriundi ea semper Fides, ac constans Animi voluntas erga Reinpublicaiu nostram extitit, nt maior: suor: vestigia secutus, liullum nnquam Gnus decretaverit, nullt Labori, aut expensae peperit, nullum non Vitae periculum obierit, unde nobis egregio mereri posset, Quare eiini optimum quenq. Principom deceat honor, Titulis atc insignibus eos libenter ornare, qui Virtutibus, et preclare gcstis se illis dignos praestiterint, ideo ex Senatus Consulto hodie illum ipsum Antonium Brutum Nobis ob singularem suam, et maior. suor. Virtutem, hac erga Nos Fidein carissimiun, et de Repub.a Nostra benemeritum in Colleg.o Nostro genibus ante nos nixum, ac Aureo torg. ipsius Senatus Decreto insignitum, in Frequenti Nobilium, et Civium nostrorum Corona, servatis omnibus quae de more servari oportuit ad gradum, et Dignitatem Equestris Ordinis Libenter promovimus, et evexmus, nt post hac propter Virtutum suar. morita, et militaris Ordinis decus Eques Aureatus, et splendidus appelletur, et passim nominetur, ac ab omnibus agnoscatur atq. iili facultatem impartimur, ut cumq. iibuerit Ferendi Aureas Vestes, Arma, Zonam. Calcaria aliaq. inaurata cuiuscumq generis militaria ornamenta, nec non gaudendi quocumque honore, Digni-tate, Iurisdictione, Facultate, et quibusius Privileggijs ad veram Militiam, et Equestre Decus pertinentibus, nec dubitamus quin hanc dignitatem summa integritate, Constantia, surnma in Republicha Nostra Fide perpe-tuaque Animi propensione tuiatur, quamodmodum ipse quoq. se facturum Santissimo iuveiurando recepit. In cuius rei perpetuum Testimonium has litteras scribi, et Sig'ilio N.ro Aureo muniri insimus. Dat. in N.ro Ducali Palatio Die XXX Junij Ind.e 2.da 15^9. Ma la gratitudine di Venezia preparava un premio ancora piu ambito allo zelante neo-eletto cavaliere. II 12 aprile del 1562, sedendo sul trono ducale Gerolamo Priuli, il Consiglio de X et Zonta, approfittando della circo-stanza che il Brati, gia da vari anni s'era ridotto ad abitar Duleigno «havendo abbandonata quella di Durazzo, antica Patria soa», lo nomino cittadino onorario, come ora si direbbe, di Duleigno stessa, impartendogli facolta di prender parte alle convocazioni di quel Consiglio Nobile. E quanto il Governo si studiasse di serbarselo amico, lo chiarisca una ducale del nominato Gerolamo Prioli al conte e capitanio di Duleigno Luigi Deltino (3 maggio 1567), in cui, enumerati i titoli insigni del nobile albanese, si ordina e si commette ad esso capitano, col consenso del Consiglio dei X, che debba «osservare ad' esso Cavalier le Gratie, et Privileggi che gli havemo ut supra concessi, conservandolo et facendolo conservar da tutti k chi spetta nelle soe solite preminentie, Honori, e Luoghi, che h& avuti, et tenuti per 1' adietro, dopo che gli havemo concesso li prefatti Privileggi, si che cadauno possa chiaramente conoscer cjuanto egli ci sia caro, et il Conlo clie teniamo della Persona so«». Pochi giorni prima, cioe il 27 aprile, il Consiglio di X et Zonta deliberava «che il Fedelissiino et Benemerito del Stato nostro D.no Antonio Bruti Cav.r potesse ogni A.no e-strazer di quella Citt& nostra (Duleigno) fino a dodeei Botte di Vino, et otto de Oglio delle sue entrate, overo comprate da lui». Chi conosca anche superficialmente le rigorose coi-suetudini di Venezia in materia di privilegi, dovra aminetteni che la concessione rilasciata al Bruti equivaleva per lo meno alla di lui aggregazione al Maggior Consiglio di Duleigno ed al cavalierato decretatogli dal Senato. Convengo pero che, in fondo, la Republica tendeva al proprio eselusivo interesse. Essa largheggiava tanto con Antonio «accio che con questo mezzo (ossia della rendita di vino ed olio) egli havesse piu facil modo di trattenersi in Amicitia con li Ministri del Sere-niss.mo Sig.r Turco a quei Confini, et acquistarne de novi per valersene nelli sernitij del Stato nostro Non basta: c' era, inoltre, un secondo motivo, piu forte, clie alimentava la generosita dei Veneziani. II cavaliere doveva, tra breve, restituirsi ai turbolenti confini turchi, un vero spino nell' occhio per la strapotente Signoria. «Et perche deve al presente esso Cav.r ritornar di 1& con nuovo Carico di ne gotiare a quei Confini le cose nostre, che sono di molta im-porlantia, liavemo voluto di novo e con li Capi di esso Consiglio di X.ci replicarvi che al tutto, e senza dimiuuzione al-cuna dobbiate osservar e far osservar da cadauno, a chi spetta al predetto Cav.r la sopradetta concessione». L'attivita del Bruti era dassenno instancabile. Nel 1559 colmo di frumento il fondaco della fortezza di Cattaro, corse 1' Albania a sue spese, non ricevendo dalla Republica che duemila zecchini a titolo di prestito, e fece ab-bondanti ac;quisti di frumento e segala. La Herenissima gli credeva sulla parola: «11011 vi dicemo ne di Pretio ne di robba, ne di spese, che vi occorrera far per tal compreda, per esser il tutto rimesso da Noi alla sufficienza e fedelta vostra«. L' ultima volta che il Bruti dovette arrischiare la vita fra i Turchi fu nel 1569, nel qual anno, e precisamente il 22 ottobre, il doge Pietro Loredan, coi mezzo del rettore di Cattaro, gli fece pervenire una ducale cosi intestata: Ditecto N.ro D.no Antonio Bruti Lege solus .,. , . . . , ,. Lquiti Olchini existenti Dal Clariss.mo Rettor di Cattaro sia. mandat o, subito, subito, subito, Venezia soffriva la farne. La Terra-ferma e il Levante veneto difettavano di grana-glie: bisognava, percio, procacciarne a tutti i costi nei paesi dipendenti dalla mezzaluna. Ma sitfatta impresa, irta di peri-colose difficoM, spaventava i piu audaci: intanto la capitale languiva. II Turco, diffidente per natura, custodiva con gelosa cura i prodotti delle sue campagne: tentarne 1'esportazione era il medesimo che fare volontaria rinunzia della propria testa. In tale stringente necessita il Governo si rivolse, more solito, ali' uomo della situazione, al cavalier Bruti: e a questi dunque che la regina delle lagune ando debitrice della propria sal-vezza. Gli storici di Venezia se lo tengano a mente. «Petrns Lanredano Dei Gratia l)ux Venetiar. et Dilecte Noster. Ancora daili ordini, che vi havemo dato al vostro partire, possiate chiaramente eonoscere quale sia il nostro desiderio nella materia delle Biave, havendovi commesso, che dobiate con ogni vostro potere procurar d' havere per questa Citt.'i qnanto piu potrette, niente diineno desiderando noi grandemente di tener questo numerosiss.mo Popolo vhertoso di esse Biave, havem.i voluto percio scrivervi le presenti col Con-seglio Nostro di X.ci, et Zon ta, et commettervi che in questa occasione iinportantiss.ina dobbiate oltra la vostra solita diligentia, usare anco estnardinariamente tutti qnei Me/.zi, et modi, colli quali conoseette potervi avantaggiare nel poter haver con prestezza quella maggior quantitš. de Frnmenti, et Segale che sarA possibile, et quando fatta ogni diligenza non poteste haver Frumenti o Segale, investirette in Megli, et in quella piu quantita che potrete, et se haveste bisogno di Dinari derete haviso che subito ve ne saramio mandati; Et aceiocht; possiate haver il Modo ancho piu facile di havere, et estrazer esse Biave, ne contentavio, e vi damo liberla di poter donare d quel Sanzacco, b altro Ministra Turchescho che vi paresse esser necessctrio per queslo effetto Ducento fino d Trecento Cechini, secondo la quantita della Tratta che vi. fosse concessa, et questo dicemo perche non si rcsti per alcnna Causa di procurar di facilitar il modo d' haver piu quantit& delle predette Biave, et piu presto sara possibile, le qtiali voi usarete poi la medesima estraordinari i diligentii, perche siano quanto prima carieate sopra Buoni Navili,j et inviate in questa nostra Citta di Venetia con i modi et ordini, che in tal materia vi sono dati, et quantn piu saremo da voi frequentemen.te avisati di quello che opevate di Li, ne sara tanto piu grato. Noi vi conoscemo non mnnco pru-dente che diligente in li Nostri servitij, onde siamo certi che in questo, ehe e di somma importantia voi portarette di tal maniera, ehe haveremo causa di restare ben sodisfatti, et di lodare le opperationi vostre dalle quali ne otteniremo quella inemoria che vi conviene. Dat. in Nostro Ducali Palatio Die XXII Octobrij Ind.e XIII, 1569». Grimprendibili corsari del Mediterraneo turbavano, im-puniti, la sicurezza del commereio assalendo proditoriamente le navi di bandiera veneziana e spargendo il terrore e la de-solazione nei ]>aesi meno riparati deli'Adriatico deirionio. La pirateria veniva esereitata su larga scala pertino dalle navi di guerra della marina ottomana: e non pochi esempi la storia registra di furibonde cacce date dalle galere veneziane a certi vascelli turchi dali' andatura alquanto sospetta e dai passeggieri piu sospetti ancora. Nel 1565 un qui pro quo p reso dai Veneziani per poco non provoca una guerra con Bisanzio: Solimano II avea gia pošto mano alla tremenda scimitarra; se non che venticinquemila monete d' oro destramente fatte passare nelle tasche de' suoi ministri, scongiurarono il pericolo. Gli oquipaggi dei bastimenti e gli abitanti dei villaggi incendiati trovavano una fine ben misera: la schiavitu. Quei ladroni avevano il loro rocapito alla Valona: quivi il Governo vedeva Fimprescindibile neeessitA di mantenere un agente o rappresentante della Repubblica, cui incombesse anzi tutto il ricupero della preda e il riseatto degli schiavi sudditi di Venezia. A quest.'ufficio, giusta l'opinione del doge Gerolamo Priuli (d.d. 4 giugno 1563), si prestava mirabilmente il prelodato Antonio Bruti: per la qual cosa «ne siamo niossi h far v i le preseliti, commettendovi clie fattogli intender cpiesto nostro Desiderio et Parere, dobbiate in Nome nostro esortarlo h pigliar prontamente Carico di tale Servitio, perche oltra che ci far/i cosa di molta sastisfatione per il benefficio, et Utile clie dali'opera sua siamo per rieevere, gli provederemo di modo che potra intortenersi comodamente et honoratamente*. II Sanzacco de Ducaini, infischiandosi delle convenzioni stipulate fra i sultani Mehemet e UuijsU e il Governo di Venezia, e ponendo in dimenticanza la conclotta eorretta tenuta da' suoi predeč,essori, Ferrisbevgh (?) nel 1503 e Piaferbeij (?) nel 1543, non appena fu salito al trono, con prepotenza inu-sitata in tirno alle popolazioni finitime di Cattaro, Budua e An-tivari che venissero a prestargli obbedienza come a legittimo sovrano. Venezia, gelosa custode dei propri diritti, se ne adonto subito couoscendo che lo scopo princ,ipale deli' ardito sangiacco si era di scompaginare i confini ormai da tanti anni tranquil-lamente posseduti da San Marco in virtu di trattati sempre rinnovati dal Turco e che sempre furono anche inviolabilmente osservati. La Republica risolse pertanto d' inviare alla corte deli'irrequieto governatore un soggetto esperto in maneggi di questa specie. Si penso subito al Bruti; detto fatto, munitolo delle lettere ed istruzioni necessarie, lo si spedi senz'altro a destinazione; e il doge riempi la ducale, di nomina delle e-spressioni piu affettuose in lode deli'eletto. Primieramente lo si consigliava cli abboccarsi «con ogni possibile sollecit,udine et diligenza* col rettore cli Cattaro «per pigliar da quel Rettor nostro quell' informationi, che saranno necesarie, cosi d' alcuna altra innovatione, che cli 11 fosse seguito, come per haver alcuna Scrittura a ipiesta materia per-tinente«. Da Cattaro doveva poi portarsi difilato alla residenza del sanzacco usurpatore, Presentatoglisi, esponga al medesimo che ogli Bruti era stato avvisato dal bailo veneto in Costan-tinopoli «che il Nego C i o della Villa del Gieran(?) mentre che sua Magnifieentia e diniorata in Costantinopoli, non havea presa quella rissolutione che si desiderava, e che da lei cosi fermamente vi era stata promessa». Antonio esegui scrupolosamente P ambasciata del Senato. Si lagno con discrezione della faccenda della Villa del Gieran tuttora pendente, non ostante le pi'oniesse del sangiacco, e lo ecitd a definirla presto presto nell'interesse proprio e della Serenissima Signoria, che il Bruti rappresentava: quest'ultima, naturalmente, era pronta a sborsargli 1'importo pattuito. Indi, saltando il fosso, gli espose francamente il motivo principale della sua venuta: gli arbitri illegali ai confini perpetrati da esso governatore e la strana pretesa di esiger obbedienza ecl atti di vassallaggio dai sudditi veneti «da Mariana, da Cattaro fino in Antivari». Tale un contegno essere senza esempio nella dinastia del sangiacco: si guardasse ancor'egli dalle novitA, intempestive e pericolose comunque alla tranquillita publica. «Voi opperarette«, cosi le istruzioni del Senato al Bruti, «si che ella {cioe la niagnificenza del sangiacco) sara da Noi ricono-sciuta d' un honesto presente, e se cosi a voi parerk bene, et k proposito descenderette al particolare, promettendole altre cautioni neccesarie, e con questo modo ella si conservera la buona Mente del Sereniss.mo sito Sig.re, et del Magnifico Sig.e Bass&, e da questa quiete non potr& proceder altro che officij di Amore, e di benefficio alli Sudditi deli'una e deli'altra parte». Venezia annetteva la massima iraportanza a questa am-basceria, e da scaltrita negoziatrice, autorizzava il messo a eomprare Pappoggio degli uomini piu notabili del sangiaccato. La Dorainante, benche mancassero ancora tre anni alla bat-taglia di Lepanto e la sua farna di potenza marittima di prira' ordine si mantenesse tuttavia salda fino nell' estremo oriente, avea smesso da un pezzo, massime ne' suoi rapporti col Turco, il tono burbero e autoritario; ed ora non abborriva dalla corruzione e dali' astuzia. Infatti il Bruti, secondo 1'ingiunzione del doge Pietro Loredan (il quale lo apostrofava: Dilecto N.ro D.no Antonio Bruto Eguiti Ad Sanzacum Ducaini Destinato, cio che, allora, ascrivevasi a grande onore), il Bruti doveva convincere il sangiacco esser egli venuto unicamente per comporre la ver- tenza della Villn del Gieran, e non altro. Ma sara meglio riteorrere allo scritto del doge stesso: »Havendoci voi ricercato oi'dine di quello che dovete fare circa le scritture, delle quali vi habiamo dato copia in-sieme con la vostra commissione, cioe se bisognando le have-rette k mostrar al Magnitico Sanzacco per comprobar tanto meglio per ragione di quei nostri Confini, vi dicemo col Senato, che se nel negotio che haverete seco circa li predetti Confini vi sara necessario adoprar esse scritture, dobbiate dirli che esse sono nella Cancellaria di Cataro, et che mandarete a pigliarle, nel qual caso tingendo voi di espedir alcuna Persona k Cataro per tal Servitio, et mettendo tanto tempo di mezo quanto possi importar 1'andar, et il ritorno del Messo ritor-narete & Sua Magnificentia, et le mostrarette quelle Scritture, che .vi pare rano esser necesarie. Questo dicemo per non. vi scoprire di esser andato a lei per questo Negotio, ma per guello del Gieran pri uci.palmen.te* (5 febbraio 1568). II Bruti, giunto al cospetto del sangiacco (Hassan Beij de Ducaini), si mige subito ali'opera, pose un termine al piato per la Vitla del Gieran, regolo la questione dei confini e per giunta libero «il Magnifico M.r Marco Baroci, che era Schiavo appresso d.o Sanzacco«. L' attivita del Bruti in pro dell'amata Repubblica non si limitava a fornire di granaglie i fondachi veneti in tempi di maggiore penuria od a difficili ambascerie nel paese dei Turchi, nelle quali, alla tinezza del diplomatico esperto, biso-gnava aggiungere il confidente coraggio deli' uomo senza mac-chia e senza paura. Correva il 1570. 11 cielo politico deli'Oriente, del resto mai completamente sereno, andava rannuvolandosi. Selim, il felino Selim, agognava alla conquista di Cipro, tenuta dai Veneziani, ed armavasi in segreto contro la odiata Republica. Ma al vigile bailo trapela ogni cosa; e ne scrive al suo Governo. La Uominante, ben sapendo che ogni indugio le puo riuscir fatale, allestisce subito numerosa flotta e la spedisce nelle acque levantine agli ordini del prode Gerolamo Zane. I Turchi iniziano le rappre-saglie disponendo 1'arresto in tnassa dei mercanti veneziani esercenti nei vari siti deli'impero ottomano. Frattanto un chiaus del Sultano sbarca a Venezia e domanda la cessione volontaria di Cipro. TI Senato, vedendo in questa richiesta una fonnale dichiarazione di guerra, accetta il guanto senza esitare. L'Europa intera applaude alla risoluzione del Senato, ma il sultano, per tutta risposta, imprigiona il bailo a Costan-tinopoli n on che i consoli veneti delTEgitto e de la Siria. II doge Alvise Mocenigo promosse un' alleanza delle corti cri-stiane contro gi'iufedeli; ma, benclie Torquato Tasso stesse lavorando intorno alla sua Gerusalemme Liberalci, il senti-mento religioso nel XVI secolo era sceso molto in basso in tutti gli Stati europei, 11011 escluso quello del papa; onde 1' a-iuto non corrispose alla pressa del momento. Le prime campagne furono vinte dai Turchi: nel 1570 Mustafa pascia s'impadronisce di Nicosia, capitale delfisola; 1'anno di poi capitola Famagosta: Bragadino, comandante, ingannato dal tradimento dei nemici, viene scorticato vivo. Caduta Famagosta, i confederati si raccolsero a Corfu per affrontare le forze ottomane. I Cristiaui aveano com-plessivamente 181 galera, fra le quali pareccliie montate e guidate da ciurmo e da sopracoiniti istriani; 242 gli ottomani. L'urto segui all'alba del 7 ottobre 1571, tra il golfo dellArta, quello di Lepanto e le isole di Santa-Maura; e fu tremendo. Dopo cinque ore di lotta sanguinosissima, la croce vinceva. II Bruti, saputo che Venezia si apparecchiava alla guerra, ne gioi fortemente, siccome quegli che desideroso era di menar le mani per la causa cristiana c di spargere qucll'eseerato sangue mussulmano che per il corso di tre secoli avea coo-perato all'annientamento della sua fortuna e del suo casato. E comecche non rieco, offerse al Senato di entrare nell'Ar-mata con due suoi figliuoli c dieci arcieri albanesi armati a sue spese. L'attaecamento vivissimo di questa famiglia — e 11011 solo di questa — alla veneta Republica, ne insegna che se San Marco inspirava grandi odi, sapeva al trosi eccitare non meno grandi amori ne' suoi amniinistrati. I Bruti non sono mercenari, non servono il padrone perche li paga, ma per simpatia. Come poi il Senato accogliesse la generosa proposta di Antonio, apparisce manifesto del documento che integralmente trascriviamo : «A1 Capitan General (le Mar Con molta sodisfazion havemo intesa 1' honorata offerta fataei k Nome del Fedelissimo, et benemerito nostro D.110 Antonio Bruti Cav.r di voler star sopra 1'Armata per opperarsi in quello, che tornera benefficio Puhlico, et che voi li comandarette, e di piu che nn suo Figliolo ') ani-moso et ardito venghi in Armata con Diese Arcieri d' Albania a sue spese, et essendo questo effetto un segno manifesto della sua molta Divotione verso della Signoria Nostra dimostrata ancho in altri Carichi, che egli ha avuto; Havemo gratamente accettato questa sua offerta, di che n'habbiatno voluto dar aviso, accioehe date quelli ordini che saranno neeessarij, che cosi predetto Caval.r come il Fig-liolo, et Arcieri sopradetti siano gratamente accetati, et ben trattati, e che gli siano tat te le spese di bocca, fa-cendole poi far bone a quelli Governatori, o ver Sopracomiti sopra le Gallie de quali li farete accomodare. Die VII Junij 1570». La condotta di Antonio, dei flgli di lui Marco e Giacomo e degli arcieri albanesi lucro gli elogi del Capitan General de Mar, come s'impara da lettera del Sonato v erga ta il 17 settembre dello stesso anno al condottiero della fiotta levan-tina. Alla giornata delle Curzolari egli si trovo senza dubbio, benche le carte di famiglia da me consultate alcun lume mi porgano in merito. Sappiamo pero con certezza, che poco dopo la battaglia, il Bruti, per ordine clel Senato, ritorno in Albania, messa a soqquadro dali' insurrezione, allo scopo di man-tenere eol suo credito ed autorita in fede quelle turbolenti popolazioni. Accerehiata Dulcigno dalle armi del Sultano, il Bruti si oppose risolutamente al par lito favorevole alla resa deli'infelice citta, sicche, venuta la piazza in mano dei Turchi, l'implacabile vincitore lo condanno alla pena di morte. La sua nobile testa rotolo dal palco infame sotto i colpi della sci-mitarra mussulmana. Donienieo Venturiui Erano due, Marco e Giacomo, come vedremo. UNA DESCHIZI0J4E IflEDlTA DEIM CITTA DI POliR Le seguenti brevi notizie storiclie, compilate evidenteraente da un ecclesiastico polese, circa l'anno 1715, ci furono favorite dalla gentilezza del signor Guido de Kota discendente di un' antica famiglia nobile di Pola. Esse hanno, a dir vero, un' importanza molto relativa, non essendo, in gran parte, clie un umile riassunto di altre maggiori cronografie locali, alcuue delle quali anclate pero nel frattempo distrutte o disperse. Benche scritte in una forma assai negletta, e benche abbon-dino di inesattezze e di spropositi ingenui, queste memorie ci appariscono tuttavia non prive d'ogni interesse, e quindi non indegne di pubblicazione. E cio, particolarmente, in considera-zione alla grande penuria, anzi alla quasi assoluta mancanza di descrizioni storiclie polesi non soltanto anticlie, ma anche di data relativamente moderna. Dali' esame del contesto si capisce che il compilatore (che potrebbe forse essere stato o il Moreschi o il Gobbi, sa-cerdoti polesi, vissuti ne' primi deoenni del settecento, de' quali si sa che lasciarono qualclie scritto inedito su Pola) oltre ad essersi servito dei lavori deli' anonimo Dialogista, del Man-zuoli, del Tommasini e di altri, deve avere raccolto qualc-he notizia, specialmente riguardante la storia ecclesiastica, dalle carte deli'Archivio vescovilc. 80110 troppo note le iiifelicissime eondizioui di Pola nella piu tarda eta di mezzo, e peggio ancora ne' successivi secoli XVI e XVII, in cui la gia illustre citta si ridusse ad un lagri-mato cumulo di macerie. Deperivano, abbandonati ad ogni ol-traggio, i monumenti piu insigni romani e bizantini, gia orgoglio de' cittadini, e meraviglia de' forestieri; scompariva il teatro famoso, tutto luccicante di politi marmi preziosi; crollavano i superbi templi pagani e cristiani; sfasciavansi le mura e le torri medieATali, e il bel Palazzo del Comune e le stemmate čase patriziali. La desolazione materiale della citta doveva produrre inevitabilmente la sua rovina morale. Gli archivi pubblici e privati — sopravvissuti alle peripezie guerresche cittadine, al sacco e agli incendl de' Veneziani nel 1242 e de' Genovesi nel 1380 — andarono allora distrutti, e con essi le antiche croniohe monacali che, in tanto ritiorire di congrega-zioni religiose, cultrici deli' arte e del sapere, non vi potevano di certo mancare. II poco popolo rimasto in Pola, accresciuto di elementi forestiefi, ando smarrendo un po' alla volta persino il ohiaro concetto delle proprie origini e de' propr! tasti. Perduti quasi tutti i documenti originali della storia medievale, a chi t en to poi di narrare le antiehe vicendc cittadine, non rimase altro compito che di attingere le notizie oltre che a qualche rara scrittura chiesastica, sfuggita allo sperperamento degli arohivi, alla malcerta e spesso favolosa tradizione popolare. Horsero cosi alcune croniche o narrazioni storiche locali, che fra molta, anzi troppa borni, contenevano pure dei materiali preziosi; primi per ordine di tempo e per importanza i due Dialogih sulie antichita di Pola, di autore anonimo, scritti circa il 1585, e stampati dal Kandler in appendice alla sua Guida di Pola. Degli altri raecoglitori di memorie polesi ricorderemo il ve-seovo Giuseppe Maria Bottari, il sacerdote Pasquale Gobbi, en-trambi clel principio clel secolo XVIII, 1' abate Giovanni Luclcli, che scrisse intorno al 1820; i manoscritti de' quali andarono, almeno a quanto si črede, perduti. Rimangono invece le Memorie civili e sacre del canonico Angelo Vidosich, la cui prima parte fu data alle stampe dal clott,. F. Glezer nel 1870. C. 1>. F. La Citta di Pola fu edifleata da' Colchi, Popoli dolla Grecia spinti infruttuosamente eontro Medea anni 1220 prima deli' Incarnazione di Cristo, Signore Nostro ; in riguardo deli' opportunita del sito, e del grande suo Porto, eapace d' innumerabili Navi, fu da Augusto dedotta Colonia de' Romani. Per la sua grandezza ed immense ricchezze emiilo ne' superbi edificj 1' istessa Doniinante Roma, de' quali oggi giorno sono venerabili memorie. II famoso Anflteatro, di figura ovata, di circonferenza passi 237, edifleato poco dopo i tempi del moderno Principe ne' quali eominciarono a farsi di Pietra, ed era eapace di venti milla uomini. Un arco trionfale di esimio lavoro, edificato da Salvia, figlia postuma di Sergio, e due Tempj dedicati a Roma, et Augusto. Un secolo fa incirca restava ancora in piedi un angolo d' una iminensa Mole, quale diroccato da un fiero turbine, i soli marini e sassi piu degni furono sufficienti alla struttura della nuova Fortezza. L' ediflcio in alcune scritture Ecclesiastiche si chiama coi nome medemo d'Anflteatro, ma la tradizione comune, che fosse di forma lunga fa credere, che sia stato Hipodromo, o Circo, e ajuta il pensiero il nome del sito, che oggi con voce corrotta, si dice Ciaro'). ') E questo il famoso Teatro, detto il Zaro (Iadrinn) e anche, dal volgo, il Palazzo d' Orlando, illustrato diffusamente da Sebastiano Seriio nel suo trattato di Architettura (Venetia, 1566) e demolito dali' ingegnere militare Antonio Deville, nel 1631 per fabbricarvi la nuova fortezza. Pitni la ste.ssa Citta nel modo suddetto, anzi erebbe notabilmente dopo il trasporto della sede Iniperiale in Greeia, fatta da Costantino Magno, atteso il eontinuo passaggio deli' annate da Pola al Porto Oandiano di Ravenna, quasi Capo d' Italia per la sede degli Esarehi, ed altri primi Ministri deli' Iniperio. Si tiene, ehe sia s tata illuininata della veri t a Evan-geliea predieata dai Santi Martiri Erinagora e Fortunato. Non si pno sapere, chi sia stato il primo Veseovo per esser state trasportate da Genovesi le croniche municipali circa 1' anno del Signore 1330'), quando Farmi loro scorsero questi Mari, e distrussero tutta la Provincia ed in speeie Pola. Ha un bellissimo Territorio con sediei Ville assai popolate, e sta in faecia di due Mari; cioe del Golfo di Venezia, e del (Juarnaro. La rendita di quel Veseovato e di Ducati 1500 Veneziani. La Cattedrale e dedicata ali' Assunzione della Beata Vergine, e di bellissima struttura, e ea-paee piu d' otto milla (V!) persone, arricchita di sei Corpi Santi ritrovati 1' anno 1657 — in una bellissima Urna marmorea chiamata di S. Fiore erretta in Altare in una Cappella detta degli Orsini. Era Veseovo d' essa Citta a ijuel tempo Monsig.r Lnigi Marcello Nobile Veneto, quale per eol-locare in quella un Corpo Santo, ottenuto in dono dal Santo Pontelice Alessandro settimo, iiltitolato S. Porporino niartire, la fece aprire, e vi si trovarono einque bellissinie eassette di cipresso e dent.ro di ijuelle li Corpi di Santi Fiore Veseovo di Pola, Basilio Magno Veseovo di Cesarea, Teodoro, Demetrio, e Giorgio Martiri, e Salamone Re d'Ongaria Confes-sore. S. Fiore e S. Salamone sono in una sola Cassa, e in ciascheduna d' esse Cassette v' e una Lama di Piombo col nome del Santo incisa a Lettere majuscole lombarde. Vi sono pure in un altro Altare in belli Re-liquarj molte altre Reliquie de Santi, tra quali un osso grande di S. Gio. Battista, un osso grande di S. Barnaba Apostolo, di S. Maria Madalena, de' S. S. Inocenti, un braceio di S. Ottone niartire, della 1'ietra del Se-polcro del Nostro Sig.r Gesu Cristo, del Sepolcro e Tonica di S. Francesco, e di inolti altri Santi. E offlciata da dodici Canonici, tra' quali vi sono due Dignita, cioe 1'Arcidiacono, ed il Scolastico, oltre quattro Mansionarj, ed altri Sacerdoti, e Chierici. Sono in essa due Conventi de Regolari, uno de Padri Conventuali di S. Francesco, e 1' altro de Padri Eremitani di S. Agostino. Quello de Padri Conventuali ha una Chiesa cousiderabile, fa-bricata tutta di marini tagliati, con poca calee, e si tiene che sia una delle piu belle Fabricbe, e delle prime di quella Religione eretta da F. Elia secondo Genatei dopo S. Francesco, e per la sua grandezza e capace di piu di due milla persone *). In questa Chiesa v' e PAltare dedicato a S. Ottone Martire, sopra il quale in una beli' arca marmorea v' e il Corpo del detto Santo, qual fu cittadino di Pola, e fu uno di quelli cinque Santi della Religione, che nel principio di essa patirono sotto il Re Micomolino ') Recte 1380, nel tempo della guerra di Chioggia. 2) La chiesa di S. Francesco, uno de' piu belli edifizi di stile gotico che vanti la nostra provincia, gia ridotta da inolti anni a magazzino delle proviande militari, verra in breve, a quanto si assieura, convenientemente restaurata e ridonata al culto, cio ch' e da augurarsi per il rispetto del-1' arte e per il decoro della citta di Pola. il martirio nell'Africa nella Cittft. di Maroeo. Nell' altro de' Padri Eremitani vi e un' Imag-ine grande di rilievo della Beata Vergine Madre di Dio niolto miracolosa, comparsa in essa CittA 1' anno 1389, in giorno di Domenka alli 30 d' ottobre circa le due ore di notte sopra un Fieajo eon splendidissimi Lumi in un orto di un Cittadino cognominato de' Tateri. qual dono 1' orto, perehe fosse fabricata la Chiesa, come fu fatto, essendo stato costrutto 1' Altare Maggiore sopra il Tronco d' esso Fieajo, ivi e collocata essa Iinagine, che tuttavia ritiene la veste colla quale e comparsa, essendovi pure in quella Chiesa delle Lagrime d' essa miracolosa Iinagine in un reliquiario di Cristallo, e pcrclie e senza Bambino, e per le molte grazie, che ivi concorrendo a visitarla ricevono tutti gli abitanti, e eon-vicini si chiama la Madona di Misericordia, Vi e parimenti un Monastero di Monarhe di S. Benedetto, dove vi s ono molte Reliquie de Santi, e spe-cialmente una spina della Corona di Nostro Signore, ed un Dente di S. Andrea apostolo. Sopra un' Isoletta, due miglia lontana da detta Citta., vi e un Con-vento de' Padri Osservanti di S. Francesco, con una bella Chiesa stata. fabricata da un Nobile Veneto di časa Mocenigo per divozione, e per esser 1' Isoletta in faccia d' un Porto dei piu sicuri di quelle Rive. Vi sono continuatamente Vascelli, ed altri Bastimenti di passaggio per Venezia, Dalmazia, e Levante, ed altri Paesi, ed il Porto, come lo Seoglio, hanno il nome di Veruda, e li Popoli concorrono frequentemente a visitare un' Iinagine di Maria Vergine, esistente sopra 1'Altar Maggiore di detta Chiesa, qual si chiama la Madonna di Veruda. 11 Vescovato e vieino alla Chiesa Cattedrale nell' a trio della uiedema, et e il piu ampio e piu bello di tutti gli altri della Provineia, essendo stato principiato a modernarsi da Monsig.r Badoaro Nob. Veneto, da Monsig.r Bernardino Corniani, e finito dal preselite Monsig.r Bottari, del che con spese immense e stato di niolto accresciuto di fabriche e ridotto capacissimo per qualsissia gran Prelato con tutti li comodi di Forestarie, Letti ed altre cose necessarie e decorose l). L' antiehita della Chiesa Cattedrale apparisce dali' infrascritta iseri-zione posta sopra la Porta Anno Incarn. D.ni D.C.C.C.LVII — Iudic. 5.-' Regnante Ludovico Imperatore Au»listo in Italia Handegis hujus Ecclesiae eleetus die Pentecostes consec.us Episcopus, sed. an. 5. 2). Questa Chiesa dunque 860 anni incirca sono, fu edificata sotto il vocabolo della Beata Vergine deli' Assunzione, ma prima di essa ci era la Chiesa dedicata a S. Tomaso Apostolo, onde e verosimile, che fosse la chiesa di S. Tomaso predetta edificata a' tempi di Costantino Magno, dal quale fu pennesso a' Cristiani 1'erger Tcnipli al somnio e grand'Iddio, in onore de' suoi Santi 3). 4) Del palazzo veseovile piu non rimane alcuna traccia : esso fu de-molito nel principio dello seorso secolo. 2) Questa iserizione si vede presentemente incastonata nel muro la-terale esterno della chiesa, verso mezzogiorno. 3) La chiesa di S. Tommaso sorgeva a fianco del Duomo, nel sito deli' attuale cisterna. Essa rimontava indubbiamente ai primi secoli del E probabile ancora, che da detta Citta uscissero uomini illustri, ma con le Croniclie si 6 persa anche la loro Memoria. S. Massiniiniano Patriarca di Ravenna fu da Pola, di cui nella Cancelleria Episcopale si trovava una donazione fatta di alcuni Beni alla Chiesa della Madonna di Canedo, la quale donazione fu stipulata in Pola sotto il consolato di Basilio, e cio concorda eol Baronio, che del 546 — 22 — Febbraro fa men-zione d' esso Santo '). La donazione e sottoseritta dal medemo S. Massi-iniano in questa forma Servus X(i Mcximinianus per gratiam Dei E.pus. S. Ecclesiae Catolicae Kaven. Inc/itae Urbis, e poi confermata dal Patriarca d'Aquileja, da Frugifero Vescovo di Trieste, Germano Vescovo di Bologna, Isacio Vescovo di Pola, e Teodoro Vescovo di Brescia. La sottoscrizione del Patriarca d'Aquileja e tale — Macedonius Ep.m S. Catolicae. Eccleniae Aquilejensis rogatus de praesenti a D.no Fratre meo beatissimo Viro Maxi-micino Patriarca S. Ecclesiae Raven. qui mei praesentia subseripsit huic donationi ab eoclem faclae Sanctae Mariae vel eisdem locis deservienlibus ipso praesente testi subseripsi. . . una cum fra tribun meis Episcopis . . . cum loči sili periculum Monasterium qui contra hanc salubrem maccimam Or-dinationem, vel conditiones supradietas ire tentaverit. ete. E quasi nel fine della donazione eran le seguenti parole indicanti 1' obbedienza alla Santa Romana Chiesa Madre, et universal Maestra Contra quam donationem mearn optimo maturoqne perfectam consilio nnmcpiam me successoresqite meos ituros esse polliceor, obtestans Divinam inisericordunn, et Apostolicae Sediš reverentiam salutemque Principis Romanam gubernantis Impe-rium etc. Fu anco da Pola S. Ottone, il Capo del quale, come si e detto, riposa nella Chiesa de' P. Conventuali di S. Francesco. Si diede questa Citta in fode a' Veneziani 1' anno 1267 3) e continuo a govevnarsi con le sue leggi sin 1' anno 1328 nel qual tempo venne in pensiero ad una famiglia principale de Castro Polae d' iuipadronirsi d' essa Citta ; perilehe naquero guerre civili tra questa famiglia ed un' altra pur delle principali detta degli Inotarij '), e dopo molte uccisioni soguite es-sendo, rimasto un solo della Famiglia de Castro Polae detto Sorgio q.m Cristianosimo, giacche in uno scavo praticatovi nol 1884 si rinvennero. nel pošto deli' antiea abside, doi cimelf preziosi, che furono giudicati lavoro del Quattro o Cinquecento. I (juali oggetti andarono purtroppo perduti por la nostra provineia, essendo stati dostinati, come tanti altri, ad arricchire il Museo Imperiale di Vienna. Vedi le Notizie storiche del duomo di Pola del can. Cleva, e la Relazione degli scavi deli' ing. Pulgher negli Atti e Meni. della Societa stor. di Parenzo, A. I, fasc. unico. ') S. Massimiano arcivescovo di Ravenna, nativo di Vistro nell' agro polese, eostrui in Pola la magnitiea basilica di S. Maria del Canneto, della ijiiale non restano che pochissiine vestigia teste illustrate dal prof. Antonio Gnirs nelle Mittheilungen der k. k. Central-Commission, A. 1902, p. 57-62. 2) L' istrumento di dotazione quivi accennato ando perduto. Un misero brandello ne fu pubblieato dal De Rubeis nei suoi Monumenla Ecclesiae Aquileiensis, e riportato dal Kandler nel Cod. dipl. istr. 3) Forse 1' autore voleva alludere al trattato di pace del 1243, in cui i Polesi furono obbligati di giurare perpetua fedelta ai Veneziani. — La dedizione di Pola alla Repubblica segui in data 28 maggio 1331. 4) Ionatasi. — II racconto di questi avvenimenti e tolto quasi ver-balmente dal Manzuoli (Descrizione della provineia deli' Istria). Clicesio, li cittadini per porre fine a tante loro rovine determinarono di inandar a Venezia dne Nobili della citta, un noininato Pietro q.m Pietro, e 1' altro Biagio (j.111 Domenico anibi della famiglia de' Capitani, a sup-plicare il Senato, che inandasse loro un Governaifpre con titolo di Conte, il quale dovesse ainministrar Giustizia con quattro Nobili Cittadini, che avessero titolo di Consiglieri da eleggersi dal Consiglio di Pola con riserva al Conte di quattro časi criniinali ; cioe violenza, sive sforzo di Donzelle, o ratto delle medenic, incendio frandolentemente conimesso, homicidio, e furto eccedente L. 10 — eccettuati questi Časi, che li quattro Consiglieri avessero il giudicio comune col Conte tanto in Civile qnanto in Criniinale, e che 1' opinione delli piu prevalesse. Onde csauditi gli Ora ton fu d'or-dine puhlico sotto Francesco Dandolo Doge 12 — esiliato Sergio de Castro Polae con tutti li suoi descendenti dalla Citta di Pola e suo distretto, dal-1' Istria, dalla Schiavonia, e dal Friuli, con questo pero che potesse ritenere, e godere tutte 1' entrate de' suoi beni, che s' attrovano nel distretto d'essa Citta; e cosi se ne ando ad abitare in Treviso, dove sin al preselite s'at-trova detta Nobil Famiglia, anticaniente detta de' Sergij, che ora si chiama Pola, nobilitata col titolo di Co. Pola et e delle principali di quella Citta, e molto ricca possedendo molte rendite e Fcudi Ecclesiastici a Rovigno, e Vallo Diocesi di Parenzo, ed un altro Feudo Eccesiastico nel distretto di Pola quali entrade vengono esatte sin al preselite per nome loro da' suoi Agenti. La Diocesi e lunga piu d' ottanta migi i a, ed oltre la Cattedrale ha sotto di se dieci Chiese Collegiate ; tra le quali terre e celebre la Citta di Fiume Arciducale della parte deli' Impero molto habitata e mercantile, vi sono pure le Terre di Dignano, e Albona dalla parte Veneta molto consi-derabili, e in tutta la Diocesi vi sono oltre 33 chiese Parrochiali sernplici, dieci Monasteri di Regolari, due di Monache, 300 e piii Coiifraternita, sei Beneficj sernplici, sei Feudatarj della Chiesa Nobili, piu di 300 Preti, e in tutto anime sessanta mille. Anticamente vi furono in questa Citta tre Abbacie di S. Beuedetto, li cui Abbati usavano anelli e mitra, ma disfatti li Loro Monasterij (come si črede) da' Genovesi, due di quelle sono passate in Beneficij sernplici, e 1' altra e del tutto abbolita. APPENDICE Coinprendesi essere stato questo Vescovato di Pola di maggiore ren-dita di qualsivoglia altro della Provincia, mentre li Vescovi hanno fondato diversi feudi levando dalla mensa episcopale 1' entrate, et sono li seguenti: Li Sigr.i Castropola Gentilhuoineni, Conti da Treviso, d' origine Polesi, hanno un feudo quale con tutti altri seguenti vengono rinovelarlo sotto ogni Veseovo, et nelle loro carte appai-ono tutte le contrato obligate a quelli di xm.e di pane, vino, et carne. Segue quello del Sig.r Domenico Elio Gentilhuomo Iustinopolitauo, cioe da Capodistria, sta a Dignano; lo collationo nella sua fainiglia^Moiis.r Illmo. et Rmo. Antonio Elio Patriarca Gerosoliinilano, che fu al Concistoro di Trento, fu poi creato Veseovo di Pola in loco del Vergerio che cade infetto cli heresia, contaniinato da Pietro Paulo Vergerio suo fratello, che fu per elemente VII naseoso in Germani«, come mi riservo trattare occor-rendo deli' apostasia d' ambi. I) Sig'.r Grisoni Dottore, pur Gentilhuomo di Capodistria, possede un altro feudo ; lo collationd monsig.r Illm.o Barbabianca da Capodistria essendo Vescovo di Pola dopo 1' Elio, ad un suo nepote latere sororis. li Sig.r Giacomo Pelizza, Gentilhuomo da Pola, ha un bonissimo feudo, Monsig.r Illm.o Saracino lo concesse. al s.r Zuanne suo Padre, cognato d'esso, Monsig. Vescovo. II piii antico e quello del Chersaniero, et il piu utiloso; questi pi-gliarono la casata dal Castello di Chersano ; bora 6 la linea redotta in un solo giovenotto, disordinante e mai sano ; ha solo una figliuola, onde va risehio resti dispositivo del Vescovo. Ha un feudo il s.r Zuanne Rota, Gentilhuomo di Pola, datogli da Monsig.r Illm.o Marcello nel (jual succeclono li masehi del 2.o matrimonio. II suddetto feudo in prima era posseduto dalle casacle dei Sozi Barbo e Querengo, e stalite mancanza di discendenza mascolina fu caduto il detto feudo in potesta della mensa episcopale, la quale ebbe a concederlo al sunominato Rota lunino 1660 il l.o di Giugno. CARDUCCI E PLATEN Egregio Signor Direllore. -- Leggo nell' ultimo numero delle Pagine Hiriane (I 153-59) un articolo di Gio>\ Qnaran-tolto su 'Giosue Carducci e un Lied di August von Platen-HallermOnde'. 'Clrio sappia, a nessuno studioso di letterature moderne', vi dice l'autore, '6 accaduto flnora di avvicinare tra loro la seconda parte deli'ode barbara earducciana Faori alla Cer-tosa di Bologna e il Gesang der Todlen di August von Platen-Hallermunde'. 'Nessuno tocco deli'influsso esercitato sopra le odi [del Carducci] dali'arte straniera; nessuno avverti la pa-rentela del Gesang der Todlen con la seconda parte deli'ode barbara Fuori alla Cerlosa di Bologna'. L' accostamenfo invece era stato fatto, son gia sei anni, da lino studioso di letterature comparate, il cui lavoro sfuggi al Quarantotto. Cesare De Lollis aveva publicato una sua traduzione poetica del Canto dei mori i nel 'Fanfulla della domenica', in un numero dei novembre 1886 '). Nella Nnova Antologia poi, ove comparvero tre suoi artieoli sul Platen 2), addito la relazione del canto tedesco con 1'ocle italiana ed analizzo ambedue con sottigliezza e buon gusto non comuni. Ai lettori della Sua rivista non sat^i forse discara la citazione del passo: 'un incisore, un alluminatore, un orafo, ai quali si oOm-mettesse di rappresentare in diversi piani, le une di contro alle altre, varie opposte scene della vita e della mofte, non riu-scirebbero ad esser piu precisi di quel che sia. qui il Platen: salvo poi a vedere se quella ordinata enumerazione di anti-tesi, ognuna delle quali trova rigorosamente il suo pošto nel-T ambito d'una quartina, non riesca, poeticamente parlando, fredda. Qui insomma, come in molte delle poesie del Platen, P immagine e concepita ed elaborata alla perfezione, la frase b incisiva, la musicalitii del verso adattata in ogni sua sfuma-tura ali'immagine che si vuole esprimere: ma agli effetti di tanto magistero si direbbe che rimanga indifferente, per la pri-ma, 1' anima del poeta stesso. Ed e un fatto che la parafrasi di questa poesia incastrata dal Carducci nella sua ode Fuori alla Certosa di Bologna assume una vitalita tutta propria (se di vitalita e lecito parlare a proposito di morte), perche il coro, per una di quelle complesse evocazioni storiche, delle quali il Carducci si diletta, divien determinatamente la voce delle innumerevoli generazioni che sin dai tempi remoti la falce della morte venne mietendo sui piani felsinei'3). Cio non per detrarre al valore deli' articolo scritto dal Quarantotto, nel quale anzi trovo qualche buona osservazione, non fatta, ch' io sappia (stavolta lo dico io), da altri'). Al ') Cito la p rima strofa : Noi te invidiamo assai che costassu t' aggiri: tu cinto d' aria vai, nel mar deli' etra spiri. s) La giovinezza di Aug. Platen ; Aug. Platen in Italia ; Gli ultirni anni del Platen ; 1°, 16 ottobre, 1° novembre 1897. :J) Nuova Antologia, 1° ottobre 1897, pg. 503 sg. 4) Del Carducci, a proposito del Platen, tocco anche Giac. Sarra nella prefazione alla sua versione metrica : Odi, Itini, Egloghe, Epigrammi di Aag. di Platen, Milano, Sonzogno, 1897. — Del Platen in Italia tratto (per non dire di alcuni artieoli, publicati da Att. Gentille nel\'Indipendente, luglio 1900, sul soggiorno del poeta a Trieste) pure A. Zardo, A. Platen postutto, il trovarsi, all'insaputa, d'accordo con un De Lollis non fa disonore a nessuno. Ferdinaiido Pasi ni. LA STORIA DI UN DUELLO Ma ognun la sna fatale Stella ha sni capo.... Prati Raffaello Barbiera, 1' egregio letterato veneziano, cui la terza Italia va debitrice di piu d' una paziente e fruttuosa investigazione nel laberinto ancor molto intricato del primo periodo storico del Risorgimento, ricorda, nell' ultimo suo libro di recente impresso, un duello rimasto lugubremente famoso negli annali della cosi detta cavalleria e eh'obbe a protagonisti un gentiluomo di Lombardia c un officiale austriaco. Ora, poiche l'ufficiale austriaco, che fu la compassionevole e Venezia, in Nuova Antologia, 15 settembre 1895, alle cui traduzioni (si scarse del resto in Italia) mi si permetta d' aggiungere questa, d' un sonetto dedicato a Venezia, inedita e fatta, horis subsecivis, dal mio ca-rissimo collegraprof. Francesco Majer: Venezia non e piu che un sogno vano, ombra pallente d' un' eta fuggita ; spento giace il Leon repuhlicano, le temute prigion non han piu vita. I destrieri di bronzo, di lontano tratti per 1'onde spumeggianti, ambita gloria del Tempio ])iii non son ; la mano del Corso domator frenolli ardita. I)ov'e, dov'e quel popolo di regi, ch' este marmoree moli ha sollevato, cui il Tempo investa, logori e cancelli 'i Sul volto del nipote ahime non pregi i grandi tratti del proavo amato scolpiti in pietra sui ducali avelli. ') Raftaello Bar')'er,i : Passioni del Risorgimento (Nuove pagine sulla principessa Belgiojoso e il suo temj>o con documenti inediti e illu-strazioni); Milano, Treves, 1903. — Si veda pure 1'articolo publicato dal Barbiera sul «Corriere della Sera« del 21 maržo 1898. vittima dell'oscuro dranima, appartenne ad una delle piu co-spicue faraiglie capodistriane dello scorso secolo, 11011 pare al sottoseritto tatica inutile riassumere per cotesta patria efeme-ride quanto di rimarchevole in riguardo al tragico avveni-raento il Barbiera potfe assodare di fatto (le relazioni che s' avevano finora del duello eran molto discordi e confuse), con le sue laboriose ricerche negli archivi segreti del cessato Regno Lombardo-Veneto, archivi che 1'Austria fu costretta ad abbandonare a Milano ali'epoca della sua sec.onda ed ultima fuga dalla eroica eittii delle cinque giornate. * * I carnevaloui milanesi della prima meta del secolo pas-sato vanno celebri nella storia delle follie popolari a cagione del loro favoloso rigoglio; e noi tutti ci ricordiaino d'averne inteso parlare, ancor ieri, dai nostri nonni con nostalgica te-nerezza e con rimpianto profoildo. Certo, i tempi correvano allora men seri e men affacendati di adesso, al meno in ap-parenza; e 1'Aust.ria, da canto suo, lavorava alaeremente di nascosto a distogliere gli orecehi vigili dei patrioti dalle prime invocazioni dolorose della gran madre Italia. Ma a stillarsi il cervello su i loro atti gli eroi deli' innoeuo baccanale piazza-iolo milanese non ci pensavano, o, per essere giusti, ci pen-sarono da vero piu tardi, al meno quelli di parte liberale, quando si comprese ch'era giunta al fine la pienezza de' tempi e che faeea mestieri sguainar le spade e disselciare le vie. In somma, per farla breve, ai carnevaloni di Milano la gente si divertiva mezzo mondo: e non solo i milanesi di nome e di fatto prendeano attivissima parte alla baldoria, ma i lom-bardi della provincia e 1' ufficialita austriaca si della guarni-gione cittadina che dei presidi delle borgate circostanti. Or avvenne che il sabato grasso del 1833, una brigatella di giovini ufficiali appartenenti al reggimento ussari Re di Sardegna, di stanza a Lodi, si recassero a Milano per godersela anche loro nel coni une impazzamento. Ed era della partita il primo tenente conte Potnpeo Grisoni1) capodistriano, giovine di a pena ven-titre anni. Gli ufficiali, che per una ragione o 1' altra, vestivano *) I conti Grisoni — scrivo per i non capodistriani — appartengono ad antica illustre farni gli a autoctona istriana. Conferi loro il predieato eomitale la Serenissima, il 1754, nella persona di Francesco Grisoni figlio 1'abito borghese, lnontarono, giunti a Milano, su di una car-rozzella, e presero a girare il Corso e ad ingaggiar carneva-lesca battaglia di eoriandoli con gli altri veicoli di gaudenti e con la folla che assisteva allo spettacolo. A un certo punto, uno dei militari, serabra') il Grisoni, scaglia eoriandoli »contro un gruppo di giovinotti milanesi eleganti.» Non 1'avesse mai fatto! Uno dei colpiti si stacca dai compagni, va diritto al Grisoni e lo pereote ripetutaraente con un bastoncino da pas-seggio. Gli ufticiali reagiseono con il cucchiaione osseo del quale si servivano per vuotare i sacchi dei eoriandoli. «Ma la cosa, scrive il Barbiera, non fini la, e non poteva flnire ; tanto pili che il fatto, non ostante fosse avvenuto in un lampo, e non ostante la ressa e la baraonda c il movimento festoso e pazzo della folla, non era a questa sfuggito... 11 furore degli ufticiali s' inunagina.» Ne segui necessariainente un duello; un duello in cui il giovine istriano ebbe per avversario 1' ingegnere Carlo Dem-bowsky, «figlio d' un generale che Napoleone I avea creato barone, e di Matilde Viscontini. c-olei che elai grossolani trat-tamenti del marito, avea cercato conforto nella piu devota amicizia verso un grande poeta, Ugo Foscolo, e nelle idee liberali.» II cartello di sfida da parte del conte Grisoni fu re-cato al Dembowsky, il quale aveva precedentemente dichiarato, ♦ch' egli, nel sabato grasso, avea ben saputo d'essersi avventato sul Corso contro ufficiali austriaci e ch' era pronto a dare sod-disfazione a chiunque la sua azione non piacesse», dai due tenenti ungheresi Alessandro De Pertzell e Aristide Detzsoffy, dal flglio del generale Radetzkv e da certo Losert. Avendo il Dembowskv categoricamente rifiutato di presentare qualsiasi seusa, si decise subito il duello. Gli ufficiali oftersero per arma la sciabola. II Dembo\vsky accetto. Si sta bili di comune accordo 1'esclusione dei colpi di punta..... E dire che fu un colpo di punta che uecise poscia il Grisoni! Scherzi atroci della sorte.... Ma rifacciamoci ai preparativi. a Santo. L'Austria, a sua volta, riconobbe c confermo i diplomi di Venezia. L' ultimo conte e 1' ultima eontessa Grisoni lasciarono la maggior parte dei loro averi alla benefieenza. (Si veggano i diversi opuseoli di storia patria di Andrea Tomasich capodistriano, in letteratura Gedeoue Pusterla.) ') Cotesto sembva avra la sua giustificazione in seguito. Per adesso ci tengo a dichiarare che non e punto uno sciocco riempitivo. Carlo Dembcnvskv scelse a suoi padrini il conte Antonio Belgiojoso e Massirailiano Majnoni, patrioti della piu bell'acqua tutti e due. Accompagno il Dcmbowsky sul terreno anche il nobile Carlo Resta. II Grisoni condusse seco i quattro ufficiali gia piu innanzi ricordati e il barone Bakonvi, medico militare della caserma di San Vittore. Ed ecco ora come Raffaello Barbiera ricostruisce la tra-gica scena. »Verso le due pomeridiane del 15 maržo, in un campo di Gorla, presso un bosco, su un fondo di časa Erba, i due avversarii insieme coi padrini, discendono da due vetture (l'una pubblica, 1'altra del Resta), si mettono in maniche di camicia; e, alla presenza di qualche villico curioso c d'un do-mestico del conte Grisoni, si lanciano, stringendo in pugno uno squadrone, a combattimento furibonclo. Dopo qualcbe assalto, la Iotta cessa un momento; quindi ripiglia piu forsennata di prima. D' un lampo, il Dembowsky si abbassa e colpisce di punta al petto il Grisoni, nel momento stesso che questi lo ferisce colla sciabola alla testa abbassata; e il Grisoni esclama: «son morto!» e cade a terra cadavere. II tenente De Pertzell, grida irritatissimo al Dembovvskv: «Voi avete violati i patti! Avete ucciso 1' amico mio con un colpo di punta. I colpi di punta erano stati esclusi! Ebbene, vi batterete ora con me!» — «Ah no! Non ora, risponde il Dembowsky: guardate!» — E gli mostra la testa sanguinante. Anche uno dei padrini del-1' uccisore, il Majnoni, e rimasto ferito a un piede, per un brusco moto che, colla sciabola, dopo aver ferito il conte Grisoni, ha fatto il Dembowsky. — E il nuovo duello vien rimesso ad altro giorno'). Accrebbe orrore alla tragedia il fatto, molto logico del resto, che il vetturino degli ufficiali austriaci, atterrito alla vista di tutta quella carneficina, si ricuso di accogliere nella sua carrozza la spoglia del Grisoni e prese la fuga: cosi che, an-datisene tosto, per motivi facili a comprendersi, anche gli altri, e amici e avversari e spettatori, non rimase a lato del cadavere che il fedele De Pertzell. 11 quale ottiene a furia di denaro e di pregliiere, che certi fratelli Gioia contadini tra- ') II Dembowsky e il De Pertzell non si batterono affatto. Circostanze indipendenti dalla loro volonta impedirono lo scontro divisato. sportino la salma delPamico in časa del deputato politico (pro-sindaco rurale) di Gorla. La direzione di polizia in Milano vien subito informata di tutta la faccenda. Nel frattempo, il De Pertzell fa prima trasportare a Milano e poi a Lodi 1' ucciso. A Lodi il carro funebre giunge nel cuor della notte e il cadavere vien deposto nella caserma di San Domenico, nella stanza di un servo. Poi, senza indugio, arrivano da Milano a Lodi alcuni medici mili-tari. Vien fatta 1'autopsia deli'estinto. Si trova ch'egii e pro-fondamente ferito al petto. «Ma vi sono altre ferite. II volto 6 sfregiato e la mano sinistra e trapassata da parte a parte. In qual modo poi questo sia avvenuto, il tenente non dice: gli altri ufficiali son pure muti come tombe.» Verso 1' imbru-nire, ha luogo la inumazione del feretro. E vengon resi al-1' infelice giovine gli onori delle armi, cosa affatto eccezionale, perehe allora i morti in duello venivano trattati alla stregua de' suicidi. Intervenne la giustizia, la gente di questura fu sguinza-gliata, e tal barone Schelburg fu incaricato d' instruire il pro-cesso. Ma il Dembowsky e i suoi compagni non furon potuti arrestare, perehe fuggiaschi ixi Isvizzera 1). II processo, tuttavia, ebbe il suo corso regolare. E stilarono dinanzi ai giudici innu-merabilmente i testimoni; e compari in tribunale anche il tenente De Pertzell, «il quale, come giudica il Barbiera, ben si avvicina al vero quando fa balenare 1' idea che 1' aggressione del Dembovvskv (spalleggiata subitamente dai suoi amici, la sul Corso fra le baldorie carnevalesche) aveva forse la mira di provocare 1111 tumulto, forse una sollevazione in Milano. A proposito del Grisoni poi 1' ufticiale magiaro sostenne costan-temente che questi fosse stato poco meno che assassinato dal Dembowsky. (Ma un patriota lombardo, giš, amico del Dem-bowsky, fece a Raffaello Barbiera la seguente dichiarazione : «11 conte Grisoni rimase ucciso nel duello perclie si scaglio con impeto contro la sciabola clel Dembowsky, nell' atto che stava per colpire quest' ultimo alla testa; e alla testa il Dembovvskv rimase, infatti, ferito; e il Grisoni, colpito mortalmente al petto, eadete morto.») E lo storico veneziano, per parte sua, ') II Dembo\vsky, benehe quasi subito graziato por decisione sovrana, non pote piu rivedere i' Italia. Mori suicida, dopo aver dato segni non dubbi di alienazione mentale. conchiude: «Cosi si sostiene, dai nostri, essersi trattato di di-sgrazia, non di violazione di patti, non di assassinio, come giudici di parte austriaca affermarono '). Stia ora la cosa come vuole 1' una parte o 1'altra, resta sempre il fatto, assai doloroso, di un' esistenza poco piu che ventenne miseramente troncata in duello. Ed ha ragione il Barbiera quando ricorda pietoso i genitori della vittima infelice lagrimanti nella »lontana citta di Capodistria«; i quali, piu in odio al fato deli o stesso re d' llio nel poema immortale d'Omero, non poterono ne meno, per qnante suppliche facessero, riavere il cadavere deli' adorato tigliolo. I11 Istria, il dramatico avv.e-nimento sollevo grande scalpore e inspiro forse una lirica a Michele Facchinetti. Oggi, la schiatta dei Grisoni piu non esiste. La sua estin-zione risale alla morte della contessa Marianna nata Pola, madre allo sventurato ufficiale, sorvissuta al figlio, a una figlia e al marito. Ed e una pieta senza con fine che nell' animo d' ogni bennato suscita il ricordo di quella povera donna piii triste di Niobe e piu niartire di Cordelia. Trieste, 1 ottobre 1903. Giiio Ottoni-Yaiitarqua DI UN CODICE DI UMAGO d e 11' a n 11 o 1 5 5 9. Nell' arcliivio comunale di Monfalcone si conservava un codice manoscritto in carta pecora dellLanno 1559 contenente statuti e leggi- deli'Istria e particolarniente di Umago. Malicava del frontispizio e sul eartone dorato porta va ii.upresse da. una parte le parole Andrea Zane e dalTaltra 1'anno MDLIX. 4) I quali pero, a detta del Barbiera, avrebbero fatto ii possibile per velare una terribile risultanza proee-suale. Parrebbe, cioe, che 1' ufriciaie bastonato ii giovedl grasso non sia stato il caute Grisoni, si liene il figlio. medesimo del general. Radetzky, e che il govcruo .austriaco abbia .eostretto. a battersi in vece di čolni — Dio sa perche — 1' ufficiale piii giovine del reggjmento, vale a dire il Grisoni. .Ma cio non pno esser vero, perche altramente i bruti cui guida unicameute 1' istinto sarebbero piu pietosi degli uoinini. Uua copia di questo codice esiste nella Biblioteea Civica di Gorizia nei Documenti per la storia del Friuli con una cronologia sincronistica raccolti da Gius. Domenico Della Bona, zelante ed infaticabile raccoglitore di cose patrie. 11 codice originale, dalle notizie ufficiose pervenutemi dal Municipio di Monfalcone non esiste piu da parecchi anni in quell' archivio e probabilmente sarčt sparito all'insaputa dei reggitori di quel comune. La copia di eni faccio menzione sarii forse unica e riporta numerosi capitoli scritti parte in latino e parte in italiano. Do piu innanzi 1' elenco di questi capitoli ed osservo che queste leggi sull'Istria, vennero pubblicate come di regola anche a Venezia nel modo seguente: Die ultimo octobris 1559. Pubblicata fuit super scallis Rivialti per Bernardinimi qm. Iacobi praeconem pubblicum. Die 6 Novembris 1559. Pubblicata fuit super scallis Sancti Marci per Ioanem Zapa praeconem, con licentia che altri non ardischi a stam-parla sotto le pene che a sua signoria Illustrissima parera. T A V O L A *) di tutto quello chc ordinariamente si contiene nelli capitoli della commissione del M.co Rettor di Humago et prima Dello andar Podesta a Humago Del rentler ragioue Della eletione dei Giudici Della Giustitia contro li malefici Li rettori deli' Istria non ponno tenir nelle sue terre alcun bandito Delle eredenze Del non aecettar doni Del trattar bene quelli di Venetia Che delle questioni tra Isola e Piran, il Podestš, di Capodistria debba farne cognitione Dell' ajuto che si deve dare se alcun legno di Venetia naufragasse Che nel Regg.to si debba ha ver tre servitori e due cavalli Che se venira mandato alcun della famiglia del Rettore in alcun luoco per fatti del cominnn, non debba aver salario Che li communi delle Terre deli' Istria siano assolti dal tenir cavalli Del tuor securta da chi eoudurra vino a Venetia *) Questa tavola o indice contiene tutti i capitoli nell' ordine in cui seguono nel Manoscritto fino alle carte 38 dello stesso. (C. S.) Della regalia che pag'a il eommmi a Vonetia Del non poter extrarre legne se non per Venctia Ciie il Rettor non possa haver, ne tenir per Nodaro alcuno d' Humago Delli contrabandi del šale Della pena a chi vende una cosa piii d' una volta Circa li stronzadori delle monede Delli banditi che senza pena verranno ammazzati Di non accettar ne accompag-nar banditi Di quelli che dopo le condannationi si fanno chierici Che taglia se debba dare a chi prende nialfattori Delli spergiuri et pena di quelli Della proibita arte deli' archimia Le arme, che sono proibite de portar Del Rettor che robbasse i danari pubblici del Doininio Nostro Degli ofliciali che robbassero danari pubblici Noti debba il Nodaro per fatti del coinimin tnor inerccde Che il eancelliere compri del suo carta, cera Del 11011 contraher inatrimonii per li Rettori Del dar noti ti a alli provisori alla sanitA, della peste Che li giudei non possino haver alcun stabile Di quelli che tradiscono la citta e loro pena Che quelli che amazzeranno qualcuno in Venetia siano banditi da terre e luoghi Pene statuite contro li biastematori Parte de li falsari et pene contra di quelli Pene contra i ladri Che li Rettori non possino tenere a battesimo ne a cresima Che li Rettori possino in luogo di condennation di amputation di membri condannar i delinquenti a vogar in galia. (A schiarimento di questo capitolo, osservo che le pene consistevano talvolta nell' amputazione di qualche inembro p. e. agli .stronzadori de monede (cioe quelli che con arte qualsiasi ne diminuiscono il valore) era comrnisurata la pena dol tagiio della mano destra e di avere levati tutti e due gli occhi. C. er giostre, cacee di tori. balli. rappresentazioni, masoherate ecc. Kcl nostro caso ti*attasi, se non erro. ne piti ne meno d'un comizio feminino aristofanesco. 2) Keticelle, ornamento del capo. 3) A liauco (ad latus). Note finito.... — si ristampa ora per la quinta volta. E cio e gia il significato della bon ta del volume. Ai racconti gia eompresi nelle prime edizioni, le. quali comparvero successi-vamente con due titoli diversi: Nove mesi dopo la prirna volta ed Era novissima le altre, e che 1' autore ha interamente riveduti e corretti, sono state aggiunte in questa quinta ristampa parecehie eose nuove eomposte dali' autore posteriormente ali' epoca lontana di quelle prime edizioni. Per modo che il volume, interamente rifuso, ricomposto ed atnpliato, appare come una cosa nnova, ed e nuovo realmente in una grandissima sua parte. La ingenua sentimentalita delle prime novelle, alternata ora dal soffio di passione dei nuovi racconti dettati nella vivida maturitž. deli' autore, forma un complesso di pagine di una varieta e di un interesse singolari. Questa nnova edizione — che va a far parte della ristampa di tutti i romanzi da tempo esauriti del nostro autore, iniziata eol Maschio e femmina dalla Časa Editrice'Naziouale — avra eertamente il successo vivo e lusinghiero degli altri libri dello stesso scrittore. A. Noterelle bibliografiche. .11 N.ro .7242 (21. 10. '03) del Triester. Tarjblatt, porta un interessante articolo di Giuseppe Stradner intitolato: Die prahistorisehe Erforscliuvg der adriatisc/ien Ostkilste. 11 N.o 307 (7. 11. 03) della Tages-post di Graz, sotto il titolo Volks-zdhlungsbitanz der Nazionalitaten, contiene una estesa reeensione deli' ultimo lavoro del nostro Salata comparso nella «Nuova Antolog'ia». Ginbileo. II 14 del corrente meso il nostro egregio collaboratore Sig. Giuseppe Vassilich, direttore della civica senola cittadina di Via Giuseppe Parini in Trieste, festeggio il 30.mo anno di servizio ininterrotto e zelante come puhlico precettore. Al chiaro uomo, che occupa un bel pošto fra i cultori di storia patria, le piii cordiali felicitazioni da parte della direzione delle Pagine Istriane. --—:- HT e c r o 1 o g; i si L' egregio Signor Marino Girardelli, maestro nelle nostre scuole ele-inentari, ci manda il seguente cenno necrologico sull'infaticabile illustratore dei castelli tridentini, il cav. Pietro degli Alessandrini di Trento, maneato ai vivi il 19 dello scorso mese di ottobre. L'illustre Estinto era legato in amicizia anche eol nostro Gedeone Pusterla, in cui lode detto parecchi articoli nel L'Alfo Adige di Trento: II cav. Pietro degli Alessandrini di Trento, 1'infaticabile raccoglitore ed illustratore delle patrie meinorie, non e piu. II di 19 ottobre, teste decorso, esalo 1' uiti m o respiro, lasciando nella desolazione tutti coloro che avevano il bene di ammirare le di lui non coinuni virtu. II Trentino ne piange la perdita e bon a ragione. Di lui abbiamo le seguenti opere : Catterina Meld-Rassigara processata quale strega dal tribunale di Bormio. Questo racconto, tratto, come dice egli stesso nella prefazione, da irrefragabili documenti, serve a testimoniare ancor una volta a quali eccessi poteva arrivare — avanti neanche due secoli — 1' ignoranza ed il fanatismo sedotti dalla superstizione. II giornale «L' Electeur d' Indre-et-Loire» parlando di questo romanzo (o meglio racconto storico) lo giudico un ouvrage parfait, un monumeni de patiencie et d' erudiclion. Nb basta. II valente poeta e romanziere Em. Fournier, Presidente della Societ& dei Letterati (Societe des Litterateurs) sezione straniera a Parigi, ha voluto donare la prima versione di Catterin i Meld ai lettori del «L' Electeur« e mandare aH' Alessandrini il diploma che lo aggregava qual membro ono-rario di quella celebre Societa. Nostra di Gresta-Castelbarco, romanzo storico del secolo XVI, che riscosse gli applausi non solo dei giornali trentini, ma ben anche dal «L' Istria« di Parcnzo, dal «Piccolo della sera« di Trieste e da non pochi giornali della Penisola ; lavoro questo che, come ben diceva «La Voce« di Trento, potrebbe esser dato in premio alle scolare ed agli scolari piu distinti. Tanta fu la sua diffnsione, che vennero smaltite quattro edizioni. Nostra — Drainma in cinque atti, edizione prima. Lo stesso incieramente riveduto e ridotto in quattro atti. Annali di Pergine e del Perginese (anni 590-1800). Questo poderoso lavoro fu pubblicato a cura del municipio di Pergine; 1'edizione e fuori di coinmercio. La Biblioteca popolare di Trento nel suo ventennio 1809-1889. Cornelia di Pergine, romanzo storico del secolo decimoquarto. Fu cosi apprezzato questo romanzo, che ebbe 1' onore della seconda edizione illustrata. Per il XXV anno di fondazione della Biblioteca popolare di Trento. II ricavato di quest' opera era a favore della stessa Biblioteca di cui egli era benemerito Presidente. Biografia dei fratelli Agostino e Carlo Perini di Trento. L' Alessandrini, prima di morire volle con questo lavoro ricordare i troppo dimenticati fratelli Perini, ferventi patrioti, che consacrarono la maggior parte della loro vita e tutte le loro sostanze per illustrare il Trentino. Per esser breve, e non abusare della gentile ospitalita accordatami da questo benemerito periodico, soggiungero solo : che il nostro Alessandrini, in seguito alle sue opere letterarie e segnatamente alle sue Memorie di Pergine, e stato creato dali' Accademia Australiana delle Scienze (Australian Academy of Sciences) Membro Corrispondente straniero con grado e titolo di Professore onorario diplomato. Dokenico Vestw.ini, direttore — Carlo Priirv, editore e redattore r^sponsabil«. Tipoyrafla Coijol & Priora, Capodistria.