ANNO XV. Capodistria, 16 Agosto 1881. N. 16 LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 36 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3 ; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo.*) 1226. -— Venezia, 24 aprile. La Repubblica vieta ai suoi sudditi l'andata a Trieste con o senza merci, ed anche il solo invio di merci, e ciò sotto la penale di lire 130, soldi dodici e mezzo. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 45. 1226. Venezia, 4 maggio. Filippo e P. Zulian si obbligano di numerare a Guglielmo, scrivano del doge, lire 200, ove Almerico di Umago e Bailardo mancassero di consegnare all'arsenale di Venezia entro il prossimo mese di agosto il legname per costruire due astri (barche). Archiv. reg., Ven. Liber. Com. - Car. 45.a 1226. — Cividale, 6 maggio. Arrigo degli Andechs, già marchese d'Istria, ipoteca Vipacco ed Arensberg (Arae Postumiae•■), meno la torre, in favore dei veneziani Domenico, Angelo, Filippo e Giovanni fratelli Grimani, a garanzia di 420 marche aquileiesi da essi ricevute, e si obbliga di restituirle in annue rate di 50 marche da consegnarsi li sei gennaro in Cividale, Sacile, Aquileia, Pordenone, Trieste o Capodistria. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 98.a 1226. — 26 maggio. Marino Morosini di San Salvatore, eletto a conte di Pola, ottiene dalla Repubblica una galea per condursi al suo nuovo posto ; si obbliga di farne la restituzione all'uscire di carica e di compensare le avarie se ne avesse sofferte nel servire il comune di Pola. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 19.a 1226. — 20 luglio. Venezia manda ser Giuliano Ac-cotanto ad incrociare nel golfo, perchè niuna barca al di qua di Zara passi in Egitto con legname e con altre merci proibite. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 46.b 1226. — Venezia, 30 settembre. Il doge, il suo consiglio e la quarantia fanno stridare in piazza di San Marco ed in Rialto la deliberazione 24 *) Continuazione vedi N. 1-15. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Dn iramero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. aprile p. p. che vieta ai sudditi veneti di portare o spedire merci a Trieste; in esso ordine i trasgressori vengono minacciati della confisca delle merci e della penale già citata di lire 130 e sol. 12 e mezzo, e nel caso che non potessero soddisfare alla multa vuole che siano cacciati in prigione e che le loro case siano distrutte, ai recidivi poi è letto il bando dalle terre della Repubblica e 1' abbruciamento dello loro barche. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 80.a 1226. — Venezia, 9 ottobre. Andrea Marin della contrada di San Vitale si obbliga di sborsare al comune lire 500, ove l'ostaggio, Giovanni di Matteo da Cherso. avesse a sortire da Venezia senza un'espresso permesso o si rifiutasse di presentarsi al doge ad ogni sua chiamata. Arch. reg., Liber Com. - Car. 69.a 1226. — Venezia, 13 ottobre. Tomaso Contarmi della contrada di San Paolo ed Angelo Trevisan si costituiscono mallevadori verso il Comune, ove l'ostaggio Penna di Cherso avesse ad abbandonare la città di Venezia. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 69.a 1226. — Venezia, 17 ottobre. I fratelli Andrea e Stefano Marin di Murano e Gabriele Balbo da Venezia si costituiscono mallevadori verso il Comune per certo Cipriano nipote di Matteo daCherso,perDomenicopoi figlio dall'anzidetto Matteo fanno garanzia Andrea Tron e Michiele Favro. Tanto il Cipriano quanto il Domenico trovavansi esigliati in Venezia in seguito all'uccisione del già Conte di Cherso ed Or-sero, Nicolò Quirini. Arch. reg., Ven. Liber Com. - Car. 69.a 1226. — Venezia, novembre. Danielo Onaro, già inviato in Istria, e Domenico d'Istria abitante nella contrada di S. Eustachio (Stae) depongono di essere stati derubati in bocca di Leme presso San Fele da Marco de Restando di Due Castelli, da Domenico e Mat-tiolo di Valle, di venti soldi di denari grossi, di 32 soldi di piccoli, di una spada del valore di 45 soldi, d'un cappello e d'un coltello. (Coni.) Arch. reg. Ven. Liber Com. - Car. 82.a IBTTvTIE*) Secondo la nuova anagrafe del 31 dicembre 1880, Buje, presa isolatamente, conta una popolazione di 2670 abitanti, dei quali 1381 maschi e 1289 femmine; a differenza del censimento 31 dicembre 1869 in cui contava 2,389 abitanti, dei quali 1255 maschi e 2134 femmine; un aumento quindi non indifferente di 281 abitanti. Il comune locale di questa cittadetta istriana comprende i luoghi di Berda con 158 abitanti, di Briz con 134, di Carsette con 324, di Cràssizza con 729, di Merischie con 255, di Mondano con 979, di Oscurus con 181, di Sorbar con 295, e di Tribano con 273; assieme 5998 abitanti, dei quali 3143 maschi e 2855 femmine. Secondo la nazionalità poi si annoverano in tutto il comune 5704 italiani, 194 serbo-croati. 17 sloveni ed 8 tedeschi. Questa cittadetta, assisa sopra un colle alto 220 m. sul livello dell'Adriatico, dista poche ore da Capodistria e da Pirano ed è vicinissima ad Umago suo scalo marittimo. Buje ha ufficio postale e telegrafico, giudizio distrettuale, scuole popolari maschili e femminili, assicurazioni contro gl'incendi, società di mutuo soccorso, casa di ricovero, pia fondazione per dotazione di povere fanciulle. Per la sua postura topografica. Buje, fu appellata la repubblica di San Marino dell'Istria. Difatti, San Marino sta in vetta ad un monte, detto il Titano, e da quel punto eccelso, si smarrisce la vista sulle terre delle Marche, sulle città della costa orientale d'Italia, sull'Adriatico. Così pure dalla deliziosa cima di Buje si domina una gran parte della penisola istriana. L'Adriatico da un lato, che si perde talvolta bujo per nubi addensate, talvolta sfolgorante de' piii bei colori dell'iride; e dall'altra le graziose movenze dei colli, che poco a poco s'ingrandiscono e vanno a confondersi cogli arsi fianchi del Monte Maggiore.1) E qui dovremmo ormai finire la descrizione di questa cittadetta, che il Rapido diceva con Montona gravidis loca foeta racemis, se ella non avesse altro di notevole. Ma chi amasse per esempio, di visitare la sua Chiesa maggiore si fermerebbe ammirato innanzi la statua di San Sebastiano, condotta da Giovanni Marchiori di Padova, il quale fu scultore di altri pregevoli lavori agli Scalzi e alla Pietà di Venezia; come *) Avvertiamo che nostro solo intendimento è di dare col presente fuggevole cenno un'idea de'que'luoghi istriani, che furono designati ad ospitare i membri del Congresso Agrario, il quale, coni' è noto, avrà luogo quest' anno iu Buje. Con ciò seguiamo un vecchio costume della Provincia, e chiediamo venia all'indulgente lettore per le inesattezze nelle quali, senza dubbio, saremo caduti, anche rubacchiando a man salva. ! pure chi volesse entrare nella chiesuola della Madonna troverebbe una tela attribuita al Tiepolo (1693-1770); altre del Vecchia, e sul parapetto dell'organo tre piccoli dipinti, che riconducono ai bei tempi dell'arte. — Anche Buje ha la sua storia. — Chiamata anticamente Bullea fu soggetta ai Romani ; poi nell' età di mezzo luogo murato e turrito, si resse a libero comune ; trattò più volte con Venezia per la conservazione de' suoi privilegi. Nel secolo XII (1102) fu donata dal Marchese d'Istria al patriarcato di Aquileja; un secolo e mezzo più tardi si pose sotto la protezione e difesa di Capodistria, e precisamente ai 1S agosto 1268. Ma la data più memoranda fu quella del 27 agosto 1412 in cui Buje si diè alla Repubblica di Venezia. Ed ecco un brano tratto dai Commentarii storico-geografici della provincia dell'Istria, scritti da Monsignor Giacomo Filippo Tommasini, brano che dipinge i costumi e la vita pubblica di Buje sotto Venezia: Gli uomini, scrive il Tommasini, vestono bene, e le donne specialmente alla veneziana; alcune delle plebee conservano ancora l'uso antico di portare le vesti nere in testa, che è però comune nei corrucci dopo la morte dei parenti; del resto portano le più civili taffettà o zendado nero ; le altre bei faccioli bianchi, detti da esse lenzuoletti. ben guerniti, 'con vesti di seta e di luna, chi più, chi meno pomposamente; così circa gli ori conforme alla loro possibilità. Gli uomini vestono all'italiana a seconda delle usanze che si mutano.. . . E dopo di aver narrato che tutti parlano l'italiano, aggiunge il Tommasini : La Serenissima manda un gentiluomo veneto per rettore col titolo di podestà, ed il primo fu nell'anno 1418. (Qui notiamo noi per incidenza, che una Ducale del 22 maggio 1423 ordina doversi scegliere il podestà di Buje dal corpo dei patrizii di Capodistria.) Si governa la Comunità, prosegue il piucci-tato Tommasini, dal consiglio che consiste in alcune famiglie più vecchie, cioè: Fantini, Cittadini, Biccochero, Ambrosi, Turini, Manzini, Bonetti, le quali creano ogui quattro mesi tre giudici, tre sindici, tre avvocati, tre stimatori, un camerlengo di comunità, un soprastante per sei mesi alle opere pubbliche, un cancelliere per un anno, e il camerlengo e sacrestano della chiesa annuali.. La comunità ancora paga al suo podestà lire 500, e i propri stipendi agli uffizi predetti, e ad altri .. Stipendia medico, ed a' miei giorni, ha avuto degni soggetti, tra quali l'eccellentissimo Girolamo Vergerio, (da Capodistria) soggetto molto virtuoso, che ora è lettore a Pisa, e l'eccellentissimo Giovanni Guberni, veneto, gentilissimo spirito; così paga chirurgo, speziale, e alcune volte il maestro di scuola.......L'entrata di questa comunità consiste nei dazi del torchio, del vino, del forno, della mistura, dei terradeghi; cioè decime di alcuni beni, regalie delle vigne, alcuni prati, il bosco di Yalaron, degli Onari, e di piìi tutte le condanne criminali..... Presso Buje è Grisignana,2) adagiata sopra amenissimo colle, dal quale si domina le valli di Montona e del Quieto, e più lontano l'Adriatico, su cui, direbbe un nostro compianto istriano «nereggia il fumo delle vaporiere, o soffia mite l'alito de' venti o suona terribile l'armonia delle tempeste." — Antico castello, Grisignana era circondata da solide mura, che potevano sostenere qualsiasi impeto nemico. Innanzi la porta maggiore ve n'era un'altra più grande con ponte levatojo. È rimarchevole in questa graziosa cittadetta 1' antica loggia, nel cui piano superiore s'accoglieva il fondaco pubblico, eretto, come dice l'iscrizione sulla facciata, dal chiarissimo Girolamo Briani veneto pretore ad conerrationem granoriun — beneficimi! pau-pertatis — cornino dumque civium et habitantium Castri et territorii. Oltre la loggia è degna di menzione la chiesa parrocchiale con bellissimi altari, ricca d'argenterie, tra cui un superbo ostensorio, istoriato a pieno -rilievo, che venne offerto in dono dalla munificenza di Francesco Armani. Grisignana ha ufficio postale, scuola popolare, società di mutuo soccorso, casa di ricovero, pia fondazione per dotazione di zitelle, società filarmonica e filodrammatica. Nel territorio grisignanese v'ha la rinomata cava di pietra bianca, nella località Finida, di proprietà comunale. 2) Di questa terra istriana diamo qui la seguente tabella statistica : Anagrafe e censimento del Comune locale di Grisignana Comune Maschi Femmine Totale Grisignana . Piemonte . . Sterna. . . . Castagna . . Cuberton . . 827 534 242 223 179 636 442 196 192 132 1463 976 438 415 415 Particella econ. Part. forest. Totale Superficie Rendita Grisignana . Piemonte . . Castagna . . Sterna.... Cuberton . . 7571 5694 1006 3115 2498 1895 1235 279 356 818 9466 6929 1285 3871 3316 jugeri 4536 2853 686 1852 867 clafter 742 1531 631 1282 867 10712.59 4687.65 1839.25 2404.45 2380.56 Non lungi da Grisignana è Piemonte che pure s'asside sopra un colle; era castello antico, posseduto in unione a Castagna dalla patrizia famiglia Contarmi di S. Zorzi. Nel secolo XYII giurisdi-cente di Piemonte era un Giuseppe del Bello, chiozzotto, avvocato per la provincia, e secondo il Tommasini, assai sperto conoscitore delle leggi e degli usi del paese. Narra lo stesso storiografo che durante certa sua visita in quel ridente pae-setto, vennegli regalato dal Dr. Del Bello un dente di gigante con alcune medaglie, l'uno e P altro rinvenuti arando nell' agro piemontese. Anzi, essendo ivi stati scoperti molti altri oggetti antichi, ripetiamo qui per intero un brano assai notevole tratto dai commentari! dei piuccitato Tommasini, brano che dovrebbe fermare l'attenzione degli amatori di studi antropologici. Eccolo : — „E l'anno 1616, in contrada delle Grotte scavandovi, si scoprì un sepolcro di pietre piccole quadre, unite insieme con calce, lungo piedi quindici, e largo per la metà, il quale aperto, vi trovarono dentro una lucerna di creta antica, un idoletto scolpito, ed appresso le ceneri una testa di smisurata grandezza, la quale fu donata al sig. Marc' Antonio Trevisano, allora forse capi-tanio in Capodistria, (il Trevisano secondo il Kandler fu capitano di Capodistria nel 1609-10 e nel 1616, e nello stesso anno fu pure Francesco Quirini; vedi Indicazioni ecc. p. 150), dalla quale furono cavati undici denti, che furono divisi tra diverse persone, ed uno restò ad esso. Fu trovata nella stessa arca una corniola, ove sono intagliati due capretti ed alcune medaglie d'argento, tra le quali una di Domiziano col cavallo Pegaso. Ritrovai nella chiesa di San Pelagio, verso la valle alcuni pezzi di cranio molto grossi che potriano formare una testa quasi simile. Dicono esservi in quei contorni uu'arca di eguale grandezza." Altri luoghi rimarchevoli presso Buje, sono Yisinada, patria del gentile poeta Michele Fachi-netti, (1812-1852) l'amico del Pellico; e Momiano (Momilianum) venduto nel 1548 al bergamasco Agostino Rota, Cavaliere del re di Francia. Nel-l'antico castello di Momiano conservavasi un tempo una lotte di legno di smisurata grandezza al pari della maggiore che è nella Santa Casa di Lo-retto, ma più lunga, capace di cento e più barili di vino. Tomm. op. c. (x). CORRISPONDENZE Parenzo, 14 agosto Temo di arrivare troppo tardi per annunciarvi la gita fatta dalla filarmonico - drammatica di Rovigno alla nostra città ; ma se vi rimane un ritaglio di fo- glio date accoglienza alla mia relazione, se non altro, per la sua non comune importanza. Domenica, 7 corr., la sullodata società filarmonico-drammatica di Rovigno, scortata dall'egregio suo presidente, Avvocato Paolo Dr. Ghira, con altri rovignesi, volle onorarci di sua visita. Alle ore 4 il piroscafo Aida, con a bordo oltre 250 persone, s' accostava al nostro molo, su cui stavano assiepati numerosi cittadini, che accolsero gli arrivati al suono della banda, agitando mille e mille fazzoletti e gridando viva Rovigno, cui facevano eco gli evviva a Parenzo, e all' Istria. Accompagnati dalla uostra deputazione comunale, che li attendeva al molo, i Rovignesi, preceduti dalla bravissima loro bauda, s' incamminarono alla volta del Municipio, dove la loro Presidenza venne ricevuta dall' onorevole Podestà, signor Giuseppe de Vergottini, che le espresse in acconci detti il desiderato accoglimento. Compita la visita officiale, tutti si diressero verso la piazza, ove i bandisti e i coristi rovignesi, alternandosi, rallegrarono di lietissime armonie il pubblico affollato. Diedero principio all' iuno dedicato all' Istria dal distinto maestro G. Giorgieri, cantato dai coristi ed accompagnato dalla banda ; fecero seguito undici altri pezzi, parte suonati e parte cantati da quei filarmonici con rara maestria. Finito il concerto in piazza, gli ospiti dedicarono alcun tempo nello asciolvere e nelle visite alle famiglie degli amici e dei conoscenti. Verso notte la banda rovignese, raccolta nuovamente in piazza, suonò altri scelti e svariati pezzi ; mentre il brio promosso dall' arrivo dei confratelli e i soavi concenti musicali eccitarono la gioventù alle danze, che si apersero nella sala del Casino, messa ; cortesemente a disposizione dalla spettabile presidenza, 1 e si protrassero a tarda ora. Verso le 11, gli ospiti gentilissimi, preceduti dalla bauda cittadina tra i fuochi d' artificio e la variopinta luce bengalica (sempre fida i compagna delle nostre solennità) presero commiato dai | parenzani, che in numero veramente straordinario tappezzavano il molo; e il piroscafo dei gitanti venne frattauto accompagnato fino a mezzo porto da parecchie barche di giovani studenti, pavesate a palloncini e illuminate a bengàla. Così ebbe fine questa brillantissima festa, la quale rammenterà sempre ai cittadini di Parenzo quale tesoro d'affetto stia racchiuso nel nobile petto dei cittadini di Rovigno. (p. g). Togliamo dal giornale L'Osservatore Triestino, N. 171, del 30 Luglio p. p.: Commissione provinciale istriana per i provvedimenti contro la fillossera. Deliberati presi nella seduta del 27 luglio anno corr. a Pirano: 1. Continuare colla disinfezione mediante solfuro di carbonio delle viti trovate infette e colla procedura come per lo passato, attesi i buoni risulati ottenuti ; 2. proibire l'impianto di vivai nel distretto giudiziario di Pirano e distruggere gli esistenti ; 3. esplorare nei pressi di Fasana il vigneto Fra-giacomo, possibilmente a cura del sig. Giovanni Bolle; 4. interessare l'Autorità politica perchè venga concessa l'introduzione di canne e pali di sostegno delle viti dal territorio circostante nella città di Pirano per uso di combustibile. In relazione ai premessi deliberati riportiamo un brano del rapporto sui risultati delle esplorazioni fin qui praticate. 1. Comune di Pirano. Nella località di Cortina si scoprirono 46 focolai. Essi sono poco discosti dal centro d'infezione e perciò da considerarsi come focolai secondari, che l'anno scorso erano ancora latenti. Nella maggior parte di questi focolai soltanto poche viti si trovano in istato di deperimento, ed hanno le foglie ingiallite; raramente si scontrano macchie bene manifeste; plaghe fillosseriche simili a quelle dell' anno scorso non si poterono scoprire. Più lontano dal centro d'infezione il male si fa sensibilmente minore; così in Nosedo si scoprì un nuovo focolaio ed in Valle Grande tre altri focolai, tutti però in tale vicinanza delle macchie disinfettate, da ritenerli come infezioni secondarie. E qui devesi osservare che per la gragnuola dell'anno scorso, poi pei freddi primaverili e peli'insorgere epidemico del vaiuolo, la vegetazione della vite è in alcune località della Valle Grande talmente arrestata ed irregolare, da non permettere per ora un' esplorazione accurata. 2. Comune d'Isola. Nella località di Casanova si scoprirono 14 focolai. La maggior parte di essi si rende manifesta su poche viti visibilmente deperite e macchie estese non sa n? scorgono. Eccetto due focolai, distanti circa 300 metri da quelli più estremi dell' anno scorso, tutti gli altri si trovano in prossimità alle macchie già disinfettate. 3. I Comuni foresi di Corte d'Isola, Padena, Villanova, S. Pietro dell'Amata, Castelvenere e Salvore, i quali per la loro continua comunicazione con Pirano davano a supporre uua propagazione artificiale del male, sono ancor sempre immuni. Immune è ancora Strugnano, benché una località codesta che fin da tempi addietro aveva frequente contatto coi focolai più vecchi di Cortina. Nella presente relazione abbiamo tralasciato di dare indicazioni numeriche sull'estensione del male, perchè la imperfetta manifestazione dei caratteri esterni delle viti infette che si scorge quest'anno, rende per ora tale calcolo di poca esattezza. In senso approssimativo si può tuttavia calcolare a circa 32,000 il numero delle viti che per la dilatazione del male dovrebbe in breve essere attaccate dall' insetto. Di queste, 25,000 appartengono alla Cortina ed adiacenze, 500 alla Valle di Nosedo, 4000 alla Valle Grande e 2500 a Isola. Dai risultati dell'esplorazione possiamo dedurre che l'infezione fillosserica nei comuni di Pirano ed Isola è tuttora esistente, che la medesima però è ancora, si può dire, confinata entro limiti posti da focolai più estremi scoperti già 1' anno scorso o almeno poco discosta da questi. Riguardo all'intensità del male devesi rimarcare, che la medesima è più palese attorno i focolai più vecchi e diminuisce invece nelle vicinanze di focolai recenti. Ciò che per il pratico viticoltore ha per ora maggiore importanza si è, che il deperimento delle viti al di là della macchia disinfettata non è manifesto e che malgrado i nuovi focolai scoperti il danno arrecato ai vigneti dall' insetto si riduce a proporzioni minime iu confronto a quello dell'anno scorso. importazione e coltivazione ili viti americane Parere del Prof. Dr. L. ROESSLER Direttore della Stazione chimico-fisiologica ili Klosterneuburg tradotto col consenso dell'illustre autore da Altosrto Dr. Levi. Circa alla importazione di viti americane resistenti, in luoghi tuttavia immuni di fillossera, vuoisi notare quanto segue. Le esperienze fatte iu Francia pel corso di parecchi anni, hanno dimostrato che alcuni soltanto Ira i moltissimi vizzati americani resistono durevolmente alla fillossera. Fra questi possediamo già in Austria la Riparia la Vitis Solonis e il York-Madeira coltivati in luoghi tuttavia affatto immuni d'infezione fillosserica, quale a cagion d' esempio, la Scuola di viticoltura di Mar-burg. Da simili provenienze si può naturalmente importare dovunque tali vitigni senza alcun timore. Sarebbe anzi desiderabile che la Giunta provinciale istriana prendesse fin d' ora le più estese misure per procurarsi annualmente, mediante la cooperazione del Direttore Goethe di Marburg, il maggior numero possibile di magliuoli delle preiudicate qualità di viti americane, affine di poterli distribuire ai principali possidenti dei territori non paranco infetti dell'Istria. Talee di Riparia si possono anche avere in buon numero dal Sig. de Ratzesberg iu Graz (Burggasse 4) che le ritira da un luogo fin ora affatto libero d'infezione. La piantagione di un ettaro di vigna esigendo però l'impiego di circa IO mila magliuoli1), è evidente che nou c'è tempo da perdere e che conviene creare dovunque e il più sollecitamente possibile vivai e piantonaie in gran numero per la moltiplicazione di tali vitigni resistenti. Indipendentemente poi da quei vizzati americani resistenti che già esistono in Austria, ve ne sono alcuui altri che 1' esperienza fatta in Francia ha dimostrati non soìo perfettamente resistenti all'insetto, ma dotati altresì della preziosa prerogativa di poter servire egregiamente alla diretta produzione del vino. Di quest' ultimi però siamo aucora pur troppo sforniti iu Austria, ove potrebbe tutto al più trovarsene per avventura qualche rarissimo esemplare fra le piantine nate da seme ed allevate nel territorio infetto di Klo-sterneuburg. Ma anche in tale fortunata ipotesi occorrerebbero ancora alcuni anni prima di poterne ritrarre talee in quantità ogni poco considerevole. Mancando quindi quasi affatto iu Austria siffatte varietà di viti resistenti e producenti buon vino senza innesto, le quali sarebbero di somma importanza specialmente per le provincie meridionali della Monarchia si dovrebbe importarla direttamente dalla Francia. Citerò nel numero di quelle il Jacques che da un vino eccellente, di color rosso scuro e che servirebbe nella ') Visto che in seguito alla vegetazione molto iussureg-giinta dei vizzati americani, bisogna dare ai ceppi la distanza di"2 ed anrhf 3 metri, non si avrà per ettaro di vigneto che al massimo 4500 magliuoli. maggior parte dell'Istria di ottimo surrogato al Refosco sendo che il vino che se ne ricava non pecca punto di quel sapore particolare disaggradevole che si trova sì di frequente in moltissime uve americane. Questo vizzato fece dovunque buona prova e si è già acclimatato non solo nella Francia merridionale, ma fino al Mèdoc. L'allevamento delle viti da seme non offrendo d1 altronde alcuna garanzia di successo, ed esigendo lungo tempo prima che si possa verificarne i risultati non può essere raccomandato come buona pratica per moltiplicare tali varietà pregevoli, per cui volendo procurarsi quei vizzati di qualità geuuica ed accertata, bisogna di necessità che li facciamo venire direttamente dalla Francia. Dal fin qui detto risulta che non si tratta già, come molti suppongono, d'importare interi carichi di viti dall'America per ripetere da noi gli stessi esperimenti che furono fatti in Francia già da 8 o 10 anni. Però anche contro l'importazione limitata di magliuoli dalla Francia si elevarono dubbi efscrupoli ingiustificati. Si temette, cioè, che si potesse per avven-j tura introdurre col legno di un anno e senza radice, vale a dire con semplici talee, anche le uova della fillossera. Se tale ipotesi avesse un fondamento di verità, si dovrebbe interdire per la medesima ragione anche l'importazione dell'uva dai luoghi infetti, imperocché per ammettere che l'introduzione della fillossera fosse possibile mediante i mentovati oggetti, bisognerebbe accogliere per buona la supposizione che un insetto alato vi avesse gettato le sue uova, che queste vi si fossero sviluppate, che le fillossere sbucatene si fossero accoppiate sul medesimo posto e che la femmina sessuata, contrariamente alle proprie abitudini vi avesse eccezionalmente deposto il suo unico uovo dal quale nasce la madre partenogenica delle successive generazioni, il che però potrebbe essere avvenuto egualmente tanto sul legno di un anno quanto sull' uva. ( Continua) Appunti storico-economici ........Prima che i Franchi estendessero nell'Istria il sistema feudale, ogniqualvolta si mutarono gli ordinamenti politici colle nuove donazioni, l'assetto della proprietà territoriale in questa provincia non si risentiva punto o poco per la uniformità delle leggi alle quali queste s'inspiravano. Il passeggero dominio longobardo non ebbe campo di modificarvi le antiche condizioni create dalle leggi romane; anzi quei pochi mutamenti che 1' angustia del tempo e gli eventi fortunosi hanno concesso d'introdurvi, dovevano essere in seguito abrogati dai Bizantini, i quali rioccuparono poco appresso la nostra provincia. Così alla venuta dei Franchi, le loro leggi e consuetudini feudali si trovarono di fronte a un ordinamento della proprietà, che non dovea essere certo nel suo complesso il più adatto alla introduzione di quelle. Difatti questa reclamava delle modificazioni alle basi su cui poggiava il diritto di proprietà e di possesso della terra e questa specie di rivoluzione doveva riuscire tanto più avversa e dannosa all' Istria, in quanto ledeva le sue consuetudini e i suoi privati diritti, basati sulle antiche leggi, che volevansi tolte, senza alcun riguardo a quell'autonomia comunale, rispettata pure nelle altre Provincie del reame franco-longobardo. Da ciò la protesta degl' Istriani, formulata nel placito dell'anno 804, per la quale ottennero nè più nè meno di quanto era stato rispettato nelle altre parti del regno ; 1' autonomia cioè dei maggiori comuni. Però questa concessione alle comunità venne limitata al loro proprio territorio, tolta affatto la giurisdizione che esercitavano sui comuni foresi, i quali rimasero in potere dei Marchesi. dei Conti e dei loro vassalli. Confermato solennemente il novello sistema dall' imperatore nel 819, una spontanea ed irresistibile tendenza cominciò a ridestarsi nella proprietà territoriale, per effetto della quale l'allodio vedevasi trascinato dalla vittoriosa azione del momento a modificare la sua essenza e a divenir feudo. Particolari circostanze dovevano in quel tempo concorrere a formare nell' interno dell' Istria un territorio del tutto feudale, e gli eventi politici, che le seguitarono, riescirono i più adatti a mantenervi inalterata quasi fino ai nostri giorni la feudalità. Tutto all'opposto successe nella zona costiera dell' Istria, dove furono sufficienti le istituzioni municipali a contrastare la sua prevalente influenza. Prima della conquista franca, vasti terreni d'immediata proprietà del principe si estendevano nella parte superiore di quella regione, coperta allora di foreste e scarsamente popolata. Le colonie militari stanziate ai varchi della Vena abitavano alpestri villaggi; Pedena e Pinguente erano i centri maggiori ai quali si annodavano i pochi casali sparsi per le campagne; rade e deboli le comunità; gli scarsi terreni coltivati, quasi tutti sotto il vincolo del colonato. Con tali circostanze, lo stabilirsi del sistema feudale non doveva trovarvi molte difficoltà; al contrario il colonato doveva essere uno dei principali suoi ausiliari *). Estesa quindi la nuova legge sui comuni minori, le terre allodiali dovevano naturalmente essere attratte a poco a poco nel suo ciclo. Per ispiegare cotesta attrazione, che esercitava il feudo sui terreni liberi, bisogna rimontare a que' tempi; ed allora è facile scorgere *) Le relazioni che il diritto romano stabiliva tra il colono e la terra da lui lavorata, vennero mantenute tanto dal jus germanico quanto dal feudale. come i vantaggi che si ottenevano nell' entrare nella classe dei signori, e la mancanza di sicurezza e di garanzia per quelli che non lo erano, e nullameno possedevano da sè stessi, doveva determinare quel movimento sempre crescente, che quietò col trionfo del feudo sulla terra libera. Un bisogno di protezione consigliava i proprietari a rinunciare alla soddisfazione d' una piena disponibilità delle loro cose, in tempi che questa esisteva piuttosto come un diritto che come un fatto; in tempi ne' quali le leggi poco o nulla proteggevano, o le autorità interessate a mantenerle erano deboli e mal definite. E mentre la forma feudale invadeva la proprietà, nell' interno dell' Istria, per effetto della stesse cause, diminui-vasi il numero degli uomini liberi e di proprio diritto, e questa diminuzione compivasi a favore dei Conti, dei Marchesi e della Chiesa. Anzi 1' uso di darsi alle chiese, di ceder loro la proprietà delle terre, riservandosi il solo usufrutto feudale, prevaleva. E mentre nell' interno della provincia il clero e la nobiltà associati e separati mutuamente si soccorrevano contro la tradizione bizantina, svolgendo il loro potere indipendentemente l'uno dall'altro; alla costa l'indipendenza delle città municipali sottratte dalle medesime tradizioni agli influssi allora dominanti, le scorgiamo in balìa di un patriziato inquieto, geloso, voltato contro il popolo, che segue collo sguardo il suo vescovo, collegato colle Venezie per mantenere la sua oligarchia. Nella parte litoranea della provincia, questa influenza assorbente del feudo veniva paralizzata dalle instituzioni municipali, le quali vi protessero più largamente la libertà e la proprietà contro la feudalità; e maggiormente le estesero nella campagna, quando pei nuovi ordinamenti del sistema baronale, introdotti da Ottone I, le città si videro per le seguite dotazioni a loro favore, allargati gli agri tributari. Senonchè la protezione accordata ai comuni da Ottone I, valse a scuotere e a contrastare nelle cittadette istriane l'influenza di quel patriziato, proteggendo il popolo e prodigando maggiori favori ai vescovi. A questi si accordavano un tribunale eccezionale, una giurisdizione paterna, domestica, intima, al di fuori della feudalità e dell' oligarchia bizantina. Allora i valvassori, la nuova nobiltà dei vescovati, li scorgiamo affratellarsi coi cittadini, e le franchigie vescovili, preparando le diserzioni nel campo feudale, diminuivano nel tempo istesso l'influenza dell' antico patriziato nelle città. Così, quasi inavvertitamente, gli antichi municipi romani dell' Istria, retti dal sistema oli- garchico delle repubbliche bizantine, si trasformarono coi consoli e coi podestà in comuni italiani. I rivolgimenti di quest' epoca devono aver contribuito allo stabilirsi di molte famiglie nobiliari a Venezia, la quale esercitava il suo fascino sui ricchi e sugli intraprendenti, e ad invitare i feudatari vescovili ad edificare le loro dimore nelle città, nelle quali alternavano la loro vita castellana. N. B. ZEsTotizie Il giornale ufficiale N. 178 (lei 8 Agosto p. p. porta la patente imperiale 2 Agosto con la quale sono convocate le diete dell'Istria e Gorizia pel 23 agosto, quella di Trieste pel 24 settembre. Siamo informati che il congresso agrario stabilito per il corrente mese in Buje venne rimandato al mese di ottobre, iu giornata da destinarsi, e ciò in causa dell'apertura della Dieta Provinciale pel 23 corrente. Domenica 7 corr. il distinto letterato commen-datare Pompeo Gherardo Molmenti lesse nella E. Accademia di Belle Arti di Venezia sul nostro insigne istriano Vittore Carpaccio da Capodistria. Appunti bibliografici Francesco !>' Ovidio — La lingua dei Promessi Sposi nella prima e nella seconda edizione. Se-couda edizione ad uso delle scuole con varie appendici. Napoli. Morano — 1880. A compimento dello studio sulla letteratura manzoniana, stampato nei numeri 16, 17, 18 dell' anno 1879, della «Provincia", ecco qui l'appunto bibliografico già da luugo tempo promesso sul nuovo libro del l'egregio professor D'Ovidio. Questo studio sul Manzoni fa parte veramente del volume — Saggi critici — del medesimo autore; volume già fatto conoscere ai lettori della „Provincia" nel Numero primo dell' anno 1879. Il D'Ovidio però ne ha fatto una seconda edizione, vi ha aggiunto varie appendici, e tra queste l'esame di un libro del professor Morandi dove con urbana ed arguta critica si confutano alcune opinioni del ben noto e strenuo difensore della teoria manzoniana; e della questione stessa della lingua si tesse breve-veniente, ma con profonda dottrina la storia. Si può quindi tornare sull'argomento; tanto più che a parlare del Manzoni, la materia non viene mai meno, e c' è sempre qualche cosa di nuovo e di opportuno a dire. Gioverà prima di tutto notare che la letteratura manzoniana è da qualche tempo in una nuova fase. Il nome del grande milanese non è più „segno d'immensa invidia o d'indomato amor", tutti sono oggi persuasi che il suo romanzo è un capolavoro di cui va superba non solo l'Italia, ma tutto il mondo civile. La questione non si agita fra calunniatori ed ammiratori; ma tra i Manzoniani, che troppo alla lettera seguono la teoria del maestro, e coloro che non piegano il capo a nessun idolo, e si tengono saggiamente lontani da ogni eccesso. Tra questi il D'Ovidio, con lodevolissima temperanza ammiratore, ma non cieco seguace specialmente nella questione di lingua. E di vero in questo suo lavoro paziente e dili-gentissimo il D'Ovidio ha dimostrato contro i nemici dell'uso fiorentino come le varianti della seconda edizione siano spesso ottime, correggendo non solo gl'idiotismi, ma quel che più importa certe locuzioni arcaiche artifiziate che toglievano grazia e lucidezza allo stile. E ai Manzoniani poi ha pure additato dove queste cor-rezioui sono incerte e non dimostrano nell1 autore un principio ben fermo iu mente o inconvenienti del tutto. Quelle pagine fitte fitte di citazioni e di raffronti tra le due edizioni dimostrano, lo ripeto, l'ammirabile pazienza del D'Ovidio in simile studio; ed è con trepidazione perciò che mi metto dietro a' suoi passi a spigolare. Ed ora, tanto per incominciare, ecco qui un'osservazione molto utile ai giovani. Credono i Manzoniani che la bellezza suprema del libro consista nello studio di venir piegando a una naturalezza casaliuga i pensieri e gli affetti ; e come avviene degli imitatori stimano suprema dote d'ogni stile la semplicità ad ogni costo, dando perciò spesso nel triviale e nello sciatto, nell'inconveniente. Ma già l'Ascoli nella sua famosa lettera avea dimostrato la differenza che passa tra il linguaggio che il Manzoni mette in bocca all'arcivescovo, e quello che fa parlare a don Abbondio e a Perpetua, tra lo stile dei Promessi Sposi e quello della Morale Cattolica. Molto opportunemente ribatte il chiodo il D' Ovidio, condannando le esagerazioni di quei professori che nou riconoscono altro santo padre nella loro biblioteca, come se la letteratura nostra cominciasse col Manzoni: e che per guardare i giovani dal contorto, dall'artificiale, dal rettorico di moltissimi nostri pensatori cacciano al bando ogni altro libro, obbligando solo gli scolari a lunghi e nojosi raffronti tra le due edizioni del romanzo ; raffronti che, se fatti con larghezza di criteri e parsimonia, sono utilissimi ; ma diventano un arido esercizio quando di ogni variante si vuole investigare la causa e tutte indistintamente si accettano.1) Che il Manzoni abbia saputo invece trovar parole convenienti ad ogni genere di stile, e non sempre abbia sacrificato alla nuova pedanteria dell' uso fiorentino si può vedere in moltissimi luoghi del suo romanzo. Vado qua e là spigolando. Nel celebre passo — l'addio ai monti di Lucia, trovo scritto......«tornerebbe allora indietro se non pensasse che un giorno tornerà dovizioso" (Capitolo 8). Ecco una parola inutile, che secondo le teorie dell'autore forma una falsa ricchezza, che non è dell'uso, e si dovrebbe cangiare quindi in ricco. Ma l'intimo senso dell'arte ha suggerito benissimo la parola elegante e più adatta allo stile lirico, ed anche più armonica, perchè con quel ricco alla chiusa il periodo avrebbe fatto un ruzzolone. Lo stesso dicasi della parola opulenza nel seguente periodo : «Federigo Borromeo..... fu degli uomini rari, in qualunque tempo, che abbiano impiegato uu ingegno egregio, tutti i mezzi di una grande opulenza............. ............« (Capii. 22;. ') E che dire di quel professore che assegna per terna in una scuoia tecnica la lettura del capitolo V dei Promessi Sposi per dedurne esempi di concordanza dei nomi? Vedi il mio articolo — La Mostra didattica — nel giornale del Treves — «Milano e l'esposizione italiana." N. 14 e 15. Anzi è così nobile e scelta qui la locuzione, che questo passo si potè trascrivere alla lettera, e incidersi in luogo di epigrafe sotto alla bella statua eretta in questi ultimi anni a Milano al cardinal Federigo, davanti alla biblioteca ambrosiana in piazza San Sepolcro. Per convincersi di questa cura speciale del Manzoni nel cercare parole convenienti al soggetto, basterà dare un'occhiata alle varianti fra le due edizioni : le pagine più nette e con pochissime correzioni si trovano sempre nei brani storici del romanzo. ') Non fu felice il Manzoni (mi si permetta di notarlo rispettosamente) in qualche aggiunta o modificazione, suggerita da una maggior cura dell' esattezza storica. Dove il mercante racconta nell'osteria di Gorgonzola come andò a finire la rivoluzione, nella prima edizione leggevasi così.....„Tutti i monsignori del duomo in processione, a croce alzata, in abito corale; e monsignor arciprete cominciò a predicare da una parte, e monsignor penitenziere da un'altra....." E nella seconda vi si aggiunge e— „Monsignor Mazenta arciprete da una parte, e monsignor Settala dall'altra...." Che in un'osteria di Milano si possa dire anche oggi: e monsignor Carcano arciprete da una parte, e ecc..... sta bene; ma non in un'osteria di Gorgonzola dove Mazenta e Settata non erano cognomi noti e popolari. Lo stesso dicasi nel racconto di Bortolo che discorre col cugino delle provvide cure del senato veneto per salvare il Bergamasco dalla carestia. Nella prima edizioue leggesi — „Che fanno i Bergamaschi? Spedi-discono a Venezia un uomo che sa parlare. L'uomo è partito in fretta, si è presentato al Doge e ha detto, che cosa era questa minchioneria?" (Cap. 17). Nella seconda edizione Bortolo ci sa dire che quest'uomo era Giovanbattista Biava. Come stuona questa saccenteria in bocca di Bortolo, e quanta efficacia toglie a' suoi idiotismi, e specialmente alle frasi Vuomo che sa parlare, e che cosa è questa minchioneria : due piccoli giojelli di stile! Nou è più Bortolo che parla; ma l'autore, fresco fresco dei suo studi su Lorenzo Ghirardelli, cronista della città di Bergamo ecc. ecc...... Anche potrà tornare utilissimo ai giovani lo studio del D'Ovidio sugli anacoluti, ed altre amabili scapestrerie dell'uso con più o meno opportunità amninsse dal Manzoni. Ne aggiungo qualche altro. Nel capitolo 30, dopo l'enumerazione dei reggimenti passati, leggo il disarmonico — gli uccelli che ci s'erano riparati. Meglio nella prima edizione: che vi s'erano riparati. E nel capitolo 33, nel sogno di don Rodrigo. „Gli parve di trovarsi in uua chiesa...... di trovarci, chè non sapeva come ci fosse andato." Senza tutta questa, che noi istriani diremo Ciceria, si diceva prima più schietto — di trovarvisi. E poiché qui il discorso ci tira a sottigliezze di lingua, si noti pure come il Manzoni corresse in un luogo il francesismo falò in fiammata — di fare un falò (Capit. 16) di farne una fiammata. Ma si dimenticò di correggere nel principio del capitolo stesso --Renzo arriva alla piazza del duomo,..... riconosce gli avanzi del falò. Ridicola oggi la scomunica dei Manzoniani inflitta ') Questo esercizio utilissimo si può fave sull' ottimo libro — I Promessi Sposi raffrontati nelle due edizioni del Prof. Riccardo Folli Milano. Brigola 1880; libro che dovrebbe trovarsi nelle biblioteche di tutte le scuole. alla preposizione fra, e la paura di usarla per tra, perchè non si confonda con fra abbreviato di frate, li D'Ovidio vi celia da par suo. Anche il Manzoni, per seguire 1' uso, saltò il fosso una volta, e invece di dire tra tre o quattro giorni, mutò fra quattro o cinque. Ma nella Cecilia mutò infelicemente il — „Ma non era il solo suo aspetto che fra tante miserie" — In tra tante miserie. Si provino un po' i sostenitori del tra a tutto pasto di mutare, secondo l'uso fiorentino, il verso seguente del Tasso: „ Fra melodia sì tenera e fra tante " (Canto 16). C'è pericolo forse che si possa scambiare la melodia dei giardini di Armida con qualche nuovo fra' Melodia ? Se poi non hanno orecchio per sentire la differenza, allora augùro loro per tre sere consecutive una serenata di colascioni. Altro e maggior guaio sull'uso del dittongo mobile. Il Fanfaui ha tirato fuori questa regola ; e bisogna sentire con che prosopopeja ce la vengono ogni tanto a ripetere certi maestri e professori. A sentire questi signori, il dittongo si ha a conservare finché l'accento tonico cade sul dittongo medesimo; se l'accento muta posto, il dittongo si perde — io muovo, tu muovi, ella muove, noi muoviamo ecc. ecc...... Il Manzoni stesso, o non ha conosciuto questa regola, o fu mal consigliato dai Toscani, come bene osserva il D'Ovidio, se scrisse mova, percotere, notano per nuotano che ha anche il difetto dell'ambiguità. E quanto alla regola stessa già l'Ascoli ne avea assegnato altre origini ; e il D'Ovidio aggiunge benissimo che quest' uso è molto oscillante ; che un' osservazione molto incompleta e unilaterale dei fatti ha indotto i grammatici a formulare regole assolute (pag. 219). Adunque sappiano i raanzoniati grammatici, maestri e professori, che si può essere benissimo professori di lingua (di tre cotte, di due, di una, e magari anche crudi) senza accettare così alla cieca la regola del dittongo mobile, come voleva il Fanfani nel suo Lessico, e vogliono adesso i suoi imi- talor1, (Continua) P. T. Bollettino bibliografico Catalogo illustrato e descrittivo delle viti americane di Bush e figlio. Busto Arsizio, tip. Pisoni e C. 1881. (Prima versione). Importante trattato destinato forse ad essere la guida migliore del viticoltore se i progressi, pur troppo più che probabili, della fillossera obbligeranno davvero a ricorrere ai vitigni americani. In questo catalogo sono descritte con somma accuratezza ben duecento varietà di vitigni di schietta origine americana, ed ottenuti mediante ibridazione di questi con altri importati dall'Europa ed a poco a poco ivi acclimatati col favore dell'elemento americano. Alla descrizione sono aggiunte le figure del frutto e delle foglie delle più importanti varietà, condotte colla massima diligenza. PUBBLICAZIONI Programma dell' I. R. Ginnasio Superiore di Capodistria. — Anno scolastico 1880-81. Capodistria, tipografia di Carlo Priora. 1881.___ . Nicolò de Madonizza edit. e redat. responsabile '