II. ANNO. Sabato 19 Giugno 1847. M — 39. Notizie intorno alla persona di Prc Paolo Peliz-zari da Rovigno, estratte dalla Storia de'suoi viaggi, scritta da lui medesimo. Nacque il Pre Paolo Pelizzari la sera del giorno 24 novembre, l'anno del Signore 1600. Pervenuto all'età d'anni 16, vestì l'abito serafico tra gli Osservanti della dalmata provincia di S. Gerolamo, e forse nel convento stesso di Sant' Andrea, poco distante dalla sua patria ed appartenente alla provincia medesima. Chierico tuttora, passò in Italia ad oggetto di studio ; studiò infatti in Milano, in Piacenza, in Forlì, ed in altri luoghi ancora. Lesse logica, per qualche tempo almeno, nel convento della Madonna di Vigevano. Niente di certo relativamente all' epoca del suo ritorno in seno a quella provincia, di cui era figlio.—Nel 1629 ritrovasi guardiano nel convento di S. Anna in Capodistria, e predicatore nella cattedrale della stessa città nell'avvento dell'anno medesimo.—Nella quaresima del 1636 predicò a Cattaro, ove ricusò di ritornarvi, sebben ne a-vesse avuti i più pressanti inviti per altre quattro quaresime.—In Cherso vi predicò la quaresima del 1638.— Attuale custode della provincia, portossi a Roma nel 1639 al general capitolo ivi celebratosi. Ritornato appena tra' suoi, predicò, nell' anno stesso, il secondo avvento nella cattedrale di Capodistria, e fu quivi appunto, ed in siffatta circostanza, che nella vigilia dell'apostolo S. Tomaso ricevette dal reverendo Pre Benigno da Genova, generale dell' ordine, la patente di commissario visitatore per la provincia di Bosnà Argentina, minacciante uno scisma fatale tra' vescovi e regolari, tra il sacerdozio ed il popolo. Riuscito felicemente nell' ardua laboriosa missione, fu dal Nunzio Apostolico, dimorante in Venezia, proposto, com' altri, al Sommo Pontefice, per la sede vacante di Caorle. — Fu eletto guardiano del convento della sua patria nel 1641. — In Pirano, ove fu pure superiore del convento di S. Bernardino, predicò per ben quattro avventi ed altrettante quaresime, l'ultima delle quali si fu quella del 1642; col favore della buona stagione partì per Roma, e ritornossene alla patria nel giro dell' anno medesimo. — Veglia 1' ebbe suo predicatore quadragesimale nel 1643. — Rovigno nel 1644.— Cherso novellamente nel 1645. — Nella quaresima del 1646 predicò in Pinguente. — In quella del 1647, di bel nuovo si fe' sentire a Veglia ; fu eletto quindi in ministro provinciale della propria provincia nel capitolo celebratosi in Pirano.—Nel 1648 predicò nella cattedrale di Zara. — Nella quaresima del 1649 in quella di Capo- distria, essendo vescovo il Morari, alla di cui mensa, rinfacciato un dì, da certo Pre Aurelio Belli, qual Pela-giano, purgossi in sull'istante da sì obbrobriosa nota con non men di erudita franchezza che di patrio calore. — Nel susseguente 1650 predicò (com' egli scrive) per la quarta ed ultima volta nell' insigne collegiata della patria sua, essendogli riuscito di cessare da un tanto ministero, colà ove avealo incominciato.—Ritrovossi in Roma il giorno 27 maggio 1651, giorno in cui succedette il capitolo generale; celebrato appena, ripatriò.— Nel mese di marzo dell' anno 1653, il reverendissimo Pre Sebastiano di Gaieta, commissario generale, gli spedì la patente di suo visitatore per la provincia di Brescia; adempiuto con decoro ad un tanto incarico, nel dicembre del 1654 si destinò con nuova patente qual visitatore nella provincia ragusea. Arcani motivi inducono que'repubblicani a ripudiare un visitatore suddito del veneto stato; rende consapevole Roma del caso, ed è citato a quella dominante.—Nel 1656 vien spedito commissario visitatore nell' alma provincia di Toscana. — Nel 1657 in quella della Marca d'Ancona, e nel novembre dell'anno medesimo in quella dell'Umbria, detta la Serafica.— Filialmente, partendosi da Roma in sul cominciare del 1658, con viaggio laboriosissimo attraversata la parte più australe della Francia, portossi in Spagna al capitolo generale celebratosi in Toledo, da dove passò egli a Madrid, scorrendo porzione della cattolica monarchia; ritornossene ai patri lari con espressa volontà di godersi dopo tanti stenti ed onorevoli fatiche qualche ombra di riposo e pace in seno a'suoi.—Non si potrebbe fissare il termine de'suoi giorni; certa cosa eli' è, che nel 1668 egli vivea ancora, giacché sino ad un _ silfatt' anno produsse la mal ordinata sua storia. — È facile l'argomentare con quali ragguardevoli soggetti, sì ecclesiastici che secolari, dovette spesso spesso intertenersi, e lungamente trattare un uomo quale si fu Pre Paolo, sempre impiegato in decorose occupazioni, sempre occupato in rilevanti ministeri; uomo per natura intraprendente, non povero al certo di talenti e di grazia personale; se meno cari oggetti stati gli fossero la provincia e la patria, assai più di lustro al certo recato avrebbe ed a questa ed a quella. (Art. comunicato.) NOTA. — All' industria e sollecitudine del Pre Paolo devesi attribuire se sin dal 1650, all' antico fabbricato del convento di S. Andrea, sullo scoglio, diedesi una nuova forma, coli' aggiugnervi il nuovo chiostro, la fo- resteria, l'arsenale, l'ordine delle colonne nell'orto, e la simmetria de' viali. — Nè devesi passare sotto silenzio, come non una sola volta, ma ben per tre, sia egli stato custode della dalmata provincia; due altre definitore nella medesima; come ritrovandosi in Roma nel 1655, godette della vista del pomposo ingresso di Cristina, figlia di Gustavo Adolfo re di Svezia; e come finalmente nell'anno stesso ottenne colà il Breve dell'indulgenza per la scuola o confraternita delle Sacre Stimate, esistente in Rovigno sua patria, così pregato dal proprio patriota ed amico, Bortolo Pavan. Fu ritratto il Pre Paolo Pellizzari da Rovigno per mano di Stefano Celesti, nel 1640. — Nella periferia del quadro, in caratteri maiuscoli dorati, leggesi: Anno aetatis suae 41. postquam totani Bosnae Argentinae Provinciam visitavit, pacificamque reddidit, episcopos Patresque re-conciliavit. — Vedesi di più al lato destro del ritratto, com'appeso, in forma di lettera chiusa, una specie di diploma o bolla, su di cui sta scritto in carattere corsivo : facultas prò Prè Paulo a Rubino, Cuslod. Dalmat. et Commissario Visitatore Provinciae Bosnae Argentinae. — Smarrissi da qualch' anno tra noi il giornale di sua vita, di nazionali lepidezze non parco, e scritto da lui medesimo. Conservasi però tuttora nella biblioteca nostra un volume di prediche dello stesso padre, una almeno delle quali da esso lui recitata in Pirano il dì 20 ottobre 1630 in circostanza che colà pubblicossi il giubileo, sotto papa Urbano Vili; lo stile ed i pensieri manifestano il gusto di quel secolo.—Intorno al luogo e momento della morte d'un siffatto religioso, niente di certo. Governo municipale della città di Parenzo a' tempi veneti. Diamo il seguente proclama favoritoci dalla gentilezza del nob. sig. Marchese Francesco de Polesini, siccome fra i più completi di quelli che ogni podestà soleva pubblicare al suo ingresso. Attento l'illustrissimo ed eccellentissimo sig. Francesco Balbi per la serenissima repubblica di Venezia, podestà di Parenzo e sua giurisdizione, a ben reggere e procurar ed anco preservar questi fedelissimi sudditi dalla maestà del principe a lui raccomandati, dipendendo la base e fondamento de'governi dall'osservanza delle leggi e dalla promozione della maggior gloria del Signor Iddio e della Beata Vergine Maria di lui gloriosa madre e della Corte Celestiale; perciò estesi gli infrascritti ordini, ha ordinato la loro pubblicazione, perchè fatti noti a chi si sia, riportino l'intiera esecuzione, dalla quale si promette la maggior pace e consolazione di questi popoli ed il pieno adempimento della pubblica sovrana volontà. I. — Bestemmia. — Però volendo svellere l'uso diabolico della bestemmia, proibisce a cadauna persona sia di che grado e condizione esser si voglia, il proferire alcuna indecente parola al nome venerabile e tremendo di Dio, di Gesù Cristo Signor nostro, e della Beata Vergine e de' Santi del paradiso, e prorompere in alcuna bestemmia, in pena di bando, prigione e galera ed altre, proporzionate alla qualità del delitto e delle persone, previa la formazione di processo d' esser irremissibilmente eseguito. II. — Giorni festivi. — E perchè esiga la Divina Clemenza, da cui dipende la conservazione degli stati, la debita venerazione, ordina e comanda che siano con tutta 1' esattezza osservati i giorni festivi, proibendo nei medesimi ogni sorte di lavoro ed il tener aperte le botteghe o vender merci, in pena di ducati 50 da esser disposti la metà all' accusatore, e l'altra metà ad arbitrio. III. — Siano in conseguenza rispettate le chiese, non dovendo in quelle suscitarsi contrasti o cagionare scandalo di sorte, trattando colla debita riverenza i sacerdoti, sotto qualunque colore o pretesto, sotto le più severe pene riservate ad arbitrio. IV. — A divertimento da' pessimi effetti soliti prodotti dal giuoco di carte, resta questo intieramente proibito, come pure mantener ridotti o simili altre adunanze ne'luoghi pubblici in pena giusta alle leggi. V. — Che alcun non ardisca molestar gli officiali o altri ministri di questo magistrato, nè impedir loro 1' uso del proprio ministero, dovendo anzi esser prestata la debita obbedienza alla giustizia, affine tutto passi con buon ordine a divertimento delle inconvenienze, in pena a' contraffacenti di ducati 25, ed altre effettive ad arbitrio. VI. — Non sia alcuno che ardisca passar all' eccesso scandaloso e tanto proibito dalle leggi, di far duelli, presentar disfide, sotto tutte le pene prescritte dall' eccelso Consiglio dei Dieci ed eccellentissimo Senato, e tutti quelli che cadranno in tali eccessi saranno egualmente puniti, tanto i principali, quanto i padrini ed altri cooperatori e spalleggiatori. VII. — Si asterrà ognuno di praticar con banditi ed altre persone in disgrazia della giustizia e del principe, nè a quelli presterà aiuto, fomento o ricetto, sotto pena d'incorrere, giusta le leggi, ne'bandi, dovendo anzi le comuni inseguirli, fermarli e condurli nelle forze della giustizia, giusta le leggi come sopra. Vili. — Siano incaricati i barbieri e chirurghi con ogni altro che s'esercitasse nel medicare, di presentar nell' offizio della cancelleria pretoria le loro denuncie de' feriti, ancorché accidentalmente, come pure ne' casi di percosse o di qualunque altra offesa, niuna eccettuata, etiam, che non vi fosse pericolo o effusione di sangue. Ne' casi gravi poi dovranno presentarle immediate, e dichiarar con loro giuramento la qualità delle ferite dell'armi, o altro istruinento con cui fossero state fatte e la loro precisa quantità, in pena di ducati 50 ogni volta restassero difettivi, applicati alla chiesa della Beata Vergine degli Angeli, ed altre ad arbitrio. IX. — Che i zuppani della giurisdizione debbano nel termine di giorni tre pross. venturi capitar nell'of- fizio nostro a notificare il loro nome e cognome, perchè negli incontri la giustizia possa valersi del loro impiego, e ciò in pena di ducati 25 per cadauno, dovendo nel termine stesso comparire per esser muniti della solita licenza per l'indulto da concedersi loro della giudicatura, subito eletti che siano, altrimenti la loro elezione sia, e s'intendi sospesa'; oltre che incorreranno nella pena, come sopra. X. — Che i zuppani medesimi e pozuppi con altri capi di comuni e ville, siano indispensabilmente tenuti portar alla giustizia le notizie de'fatti tutti che accadessero nelle ville e comuni medesimi senza dilazione alcuna ne' casi gravi e pericolosi, e negli altri entro il termine di giorni tre; dovendo prima di comparire in offizio informarsi bene del fatto, per rendersene possibilmente informata la giustizia. In pena di ducati 25 d'esser irremissibilmente loro levata. XI. — Non ardisca alcuno di che condizione o grado esser si voglia, di far estradazione in poca o molta quantità di biade, formenti, animali di alcuna sorte, vini, uve, formaggi, ogli, legne, nè di qualsivoglia altra sorte di roba simile da questa città e territorio senza la dovuta licenza di Sua Eccellenza, in pena di lire 100 applicate la metà all' accusatore per essere tenuto secreto, e l'altra ad arbitrio della giustizia, oltre esser proceduto criminalmente e confiscate le robe, delle quali pure resta proibita la vendita senza previa licenza, come sopra sotto la pena suddetta, nella quale s'intenderà incorso tanto il venditore che il compratore. XII. — Per levar poi con le possibili vie le pessime introduzioni e pregiudiziali abusi d'estrarre ed ammassare biade, formenti e farine di questa città e territorio, onde possa accumularsi il bisognevole a commodo di questo pubblico Fondaco che sovente penuria con sensibile incommodo di povertà, proibisce Sua Eccellenza in risoluta forma a chi si sia tanto cittadino che territoriale, la vendita di fomento e biade raccolte in poca o molta quantità a' forestieri senza 1' espressa licenza o permissione avuta; restando anzi ciascheduno incaricato, fatta che abbia la raccolta de' formenti e biade, dar in nota alla cancellarla la vera quantità del raccolto, o di quello si attrovasse in loro potere, in pena ai disobbedienti di proceder contro di loro criminalmente, bando, prigion, ed altre maggiori pene, riguardo alla qualità delle persone; nella qual pena s'intendono incorsi tutti quelli che venderanno e compreranno biade da estrarsi senza il requisito preaccennato della licenza ; alle quali pene saranno incorsi irremissibilmente, oltre la pecuniaria di lire 100 applicate la metà all' accusatore, che sarà tenuto segreto, e l'altra metà ad arbitrio. XIII. — Tutti quelli che hanno braccia, pesi, misure, "bilancie, bilancioni o stadere, da vender merci o commestibili, debbano nel termine di giorni tre prossimi venturi, aver quelli fatti aggiustare e bollare col bollo del presente regolamento giusta il praticato, in pena di ducati 25 ed altre ad arbitrio, la metà all' accusatore, e l'altra a disposizione della giustizia, e chiunque trovato fosse mancante sia alle medesime censure. XIV. — Tutti i pescatori che pescano nelle acque di questa giurisdizione siano obbligati a portare tutto il pesce in questo pubblico palazzo, affine possa Sua Ec- cellenza, il suo cancelliere, e li signori giudici servirsi del proprio bisogno, e poscia portarsi al luogo solito ad esitarlo a' prezzi stabiliti e limitarsi a benefizio degli a-bitanti di questa città, restando proibita la vendita all' ingrosso di detto pesce, se prima non saranno suonate le ore 18, perchè cadauno si possa provvedere avvantag-giosamente, in pena di ducati 25 per cadauno, e cadauna volta. XV. — I mercanti bottegai ed altre persone applicate alla mercatura, e tutti quelli che corrono sotto il titolo di rivenduglioli, non debbano comprar cosa alcuna all'ingrosso d'alcuna barca, se i venditori giunti in questa città non avranno prima venduto per tre giorni continui almeno nella pubblica piazza o rive del porto per commodo di ciascheduno, ed in particolare a sollievo de'poveri; nè dopo detto termine possano vendere cosa alcuna all' ingrosso a chi si sia senza espressa licenza dell'Eccellenza Sua che fissa le provide sue applicazioni ad ovviar quegli abusi che producono penuria e carestia, in pena di ducati 25 e perdita della roba venduta in contraffazione, restando soggetto a tuttociò tanto il venditore che il compratore. XVI. — Col riflesso pure di mantener possibilmente in questa città l'abbondanza, resta proibito a'rivenduglioli comprar alcuna sorte di roba che da' villici venisse introdotta in città a sussidio della medesima, come pollami, frutti, salvatici, ed altri commestibili; dovranno il tutto condurre in questa piazza per essere esitato, in pena, contraffacendo, di esser i rivenduglioli stessi severamente puniti nella pena di ducati 25 da essere sommariamente levata senza che possano aver nè grazia oppure diminuzione della medesima, applicata la metà all' accusatore, da tenersi secreto, e l'altra metà ad arbitrio. XVII. — Le pistore tutte che fabbricano pane da vender debbano nel termine di giorni tre prossimi venturi darsi in nota, e portar i loro bolli coi quali vanno a bollare il pane che faranno e vorranno vender, il quale dovrà esser fatto a giusto peso e giusta il calamiere e di tutta perfezione, dovendo esser esitato nella pubblica piazza sotto la loggia solita, e non altrimenti, in pena di lire 100 per cadauna, e cadauna volta, oltre 1' esser ad esse levato il pane e distribuito a' poveri. XVIII. — All'oggetto sempre di non veder arrenata la vendita di farine in questo Fondaco, il che riuscirebbe di notabile pregiudizio de'pubblici capitoli, che potesse esser causata dal libertinaggio di alcuno che, in contravvenzione a tanti decreti in tale proposito emanati, s'arrogasse la licenza di vender farine in fondachi privati a pregiudizio di quel luogo pio, che continuamente mantenuto abbondante, è solito sovvenir di frequente nelle urgenze questi popoli anco in credenza, e però non dovendo in maniera alcuna tollerarsi, si fa universalmente intendere a chi si sia, niuno eccettuato, qualmente resta proibito a qualunque condizion di persone il vendere o far vendere sì all'ingrosso che al minuto qual si sia quantità di farina, ed a cadauno, in particolare le pancogole, comprarne o farne comprare altrove che nel pubblico Fondaco; e perchè abbino da esigere la sua puntual osservanza i pubblici divieti, avranno l'obbligo preciso le dette pancogole di prestar solenne giuramento tutte nomine eccepto in mano di Sua Eccellenza Podestà, che durante il loro impiego non si serviranno di altre farine che di quelle comprate dal Fondaco e che dallo stesso vengono esitato, restandole vietato a non poter vender nè far vender nelle di loro case, nè sopra balconi de'particolari, sotto alcun colore o pretesto, ma solo dovranno vendere nella pubblica panatoria, e trovandosi questo esser venduto non sigillato, e però considerato di altri che dalle pancogole oppur di alcuno che per tale non si fosse notificato, sarà esportalo per contrabbando; il che sarà praticato anche di quel pane che fosse riconosciuto d'altra farina, che di fondaco, e ciò sotto la pena, da esserle sommariamente levata, di lire 25, e perdita delle farine e pane, che saranno fisca-te tanto appresso i venditori, quanto appresso i compratori, alla qual pena pecuniaria e fiscale, sarà soggetto qualunque padrone che approdando con farina a queste rive ardisse farne vendita, e chiunque dalle barche ne comprasse, dovendo sempre ognuno valersi di quelle di esso Fondaco, giusta i pubblici decreti. Restando in fine eccitato lo zelo de' signori giustizieri di invigilare specialmente all' adempimento di quanto viene col presente ordinato; riconoscendo le robe, che cadauno sotto la loro ispezione, e assegnandovi quei prezzi che dalla loro esperienza saranno creduti convenienti, de'quali di tempo in tempo ne parteciperanno questa pubblica rappresentanza, perchè possa contribuirvi i propri compensi in caso di contraffazione. XIX. — Resta puro ingiunto alle fornaio, che in pena di lire 5 per cadauna, e cadauna volta 1' accetteranno, debbano di sera in sera notificare al signor fondacaio attuale, e prò tempore, la quantità del pane che avranno cotto per cadauna pancogola, per i dovuti riscontri. XX. — Ai predetti oggetti rendesi altresì essenziale la vendita delle carni, onde queste non abbiano ad esser vendute in casa de' particolari da chi si sia, ma tutti gli animali debbano esser scannati nella pubblica beccaria al luogo solito, in riguardo al commodo universale, in pena di lire 100 per cadaun trasgressore, e cadauna volta, oltre la perdita della carne ad arbitrio della giustizia, dovendo i medesimi far pure consapevole Sua Eccellenza per esser provveduto, il suo cancelliere, ed i giudici. XXI. — Non si faccia lecito alcuno di gettar o far gettar alcuna sorte di immondizie in questo porto, nè meno per le strade, ma debbano condur le grasse otturate fuori della città in pena di lire 25, la metà all'accusatore, l'altra ad arbitrio. XXII. — Che alcun forestiere non ardisca pascolar suoi animali ne' contorni di questa città e territorio se prima non avrà dato le dovute note in questa cancellarla per esser nelle deliberazioni di sua eccellenza, in pena di lire 50 ed altre applicative ad arbitrio, oltre la perdita degli animali. Csarà continuato.') Distretti di S. Michele di Lemme e di Rovigno. (Dal Toderini, 1780.) (Contiti, e fine. Vedi il n. 21.) S. Michele di Lemme è un'antica Badia e monastero di monaci Camaldolesi che dovettero abbandonarla per la poca salubrità dell' aria ; oggidì è una contea di cui fu investita una famiglia Colletti veneziana. Stendesi sulla sponda settentrionale del canal detto di Lemme poche miglia fra terra. Questa Badia si credette falsamente da alcuni dotata fin dall' anno 1040 da certe contesse d'Istria, che in quel tempo non esistevano, essendo la provincia governata da un marchese soggetto alla sovranità dei patriarchi d'Aquileia. Nel 1737 fu stampato in Venezia un disegno antico, in parte logoro, di questa Badia, delineato nel secolo XIV da un monaco che per la sua antichità, ma non per la sua precisione, meritò d'essere conservato alla memoria de'posteri. Il distretto di Bovigno è più esteso in confronto degli altri della provincia, quantunque comprenda soltanto oltre la città pochi villaggi. Questo distretto è soggetto nello spirituale alla diocesi di Parenzo. Viene governato da un patrizio veneto col titolo di podestà. Vi sono cave di bellissime pietre, ed è fertile di olio e di vino. Rovigno fu dagli antichi detto Arupinum ed .4r«-piutn, piccola città di un miglio di circonferenza, ma a-bitata da 18000 abitanti, la maggior parte eccellenti marinai. E situata sopra una piccola isola congiunta alla terraferma per mezzo di un ponte di pietre. Ha un porto, non però molto sicuro, chiuso da uno scoglio detto S. Caterina, ed una valle detta di Bora, dove si ricoverano le barche. Le navi perciò ordinariamente approdano al porto di Figarola un miglio distante dalla città. Dentro la città trovasi una chiesa collegiata, in cui conservasi il corpo di S. Eufemia, e sopra alcuni scogli vicini sono fondati due conventi di regolari con fabbriche sontuose. La comunità, ricca di buone rendite, stipendia due medici ed un chirurgo, ed ha un fondaco di grani e farine. Rovigno crebbe dalle rovine di Arupino, antico castello della terraferma, quattro miglia lontano, dove sopra una collina chiamata il monte d'oro, si vedono ancora le vestigia di alcuni edifizi. Rovigno riconobbe il dominio veneto l'anno 1330, e nel 1380 fu saccheggiata e desolata dai Genovesi, e nel 1599 dagli , Uscoc-chi. Questa città dal governo non ha se non il titolo di terra o di comunità; e tale veramente fu ne'secoli passati, ma presentemente col commercio, colla navigazione, coli'industria e diligenza de'suoi abitatori, è giunta al grado di poter gareggiare con ogni altra città della provincia.