ANNO XIV Capodistria, 1 Marzo 1880 5 LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. EFFEMERIDI ISTRIANE Harzo 1. 1491. — Marco Morosini, pod. e cap. di Capodistria, notifica al senato, come il castellano di Moccò vendeva vino in pregiudizio del dazio nonché ai soldati di guarnigione anche agli estranei e forastieri, ed insisteva perchè il conduttore dei dazi chiudesse 1' osteria aperta presso il castello. - 4. 259.b 2. 1283. — Perchè le faccende istriane non soffrano ritardo, il senato rimette quegli affari nelle mani del doge, del suo e del consiglio dei Quaranta. - 6. I, 149. 3. 1291. — Venezia. Il senato ordina di numerare a Peroello di Muggia le paghe spettanti al di lui figlio. - 6, I, 169. 4. 1310. — Il senato ordina di scrivere al pod. di Capodistria, ser Luigi Quirini, perchè metta in assetto la solita casa in luogo per il nuovo capitano di guerra, il nobil' uomo Giovanni Zeno. - 6, I, 69. 5. 1135. — Capodistria. I coniugi Adalpero e Adhuga donano al monastero di S. Cipriano dì Murano la chiesa di S. Maria, situata nella contrada Sermino presso il fiume Eisano, ed i beni ad essa spettanti compresa una casa posta in città nella contrada Grema. - 13. 6. 1291. — Dietro domanda del podestà di Capodistria il senato manda soldati, perchè custodiscano i castelli di Belforte e Muggia, invia maestri per riparale la cisterna di Moccò, provvede detti castelli di frumento e biscotto; ordina in fine ai consiglieri di Capodistria di soccorrere con granaglie il luogo di Muggia. - 6, I, 169. 7. 1349. — Il senato permette a ser Giacobello da Brescia, couestabile pedestre in Capodistria, di portarsi in patria e fermarvisi fino all' ultimazione di certi suoi affari ; vuole per altro che rinunci alla paga durante il tempo della sua assenza. - 11, XXV, 2. a 8. 1297. — Il senato accorda al podestà d'Isola, Marco Contarini e contemporaneamente agli altri Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. podestà in Istria di poter seminare nei terreni entro l'agro di loro giurisdizione, purché non esigano di chi che sia lavoro gratuito. - 6, I, 191. 9. 1487. — Capodistria. Il vescovo Valaresso investe Verso del fu Almerico de' Verri della decima di Antignano e Pominiano, della metà di quelle di Lupario, di alcuni terreni in Val Morasia, in Laura e Sabavia, della decima della contrada di Casalmozzio (ora San Baldo o Ubaldo) nel distretto di Capodistria. - 12. 10. 1286, — Il senato ordina ai due consiglieri in Capodistria di sorvegliare ai lavori del ponte che congiunger deve il Castel Leone alla città ed alla terra ferma e di pagare la man d'opra, previa esatta resa di conto. - 6,1, 155. 11. 1505. — Capodistria. Il vescovo Asonica investe la famiglia Brati della decima di Covedo e Cristoiano (ora Cristoglie). - 12. 12. 1291. — Il senato ordina ai due nobili veneti, mandati al castello Belforte presso il fiume Timavo per rilevarvi i bisogni, d'informarlo tantosto per inviarvi ogni cosa; comanda al capitano Giovanni Delfino, destinato a sorvegliare il paese tra Caorle e Belforte, una cieca obbedienza ad ogni cenno del podestà di Capodistria. - 6, I, 170. 13. 1291. — Il senato vuole che il decano e il sa- cristauo di Capodistria, venuti con due altri del luogo a Venezia per trattare certi affari e quivi trattenuti per due mesi circa con ordine superiore, sieno redintegrati d'ogni spesa, 6, I, 171. 14. 1291. — Il senato delibera che il neo-eletto podestà di Muggia, Giovanni di Equilio o lesolo, debba condur seco dieci soldati, seguendo l'uso del presente podestà ser Marco Delfin. - 6,1. 171. 15. 1437. — Ducale Foscari che delega il pod. e cap. di Capodistria, Lorenzo Minio, a esaminare se nel passato il patriarca spendeva del danaro pubblico per rifare o per riparare le mura del castello di Pinguente, o se tali lavori andavano a carico di quel comune; nel primo caso lo autorizza di permettere al comune la spesa di dieci a dodici ducati per le maestranze da impiegarsi in tale lavoro. - 4, 80.a Del decadimento dell'Istria1' Ma adunque ci si domanderà, che cosa avevano a fave gì' Istriani di que' tempi ? Unirsi tutti in una con-federazione e tenere testa a san Marco? No, l'abbiamo dimostrato, la provincia non aveva la forza per vivere d'una vita autonoma. E non sarebbe stato miglior partito una dedizione veramente spontanea alla gloriosa repubblica ? Ma era possibile che una tale idea sorgesse in que' tempi nelle libere nostre cittadelle, o nell'Istria baronale? Insomma da qualunque parte si studi la questiono converrà riconoscere che il postro decadimento fu fatale, prodotto più che dalle colpe, dai tempi e dalla posizione della nostra provincia, provincia di confino e limitata a ponente da altra provincia, il Friuli, che prima di noi e più di noi rimase aperta all'elemento straniero e baronale. Ma poiché il grosso e la miglior parte della provincia, caduto il potere del patriarca aquilejese (1420) passò al dominio veneto, a Venezia devono essere rivolti quindi iuuauzi i nostri sguardi. Volle, potè questa arrestare il nostro decadimento; volle, potè far risorgere nella nostra provincia i bei tempi dell'impero, e dell'epoca bizantina? Affrettiamoci a rispondere no. Per quanto potente, Venezia non fu mai Roma; città sorta in mezzo alle acque mirò al mare e comprese che là era il suo dominio. I possessi di terra, le sue prime conquiste non furono che mezzi per conservare ed accrescere il suo dominio su quello; e perciò il suo governo fu veneziano sempre, di raro e forse mai veramente italiano. E tale la natura del suo possesso istriano. Poco importava a Venezia il nostro agro, poco i nostri contini; le bastavano i porti, i seni, i boschi per cavarne legna, le cave di alarmi per murarne i suoi stupendi edifizi. Poi l'Istria non era per Venezia un possesso dietro le spalle, che facesse un solo corpo, con lei; eravamo più che altro una colonia, uu paese di là dall' acqua, come la Dalmazia, come i possessi più lontani d'oriente. L'Istria nei giorni sereni vedesi dal campanile di San Marco di là dal golfo ad oriente; l'unità naturale era scompaia ; la divisione romana - Venetiae et Histriae - una locuzione arcaica. È questa è la prima origine di tanti pregiudizi che abbujarono la geografia e la storia. Chi confonde anche oggi Istria e Dalmazia guarda P Adriatico dal campanile di San Marco, Nè tutta la colpa si deve attribuire ai Veneti, Tra Venezia ed Istria si cacciava sempre quel cuneo fatale del patriarca, baroue straniero. Lo combatteranno poi i Veneti accortisi del loro errore; ma troppo tardi: la strada era già stata sbarrata. L'Istria cosi divisa e tagliata fuori diventa un possesso lontano, una colonia dalla quale si ha a ritrarre jl .miglior frutto possibile senza troppo dare nell' occhio, e senza eccitare troppo le brame di potenti vicini. Qui si hanno a ricercare le cause più prossime del nostre decadimento. Vili. Ed i guai del dualismo non tardarono a manifestarsi .nell'Istria; la lotta tra Veneti ed Arciducali fu lunga, e portò nuovi lutti alla già desolata provincia. Già alcune ^presagite y' erano state per ragioni di commercio fra Capodistria e Trieste, cioè tra la repubblica e l'imperatore Federico III. (1463). Ma a guerra aperta mosse l'imperatore Massimiliano nel 1506. Possedeva questi IV! i"'"»Mir ristria contea, avea l'alto dominio su Trieste; spiaceva-gli che la città protetta non potesse allargarsi sul mare, e già maturava a' danni di Venezia più ardite imprese, quando a tastare quasi terreno e a provare le sue forze, si diede a scorrere predando tutta l'Istria dai monti a Pola. I Veneti provocati gli si opposero forti, e non &olo ricuperarono in breve le loro terre; ma espugnarono Trieste e Duino, invasero la contea d'Istria danna pai-te, e la contea di Gorizia ed Aquileia dall'altra. Mai più la sorte tanto arrise a Venezia. Così gravi pordite doveano consigliare però estremi rimedi all'imperatore; ed eccolo quindi entrato due anni dopo nella famosa lega di Cambiai. Ricuperare l'aita Istria e il Friuli orientale, almeno, cioè i suoi possessi oltre Alpe era dunque l'obbiettivo di Massimiliano; queste le cause che gli consigliavano la lega e non solo il riacquisto di Roveredo nel Trentino e di qualche feudo nel Friuli, come opina uno storico contemporaneo. (1) Forse senza la lega di Cambrai sarebbe cessata la divisione dell' Istria ; la provincia avrebbe formato un corpo solo, un possesso arrotondato, non una colonia, non una conquista di là dall' acqua. Onde partili di poter con fondamento asserire che il trattato di Cambrai, eoo» aprì la triste epoca delle preponderanze straniere, così arrecò il massimo danno all'Istria, rimasta perciò fino agli ultimi tempi divisa. Nè altri creda di coglierci qui in contraddizione. Altri j tempi erano questi ; nè i criteri per giudicare un secolo j valgono a recar giudizio su di un altro. Cessate le | libertà municipali, le cittaduzze istriane doveano, fatte j saggie dall'esperienza, comprendere i benefizi dell'unione, e li compresero infatti. Ma pur troppo due anni dopo, ! a Cambrai tutto era perduto. Massimiliano dopo lungo J indugiare, per mancanza di denari (qualche storico beli' umore lo chiama anche oggi Jfassimifiano senza quattrini) si decise di farsi vivo, e cominciò a rumoreggiare in armi nell' Istria e nel Friuli. E così la nostra provincia fu più volte corsa e predata, presa e ripresa con brevi tregue da Veneti ed Imperiali fino alla pace di Bologna (1529), Ma anche la pace di Bologna lasciava l'addentellato a nuove questioni. Con una vaga formula avea provveduto pel momento al contrasto austro-veneto intorno la libertà del mare; peggio poi nella regolazione dei confini nell'Istria e nel vicino Friuli. Si era ac&eunate ai luoghi che doveano essere dalle due parti tenuti o restituiti; ma di una norma che tracciasse i limiti non parola. Quindi l'antica confusione nell'Istria, e una maggiore nel Friuli. Villaggi appartenenti metà a Venezia, e metà al conte di Gorizia, cioè all' arciduca d'Austria ; case e muraglie partite, con da una parte « leone di San Marco, dall'altra, l'acquila bicipite; e quindi frequenti baruffe di gabellini e di villaui arrabbiati, maledicentisi a vicenda nello stesso dialetto ; i e un piccarsi di qua e di là ad atterrare e rimettere | le insegne de* due stati, e un abbattere e rialzare in | mezzo ai campi, tra i fossati, e i cippi e i termini, divenuti tutt'altro che sacri. Per avere un'idea della stranezza ed irregolarità dei confini basti ricordare che il porto di Marano, benché circondato da terra veneta era austriaco, e Moufaleoue veneto, in mezzo a dominio arciducale. È perchè, secondo la celebre sentenza del Clìob ■ ■ - :!':.:; : v, ' 1) Antonio Co&ei. t— Xj' Italia durante le preponderanze straniere, pag. 10. Milano Vallardi. Fa parte della Storia politica d'Italia, compilata da una società di amici sotto la direwene