ANNO IV. Capodistria, 46 Marzo 1870. N. LÀ PROVINCIA GIORNALE DECLI INTERESSI CHILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATIVI DELL'ISTRIA. Esce il 1 ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 3; semestre e quadri-mestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. La scuola popolare e la Provincia. Abbiamo già altra volta espresso francamente la nostra opinione contro qualsiasi ingerenza del ministero e del governo nella scuola popolare. Più ancora che sul nostro patrimonio comunale abbiamo diritto sulla prima educazione dei nostri figli, e lo Stato in ciò non ha da provvedere ad altro che ad affidare celesta azienda a rappresentanze locali, che siano in grado di condurla con solerzia e intelligenza. Ma dallo escludere lo Sialo dall'istruzione primaria all'attribuirne la direzione ad ogni comune indistintamente corre un cosi gran tratto, che si va proprio da un male all'altro. E perciò deploriamo che questo non siasi compreso a dovere nei recenti nostri ordinamenti scolastici. Noi ripeliamo quello che abbiamo già sostenuto, la necessità cioè di distinguere i comuni in due classi. [Come? E questo partito cosi strano da farne le me-Iraviglie? Non sono forse molte delle nostre leggi informale al principio di una tale distinzione, anche lanciando di dire, che dove non la si fa nei paragrafi, la si accoglie nella mente da ogni persona sensata, e H si pratica in tolte le forme non meno officiali che limale? Non abbiamo, per citare un esempio, la stessa I iwtra legge elettorale per la rappresentanza provin-iale fondata essenzialmente sul principio della diver-I ila delle condizioni della popolazione cittadina da felle della popolazione rustica? l Lungi adunque dal fare cosa contraria alla legi-pione vigente, sarebbe stato un coordinarvisi, dove in importava che ciò avvenisse, adoltando rispetto ai munì della campagna disposizioni differenti per ciò !t spetta alle loro attribuzioni scolastiche. Nei comuni rustici, senza tale differenza, andiamo insediare direttori della scuola chi non ha ancora Inficiente «oltura da comprenderne il vantaggio, ed è fi disposto ad avversarla che a favorirla. I più pru- Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi 5 per linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Pagamenti anticipati. — Un numero separato soldi 15. denti, quelli che nell'ordine dei contadini tengono i primi posti, non predicherebbero che la rassegnazione a questa ch'essi chiamano nuova imposta mascherata. Nè crediamo con questo di offendere la popolazione rustica : rileviamo làlti^ di cui accagioniamo ben altri che essa, la (piale ora vede sorgere in accusatori de'suoi veri amici quegli stessi, che furono sempre, come sono, la più vera causa di non pochi de'suoi ardi. Senza ambagi, noi ripuliamo inetti quasi tulli i no^ri comuni rustici a tenere l'azienda scolastica, e prevediamo che ove non si rimedii al male fatto, non solo non si farà alcun passo innanzi nell'istruzione popolare della campagna, ma se ne faranno invece più d'uno indietro. Anz^ è nostra convinzione che nemmeno un'azienda distrettuale, la quale riuscisse composta dal voto dei delti comuni, sarebbe tale da rispondere all'uopo. Saremmo sempre su di un campo, dove le sollecitudini si spiegherebbero assai più per difèndersi dalla scuola che per istituirla e zelarne il migliore sviluppo. Per ciò che riguarda l'istruzione primaria nelle comuni campestri non sapremmo vedere ordinamento più opportuno di quello che ponesse l'istruzione stessa a cura della nostra autorità provinciale. In questa ormai può aversi fiducia non prevarranno più elementi avversi ai nostri interessi, e l'intelligenza, l'onestà, l'amore del paese avranno sempre il predominio. Accentriamo dunque in esso tutto ciò che non può essere amministrato bene dai comuni della campagna, e la legittima influenza della classe civile non potrà che guadagnarne. Nè ciò toglie che abbiano a stabilirsi anche consigli distrettuali per le scuole popolari del contado^ ma questi siano instiluiti dalla stessa autorità provinciale, che sarà certo giudice assai più competente, che noi possano essere le rappresentanze dei villaggi, degli uomini più al Li a Ira tiare con senno ed alleilo questo supremo argomento per la nostra prosperità morale e materiale. Senza confondere le diverse mansioni, come già s'intende da se, noi vorremmo inoltre che la socielà agraria si mettesse di fianco a queste autorità scolastiche, e senza dubbio «no dei modi migliori a làr questo sarebbe di attribuire ai principali suoi membri il doppio officio del curare così i progressi dell'agricoltura come l'incremento della scuola popolare. La nostra popolazione è dedicala quasi tutta alla coltivazione del suolo, e se la scuoia non si conformerà ai bisogni speciali, alle particolari esigenze, che da ciò derivano, essa apparirà sempre come una pianta esotica, e non si avrà modo di vincere i pregiudizii dell'ignoranza, che ne contrastano lo sviluppo. Intendiamo di avere appena accennato alla importante questione, ma anche così speriamo di eccitare a dirne più diffusamente quelli dei nostri collaboratori, che a ciò rivolgono studii speciali. Mettiamocelo bene in mente: v'è urgentissimo bisogno di agitare i gravi interessi dell'istruzione popolare. A. F. ESCURSIONI I'KR h'ISTRIA. (Continuazione, vedi n. 8.) Altri sono d'avviso diverso. Imperocché questi sloveni sono divisi, come fu detto di sopra, dalle altre popolazioni slave dell'Istria dal fiumicello Dragogna; ed è molto osservabile che quest'ultimi abitanti alla sponda sinistra, chiamano sè stessi istriani, dando a quelli della sponda destra il nome di Savrini. Ma se questi fossero più antichi degli altri, la cosa dovrebbe stare all'inverso. Inoltre lo stato più basso di coltura dei Savrini paragonato a quello dei loro vicini, non li farebbe supporre stabiliti prima di questi. A questo ragionamento però si può opporre la considerazione che fra tutte le razze slave dell'Istria la slovena è per indole la più tenace, e restìa a mutar consuetudini, e quindi anche all'incivilimento; e che se i loro vicini si dicono in loro confronto istriani, ciò potrebbe essere unicamente perchè si sentono più o meno assimilati agl'italiani, antichi possessori del paese. Ma quale è il significato del nome Savrini? Nessuno lo sa. Chi lo deriva dal fiume Savo, ritenendoli, siccome sloveni, provenienti da quelle regioni; altri crede che possano avere tratto il nome dagli antichi Subocrini, popolo montano dell'Istria rammentato da Plinio, per avere poi occupalo il loro paese. Sono vaghe conghietture queste, alle quali non mi perito di aggiungere una terza, che udii da un mio amico studioso delle patrie cose, che così ragionava: "Noi veggiamo che tutti i nomi applicati alle varie popolazioni dell'Istria, sono nomi di scherno, che queste, appunto perchè tali, respingono. Così gli appellativi di Cicci dato ad una parte degli abitanti del Carso, di Ciribiri e Ciccrani dato ai romanici sotto il Monte-maggiore, di Fucki attribuito al popolo dei castelli del Pinguentino, di Kesìachì onde i morlaerhi chiamano la stirpe croata, di Bodoli dato agli abita nti delle isole del Quarnero. Lo stesso sarà dei Savrini. A me sembrano per tipo, linguaggio, indole, vestilo, fratelli carnali dei loro vicini occupanti il territorio di Trieste. Se questi scesero in origine dai monti come mandriani, locchè attesta la storia ed il nome di Mandrieri che tutlogiorno conservano, si dovrebbe ritenere essere anche i Savrini venuti nella stessa condizione, la quale poi a poco a poco cangiarono in quella d'agricoltori, come fecero i loro fratelli triestini; e non potrebbe essere derivato il nome di Savrini dalla parola sovra, che nel nostro dialetto indica quel!'insetto che s'insinua, succhiandone il sangue, solto la pelle delle pecore, dei bovini e degli stessi pastori (in italiano zecca, - accarus ricinus Lin., volendo gl'italiani coli' attribuire alla nuova gente il nome di Savrini esprimere in tuono di dileggio la loro qualità di rozzi pastori ? Il Vescovo Naldini nella sua Corografia ecclesiastica della diocesi di Capodistria pag. 470 li descrive forti e robusti. Vestono, dice egli, una giubba di lana grigia, slesa quasi al ginocchio, usano un cappello con falda rivolta alla foggia di barretlone, ed armano la destra d'un asta cinque o sei palmi lunga, e ferrata nella cuspide o con tagliente scure, o con acuminato martello, delta dai medesimi picco. Non saprei di qual forma fosse questo cappello, a meno che non intenda dire del berretto che usano tutti gli slavi dell'Istria; da poco costumano i giovani altra forma di berretti; ma quella giubba lunga, che più or non si vede, e quel bastone munito ad un' e-stremità di accetta o martello ferrato, ricordano i pastori Cicci che pur adopravano sino a'dì nostri co-dest'arma da essi chiamata balda, e forse erano entrambi, sebben questi ultimi di razza romanica, tribù dimoranti colle loro greggie nelle un tempo vastissime foreste della Carsia. Si potrebbe supporre che i Savrini scesero nei dintorni di Capodistria, chiamati dalle famiglie di questa città, cui dai Vescovi e dai Patriarchi furono assegnati in fèudo le ville, e dai Vescovi slessi sulle ville della mensa episcopale in surrogazione dell'antica popolazione distrutta o scemata, e ciò in considerazione che i confini orientale e meridionale del territorio abitato dai Savrini coincidono perlellamenle con quelli della diocesi di Capodistria. In tal caso la loro venuta daterebbe appena dopo il 1100 incirca. Ma ciò non sembra ammissibile. Piuttosto sarebbe da ritenersi che vi fossero chiamati dalla città, il cui agro giurisdizionale secondo le norme romane, s'i-dcntificava eoli'estensione del territorio della diocesi. Le circostanze che dall'anno 770 circa sino al 1186 non apparisce alcun vescovo di Capodistria (la cui diocesi in quest'intervallo veniva governata da quello di Trieste), e che in quest'ultimo anno fu ripristinalo il Vescovato, con assegnamento fallo da parte de Comune di ampie vigne, di varie ville, e poscia anche della decima dell'olio, per dotarlo, se mostrano che città e territorio erano caduti per olire tre secoli in grande dejezione, verosimilmente per mancanza di popolazione agricola, al ripristinamenlo del vescovato le calamità che l'avevano fatto cessare erano scomparse, ed il ripopolamento era già da qualch tempo succeduto, se il territorio aveva vigne, camp ed oliveti che davouo buon reddito. m Pedena durante la slessa epoca era similmente priva di vescovi, locchè significherebbe essersi trovata con Capodistria in condizioni identiche di spopolamento territoriale e conseguente miseria. E diffalti queste due città colle rispettive diocesi, poste agli ingressi della provincia e sugli sbocchi dell'antica strada imperiale per cui entravano i barbari, dovettero soffrire maggiori e più frequenti devastazioni. I territori delle diocesi suddette e la parte di quella Pola che dall'Ar-sia si estendeva al Tarsia (presso Fiume) furono per ciò necessariamente i primi ad essere colonizzali con slavi, latti venire dalle contermini provincie ove qualche secolo prima s'erano insediali Sloveni e Croati, non meno che quella parie della diocesi di Trieste che toccava le allre due e fu esposta alle stesse sventure. Ritengo però per fermo che il loro trasporlo avvenne non già in grandi masse ed in una volta, ma gradatamente ed a piccole parlile dall'anno 900 circa al 4200 ed anche più tardi, a seconda dei bisogni dei comuni, dei Vescovi, dei baroni, di singoli proprietarii, come più tardi vedemmo essere succeduto nei secoli 16.° e 47.° coi Morlaechi, Albanesi, e Greci trasportali da Venezia e dai principi austriaci in quelle contrade, che per pesti e guerre erano rimaste deserte d'abitanti. E cosi resta anche spiegato, perchè poche ville lianuo nomi slavi, mentre alla maggior parte fu dagli slavi stessi mantenuta la denominazione italiana, se anche talvolta storpiata, o fallane soltanto traduzione, esatta o no, non monta. Non è verosimile, parmi, che gl'istriani abbiano acconsentito alla proposta del Duca Giovanni di trasportare gli slavi, di cui tanto avevano a dolersi, nelle contrade più deserte. Foi •se gli archivii comunale e capitolare di Capodistria potrebbero conservare qualche lieve indizio sul tempo e modo della venula dei Savrini nell' Istria. II vestito dei Savrini si venne in parte modificando anche a'tempi nostri; ne'luogi più vicini alla diocesi di Trieste si vedevano ancora quarant'anni fa cappelli alla foggia dei pastori Cicci con testiera bassissima rotonda, ma con falda assai più larga, sicché coprivano abbondantemente le spalle, nonché berrettoni di pelo di lupo, e capegli lunghi scendenti all' indietro in coda. Onesta foggia di incomoda copertura del capo qual è il largo cappello s'addice a soli pastori per ripararsi dalla pioggia, ed il berrettone or detto accennerebbe all' aver essi tenuto dimora in luoghi ove frequenti erano i lupi, quindi in regione selvosa, e come pastori, ai quali s'offre frequente occasione di uccidere lupi infestanti le loro mandre. Tutte le varie razze slave di questa provincia devono esserci venule in un molto basso grado di coltura; locchè puossi inferire dallo slato attuale del loro sviluppo intellettuale ed economico per la maggior parte poco progredito, ad onta dei secolari contalli colle popolazioni italiane. Credo anzi di poter ritenere che essi trovavunsi in istalo semibarbaro come gl'ultimi venuti Morlacchi e gli Albanesi, i quali erano più pastori che agricoltori, infingardi, violenti, rapaci. Nel Placito di Curloinagno si parla dei furti e danni che facevano nelle campagne degl'indigeni. Certamente essi non giunsero con cavalli, né con asini e muli, perchè non hanno nemmeno voci nel loro linguaggio per guidarli. Adoprano in ciò modi italiani • compatii sot-° vasto dicendo sta, i, (coll'aspirala) su (zo), largo, eri, va; invece guidano i bovi in slavo. Se ben mi ricordo, i Savrini hanno per dirigere i bovi voci diverse dalle altre stirpi slave dell'Istria, locchè se fòsse, potrebbesi rintracciare uelle provincie slovene l'esistenza di modi analoghi, e far deduzioni sulla loro primitiva origine. La stessa indagine si dovrebbe pur fare riguardo al linguaggio, al \e-slito, ed ai cognomi. E osservabile tra la città di Capodistria ed il territorio tenuto dai Savrini una certa fredda separazione che potrei forse chiamare repulsione, la quale maggiormente spicca in quest'ultimo. Non manifestandosi in allei distretti tra ciltà e contado, non può derivare unicamente da differenza di schiatta; e siccome questa condizione degli animi non è un latto recente, ma risale a tempi più remoli, polrebbesi cercarne l'origine nei rapporti poco soddisfacenti e benevoli tra i feudatarii cittadini ed i sudditi villani. Diffalti il vescovo di Ciltanova Tommasini intorno all'anno 1650, ce ne fa la seguente triste pittura (pag. 534) : " Li contadini sono rozzi per la loro povertà, e per una naturai pigrizia. Il loro vestire accompagna la loro naturalezza. Usano la lingua slava, ed hanno abitazioni povere e ristrette, e sembrano le ville piuttosto ridotti di deboli capanne, che abitazioni permanenti. La miseria del contadino è non aver pane, e s'indebita vendendo il vino avanti sia raccolta l'uva, e convenendogli bever l'acqua e mangiar misture pessime, che gli troncano la vita e lo tengono in miseria. E perchè il territorio ha pochi pascoli, perciò non vi è copia d'armenti, agnelli e lane. La povertà di questo territorio nasce anco ch'essendo le ville di varii cittadini e nobili della citlà, cioè padroni di scuotere le decime e vigesime de'grani, biave e vini, quanto sono signori tanto sono loro nemici, e gli levano le sostanze con voler che paghino grandi tributi e cento altre augarie compassionevoli, e pur sono tutti feudi graziosi dati dai vescovi o dal patriarca. Nè li poveri per la loro debolezza possono opporsi. Essi moltiplicano i mansi e gli aggravii sino all'ultimo sterminio de'villaggi. Del che io ne conterei varii casi, se non credessi di offender alcuni pochi buoni e rari. „ Ed a pag, 329 dice : " Sono questi signori vanagloriosi, e si fanno temere da popolari, riverenti al loro principe temporale. „ Senonchè questi erano modi più o meno usali o-vunque esisteva il nesso feudale, e quanto più piccolo era il territorio baronale, più i signori aggravavano i sudditi per poter convenientemente figurare in mezzo a'più ricchi del loro ceto. I Savrini sono i meno aperti ed espansivi tra le varie razze slave dell'Istria. Sembrerebbe che nutrano una certa avversione verso il ceto civile, nè da loro ricevete sì facilmente quel saluto, che volentieri vi danno i contadini delle altre schiatte, meno in qualche parte la morlacca, che lo fa per fierezza. Ciò potrà derivare anche dal vivere essi tutti in condizione rustica segregali sui loro monti, ove (cosa assai rimarchevole, perchè in contrasto colle allre regioni dell'Istria propria) non sono punto commisti agl'italiani, i quali in altri distretti non mancano in gran parie dei villaggi, dove d'ordinario costiluiscono la classe borghese, sono possidenti civili, esercitano il traffico ed i mestieri; dal che ne viene al pae.e quella più o meno forle tinla italiana, che è l'espressione di coltura del medesimo, in contrasto rilevante con quelle ville, ove la popolazione è puramente slava ed agricola, e quindi meno svegliala ed incivilita. (Continua) ___ Capodistria, marzo. (u. r.) Non è molto lontana l'epoca del 1866, quando dietro un ukase proconsolare fu sciolto il patrio consiglio, e ciò per la semplice ragione eh' egli disdegnava e si opponeva che si ordinasse una guardia cittadina, la quale in caso di bisogno, ch'era per avventura presentissimo, attese le serie complicazioni politiche che s' andavano addensando, dovesse uscire dalle sue trincee per avventurarsi a battaglie insensate. Allora le sorti del Comune furono commesse alla direzione di un pubblico funzionario. Noi non ci faremo qui a sindacare i suoi diportamenti, ma ci permetteremo almeno di osservare, eh' egli se prode net condurre gli affari alla stregua di una gretta ed improtiflca burocrazia, non sentiva però alcuna tenerezza pel nostro paese, al quale anzi era totalmente straniero e per affetti, e per tendenze indomabili e generose. E così sarà sempre, ove il diavolo faccia, che un Municipio cada nelle mani di un impiegato dello Stato. — Se nnn che sfuriata la tempesta che per breve ora romoreggiò sul capo, si avvisò alla ricostituzione della patria rappresentanza. La cosa non fu facile e piana, come pare avrebbe dovuto essere; ma ci entrarono le influenze, i maneggi, le corruzioni, le violenze del governo di allora che saranno sempre di triste ricordanza, perocché siasi potuto vedere quanta in molti fosse 1' abbiettezza e la paura, e come ad altri il coraggio di serbare la propria indipendenza fruttasse dolori e miseria. Nullame-Bo 8'ebbe esempio insigne di compatezza e di concordia fra i cittadini, mentre furono poi tali a reggere i destini del Comune uomini, che almeno a qual tempo furono giudicati degni di estimazione e d'illimitata fiducia. Fu però, secondo io penso, piuttosto un giudizio di resistenza, che di convinzione, giacehè si scaraventò in seguito contro essi, il codardo biasimo, il livore. Ma quegli uomini non impaurirono alle bricconate degli sfaccendati, e de' zoili, e securi nella loro coscienza, percorsero colla fronte alta e serena il malagevole cammino. E cosa ■veramente deplorevole e sconfortante cbe cittadini che sagrificano tempo, fatiche, tutti sè stessi al pubblico bene, sieno poi rimeritati di oltraggi e d'ingratitudine. Se non che parlano altamente i fatti a loro favore, e i fatti non si smentiscono. Giova impertanlo sapere che nel breve periodo di tre anni fu il civico erario disgravato della ingente somma di fni 44524.94 per vecchi debiti, e che nudamene non si cessò dall' adempiere con tutto scrupolo agli obblighi ricorrenti di spese sistemizzate e di pagamenti inesorabili. I conti cbe ogui anno si presentarono al patrio Consiglio giustificano fino all' ultimo soldo gl'introiti e le uscite. Que'conti sono per quattro settimane, secondo vuole la legge, esposti al pubblico nel!' Ufficio comunale, affinchè ciascuno possa a suo grado prenderne ispezione, esaminarli ne' più minuti dettagli, farci sopra conienti, e censure. Ma chi '1 crederebbe ? —- Ne' tre anni di gestione non fu un solo tra' cittadini che si prendesse la briga di spendere una mezz' ora per squadernare registri, prospetti, polizze che costarono alla Giunta municipale fatiche, noie, sollecitudi- ni. Crederà forse qualcuno che cotesto sia bella testimonianza di fiducia, e tributo di lode profumata ; ma non è cosi. L' astensione è invece effetto d' inerzia e d' apatia, mentre non si cessa e nelle bettole e nei caffè, e nelle piazze di screditare la civica azienda, di gridare alle dilapidazioni, alle concussioni, ai ladroneggi, e peggio. Oh ! sì davvero, che i tristi amano vedere le cose come sono nella limpida loro schiettezza ! Come farebbero essi allora ad aguzzare i ferri della perfidia ? — La Giunta Municipale adunque lasciò che i cani abbaino alla luna, e tirò dritta. Trattò negozj di altissimo rilievo, e tra altri convien porre in prima linea quello di aver rivendicalo al paese gli antichi edifizj che sorgono intorno alla piazza maggiore, e che conservano sì vivamente la memoria di u-na dominazione, durata cinque secoli, con la quale s' immedesimarono gli affetti, i costumi, gli usi, le vicende e le glorie del nostro popolo. Non fu lieve cosa per fermo spezzare il filo di una lite, che cominciata nel 1855 era nel bollore della per-trattazione; ma la Giunta, auzicchò continuare in un cimento, che quantunque n«n periglioso, teneva ad ogni modo inquieti, « forse corrucciati gli animi, riuscì mercè le avvedute ed instancabili sue premure ad una transazione onorevole, conciliando le ragioni del diritto colle cortesi concessioni. Le peripezie del nostro ginnasio, resuscitato per insigne liberalità de' cittadini dalle ceneri di un istituto, già famoso, non furon poche, massime dal lato della sua impronta, che non era certamente ben definita, ma che presentava invece quelle equivoche screziature, per cui non era possibile che crescesse in credilo, o che ne rimanesse avvantaggiata la pubblica i-struzione. La Giunta Municipale si pigliò a cuore l'importante argomento, e potè andar lieta di veder secondate le sue insistenti ed energiche domande, ottenendo che la lingua d'insegnamento fosse esclusivameute la lingua italiana. Era giusta e legittima conseguenza che anche nelle scuole elementari così fosse, giacché (pochi il crederanno) dal 1815 in poi, fu il nostro popolo, di pura nazionalità italiana, istruito col mezzo di una liugua non sua, già per se stessa bastante, attese le sue aspre difficoltà, a sciupare tutte le forze delle più floride intelligenze, onde crebbe a supina e sgraziata ignoranza. Ed è sventura che altamente deploriamo, giacché il nostro popolo nel generale non sente nè pregia le stupende i-dee de'tempi nuovi, nè se ne innamora, ma corre cieco e imbalordito dietro al farneticare degli apostoli, che mai mancano, delle fole buje, e de'pregiudizi di un feticismo ridicolo. Non bastò peraltro alla Giunta municipale di aver conquistato al Ginnasio ed alle scuole popolari il vero loro carattere nazionale, ma procaeciò inoltre affinchè al primo fosse ac-fordata una più onorevole distinzione ; ed è a lei che 6Ì deve in principalità se fu inalzalo al rango di seconda classe. Questi soli fatti basterebbero per sè a dimostrare 1' attività e il patriotismo della civica Giunta, se non fosse altresì eli' ella si è occupata di altri molti e serii interessi, tutti del pari diretti a pubblica utilità. Sua mercè potè appianarsi col Genio militare una rancida pendenza per la costruzione del canale di santa Chiara, onde alla fine fu selciata la diruta via di san Tommaso, cbe in oggi è facile e pulita. Fu inoltre per lei rifatto il lastrico che va in giro al Belvedere, ridotto sconcio dal tempo, e dall'ingigantire degli alberi, postivi a filo, fi il sito più frequentato e più ameno del paese, d'onde si prospettano i bellissimi colli, che gli fanno vaghissima corona, e il mare ampio che va a morire in un magnifico orizzonte. Ep- m pure si trovò di mordere impertinentemente la Giunta, che imprendeva quella indispensabile spesa, quantunque accreditata e sancita dalla Rappresentanza. Nessuno negherà che eranvi forse bisogni più urgenti in altre parti malconce della città, ma in tal caso non erano corrispondenti i mezzi disponibili. Fu duopo tenersi nei limiti del possibile, tanto più che è sempre da considerarsi necessario quello che serve a convenienza e a decoro. A rendere capace il nostro porto, e securo dalle bufere colla protesa di un molo, colla erezione di solide dighe, eoi suo spurgo e profondamento contribuirono senza dubbio le insistenti premure della Giunta, per guisa che essendosi data mano a' lavori, mentre per mezzo secolo non vi s'era mai pensato, la nostra città, speriamo, non sarà ultima nel movimento marittimo e commerciale della provincia. Nessuno può dissimulare come tornasse gravoso e molesto a' possidenti il balzello di una barriera posta appena fuori del paese. La Giunta pigliò a cuore l'argomento, e tanto fece e tanto disse, che alla perfine ottenne che fosse rimossa, e trasferita altrove. Oltre a tutto ciò promosse una società di mutuo soccorso fra gli artieri e operai, ornai formalmente costituita, che dà a sperare si stringeranno sempre più forti fra le varie classi sociali i vincoli della fratellanza e della concordia; riorganizzò l'Ufficio municipale, affinchè l'andamento degli affari fosse più spigliato e regolare; fece varii Regolamenti, ed uno per i Capi-contrada; uno pei pubblici mercati; altro pel servizio di'polizia urbana; altro ancora pel fontaniere; uno per la spazzatura de'camini, ed uno infine per la guardia campestre. Con questo, poiché compievasi il periodo elettorale, la Guin-ta cessava dalle sue mansioni per dar luogo a gente nuova, che degnamente rappresentasse il paese, e ne tutelasse le ragioni e gi'interessi. Si aperse quindi il campo alle elezioni. Non v'ebbe propriamente guerra di partiti, non potendosi qualificare partito una debole ed infermicela frazione di oppositori a cui mancò il buon senso di prevedere l'insuccesso de'loro adopramenti: uè potendosi far caso di qualche altra screziatura, piuttosto sorta da equivoco che da resistenza apparecchiata. Le elezioni passarono quindi tranquillissime, ed il paese se ne può rallegrare. La nuova rappresentanza fu insediata il dì 8 febbrajo con a capo l'egregio cittadino Cristoforo Dott. de Belli, ehe da quel giorno prese come podestà le redini del nostro Municipio, assecondato dal favore di tutti quelli che pregiano in lui le profonde conviuzioni, l'illibato carattere, l'amor sommo alla patria. fiUt^H.i/ri P.. Pisino, marzo. (A. C ) Citi volesse acquistare una più precisa i-dea delle accidentalità della regione menzionala nell'articolo di dala Pisino del precedente ninnerò di questo giornale, dovrebbe portarsi sulla spianala di tianco alla chiesa di Gallignana, da dove scorgerebbe la postura de'luoghi e l'aspetto de'medesimi; il terreno nella sua qualità e formazione, e come esso si presti a quanto l'uomo vuol esigere in tulli i rapporti dello stesso. I)a quest'altura si può scorgere a colpo d'occhio tutta l'estensione di paese Ira il Monte-Maggiore l'Arsa e il Quieto. Panorama magnifico a chi la creazione è un poema; bel campo d'osservazione a chi piacesse fare una sintesi sulle vicende orografiche di questa frazione di paese. Se da cotesto paese si potesse spazzar via tutto il tassello (marna terrosa e schisli marnosi) e gl'in- tercalali banchi di pietra, sino agli strali compatti sottoposti, vedrebbesi risultare un profondo e vasto bacino, i margini del quale sarebbero da un lato la catena del Monte - Maggiore e dall'altro opposto, il piano ondulalo che di sopra Pedena, Pisino e Visinada alto si estende, e poi declina al mare; e si osserverebbe che il dello bacchio ha i contorni di roccia d'ugual natura, che è la calcare della formazione cretacea superiore. Immaginata quest'operazione ed avutone tale risultato, sarebbevi indicato di proseguire coll'asporto anche di cotesti strali rimasti sotto il tassello, per i-sgomberare così totalmente esso bacino; e ciò facendo, tosto se ne scorgerebbe tulio il fondo, e sempre la calcare anzidetta la quale per tal modo s'appaleserebbe qual sottostailo ad ogni altra delle formazioni solide o terrose che appariscono dal Monte-Maggiore al mare. Questo bacino (che è soltanto una parte di lungo tratto a forma siffatta) lo si deve immaginare avvialo a tale forma soltomare fin dall'epoca cretacea, colla differenza precipua che l'orlo a meridie superava quello., che emerse dopo mollo più alto e formò la catena del Monte-Maggiore; essendoché la roccia a meridie in tutta la sua estensione non porta tassello e quindi doveva essere poco sott'onda e forse oppor argine all'epoca che le deposizioni eocene sucessiya-mente venivano ed empiere il bacino ; mentre all'invece la calena del Monte-Maggiore, stata coperta anche di tassello, dovette essere ben più sott'acqua perchè adosso vi ebbe a decubilare chetamente il tassello, che fu l'ultima ricolmatura dì sedimento sovr'esso bacino. Dopo di che conguagliatosi questo colla circostante regione a meridie, ne formò una sola superficie. complessivamente orizzontale, sulla quale, iu tal condizione, sia perchè già troppo innalzata, sia per cambiamenti topografici che lècero cessare le comunicazioni esistenti fin allora, non ebbe più accrescimento di eoceno, nè vi si formarono strali terziarj posteriori a questo; ma prima ancora di emergere dal mare potè tutta venir coperta da uno strato di terra rossa, che è senza dubbio macinatura dei ghiacciai e che può essere di vicina provenienza ed anche di lontana, trasportata dal movimento marino. E da notarsi che nel progresso degli elevamenti poterono avvicendarsi e soste e oscillazioni di riabassamento, non dico di quelle parziali per cause vulcaniche che qui non si riscontrano, bensì di quelle subordinate a cause plutoniche che agiscono in estensione di tempi e in vastità di superficie. (1) (1) 1/esame di questo bacino è d'interesse precipuo pel-la geologia dell' Istria perchè in esso trovasi una serie copiosa di formazioni dell'epoca eocena; ed oltracciò vi sono le due miniere di lignite e di vitriolo. Si viene a comprendere come nel sito incirca attualmente occupato dal Monte-Maggiore con tratto di suolo verso Ostro, eravi una depressione di fondo sot-tomare, nella quale veniva trasportato da una correntia il materiale per la formazione della lignite che oggi scavasi di sotto Albona e posteriormente i detriti che riempirono il detto bacino, tra i quali primeggiano i conglomerati nummolitici e il tassello. Dalle condizioni stratigrafiche come si presenta questa lignite sarebbe da supporre la sua formazione provenire dagli enormi ammassi di residui vegetali che ogni anno per seccumi e deperiménto di molte piante, ad ogni periodo per deperimento quasi simultaneo d'innumerevoli piante coetanee, poteva offrire la vegetazione portentosa di quelle epoche, e che poi trasportati dagli acquazzoni ogni volta, ogni anno, ogni Emergendo pòi latta questa regione, lentamente sì, però con impulso più potente dal lato del Monte Maggiore, è naturale che sopra tanta superficie di terreno, dopo che venne all'asciutto, e più clic crebbe in elevamento, le acque piovane dovettero prender il loro corso su d'esso ed in più direzioni. E pare da bel principio si formasse lungo la catena dei Monte Maggiore un corso che prese direzione come oggi scorre il Quieto, ed un altro corso che poi si diramava con un braccio verso l'odierno porlo di Fiano-na, e col.'.diro nella direzione come oggi scorre l'Arsa; meritando menzione anche quello che nell'interno della regione incideva il canale Pisino-Leme, tinche in Conseguenza a locale ristagno trovò luogo a perforarsi la fovea di sotto a Pisino ove prese altra direzione sotterra. Queste acque in migliaja di secoli ebbero campo di erodere e di incidere non solo gli strati superiori di terreno mobile ma pure gli strati solidi e la roccia dura sino a pareggiarsi col livello del mare. Però il corso che erose il monte e produsse il così dello spacco di Fianon.i,- sia per sollevamento da un lato, sia piuttosto per progredita e maggior e-rosione dall'altro lato, cessò per quella via e venne ad ingrossare quello dell'Arsa. (2) •■i'-1 ! 1 ■ ■ ojoq n ■■■-fi - 1 '•' ~~~~ . ; ■ . ; : .. III •»■! I. . periodo, deeubitavano alla foce della corrente, separandosi per differenza di peso specifico dalle particelle inorganiche, le quali anche, innallora che i monti erano ancor poco elevati e poco lacerati, ed il suolo coperto di cotica erbosa, non troppo inquinavano l'acqua; e cobi alternati formaronsi questi strati. Nella geologia chimica e fisicale di G. Bisc.hof s' apprendono le varie maniere di formazione del carbon fossile, colle più circostanziali spiegazioni. In quanto alla miniera di vitriolo se è vero «he dal contatto d'argilla impregnata di ferro, con alghe marine putrescenti, si produce pirite, sarebbe da supporre che nel lento emergere del bacino vi esistesse per lungo tempo in quel total sito ricca vegetazione marina sopra fondo argilloso siffatto, c che innalzandosi la regione, si formarono nella sottoposta roccia calcarea, che subiva l'erosione cui va soggetta, cavità le «juali per infiltrazione vennero riempiute da cotesto materiale the si scava per ricavare il vitriolo e l'allume. (2) Guardando le pendici che fiancheggiano questi canali si osserva per quanto mi sovviene, ii perfetto rapporto che pasca fra le testate dell'una e dell'altra parte, corrispondendo desse pure in direzione ed inclinazione; ciocché non avvalorerebbe la supposizione qui da noi più volte espressa che i detti canali si formassero per dislocazione, nel quale caso peli'azione violenta che avrebbe prodotta la rottura ne sarebbero risultati i così detti salti, oppure le due parti spostate si sarebbero piegate a differente inclinazione. Una spezzatura di tanta profondità si sarebbe presentata in ragione dello spessore e della consistenza della roccia a tratti non così tortuosi e serpeggianti come sono quelli caratteristici dello scorrimento di ac-ijue colaticcie e torrenziali. L'idea che questi canali provengono da rottura e disgiunzione di terreno nacque dal nou i-ppeculare le cose da vicino, sicché scorgendo una penisolelta come l'Istria slanciata nel mare, facilmente si avrà potuto immaginare gli spacchi essere forse avvenuti dalla poca resistenza dell'aqua entro cui il terreno quasi abbandonato a se stesso, per ogni poco d'impulsione avrebbe dovuto spezzarsi. Si si immagini in quella vece per un momento sparito il mare circostante, che non è poi tanto profondo, ed allora si potrà rappresentarsi l'Istria sotto l'aspetto geognostico e in piena connessione di stabilità e di continuità col continente, e l'idea non diversificherà da quella che si acquista vedendo altri consimili fenomeni in paesi del tutto infratterra. Anche le innumerevoli vallicele sparse in ogni dove e per tutti i versi sulla superficie calcare dell' Istria, e che taluni le credettero sprofondamenti per iscrolli sotterranei, sarebbero da ritenersi piuttosto effetto di lenta erosione, avviatasi ancor Nel formarsi i principali e vasti spazi d'erosione è naturale che se ne formassero d'attorno de'secon-dari che si versassero ne'primi, e quindi uua serie d'insenature o di dirupamenti quanto più le cosle risultassero alle, ripide e fossero di terreno incoerente. Dimodoché tutti cotesti monti e dirupi quali qui si presentano nelle varie forme ai nostri occhi, sono effetto di erosione ; e lutto il vano tra i medesimi è il risultato della deficienza di terreno che venne trasportato dalle acque al mare. 1 rivestimenti di vegetazione, i piani d'alluvione seguirono ad ogni tempo; infine lo stanziarsi dell' uomo ed il lavorìo di esso, favorendo la devastazione anziché la riparazione. Vicende cui nullo rispello arresta l'azione e il corso, onde ebbe a risultare quel panorama screziato che dal punto di vista sopraindicato tanto bene si contempla. quando la superficie (ora per lo più nuda) era coperta in buon dato dal tassello e dalla terra rossa, presentando ondulazioni, cosichè vi si poteva raccogliere l'acqua in moltissime pozze, donde per infiltrazione penetrando i meati facili a formarsi nel calcare, scavò bacini imbuttiformi e portò seco la terra; e l'erosione meteorica continuò lenta ed indefessa l'opera per tal modo incominciata. Le valiicole in discorso presentano alle pareti le testate della roccia circostante a circoli che gradatamente si vanno restringendo, ma non vi è traccia di crollo o di volte precipitate; alcune rimasero nude, altre per posteriore ricomposizione rivestile di leggiero strato erbaceo con terra coltivabile nel fondo ; non si si può accorgere di comunicazione con abissi sotterranei, salvo qualche rara eccezione. BIBLIOGRAFIA. Storia rlell" isola dei Lossini scritta da Gaspare Bollicela, edita per cura degli eredi. Trieste, tipografia Weis 1869. A leggere nei fogli e all'udirlo ripetere da per lutto, che all' Istria manca la sua storia, altri potrà supporre che soltanto di questi giorni si abbia a-perto gli occhi in proposito,, mentre la cosa non i-slà punto in questi termini. E da molto tempo che i nostri migliori ingegni si sono avveduti della mancanza, come da molto tempo hanno posto mano a rovistare, con paziente cura, gli archivi, a raccogliere documenti, iscrizioni e tradizioni, a preparare insomma i materiali affinchè riuscisse ai presenti più agevole il comporla. E per ottenere meglio l'intento s'è anche pensato a spartire il lavoro, spronando ogni città istriana a raccogliere le proprie memorie, a scrivere la propria storia, monografia o guida che fosse. S'insisteva poi sulle monografie perchè quelle registrano monumenti antichi e fanno tesoro d'ogni maniera di memorie, il che la vera storia non ammette, questa ne approfitta, ma non le rapporta testualmente. E ciò pareva tanto più necessario, in quanto che il pericolo di perdere le memorie del nostro passato era ed è troppo manifesto per l'incuria di molti che a cosiffatte cose non annettono verun interesse. A eccitare gl'istriani, onde illustrassero le proprie città, il primo tentativo è stato fatto or sono venticinque ano.'. Vediamo un po' quali ne abbiano compreso l'importanza e fatto il debito loro. Pola fu la prima a rispondere all'appello, cui tosto tenne die- fro Parenzo. Cittanova s'era messa a lavorare, ma la gelosia di qualche campanile, che non sentendosi in forze di fare vedeva di mal occhio che altri facessero, le strappò di mano la penna. Pola ritentò la prova, e questa volta, nonostante le antecipate proteste del buon canonico Stancovich, il quale o-pinava gl'istriani soltanto avessero a scrivere sull'Istria, questa volta, diciamo, per opera d'un ufficiale tedesco ci diede una piccola monografia; e ultimamente un altro tedesco, il tenente Gareis, dettò su quella città un bellissimo lavoro. Trieste avea, prima di ricevere l'invito, diggià operato molto. Storiette e guide, da quasi un secolo in qua, ne uscirono colà parecchie. Di quella città, a nostro avviso, la storia migliore è quella di Bonomo Stettner, scritta nel secolo passato, in tedesco, e nota sotto il nome di Moli. Interessanti son le memorie raccolte dall'idiota Antonio Cratey, spiritose le descrizioni di Ignazio Kollmann, importante il viaggio pittorico del Cassas. A questo fecondo periodo successe, in quella città, un altro di generale fiaccona, in cui gì' interessi materiali solfocarono ogni genere di produzione letteraria. Cessò anche questo per dar luogo a un terzo periodo, durante il quale, il lavoro incessante del Ur. Kandler bastò a rimettere in credito l'amore delle cose patrie; onde ricomparvero storie, storiette e guide a josa. E frattanto, qua e là nel rimanente dell'Istria, nuovi lavori vedevano la luce. Marco Antonio lmpastari pubblicava la storia di Veglia. L'anno decorso, in occasione del Congresso de'Naturalisti, uscì la guida di Fiume, nella quale, le cose naturali, scritte dal Ur. Lorenz, sono bellissime, ma la parte storica è infelicemente trattata. L'Italia del l)r. Vallardi di Milano, in corso di stampa, contiene, com'è noto, molti assennati articoli sull'Istria e sue città. Però codeste monografie, quantunque ve ne abbiano di buone, per essere state scritte in furia, abbisognano, quale più quale meno, d'essere rivedute e ritoccate, e ciò a detta dello stesso Tomaso Luciani, che n'è l'autore; il quale, pria di riunirle, coni'ha promesso, in un solo corpo, avrà cura di ampliarle e di ripulirle. Sono corsi appena due mesi del nuovo anno, 1870, e gli studi storici istriani hanno acquistato due nuovi lavori, e sono: la storia di Umago che, manoscritta, fu donata al Dr. Picciola, consigliere di Trieste, e la storia dei Lossini di Gaspare Boni-celli, di cui imprendiamo a parlare. La storia dei Lossini noi l'abbiamo scorsa da capo a fondo, l'abbiamo riletta attentamente. Indizi di qualche monumento anteriore all' epoca romana non isperavamo di rivenirne, bensì di monumenti romani, anzi, certi di averli a trovare, li abbiamo a-vidamente cercati; ma ci siamo pur troppo delusi. Diciamo pur troppo avvegnaché ci consti di positivo esservi su quell' isola rovine di edifizi romani, come anche conosciamo epigrafi rinvenute, se non proprio colà, sulle isole circostanti che formano coi Lossini un solo gruppo. Non mancano dunque nè monumenti, nè iscrizioni, nè tradizioni romane, eppure il Bonicelli, sia che non s'abbia curato d'andare in cerca, sia che di tali avanzi ei non conoscesse il valore, nel suo libro non ne fa menzione; laddove il vediamo grandemente preoccupato nel mettere in rilievo fortilizi, cisterne e moli di epoche prossime a noi. Ma in generale l'epoca antica è imperfetta assai, perchè poi ora ci accade di notare un'altra grave mancanza fatta dall'autore cofl'aver negletto del (ulto la geografia e l'idrografia antica, l'antica nomenclatura, non ancora sparita affatto, e la fisica configurazione. Oliando si trascurano queste importanti ssin e fonti storiche non è più possibile dare una monografia completa. E questa omissione è imperdonabile qui che uno studio serio, lungo e avveduto avrebbe condotto a felici risultati, avrebbe, se non con sicurezza, almeno con molta probabilità, scoperto l'antico movimento marittimo, quell'antico movimento che, con navi minori, a stazioni notturne e in parte presidiate, attraverso il Quarnero, dall'Istria metteva a Nona di Zara. Che Lussino, situato su quella via commerciale, sia stato allora un'isola i-nabitata, come conghiettura l'autore, noi non possiamo credere, uè "possiamo credere ch'essa, situata all' imboccatura del Quarnero, centro dell' estesissima navigazione de'Liburni, circondata dalle colonie di Pola, di Ossero, di Varvaria, di Segna, di Arbe e di Noi a, non porli tuttavia qualche traccia materiale di que' tempi. Se nell'epoca antica l'autore ci si è mostrato ignaro e noncurante, ancora ci s' addimostra dotato di poca critica come quello che dà troppo facile credenza alle favole del paese. Per esempio, il seno di Lossino è detto dagl'indigeni valle d'Augusto, ed il Bonicelli si sbraccia a provare come quel nome gli sia venuto per essersi, ivi, trattenuta parte della flotta d'Augusto, innanzi che andasse a fare la battaglia d'Azzio; e non é vero, perchè quel seno è cosi chiamato da poco tempo. Oltredicchè l'autore è un grecofilo sfegatato e vede, anche dove non sono, avanzi greci. Egli, basta che s'imbatta in qualche cappella rustica, se anche a sesto acuto non importa, o in qualche tomba a caratteri gotici, perchè ne giubili e vada fantasticando, come fanno alcuni di Castua e di Fiume, non sappiamo quale dominio di antichi Achei (scambiandolo probabilmente col bizantino), e confonde il culto della Chiesa slava, che imita il greco cristiano, colla mitologìa degli Elleni. Nocque poi all'autore l'essersi tenuto estraneo agli indigeni e indifferente alle loro questioni, forse perchè, appartenendo egli ai sorvenuti in quell' i-sola, attribuiva non a quelli, ma alla nuova gente la fortuna di quell'industrioso paese. Partito da questo falso punto di vista, non è a meravigliare s'ei non seppe esporre con più largo prospetto la storia, e non seppe cogliere nettamente la verità. A ogni modo il Bonicelli non è poi il solo che abbia traveduto in questo argomento. Ci offre un esempio consimile anche Trieste, ove i novelli disprezzavano tutto quello che si riferiva alla vecchia città, anzi, in un momento di baldanza e presunzione di sè, giunsero a dire che prima della loro venuta Trieste era un nido di miserabili pescatori, e tale appunto dipingevano la città vecchia e italiana nel Diploma al maresciallo Hadetsky. E costoro, mentre colla destra queste cose avevano la sfrontatezza di scrivere, colla sinistra strappavano agli indigeni ogni cittadinanza, e pretendevano per sè la condizione di provincia della Corona, spacciandosi successori dei vecchi triestini da loro stimmatizzati e rinnegati. Nè altrimenti si comportarono i novelli di Capodistria del secolo XV, i quali, facendosi forse forti del nome della città in cui si erano stanziati, volevano farla da padroni in Istria, cosa che non era mai neanche passata per la mente ai Giustinopolitani. Ma ritorniamo ai Lossini. La storia ci assicura che l'antico corpo politico di Ossero era un solo, ed abbracciava tutta l'isola da C.dsole a s. Pietro de'Nembi. Lossino, al pari di Caisole, faceva parte integrante di questo corpo politico, il quale, a mezzo del sistema rappresentativo del Decurionato, concentrava in sè og ;i maniera di potere. E questo corpo era così strettamente compatto da non potere, senza una esplicita escorporazione, pretendere ad autonomia, quantunque le perpetue lamentazioni dessero chiaramente a dividere il desiderio d'un distacco, pigliando argomento e forza dall' oppressione e dalla occupazione straniera. Dopo l'occupazione rimana, anziché sfasciarsi quella condizione politica, rivisse sotto il nome di Contea di Ossero : mutò, come vedete, di nome, ma la sostanza rimase nella sua primiera integrità. Quando poi Ossero, causa le devastaz oni di guerra e la incuria della pubblica sanità, decadde, allora la città morale, ossia il centro politico, prese stanza a Cherso, e così interamente, che quest' ultima città eb te a ereditare l'identico statuto di Ossero. L'autore poi ci fa sapere come, in quella occasione, il Principe Veneto avrebbe desiderato che gli Osseresi si fossero trasportati ai Lossini, ma non se ne fece nulla. Così, parlando delle cose di Chiesa, il capitolo di Ossero è ingiustamente tacciato d' aver usurpato la giurisdizione sui Lossini, perchè la Chiesa, e là ed in ogni altro luogo, si è uniformata al sistema politico, e quindi, siccome Ossero era politicamente il centro, così anche chiesasticamente. Ma in tutto questo il Honicelli s'è ingannato, e ciò, a nostro credere, gli avvenne dall'aver egli trattato la storia dei Lossini come se quest'isola avesse formato corpo politico da sè, mentie egli è precisamente il contrario. La storia dei Lossini non la si può per nulla staccare dalla storia politica di Ossero, sia quale Itepubblica o Civita ai tempi romani, sia come Contea a'tempi di S. Marco. In sostanza la storia di queir isola non è altro che la storia d'uno stabilimento industriale, come ve ne sono tanti, stabilimento creato da forze individuali e cresciuto lentamente, passo passo, non d'un salto, non d'un momento all' altro. Del resto così è stato sempre e da per tutto, salvo nell'America del Nord, dove, a dir vero, in questo rapporto, si sono veduti de' miracoli. E nella stessa guisa che a Lossino procedette l'incremento materiale di Trieste. La ipresente floridezza di questa città è frutto di lento, costante e antico lavoro, e la storia è lì a provarcelo. Sappiamo bene che i declamatori del 1815 dicevano che Trieste era improvvisa creazione di pochi, venuti di fresco, ch'eglino 1'avevano rilevata proprio dal nulla, e levatile i cenci di dosso, mentre per lo passato era un povero pacsuccio privo di qualsiasi vita commerciale e mercantile. Ci si passi da ultimo un altro confronto fra Lossino e Trieste. In quella città i novelli seppero mantenere il loro municipio in condizione dignitosa e completa, in questa i nuovo-venuti tolsero ogni ordinamento municipale, ponendo a base di libertà l'interesse individuale e mercantile. Siamo certi per altro che, tanto il Bonicelli che parecchi triestini, agivano in buona fede, perchè moralmente persuasi di quello che facevano, e quel che facevano era del tutto conforme alla loro dottrina esclusivamente mercantile. La quale se da un canto è atta a spiegare i prezzi delle merci e le oscillazioni delle valute, dall' altra é inetta a comprendere le cause e gli effetti delle vicende politiche e sociali. VARIETÀ' istruzione oel consiglio 01 sanità ni parigi riguardante l'uso del petrolio destinato all' illuminazione. Il petrolio bastantemente depurato è pressoché incoloro : un litro non deve mai pesar meno di granirne SOO. Non deve infiammarsi nè prender fuoco prontamente col solo contatto d'un corpo infiammato. Per accertare questa proprietà essenziale si versa del petrolio in una coppa e si tocca la superficie con un zolfanello acceso: se il petrolio fu ben privato degli olii leggieri assai infiammabili, non solo non s'accende, ma il zolfanello acceso si spegne subito. Qualunque petrolio od altro minerale che non regga a quest'esperienza deve essere rigettato perchè possono derivare pericoli gravi dell'uso di esso. II petrolio che non contiene di questi olii leggieri nufle o benzine dalle quali ritrae la proprietà di prender fuoco col contatto d'una fiamma, non cessa pure di essere una fra le materie più combustibili che si conoscono; la infiammabilità dei tessuti di cotone, filo, lana, viene di troppo elevata, di qui il pericolo di tener in inagazzeu non adatti, per cui la vendita deve essere sorvegliata. Impiego dell'olio nelle lampade. Prima d'accendere una lampada si deve riempirla del tutto e chiuderla con diligenza Allorquando la lampada è pressoché vuota, si deve spegnere, lasciarla raffreddare prima d'aprirla per riempirla. Nel caso poi si volesse ciò fare prima che sia del tutto fredda, convien usare gran prudenza tenendola lungi dalla fiamma che serve per l'uso. Se il vetro della lampada venisse a rompersi, de-vesi su iito spegnerla per ovviare il riscaldamento dei pezzi metallici; per la ragione che questi riscaldati favoriscono l'evaporazione del petrolio contenuto nel serbatoio della lampada, ed il vapore può produrre fuoco, e produrre un'esplosione con rottura della lampada, disperdimento dei petrolio caldo sovente di già infiammato; la sabbia, la terra, la cenere sono preferibili all' acqua per spegnere il petrolio. Scottature. Nel caso di qualche scottatura, e prima che giunga il medico o persona dell'arte, egli è utile di coprire le parti offese con compresse u pannilini bagnati d'acqua rinnovandoli soventi. (Giornale di Farmacia e di Chimica).