ISSN 0024-3922 LINGÜISTICA XLIX DEMETRIO SKUBIC OCTOGENARIO II Ljubljana 2009 Revijo sta ustanovila jStanko Škerij in jMilan Grošelj Revue fondée par jStanko Škerlj et jMilan Grošelj Glavna in odgovorna urednika - Rédacteurs en chef Stojan Bračič, Martina Ožbot Številke XLVIII - L uredila - Directrice des numéros XLVIII - L Martina Ožbot Uredniški odbor - Comité de rédaction Janez Orešnik, Gregor Perko Svetovalni odbor - Comité consultatif Wolfgang U. Dressler (Wien) Martin Maiden (Oxford) Rosanna Sornicola (Napoli) Pierre Swiggers (Leuven) Natis letnika je omogočila JAVNA AGENCIJA ZA KNJIGO Sous les auspices de l'AGENCE NATIONALE POUR LE LIVRE © Univerza v Ljubljani, Filozofska fakulteta, 2009. Vse pravice pridržane. © Université de Ljubljana, Faculté des Lettres et Philosophie, 2009. Tous droits réservés. VSEBINA - SOMMAIRE Nota redazionale.....................................................7 Gaetano Berruto Sul posto della variazione nella teoria linguistica 0 mestu, ki pripada jezikovni raznolikosti v teoriji jezika.....................9 Augusto Carli Per un aggiornamento del concetto di yitalitä linguistica K posodobitvi koncepta jezikovne vitalnosti ................................27 Paola Desideri Origini e sviluppi delle analisi e delle teorie sul linguaggio politico (1920-1960) Izvor in razvoj analiz in teorij političnega jezika (1920-1960) .................41 Magnus Petursson Warum sollen wir Sprachen lernen und erforschen? Zakaj se moramo učiti jezikov in jih raziskovati ............................55 Janez Orešnik Transitivity in Natural Syntax: Ergative Languages Prehodnost v naravni skladnji - ergativni jeziki ............................65 Michele A. Cortelazzo Evoluzione della lingua e statična della norma nell'italiano contemporaneo: gli ausiliari nei costrutti con verbi modali Razvoj jezika in statičnost norme v sodobni italijanščini: pomožniki v konstrukcijah z modalnimi glagoli ............................95 Gunver Skytte La connessione «implicita» »Implicitna« zveza ..................................................107 Rosanna Sornicola 1 tipi italiani conesso, lunghesso, sovresso, sottesso e la grammaticalizzazione di ipse Italijanske zveze conesso, lunghesso, sovresso, sottesso in gramatikalizacija zaimka ipse .......................................121 Sandra Augendre Soggetto e verbo con dormire, telefonare e arrivare in contesti diversi Osebek in glagol z dormiré, telefonare in arrivare v različnih kontekstih . . . Mirjam Premrl Commento delle scelte delle forme verbali nei cloze degli studenti di Italianistica e di Traduzione (Identificazione dei punti critici e confronto tra i gruppi) Komentar k izbiri glagolskih oblik v clozih študentov italijanistike in prevajanja (opredelitev kritičnih točk in primerjava posameznih skupin) . . . .161 Fabiana Fusco Stereotipo e genere: il punto di vista della lessicografia Stereotip in spol: leksikografski vidik ...................................205 Vincenzo Orioles Tra sicilianita e sicilitudine Med sicilijanstvom (sicilianita) in sicilijanskostjo (sicilitudine)................227 Fiorenzo Toso Parole ritrovate Znova najdene besede ...............................................235 Alberto Zamboni Nuove osservazioni su una glossa botanica mediolatina: citamus 'colchico' Nova opažanja o srednjelatinski botanični besedi: citamus 'podlesek'..........247 Roberto Gusmani Il toponimo friulano Nlmis Furlanski toponim Nimis .............................................257 Federico Vicario Il catalogo di donne di Venzone (sec. xiv) Il catalogo di donne di Venzone (14. stol.) ...............................261 Roberto Dapit Relazioni semantiche tra lo sloveno standard e i dialetti con riferimento alle lingue di interazione Pomenska razmerja med standardno slovenščino, njenimi narečji in interakcijskimi jeziki ..............................................277 Liliana Spinozzi Monai Ipotesi di un calco paradigmatico slavo-romanzo (L'imperativo-congiuntivo: uno studio fondato sul Glossario del dialetto del Torre di Jan Baudouin de Courtenay) Hipoteza o paradigmatskem slovansko-romanskem kalku (Imperativ-konjunktiv: raziskava, temelječa na Slovarju terskega narečja Jana Baudouina de Courtenayja) ......................................295 NOTA REDAZIONALE A conclusione dei lavori per la Miscellanea in onore dell'ottantesimo compleanno del prof. Mitja Skubic, si vuole evidenziare come il piano redazionale originario sia stato modificato in due punti: in virtu della risposta eccezionalmente entusiasta dei col-leghi invitati, i volumi pubblicati sono tre al posto dei due inizialmente previsti; anche al secondo e al terzo volume hanno contribuito alcuni colleghi lubianesi, ben-ché tra i saggi ospitati prevalgano comunque quelli degli amici e dei colleghi del Festeggiato attivi in altre sedi. Nel corso della preparazione del secondo e del terzo volume ci hanno lasciato Roberto Gusmani e Alberto Zamboni, insigni linguisti e maestri. Ricordandoli con rimpianto pubblichiamo i loro saggi con un grato pensiero. Aprile 2010 M. O. Gaetano Berruto Università di Torino* UDK 81'27 SUL POSTO DELLA VARIAZIONE NELLA TEORIA LINGÜISTICA 0. Una parte cospicua dell'opera scientifica di Mitja Skubic si puo ritenere collocata piu o meno direttamente in campi di studio aventi a che fare con la variazione. Una buona cinquantina dei piu di 220 titoli di Skubic riportati nella bibliografia curata da Marjeta Prelesnik-Drozg in Lingüistica XLVIII (2008), 11-31, verte infatti sullo studio di fenomeni in specifiche varieta di lingua (il toscano parlato, la lingua di Goldoni, varie parlate venete, friulano e sloveno di Gorizia, e via discorrendo) o su casi di interferenza e contatto nell'area italo-slovena, dove e per lo piu evidente una dimensione variazionista. Vorrei quindi offrire al festeggiato in questa sede alcune riflessioni generali sulla questione della variazione linguistica che spero gli giungano gradite. Un tratto evidente nella linguistica anche teorica (o nelle diverse anime della linguistica)1 degli ultimi decenni e infatti il progressivo aumento di interesse verso la variazione. Un problema sempre ritornante in tale contesto e quello del posto e del ruolo eventuale che la variazione possa o debba avere nella teoria linguistica. Riprendo quindi in queste pagine, con qualche sintetica argomentazione, una questione che, molto dibattuta negli anni Settanta in concomitanza con la fondazio-ne e lo sviluppo della linguistica variazionista di William Labov,2 e emersa solo spo-radicamente negli anni Ottanta e Novanta, ed e divenuta, su altre basi, di nuovo molto attuale all'inizio del Terzo Millennio. 1. Che le lingue e i comportamenti linguistici siano un territorio diffusamente con-trassegnato dalla varieta e differenziazione e ovvio e ampiamente noto al pensiero comune, ben al di la dello stesso mito della Torre di Babele, sin dall'antichita, almeno sotto l'aspetto del riconoscimento delle varieta dialettali, ben evidente gia nel * Indirizzo dell'autore: Dipartimento di Scienze del linguaggio, Via Sant'Ottavio 20, 10124 Torino, Italia. Email: gaetano.berruto@unito.it 1 È difficile oggidi parlare di 'lingüistica' come di un tutto unico, un ambito unitario ben definito fra le discipline umanistiche, tante sono le anime diverse, a volte almeno apparentemente poco conciliabili, che la percorrono, da quella biologico-formale a quella storico-culturale a quella socio-interazionale. In realtà, tutte le diverse anime della linguistica di inizio Terzo Millennio trovano la loro piena cittadinanza nel fatto essenziale che il linguaggio verbale e le lingue sono un fenomeno plurivoco e altamente complesso, in cui si fondono intimamente la natura e la cultura, tale da poter, e dover, essere affrontato da prospettive anche molto diverse, ciascuna del tutto legittima in termini dei problemi che contribuisce a chiarire. 2 Una eco italiana del dibattito di allora si ha, in termini riassuntivi, in Giacalone Ramat (1983). mondo classico. Ma non mancano nemmeno, nella storia remota della lingüistica, spunti di teorizzazione della variabilità intrínseca delle lingue. Chambers (2002: 6) ricorda opportunamente che due millenni e mezzo or sono Panini «did recognize systematic variability, which he called anyatarasyam», e che la stessa anomalía di Varrone (su cui molto si è poi scritto),3 basata sulla consuetudo che est in motu, è un riconoscimento esplicito dell'importanza della variazione nella lingua. Dante, in quello che com'è noto si puo per più aspetti considerare il primo trattato sulla variabilità linguistica diatopica, e riferendosi appunto al tipo di variazione più appariscen-te, quella dialettale, caratterizza molto bene la natura generale della variazione, sot-tolineandone l' 'unico ed esclusivo motivo razionale', il fatto che essendo l'uomo 'un animale instabilissimo e mutevolissimo', anche la lingua, il comportamento lingui-stico, 'come tutte le altre cose che ci appartengono, quali abitudini e mode, deve necessariamente variare in rapporto alle distanze di spazio e di tempo': Hee omnes differentiae atque sermonum varietates quid accidant, una eademque ratione patebit. [...] et homo sit instabilissimum atque variabilissimum animal, nec durabilis nec continua esse potest, sed sicut alia que nostra sunt, puta mores et habitus, per locorum temporumque distantias variari oportet. (De vulg. eloq., I, ix, 4-6). Del resto nella stessa Divina Commedia troviamo una formulazione esemplare della collocazione, in senso ampio e generale, della variazione nella lingua: Opera natural è ch'uom favella; ma cosi o cosi, natura lascia poi fare a voi, secondo che v'abbella. (Paradiso xxvi, 130-132). Dante, riprendendo concezioni già aristoteliche poi sviluppate dalla filosofia scola-stica, traccia infatti in questa terzina una delle distinzioni fondamentali su cui si svi-lupperanno secoli dopo diverse anime della linguistica moderna. La lingua, la capa-cità di parlare, è una facoltà data dalla natura all'homo sapiens, come patrimonio biologico innato: è cioè quello che, con una delle prime precisazioni terminologiche in cui ci si imbatte accostandosi alla linguistica, si chiama più propriamente linguaggio verbale umano, uguale per tutta la specie nel suo fondamento genetico, bio-neurolo-gico e cognitivo. Ma accanto e assieme a questo vi è la diversità delle manifestazioni del linguaggio umano, dipendente dall'esperienza e non dalla natura, ed estrinse-cantesi sia nelle diverse lingue in relazione alla (diversa) cultura e alla (diversa) società che ne costituiscono l'humus concreta, sia nei diversi modi di realizzazione interni alle singole lingue. 3 Si vedano su questo tema specifico per Panini Kiparsky (1979) e per Varrone e l'anomalia Taylor (1975) e Ramelli/ Lucchetta/Radice (2004: 193-203). La questione è invece trascurata nei saggi raccolti in Lepschy (1990). 2. In effetti, la variazione risulta a prima vista porsi nelle lingue come un primitivo prescientifico, il cui riconoscimento e un Leitmotiv che percorre tutta la lingüistica dell'ultimo secolo, e vi e stato formulato in varie maniere. Edward Sapir apre il capitolo VII del suo Language, dedicato alla lingua come prodotto storico, con le parole «Everyone knows that language is variable» (Sapir 1921: 147). Giulio Lepschy un buon cinquantennio dopo giunge alla conclusione che «e possibile pensare che la differenziazione sia una caratteristica essenziale e onnipresente, e non occasionale o eccezionale, nel linguaggio» (Lepschy 1979: 120-121). Richard Hudson (1996: 11) sottolinea che «we can be sure that no two speakers have the same language [...] The differences between speakers may vary from the very slight and trivial [...] to total difference within whatever limits are set by universal characteristics of language». Ronald Wardhaugh (1998: 5) constata che «when we look closely at any language, we will discover time and time again that there is considerable internal variation and that speakers make constant use of the many different possibilities offered to them». Se il riconoscimento dell'importanza empirica e della pervasivita della variazione nella lingua si puo considerare un luogo comune presso i linguisti, le cose cambiano quando si tratta di stabilire sia (a) in che misura variazione non sia semplicemente un termine generico prescientifico che constata uno stato di cose, ma abbia uno sta-tuto concettuale ben determinato nella linguistica,4 sia (b) quale posto la variazione debba avere nella teoria linguistica. Discuteremo quindi succintamente nel seguito questi due punti. Prima di valutare la collocazione attuale della variazione nella teoria linguistica, sara pero utile spendere qualche parola sul concetto stesso. Che cos'e effettivamente la variazione? Che cosa vuol dire che la lingua varia? Per un primo accostamento alla semantica del termine possiamo prendere le definizioni che ne forniscono i vocabo-lari. In dizionari di riferimento dell'italiano contemporaneo troviamo per es. defini-zioni come le seguenti: (a) variazione: il variare e il suo risultato [...] variare: intrans.: 1. cambiare, subire variazioni, mutamenti e sim. [...] 2. essere diverso [...] (De Mauro 2000) (b) variazione: cambiamento, modificazione, mutamento [...] variare: sottoporre qlco. a modificazioni, senza pero mutarne la struttura fondamentale [...]; intrans. subire cambiamenti, diventare diverso [...] (DISC 1997) 4 Gadet (1997: 3) osserva giustamente che e solo con il Circolo di Praga (di dove attraverso A. Martinet e U. Weinreich passa a Labov) che il termine acquista un valore concettuale non generico. (c) variazione: l'azione e il fatto di variare [...] variare: intrans.: subiré modificazioni e cambiamenti, essere diverso, differire, rífente a elementi o aspetti di uno stesso sistema, tipo o complesso (il quale conserva tut-tavia la sua natura, struttura e funzionalita) (De Felice/Duro 1993) Se ne enucleano due caratteri semantici essenziali del concetto di 'variazione': (i) variazione implica cambiamento, qualcosa che assume una forma diversa (a, b, c); (ii) ma que-sto cambiamento non muta la natura, il valore e la struttura dell'entita che subisce il cambiamento (b, c). E un mutare rimanendo in un certo senso uguale. In senso generale, dunque, la variazione nella lingua e la proprieta di un'entita della lingua, a tutti i livelli di analisi, di assumere forme diverse, di presentarsi sotto manifestazioni differenti, rima-nendo pero per quello che riguarda il suo valore funzionale, nel sistema, la stessa entita, la stessa unita.5 La variazione nella lingua si manifesta tipicamente sotto la forma di variazione sociolinguistica, dato che e un carattere essenziale della variazione di tendere a correlare significativamente con fattori sociali, di avere una diversa distribuzione sociale che le conferisce significato sociale. Esistono una macrovariazione, che consiste nella presenza e nell'impiego di varianti a livello d'analisi alto6 coinvolgenti blocchi consistenti di significante-significato (al limite, a livello delle stesse varieta di lingua in cui si articola nelle sue varie dimensioni l'architettura, in senso coseriano, di una lingua), e che e molto evidente, traccia confini ben visibili; e una microvariazione, che consiste nella presenza e nell'impiego di varianti a livello basso e a-semantico (come tipicamente in fonetica e fonologia segmentali), ed e meno visibile, molto piu puntuale, capillare e sfumata. Le riflessioni che proponiamo, qualora non venga diversamente esplicitato, si riferiscono sia alla macrovariazione che alla microvariazione.7 5 Rammentiamo succintamente il valore dei termini della famiglia semantica di variare su cui ci basiamo qui. Variazione e appunto il processo o fenomeno o risultato generale del variare; variabi-lita e la potenzialita di variare, l'essere suscettibile di variazione (anche, l'instabilita o mutevolezza che consegue da tale potenzialita in atto); variabile (sost.) e un elemento o punto del sistema lin-guistico soggetto a variazione, che cioe si presenta in forme o manifestazioni diverse l'una dall'al-tra, in diversi 'valori'. Ogni valore che puo essere assunto da una variabile e una variante di tale variabile. Un insieme solidale di varianti (che cooccorrono negli stessi o analoghi contesti, cioe in contesti che condividono una determinata serie di caratteri) costituisce una varieta (di lingua). Variazione e mutamento non sono sinonimi: da un lato, variazione e piu generico e neutro di muta-mento; dall'altro pero mutamento implica il riferimento al trascorrere del tempo, una modificazione lungo l'asse temporale (e 'variazione' nel tempo), e non implica invece il mantenimento dell'iden-tita funzionale astratta: il risultato del mutamento puo essere (e di solito e) un'entita diversa rispet-to a quella che era il punto di partenza (l'uscita del mutamento non e una variante dell'entrata, ma una nuova entita). 6 Sui livelli di analisi in sociolinguistica, cfr. Berruto (2004: 316-318). 7 II tipo di variazione in un certo senso piu esemplare per cogliere la natura del fenomeno e pero quella che Coseriu chiama 'variazione sincronica e sintopica'. 3. Si pone ora un'altra domanda: qual e la ragione per cui la variazione risulta essere una proprieta empírica generale delle lingue? Qual e la causa profonda della variazione? E qual e la sua funzione, se essa sembra essere ineliminabile nel modo in cui il sistema linguistico si manifesta negli usi concreti della lingua? La risposta che viene spesso data e che pare difficilmente controvertibile e che la variazione nella lingua abbia una funzione sociale identitaria indispensabile. Un paio di citazioni aiuteranno anche qui a inquadrare meglio la questione. Per Chambers (1995: 250), «the underlying cause of sociolinguistic differences, largely beneath consciousness, is the human instinct to establish and maintain social identity». Analogamente, Lepschy (1979: 120), riprendendo After Babel di G. Steiner, osserva che «un tratto essenziale nell'uso linguistico e quello che spinge a differenziarsi dai propri interlo-cutori, a stabilire attraverso ed entro la comunicazione che ci accomuna agli altri, le basi della nostra individualita e diversita dagli altri». Nella lingua, si puo dunque dire che la codificazione linguistica e la possibilita di intercomunicazione referenzia-le sono affidate alle (o dipendono dalle) caratteristiche del sistema, la valenza sociale e affidata alla (o dipende dalla) variazione. La variazione nella lingua sembra quindi rispondere al fondamentale istinto dell'homo sapiens sapiens, individui e gruppi, a distinguersi dai propri simili, a manifestare la propria identita nella societa attraverso differenziazioni piu o meno minute, dotate evidentemente di un valore simbolico, sia pure inconscio. Meno sostenibile appare che la variazione abbia una motivazione adattativa biologica. Non sembra infatti che la variazione linguistica abbia direttamente a che fare con risposte genetiche a bisogni di miglioramento biologico, ad esigenze poste dal-l'ambiente naturale. Parallelismi che a volte sono stati fatti con varieta dette 'dialettali' presso specie animali, per es. nelle varieta di canto di specie di uccelli, dove indubbiamente ricoprono una funzione biologica, appaiono fallaci (cfr. Chambers 1995: 214-220). E di un certo interesse notare che, anche se William Labov non si pronuncia mai esplicitamente - almeno a quanto mi consta - sulle ragioni profonde della variazione, alcune sue affermazioni, quali un certo rifiuto di interpretazioni funzionalistico-comunicative8 e il riferimento, quanto alle vie prese dalla diffusione della variazione, ad adeguamenti delle risposte agli stimoli mediante aggiustamento del comportamento sulla base dell'esperienza in termini di probability matching,9 fanno intravedere nel maggiore studioso della variazione una concezione fondamen-talmente naturalistica. 8 Cosi, per es., Labov (1994: 598): «A good many theories of language put forward recently would explain language structure as the result of the intentions of the speaker to communicate meaning to the listener [...]. But as far as I can see, it is not a major part of the language faculty [...]». 9 Meccanismo naturale ampiamente diffuso in molte specie animali (cfr. Labov 1994: 580-597). In Labov (2001: 14) c'e anche un'esplicita riserva rispetto al valore adattivo sociale affermato da Chambers. Se e vero, comunque, che la variazione nasce in funzione adattiva sociale, la varia-zione viene allora prodotta, in ultima analisi, dalla divisione del lavoro e dei ruoli in una societá. La divisione dei ruoli da un lato da adito a varietá di lingua ad essi fun-zionali ed appropriate, che utilizzano varianti ammesse dal sistema e ne producono di nuove (sempre sfruttando le possibilitá e le opzioni permesse dal sistema); e dal-l'altro crea gruppi con condivisione di identitá e con accomodamento degli individui che ne fanno parte agli interlocutori verso cui vogliano o tendano ad essere simili o da cui vogliano distinguersi. Fonte prima della variazione e dunque l'individuo, nel momento in cui partecipa a una societá, attraverso quelle che sono state chiamate (Eckert 2000: 34-36) 'comunitá di pratica' (communities of practice).10 La variazione non e dunque un mero inciampo dell'esecuzione, dovuto all'imper-fezione dell'utente, né un'aporia marginale del sistema, che viene alla luce in certe situazioni particolari, ma un carattere rilevante della lingua, attivato quando si attua la sutura, per cosi dire, fra il sistema linguistico, l'uso e la societá. La cosa e lampante se proviamo a supporre, per assurdo, che la variazione non esista, che le lingue non ammettano e quindi non conoscano variazione, differenziazione interna. Una comunitá di tutti eguali, in cui tutti parlano esattamente la stessa varietá di lingua, senza varianti, hanno la stessa occupazione, eseguono lo stesso lavoro e interagisco-no con le stesse persone, e concepibile solo nel mondo fittizio della fantascienza. Il concetto stesso di identitá non puo prescindere dalla pluralitá e dalla differenza, quindi la differenziazione e il solo modo in cui di fatto si puo manifestare linguisti-camente l'identitá. La lingua ha allora una parte molto importante nella dinamica fra individuo e societá in quanto «it give us a very clearly structured set of symbols which we can use in locating ourselves in the world» (Hudson 1996: 12).11 D'altra parte, se paiono indubbi il fondamento e la funzione sociali della variazione, che, come abbiamo detto, serve a far si che le lingue assolvano al meglio i diversi compiti che devono svolgere nella societá e risponde al bisogno/tendenza dei parlanti di caratterizzare la propria identitá, e se quindi la variazione e un fatto di cultura, occorre anche tener presente che essa si appoggia a un sostrato piu generale e profondo, di carattere biologico-naturale (cfr. § 1). E infatti una proprietá di sfondo, e anche piuttosto ovvia, coincidente con l'illimitata varietá e specificazione del reale, che le 10 Un problema molto interessante a cui qui non possiamo nemmeno accennare (ma cfr. Moretti in c. di st.) e quello del meccanismo di formazione della variazione e conseguentemente dei rap-porti fra le diverse dimensioni di variazione. Un'altra questione di notevole interesse generale e quella del rapporto fra variazione in sé, indipendente dal contatto fra sistemi, e variazione dovuta alla compresenza di sistemi, dipendente dal contatto. 11 E immediato rilevare come tali idee della sociolinguistica contemporanea abbiano un diretto e significativo antecedente in concezioni come quelle espresse nella linguistica italiana della prima meta del ventesimo secolo da Benvenuto Terracini - fatta salva la componente neoidealistica del-l'impostazione terraciniana: v. per es. Terracini (1963) a proposito di 'liberta linguistica'. Da tut-t'un altro punto di vista, partendo da basi cognitive e naturaliste, la variazione interlinguistica e ora vista come connessa alla manifestazione di una forma di liberta da Baker (2001). entità esistenti in natura si presentino sempre in vesti e forme concrete differenti nei dettagli dal modello astratto con cui le interpretiamo a fini di conoscenza scientifica. Comunque sia, se la variazione ha una funzione generale e ragion d'essere sottostante di garantire la costruzione dell'identità sociale, è chiaro che si tratta di una caratteri-stica tutt'altro che superficiale delle lingue: Labov (1972) caratterizza non senza ragio-ne la variazione proprio nel senso specifico di proprietà inerente della lingua consistente nell'offrire 'modi diversi per dire la stessa cosa'. Le lingue ammettono variazio-ne, e questa proprietà è significativa per la lingua come strumento di comunicazione tipico dell'uomo. Le lingue non sarebbero gli strumenti socialmente duttili che sono se non esistesse variabilità. La variazione dunque non è affatto disfunzionale, nono-stante provochi instabilità e fluttuazione. A volte, in effetti, la variazione viene iden-tificata tout court con instabilità, fluttuazione e mutevolezza:12 ma queste sono piut-tosto il risultato, l'effetto della variazione, che non la sua manifestazione. E con il rife-rimento agli effetti della variazione passiamo di fatto al momento di raccordo fra variazione (sincronica) e mutamento (diacronico), tema cruciale ampiamente tratta-to dalla linguistica variazionista (se ne veda la summa nei due volumi di Labov 1994 e 2001)13 ma su cui non ci pronunciamo qui, volendo riguardare il discorso che fac-ciamo la variazione nella sua dimensione sincronica. 4. Possiamo a questo punto dare per indiscussi ed acclarati il valore, la rilevanza e la funzione della variazione per gli aspetti sociali della lingua, per la linguistica esterna. Ma la variazione è (altrettanto) rilevante anche per la struttura della lingua, per il sistema, per la linguistica interna? Oltre che una proprietà empirica, è anche una proprietà strutturale delle lingue? Qui le cose si complicano. Infatti, com'è noto, i pareri dei linguisti sono molto discordi sulla rilevanza della variazione per la linguistica teorica. In linea generale, si contrappongono proprio a questo proposito due grandi orientamenti nella teoria linguistica, l'impostazione formale e l'impostazione funzionale.14 In particolare, la linguistica generativa, del tutto 12 Si veda per es. la definizione di variazione in Cardona (1988: 313): «la proprietà della lingua di presentare oscillazioni, fluttuazioni, aree sfumate». Formulazioni del genere avvicinano la variazione all'eterogeneità strutturale, alla presenza di irregolarità, incoerenze, eccezioni, diso-mogeneità, che pero non vanno confuse, e tanto meno conguagliate, con la variazione. Mutevolezza e variabilità sono collegate da De Mauro (1982) alla 'apertura' e creatività tipiche del codice semiotico lingua. 13 Va detto che per Labov il rapporto fra change e variation è cruciale, e consente anche di definire meglio la portata della variazione: «If variation is nothing but a transitional phenomenon, a way-station between two invariant stages of the language, it can have only a limited role in our view of the human language faculty. Inherent variation would then be only an accident of history [...]. But the existence of long-term stable variation puts another face on the matter» (Labov 2001: 85). 14 Un'assennata caratterizzazione e un'utile integrazione dei due approcci sono proposte, da punti di vista un po' diversi, in Newmeyer (1998) e in Bertinetto (2003). coerentemente con gli assunti formalisti e idealizzanti che caratterizzano i fonda-menti teorici su cui è basata, ritiene che la variazione abbia ben poco, anzi nulla, da dire per la teoria linguistica. Una formulazione che potremmo considerare standard nell'ottica generativista è per esempio che «it is obvious that different communities exhibit variation in their speech [...]. Unfortunately nothing of interest to linguistic theory follows from this» (Smith 1989: 180). Le affermazioni di Chomsky (1995: 8), che riafferma che «the apparent richness and diversity of linguistic phenomena is illusory and epiphenomenal, the result of fixed principles under slightly varying conditions» e osserva che «language differences reduce to morphology» (ibidem: 199), paiono peraltro aprire una porticina alla considerazione della variazione nella lingui-stica interna, la linguistica del sistema. Più recentemente, all'interno del cosiddetto programma minimalista, lo stesso Chomsky, ribadendo che «the diversity [...] can be no more than superficial appearance» e che «the search for explanatory adequacy requires that language structure must be invariant» (Chomsky 2000: 7), riconferma che c'è «some variation at the parts closely related to perception and articulation [. ]», ma che «that aside, language variation appears to reside in the lexicon», e mani-festarsi in fatti specificamente morfologici (ibidem: 120).15 È peraltro evidente che Chomsky si riferisce alle differenze fra le lingue, alla diversità linguistica (variazione interlinguistica, cross-linguistic variation), e non alle differenziazioni interne a un determinato sistema linguistico (variazione intralinguistica). La porta comunque è stata ampiamente aperta dai generativisti stessi, dagli anni Ottanta in avanti, con i lavori pionieristici in questa direzione di Kayne e Benincà, poi ampiamente sviluppatisi, fino a far diventare il confronto interlinguistico uno dei cardini stessi della ricerca sulla grammatica universale, prima nell'ambito della cosiddetta teoria dei parametri e poi nell'ambito dello stesso programma minimalista (Longobardi 2003, Savoia/Manzini 2007; cfr. Berruto 2009). Più recente è la direzione di ricerca, che ha preso rapidamente vigore con prospettive anche molto inte-ressanti, che mira a 'riconciliare il biologico e il sociale' (Cornips/Corrigan 2005) applicando principi e metodi elaborati dalla linguistica formale alla studio della stes-sa variazione interna delle lingue, in particolare alle varietà diatopiche di una lingua. Il paradigma funzionalista è invece molto più propenso a dare cittadinanza e peso alla variazione. Linguisti di impostazione funzionalista, generalmente (ma non necessariamente, si badi) più orientati al sociale e alla parole, sono, ovviamente e coerentemente con i principi cardine del loro approccio ai fatti di lingua, dell'opinio-ne che la variazione sia uno degli effetti, o dei prodotti, della modellazione generale 15 Savoia (2008: 4) sintetizza cosi la questione: «La variazione linguistica è quindi il risultato del-l'interazione di un sistema grammaticale universale e innato con le proprietà semantiche degli elementi lessicali, apprese dal parlante per ciascuna lingua. Infatti, sono gli elementi lessicali a registrare le categorie morfosintattiche rilevanti per la formazione delle frasi. In particolare la variazione puo essere collegata a meccanismi rilevabili nel processo di acquisizione». E, per que-sta via, Savoia prende in considerazione anche la variazione (e microvariazione) intralinguistica. che la realta esterna in tutti i suoi aspetti fa del sistema linguistico;16 e quindi faccia necessariamente parte, come fattore che produce settori instabili, fluttuanti, etero-genei, del sistema (se non del centro del sistema, almeno della periferia). E quindi evidente come 'il linguista abbia bisogno della variazione': Knowledge of languages [...] would be partial and misleading if we did not take into consideration their variational dimension. [...] From the methodological point of view what matters more in this connection is that variational phenomena [...] allow us to uncover a number of areas where the structural and functional grammar of a language do differ (Simone 1991: 418-19). 5. Il nodo critico centrale si configura a questo punto nel rapporto fra variazione e sistema. La variazione sta fuori dal sistema, come viene logicamente necessario affermare partendo dalle impostazioni strutturaliste (ovviamente Saussure e tutta la sua linea; ma anche, piu vicino a noi e da punti di vista diversi, Coseriu, che pure e uno studioso che ha contribuito in maniera determinante a una teoria della varia-zione17) e generativiste, o sta dentro il sistema, come ritengono studiosi di imposta-zione funzionalista o i variazionisti alla Labov? Si puo anzitutto dire, a mio avviso, che la variazione non e motivata struttural-mente, non si da una teoria della variazione basata sulla configurazione interna del sistema e sugli stessi principi che ne regolano le strutture grammaticali. Per dar conto della variazione, occorre guardare la lingua non dal suo interno, ma dall'ester-no, in connessione con l'ambiente, nel senso piu ampio, in cui essa opera. Questo sembra assodato sia dal punto di vista generale, globale: non si puo ricavare dalla struttura e dalle proprieta del sistema la necessita della variazione; sia da un punto di vista particolare, locale: non ci sono ragioni linguistiche interne evidenti perché certi elementi o certi tratti variino ed altri no. E questa sarebbe un'altra domanda importante, che per il momento lasciamo da parte: perché certi tratti variano e non altri? Ci sono restrizioni interne alla variabilita? Entro che limiti puo internamente variare una lingua?18 16 Una formulazione particolarmente decisa di tale orientamento e ora in Simone/Lombardi Vallauri (2008: 514): «language is intrinsecally determined by its material basis, thereby meaning (a) the natural constitution of its users, (b) the material stuff it is made of, (c) the extra-linguistic setting of its functioning». 17 «Fälle der 'inneren' Inkohärenz (Inkohärenz innerhalb eines Sprachsystems) beeinträchtigen allerdings an und für sich nicht die 'äußere' Homogenität und Festigkeit des sprachlichen Wissens» (Coseriu 2007 [1988]: 263). 18 Sui limiti esterni, cioe quali siano i confini che stabiliscono quando un sistema e una lingua e quando non lo e (e quindi sull'importante concetto di 'lingua possibile') le indagini e le specu-lazioni cominciano ad abbondare, soprattutto sul versante formalista: cfr. ad es. Baker (2001), Newmeyer (2005), Moro (2006) e Biberauer (2008). Per gli aspetti interni del raggio d'azione della variazione, incisive considerazioni sono sinteticamente esposte in Moretti (in c. di st.). D'altra parte, non e nemmeno corretto dire che la variazione sia una caratte-ristica únicamente dell'uso. Per poter stabilire che c'e variazione, si deve avere un metro di riferimento, un'identificazione unitaria a cui riportare le varianti; qualcosa che a un diverso livello di astrazione sia unitario, omogeneo, e che permetta di riconoscere le varianti come varianti, e non come atomi indipendenti, realizza-zioni non interrelate; e che non puo che essere un'unita o tratto del sistema.19 La mera osservazione e descrizione dell'uso, indipendentemente dal sistema, non consente di definire la variazione. La conclusione a cui si deve giungere e che la variazione allora non sta per cosi dire né dentro né fuori del sistema, ma sta nel-l'interfaccia fra sistema20 e uso. Se questo sembra il posto della variazione, occorre ora chiedersi se la variazione debba stare dentro o fuori la grammatica, che e la modellizzazione teorica del sistema. Il tentativo di incorporare la variazione nella grammatica ha rappresentato la risposta data tipicamente a questo problema dalla linguistica variazionista, come sviluppo con-seguente a partire dalla famosa affermazione di Weinreich/Labov/Herzog (1968: 100) che la lingua e «an object possessing ordered heterogeneity». Per Labov la variazione e incorporata nella teoria linguistica, fa parte della grammatica.21 Tentativi di integrare la variazione linguistica nella grammatica sono stati compiuti, senza soverchio seguito, anche da altri linguisti, per es. da R. Hudson nella sua Word Grammar (Hudson 1986; Sugayama/Hudson 2006; cfr. anche Berruto 2004: 310-312). La prospettiva e ritornata attuale su nuove basi, nel quadro della discussione dei rapporti fra sintassi e variazione favorita dal convergere degli interessi da un lato della linguistica generativa verso i parametri che stabiliscono le differenze fra le lingue sulla base comune della 'grammatica universale', e dall'altro della tipologia lin-guistica verso generalizzazioni di portata anche predittiva e di molti linguisti varia- 19 Ancora Coseriu (2007 [1988]: 264-265): «Die Dimension der Homogenität ist die Voraussetzung für die Feststellung der Strukturen dort, wo sie tatsächlich zu finden sind. Das Sprechen weist aber nicht nur die Dimension der Homogenität auf, sondern auch die der Varietät». 20 Poiché ci siamo indirettamente venuti a confrontare piu volte in quel che precede con le idee di Eugenio Coseriu, diremo che 'sistema' qui comprende anche la 'norma' della nota triparti-zione coseriana in 'sistema', 'norma' e 'uso'. 21 Com'e noto, essenzialmente attraverso il costrutto o dispositivo delle regole variabili, sviluppato negli anni Settanta e formalmente coerente con l'impianto della mainstream linguistics di quegli anni, la versione standard della grammatica generativa che operava con regole. Le regole varia-bili hanno poi abbandonato del tutto le loro ambizioni teoriche e sono diventate un ingrediente metodologico della sociolinguistica quantitativa, attraverso l'elaborazione di programmi infor-matico-statistici per l'analisi computazionale della variabilita (noti con le abbreviazioni/formule acronimiche VARBRUL prima e GOLDVARB poi: cfr. Vietti 2005). Per il Labov degli anni Settanta, anzi, la teoria linguistica e/deve essere esplicitamente teoria sociolinguistica: ma si badi che - e del tutto coerentemente con il fatto che la variazione sia incorporata nella gram-matica - di Labov e stato molto giustamente detto che «he does not incorporate the social dimensions of language into his linguistic theory» (Figueroa 1994: 106). zionisti verso l'applicazione di concetti e modelli esplicativi presi dalla teoria formale (cfr. per una rapida panoramica Berruto in c. di st.). La sintassi risulta un campo cruciale per discutere del posto e del ruolo della variazione nella lingua e nella lin-guistica, per almeno tre buoni motivi: (a) per la teoria linguistica formale, la sintassi costituisce il nucleo intimo fondamentale e il motore dell'organizzazione del sistema, fornendo l'intelaiatura profonda su cui poi si innestano le altre componenti della lingua; (b) la sintassi sembra il livello di analisi meno soggetto alla variabilita, piu fisso, omogeneo e stabile; (c) la presenza della variazione in sintassi va vagliata con grande cura metodologica, essendo non immediato se e quando un dato costrut-to, un dato tratto, una data regola, ecc., rappresentino o no un'effettiva variabile sociolinguistica, a motivo del fatto che in sintassi e delicato e spesso non semplice stabilire se viga il principio definitorio dell'invarianza/identita di significato delle diverse varianti.22 Occorre sottolineare, come premessa a una valutazione del risultato attuale di tale discussione, che la questione del rapporto fra variazione e teoria linguistica assume una duplice dimensione, a seconda che angoliamo a partire dalla teoria o angoliamo a partire dalla variazione. Da un lato, ci si deve infatti domandare se la teoria linguistica, con i principi e i 'mezzi' esplicativi suoi interni, elaborati normalmente prescindendo dalla variazione, spieghi (o debba spiegare) anche i fatti di variazione. Dall'altro lato, il problema si pone in questi termini: la variazione ha impatto sulla teoria generale? Fa cambiare aspetti della teoria? Fa capire cose nuove e diverse della struttura e del funzionamento interno del sistema linguistico? Fa cambiare concezione sulla struttura della lingua, sulla natura dei fenomeni? Dall'una o dall'altra angolatura, le cose cambiano. Nella prima prospettiva, e con particolare riguardo al rapporto tra variazione e sintassi che abbiamo definito come cruciale, mi sembra difficile da sostenere che la considerazione della variazione, in quanto caratteristica non del sistema in sé, ma dell'interfaccia fra sistema e uso (come abbiamo poco sopra argomentato), sia neces-saria a spiegare la natura e la struttura dei fatti sintattici in quanto tali. Si potrebbe anche dire, simmetricamente - ma mi rendo conto che questa conclusione e ben piu problematica della precedente -, che nemmeno pare necessaria una teoria della sin-tassi per capire e render conto della natura della variazione, se non nel senso generale in cui la linguistica in molti sensi precede la sociolinguistica, le e propedeutica e le fornisce categorie di analisi: cioe, i modelli di analisi e le nozioni elaborate dalla 22 Cfr. su questi problemi i contributi raccolti in Gadet (1997a). Un esempio che spesso viene assunto come tipico di una variabile a livello sintattico, sia in italiano che in francese, è quello della costruzione della frase relativa (per l'italiano, v. Berruto 1987: 128-134, e Alfonzetti 2002); Gadet (1997: 13) nota pero correttamente che ci sono casi limite in cui si trovano nel parlato costrutti che valgono una relativa ma il cui significato funzionale è diverso, e che sembra quindi molto difficile considerare una semplice variante, come per es. j'ai touché la voiture où la personne était dedans c'est la personne qui va chanter maintenant. linguistica interna devono valere anche per la linguistica esterna nella misura in cui questa descrive fatti linguistici. Accettando questa visione delle cose, viene confer-mata una divisione dei compiti fra teoria e analisi linguistica interna e teoria e ana-lisi della variazione linguistica: entrambe traggono il loro fondamento da caratteri e proprieta essenziali del linguaggio verbale umano, in diversa prospettiva, escludendo oppure inglobando i parlanti e gli usi; ed entrambe sono componenti irrinunciabili di una piena comprensione della natura e del funzionamento della lingua sia nella sua struttura sia negli usi che ne facciamo. Nella seconda prospettiva, le risposte da dare alle domande che ponevamo sono piu sfumate. Occorre infatti chiarire che cosa si intenda precisamente per 'teoria lin-guistica'. La variazione ha certamente, e direi ovviamente, impatto, e un ruolo importante e costitutivo, su una teoria semiotica generale della lingua, che tenga conto sia della sua natura interna che del suo uso ((cosí e per esempio in Coseriu 2007 [1988]). Le considerazioni svolte appena sopra dovrebbero invece indurre a dare risposta negativa, se ci riferiamo alla teoria linguistica come 'teoria linguistica interna', teoria grammaticale. La variazione non sembra incidere sulla struttura diciamo profonda del sistema. Ma molti linguisti funzionalisti, in tanto in quanto partano dal presupposto (o giungano alla conclusione) che caratteri strutturali della lingua sono determinati da fattori esterni alla lingua stessa (cfr. nota 16 sopra), affer-merebbero di sí. Molto significativa e per es. la posizione di Simone (1991): la varia-zione e fondamentale per il linguista perché rivela i settori di instabilita dove 'gram-matica strutturale' e 'grammatica funzionale' sono in tensione. Non solo: Simone (1991: 408) si spinge ad affermare che when studying a language like Italian from a strictly structural (i. e. internal) point of view a fair amount of information can be obtained from considering how it varies in the vast range of its uses. More general this is tantamount to say that it is not enough to study languages as abstract systems; significantly more interesting results, also concerning their structural design, can be reached by looking at them as systems with which their users can interact [...]. In short, (general) linguists do need linguistic variation [sottolineature di G.B.]. 6. La soluzione al dilemma 'variazione sl/variazione no' nella grammatica e nella teoria linguistica pare dunque da trovare in una corretta localizzazione della varia-zione. Localizzazione in due sensi: dove sta la variazione rispetto al sistema lingui-stico, e dove, in quali punti, il sistema ammette variazione. In queste note ho cercato di argomentare sul primo punto, giungendo sulla base di varie considerazioni a con-cludere che la variazione sta al luogo di sutura fra sistema e uso e ha diritto di citta-dinanza nella teoria linguistica. Sul secondo punto, a livello di speculazione teorica e quasi tutto ancora da fare. La ricerca sulla 'localita' relativa della variazione nel sistema, la mappatura delle aree del sistema soggette alla variazione e comunque un lavoro indispensabile per dare una risposta piu matura e piu fondata alle numerose domande che ci siamo andati via via ponendo discutendo il tema. A livello di impres-sione, sembra un fatto certo che, allo stato delle conoscenze e come abbiamo en pas- sant accennato, la variazione tocchi molto di più (o magari únicamente) la periferia che il centro delle lingue: ma è anche un dato di fatto che per ora 'centro' e 'periferia' sono nozioni ancora piuttosto allusive, utili a livello impressionistico ma, a mio avvi-so, non sufficientemente ben definite.23 A cui si aggiunge un altro problema: anche se sappiamo che la variazione tocca preferibilmente certi settori (più la fonetica e il lessico, meno la morfologia e sintassi), non abbiamo a disposizione un inventario generale neppure indicativo e approssimativo dei punti del sistema linguistico suscettibili di variazione.24 Sono temi su cui i linguisti interessati alla variazione avranno molto lavoro interessante da compiere. Abbiamo cercato di proporre in queste pagine una collocazione specifica alla variazione nella lingua, vedendola come trait-d'union fra sistema e uso. 'Sistema' e 'variazione' non risultano quindi più termini inconciliabili: viene superata l'opposi-zione radicale fra langue e parole, competenza e esecuzione, che ha contrassegnato in vari modi l'approccio dei linguisti alla teoria. L'uso e i parlanti realizzano la variazione là dove il sistema la permette; non ci sarebbe variazione se il sistema non la permettesse, ma un sistema linguistico non sarebbe quello che per i suoi utenti è se non ammettesse variazione. 23 Un discussione e in Bertinetto (2003). Com'e noto, la distinzione fra un centro e una periferia del sistema linguistico fu teorizzata dai linguisti del Circolo di Praga (cfr. TLP 1966), ed e stata utilizzata anche in linguistica generativa, per la quale, forse un po' circolarmente, la grammati-ca centrale e «quella porzione di competenza grammaticale che rientra nella G[rammatica] U[niversale]; tutti i principi sono validi, a tutti i parametri viene assegnato un valore», mentre la grammatica periferica «include quegli aspetti che non sono prevedibili in base alla GU» (Cook/Newson 1996: 94). 24 Non risponde certo alla bisogna una lista dei parametri, in senso tecnico, individuati dalla grammatica generativa (peraltro, a mio sapere, mai elaborata esaustivamente). Occorrerebbe invece una specie di catalogo sistematico dei 'punti critici' del sistema dove e facile si annidi variazione. Presumibilmente, si trattera spesso di settori della periferia, dove c'e piu facilmente instabilita, eterogeneita, irregolarita, mutevolezza, polimorfismo. D'altra parte, pero, ha senso, se la costruzione della frase relativa (cfr. nota 22) e un luogo evidente di variabilita, dire che la frase relativa e un elemento della periferia del sistema? Mi pare proprio di no. Inoltre, occorrerebbe tener conto dei diversi fattori che possono essere cause strutturali 'locali' di variazione: contatto, economia del sistema, naturalezza, semplificazione, standardizzazione, deriva, e altro ancora. Bibliografía Alfonzetti, Giovanna (2002) La relativa non-standard. Italiano popolare o italiano parlato?. Palermo: Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Baker, Mark C. (2001) The Atoms of language: The Mind's Hidden Rules of Grammar. New York: Basic Books. Berruto, Gaetano (1987) sociolinguistica dell'italiano contemporaneo. Roma: La Nuova Italia Scientifica. Berruto, Gaetano (2004) «The Problem of Variation.» the linguistic review 21, 293-322. Berruto, Gaetano (2009) «nepi auvxa^Ewg. Sintassi e variazione.» In: A. 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Riassunto SUL POSTO DELLA VARIAZIONE NELLA TEORIA LINGUISTICA Il contributo prende spunto dagli interessi variazionisti di M. Skubic per discutere la colloca-zione della variazione linguistica (intesa come variazione interna alle lingue, intralinguistica) nel quadro dell'odierna teoria linguistica. Dopo aver sottolineato la rilevanza empirica del fenomeno della variazione nella lingua e nei comportamenti linguistici e dopo aver precisato il valore specifico del concetto di variazione in linguistica, viene trattato il problema generale della funzione della variazione e delle ragioni che ne sono all'origine. La variazione appare adempiere a una fondamentale funzione sociale adattiva, in quanto strumento che permette di dare una manifestazione all'identità di parlanti e gruppi. Si esamina quindi la posizione che il trattamento della variazione ha nelle principali correnti della linguistica moderna. Mentre la linguistica strutturale e poi quella formale negano alla variazione intralinguistica rilevanza per la teoria e per la comprensione della natura e struttura del linguaggio, la lingui-stica funzionale sottolinea l'importanza della variazione nel contribuire a dare forma al sistema linguistico in maniera tale che esso rifletta nella sua stessa configurazione strutturale caratteri dell'uso e degli utenti, e risulti cosi meglio adeguato ai compiti che deve svolgere. Si passa su queste basi a illustrare il problema del rapporto fra variazione e sistema, e a discutere, con particolare riferimento alla sintassi, quale posizione la variazione debba avere nella teoria linguistica, e quali siano le relazioni fra variazione e teoria della grammatica. Il luogo specifico della variazione viene identificato nella sutura fra sistema e uso: la variazione, ammessa potenzialmente dal sistema, e in particolare dalla sua periferia, si attualizza nel-l'uso. Ma per poter trarre conclusioni più pregnanti occorrerebbe un catalogo esaustivo dei punti del sistema linguistico soggetti a variazione, che sinora non è stato elaborato. Povzetek O MESTU, KI PRIPADA JEZIKOVNI RAZNOLIKOSTI V TEORIJI JEZIKA Namen avtorja tega prispevka, ki so ga spodbudila zanimanja Mitje Skubica za jezikovno raznolikost, je razmisliti o mestu, ki pripada jezikovni raznolikosti (v smislu znotrajjezikovne raznolikosti) v današnji teoriji jezika. Najprej je poudarjena empirična pomembnost pojava raznolikosti v jeziku in v jezikovnem obnašanju ter natančno opredeljena vrednost koncepta raznolikosti, nato pa je obravnavan splošni problem vloge te raznolikosti in razlogov zanjo. Zdi se, da raznolikost opravlja temeljno družbeno funkcijo prilagajanja, in sicer kot orodje, s pomočjo katerega se lahko izraža identiteta govorcev in skupin. Prispevek nadalje analizira mesto, ki ga ima obravnavanje raznolikosti v glavnih usmeritvah modernega jezikoslovja. Medtem ko strukturalno in nato formalno jezikoslovje znotrajjezikovni raznolikosti odrekata teoretsko pomembnost in njeno vlogo pri razumevanju narave in strukture jezika, pa funkcijsko jezikoslovje podčrtuje važnost raznolikosti, ki lahko prispeva k izoblikovanju jezikovnega sistema tako, da slednji v lastni strukturni konfiguraciji odraža značilnosti rabe in uporabnikov in je zato ustreznejši glede na naloge, ki jih mora opravljati. Na tej osnovi je zatem prikazan problem odnosa med raznolikostjo in sistemom, sledi pa še predvsem skladenjsko naravnana razprava o tem, kakšno mesto bi raznolikost morala imeti v teoriji jezika, in o odnosih med raznolikostjo in teorijo slovnice. Izkaže se, da je mesto jezikovne raznolikosti tam, kjer se stikata sistem in raba; raznolikost, ki jo sistem in še posebej njegovo obrobje potencialno dopušča, se uresničuje v rabi. Toda če bi želeli priti do tehtnejših zaključkov, bi bil potreben izčrpen katalog tistih točk v jezikovnem sistemu, ki izpričujejo raznolikost, tak katalog pa doslej še ni bil izdelan. Augusto Carli Università di Modena* UDK 81'27 PER UN AGGIORNAMENTO DEL CONCETTO DI VITALITÀ LINGÜISTICA 1. DEFINIZIONE DI «VITALITÀ» Il concetto di «vitalità lingüistica» è stato oggetto di varie interpretazioni nel corso della storia della lingüistica. Si tratta fondamentalmente di una delle tante figure organico-biologiche, le cosiddette metafore del vivente, che hanno rappresentato dei veri capisaldi interpretativi, soprattutto nella lingüistica ottocentesca. Come tali, queste metafore sono state spesso sottoposte a revisioni concettuali, quando addirittura, non senza fondate ragioni, a decisi rifiuti. Soltanto di recente, soprattutto all'interno di quel paradigma di ricerca che va sotto il nome di «Ecolinguistica», il concetto ricompare assumendo peral-tro un ruolo cruciale nella definizione delle cosiddette «lingue minoritarie» e, fra queste, quelle «in via di estinzione o obsolescenti». Come fra poco cerchero di illustrare, si vedrà che il concetto si attaglia oggi a una non esigua tipologia linguistica e che la di-stinzione fra lingue maggioritarie e lingue minoritarie è molto sottile. Offro pertanto questo breve contributo all'occhio vigile del nostro festeggiato Mitja Skubic che ha de-dicato la propria copiosa e molteplice attività di ricerca a numerosi sistemi linguistici e alle loro varietà e variazioni. Gli sono sin da ora grato se vorrà verificare un qualche grado di attendibilità e di utilità delle mie argomentazioni. Vorrei subito precisare che quando si dice che una certa lingua è «vitale» o al contrario «in fase / in processo di estinzione» o «obsolescente» et sim., non è la «lingua» stessa a trovarsi in questa situazione, bensi la «comunità linguistica» di riferi-mento. La lingua è notoriamente una costruzione sociale che non puo prescindere dagli individui e dai gruppi sociali. Gli attuali tempi contrassegnati dalla cosiddetta globalizzazione, che apparente-mente testimoniano di una differenziazione molto sottile e talvolta molto specialistica di cio che concerne lo status delle lingue, come ci insegna da tempo Ulrich Ammon (1989), esigono una nuova analisi del concetto di «vitalità», data la pervasiva e massiccia precarietà di numerose lingue, indipendentemente dal relativo peso del loro status. Come aveva già affermato con folgorante icasticità Ferdinand de Saussure nel suo cours de Linguistique Générale, nessuna lingua esiste senza una «masse parlante». La «masse parlante» identifica cio che oggi si preferisce chiamare «Comunità Linguistica». È chiaro che la «lingua» e la «massa parlante» sono caratterizzate da dimensioni differenti quantunque interconnesse. * Indirizzo dell'autore: Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Scienze del Linguaggio e della Cultura, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Largo S. Eufemia 19, 41100 Modena, Italia. Email: augusto.carli@unimore.it Per una prima definizione di «vitalita», vorrei rifarmi innanzitutto a Berruto (2009) che opera una prima fondamentale distinzione fra «vitalita in senso generale» e «vitalita in senso specifico»; quest'ultima, che qui interessa in particolar modo, puo essere intesa sia come «vitalita linguistica» da un lato che come «vitalita sociolinguis-tica» dall'altro, o meglio ancora, come «vitalita sociopsicolinguistica». Come dicevo sopra, e la comunita linguistica di riferimento ad essere chiamata in causa, non la lingua come prodotto della stessa comunita. Pertanto sono da mettere in primo piano gli atteggiamenti dei parlanti stessi verso la lingua o le lingue del loro potenziale ed effet-tivo repertorio linguistico. Oppongo a cio una diversa, ma possibile definizione di vitalita, presa da un'opera del 1994 del sociolinguista Giuseppe Francescato, pubblicata post mortem da Paola Solari: Vitalita nel senso abituale, cioe con riferimento all'uso effettivo di una certa varieta linguistica (o di una lingua) nella comunicazione, si puo interpretare come una varieta (=lingua) che non ha avuto perdite di rilievo nel numero dei parlanti» (Francescato/Solari 1994: 86) [grassetto mio]. Questa e una definizione che poggia su termini meramente quantitativi che tuttavia non possono non avere ripercussioni sugli aspetti qualitativi dei codici linguistici coinvolti. Per questo motivo e necessario cercare di illuminare il concetto da una diversa angolazione da cui emergano tratti piu tecnici e complessi, come quella for-nita dal dialettologo Corrado Grassi (1969). Questi considera la «vitalita di una lingua» come «Autonoma capacita di innovazione progressiva». Tale capacita si manifesta e si attiva come reazione a pressioni esogene come nei casi di fenomeni di contatto fra varie lingue, siano esse maggioritarie o meno; in conseguenza di cio si puo affer-mare che la Lx integra e ingloba, in modo produttivo e innovativo, gli elementi eso-geni (Ey) al suo proprio sistema linguistico interno (o endogeno) che si potrebbe indicare come (Sx). Questa forza adattativa o rielaborativa della Lx andrebbe pertan-to considerata come «forza vitale» andando cosi a coincidere con la «vitalita» vera e propria. Detto altrimenti, se la lingua reagisce alle pressioni esterne integrando in qualche modo gli elementi esogeni adattandoli al proprio sistema linguistico endogeno, si puo ben considerare tale forza di integrazione, ovvero di adattamento come «vitalita linguistica» da parte di detta lingua. Questa, in effetti, non solo accetta, ma adatta gli elementi esogeni al proprio sistema linguistico. A questo punto e necessario distinguere la natura di questa «vitalita linguistica», cosi come appena definita, dall'altra «vitalita socio-psicolinguistica». Questa non e tanto la forza di adattamento e di elaborazione lessico-semantica e grammaticale, bensi piuttosto la volonta della comunita che si manifesta attraverso il gesto di trasmissione intergene-razionale. Questa volonta e dettata dalla forza di rappresentazione (forza consapevole o inconsapevole) che la «Comunita» ha delle sue proprie conoscenze, dei suoi valori cognitivi, normativi, etici espressi attraverso quella lingua. Se tutto cio si concretizza nel gesto della trasmissione intergenerazionale, si potra affermare che questa lingua va con-siderata come un elemento socio-culturale importante e che pertanto la lingua sara «vitale» per quella «Comunita» specifica che si sente rappresentata da quella determi-nata lingua verso la quale assume un atteggiamento di «lealta». Questo concetto di «vitalita socio-psicolinguistica» e messo in evidenza nel seguente passaggio di Berruto (2009): «Per vitalita intendiamo la continuita della tradizione e trasmissione della lingua da una generazione aWaltra». In questo senso «vitalita» coincide pertanto con la «continuita di trasmissione inter-generazionale». Per contro il seguente passaggio di Grenoble/Whaley (2006: 5): «for assessment purposes, the fundamental question for vitality is the size and composition of the speaker population» interpreta il concetto di vitalita come «vitalita quantitativa», sostanzialmente non molto diverso da quello gia introdotto al precedente punto di Francescato/Solari (1994), anche se l'aspetto qualitativo e compreso nella composition del repertorio linguistico di una data comunita, sul quale ritornero in seguito. Per con-cludere questa premessa definitoria, riprendo cio che avevo sinora solamente menziona-to, vale a dire le caratteristiche essenziali e indispensabili della «vitalita». Si tratta fon-damentalmente di caratteristiche di natura sociale e psicologica, cioe le due dimensioni di status e corpus, sempre strettamente collegate, pur con i loro diversi aspetti problema-tici, cosi come aveva gia indicato Ammon (1989). Notoriamente queste due dimensioni di status e corpus formano, assieme al processo di acquisizione linguistica, la triade irri-nunciabile per qualsiasi progetto di pianificazione linguistica, definito infatti come status planning e corpus planning, con l'aggiunta della acquisition planning. A conclusione di questa premessa, propongo la seguente ricapitolazione: Vitalita linguistica propriamente detta e la vitalita «interna» della lingua, cioe la vitalita del sistema linguistico. Dal punto di vista sociolinguistico, e secondo il paradigma ecolinguistico, la vitalita si muove sopra un continuum i cui poli estremi rappresen-tano da un lato la vitalita di massimo grado, cioe una grande forza vitale, ipervitale, megavitale (illimitata e incondizionata), come la si ritrova «in natura» in una lingua «conquérante», tesa alla «glottophagie», secondo la terminologia di Louis-Jean Calvet (1974). Questo fenomeno puo essere esemplificato da una lingua nazionale utilizzata all'interno di un sistema politicamente e ideologicamente coeso all'interno di uno stato mononazionalista oppure da una lingua a valenza coloniale, imperialista, universale, globale ecc. Sull'altra estremita del continuum si trovera una lingua ormai priva di slancio, una lingua deficitaria, moribonda, obsolescente o in via di estinzione. Solo per fare un esempio fra i tanti possibili e questo il caso di una parte cospicua della dialet-tofonia italiana, almeno a partire dagli anni 80 del secolo scorso fino ad oggi. 2. CONDIZIONI NECESSARIE PER LA VITALITÁ DI UNA LINGUA Riprendendo le argomentazioni di Ammon (1989), le due dimensioni di status e corpus (ovvero Funktion/Struktur) vanno integrate da una terza componente, quella della «trasmissione e acquisizione linguistica». Queste tre dimensioni costituiscono gli attributi di base di cui ogni lingua necessita ai fini della propria «vitalita» di natura socio e psicolinguistica. Si tratta ovviamente di dimensioni relative e continue, vale a dire non discrete. Le prime due sono in effetti legate l'una all'altra da numerose inter-connessioni. La dimensione «cratica», che e la dimensione legata al kratos, ovvero il «potere», assegna a una determinata lingua la possibilita di essere utilizzata in ogni genere di comunicazione, vale a dire non solamente per usi privati, ma anche pubblici e all'interno di ogni dominio. La dimensione cratica sussiste quando la lingua di rifer-imento e riconosciuta e utilizzata dalla comunita linguistica reale. Essa esercitera a sua volta influssi positivi sulla dimensione «tectica» (da tectaino = costruisco) andando cosi ad assegnare un peso produttivo sul corpus linguistico. In altre parole, questa dimensione fornisce alla lingua la forza di costruzione/elaborazione (la capacita costruttiva) che si esplica a livello lessicale, morfologico e testuale. Risaputamene la dimensione di status assieme a quella di corpus costituiscono un binomio all'interno di una relazione di corrispondenza bi-univoca; cio implica che una dimensione non ha alcuna forza senza l'altra e che l'aumento dell'una e direttamente proporzionale alla crescita dell'altra. Se una lingua non e riconoscciuta da un punto di vista ufficiale e sociale - si dira in questo caso che si tratta di una lingua a grado zero di riconoscimento ovvero a status zero o molto basso - la lingua avra inevitabilmente una dimensione tectica molto ridotta, spesso limitata ad usi frammentari per singoli e rari domini d'uso, non di alto prestigio sociale, dando cosi luogo a produzione di brandelli lessicali all'interno di domini della comunicazione familiare e privata. Piu il riconoscimento di uno status e accettato e condiviso, piu tutto cio contribuisce a costruire e rinsaldare la coscienza lin-guistica e gli atteggiamenti per un uso attivo della lingua all'interno di quella data comunita linguistica, vale a dire della «masse parlante» secondo la terminologia saus-suriana. Per contro, la mancanza di riconoscimento ufficiale rendera questa lingua molto piu fragile ed evanescente. Rinvio ad Ammon (1989) per una disamina piu completa degli elementi problematici che caratterizzano le due dimensioni per passare alla discussione dei possibili parametri che determinano il grado di «vitalita» o, al contrario, il grado di «obsolescenza» di una lingua. 3. PARAMETRI DI VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEL GRADO DI «MINACCIA» VS «VITALITA» LINGUISTICA Seguendo il tracciato di Berruto (2009) e le argomentazioni di Brenzinger et al. (2003), vengono riunite nella seguente griglia (cfr. Tabella 1) i nove parametri che l'UNESCO considera come indispensabili per valutare il grado di vitalita o di minac-cia di una determinata lingua e soprattutto in riferimento ad una lingua minoritaria: 1. Intergenerational language transmission 6. Materials for language education & literacy 2. Absolute numbers of speakers 7. Govern.-institut. language attitudes/policies 3. Proportion of speakers within the total population 8. Community members' attitudes towards their own language 4. Loss of existing language domains 9. Amount and quality of documentation 5. Response to new domains/new media 10. Others? Tabella 1 Un primo e generale commento ai parametri non puo non mettere in evidenza il loro ordine gerarchico. Pertanto la «trasmissione intergenerazionale» non puo che essere considerato, secondo l'UNESCO, come il piu importante e, conseguente-mente, molto piu importante del parametro della «Quantita e qualita di documen-tazione» introdotto in nona posizione. L'importanza effettiva della «trasmissione intergenerazionale» vale peraltro non solamente per la «vitalita» di una lingua in sé stessa, ma anche nei casi di rivitalizzazione di una lingua moribonda. Questo principio e espresso esplicitamente da Grenoble/Whaley (2006: 6) nel seguente passo: «for a language to be vital, it must be actively used by children. The dynamics of intergen-erational transmission are perhaps more important to understand than any other relevant factor in assessing the need for language revitalization». Bisogna tuttavia notare che lavorare su una gerarchia precisa dei parametri e molto meno produttivo che individuare dei legami implicazionali fra i parametri stessi. Pertanto sara opportuno evidenziare l'esistenza di parametri implicazionali fra il parametro 1 (trasmissione intergenerazionale) e il 4 (perdita di domini di uso linguistico), cosi come fra i parametri 4 e 3, cosi come fra 3 e 2. L'insieme dei parametri serve in ogni caso a precisare e a calcolare l'indice di minaccia specifica che corrisponde a certe marche classificatorie proposte da vari autori, come Grenoble/Whaley (2006), Brenzinger et al. (2003) e Dressler (2003). Berruto (2009) si spinge a costruire una tavola sinottica di tutte le caratteristiche relative ai gradi differenti di «salute», cioe di vitalita, o al contrario i gradi di minac-cia linguistica come indicato qui sotto nella tabella 2. Grenoble/Whaley (2006: 18) Brenzinger et al. (2003: 11) Dressier (2003: 10) 1. Safe 1. Safe Assente 2. At risk 2. Unsafe A. minacciata (=2) 3. Disappearing 3. Definitively endangered B. decadente (=3 ) 4. Moribund 4. Severely endangered C. moribonda (=4-5) 5. Nearly extinct 5. Critically endangerd Assente 6. Extinct 6. Extinct D. morta (6) Tabella 2 Attraverso un certo numero di descrizioni linguistiche che hanno lo scopo di rile-vare lo stato di minaccia di certe lingue «minoritarie» ci si rende conto del fatto che una lingua minacciata («at risk/unsafe/minacciata») puo ben presto trasformar-si in una lingua «moribonda». Cio e dovuto, per esempio, al fatto che i genitori non si sentono piu motivati a trasmettere ai loro figli questa determinata lingua oppure che i figli rifiutano di apprenderla come lingua primaria, quand'anche si dispongano di ottimi materiali per la alfabetizzazione (come recita il parametro 6. della Tabella 1). Cio si verifica a volte anche quando gli atteggiamenti della comuni-ta verso la lingua nativa non siano del tutto negativi (vedi i parametri 7. e 8. della stes- sa tabella sopra menzionata), come ha rilevato Silvia Dal Negro (2004), studiando certe comunita walser del Piemonte. Bisogna chiedersi come ció possa verificarsi e quali siano le vere cause. La domanda da porsi e piu precisamente la seguente: «Perché il meccanismo della trasmissione intergenerazionale non funziona sem-pre?». In generale, si potrebbe osservare che l'azione che le persone compiono scegliendo un compagno/compagna, e dettato solo in via teorica dal repertorio lin-guistico del partner. Evidentemente questo puó spiegare solo parzialmente l'evoluzione filogenetica del linguaggio umano. In realta peró, non si sceglie un compagno per salvaguardare o proteggere una lingua minacciata con lo scopo di procreare dei figli che siano (sperabilmente) in grado di parlarla. Si deve piuttosto osservare, pur restando all'interno del paradigma ecolinguistico, che l'ecologia di ciascuna comunita comprende naturalmente tutti i tratti di ordine geografico e biologico, ma anche e soprattutto le condizioni di ordine politico ed economico. E infatti in questo dominio che si dovrebbero individuare, all'interno di una ricerca sociopsicolinguistica, le cause piu frequenti della minaccia alla sopravvivenza di una lingua. In ogni caso si tratta di una minaccia non solo verso la lingua, ma piut-tosto verso l'equilibrio della comunita linguistica stessa. Se si considera l'aspetto politico, non si potra ignorare che i cambiamenti e le trasformazioni di natura politica possono rappresentare una vera minaccia per una comunita linguistica, soprattutto se essa e dominata da un'ideologia particolarmente e persuasivamente ben costruita e apparentemente non violenta. Si tratta di fenomeni ben conosciuti nella storia dell'umanita, come il potere esercitato dalla ideologia nazionalista, colonialista e imperialista (Phillipson 2006). Le ideologie seguono tutte, malgrado le differenze, i medesimi percorsi: niente violenza manifesta, almeno non nella fase del consolidamento del potere, (anche se gli esordi possono essere violenti) poiché si e consapevoli che per dominare effettivamente la violenza non e suffi-ciente. A questo proposito la prospettiva che giustifica il cambiamento della situ-azione che si vuole raggiungere deve essere rappresentata come necessaria. La dominazione viene allora esercitata da un potere che si autorappresenta come promettente per il futuro soprattutto elargendo «benefici» ai dominati. Il potere si presenta quindi sotto le apparenze della generosita e dell'altruismo e sembra del tutto disinteressato. Si tratta di un'operazione che Noam Chomsky ha chiamato col termine di «Manufacturing consent», della fabbricazione/costruzione del consenso, le cui conseguenze sono ben note. Basta rendersi conto della «glottofagia» nazionalista. Il nazionalismo - quello che risponde al motto: «uno Stato - una Nazione - una lingua» - ha generato in Francia (ma non solo) in seguito alla Rivoluzione (Judge 2000), la morte di ogni diversita linguistica. In tutti i paesi nazionalisti, e quindi non solo nella Francia post-rivoluzionaria, la lingua nazionale e rapidamente diventata la sola lingua utilizzata in un contesto pubblico istituzionale e ufficiale, quindi la sola lingua dell'istruzione formale. Ció ha com-portato la crescente perdita di funzionalita (e quindi di vitalita) di tutte le altre lingue presenti, a vario titolo, nel repertorio individuale e collettivo. Per recuperare parzialmente l'equilibrio perduto, cioe per compensare la riduzione linguistica e culturale, si sono dovute «inventare» misure appropriate di politica linguistica compensativa. Va inoltre rimarcato che i fattori economici, legati al sistema politico e alla dimensione demografica, sono ancora più incisivi, visto che la centralità economica si esprime attraverso la lingua di quel potere dominante che a sua volta provoca la marginalizzazione graduale di tutte le lingue non protette, destinate a diventare fatalmente lingue obsolescenti e in via di estinzione. Si va pertanto a constatare che la mobilità territoriale dei soggetti che usano una lingua minoritaria è la causa indi-retta, ma anche la più frequente e incisiva, della perdita o della scomparsa delle lingue native. Come già formulato da Hagège (2000), alla base della perdita linguistica c'è un coacervo di elementi, «un bataillon de causes», ovvero un insieme di cause e concause. I mutamenti linguistici, dovuti ai cambiamenti di natura politica ed economica, innescano meccanismi di ripercussioni primarie sullo status di una lingua. Queste sono, a loro volta, le cause principali dei cambiamenti delle pratiche comunicative all'interno di certi domini linguistici. Nei loro atti comunicativi i locutori tendono a sostituire sempre più massicciamente la lingua nativa con la lingua che essi reputano come più prestigiosa. Con l'aumento di pratiche comunicative in quella determinata lingua si attribuisce un potere crescente e dominante alla lingua stessa. La sostituzione e la riduzione linguistica da un lato, nonché dall'altro lato la perdita progressiva del prestigio della lingua nativa in rap-porto alla lingua dominante, contribuiscono a indurre il cambiamento degli atteggiamenti e delle opinioni che i locutori stessi hanno della loro propria lingua di origine visto che viene sempre meno utilizzata. Si sottolinea a questo proposito che non si tratta solamente di fattori di natura sociolinguistica, bensi anche di una svariata gamma di concause di natura squisitamente psicolinguistica. Va tenuto presente che la riduzione nell'uso di una lingua non è solo l'effetto diretto di un mutamento all'interno delle pratiche comunicative, bensi anche di vari cambia-menti di natura politico-economica con conseguenze indirette sul mutamento delle opinioni e degli atteggiamenti dei locutori verso le proprie lingue native. Sintetizzando questi molteplici e complessi processi in una formula riassuntiva, si vedrà che la differenza tra le funzioni linguistiche esercitate da una lingua domi-nata (o minacciata) e quelle di una lingua dominante rappresenta lo scarto di «vital-ità» di questa lingua sempre più in via di obsolescenza. In considerazione di tutti i fattori presentati finora e dopo aver verificato i risul-tati delle analisi condotte da: A) Gaetano Berruto (2009) per il ladino e il franco-provenzale in Val d'Aosta B) Paul Lewis (2005) per il gaelico e il maori si ottiene un indice di minaccia/«endangerment» per ciascuno dei quattro casi esaminati; questo indice è calcolato sulla base dei nove parametri fissati dall'UNESCO precedentemente illustrati. Una considerazione ulteriore della tipologia territoriale di ciascuna comunità comprende i parametri di White (1991) e Edwards (1992). LADINO DOLOMITICO FRANCO-PROVENZALE GAELICO MAORI 4, 1 3, 7 3 3, 1 Tabella 3 Come si puo fácilmente verificare, le 4 lingue analizzate sono tutte da considerare o come unsafe=index 4 o ancor peggio come definitively endangered=index 3. 4. «VITALITÁ» VS. «EGEMONIA»: COME PREVEDERE IL DESTINO DELLE LINGUE I cambiamenti linguistici sono imprevedibili perché la natura della dinamica lingüistica e multidimensional e multifunzionale. In generale, si ha la tendenza a considerare gli individui e le comunita come entita uniche e monolitiche, mentre la realta osservativa ci suggerisce piuttosto che le attivita linguistico-comunicative, sia nel singolo individuo che nella comunita, sono distinte in almeno quattro attivita differen-ti, identificabili in attivita di: parlato - ascolto - lettura - scrittura. Si sa inoltre che una lingua non e soltanto un codice, ma anche un comportamento sociale. Le abi-tudini linguistiche sociali, fissate da processi storici, hanno portato i gruppi sociali e le comunita a identificare cognitivamente l'entita individuale e sociale con l'entita linguistica. Il risultato di questa indebita sovrapposizione cognitiva e che l'entita sociale corrisponde a una (e una sola) entita linguistica (altrimenti detto, a una sola lingua). Si nota che questo pregiudizio, questa limitazione e riduzione linguistica di natura sociale, rappresenta un vero inconveniente, specie per quel che concerne le lingue cosiddette «in pericolo» o «minacciate». Ma, a questo proposito, ci si deve render conto che in considerazione dell'at-tuale egemonia dell'inglese come lingua ipervitale, che caratterizza questa epoca della cosiddetta globalizzazione, qualsiasi altra lingua diversa dall'inglese si trova in una situazione di «perdita di vitalita», sia che si tratti di una lingua minoritaria che maggioritaria. Circa il grado di perdita di vitalita linguistica si dispone di un buon numero di previsioni (tutte negative) per un numero assai consistente di molte lingue nel prossimo futuro. Le considerazioni di Tove Skutnabb-Kangas (2007: 371) vanno dalla piu ottimistica (a) alla piu pessimistica (c) passando da un'ottica mediana (b) che si presenta come una mescidanza di pessimismo e di realismo: a) The most optimistic prognoses of what is happening to the world's languages suggest that around the year 2100 at least 50% of today's close to 7,000 spoken languages [s. Ethnologue] may be extinct or very seriously endangered («moribund» - with elderly speakers only and no children learning them). (Skutnabb-Kangas 2007: 370-371, secondo le considerazioni dell'UNESCO). b) Pessimistic but still completely realistic estimates claim that as many as 90-95% of today's spoken languages may be extinct or very seriously endangered in less than a hundred year's time. (Skutnabb-Kamgas 2007: 371). c) Still more pessimistic estimates suspect that only those 40-50 languages will remain in which people can, within the next few years, talk to their stove, fridge and coffee pot, i.e. those languages into which Microsoft software, Nokia mobile phone menus, etc. are being translated (Rannut, 2003)[...]. One could also use the number of languages into which Harry Potter films being dubbed [...] and got a promise [...] Nobody knows what will happen to the world's Sign languages. There is today no idea of how many Sign languages there are. (Skutnabb-Kangas 2007: 371). Se si volesse dare credito a queste previsioni, non si puo certo affermare, come diceva Panglosse, che questo e il migliore dei mondi possibili, visto che tutte le comunita «godono» del privilegio di essere accomunate da un medesimo tratto negativo trovando-si tutte, per la prima volta nella storia, in un'identica situazione di svantaggio in rapporto all'inglese. In considerazione di questo unico e significativo fenomeno, si puo certamen-te affermare che attualmente si assiste ad un allargato processo di «minoritarizzazione» di tutte le lingue, indipendentemente dal peso del loro precedente status. 5. LE LINGUE NELL'ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE E IL PROCESSO DI «MINORITARIZZAZIONE» DI TUTTE LE LINGUE Il fenomeno linguistico piu evidente a cui si assiste oggi e pertanto il fenomeno di «minoritarizzazione» di tutte le lingue rispetto all'inglese. Questa lingua si e diffusa ovvero si e imposta alla sensibilita e all'attenzione dei locutori attraverso un regime linguistico coloniale molto sottile, di natura psico-sociale, fondamentalmente come effetto del «prestigio linguistico» che ha esercitato a partire dalla seconda meta del secolo scorso. Le conseguenze di questo fenomeno sono descritte in modo eloquente nella seguente affermazione di Abdulaziz/Osinde (1997: 44): [English] is the medium of instruction in the whole of the education system, and of the conducting of international business and banking, and it is also used in various administrative offices and institutions. It is the language of upward mobility, a status that gives it a lot of prestige, and it is therefore sought-after language in the country [Kenya]. It is so much identified with socio-economic status that even those who have made it in life following non-academic channels still want to acquire it in order to create the impression of being men and women of status. Un'analisi, anche solo sommaria, di questa riduzione ci permette di evidenziare la perdita comunicativa delle lingue maggioritarie a partire dai domini della comuni-cazione specialistica e tecnica, quelli che vanno dalla «Ricerca Scientifica e Tecnologica» alla «Formazione, istruzione, cultura formale» fino ai domini meno specialistici dell'informazione, del turismo e del tempo libero. 6. CONCLUSION! PROBLEMI APERTI E SOLUZIONI POSSIBILI ALL'ALBA DEL NUOVO MILLENIO A guisa di conclusioni, del tutto provvisorie, vorrei porre attenzione ad alcuni grandi problemi aperti. Due di questi richiedono una soluzione a livello mondiale e sono l'analfabetismo e la scelta eventuale di una lingua veicolare. Per quanto riguarda l'analfabetismo non aggiungero nulla al passaggio di Jacques Maurais (2003: 32): «Illiteracy continues to increase in the world, even in the developed countries. In 1990 it was found that about one third of the world's population was illiterate». Una recente analisi di Tullio De Mauro (2004) attesta questo fenomeno sociale in crescente aumento anche per l'Italia. La seconda questione concerne la scelta di una lingua veicolaire (o ausiliaria) per la cosiddetta «comunicazione internazionale». La scelta viene percepita come auspi-cabile, se non addirittura necessaria. Su questo punto si profilano due fronti diversi. Esistono da un lato i ferventi assertori dell'inglese, mentre sull'altro fronte si schie-rano i fautori di una lingua (neutra?) artificiale o pianificata come l'esperanto. Questa avrebbe il vantaggio, secondo alcuni, di non essere la lingua nativa di nessuno e di garantire, in quanto tale, una maggiore equità. Una terza posizione rispetto a tale questione è ricoperta da coloro che sono a favore di un'ampia e reale varietà linguistica che vada a garantire un effettivo plurilinguismo. Su questo si posiziona l'atteggiamento di chi scrive, peraltro in consonanza col programma della Conferenza di Helsinki del 1° agosto 1975 soprattutto nella formulazione seguente: Encourage the study of foreign languages and civilizations as an important means of expanding communication among peoples for their better acquaintance with the culture of each country, as well as for the stregthening of international co-operation; to this end to stimulate, within their competence, the further development and improvement of foreign language teaching and the diversification of choice of languages taught at various levels, paying due attention to less widely-spread or studied languages. Per quel che concerne la lingua veicolare o franca, invece di discutere attorno alla scelta di quale lingua debba assumere lo status di Lingua Franca, si potrebbe piuttosto portare l'attenzione sulla comunicazione plurilingue che si sviluppa attraverso l'uti-lizzo di diverse lingue secondo le specifiche modalità della ricezione e della pro-duzione linguistica. Bibliografia Abdulaziz, Mohamed H./Ken Osinde (1997) «Sheng and Engsh: development of mixed codes among the urban youth in Kenya.» IJSL 25, 43-63. Ammon, Ulrich (1989) «Towards a descriptive framework for the Status / Function (Social position) of a language within a country.» In: U. Ammon (a cura di), Status and function of languages and language varieties. Berlin/New York: Mouton de Gruyter, 21-106. Ammon, Ulrich (2003) «The international standing of the German language.» In: J. Maurais/M. A. Morris (a cura di), 231-249. 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Berlin/New York: Mouton de Gruyter, 365-397. White, Paul (1991) «Geographical aspects of minority language situations in Italy.» In: C. H. Williams (a cura di), linguistic minorities, society and territories. Clevedon: Multilingual Matters, 44-65. Riassunto PER UN AGGIORNAMENTO DEL CONCETTO DI VITALITÀ LINGUISTICA Il contributo è incentrato sulle possibili definizioni di «vitalité» linguistica. Più precisamente si passano in rassegna alcune definizioni per verificarne la applicabilità a varie tassonomie lin-guistiche, quali le cosiddette «lingue maggioritarie», «lingue minoritarie», «lingue in via di estinzione», «lingue obsolescenti» o altro. Disporre di parametri che siano in grado di rilevare e misurare lo stato di «vitalità» di una determinata lingua, significa innanzitutto verificare e analizzare gli ambiti in cui la lingua viene realmente o potenzialmente usata. Il contributo mette in evidenza che oggi, accanto alle lingue storicamente minoritarie, sussiste un processo di minoritarizzazione che coinvolge anche le lingue maggioritarie. Cio per un processo di relativo confronto con una lingua come l'inglese che ha assunto il ruolo di lingua globale. Povzetek K POSODOBITVI KONCEPTA JEZIKOVNE VITALNOSTI Prispevek se osredotoča na mogoče definicije jezikovne »vitalnosti«. Obravnavane so nekatere takšne definicije, da bi ugotovili njihovo uporabnost pri različnih klasifikacijah jezikov, ki vključujejo pojme, kot so takoimenovani »večinski jeziki«, »manjšinski jeziki«, »izumirajoči jeziki«, »zastareli jeziki« ipd. Določiti parametre, s pomočjo katerih bi lahko ugotovili in izmerili stanje »vitalnosti« določenega jezika, pomeni predvsem prepoznati in analizirati različna okolja, v katerih se jezik dejansko ali potencialno uporablja. V prispevku je poudarjeno, da danes poleg jezikov, ki so manjšinski zaradi zgodovinskih okoliščin, proces manjšin-jenja zadeva tudi večinske jezike, če jih primerjamo z angleščino, ki je prevzela vlogo globalnega jezika. Paola Desideri UDK 81'276.6"1920/1960":32 Università «G. d'Annunzio» di Chieti-Pescara* ORIGINI E SVILUPPI DELLE ANALISI E DELLE TEORIE SUL LINGUAGGIO POLITICO (1920-1960) 1. LE PRIME ANALISI DEGLI IDIOLETTI POLITICI: LENIN, HITLER, MUSSOLINI Nel lontano 1924, anno fondamentale per datare l'inizio degli studi scientifici e siste-matici sulla lingua política, apparvero sulla rivista sovietica Lef1 alcuni importanti arti-coli di Boris M. Ejchenbaum, di Boris Tomasevskij e di Jurij N. Tynjanov sul linguaggio di Lenin, lavori che, pubblicati proprio nello stesso anno in cui venne aperta la polemica tra marxisti e formalisti, si proposero di sperimentare sull'idioletto leniniano alcuni fondamentali principi del metodo formalista, decisamente più impegnato nel privilegiare l'analisi del testo. Tali contributi, estremamente originali, e soprattutto innovativi, nel panorama della ricerca linguistica del tempo, in qualche modo ebbero il merito di aprire la strada all'osservazione scientifica del discorso politico, investigato particolarmente nelle sue strutture retoriche e lessico-semantiche. Entrando nello specifico dei singoli studi, il lavoro di Ejchenbaum (1968 [1924]) prendeva in esame lo stile oratorio prettamente propagandistico degli articoli e dei discorsi di Lenin, sempre rivolti a tutto il popolo e mai ad un uditorio selezionato, i cui tratti distintivi sono identificaba nella lotta contro la verbosità e il vaniloquio mediante l'adozione del registro informale del parlato unito frequentemente ad espressioni anche grossolane, tendenza questa non limitata peraltro alla sola componente lessicale, ma estesa pure alla sintassi e all'intonazione. L'articolo di Tomasevskij (1968 [1924]) consisteva invece in un'indagine sulla costruzione sintattico-retorica e sulla distribuzione del materiale verbale nelle «tesi» proclamate da Lenin il 4 aprile 1917, cioè il giorno successivo al suo arrivo in Russia. Infine il lungo saggio di Tynjanov (1968 [1924]) tentava di mettere a fuoco le pecu-liarità linguistiche del discorso dissuasivo di Lenin come oratore e come scrittore politico, peculiarità che vanno dall'uso polemico dei procedimenti adottati dall'avversario, attraverso l'espunzione di un'espressione messa tra virgolette, alla lotta accanita contro le cosiddette parole «livellate», vale a dire quei lemmi dotati di un forte impatto emotivo privi pero di un significato preciso (come per es. libertà, uguaglianza, utilizzate sempre * indirizzo dell'autrice: Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Viale Pindaro 42, 65127 Pescara, Italia. Email: paola.desideri@unich.it 1 La rivista lef, sigla di levyj front iskusstva («Fronte di sinistra dell'arte»), fu diretta dal 1923 da Vladimir V. Majakovskij. Ponendosi come punto di riferimento per le avanguardie artistische della Russia futurista, lef raccoglieva poeti, scrittori, artisti, registi, insomma l'élite intellettuale impe-gnata a sostenere la costruzione della nuova Repubblica bolscevica. con fine persuasivo), dal rifiuto delle piatte parole-slogan e del loro condizionamento all'avversione nei confronti delle vecchie espressioni logore e stantie. A tutti questi usi dell'obsoleto vocabolario politico del tempo, le strategie discorsive leniniane oppongono invece lo svecchiamento dello stile aulico e l'adozione di un lessico concreto, legato alla realtà materiale, tramite la selezione di lemmi ingiuriosi e provoca-tori, nonché l'impiego di un linguaggio decisamente figurato. Queste tre analisi, ovvia-mente ancorate al livello e agli sviluppi teorici raggiunti nel 1924 dal funzionalismo russo, si distinsero tuttavia anche per avere tentato di verificare e di calibrare su una tale importante e complessa produzione discorsiva la portata concettuale dell'approccio formale. Debbono pero trascorrere quindici anni prima che qualche studioso riprendesse la riflessione sul linguaggio politico. Si deve infatti all'opera del fisiologo russo Serghej Ciacotin (1964 [1939]) un'indagine innovativa e interessante sugli effetti persuasivi della propaganda politica, tanto che oggi - a distanza di un settantennio - essa meri-terebbe di essere attentamente rivisitata per gli spunti originali e l'intuizione di certe osservazioni psico-sociologiche di grande attualità. Vale la pena qui ricordare le vicis-situdini politiche alle quali fu sottoposto il testo di Ciacotin, vicissitudini che ben riflet-tono i tempi oscuri in cui l'opera vide la luce. Pubblicata per la prima volta in Francia nel 1939, solo due mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, inaspet-tatamente subi la censura dei francesi nelle sue ultime bozze di stampa a causa dei numerosi passi sgraditi a Hitler e Mussolini. L'autore pero, appellandosi alla legge, fece in modo che il volume uscisse nella sua forma originale, anche se, a soli due mesi dalla sua comparsa, fu sequestrato dalla polizia parigina. La stessa sorte tocco al testo nel 1940 allorché, appena dopo l'occupazione di Parigi, fu distrutto dai tedeschi; comunque venne ugualmente diffuso tramite le edizioni inglesi, americane e canadesi e dopo la guerra fu riproposto nelle vesti di una nuova edizione francese, riveduta e ampliata per la messe cospicua di materiale che Ciacotin era andato raccogliendo con gli ultimi fondamentali avvenimenti bellici. Applicando i principi della psicologia comportamentista (la teoria dei riflessi condizionati di Pavlov) e risentendo dell'influsso della nascente psicoanalisi (in par-ticolare delle teorie di Freud e di Jung) riguardo alle pulsioni di vita e di morte, il fisiologo russo esamino, senza peraltro trascurarne i risvolti mitico-antropologici, le cause dell'ascesa di Hitler e i meccanismi emotivi soggiacenti al legame del tutto irrazionale e mistico instauratosi tra il dittatore e il popolo, legame che assunse ben presto i tratti inquietanti del rapporto capo-folla. La parte preponderante della ricerca è dedicata alla descrizione attenta delle molte-plici e variegate tecniche di propaganda che, ripetute ossessivamente, produssero l'esal-tazione fideistica del popolo tedesco nei confronti di questo «ingegnere delle anime»: spettacolari raduni rituali denominati «campi di maggio», simboli runici facilmente riproducibili come la croce uncinata, culto per il passato ariano compreso il recupero della suggestiva cultura del wald e, a livello più strettamente linguistico, uso martellante di slogan e parole d'ordine, infine un'oratoria costituita da frasi imperative e incitative, scandite perentoriamente con una pronuncia resa perfetta dai corsi di dizione suggeriti da Goebbels per germanizzare la fonetica di Hitler troppo austriaca. Ciacotin, con molto acume, comprese e sottolineo l'importanza che assunse in questa mistificante prassi comunicativa l'utilizzo, già dalla fine degli anni Venti, di un médium cosi coinvolgente come la radio: la trasmissione dei toni cadenzati della voce del Führer e la música wagneriana contribuirono a creare un clima di passività e di parossismo. Va rilevato che, sempre a Parigi, alla fine dell'Ottocento era intanto uscito il famoso trattato Psychologie des foules di Gustave Le Bon (1970 [1885]), su cui fonda-rono la loro preparazione di futuri dittatori Benito Mussolini e altri meneurs de foules. Tale opera sulla propaganda politica, apprezzata da Freud e da Merton, ma ogget-to anche di giudizi critici molto discordi, sottopone ad analisi la folla intesa come massa amorfa e inerte che, particolarmente influenzabile da immagini suggestive, regredirebbe a livelli primitivi e barbarici reagendo d'istinto, stimolata dalla propria «anima collettiva», alla manipolazione di un capo. Sempre nel 1939, negli Stati Uniti, fu pubblicato lo storico saggio di Kenneth Burke (1939) sui meccanismi retorici e sui perversi, inquietanti slittamenti di signi-ficato presenti nel Mein Kampf di Hitler: per es. il parlamento tedesco considerato alla stregua di una nuova Babilonia; l'ebreo, trasformato in diavolo e diventato il per-sonificatore di tutti i possibili misfatti, utilizzato come il nemico per antonomasia su cui convogliare il malessere della popolazione (di qui la consequenziale opposizione «ariano-eroismo-sacrificio» vs. «ebreo-astuzia-arroganza»); l'appello all'irrazionali-smo e la proliferazione di immagini belliche; le forti provocazioni lessicali; il ricorso alla ripetitività di slogan e l'abuso di termini impiegati programmaticamente, quali l'emblematico volkish, lemma carico di inquietanti valenze semantiche identitarie fondate sulla comune appartenenza razziale. Sull'analisi del linguaggio nazista è ugualmente imperniata la monografia di Victor Klemperer (1946), che nel dopoguerra studio le pratiche di seduzione e di sobillazione del popolo perpetrate da Hitler. Klemperer, filologo romanzo a Berlino Est, fu inviato dai nazionalsocialisti a lavorare nelle fabbriche e quindi ebbe modo di annotare dettagliatamente nel suo diario segreto l'onnipresenza della lingua tertii imperii, la lingua del Terzo Reich, cioè quell'idioma acquisito inconsciamente e dovuto alla ripetizione collettiva, martellante e meccanica di migliaia di locuzioni entrate nel vocabolario d'uso. Stupisce il fatto che tale autorevole testimonianza diretta sulla pratica politica, sull'ideologia e sugli esiti nefasti di un linguaggio totalitario come quello nazista non abbia trovato il seguito che meritava nelle successive ricerche sul discorso politico portate avanti dalla ex D.D.R. A questi lavori si deve aggiungere anche quello di Charles Bastide (1935) sugli anglicismi presenti nel vocabolario politico francese, anticipatore del futuro e cre-scente interesse verso il lessico, i neologismi e i forestierismi della politica.2 Infatti 2 Tale tipo di ricerca semantica fu particolarmente incrementata in Francia alla fine degli anni Sessanta con il Colloque du Centre de Lexicologie Politique - E.N.S. de Saint-Cloud (26-28 avril 1968) sul tema Formation et aspects du vocabulaire politique français. XVIIe-XXe siècles. Gli Atti con-gressuali, pubblicati nei tre numeri monografici dei Cahiers de lexicologie (13, 1968; 14, 1969; 15, 1969), si rivelano anche oggi molto interessanti per gli studi specifici sull'impiego e sulle occorrenze di un particolare lemma, di un determinato vocabolario, di certi enunciati all'interno di contesti discorsivi francesi ben definiti tra il XVII e il XX secolo. negli anni Cinquanta Georges Matoré (1951b) esaminera in un saggio specifico i neologismi politici in voga nella societa francese di Luigi Filippo d'Orleans, distin-guendo le parole frutto delle nuove istituzioni dai barbarismi della tribuna e dal les-sico tipico delle nascenti teorie utopiche socialiste. E pero grazie alla maggiore tira-tura dei giornali, dopo gli avvenimenti della Monarchia di Luglio del 1830, che la lingua politica, quella che veniva chiamata il parlamentarisme, diffusa largamente attra-verso la stampa, entrera in maniera estesa nella lingua comune (Matoré 1951c). Il 1939 fu indubbiamente un anno intenso; infatti anche in Italia apparve una ricerca sul linguaggio totalitario scritta in tedesco per i tipi della casa editrice Sansoni, quella di Hermann Ellwanger (1941 [1939]) sulla lingua e sullo stile mussoliniani. L'autore esami-na i tratti costitutivi dell'oratoria del duce, che vanno dall'oculata scelta di lemmi sugge-stivi e di efficaci neologismi al predominio della costruzione sintattica di tipo paratatti-co, dalla organizzazione antitetica della frase all'effetto persuasivo prodotto dai tropi (per es. le frequenti similitudini e metafore medico-chirurgiche) e dal ritmo ternario lessica-le, efficace per il martellamento inconscio e linguistico delle masse. Fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta la produzione scientifica italiana sul discorso politico fu piuttosto esigua - prescindendo da quegli scritti di regime, celebra-tori del linguaggio del fascismo e di Mussolini (Ardau 1929, Bianchi 1937, Adami 1939) - produzione limitata soprattutto ad alcune brevi e puntuali analisi diacroniche svolte su lessemi particolarmente in vigore in quegli anni. Queste analisi di storia della lingua politica, ad eccezione di quella di Bruno Migliorini (1934), apparvero prevalen-temente sulla rivista Lingua nostra che, sorta appunto nel 1939, si distinse subito per il rigore filologico e per la varieta dei corpora oggetto d'analisi, tanto da porsi come auto-revole punto di riferimento per gli studi linguistici italiani diacronici e sincronici. Menzioniamo i contributi piu importanti: quello succitato di Migliorini, che con-dusse uno studio proprio sul termine autarchia e, partendo dall'etimologia, attraverso la storia dell'adozione del lemma da parte dei filosofi greci, arrivo fino al contemporaneo uso fascista; Emilio Bodrero (1939), il quale analizzo il lessico politico del tempo con l'intenzione di epurare i forestierismi; Emilio Peruzzi (1944-45, 1946), che esamino le cosiddette parole «a corso forzoso», soffermandosi sui neologismi e sui forestierismi bellici di cui forni un quanto mai utile repertorio; infine Francesco Maggini (1947) che, stimolato dal recentissimo cambiamento della forma di governo italiana, si interesso, non a caso, alle origini e agli usi del lessema repubblica. Ma e a Rodolfo De Mattei che si deve, sempre sulla rivista Lingua nostra, la fon-dazione di due rubriche semantiche specializzate nell'ambito del repertorio lessica-le politico: (1) «Voci politiche fortunate», che va dal 1940 al 1942; (2) «Ospizio di parole politiche perdute» che, iniziata nel 1942 e protrattasi per decenni, risulta particolarmente preziosa per la messe di informazioni su parole politiche cadute in disuso, di cui viene fornita, insieme alla data o all'epoca in cui sono attestate per la prima volta, anche la fonte.3 3 Un inventario dei periodici e puntuali interventi di Rodolfo De Mattei, dal 1940 in avanti, e stato compilato da Desideri, Marcarino (1980: 74-75). A tali lavori, per completezza d'informazione, aggiungiamo gli articoli di Anna María Finoli (1947, 1948) sulla terminologia economica italiana settecentesca, sottocodice che e parte integrante del discorso politico; lo studio di Anna Laura Messeri (1957) sugli anglicismi entrati nel circuito del linguaggio politico italiano del 1700-1800, di cui, analogamente a Finoli, si riporta un ricco repertorio lessicale e infine il saggio di Mario A. Cattaneo (1959) con interessanti osservazioni sul binomio linguaggio-politica. Infine, nel novero degli studi italiani sulla lingua politica, e doveroso ricordare che una delle prime analisi, se non la prima in assoluto, condotta sulle strutture sintattiche delle locuzioni politiche fu quella elaborata da Bruno Migliorini (1952) a proposito della famosa formula Yotate socialista, nata nel 1946 con le elezioni per la Costituente e diffusa soprattutto per le votazioni amministrative del '47 e per quelle politiche del '48. Di tale costrutto sintagmatico (costituito da un verbo e da un aggettivo con valore avverbiale) piuttosto innovativo per l'epoca, che ricalca il corrispondente francese voter socialiste gia analizzato peraltro nel 1938 da Leo Spitzer, Migliorini rilevo la potenza propagandistica testimoniata da espressioni pubblicitarie strutturalmente affini, come bríndate Ganda! e camminate Pirelli (formate da un verbo intransitivo e da un nome proprio). In questa ricognizione, relativa alle ricerche sul linguaggio politico dei primi decen-ni del Novecento, e utile ricordare anche quella di Stuart Chase (1966 [1953]), che, nata dal precedente lavoro sul 'cattivo' uso del linguaggio,4 si colloco come uno dei ten-tativi americani di mettere in rilievo la funzione e il potere della parola nella vita politico-sociale, tentativo fortemente discutibile e opinabile, a detta del filosofo marxista tedesco-orientale Georg Klaus (1974: 191 [1971]), come vedremo tra poco. Interessato al crescente sviluppo dei processi della comunicazione e risentendo dei principi della semantica generale di A. Korzybski, Chase analizzo con rigore diversi corpora politici, quali l'acerrima battaglia tra due parole-guida capitalismo e socialismo (Chase 1966: 215-227), i meccanismi propagandistici che Washington da una parte e Mosca dall'al-tra scelsero nella famosa guerra fredda e nella successiva fase del disgelo (Chase 1966: 229-235), i moduli espressivi adottati dai democratici e dai repubblicani nella campa-gna elettorale dell'autunno del 1952 per l'elezione del Presidente degli Stati Uniti (Chase 1966: 237-243), infine le peculiarita del gobbledygook, il cosiddetto linguaggio burocratico (Chase 1966: 271-281). Sempre restando nell'area semantica americana, per quanto concerne il versante di studi sul potere della lingua politica, vale la pena citare anche il glossario di Heinz Paechter et al. (1944), elaborato sulla terminologia nazista penetrata nel tedesco contemporaneo. Sono contributi, questi, che meriterebbero, specialmente oggi, una rivisi-tazione approfondita, dalla quale scaturirebbero senza dubbio la vitalita e la modernita delle considerazioni e delle riflessioni avanzate nella prima meta del Novecento. 2. I PRODROMI DELLA RIFLESSIONE TEORICA SUL DISCORSO POLITICO Ripercorrendo le fila degli studi teorico-applicati sul linguaggio politico, un posto di grande rilievo e rappresentato dalle prime riflessioni teoriche, propriamente dette, sullo 4 Cfr. l'interessante contributo di Chase (1938) sulla tirannia delle parole. statuto del discorso politico e sui criteri di identificazione e di riconoscimento di tale dimensione discorsiva, ricerca tipologica che verra affrontata soltanto nell'ultimo ven-tennio del Novecento. In primo luogo, non possiamo esimerci dal prendere in conside-razione le speculazioni di uno dei padri fondatori della semiotica come scienza, Charles William Morris (1938), che gia negli anni Trenta, sottolineando fortemente il carattere sociale dei processi segnici, aveva distinto le tre «dimensioni» della semiotica nella pragmatica, nella semantica e nella sintattica e ne aveva individuato le aree di competenza rispettivamente nell'esame dei rapporti dei segni con gli utenti, nell'analisi della relazio-ne dei segni con quanto e da essi significato e infine nello studio dei rapporti formali dei segni fra loro. Egli, precorrendo i tempi, nel suo famoso Signs, Language andBehavoir (Morris 1949 [1946]) si pose il problema di individuare una tipologia dei discorsi e giun-se ad una classificazione di ben sedici tipi di specializzazioni del parlare comune, carat-terizzati dalla maniera dominante di significare e/o dal loro principale uso segnico. Tra questi tipi viene annoverato anche il discorso politico come discorso di «maniera pre-scrittiva» e di «uso valutativo», in quanto prescriverebbe delle azioni con lo scopo di otte-nere il consenso ad una determinata organizzazione della societa; tuttavia resterebbe comunque la difficolta di una precisa identificazione del suo statuto, essendo intimamente connesso con molti altri generi di discorso. Risulta altrettanto problematico delimitare l'area del discorso propagandistico, poiché, simile per certi versi a quello politico, si serve anch'esso di altri tipi di lin-guaggi; secondo Morris anche quest'ultimo discorso e di «maniera prescrittiva», ma di «uso sistemativo», dato che rafforza le prescrizioni e le organizza mettendole in relazione con le altre. Va rilevato che, sempre nel lavoro in questione (Morris 1949 [1946]: cap. III, cap. IV § 10, cap. VI §§ 1-6), lo studioso americano distingue quattro principali aspetti del comportamento segnico, cioe quattro diverse maniere di significare: designativa, apprezzativa, prescrittiva e formativa. Un'interpretazione marxista delle idee semiotiche morrisiane venne tentata diversi anni piu tardi dal filosofo tedesco-orientale Georg Klaus (1964), il quale, introducendo un elaborato apparato concettuale, colloco il linguaggio politico in un contesto filosofico di natura strettamente gnoseologica. Egli, interessato soprattutto alla relazione pragmatica tra i segni e l'uomo, adotto la terminologia morrisiana relativa agli aspetti del segno linguistico, pubblicando nel 1971 un'opera (Klaus 1974 [1971]) che rappresento un reale contributo a una «scienza della propaganda». In questo testo, che si pose come riferi-mento generale per la teoria e per l'analisi applicata del linguaggio politico nella Repubblica Democratica Tedesca, vengono analizzate, secondo i principi della cibernetica, della teoria dell'informazione, della socio-psicologia empirica e della semiotica, i mezzi espressivi e le tecniche manipolatorie dei discorsi propagandistico-agitatorio e politico, di cui l'autore riporta innumerevoli esempi attinti in particolare dagli organi di stampa e dagli slogan nazisti, capitalistici e socialisti. Nel ventennio compreso tra il 1940 e il 1960 possiamo annoverare ben pochi lavo-ri tedeschi, tra questi ci limitiamo a menzionare solo Lutz Mackensen (1956): va rile-vato che la cospicua messe di studi inizia soltanto con il decennio successivo. In ogni caso, uno dei primi riferimenti metodologici imprescindibili per lo studio del linguaggio politico e della propaganda e rappresentato dal volume collettaneo americano Language of Politics. Studies in Quantitative Semantics, curato da Harold D. Lasswell e Nathan Leites (1979 [1949]), che, a un sessantennio dalla sua prima edizione, e ancora oggi un utile punto di partenza per la ricerca sulla persuasione politica e sulle comunica-zioni di massa. L'assunto centrale del libro, costituito da vari studi di carattere sia teorico sia applicato, e che «[...] il potere politico puo essere meglio compreso nella misura in cui se ne comprenda meglio il linguaggio; [...] che il linguaggio della politica possa essere utilmente studiato per mezzo di metodi quantitativi» (Lasswell e Leites 1979 [1949]: 27). Si deve infatti ad Harold D. Lasswell,5 considerato da Gianni Statera (1979: 7) uno dei «padri fondatori» della ricerca sulle comunicazioni di massa, la realizzazione intor-no agli anni Trenta della Content Analysis,6 tecnica largamente praticata dalla sociologia che, pretendendo di essere obiettiva e sistematica, descrive, quantifica, classifica i contenuti delle diverse manifestazioni comunicative (parole, simboli, miti, ecc.) in relazione ad una determinata audience, prescindendo pero in partenza dalle connessio-ni intertestuali e dalla grammatica «profonda» dei significati considerati. E bene ribadire che le prospettive lasswelliane, forzatamente limitate dalla stessa impostazione metodologica dell'«analisi del contenuto», in realta non possono pervenire all'universo di discorso, essendo circoscritte all'esame del solo contenuto manifesto del messaggio, quello cioe usualmente recepito dalla comunita linguistica di cui gli interpre-ti fanno parte. Muovendo dal principio per cui la comunicazione e lo strumento primo e ineludibile del potere, Lasswell attribui alla Content Analysis la possibilita di decodifi-care i modi della persuasione di massa tramite l'elaborazione di tecniche che costruisco-no categorie di contenuto entro cui classificare gli elementi del messaggio. Ovviamente ogni tecnica si differenzia dalle altre per le modalita con le quali le unita linguistiche vengono indicate, specificate e per i criteri che conducono alla for-mazione delle categorie. Considerando appunto la funzione basilare svolta dal linguag-gio, lo studioso statunitense distinse nel political myth la classe dei credenda, quella dei 5 La produzione di Lasswell è sterminata e riflette la molteplicità delle tecniche e delle direzioni di indagine che lo studioso sperimentö via via nella sua pionieristica opera, volta ad esplorare sempre nuovi metodi di analisi e moderne possibilità di ricerca interdisciplinare nella scienza politica: si accostö infatti sia agli strumenti psicoanalitici che a quelli marxiani, sia alla teoria elitistica italiana che alla filosofía di Whitehead, per citare solo alcune delle aree di interesse. Va segnalato che, quan-do divenne condirettore degli studi della Hoover Institution nella Stanford University, Lasswell diresse il progetto di ricerca RADIR (Revolution and Development of International Relations), fina-lizzato ad esaminare i simboli politici ed elitari dal 1890 al 1950. Per quanto riguarda più specifica-mente gli studi condotti sulla propaganda, cfr. Lasswell (1927a, 1927b, 1938, 1939, 1941, 1947); Lasswell, Casey, Smith (1935, 1946); Lasswell, Blumenstock Jones (1938, 1939a, 1939b). 6 Oltre ai lavori presenti in Lasswell, Leites (1979 [1949]), su Content Analysis e linguaggio politico, cfr. particolarmente Lasswell (1942, 1947, 1968); Lasswell, Janis et al. (1943). Come esempio clas-sico di varie applicazioni della Content Analysis, cfr. Pool De Sola (1959), specialmente le parti riguardanti la politica e la propaganda. Infine, sul metodo dell'«analisi del contenuto» e delle sue applicazioni, cfr. Janowitz (1968), Rositi (1970), De Lillo (1971), Statera (1974). miranda e infine le formule politiche, che prescrivono piu o meno dettagliatamente il contenuto della dottrina politica in modelli di potere particolari: nell'aspetto normativo della formula viene annoverata chiaramente anche la manifestazione di sottocodici contigui e a volte integrati, quali quello burocratico ed economico. Come esempio concreto dell'utilizzazione delle procedure dell'«analisi del conte-nuto» per esaminare il discorso del potere, giova menzionare la ricerca di Sergius Yakobson e Harold D. Lasswell (1979 [1949]) condotta sugli slogan sovietici prodotti per la festa del 1° maggio dal 1918 al 1943. Di questi ultimi venne attentamente stu-diata la variazione di frequenza dei simboli chiave classificati entro undici categorie di contenuto (simboli rivoluzionari, antirivoluzionari, nazionali, universali, ecc.), variazione ritenuta indicativa del corrispettivo mutamento dei valori sociali. La content Analysis, con l'adozione del metodo statistico, favor! largamente dagli anni Cinquanta in avanti tutta una serie di ricerche americane sulla frequenza di determi-nati usi comunicativi propri del comportamento del potere.7 Non e questa la sede idonea per un approfondimento dei principi teorici lasswel-liani, ma va certamente rilevata la diversa impostazione dei numerosi contributi; infatti bisogna osservare che esistono consistenti divergenze tra le applicazioni presentate in Language of Politics e, piu in generale, tra i criteri seguiti dallo stesso Lasswell e dagli altri studiosi. In altre parole, con le distinte tecniche dell'«analisi del contenuto», e possibile all'interno di una comunicazione registrare la presenza di alcuni items, oppure suddividere il messaggio, prevalentemente giornalistico in que-sto caso specifico, in unita omogenee di notizia,8 oppure ancora quantificare la fre-quenza di certi attributi, anche mettendo in relazione i significati reperiti con varia-bili sociologiche e psicologiche (atteggiamenti, giudizi, opinioni, ecc.). Peró, di fatto, rimane piuttosto vaga l'operazione che dovrebbe condurre alle inten-zioni dell'emittente, dato che la tecnica lasswelliana, in ultima analisi, e funzionale alla rilevazione delle caratteristiche del messaggio, secondo le modalita di decodifica proprie dell'analista. In ogni caso, bisogna riconoscere che le ricerche di Lasswell, anche con tutti i limiti che si possono rilevare, hanno l'innegabile merito non solo di avere identi-ficato nelle strategie comunicative, fin dal termine degli anni Venti - anni in cui si col-locano i primi lavori sulla propaganda bellica (Lasswell 1927a) - lo strumento primario di persuasione gestito dalle élites, ma soprattutto di aver tentato di fornire, con criteri per la prima volta metodologicamente determinati e dichiarati, una descrizione oggettiva (presunta o reale non importa dal nostro punto di vista) della produzione linguistica del potere inserita nel contesto comunicativo. Procedendo a grandi linee, e doveroso menzionare anche il breve, ma acuto arti-colo di George Orwell (1946), uscito immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, precisazione diacronica d'obbligo tanto piu che si deve constatare che in Gran 7 A tale proposito, cfr. Berelson (1952), cui si deve, oltre a Lasswell, la sistemática esposizione di tale approccio e Pool De Sola (1952). 8 A questo riguardo, cfr. l'analisi di Morin (1961), applicata alle modalita con cui la stampa france-se aveva reagito alla visita di Nikita Kruscev in Francia. Bretagna dal 1950 al 1980 almeno si ebbe, accanto al proliferare di studi politologici e sociologici, la pressoché totale assenza di indagini sul linguaggio político,9 ad ecce-zione del lavoro di R. N. Carew Hunt (1961 [1957]) e di pochi altri. Le osservazioni fatte da Orwell sul linguaggio della propaganda politica, anche se forse troppo con-nesse alla sua personale ideologia, sono piuttosto interessanti, riguardando i rappor-ti tra la lingua ufficiale inglese e la politica, con la conseguente trasformazione subita dalla lingua nei regimi totalitari. Tra l'altro l'autore osservo con attenzione l'uso, molto frequente nel sottocodice politico, dell'eufemismo di cui analizzo la forte carica connotativa, senza mancare di riportare diversi costrutti frasali, lessicali e retorici in determinati contesti e con fini persuasivi ben precisi. Il testo di Hunt succitato ha la veste di un ricco ed elaborato repertorio lessicale di ben cinquanta voci concernenti i piu noti concetti marxisti-leninisti, tra loro intimamente connessi e generalmente utilizzati dai comunisti nei loro discorsi. Tali termini, di cui vengono forniti date, fonti, definizioni metalinguistiche, valenza semantica e impiego pragmatico, si riscontrano negli scritti di Marx e di Engels, ma la loro larga diffusione va addebitata all'adozione che ne fecero successivamente Lenin e Stalin. Il criterio selettivo adottato fu la frequenza d'uso di queste espressioni nella stampa sovietica e nel giornale del Cominform dopo l'ultima guerra. Un discorso a parte merita invece il lavoro di Paolo Facchi (1960) sulla propaganda dei partiti politici italiani nelle elezioni del 1953 e del 1958, analizzate attraverso i moduli linguistici e argomentativi maggiormente persuasivi, utilizzati dalla stampa di partito a carattere nazionale per riportare i comizi e i programmi elettorali dei principali leaders. Sembra giusto sottolineare il carattere innovatore di questo studio che, uscito molti anni fa, recepi e applico in modo originale sia le contemporanee riflessioni di Ch. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca sui diversi tipi di argomenti, sia le teorie di A. McClung Lee sulle tecniche di manipolazione della propaganda. Si e tentato qui di ripercorrere i prodromi degli studi teorici e applicati sul linguaggio politico che influenzarono, direttamente o indirettamente, lo sviluppo di una tipologia discorsiva complessa e variegata, per antonomasia la piu sensibile ai mutamenti del corpo sociale e alle trasformazioni dei sistemi assiologici ed epistemici degli esseri umani. E pero soprattutto intorno agli anni Sessanta che questo settore di ricerca venne progressivamente investigato e incrementato, all'inizio attraverso il prevalente supporto metodologico dell'analisi lessico-semantica, poi tramite quei raffinati strumenti testuali, retorico-argomentativi, pragmatici e semiotici che le scienze del linguaggio e della comu-nicazione, come sappiamo, andarono ad elaborare e a potenziare nei decenni successivi sia in Europa che in America. 9 Su questo particolare fenomeno, cfr. Rossini Favretti (1980: 23). Bibliografia Adami, Eugenio (1939) La lingua di Mussolini. Modena: Societa Tipografica Modenese. 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Riassunto ORIGINI E SVILUPPI DELLE ANALISI E DELLE TEORIE SUL LINGUAGGIO POLITICO (1920-1960) Scopo di questo contributo e di ricostruire le origini e gli sviluppi degli studi, sia teorici che appli-cati, sul linguaggio politico dal 1920 al 1960, a cominciare dagli articoli di alcuni autorevoli formalisti russi pubblicati nel 1924 sulla rivista sovietica Lef. Vengono ripercorse le tappe fondamentali di questo interessante e complesso settore di studi, che vede, soprattutto negli anni Trenta, le prime analisi applicate indirizzate all'esame delle peculiarita stilistiche degli idioletti di tre capi carismatici che hanno fatto la storia del primo Novecento: Lenin, Hitler e Mussolini. Di tali linguaggi sono par-ticolarmente messi in luce quei tratti semantici e retorici che, lessicalizzati da parole d'ordine e slogan ad effetto, hanno reso possibile quel passivo e irrazionale rapporto popolo-capo che ha caratte-rizzato inquietanti regimi nel secolo scorso. Inoltre sono prese in considerazione le prime teorie novecentesche sulla specificita del discorso politico, del quale si tenta di identificare modi e usi, tenendo conto del comportamento segnico di questa particolare produzione linguistica. A tale riguardo, la teoria predominante e certamente quella della ContentAnalysis, che, a partire dagli anni 1930-1940 in avanti, sara il punto di riferimento metodologico per intraprendere ricerche, anche quantitative, sulla persuasione politica e sulle strategie comunicative di massa. Povzetek IZVOR IN RAZVOJ ANALIZ IN TEORIJ POLITIČNEGA JEZIKA (1920-1960) Prispevek skuša rekonstruirati izvor in razvoj tako teoretskega kot aplikativnega proučevanja političnega jezika v obdobju med 1920 in 1960, začenši s članki nekaterih pomembnih ruskih formalistov, ki so bili objavljeni leta 1924 v sovjetski reviji Lef. Predstavljene so glavne etape tega zanimivega in kompleksnega raziskovanja, v okviru katerega so se v 30. letih pojavile prve aplikativne analize slogovnih posebnosti idiolektov treh karizmatičnih voditeljev, ki so zaznamovali zgodovino prve polovice 20. stoletja, in sicer Lenina, Hitlerja in Mussolinija. Pri obravnavanju jezikov posameznikov je pozornost namenjena posebej tistim semantičnim in retoričnim značilnostim, na osnovi katerih se je prek leksikalizacije gesel s posebnimi učinki in sloganov lahko vzpostavil pasiven in iracionalen odnos med ljudstvom in voditeljem, ki je tipičen za nekatere skrb zbujajoče režime prejšnjega stoletja. V prispevku so nadalje obdelane prve teorije iz 20. stoletja, ki se posvečajo posebnostim političnega diskurza, pri katerem skušajo ugotoviti njegove različne vrste in rabe, upoštevaje znakovno vedenje te specifične jezikovne produkcije. Med temi teorijami je zagotovo najvažnejša content Analysis, ki od obdobja 1930-1940 naprej v metodološkem pogledu pomeni referenčno točko za raziskave (tudi kvantitativno naravnane) političnega prepričevanja in strategij množičnega komuniciranja. Magnus Petursson Universität Hamburg* UDK 81'243:37 WARUM SOLLEN WIR SPRACHEN LERNEN UND ERFORSCHEN? 1. EINLEITUNG Diese hartnäckige und immer wiederkehrende Frage, warum und wozu lernen und erforschen wir Sprachen, wird häufig gestellt. Obwohl es nicht den Anschein hat, ist dies eine sehr komplizierte Frage, auf die es keine einfache Antwort gibt und auch nicht geben kann. Trotzdem soll in diesem bescheidenen Beitrag versucht werden, auf diese Frage einige Antworten zu geben, weil selbst in Zeiten, in denen eng definierte wirtschaftliche Kriterien zum Maßstab aller Werte geworden sind, das Erforschen und Studieren von Sprachen eine sehr fruchtbare Tätigkeit ist. Sowohl aus gesellschaftlicher als auch aus wissenschaftlicher Perspektive ist Sprachen zu lernen eine Tätigkeit, die nicht nur lohnend ist, sondern auch durch keine andere Tätigkeit ersetzt werden kann. In diesem Beitrag möchten wir diesen Standpunkt begründen und die Aufmerksamkeit auf dieses Thema richten, das stark bisher vernachlässigt wurde, obwohl es sich letztendlich auch um einen bedeutenden sozialen und ökonomischen Faktor handelt. Sprache ist sowohl Forschungsgegenstand als auch Instrument für die Forschung. Darüber hinaus gehört Sprache zu unserem Alltag, da wir miteinander durch Sprache kommunizieren. In der Sprache drücken wir unsere Gefühle oder Meinungen aus. Durch die Sprache erfahren wir die Meinungen anderer, nehmen an Ereignissen in Gegenwart oder in Vergangenheit teil, und schaffen uns unsere eigene Gedankenwelt oder leben uns in die Gedankenwelt eines literarischen Werkes ein. Ein so umfassendes Thema kann in diesem Beitrag selbstverständlich nicht vollständig behandelt werden. Dazu würde ein ganzes Buch kaum genügen, aber stichwortartig soll hier die Aufmerksamkeit auf die Wichtigkeit dieses Themas gelenkt werden. 2. SPRACHERWERB UND KINDERSPRACHE Jeder gesunde Mensch besitzt eine Sprache, seine Muttersprache oder seine Erstsprache. Diese hat er normalerweise in den ersten Lebensjahren erworben. Der Spracherwerb war nicht mühelos, aber in dieser Sprache fühlt er sich jetzt sicher, um seinen Gefühlen, Gedanken und Meinungen Ausdruck zu geben. In dieser kommuniziert er ebenfalls mit den Menschen in seiner Umgebung und mit Menschen, denen er begegnet. Obwohl spielerische Elemente in dem Spracherwerb vielleicht eine gewisse Rolle spielen, wie einige Sprachforscher meinen (Pilch 1987), geschieht dieser nicht ohne * Anschrift des Autors: Haldesdorfer Str. 119 A, D-22179 Hamburg, Deutschland. Anstrengung. Vor dem eigentlichen Spracherwerb erwirbt das Kind das prosodische System und ebenfalls vor dem Spracherwerb muss das Kind eine Gurrphase und eine Lallphase hinter sich haben. In der Lallphase werden die Bewegungsabläufe der Sprechorgane trainiert. Das Kind testet alle Möglichkeiten seiner Sprechorgane, um Laute zu erzeugen und bereitet sich darauf vor, gewisse Laute in seiner künftigen Muttersprache zu verwenden. Offenbar werden die Laute auf der Grundlage der gehörten oder wahrgenommenen Laute ausgewählt und gestalten schließlich das Phonemsystem der Muttersprache. Obwohl alle möglichen Laute in der Lallphase vorkommen, haben Forschungen ergeben, dass die Sprechbewegungen häufiger ausgeführt werden, die später für die Bildung der Laute der Muttersprache erforderlich sind. Bewegungen, die für Laute erforderlich sind, die nie in der Muttersprache vorkommen, werden deutlich seltener ausgeführt. Diese Tatsache weist darauf hin, dass das Gehörte, d. h. die Sprache, welche in der Umgebung gehört wird, sehr früh im Erwerbsprozess bedeutsam wird. Dessen Rolle ist aber nicht vollständig geklärt. Es ist aber weitgehend geklärt, dass der Spracherwerbsprozess sehr systematisch abläuft. In seiner berühmten Untersuchung konnte Roman Jakobson (1941 [1972]) die Systematik des Erwerbs des Lautsystems des Kindes nachweisen und eine Verbindung zwischen der Kindersprache und den allgemeinen typologischen Eigenschaften von Sprachen herstellen. Gerade diese Systematik ist die Erklärung dafür, dass Kinder prinzipiell jede Sprache erwerben können. Sie sind nicht für eine bestimmte Sprache prädestiniert, sondern sie erwerben die Sprache, die sie in ihrer Umgebung erfahren. Die Lautstrukturen und die lautlichen Einheiten werden in der Kindersprache weitgehend in der gleichen Reihenfolge erworben, unabhängig davon welche Zielsprache das Kind erwirbt. Viele im Zusammenhang mit dem Spracherwerb gestellte Fragen bleiben aber ungelöst oder nicht zufriedenstellend beantwortet. Dazu gehört die Frage, warum bestimmte Elemente häufiger als andere vorkommen. Zwei Hauptthesen sind hierfür als Erklärung hervorgebracht worden. Einerseits die von Roman Jakobson in seinem soeben zitierten Werk, dass der maximale Kontrast das steuernde Prinzip sei. Danach werden die Elemente bevorzugt, die auf akustischer und artikulatorischer Ebene den größten Gegensatz aufweisen, welche dann auch am deutlichsten und einfachsten perzeptiv zu unterscheiden und artikulatorisch zu realisieren sind. Andererseits scheint auch das Prinzip zu gelten, dass die einfacheren Elemente vor den komplexeren erworben werden. Die Theorie der Natürlichkeit (Oresnik 2004) stellt dagegen fest, dass bestimmte Strukturen und Elemente in den Sprachen vorkommen, wenn sie natürlich sind. Die weniger natürlichen Elemente kommen seltener vor. Soweit ich es sehe, werden hierdurch keine Ursachen erklärt, sondern nur Tatsachen festgestellt. Die Erforschung der Kindersprache ermöglicht Einblicke in die Systematik und die Gesetzmäßigkeiten des Spracherwerbs und der Sprache überhaupt. Sie kann auch erklären, warum Sprachstrukturen so sind, wie sie in wirklichen Sprachen vorkommen und nicht anders. Und vor allem kann diese Kenntnis dafür eingesetzt werden, Kindern und Jugendlichen zu helfen, deren Spracherwerb nicht gesetzmäßig oder unregelmäßig abläuft. Die Kindersprache gleicht sich nach und nach der Erwachsenensprache an. Wie diese Angleichung im einzelnen geschieht und in welchem Alter sie vollzogen wird, ist wiederum ein Gebiet, in dem es viel zu erforschen gibt. Die Kindersprache ist aber alles andere als einfach oder primitiv. Während die Formenvielfalt in der ersten Zeit gering ist, ist das prosodische System sehr vielfältig und trägt zahlreiche semantische Elemente, die in der Erwachsenensprache durch Lexeme oder Morpheme ausgedrückt werden. Diese semantischen Einheiten werden im Verlauf der Entwicklung entweder an die Erwachsenensprache angeglichen oder sie werden eliminiert. Sie waren also nur Elemente der Kindersprache. In diesem Bereich gibt es noch viel zu erforschen. Die Erhebung authentischen Datenmaterials ist eine der großen Schwierigkeiten. Das Problem kann nur durch die Auswertung authentischen Datenmaterials gelöst werden. Nur begrenzt kann Material, das in experimentellen Versuchssituationen gesammelt wird, zur Erklärung der realen Verhältnisse herangezogen werden. Bestenfalls kann solches Material Hinweise darauf geben, in welche Richtung die Lösung gesucht werden soll. 3. DIE VIELZAHL VON SPRACHEN Wie viele Sprachen gibt es? Die Schätzungen schwanken zwischen 3500 und 6000 Sprachen (Crystal 2002: 3-4). Es können aber auch in der Fachliteratur noch höhere Zahlen gefunden werden. Was als Sprache zählt, hängt von den zugrunde gelegten Kriterien ab. Was wiederum als Sprache gilt und was als Dialekt gilt, muss auch geklärt werden. Im allgemeinen sind die Kriterien, um eine Sprachform als Dialekt einzustufen, nicht wissenschaftlicher Art, sondern politischer oder gesellschaftlicher Natur. Unter den gegenwärtig gesprochenen Sprachen ist die Formenvielfalt und die Kategorienvielfalt unwahrscheinlich groß (Corbett 1991; 2000; Cristoforo/Ramat 1999) und übersteigt bei weitem die Vorstellungen, die man haben könnte. Wenn dazu noch dokumentierte ausgestorbene bzw. rekonstruierte Sprachen gerechnet werden, ist die Vielfalt völlig überwältigend (Gippert 2003). Wichtig ist aber festzustellen, dass keine dieser Sprachen unter irgendeinem Gesichtspunkt einfach oder primitiv ist. Alle haben komplexe paradigmatische oder syntagmatische Strukturen. Prosodische Systeme von großer Kompliziertheit charakterisieren wiederum andere Sprachen. Von den bekannten Formen, in denen das Phänomen Sprache uns entgegentritt, kann keine Vorstellung davon gewonnen werden, wie eine primitive Sprache sein würde. Alle bekannten Sprachen werden durch die Arbitrarität des sprachlichen Zeichens charakterisiert, welche offensichtlich, so lange das Phänomen Sprache bekannt ist, ein fundamentales Prinzip geblieben ist. Sprachen sind prinzipiell verschieden. Dies müssen wissenschaftliche Theorien einkalkulieren. Trotz dieser Verschiedenheit kann jede Sprache in eine andere Sprache übersetzt werden, aber nicht Wort für Wort. Eine Übersetzung ist nur dann erfolgt, wenn der Text in einer Sprache in einer anderen Sprache gelesen werden kann. Der Übersetzer hat nur dann übersetzt, wenn er in der neuen Sprache den Text liest: Mit anderen Worten der Inhalt muss übersetzt werden. Diese Tatsache ist sehr bedeutend, weil sie darauf Hinweise gibt, dass das Wesen der Sprache vor allem in den semantischen Strukturen liegt. Diese können aber zur Zeit mit viel geringerer Genauigkeit als z.B. lautliche, syntaktische oder morphologische Strukturen beschrieben werden. Semantische Strukturen sind prinzipiell immateriell, benötigen jedoch eine materielle Basis, um verwirklicht werden zu können. Es ist auch nicht völlig geklärt, ob sie dem psychischen Manifestationsbereich der Sprache zuzurechnen sind. Wie sie materiell kodiert sind, ist weitgehend unbekannt und stellt zur Zeit eines der großen Probleme der Sprachwissenschaft dar. Sicher ist nur, dass die Kodierung in jeder Sprache auf verschiedene Formen erfolgt, welche dann lautlich realisiert werden. Allen Prozessen sprachlicher Kommunikation ist es gemeinsam, dass ihnen arti-kulatorische und physikalische Signale zugrunde liegen. In der Perzeption sind außerdem psychische Manifestationsbereiche der perzeptiven Qualitäten zu rechnen, welche nicht in die physikalische Kausalkette eingegliedert werden können, obwohl sie dazu in Beziehung stehen. Die Erforschung dieser Zusammenhänge steht noch am Anfang. Sie zu klären würde einen sehr großen Schritt bedeuten, der dazu führen könnte, die Natur eines so komplexen Kommunikationsmittels wie die menschliche Sprache zu verstehen. Dies ist im wahrsten Sinne des Wortes Grundlagenforschung, welche ungeahnte Anwendungsmöglichkeiten eröffnet. Es ist eine einfache Tatsache, die jedoch nicht immer gebührend beachtet wird, dass nichts angewandt werden kann, bevor es bekannt ist. Angewandte Sprachwissenschaft setzt grundlegende Kenntnis des Phänomens sprache voraus. Diese Kenntnis ist zum gegenwärtigen Zeitpunkt nicht in allen Bereichen in dem notwendigen Ausmaß vorhanden und kann nur durch Forschung erworben werden. 4. SPRACHE UND SPRACHKRANKHEITEN Die erworbene Sprache ist ein sehr empfindliches Gut, das in den sprachverarbeitenden Zentren des Gehirns lokalisiert ist (Springer/Deutsch 1995; gute allgemeine Übersicht geben Arnold (1970) und Luchsinger (1970)). Mühsam erworben ist die Sprachfunktion bzw. die Sprechfähigkeit, unter denen hier die Gesamtheit der mit Sprache verbundenen Fähigkeiten bzw. Tätigkeiten verstanden wird, leider auch sehr störanfällig. Verschiedene Erkrankungen können die Sprechfähigkeit ernsthaft gefährden oder sogar völlig blockieren. Die Aphasie ist die bekannteste aller Sprachkrankheiten. Sie tritt in verschiedenen Formen auf je nach dem, welche Gehirnzentren betroffen sind. Wenn es sich um Wortfindungsschwierigkeiten handelt, spricht man von Wernicke-aphasie; wenn es sich um Sprechbewegungsschwierigkeiten handelt, spricht man von Broca-aphasie. Wenn es sich um andere Krankheitsbilder handelt, werden sie entsprechend genannt (Peuser 1978). In der Aphasie ist das Lautsystem, das abgebaut wird, stark betroffen. Aber auch das prosodische System kann betroffen sein, obwohl dies seltener ist. Da das prosodische System vor dem segmentalen System erworben wird, ist es meistens stabiler und widerstandsfähiger. Wird es dennoch betroffen, hat es zur Folge eine kaum zu beschreibende Monotonie der sprachlichen Äußerungen. Wenn es so weit ist, dass das prosodische System betroffen wird, sind segmentale Einheiten meistens nicht mehr vorhanden. Wenn das gesamte Sprachsystem betroffen ist, spricht man von totaler Aphasie. Es kommen auch zahlreiche andere und feinere Unterschiede vor. Die Sprechapraxie, welche häufig in Verbindung mit Aphasie auftritt, weist auf Planungsschwierigkeiten beim Sprechen. Phonematische Paraphasien deuten darauf hin, dass das Phonemsystem betroffen ist, obwohl die Sprechbewegungen als solche möglich sind. Auch gehören stottern und Poltern zu bekannten Sprechstörungen. Sie können auf mehrere Ursachen zurückzuführen sein und sind daher häufig sehr schwer zu behandeln. Eine wichtige Erkenntnis ist, dass die Probleme der Patienten, die an Sprachkrankheiten leiden, nur teilweise medizinische Probleme sind. Sie sind in ebenso großem Ausmaß linguistische Probleme (Dressler/Stark 1988). Sie können und müssen sogar, wenn Aussicht auf Erfolg gegeben sein soll, mit linguistischen Methoden behandelt und gelöst werden. Der klinische Phonetiker und der klinische Linguist sind unverzichtbar, wenn es darum geht, Therapiepläne für die betroffenen Patienten zu entwerfen und eine linguistisch fundierte Diagnostik durchzuführen. Die Wiederherstellung der Sprache erfordert linguistische bzw. phonetische Methoden. Diese setzen wiederum voraus, dass ein gutes und tiefgreifendes Verständnis der Prinzipien, nach denen Sprache funktioniert, vorhanden ist. Das kann nur durch Phonetik und Linguistik erreicht werden (Dogil 1989). Die Phonetik und die Linguistik stellen bedeutende Behandlungsmethoden zur Verfügung, die im Gesundheitssektor eingesetzt werden können. Bisher ist diese Tatsache zu wenig zur Kenntnis genommen worden. Sie sollte aber dazu Anlass werden, das Studium der Sprachen zu intensivieren, weil nur durch tiefgreifende Kenntnis der Sprache, ihrer Funktionen und ihrer Beschaffenheit, es möglich ist, dieses empfindliche Kommunikationsmittel für Therapiezwecke gezielt und erfolgreich einzusetzen. 5. SPRACHE UND SPRACHENLERNEN Die Lateralisierung der Gehirnfunktionen geschieht sehr früh. Einige Forscher meinen sogar, dass sie bei der Geburt schon vorhanden ist. Den Gehirnarealen werden bestimmte Funktionen zugewiesen, die dann ab einem bestimmten Alter und bis zum Lebensende dort lokalisiert sind. Warum das so ist, ist bis jetzt nicht völlig geklärt, aber die Lateralisierung scheint mit Vorteilen verbunden zu sein, da nicht eine Koordination des gesamten Gehirns für alle Aktivitäten notwendig ist und die Reaktion daher in vielen Fällen schneller erfolgen kann. Zu den lateralisierten Aufgaben des Gehirns gehört die Sprache, die für die überwiegende Mehrheit der Menschen in der dominanten linken Hemisphäre lokalisiert ist. Seit langem hat sich die Menschheit Gedanken über die Beziehung zwischen Sprache und Gehirn gemacht wie die Geschichte der Etymologie dieses Begriffs zeigt (Liberman 2004). Was rätselhaft erscheint, wenn die Kindersprache betrachtet wird, ist, dass Sprache im Erwachsenenalter (etwa ab 16 Jahren) nicht mehr mit der intuitiven Methode des Kindes erworben werden kann. Auch wenn es unter Erwachsenen große Unterschiede in der Fähigkeit des Erwerbs einer neuen Sprache gibt, gilt grundsätzlich, dass eine neue Sprache nicht intuitiv erworben werden kann, sondern nur analytisch und bewusst. Es ist sogar möglich, aber auch hier gibt es große individuelle Unterschiede, dass eine neue Fremdsprache, die im Erwachsenenalter erworben wird, nicht in der gleichen Hemisphäre lokalisiert ist wie die Muttersprache. Die Hemisphären können sich die Aufgaben bezüglich einzelner Sprachen unterschiedlich aufteilen. Da dies so ist, führt es dazu, dass für den Fremdsprachenunterricht im Erwachsenenalter bestimmte Methoden entwickelt werden müssen. Es kann hier nicht darum gehen, eine Methodendiskussion zu führen. Dafür soll der Hinweis auf Edmondson/House (1993) ausreichend sein. Als allgemeine Feststellung gilt jedoch festzuhalten, dass der Erwerb einer Fremdsprache von vielen Faktoren abhängt. Die Motivation des Lernenden ist ein sehr bedeutsamer Faktor, der Methodendefizite überwindet und sogar unter sehr ungünstigen Bedingungen zum Erfolg führt. Die Motivation muss als ein äußerer nicht vorhersehbarer Faktor gelten. In dem Erwerb einer neuen Sprache im Erwachsenenalter sind Kenntnisse der Grammatik und der Linguistik von großer Bedeutung, da solche Kenntnisse den Spracherwerbsprozess erheblich verkürzen und erleichtern. Sie unterstützen das analytische Denken und erleichtern dem Erwachsenen den bewussten Spracherwerb zu steuern und zu festigen. Aber die Unterrichtsmethoden sind nicht sprachunabhängig, auch wenn ihnen gewisse allgemeine Prinzipien zugrunde liegen. Je nachdem welche Sprachen als Zielsprache gelernt werden sollen, müssen bestimmte Aspekte stärker betont werden als andere. Mit anderen Worten die Methoden müssen nach der zu erwerbenden Sprache definiert und angepasst werden. Auch die Zielsetzung definiert die Methode. Wenn es nur um die Lesefähigkeit in der Fremdsprache gehen soll, ist die Methode eine andere als wenn die mündliche Kommunikationsfähigkeit das Ziel der Fremdsprachenerwerbs sein soll. In einer Zeit der Internationalisierung wie der heutigen ist die mündliche Kommunikationsfähigkeit in einer Fremdsprache ein sehr wichtiges Ziel. Es ist sehr wichtig, bewusst und zielgerichtet Lautdiskrimination in der Fremdsprache zu lehren und auf die Unterschiede hinzuweisen, die zwischen der Fremdsprache und der Muttersprache bestehen. Das Hörvermögen und die Hördiskriminationsfähigkeit müssen geschult werden (Schiller and Meyer 2003). Für dieses Ziel bietet das Sprachlabor einen unverzichtbaren Rahmen. Wenn größere Kenntnisse erworben worden sind, wird der Lernende diese automatisch einsetzen. Lernen einer Fremdsprache ermöglicht nicht nur den Erwerb einer neuen Kultur. Im günstigen Falle wird der Lernende sich sogar mit der neuen Kultur und der mit ihr verbundenen Gedankenwelt identifizieren. Er wird durch die Fremdsprache auch auf die Besonderheiten und Werte der Muttersprache aufmerksam gemacht. Er kann dadurch sein Sprachbewusstsein in der Muttersprache vertiefen und auch auf diese Weise besser in die Gedankenwelt der Sprache eindringen. Der Erwerb einer Fremdsprache verstärkt die Persönlichkeit und kann ein Beitrag zur Persönlichkeitsenwicklung sein. Er kann ebenso zur Weitsicht und Offenheit beitragen. Dies müssen als positive Faktoren gelten, in einer Zeit, in der die Kontakte unter Sprechern vieler Sprachen so intensiv geworden sind. 6. SPRACHE UND GEHIRNFORSCHUNG Eine Sprache zu sprechen ist keinesfalls eine triviale Feststellung oder eine unbedeutende Tatsache. Eine Sprache zu sprechen ist eine intellektuelle Höchstleistung, die angesichts der Kompliziertheit der Sprache bewundernswert ist. Eine Sprache zu sprechen geht weit darüber hinaus, was in der traditionellen Betrachtungsweise als Phonetik oder Sprachwissenschaft verstanden wurde. Hier ist es wichtig, sich an die Feststellung von Gerold Ungeheuer (1993: 107) zu erinnern, dass die Grenzen der Wissenschaften nicht künstlich herbeigeführt werden sollten. Sie sollten durch die Aufgabenstellung definiert werden oder sich durch die Aufgabenstellung sozusagen von selbst ergeben. In einer typischen Grenzwissenschaft wie der Phonetik ist dieser Gesichtspunkt besonders wichtig. Sprechen ist ein außerordentlich komplizierter Vorgang, der viele Gegensätze simultan beinhaltet. Wie Ferdinand de Saussure in seinem posthumen Werk Cours de linguistique générale (1916 [1972]) mit seinen berühmten Dichotomien zum Ausdruck brachte, gilt dies auch für die Sprache. In neuerer Zeit hat Gunnar Fant (1977) diesen Gedanken wieder aufgegriffen, erweitert und darauf hingewiesen, dass Sprechen gleichzeitig diskret und kontinuierlich, deutlich und undeutlich, schnell und langsam, einfach und kompliziert ist. Es ist nicht möglich, den einen Aspekt untersuchen zu wollen und den anderen zu ignorieren. Beide Aspekte müssen untersucht werden, wenn eine einigermaßen ganzheitliche Vorstellung des Sprechens erreicht werden soll. Das ist aber nicht alles, denn Sprechen impliziert nicht nur Sprechbewegungen und Akustische Artikulation im Sinne von Ungeheuer (1993: 116), sondern auch kognitive Fähigkeiten. Unmittelbar an diese Tatsache verknüpft stellt sich die Frage nach der Informationsverarbeitung durch Sprache. Wie läuft die Informationsverarbeitung bzw. Informationsspeicherung durch Sprache ab? Wie arbeitet das Gehirn, um Information durch Sprache zu speichern und zu verarbeiten? Ist die Arbeitsweise des Gehirns für verschiedene Sprachen unterschiedlich? Gibt es Sprachen, in denen die Informationsverarbeitung schneller und leichter vor sich geht als in anderen Sprachen? Verarbeitet das Gehirn die Information auf die gleiche Weise in der Muttersprache und in einer Fremdsprache? Ist die Informationsverarbeitung durch Sprache anders als z. B. in der Mathematik? Dies sind alles Fragen von großem Interesse, die bisher keine befriedigende Antwort gefunden haben. Die traditionelle Sichtweise der Lokalisierung der Sprache in bestimmten Gehirnarealen ist zwar nicht aufgegeben worden, aber neuere Untersuchungen zeigen, dass eine Verbindung oder Vernetzung zu anderen Gehirnarealen vorhanden ist. Sprachliche Tätigkeit erfordert in vielfacher Weise eine Verbindung und ein Zusammenwirken vieler Gehirnareale, weit über das hinaus, was man zunächst gedacht hatte. Mit modernen nicht invasiven Methoden ist es möglich nachzuweisen, welche Gehirnareale aktiv sind und welche passiv bleiben, wenn sprachliche Tätigkeit abläuft, aber im einzelnen werden die Informationsverarbeitungsprozesse nicht vollständig verstanden. Untersuchungen zur Informationsverarbeitung sind bisher nur an wenigen Sprachen durchgeführt worden. Die Informationsverarbeitung kann aber kaum der Grund dafür sein, dass Sprachen unterschiedlich sind. Wäre sie das Kriterium, sollten alle Sprachen mehr oder weniger gleich sein. Sprachen sind aber prinzipiell verschieden. Es muss also andere Ursachen als die Informationsverarbeitung dafür geben, dass Sprachen so verschieden sind. Gerade die Verschiedenheit von Sprachen gibt uns eine Vorstellung davon, was in der Sprache möglich ist. Sie zeigt uns ebenfalls einige Möglichkeiten des menschlichen Gehirns, Information durch Sprache zu verarbeiten. Deshalb ist der Verlust einer Sprache nicht nur der Verlust einer Kultur, sondern schränkt auch die Möglichkeit der Wissenschaft ein, die kognitiven Kapazitäten des menschlichen Gehirns zu erforschen. Durch die Sprache sind wir im Besitz eines unvergleichbaren Instruments zur Erforschung des Gehirns. Mit etwas Zuversicht ist vielleicht vorauszusehen, dass die Frage nach dem Ursprung des menschlichen Geistes eines Tages gestellt werden kann. Wie entsteht Geist aus Materie? So könnte die Frage lauten. Wenn diese Frage gestellt werden und sogar vielleicht gelöst werden kann, kann dies nur mittels der Sprache geschehen. Dies ist im wahrsten Sinne des Wortes Grundlagenforschung und wird einerseits ungeahnte Möglichkeiten im wissenschaftlichen Bereich und andererseits im anwen-dungsbezogenen Bereich eröffnen. Dieser Forschungsbereich ist bisher stark vernachlässigt worden, aber seine Bedeutung ist vergleichbar mit dem der Teilchenphysik, welcher die Frage nach dem Ursprung und dem Wesen der Materie stellt oder der Astronomie, die nach dem Ursprung des Universums forscht. Große Mittel werden in die Forschung in der Luft- und Raumfahrt gesteckt. Mindestens den gleichen Stellenwert sollte die Forschung des menschlichen Gehirns und die Forschung in anderen Bereichen haben, in denen Sprache als Forschungsinstrument eingesetzt wird. 7. SCHLUSSFOLGERUNG Sprachen zu erforschen ist eine Aufgabe, die noch in den Anfängen steht, obwohl Sprachforschung eine lange Tradition hat (Malmberg 1991; Ottmer 2003). Einige Aspekte können sogar als beinahe unbekannt angesehen werden. Dazu gehört das Problem der Schnelligkeit der Informationsverarbeitung durch das Gehirn. Wegen der bewundernswerten Geschwindigkeit, mit der das Gehirn die sprachlichen Informationen verarbeitet, ist die Erforschung des Bereichs der Informationsverarbeitung im Gehirn außerordentlich kompliziert und schwierig. Die Zukunft wird zeigen, wie dieses Problem gelöst werden kann. Um hier zuverlässige Resultate zu erreichen, ist das Mitwirken von Sprachwissenschaftlern unerlässlich. Unsere Schlussfolgerung wäre daher, dass die Sprachforschung nicht eingeschränkt werden soll. Sie muss, ganz im Gegenteil, erweitert werden und ist ein sozialer und wirtschaftlicher Faktor ersten Ranges, obwohl sie nicht direkt in Handelsware umsetzbar ist. 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Miszellaneen, Fragmente, Aufzeichnungen. Aus dem Nachlass. Stuttgart: Franz Steiner Verlag. Zusammenfassung WARUM SOLLEN WIR SPRACHEN LERNEN UND ERFORSCHEN? In Zeiten, in denen ein einseitig eng definierter Begriff der Wirtschaftlichkeit zum Maßstab aller Dinge geworden ist, wird in dem vorliegenden Artikel argumentiert, dass auch „Sprachenlernen" durchaus als ökonomischer Faktor betrachtet werden kann. Sprachen zu lernen ist für viele Menschen ein Element der Selbsterfüllung und Zufriedenheit, vielleicht sogar des Glücks, das in der menschlichen Gesellschaft nicht nur als sehr wichtig, sondern auch als Element gesellschaftlicher Stabilität betrachtet werden kann. Darüber hinaus liefert uns das Erforschen der Sprache den Schlüssel zum Verständnis, wie das Gehirn als informationsverarbeitendes Organ funktioniert und stellt die wichtige Frage, ob die Informationsverarbeitung in allen Sprachen gleich abläuft, oder ob es Unterschiede gibt und wie diese zu erklären sind. Letztendlich wird es nur durch die Sprache erklärt werden können, wenn es überhaupt erklärt werden kann, wie Geist aus der Materie entsteht. Diese fundamentale Frage kann nur eine Antwort durch das Verstehen des Mechanismus der menschlichen Sprache erfahren. Povzetek ZAKAJ SE MORAMO UČITI JEZIKOV IN JIH RAZISKOVATI Z mislijo na čas, ko je enostransko in ozko opredeljeni pojem gospodarnosti postal merilo vsega, se v tem članku argumentira, da se tudi „učenje jezikov" lahko šteje za ekonomski dejavnik. Učenje jezikov je mnogim prvina samoizpolnitve in zadovoljstva, morda celo sreče, kar vse v človeski družbi ni le zelo pomembno, temveč se lahko šteje tudi za prvino družbene stabilnosti. Razen tega nam raziskovanje jezika nudi ključ do razumevanja, kako možgani (kot organ, ki obdeluje podatke) delujejo, in odpira pomembno vprašanje, ali obdelava podatkov poteka v vseh jezikih enako - ali pa so v tem pogledu razločki, in kako se slednji razložijo. Navsezadnje se bo dalo samo z jezikom razložiti (če se sploh razložiti da), kako duh nastane iz materije. To temeljno vprašanje more dobiti odgovor samo, če dojamemo mehanizem človeškega jezika. Janez Orešnik University of Ljubljana* UDK 81'367 TRANSITIVITY IN NATURAL SYNTAX: ERGATIVE LANGUAGES Natural Syntax is a (developing) deductive linguistic theory that determines the presuppositions on the basis of which a (morpho)syntactic state of affairs can be made predictable, and thus synchronically explained. The two basic kinds of presuppositions are what are known as naturalness scales and rules of alignment among corresponding values of any two scales. Every (morpho)syntactic state of affairs is represented by two comparable variants. Natural Syntax contains no generative component. I begin by listing the criteria with which Natural Syntax substantiates naturalness scales: (a) The parameter of favourable for the speaker and of favourable for the hearer. What is favourable for the speaker is more natural, the speaker being the centre of communication. This view of naturalness is commonplace in linguistics (Havers 1931: 171), under the names of tendency to economize (utilized first of all by the speaker) and tendency to be accurate (mainly in the hearer's interest). (b) The principle of least effort (Havers 1931: 171). What conforms better to this principle is more natural for the speaker. What is cognitively simple (for the speaker) is easy to produce, easy to retrieve from memory, etc. (c) Degree of integration into the construction. What is better integrated into its construction is more natural for the speaker. (d) Frequency. What is more frequent tokenwise is more natural for the speaker. What is cognitively simpler (for the speaker) is used more. (However, the reverse does not obtain: what is natural for the speaker is not necessarily more frequent.) (e) Small vs. large class. The use of (a unit pertaining to) a small class is more natural for the speaker than the use of (a unit pertaining to) a large class. During speech small classes are easier for the speaker to choose from than are large classes. (f) The process criterion. Any process is natural. Only movement requires special comment. Given a construction, movement of a unit to the left is more natural for the speaker than movement of a unit to the right. (Movement to the left is more natural than non-movement; movement to the right is less natural than non-movement.) (g) Acceptable vs. non-acceptable use. What is acceptable is more natural for the speaker than what is not acceptable. The very reason for the acceptability of a syntactic unit is its greater naturalness for the speaker with respect to any corresponding non-acceptable unit. * Author's address: Filozofska fakulteta, Oddelek za primerjalno in splošno jezikoslovje, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: janez.oresnik@sazu.si (h) What is more widespread in the languages of the world is more natural for the speaker (the typological criterion). What is cognitively simpler (for the speaker) is realized in more languages. The basic format of our naturalness scales is >nat (A, B), in which A is favourable for the speaker and B is favourable for the hearer. A and B are the "values" of the scale. Two expanded scales are allowed, viz. >nat (A + B, B) and >nat (A, A + B); they are valid if the corresponding scale of the format >nat (A, B) is valid. Exemplification below. The above criteria of naturalness (henceforth, axioms) are utilized to support our naturalness scales. Normally it suffices to substantiate any scale with one criterion, which backs up either value A or value B of the scale; the non-supported value is allotted the only remaining position in the scale. Of course, a scale may be supported with more than one criterion. Any clash among the criteria applied to a scale is to be handled with constraints on the combinations of criteria. So far only a few constraints have been formulated; I have not yet encountered much useable crucial language data. The naturalness scales are an essential part of what are known as deductions, in which Natural Syntax expresses its predictions about the state of affairs in language data. An example of a deduction: English. The numerical indication of frequency normally consists of a cardinal number followed by the word times (e.g., four times) except that there are one-word expressions available for the lowest numbers: once, twice and archaic thrice (Collins Cobuild 1990: 270-271). The two variants: the type once and the type four times. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (type once, type four times) I.e., the type once is more natural than the type four times. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (low, non-low) / number I.e., any low number is more natural than any non-low number (Mayerthaler 1981: 15). - Low numbers are more easily accessible to the speaker. According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment of corresponding values: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. See Note 4.1 below. 3. The consequences: If a language distinguishes between low and non-low numbers in numerical indications of frequency such that one kind of number uses the pattern four times and the other kind of number uses the pattern once, it is the low numbers that tend to use the pattern once and it is the non-low numbers that tend to use the pattern four times. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Notes 4.1. Value A of scale 1.1 (= the type once) tends to combine with value C of scale 1.2 (= low number). Value B of scale 1.1 (= the type four times) tends to combine with value D of scale 1.2 (= non-low number). Similarly in the remaining deductions, with the proviso that the alignment (unlike here) is chiastic in most cases. Chiastic alignment is explained below. 4.2. Natural Syntax cannot predict the cut-off point between low and non-low numerals. 4.3. The consequences (item 3 of any deduction) are meant to be universal statements. In some cases I could not avoid mentioning language-particular data. This deduction maintains that the state of affairs cannot be the reverse; i.e., that numerals above two (or three) would be one-word formations and that numerals under three (or four) would be two-word formations. All predictions of Natural Syntax are restricted to such modest claims about the unlikelihood of the reverse situation. In every deduction, the rules of alignment play a prominent role; compare item 2 in the above deduction. The alignment rules regulate the combinations of corresponding values of the two naturalness scales mentioned in the deduction. The alignment can be parallel or chiastic. Suppose that the two scales are >nat (A, B) and >nat (C, D). Parallel alignment pairs value A with value C, and value B with value D. Chiastic alignment pairs A with D, and B with C. A paramount question is when the alignment is parallel and when chiastic. Parallel alignment is the default case. Chiastic alignment is necessary whenever a given deduction is limited to the language data obtaining within an "unnatural environment". This is defined as value B of the scale >nat (A, B). An example. In the scale >nat (main, dependent) / clause, the value "dependent clause" is an unnatural environment. This means: all deductions whose language data lie within the environment "dependent clause" require the implementation of chiastic alignment. Chiastic alignment is prohibited when a naturalness scale is substantiated with an axiom. If, however, an axiom is engaged as one of the scales in a deduction, it obeys the usual distribution of the alignment rules. The insistence of Natural Syntax on the distinction between parallel and chiastic alignments stems indirectly from the work of Henning Andersen within markedness theory. Andersen observes situations such as the following in all human semiotic systems: on an everyday occasion casual wear is unmarked and formal wear marked; on a festive occasion it is the formal wear that is unmarked, whereas casual wear is marked. See Andersen 1972: 45, especially fn. 23. This example expressed with our scales: (i) >nat (casual, formal) / wear, (ii) >nat (-, +) / marked. A third scale as the source of the environment of the deduction: >nat (everyday, festive) / occasion. If the environment is "everyday occasion", the alignment within (i—ii) is parallel; if the environment is "festive occasion", the alignment within (i—ii) is chiastic. Natural Syntax is a deductive theory and therefore my obvious chief aim is to disprove the theory. The (likewise obvious) strategy used is twofold: (1) the formal apparatus of the theory is gradually more and more constrained, and (2) I search for counterexamples that could not be eliminated by changing the theory in a principled way. Unfortunately my endeavour has not yet borne fruit. This paper treats some examples of transitivity in Hopper & Thompson (1980; henceforth H&T) utilizing the apparatus of Natural Syntax. The exemplification will be limited to (preponderantly) ergative languages. Due to space limitations, accusative languages (also discussed in H&T) are relegated to another paper. H&T's examples are reproduced below faithfully. H&T's descriptions of the language data (accompanying the examples) are reworded here in a terse, but hopefully not distorted, form. H&T demonstrated a great deal of parallelism in the structure and interpretation of their data. This feature has been further strengthened in my text through a purposefully schematic (some might say tedious) presentation. An important source of inspiration was Dixon (1994). It is necessary to first set up the following naturalness scale: >nat (intransitivity, transitivity); i.e., intransitivity is more natural than transitivity. The scale is supported by the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms: the number of core participants is usually smaller in intransitive constructions than in transitive ones. The right value of the scale (= transitivity) constitutes an unnatural environment. Consequently, all deductions limited to this environment require chiastic alignment among the corresponding values of the scales utilized in such deductions. Almost all of H&T's examples adduced below consist of a pair each: one member is an ergative construction and the other member is an antipassive. One property of antipassive constructions is that they are invariably detransi-tivized with respect to their corresponding ergative constructions. My work suggests that it is necessary to distinguish two degrees of detransitivization: (A) Weak detransitivization. The antipassive construction remains transitive. Together with the corresponding ergative construction, it is located within the unnatural environment "transitivity" and requires chiastic alignment. (B) Strong detransitivization. The antipassive construction becomes truly intransitive and, unlike the corresponding ergative construction, is not situated within the unnatural environment "transitivity" and hence requires parallel alignment (unless some other unnatural environment intervenes). Weak detransitivization obtains when the crucial arguments of the verb are restricted to the ergative and the absolutive/nominative case; or when the patient is incorporated into its verb. In all other instances the detransitivization is strong. The incorporation of the patient into the verb does not lead to the patient's loss of participant status. The patient preserves its participant status even when the incorporation is complete; i.e., the patient becomes a morpheme of the verb. See the example in deduction (1) below. The argumentation in favour of this position is found in Sadock (1980: 306-313, on Greenlandic Eskimo). It is unclear why the distinction between weak and strong detransitivization obtains. To the best of my knowledge, this distinction has not previously been noticed. Within ergative languages, the following two unnatural environments are essential: (1) "transitivity" and (2) "patient". The environment "transitivity" is culled from the scale >nat (intransitivity, transitivity) mentioned above. The environment "patient" is culled from the scale >nat (agent, patient), supported by the circumstance that the speaker (the centre of communication) is often the agent (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). It follows quite clearly from the deductions below that the "patient" creates an unnatural environment only when one or more of its syntactic features are at stake. For instance, when the movement or the grammatical case of some patient is discussed, the patient constitutes an unnatural environment. When some semantic property of a patient is discussed, that patient does not form an unnatural environment (in the syntactic framework of Natural Syntax). Perhaps it would be otherwise in semantic deductions. Such behaviour of the patient presumably also obtains in accusative languages, where, however, the behaviour is masked due to the circumstance that the patient invariably participates in deductions involving chiastic alignment anyway because all pertinent deductions proceed in the unnatural environment "transitivity". As mentioned above, this does not apply so consistently to the patients of ergative languages. I begin with the following deduction not taken from among H&T's examples: (0) Ergative languages. The sample of ergative languages adduced below suggests that the weakly detransitivized antipassive is rarer in the ergative languages than the strongly detransitivized antipassive. The two variants: strongly and weakly detransitivized antipassive. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (strongly, weakly) / detransitivized antipassive I.e., the strongly detransitivized antipassive is more natural than the weakly detransitivized antipassive. - The strongly detransitivized antipassive has more features of intransitive constructions than the weakly detransitivized antipassive. (The naturalness of intransitive constructions is based on the circumstance that they code fewer core participants than transitive constructions.) According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (more, less) / widespread in languages I.e., what is more widespread in languages is more natural than what is less widespread. - This is the typological criterion itself, item (h) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If languages distinguish between strongly and weakly detransitivized antipassives such that one option is more widespread in languages and the other option is less widespread, then it is the strongly detransitivized antipassive that tends to be more widespread and it is the weakly detransitivized antipassive that tends to be less widespread. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) I continue with the discussion of H&T's examples in the format of deductions: (1) = H&T (16). Chukchee. In the ergative clause the agent assumes the ergative case, the verb is marked as transitive and the +referential patient assumes the absolutive case. In the antipassive clause the patient is -referential, the agent assumes the nominative case, the verb is marked as intransitive and the patient is incorporated into the verb. Tumg-e friends-ERG set-TRANS na-ntawat-an kupre-n. net-ABS 'The friends set the net.' Tumg-at friends-NOM KOPRA-ntawat-G?AT. net-set-iNTR 'The friends set nets.' The antipassive clause is weakly detransitivized: the agent assumes the nominative case and the patient is incorporated into its verb. The following deductions (1i-iii) proceed in the unnatural environment "transitivity", and consequently require chiastic alignment. Deduction (1i) deals with the relationship between the referentiality of the patient and the case of the agent. The subject matter of deduction (1ii) is the relationship between the referentiality of the patient and the incorporation of the patient. I do not have enough information about the two verbs na-ntawat-an and ntawat-g?at to be able to formulate a deduction involving them. Mutatis mutandis this remark is also valid for all the following deductions. (1i) The two variants: the +/-referential patient. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+, -) / referential patient I.e., +referential is more natural than -referential. - The speaker (as the centre of communication) is +referential (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / case of agent I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is zero coded (cf. Mayerthaler et al. 1998: 102 on the ergative and absolutive cases) and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between +referential and -referential patients such that one is accompanied by the ergative case of the agent and the other is accompanied by the nominative case of the agent, then it is the +referential patient that tends to be accompanied by the ergative case of the agent and it is the -referential patient that tends to be accompanied by the nominative case of the agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (1ii) The two variants: the +/-referential patient. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+, -) / referential patient I.e., +referential is more natural than -referential. - The speaker (as the centre of communication) is +referential (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (+, -) / incorporated patient I.e., an incorporated patient is more natural than a non-incorporated patient. -According to the criterion of integration into construction, item (c) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between +referential and -referential patients such that one is incorporated into its verb and the other is not incorporated, then it is the +ref-erential patient that tends not to be incorporated and it is the -referential patient that tends to be incorporated into its verb. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (2) = H&T (19). Tongan. A number of verbs use the ergative construction. In such cases, any -referential patient is incorporated into its verb (i.e., moved from the canonical position of the patient to contact with the verb) and the agent assumes the absolutive case. Na'e kai 'e sione 'a e ika. past eat erg John abs def fish 'John ate the fish.' Na'e kai ika 'a sione. past eat fish ABS John 'John ate fish.' The antipassive clause is weakly detransitivized: the agent assumes the absolutive case and the patient is incorporated into (moved next to) its verb. The following deductions (2i-ii) proceed in the unnatural environment "transitivity" and consequently require chiastic alignment. The subject matter of deduction (2i) is the relationship between the referentiality of the patient and the incorporation of the patient. Deduction (2ii) deals with the relationship between the referentiality of the patient and the case of the agent. (2i) The two variants: the +/-referential patient. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+, -) / referential patient I.e., +referential is more natural than -referential. - The speaker (as the centre of communication) is +referential (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (+, -) / incorporated patient I.e., an incorporated patient is more natural than a non-incorporated patient. -According to the criterion of integration into construction, item (c) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between +referential and -referential patients such that one is incorporated into its verb and the other is not incorporated, then it is the +ref-erential patient that tends not to be incorporated and it is the -referential patient that tends to be incorporated into its verb. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (2ii) The two variants: the +/-referential patient. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+, -) / referential patient I.e., +referential is more natural than -referential. - The speaker (as the centre of communication) is +referential (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, ergative) / case of agent I.e., an absolutive agent is more natural than an ergative agent. - The absolutive is zero coded and the ergative is not zero coded (Mayerthaler et al. 1998: 102). The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between +referential and -referential patients such that one is accompanied by the ergative case of the agent and the other is accompanied by the absolutive case of the agent, then it is the +referential patient that tends to be accompanied by the ergative case of the agent and it is the -referential patient that tends to be accompanied by the absolutive case of the agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (3) = H&T (38). Tongan. The ergative clause takes a totally affected patient, whereas the antipassive clause takes a partially affected patient. Na'e kai-i 'a e ika 'e he tamisi'i. PAST eat-TRANS ABS def fish erg the boy 'The boy ate the fish.' Na'e kai 'a e tamisi'i 'i he ika. past eat ABS def boy obl the fish 'The boy ate some of the fish.' Deduction (3i) treats the relationship between the type of patient and the case of the agent. Deduction (3ii) treats the relationship between the type of patient and the case of the patient. (3i) The two variants: partially and totally affected patients. - The patient of the latter example is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransi-tivized. Hence deduction (3i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (partially, totally) / affected patient I.e., a partially affected patient is more natural than a totally affected patient. - A totally affected patient has a more salient referent (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, ergative) / case of agent I.e., an absolutive agent is more natural than an ergative agent. - The absolutive is zero coded and the ergative is not zero coded (Mayerthaler et al. 1998: 102). The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between partially and totally affected patients such that one patient combines with an absolutive agent and the other patient combines with an ergative agent, then it is the partially affected patient that tends to combine with an absolutive agent and it is the totally affected patient that tends to combine with an ergative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Note. On the connection between foregrounding and components of transitivity, see H&T (279 ff.). (3ii) The two variants: partially and totally affected patients. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient" and hence requires chiastic alignment. The unnatural environment is culled from the scale >nat (agent, patient) supported by the circumstance that the speaker (the centre of communication) is usually the agent (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). In spite of the special role of the patient in ergative languages (as opposed to accusative languages), the patient keeps its slot B of the scale even in ergative languages. Because naturalness scales are presupposed to reflect the activities of the human brain, naturalness scales cannot assume different shapes in dependence on the language type (the language type does not co-vary with the activities of the human brain). 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (partially, totally) / affected patient I.e., a partially affected patient is more natural than a totally affected patient. -A totally affected patient has a more salient referent (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, oblique) / patient I.e., an absolutive case is more natural than an oblique case. - The absolutive is zero coded, and an oblique case much less often. The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between partially and totally affected patients such that one patient takes an oblique case and the other patient takes the absolutive case, then it is the partially affected patient that tends to take an oblique case and it is the totally affected patient that tends to take the absolutive case. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (4) = H&T (52). Samoan. The antipassive and ergative constructions. The contrast between durative and punctual action is expressed through the contrast between (i) the agent in the absolutive and ergative case, and (ii) the oblique patient and the patient next to the verb. Sa manatu le tama i le teine. tense think the boy obl the girl 'The boy thought about the girl.' Sa manatu-a le teine e le tama. tense think-TRANS the girl erg the boy 'The boy remembered the girl.' (4i) The two variants: durative and punctual acts. - The patient of the former (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransitivized. Thus deduction (4i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chi-astic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (durative, punctual) / act I.e., a durative act is more natural than a punctual act. - The referent of a punctual act is more salient (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, ergative) / case of agent I.e., an absolutive agent is more natural than an ergative agent. - The absolutive is zero coded and the ergative is not zero coded (Mayerthaler et al. 1998: 102). The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between durative and punctual acts such that one act takes the absolutive as the case of the agent and the other act takes the ergative as the case of the agent, then it is the durative act that tends to take the absolutive as the case of the agent and it is the punctual act that tends to take the ergative as the case of the agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (4ii) The two variants: durative and punctual acts. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient" and hence requires chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (durative, punctual) / act I.e., a durative act is more natural than a punctual act. - The referent of a punctual act is more salient (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (+, -) / movement of patient to the left I.e., movement of the patient to the left is more natural than its non-movement. - According to the process criterion, item (f) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between durative and punctual acts such that one act is combined with the movement of the patient to the left and the other act is not combined with such movement, then it is the punctual act that tends to be combined with the movement of the patient to the left and it is the durative act that tends not to be combined with the movement of the patient to the left. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (5) = H&T (54). Kabardian (NW Caucasian). The ergative and antipassive constructions. The patient of the ergative construction is totally affected, whereas the patient of the antipassive construction is partially affected. he-m qw 'ipshe-r je-dzaq'e. dog-ERG bone-NOM bite he-r qw 'ipshe-m je-w-dzaq'e. dog-NOM bone-ERGbite 'The dog is biting the bone.' The antipassive clause is weakly detransitivized: the agent assumes the nominative case and the patient assumes the ergative case. The following deductions (5i-ii) proceed in the unnatural environment "transitivity" and consequently require chiastic alignment. (5i) The two variants: nominative and ergative. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (nominative, ergative) / agent I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / patient I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between nominative and ergative agents such that one agent combines with a nominative patient and the other agent combines with an erga-tive patient, then it is the nominative agent that tends to combine with an ergative patient and it is the ergative agent that tends to combine with a nominative patient. Q.E.D. (5ii) The two variants: partially and totally affected patients. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (partially, totally) / affected patient I.e., a partially affected patient is more natural than a totally affected patient. -A totally affected patient has a more salient referent (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (а) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / patient I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between partially and totally affected patients such that one kind of patient assumes the nominative case and the other kind of patient assumes the ergative case, then it is the partially affected patient that tends to assume the ergative case and it is the totally affected patient that tends to assume the nominative case. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (б) = H&T (55). Bzhedukh (West Circassian dialect). The ergative and antipassive constructions. In the antipassive the patient is less completely affected by the action. c"aala-m c'ag°-3r ya-z°a. boy-ERG field-ABS 3sg(-3sg)-plows 'The boy is plowing the field.' c"aala-r c'ag°-3m ya-z°a. boy-ABS field-OBL (-3sg)-plows 'The boy is trying to plow the field'; or 'The boy is doing some plowing in the field.' (6i) The two variants: partially and totally affected patients. - The patient of the latter (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransitivized. Thus deduction (6i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (partially, totally) / affected patient I.e., a partially affected patient is more natural than a totally affected patient. - A totally affected patient has a more salient referent (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, ergative) / agent I.e., an absolutive agent is more natural than an ergative agent. - The absolutive is zero coded and the ergative is not zero coded (Mayerthaler et al. 1998: 102). The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between partially and totally affected patients such that one combines with an absolutive agent and the other combines with an ergative agent, then it is the partially affected patient that tends to combine with an absolu-tive agent and it is the totally affected patient that tends to combine with an ergative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (6ii) The two variants: partially and totally affected patients. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient" and hence requires chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (partially, totally) / affected patient I.e., a partially affected patient is more natural than a totally affected patient. -A totally affected patient has a more salient referent (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, oblique) / patient I.e., the absolutive case is more natural than an oblique case. - The absolutive is usually zero coded, and an oblique case much less often. The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between partially and totally affected patients such that one patient assumes the absolutive case and the other patient assumes an oblique case, then it is the partially affected patient that tends to assume an oblique case and it is the totally affected patient that tends to assume the absolutive case. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (7) = H&T (56). Avar (NE Caucasian). The ergative and antipassive constructions. The patient of the ergative construction is referential, whereas the patient of the antipassive is not referential. Hez-nux-habuleb bugo. they(ERG)-road(NOM)-making are Hel-nux habulel rugo. they(NOM)-road(NOM) making are 'They are making a road.' The antipassive clause is weakly detransitivized: the agent and the patient assume the nominative case. The following deductions (7i-ii) proceed in the unnatural environment "transitivity" and consequently require chiastic alignment. (7i) The two variants: +/-referential patient. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+, -) / referential patient I.e., +referential is more natural than -referential. - The speaker (as the centre of communication) is +referential (in the spirit of Mayerthaler 1981: 13). According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / agent I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between +referential and -referential patients such that one combines with a nominative agent and the other combines with an ergative agent, then it is the +referential patient that tends to combine with an ergative agent and it is the -referential patient that tends to combine with a nominative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (7ii) The two variants: +/-patient incorporated into the verb. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+, -) / incorporated patient I.e., an incorporated patient is more natural than a non-incorporated patient. -According to the criterion of integration into construction, item (c) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / agent I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between a patient incorporated into the verb and a patient not incorporated such that one kind of patient combines with a nominative agent and the other kind of patient combines with an ergative agent, then it is the incorporated patient that tends to combine with an ergative agent and it is the non-incorporated patient that tends to combine with a nominative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (8) = H&T (57). Eskimo. The ergative and antipassive constructions. The ergative construction signals a "given" patient, whereas the antipassive signals a "new" patient. Inu-up qimmiq-0 person-ERG dog-ABS 'The/A person saw the dog.' taku-v-a-a. see-iNDic-TRANS-3/3 Inuk-0 qimmir-mik taku-v-uq-0 person-ABS dog-OBL see-iNDic-iNTR-3 'The/A person saw a dog.' (8i) The two variants: given and new patients. - The patient of the latter (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransi-tivized. Thus deduction (8i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (given, new) / patient I.e., a given patient is more natural than a new patient. - The hearer is more interested in a new patient and therefore the new patient must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, ergative) / agent I.e., an absolutive agent is more natural than an ergative agent. - The absolutive is zero coded and the ergative is not zero coded (Mayerthaler et al. 1998: 102). The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between given and new patients such that one of them combines with an absolutive agent and the other combines with an ergative agent, then it is the given patient that tends to combine with an absolutive agent and it is the new patient that tends to combine with an ergative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (8ii) The two variants: given and new patients. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (given, new) / patient I.e., a given patient is more natural than a new patient. - The hearer is more interested in a new patient and therefore the new patient must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (absolutive, oblique) / patient I.e., an absolutive case is more natural than an oblique case. - The absolutive is usually zero coded, an oblique case much less often. The absolutive is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between given and new patients such that one of them assumes the absolutive form and the other assumes an oblique form, then it is the given patient that tends to assume an oblique form and it is the new patient that tends to assume the absolutive form. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (9) = H&T (59). Samoan. The ergative and antipassive constructions. Less active verbs elicit an antipassive construction. More active verbs require an ergative construction. Na fasi e le tama le teine. TENSE hit ERG the boy the girl 'The boy hit the girl.' Na va'ai le tama i le teine. TENSE see the boy OBL the girl 'The boy saw the girl.' (9i) The two variants: the verbs 'see' and 'hit'. - The patient of the latter (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransi-tivized. Thus deduction (9i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (see, hit) I.e., 'see' is more natural than 'hit'. - The action of hitting is much more salient than the "action" of seeing. The former action is therefore in the interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (unmarked, ergative) / agent I.e., an unmarked agent is more natural than an ergative agent. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between 'see' and 'hit' such that one verb combines with an unmarked agent and the other verb combines with an ergative agent, then it is 'see' that tends to combine with an unmarked agent and it is 'hit' that tends to combine with an ergative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (9ii) The two variants: the verbs 'see' and 'hit'. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (see, hit) I.e., 'see' is more natural than 'hit'. - The action of hitting is much more salient than the "action" of seeing. The former action is therefore in the interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (unmarked, oblique) / patient I.e., an unmarked case is more natural than an oblique case. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. If a language distinguishes between 'see' and 'hit' such that one verb combines with an unmarked patient and the other verb combines with an oblique patient, then it is 'see' that tends to combine with an oblique patient and it is 'hit' that tends to combine with an unmarked patient. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (10) = H&T (60). Adyghe (NW Caucasian). The ergative and antipassive constructions. In the antipassive construction the patient is partially affected. In the ergative construction the patient is totally affected. JeKedjalk^ 'e-r s'ale-m jewisijas. teacher-NOM youth-ERG admonished JeKed^akw 'e-m s'ale-r jiwisijas. teacher-ERG youth-nom admonished 'The teacher admonished the youth.' The antipassive clause is weakly detransitivized: the agent assumes the nominative case and the patient assumes the ergative case. The following deductions (10i-ii) proceed in the unnatural environment "transitivity" and consequently require chi-astic alignment. (10i) The two variants: nominative and ergative. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (nominative, ergative) / agent I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / patient I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between nominative and ergative agents such that one agent combines with a nominative patient and the other agent combines with an erga-tive patient, then it is the nominative agent that tends to combine with an ergative patient and it is the ergative agent that tends to combine with a nominative patient. Q.E.D. (10ii) The two variants: partially and totally affected patients. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (partially, totally) / affected patient I.e., a partially affected patient is more natural than a totally affected patient. -A totally affected patient has a more salient referent (is likely to be foregrounded); it is therefore in the greater interest of the hearer (decoder) and must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / patient I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between partially and totally affected patients such that one kind of patient assumes the nominative case and the other kind of patient assumes the ergative case, then it is the partially affected patient that tends to assume the ergative case and it is the totally affected patient that tends to assume the nominative case. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (11) = H&T (62). Hindi. Present/imperfective. Transitive and intransitive constructions. Maa roogii laRkee-kee liyee khaanaa pakaatii hai. mother sick boy-obl for food cooking pres 'The mother cooks food for the sick boy.' Aurat saheeliyoo-kee saath kuee-kee paas booltii hai. woman friends-obl with well-obl at speaking pres. 'The woman talks with her friends near the well.' The two variants: (within the present/imperfective) +/-ergative case as agent. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (unmarked, ergative) / agent I.e., an unmarked agent is more natural than an ergative agent. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+, -) / acceptable I.e., what is more acceptable is more natural than what is less acceptable. - This is the very acceptability criterion, item (g) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes (within the present/imperfective) between an ergative and an unmarked agent such that one agent is acceptable and the other agent is not acceptable, then it is the unmarked agent that tends to be acceptable and it is the ergative agent that tends not to be acceptable. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (12) = H&T (63). Hindi. Past/imperfective. +/-ergative case as agent. Gariib aadmii mandir-kee saamnee phuul beectaa thaa. poor man temple-OBL before flower selling(MASc) past(masc) 'The poor man used to sell flowers in front of the temple.' Aurtee tiirth-sthaan-koo jaatii thn. women holy-place-to going(FEM) past(fem.pl) 'The women used to go to a holy place.' The same deduction as under (11), q.v. (13) = H&T (64). Hindi. Past/perfective. +/-ergative case as agent. Kisaan-nee bail-kii oor chaRii farmer-ERG ox-obl at stick(FEM) 'The farmer threw a stick at the bullock.' pheekii. threw(FEM) Billii kuee-mee well-in gini. fell(FEM) cat(FEM) 'The cat fell into the well.' The two variants: (within past/perfective) +/-ergative case as agent. - The deduction proceeds in the unnatural environment "perfective aspect". See 4. Note below. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (unmarked, ergative) / agent I.e., an unmarked agent is more natural than an ergative agent. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+, -) / acceptable I.e., what is more acceptable is more natural than what is less acceptable. - This is the very acceptability criterion, item (g) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes (within past/perfective) between ergative and unmarked agents such that one agent is acceptable and the other agent is not acceptable, then it is the unmarked agent that tends not to be acceptable and it is the erga-tive agent that tends to be acceptable. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Note. The unnatural environment has been culled from the scale >nat (imperfec-tive, perfective) / aspect, explained in deduction (15i) below. (14) = H&T (65). Georgian. Certain classes of verbs. Case-marking is non-ergative in the present but ergative in the aorist. Glexi tesavs marcvlebs. farmer(NOM) he sows it(PRES) seeds(DAT) 'The farmer is sowing seeds.' Glexma datesa marcvlebi. farmer(ERG) he sowed it(AOR) seeds(NOM) 'The farmer sowed seeds.' (14i) The two variants: the present and the aorist. - The patient of the former (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransitivized. Thus deduction (14i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (present, aorist) I.e., the present is more natural than the aorist. - In many languages the present is zero coded and therefore it is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, ergative) / agent I.e., a nominative is more natural than an ergative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between the present and the aorist such that one verb form combines with a nominative agent and the other verb form combines with an ergative agent, then it is the present that tends to combine with a nominative agent and it is the aorist that tends to combine with an ergative agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (14ii) The two variants: the present and the aorist. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (present, aorist) I.e., the present is more natural than the aorist. - In many languages the present is zero coded and therefore it is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (nominative, dative) / patient I.e., a nominative is more natural than a dative. - In ergative languages the nominative is usually zero coded and is natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between the present and the aorist such that one verb form combines with a dative patient and the other verb form combines with a nominative patient, then it is the present that tends to combine with a dative patient and it is the aorist that tends to combine with a nominative patient. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (15) = H&T (66). Samoan. The ergative construction signals perfective aspect, and the antipassive signals imperfective aspect. Na va'ai le tama tense look at the boy 'The boy was looking at the fish.' i OBL le the i'a. fish Na va'ai-a e le tama le i'a. tense look at-TRANS erg the boy the fish 'The boy spotted the fish.' (15i) The two variants: the perfective and imperfective aspects. - The patient of the former (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransitivized. Thus deduction (15i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (imperfective, perfective) / aspect I.e., the imperfective verbal aspect is more natural than the perfective verbal aspect. - It is easier to perceive a verbal act as whole in the perfective than in the imperfective verbal aspect. This circumstance is presumably in the interest of the hearer (decoder) and therefore the perfective verbal aspect must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. Variants of scale 1.2 have been in fashion at least seventy years. 1.2. >nat (unmarked, ergative) / agent I.e., an unmarked agent is more natural than an ergative agent. - An unmarked agent is zero coded and thus more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between perfective and imperfective aspects such that one combines with an ergative agent and the other combines with an unmarked agent, then it is the perfective aspect that tends to combine with an ergative agent and it is the imperfective aspect that tends to combine with an unmarked agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (15ii) The two variants: the perfective and imperfective aspects. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (imperfective, perfective) / aspect I.e., the imperfective verbal aspect is more natural than the perfective verbal aspect. - It is easier to perceive a verbal act as whole in the perfective than in the imperfective verbal aspect. This circumstance is presumably in the interest of the hearer (decoder) and therefore the perfective verbal aspect must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. Variants of scale 1.2 have been in fashion at least seventy years. 1.2. >nat (unmarked, oblique) / patient I.e., an unmarked patient is more natural than an oblique patient. - An unmarked patient is zero coded and thus more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between perfective and imperfective aspects such that one combines with an unmarked patient and the other combines with an oblique patient, then it is the perfective aspect that tends to combine with an unmarked patient and it is the imperfective aspect that tends to combine with an oblique patient. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (16) = H&T (67). Kalkatungu (W. Queensland). The ergative and antipassive constructions. There is a correlation between case-marking and aspect. Kupayuru-tu caa kalpin lai-na. old man-ERG here young man hit-PAST 'The old man hit the young man.' Kupayuru caa kalpin-ku lai-mina. old man here young man-DAT hit-IMPF 'The old man is hitting the young man.' (16i) The two variants: the perfective and imperfective aspects. - The patient of the latter (= antipassive) clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransitivized. Thus deduction (16i) is not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (imperfective, perfective) / aspect I.e., the imperfective verbal aspect is more natural than the perfective verbal aspect. - It is easier to perceive a verbal act as whole in the perfective than in the imperfective verbal aspect. This circumstance is presumably in the interest of the hearer (decoder) and therefore the perfective verbal aspect must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. Variants of scale 1.2 have been in fashion at least seventy years. 1.2. >nat (unmarked, ergative) / agent I.e., an unmarked agent is more natural than an ergative agent. - An unmarked agent is zero coded and thus more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between perfective and imperfective aspects such that one combines with an ergative agent and the other combines with an unmarked agent, then it is the perfective aspect that tends to combine with an ergative agent and it is the imperfective aspect that tends to combine with an unmarked agent. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (16ii) The two variants: the perfective and imperfective aspects. - The deduction proceeds in the unnatural environment "patient". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (imperfective, perfective) / aspect I.e., the imperfective verbal aspect is more natural than the perfective verbal aspect. - It is easier to perceive a verbal act as whole in the perfective than in the imperfective verbal aspect. This circumstance is presumably in the interest of the hearer (decoder) and therefore the perfective verbal aspect must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. Variants of scale 1.2 have been in fashion at least seventy years. 1.2. >nat (unmarked, dative) / patient I.e., an unmarked patient is more natural than a dative patient. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between perfective and imperfective aspects such that one combines with a dative patient and the other combines with an unmarked patient, then it is the perfective aspect that tends to combine with an unmarked patient and it is the imperfective aspect that tends to combine with a dative patient. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (17) = H&T (68). Yukulta (Queensland). The ergative and antipassive constructions. The antipassive is used, inter alia, when the agent and the patient do not obey the Agency Hierarchy; for instance, when the agent is the 3rd person and the patient is the 1st or 2nd person. The antipassive is used in non-accomplished non-complete environments. The ergative construction is used elsewhere. The patient of the antipassive clause is demoted to an oblique case. The construction is strongly detransitivized. Thus deductions (17i-ii) are not limited to the unnatural environment "transitivity" and chiastic alignment is not indicated. (17i) The two variants: ergative and antipassive constructions. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (antipassive, ergative) / construction I.e., the antipassive is more natural than the ergative construction. - The antipassive often has some features of intransitive constructions, and these are more natural than transitive constructions, to which ergative constructions invariably pertain. (The naturalness of intransitive constructions is based on the circumstance that they code fewer participants than transitive constructions.) According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (-, +) / implementation of Agency Hierarchy I.e., constructions disobeying the Agency Hierarchy are more natural than constructions obeying that hierarchy. - Because the Agency Hierarchy constitutes the usual state of affairs, the implementation of the Agency Hierarchy is more expected by the hearer (the decoder) than the non-implementation of that hierarchy. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between ergative and antipassive constructions such that one implements the Agency Hierarchy and the other does not implement that hierarchy, then it is the ergative construction that tends to implement the Agency Hierarchy and it is the antipassive that tends not to implement that hierarchy. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (17ii) The two variants: ergative and antipassive constructions. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (antipassive, ergative) / construction I.e., the antipassive is more natural than the ergative construction. - The antipassive often has some features of intransitive constructions, and these are more natural than transitive constructions, to which ergative constructions invariably pertain. (The naturalness of intransitive constructions is based on the circumstance that they code fewer participants than transitive constructions.) According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+, -) / non-accomplished non-complete environments I.e., non-accomplished non-complete environments are more natural than "other" environments. - "Other" environments include accomplished and complete environments. These are in the special interest of the hearer and therefore must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between ergative and antipassive constructions such that one signals non-accomplished non-complete environments and the other signals "other" environments, then it is the antipassive that tends to signal non-accomplished non-complete environments and it is the ergative construction that tends to signal "other" environments. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) CONCLUSION The above illustration demonstrates that Natural Syntax is capable of predicting a significant amount of language situations, given a small number of presuppositions (i.e., the particular description of language data adopted, the choice of variants, the naturalness scales, the alignment rules) and a modest apparatus (namely the deduction format). The development of Natural Syntax is to be continued exploiting as variegated language material as possible. Abbreviations ABS absolutive case AOR aorist DAT dative case DEF definiteness marker ERG ergative case FEM feminine IMPF imperfective aspect INDIC indicative mood INTR intransitive MASC masculine NOM nominative case OBL oblique case PL plural PRES present tense TRANS transitive References Andersen, Henning (1972) "Diphthongization." Language 48, 11-50. Collins Cobuild English Grammar. London: HarperCollins, 1990. 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In the more transitive ones the agent and the patient are coded with the ergative case, the absolutive case, the nominative case, or the patient is integrated (at least to some extent) into the corresponding verb. More transitive antipassive constructions and the corresponding ergative constructions remain transitive. Because transitivity represents an unnatural environment, the alignment of the corresponding naturalness values is chiastic. The remaining antipassive constructions are less transitive, so that any pair consisting of such a construction and of the corresponding ergative construction withdraws from the unnatural environment of transitivity, and hence the alignment of the corresponding naturalness values is parallel. Another unnatural environment is represented by the patient just in case that its syntactic, not semantic, properties are treated. Consequently the alignment of the corresponding naturalness values is chiastic. The paper discusses 18 ergative languages, mostly from the Caucasus and the Pacific Ocean. Povzetek PREHODNOST V NARAVNI SKLADNJI - ERGATIVNI JEZIKI V okviru t.i. naravne skladnje se ob jezikovnem gradivu iz ergativnih jezikov obravnavajo različni pojavi, povezani s prehodnostjo. Vsakič se primerjata po ena ergativna in po ena protitrpna zgradba (mednarodno: antipasiv) ter se napovedujejo nekateri vidiki razmer v takih dvojicah. Novo je, da je treba pri protitrpnih zgradbah razlikovati med bolj in manj prehodnimi. Bolj prehodne so tiste, v katerih sta vršilec in prizadeto kodirana z enim izmed naslednjih sklonov: erga-tiv, absolutiv, nominativ; ali pa je prizadeto (vsaj v neki meri) včlenjeno v soodnosni glagol. Bolj prehodne protitrpne zgradbe in soodnosne ergativne zgradbe ostajajo v okviru prehodnosti; ker slednja tvori nenaravno okolje, je povezovanje soodnosnih vrednosti lestvic križno. Preostale protitrpne zgradbe so manj prehodne, tako da par iz take zgradbe in iz soodnosne ergativne zgradbe prebija nenaravno okolje prehodnost. Povezovanje soodnosnih vrednosti lestvic je tedaj vzporedno. Nenaravno okolje tvori tudi prizadeto, kadar se obravnavajo njegove skladenjske, ne pomenske, lastnosti (npr. njegov sklon, ne morda stopnja vplivanosti od glagolskega dejanja). V izpeljavah, ki se dotikajo prizadetega te vrste, je povezovanje soodnosnih vrednosti lestvic križno. Zajetih je 18 ergativnih jezikov, največ s Kavkaza in s tihomorskega področja. Michele A. Cortelazzo Università di Padova* UDK 811.131.1'367.625 EVOLUZIONE DELLA LINGUA E STATICITÀ DELLA NORMA NELL'ITALIANO CONTEMPORANEO: GLI AUSILIARI NEI COSTRUTTI CON VERBI MODALI 1. UN ESEMPIO DEL MOVIMENTO DELL'ITALIANO CONTEMPORANEO? Nel 2007 due studi si sono occupati dell'ausiliare utilizzato nei costrutti con verbi modali (potere, dovere, volere). Telve (2007) ha cercato di ricostruire la distribuzione degli ausiliari in tali costrutti in un arco di tempo che va dalle Origini all'Ottocento (con qualche accenno alla contemporaneità); io stesso, in un saggio che richiamo anche nel titolo (Cortelazzo 2007a), ho citato il caso dell'ausiliare con i verbi modali come un palese esempio di scarto tra la vul-gata grammaticale, quale emerge nelle grammatiche scolastiche o negli interventi divulgati-vi sulla lingua italiana, e la trattazione scientifica della grammatica dell'italiano, secondo le impostazioni più adeguate alla realtà empirica e ai principi teorici paradigmatici. Detta in poche parole, la questione è questa: a proposito dell'ausiliare da utilizzare nei tempi composti dei verbi modali (seguiti da un infinito), la tradizione grammaticale, a partire da Bembo, sostiene che la norma corretta, anche se non sempre rispettata, consista nel ricorso all'ausiliare del verbo all'infinito e non a quello proprio del verbo modale, cioè avere (quindi «Michele sarebbe dovuto tornare a casa» e non «Michele avrebbe dovuto tornare a casa»). L'uso comune, che contempla spesso il ricorso ad avere anche con i verbi inaccusativi (cioè i verbi non transitivi che richiedono l'ausilia-re essere), sarebbe quindi un uso contrario alla norma. Questa asserzione ha tre aspetti che poche volte sono stati sottoposti a verifica. Il primo riguarda la convinzione che si tratti semplicemente di una questione di norma. Le due costruzioni sarebbero grammaticalmente equivalenti e l'utilizzo dell'ausiliare avere anche con verbi inaccusativi dipenderebbe semplicemente da un dominio poco sicuro, da parte di alcuni parlanti o scriventi, della norma dell'italiano: basti pensare che Coletti (1993: 320) ascrive ai «problemi con l'italiano» di Italo Svevo e alla sua «competenza approssimativa» l'uso dell'ausiliare avere «specie in presenza di verbo servile» (che regge un verbo inaccusativo, s'intende). La seconda consiste nella convinzione, spesso data come implicita, che la sostitu-zione dell'ausiliare essere con avere sia un'innovazione dell'italiano contemporaneo. Si tratterebbe, quindi, di uno dei tratti del processo di ristandardizzazione dell'italiano che si sta realizzando negli ultimi decenni.1 * Indirizzo dell'autore: Facolta di Lettere e Filosofía, Piazza Capitaniato 7, 35139 Padova, Italia. Email: cortmic@unipd.it 1 Anche Tavoni (2002: 147) si occupa della collocazione dei modali all'interno dei processi di ristandardizzazione dell'italiano, ma lo fa da un altro punto di vista (sia pure strettamente colle-gato al fenomeno che stiamo discutendo in questo contributo): la risalita del clitico con verbi modali in costrutti come Non ci posso credere invece di Non posso crederci. La terza ha a che vedere con la mancanza di dati assodati sulla distribuzione dei due ausiliari nei costrutti presi in esame, sia nella storia dell'italiano, sia nella fase contemporanea. Per il primo punto, gli studi più recenti (come si puo ricavare da Renzi/Salvi/Cardinaletti 2001: 514-522), tenendo conto di più di un comportamento dei costrutti con verbi modali, giungono a una conclusione diversa. Quello che nella superficie della frase individuiamo come un unico costrutto con due possibili realizzazioni è invece la rappresentazione superficiale apparentemente identica di due costruzioni diverse: una formata dal verbo modale con una proposizione oggettiva («Io voglio man-giare una pastasciutta» con una struttura del tutto analoga a «Io voglio una pastasciut-ta») e una in cui il verbo modale forma con il verbo all'infinito un unico complesso verbale (in questo caso «Io voglio mangiare una pastasciutta» va interpretato con «voglio mangiare» come complesso verbale e «una pastasciutta» come oggetto diretto del verbo mangiare unito a voglio; è il processo che va sotto il nome di ristrutturazione). Per l'aspetto che ci riguarda la differenza tra i due costrutti si evidenzia quando il verbo che si accop-pia al modale è un verbo che nei tempi composti ha l'ausiliare essere: se la forma realiz-zata è quella del verbo modale che regge una proposizione oggettiva, l'ausiliare sarà quello del verbo modale (quindi, avere: «Gianni ha voluto andare a tutti i costi al cinema», con «andare a tutti i costi al cinema» interpretabile come proposizione oggettiva); se invece la forma realizzata è quella con ristrutturazione, l'ausiliare sarà quello del verbo all'infinito (quindi, essere: «Gianni è voluto andare a tutti i costi al cinema» analogamente a »Gianni è andato al cinema«). Insomma, non si tratta di una semplice scelta tra una norma più formale e una più informale, ma di un'opzione tra due strutture grammati-cali diverse; anche se non vi è dubbio che l'opzione tra una struttura e l'altra dipende, almeno in parte, dal grado di formalità del testo. Sul secondo punto, la ricerca di Telve (2007) ha portato, con il conforto di dati fat-tuali, qualche chiarezza. Se nel Due e Trecento possiamo davvero dire che prevale l'ausiliare essere, soprattutto negli scrittori toscani, nei secoli successivi essere si alterna sempre più frequentemente con avere (soprattutto negli scrittori non toscani), fino a quando, nel Settecento, avere prende decisamente il largo (Goldoni, per es., non usa mai essere). La situazione che riscontriamo nel Novecento, dunque, non è che il punto di approdo di un movimento che ha radici ben lontane nell'evoluzione della nostra lingua; se a qualcuno, ancor oggi, l'uso dell'ausiliare avere pare un dato innovativo o un uso da stigmatizzare è perché la lezione bembiana (che anche in questo caso era diret-tamente legata all'uso trecentesco toscano) ha condizionato il nostro modo di vedere la norma molto più a lungo di quanto abbia potuto condizionare il nostro uso:2 al giorno d'oggi anche divulgatori brillanti e disinvolti come Beppe Severgnini (2007: 176) considerano senza mezzi termini «sbagliato» l'uso dell'ausiliare avere davanti a un 2 Non e questo l'unico fenomeno nel quale innovazioni apparentemente moderne si rivelano sem-plicemente come manifestazioni pienamente mature di processi che rimontano molto indietro nel tempo; si veda, ad es., il caso della perifrasi progressiva (Cortelazzo 2007b), che vede un uso incipiente gia nel Quattrocento e un suo progressivo e decisivo allargarsi a partire dal Settecento. modale quando regge un verbo che nei tempi composti richiede l'ausiliare essere. Del resto, il fenomeno è uno di quelli segnati dalla penna correttrice di Satta (1989). Sul terzo punto, sono molti i linguisti, o gli appassionati di lingua, che hanno azzar-dato opinioni sulla frequenza d'uso dei due ausiliari. Già nel 1964 Franco Fochi (1964: 278) osservava che «il linguaggio familiare va meno per il sottile, e adopera quasi sem-pre avere». Più recentemente Paolo D'Achille (2003: 116), parlando in generale dell'ita-liano, senza distinzioni di livello, ha sostenuto che essere «sembra largamente preferi-to» ad avere (anche se, aggiunge, nella frase non ho potuto essere presente l'uso di avere «è da considerare senz'altro corretto»), mentre Serianni (2006: 145) afferma, sia pure con accorta prudenza, che «a quanto sembra, avere è in espansione». Sono tutte prospettive che si basano sulle sensazioni degli studiosi e non su riscon-tri oggettivi (e questo spiega la diversità quanto meno di accenti). A nulla sono valsi i risultati presentati da Boysen (1977), ampiamente utilizzati da Skytte (1983: 95-103): si tratta di una ricerca fondata su una solida base documentaria (un corpus di 10.000 pagine di narratori italiani del dopoguerra), eccezionalmente ampia per gli anni in cui è stata raccolta.3 2. UN'INDAGINE SULLTTALIANO CONTEMPORANEO Nonostante l'esistenza dello studio di Boysen (1977) credo, quindi, che sia opportuno dar seguito al suggerimento di Serianni (2006: 145), secondo il quale i dati «dovrebbe-ro essere confermati da indagini specifiche (per esempio sulla lingua dei giornali o su campioni di italiano parlato)». È quanto sto facendo per cercare di avere un quadro documentato sugli usi attuali della nostra lingua, soprattutto per quel che riguarda i fenomeni di ristandardizzazione, o di presunta ristandardizzazione, dell'italiano. L'obiettivo è quello di avere un corpus di riferimento, sul quale condurre osservazio-ni quantitative e qualitative sui singoli fenomeni. Per il momento, non avendo ancora a disposizione un corpus sufficientemente ampio e variegato di articoli giornalistici (che sto attualmente allestendo), utilizzo solamente i corpora messi a disposizione degli studiosi di italiano contemporaneo, con generosità e lungimiranza, da Tullio De Mauro: innanzitutto il corpus di narrativa dal dopoguerra ad oggi pubblicato con il titolo di il Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento.4 3 Noto, per inciso, che, ancora una volta, uno studio che cerca di descrivere l'effettivo andamento di un fenomeno dell'italiano, basandosi sullo spoglio di un campione di testi, e dovuto a uno studioso straniero (cfr. Cortelazzo 2007a: 47). 4 Il Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento, edito da UTET, e costituito da 100 romanzi degli anni 1947-1981, che hanno partecipato al Premio Strega: per ogni anno c'e il vincitore, piu uno o due degli altri romanzi giunti in finale. Per le mie ricerche sto integrando il corpus con altri romanzi della seconda meta del Novecento; in questo studio ho spogliato anche Giuseppe Berto, Il male oscuro (1964), Italo Calvino, Le citta invisibili (1972), Beppe Fenoglio, Una questione privata (1965), Dario Fo, Morte accidentale di un anarchico (1970), Carlo Levi, Cristo si e fermato a Eboli (1945), Primo Levi, Se questo e un uomo (1958) e La tregua (1963); Giorgio Manganelli, Hilarotragoedia (1964), Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli (1953), Pier Paolo Pasolini, Per un riscontro sul parlato sono ricorso al corpus del Lessico di frequenza dell'ita-liano parlato (De Mauro et alii 1993), ora interrogabile grazie al software della BAnca Dati dell'Italiano Parlato (BADIP) dell'Università di Graz (http://badip.uni-graz.at). Questo corpus, tuttavia, ha una dimensione non paragonabile a quello scritto appena citato e puo servire solo da primo parziale confronto. In entrambi i corpora ho raccolto tutte le occorrenze dei participi passati dei verbi potere, dovere, volere; tra i contesti cosi isolati, ho estratto quelli nei quali i tre verbi fungono da modali e reggono infiniti di verbi che richiedono l'ausiliare essere (o costruzioni verbali, come il passivo, che richiedono tale ausiliare). Le variabili da prendere in esame sono state ben delineate da Telve (2007), Boysen (1977), Skytte (1983): innanzi tutto il modale utilizzato (i tre verbi modali non mostra-no necessariamente tutti lo stesso comportamento), il verbo impiegato, l'origine geografica degli scriventi. 3. LA SITUAZIONE NELL'ITALIANO LETTERARIO CONTEMPORANEO Nel corpus di letteratura italiana contemporanea, i casi utili per la nostra indagine sono 1937. Esaminando i risultati in maniera aggregata (tab. 1), risulta confermata la tendenza delineata in prospettiva storica da Telve (2007): il processo che ha porta-to a preferire l'ausiliare avere (e quindi a considerare l'infinito come componente di una proposizione infinitiva) è molto avanzato, dato che quasi tre quarti delle occor-renze esaminate (precisamente il 74,24%) presentano l'ausiliare avere. ausiliare valori assoluti percentuale avere 1438 74,24% essere 499 25,76% totale 1937 100,00% Tab. 1 - Distribuzione, in valori assoluti e in percentuale, degli ausiliari La situazione si presenta pero diversificata in relazione al verbo modale implicato. Il quadro generale è rappresentato dalle tab. 2 e 3: ausiliare Potere dovere volere avere 67,83% 74,00% 94,88% essere 32,17% 26,00% 5,12% totale 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 2 - Distribuzione in valori assoluti degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), Cesare Pavese, La luna e i falo (1950), Lalla Romano, Tetto murato (1957), Elio Vittorini, Uomini e no (1945), Paolo Volponi, Memoriale (1962) e Ilpianeta irritabile (1978). ausiliare potere dovere volere avere 622 538 278 essere 295 189 15 totale 917 727 293 Tab. 3 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali Come si vede, il modale maggiormente implicato nei costrutti che ci interessano e potere, seguito da dovere e, a lunga distanza, da volere. Pero, nella scelta dell'ausi-liare la palma per il ricorso ad avere, scelta contraria alla norma, va ai costrutti imperniati su volere, seguito da dovere e poi da potere: insomma la maggior fre-quenza del verbo modale sembra garantire una maggiore presenza dell'ausiliare richiesto dalla norma (essere). I risultati confermano sia le considerazioni di Telve (2007), che ha preso in con-siderazione soprattutto potere e volere, dato che per dovere l'impiego come modale e stato marginale fino al Seicento, sia quelle ricavabili dallo studio di Boysen (1977). Rispetto a quest'ultimo, va notato, tuttavia, che il nostro corpus mostra una decisa accelerazione del processo di utilizzo dell'ausiliare avere sia in generale, sia con i sin-goli modali. Il valore percentuale complessivo di uso di avere ricavabile dagli spogli di Boysen, infatti, e del 69,24%, inferiore di 5 punti al valore ricavato dall'esame del corpus da me utilizzato. Inoltre, mostra, per cosi dire, il sorpasso di dovere su potere. Sommando tutte le tipologie di uso dei modali nei tempi composti in connessione con verbi inaccusativi, dallo studio di Boysen risulta che avere viene utilizzato nel 66,21% dei casi se il modale e potere, nel 65,61% se si tratta di dovere, nell'82,50% se si tratta di volere. Se ne deduce che l'incremento complessivo notato e dovuto non tanto all'incremento dell'uso di avere con potere (che risulta aumentato di poco piu di un punto e mezzo percentuale), quanto dall'uso con dovere (aumento di piu di 8 punti percentuali) e con volere (aumento di 12 punti percentuali). Poiché la confor-mazione del corpus di Boysen e molto simile a quella del corpus utilizzato nel presente articolo, si deve ipotizzare che l'estensione dell'uso di avere abbia proceduto con grande velocita nell'ultimo quarantennio.5 Per quel che riguarda il peso che, nella scelta dell'ausiliare, puo avere il verbo all'infinito (aspetto trattato sia da Boysen 1977 sia da Telve 2007), non mi sento in questa sede di proporre dati, vista la grande dispersione di verbi implicati nel costrut-to e la loro differente distribuzione rispetto agli studi con cui confrontare i risultati. Ci sono, tuttavia, tre costrutti sui quali e opportuno aggiungere qualche osservazio-ne, e cioe quelli con essere come verbo all'infinito, con il clitico si (verbi pronominali, 5 Se questa e l'interpretazione esatta, si capisce perché spesso il fenomeno e visto come una carat-teristica della piu recente evoluzione dell'italiano. Resta comunque il fatto che, pero, si tratta della realizzazione sempre piu diffusa di un fenomeno di lungo periodo. costruzioni passive o costruzioni impersonali) o con i verbi al passivo. Anche a que-sto proposito, confrontando il nostro corpus con quello di Boysen (1977), si nota, globalmente, un'ulteriore estensione dell'uso di avere, in linea con l'evoluzione generale del fenomeno (tranne che nel caso del passivo, tab. 4, per il quale Boysen, su 16 esempi, non ne aveva trovato nessuno con essere, mentre nel nostro corpus, su 64 casi di passivo, ne compaiono 3 con essere: ma, dato il basso numero di esempi, si tratta di una differenza scarsamente rilevante). ausiliare potere dovere volere totale avere 96,77% 92,31% 100,00% 95,31% essere 3,23% 7,69% 0,00% 4,69% totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 4 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali nelle costruzioni passive Nel caso dei verbi pronominali, o nei verbi costruiti con si passivante o impersonale (tab. 5), possiamo ripetere quanto avevamo osservato a proposito dei dati globali: nel confronto con Boysen (1977), risulta un aumento dell'uso di avere (ma con un incremento ben piu sensibile, dato che si passa dal 64,29 % dello spoglio di Boysen al nostro 75,43%, con una differenza di oltre 11 punti percentuali); inoltre, nel nostro corpus risulta confermato che potere risulta piu resistente alla diffusione di avere rispetto a dovere e volere, mentre anche in questi contesti specifici nel corpus di Boysen potere risulta favorire l'uso di avere piu di dovere. ausiliare potere dovere volere totale avere 66,91% 78,77% 99,06% 75,43% essere 33,09% 21,23% 0,94% 24,57% totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 5 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali con verbi pronominali (o con si passivante o impersonale) Ben piu stabile appare il comportamento dell'ausiliare quando il verbo all'infinito retto dal modale e essere (tab. 6). Gia Boysen (1977) aveva trovato, in questo contesto, un'assoluta preminenza di avere (89,39%, che aumenta leggermente nel nostro corpus, raggiungendo il 92,93%) e la sequenza dei verbi modali e gia quella che appare preminente nel corpus piu ampio, e cioe potere - dovere - volere: come dire che l'evo-luzione piu recente e iniziata precocemente nei contesti nei quali il verbo all'infinito implicato nel costrutto modale e essere. ausiliare potere dovere volere totale avere 89,63% 93,14% 100,00% 92,93% essere 10,37% 6,86% 0,00% 7,07% totale 89,63% 93,14% 100,00% 92,93% Tab. 6 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali con essere all'infinito Un parametro fondamentale è, infine, costituito dalla provenienza geografica degli scrittori, secondo le tre macroaree del Nord, della Toscana e del Sud66 Skytte (1983: 93-94) ha individuato la pertinenza dell'origine regionale degli scriventi a proposito del fenomeno, parallelo a quello qui trattato, della posizione del clitico con i verbi modali. Telve (2007) ha segnalato, in tutta la storia dell'italiano, le tendenze differenti che separano gli scrittori toscani dai non toscani, per i quali l'impiego dell'ausiliare essere sembra risultare un uso ereditato per via letteraria, mentre la forma più naturale, perché supportata dal sostrato dialettale, sarebbe l'ausiliare avere. Lo scarto degli scrittori toscani dai non toscani appare evidente. Non solo nei toscani contemporanei (tab. 7) la percentuale di uso dell'ausiliare avere è meno ele-vata che negli scrittori di altra provenienza, anche se avere si conferma l'ausiliare più impiegato (sia pure, con potere e dovere, di poco); ma nei toscani pare crearsi una contrapposizione dicotomica tra potere e dovere da una parte (si noti, verbi con altri comportamenti sintattici simili, in quanto entrambi verbi a sollevamento) e volere (verbo a controllo) dall'altra: la percentuale di ricorso ad avere con i primi due modali è, nei toscani, sostanzialmente identica. ausiliare potere dovere volere totale avere 53,26% 53,93% 74,29% 56,94% essere 46,74% 46,07% 25,71% 43,06% totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 7 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali negli scrittori toscani Per quel che riguarda gli scrittori settentrionali e quelli meridionali, se esaminiamo l'uso degli ausiliari globalmente, cioè senza distinzione tra modali, ricaviamo che la distribuzione è analoga, con una percentuale che si aggira, in entrambi i sottocam-pioni, sul 76%. I dati prendono una fisionomia almeno parzialmente diversa se guar-diamo, pero, alla distribuzione modale per modale. Per gli scrittori meridionali (tab. 8) possiamo fare una considerazione analoga a quella fatta per i toscani: il compor- tamento di potere e dovere e sostanzialmente idéntico, anche se si colloca su una soglia ben piu alta di uso di avere rispetto alla Toscana. ausiliare Potere Dovere volere totale avere 72,41% 73,13% 96,40% 76,71% essere 27,59% 26,87% 3,60% 23,29% totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 8 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali negli scrittori meridionali La stessa cosa non puo dirsi per gli scrittori settentrionali, nei quali l'uso dell'ausi-liare con i tre modali presenta valori considerevolmente diversi, collocando l'uso di avere con potere circa 10 punti piu in basso di quanto non accada con dovere; mentre volere si distanzia di ulteriori 20 punti (tab. 9). ausiliare Potere dovere volere totale avere 67,59% 78,83% 98,64% 76,22% essere 32,41% 21,17% 1,36% 23,78% totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 9 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali negli scrittori settentrionali Possiamo dunque dire che la considerazione fatta a commento della tab. 3, relativamente alla differenziazione dei tre modali per quel che riguarda l'abbinamento con l'ausiliare nei tempi composti, si deve principalmente al peso che nel corpus hanno gli scrittori settentrionali. La tripartizione che, a prima vista, appare tipica dell'italiano odierno riguarda, dunque, solo l'italiano settentrionale; nelle altre zone d'Italia si nota una biparti-zione (potere e dovere vs volere), anche se assestata, nelle due zone, su valori diversi. 4. UNO SGUARDO SUL PARLATO Visti i risultati dell'analisi del corpus di letteratura del dopoguerra, e il confronto con studi analoghi gia pubblicati, ci si puo attendere che nel parlato l'uso preva-lente consista nell'utilizzo dell'ausiliare avere nei tempi composti dei verbi modali, qualsiasi sia il verbo all'infinito presente nel costrutto. Purtroppo, come si e detto, non mi risultano disponibili corpora di italiano parlato di dimensioni corrispon-denti a quello letterario utilizzato finora. Pertanto, non e possibile affiancare a quella proposta finora una descrizione altrettanto dettagliata. Utilizzando il corpus del LIP, abbiamo isolato solo 32 contesti di uso di verbi modali con verbi inaccu-sativi. Sorprendentemente, la distribuzione degli ausiliari (tab. 10) presenta una con-figurazione del tutto opposta rispetto a quella emersa dallo spoglio dei corpora let-terari: prevale l'uso di essere sia complessivamente, sia per potere sia per dovere (dovere presenta il tasso piu basso di ricorso ad avere). Solo volere mostra la preva-lenza di avere. ausiliare Potere Dovere volere totale avere 28,57% 25,00% 66,67% 34,38% essere 71,43% 75,00% 33,33% 65,63% totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% Tab. 10 - Distribuzione in percentuale degli ausiliari in dipendenza dai tre verbi modali nel corpus del LIP (De Mauro et alii 1993) Questo risultato sorprendente ha bisogno di una conferma o di una smentita dal-l'analisi di un corpus piu consistente, di cui attualmente non sono in condizioni di disporre. 5. CONCLUSIONI Lo spoglio di un ampio corpus di letteratura contemporanea della seconda meta del Novecento ci ha permesso di confermare, e consolidare, con la forza di un'am-pia messe di dati, le conclusioni gia disponibili sull'uso dell'ausiliare nei tempi composti dei verbi modali legati a verbi inaccusativi. Contrariamente a quanto implicitamente assunto dalle grammatiche normative, e anche da alcune sintesi sull'italiano contemporaneo, l'ausiliare di gran lunga piu usato nei costrutti presi in esame e avere. La prevalenza di avere non e una caratteristica dell'italiano contemporaneo, ma certamente il suo uso si sta sempre piu ampliando. A questa conclusione porta il confronto tra lo spoglio del corpus di Boysen (1977) e il nostro, fondato su basi simili, ma ovviamente piu esteso cronologicamente. Nel breve periodo risulta mutata la familiarita con l'ausiliare avere dei diversi modali: mentre volere ha sempre mostrato una maggiore predisposizione all'ausilia-re avere, l'inversione dell'ordine tra dovere (oggi piu legato ad avere) e potere e un fatto recente. La prevalenza di avere rispetto ad essere mostra valori quantitativi e configura-zioni diverse nelle diverse zone d'Italia. Per il dato quantitativo, c'e una contrap-posizione tra Toscana (dove la propensione all'uso di avere e piu ridotta) e il resto d'Italia; circa la configurazione, Toscana e Italia meridionale mostrano un com-portamento analogo di potere e dovere, che presentano un ricorso ad avere quanti-tativamente molto simile, in contrapposizione a volere, molto piu orientato all'uso di tale ausiliare; l'Italia settentrionale mostra, invece, di aver costituito una scala di propensione all'uso di avere che vede potere nella posizione piu bassa, dovere in quella mediana, volere, ancora una volta, in quella piu alta. Questa situazione sostanzialmente non dipende dal verbo implicato nel comples-so verbale. In particolare, l'uso dell'ausiliare quando il verbo all'infinito e essere appa-re anticipare le tendenze piu generali; gia nello spoglio di Boysen (1977) il ricorso ad avere era assolutamente preminente e si verificava la scala di propensione potere -dovere - volere, che per gli altri verbi emerge, soprattutto ad opera degli scrittori set-tentrionali, solo nel corpus che tiene conto anche degli anni piu recenti. Contraria alle attese e la distribuzione degli ausiliari che emerge dall'esame di un corpus di italiano parlato: risulta prevalere l'uso di essere. La ristrettezza del corpus ci induce, pero, a sospendere il giudizio, in attesa dello spoglio di corpora piu ampi. In conclusione, possiamo sostenere con certezza che la prescrizione delle gram-matiche che stabiliscono la preferenza, dal punto di vista normativo, dell'uso dell'ausiliare essere con i verbi modali che si accompagnano a verbi inaccusativi e assolutamente anacronistica e va in direzione contraria rispetto a una chiara linea evolutiva della storia dell'italiano. Bibliografía Boysen, Gerhard (1977) «L'emploi des verbes auxiliarles 'essere' et 'avere' avec les verbes modaux en italien.» Studia Neophilologica XLIX, 287-309. Coletti, Vittorio (1993) Storia dell'italiano letterario. Torino: Einaudi. Cortelazzo, Michele A. (2007a) «Evoluzione della lingua, percezione del cambiamento, sta-ticità della norma.» In: E. Pistolesi (a cura di), Lingua scuola e società. Inuovi bisogni comu-nicativi nelle classi multiculturali. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto Gramsci delFriuli Venezia Giulia con il patrocinio dell'Università degli Studi di Trieste, Trieste, 6 - 7 ottobre 2006. 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Riassunto EVOLUZIONE DELLA LINGUA E STATICITA DELLA NORMA NELL'ITALIANO CONTEMPORANEO: GLI AUSILIARI NEI COSTRUTTI CON VERBI MODALI Tra i fenomeni che vengono attribuiti alla recente evoluzione dell'italiano (e che vengono stig-matizzati dalle grammatiche normative) vi e l'uso generalizzato dell'ausiliare avere nei tempi composti dei verbi modali, anche quando il verbo modale regge un verbo all'infinito che nei tempi composti richiede l'ausiliare essere. Studi recenti hanno gia mostrato che, nell'uso, l'impiego di avere e prevalente rispetto all'uso di essere e che si tratta di un fenomeno che percorre tutta la storia dell'italiano. Queste conclusioni sono state confermate e rafforzate dall'analisi di un corpus formato da 116 romanzi italiani pubblicati a partire dal secondo dopoguerra. Povzetek RAZVOJ JEZIKA IN STATIČNOST NORME V SODOBNI ITALIJANŠČINI: POMOŽNIKI V KONSTRUKCIJAH Z MODALNIMI GLAGOLI Med pojavi, ki naj bi bili značilni za novejši razvoj italijanščine (in ki jih normativne slovnice stigmatizirajo), je posplošena raba pomožnika avere v sestavljenih časih modalnih glagolov tudi takrat, kadar se modalni glagol veže z glagolom v nedoločniku, ki v sestavljenih časih zahteva pomožnik essere. Nedavne študije so že pokazale, da v rabi prevladuje pomožnik avere v primerjavi s pomožnikom essere in da gre za pojav, ki je prisoten skozi vso zgodovino italijanščine. Te zaključke je potrdila in utrdila analiza korpusa, ki ga sestavlja 116 italijanskih romanov, objavljenih po drugi svetovni vojni. Gunver Skytte Universita di Copenaghen* UDK 811.131.1'42:811.113.4'42 LA CONNESSIONE «IMPLICITA» INTRODUZIONE Il presente lavoro e una rielaborazione e un ripensamento di un capitolo di una mia pubblicazione precedente (Skytte 2000: 694-709), stesa in danese. In quel capitolo, che faceva parte di uno studio piu ampio di linguistica comparativa tra l'italiano e il danese (Skytte/Korzen 2000), avevo focalizzato le differenti strategie per codificare la connessione «implícita», definita come ogni tipo di connessione interproposizio-nale realizzata senza connettivo esplicito, in chiave comparativa. Basandomi sui risultati e l'esemplificazione della precedente ricerca, ampliata con nuovi esempi e nuovi riferimenti, intendo nell'attuale studio: 1) discutere il concetto di connessione e di connessione implícita rispetto alla coerenza testuale, ponendo cosí la problematica in una prospettiva «top down» a differenza del tra-dizionale approccio alla connessione, che partendo dalla grammatica frasale, opera nella prospettiva «bottom up» 2) presentare un breve elenco di esempi, sistemati secondo la loro appartenenza al tipo di coerenza testuale, che rappresentano divergenti mezzi o strategie di connessione, tenendo conto delle variazioni intralinguistiche e interlinguistiche. DUE STUDI RECENTI SULLA CONNESSIONE TRANSFRASTICA In quanto segue mi riferisco sommariamente a due studi recenti che mi hanno ispi-rato e che secondo me segnano un importante passo in avanti per le ricerche sulla connessione. Nella Premessa al volume La Finalita (Prandi/Gross/De Santis 2005: 10), gli auto-ri rilevano tra l'altro: «Piu in generale, il lavoro attira l'attenzione su mezzi di espres-sione che non erano mai stati messi in relazione con la connessione transfrastica.» Il libro esamina, in senso stretto, il concetto di finalita, mettendo in evidenza, attra-verso un ricco corpus, i molteplici fattori intraproposizionali che concorrono alla decodificazione delle relazioni transfrastiche di tipo finale, attraverso predicati di fine (di diversa forma lessicale), p. es. sostantivi come fine, scopo, intenzione, desiderio, o preposizioni come per ecc. * Indirizzo dell'autrice: 29, Rue Cöme Monier, 83390 Pierrefeu du Var, Francia. Email: ole.schmidt@wanadoo.fr Nel monumentale lavoro di Alexandra Kratschmer (2005), pubblicazione che non ancora si e attirata l'attenzione meritata, la studiosa, basandosi su un ampio corpus storiografico di Montesquieu (Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence 1734), comparato con lavori storiografici e filosofici di Bossuet e di Voltaire, analizza minuziosamente le strategie per esprimere l'esplicazio-ne (td. Erklärung), cioe i rapporti di causa, ragione e motivo, nella struttura semantica dei testi in questione (tra microstruttura e macrostruttura). Concetto centrale nell'analisi della Kratschmer e costituito dai campi semantici (td. semantische Felder). La ricerca, scegliendo come punto di partenza per l'analisi un testo intero ossia una macrostruttura, contribuisce a dimostrare i molteplici fattori semantici che interven-gono ad esprimere l'esplicazione nella struttura testuale per cui viene rilevata, in modo persuasivo, la funzione fondamentale della coerenza. DEFINIZIONI Dato che ci troviamo in un campo di ricerca in cui la terminologia e la definizione dei concetti variano da una esposizione all'altra, secondo i vari approcci alla problematica (per non parlare delle differenze rispetto alla grammatica tradizionale), vor-rei , in quanto segue, precisare le mie definizioni dei concetti in questione, nonché le implicazioni connessevi, per poi su questa base poter illustrare quanto sostenuto con una esemplificazione. Per connessione intendo la relazione semantico-logica tra proposizioni o contenuti proposizionali, oppure tra macrosequenze testuali, espressa attraverso un connettivo (v. infra) esplicito (1), o, in via implicita, attraverso altri mezzi linguistici testuali (2) oppure, senza mezzi linguistici espressi, decodificabile attraverso inferenza (3): (1) Pietro uscí e Maria lo seguí (2) Pietro uscí, contemporaneamente Maria lo seguí. (3) Pietro uscí. Maria lo seguí. Per connettivo intendo un elemento linguistico interproposizionale, cioe un elemento che, non funzionando da membro proposizionale, riempie la funzione di indicare una relazione interproposizionale. Esso rappresenta la segnalazione di una relazione semantico-logica (di carattere piu o meno precisa) tra proposizioni: (4) Pietro suona e Maria canta In (4) e funziona da connettivo segnalando una relazione semantico-logica interproposizionale aggiuntiva, cioe aggiungendo all'informazione contenuta nella proposi-zione Pietro suona quella della proposizione Maria canta, relazione che potrebbe indicare contemporaneita, successione o opposizione, oppure essere un'informazione di tipo generico: (4a) Pietro suona e contemporaneamente Maria canta (4b) Pietro suona e poi Maria canta (4c) Pietro suona, ma Maria canta1 (4d) Di solito, Pietro suona e Maria canta Il termine connettivo corrisponde, grosso modo, alla congiunzione della grammatica tra-dizionale. Nella tradizione germanica si usa il termine Junktor, mentre Prandi (Prandi 2005: 71) introduce il termine relatore, corrispondente al francese relateur. In alcuni lavori viene usato il termine connettore, cosi p.es. Mazzoleni (Mazzoleni: 2007) con definizione equivalente al connettivo, secondo la mia definizione. Se, tuttavia, ho pre-ferito la terminologia connettivo, e per mantenere una distinzione dal connettore nel senso della Scuola di Ginevra (cfr. Rossari: 2000), in cui tale termine copre una fun-zione intraproposizionale che esplicita la relazione interproposizionale, come p. es. poi in (4b), funzione per cui io propongo il termine di paraconnettivo.2 Per paraconnettivo intendo un elemento intraproposizionale, cioe un membro avverbiale (frasale) della proposizione, costituito normalmente da un avverbio o da un sintagma preposizionale che esplicita la relazione transproposizionale, con o senza connettivo espresso: (5) Pietro ha fatto le spese, (e) poi Maria ha cucinato (6) Pietro ha fatto le spese, (e/ma) invece Maria ha cucinato In (5) e (6) poi e invece funzionano da paraconnettivi. Data la sua funzione interproposizionale il connettivo non puo seguire il paraconnettivo:3 (7) Pietro ha fatto le spese *poi e Maria ha cucinato. Nella mia definizione della connessione ho introdotto la distinzione tra connessione esplicita e connessione implicita. Per connessione esplicita intendo i casi in cui la con-nessione viene espressa attraverso un connettivo espresso. Invece, la connessione implicita, in realta piu frequente che non la connessione esplicita, copre tutte le pos-sibilita in cui la connessione non si realizza attraverso un connettivo esplicito. Cioe, la connessione implicita copre una larga gamma di possibilita in cui la relazione semantico-logica del rapporto transproposizionale (o transsequenziale) rimane, piu o meno facilmente, decodificabile attraverso diversi mezzi o espressioni linguistiche fino a (a quanto pare) non essere espresso linguisticamente: 1 In Pietro suona, mentre Maria canta, il connettivo mentre è ambiguo perché decodificabile sia come relazione di contemporaneità sia come relazione oppositiva. 2 Scorretti (Renzi 1988: 231-232) distingue tra «operatori veri e propri» e «operatori di coordinazione avverbiali», secondo criteri equivalenti alla distinzione qui proposta tra connettivo e paraconnettivo. 3 Molti paraconnettivi sono soggetti a uno 'slittamento' di funzione verso la funzione di connettivo vero e proprio. Infatti, gli avverbi italiani poi e pero sono esempi di paraconnettivi che pre-sentano tendenze in quella direzione. In senso diacronico molti connettivi sono derivati da paraconnettivi, oppure di espressioni metatestuali, per cui v. infra, in un processo di gramma-ticalizzazione. Sui meccanismi evolutivi nella diacronia delle congiunzioni, cfr. Mazzoleni (Mazzoleni 2007). (8) Pietro canta, invece María suona il pianoforte (9) Pur essendo debole, María cammina (10) Il non rispetto della legge comporta una punizione La definizione delY implicito e un argomento assai discusso e ampiamente trattato nella letteratura linguistica, soprattutto quella di pragmatica linguistica, per quanto riguarda l'italiano, recentemente in Bazzanella (Bazzanella 2005) e Sbisá (Sbisá 2007), lavori che si riferiscono alla letteratura precedente di rilevanza. Negli esempi (8), (9) e (10), la connessione e decodificabile per inferenza da altri elementi lingui-stici: il paraconnettivo invece, l'avverbiale pur, il rapporto semantico tra non rispetto e punizione. Invece, negli esempi seguenti: (11) Pietro canta. Maria suona. (12) Maria e debole. Maria cammina il rapporto semantico-logico interproposizionale non risulta immediatamente decodificabile attraverso elementi linguistici. Sono frasi, estratte da un contesto testuale o situazionale, che sono aperte a diverse interpretazioni. Collocandole in un contesto testuale e situazionale concreto (nel mondo delle conoscenze condivise tra gli interlocutori) la decodificazione attraverso inferenza normalmente diventa facile e evidente. Precisando, secondo il concetto dell'implicito qui espresso, la connessione implicita non equivale necessariamente a connessione non-espressa linguisticamente. Nella finzione letteraria l'implicito e un caro e prediletto elemento partecipante, in quanto lascia posto alla fantasia congetturale del lettore, contribuendo alla tensio-ne drammatica degli eventi esposti. Ma, anche se distante, la decodificazione avrá normalmente luogo, nella coerenza testuale dell'evento raccontato. LA COERENZA TESTUALE Come giá detto sopra, per quanto riguarda i nostri esempi isolati, la questione sul rapporto semantico-logico interproposizionale si risolve, normalmente, collocan-do l'esempio ossia l'enunciato isolato nella sua coerenza testuale, intesa nel senso piu largo, e cioe abbracciante il mondo e le conoscenze condivise tra gli interlo-cutori, ossia mittente e destinatario. Quindi, vista in quella prospettiva, la discus-sione sulr«implicito», nella maggior parte dei casi, diventa privo di senso. Se conosco Maria e Pietro, i loro caratteri, le loro abitudini ecc. nonché il corso degli eventi in cui sono collocati, la decodificabiltá risulta semplice. Percio, per deco-dificare la connessione implicita bisogna partire dalla macrostruttura ossia dalla coerenza testuale. Sussistono naturalmente dei casi di non-decodificabilitá, p.es. dovuti a errori, oppure a ambiguita intenzionali, secondo certi propositi del mittente, o dovuti a differenze enciclopediche tra gli interlocutori, fonte di incomprensione o comunica-zione non riuscita, come p.es. tra parlanti di diversa origine linguistica o errori di traduzione. Per coerenza testuale intendo la strutturazione unificatrice di un testo che assicura l'integrazione dei singoli elementi semantico-pragmatici in un tutto,4 secondo vari fat-tori riguardanti fine, contenuto e rapporti tra gli interlocutori. La connessione testuale si realizza appunto conforme alla coerenza e dipendente dalla tipologia testuale. P.es. in un testo descrittivo i connettivi sono pochi: la progres-sione testuale dipende dall'elaborazione dei temi lessicali. Invece, nell' esposizione scientifica, storica o política, o in genere in testi di tipo argomentativo, la connessione è di tipo 'razionale', per cui intendo relazioni causali (rapporti finali, risultativi e consecutivi), condizionali e concessive, cioè relazioni che riflettono il processo di ragionamento umano. Il testo narrativo è normalmente caratterizzato dalla progres-sione temporale, e quindi da connessione di tipo temporale. VARIAZIONI INTRALINGUISTICHE Oltre alle differenze dovute alla tipologia testuale, ci sono altri fattori che influiscono sull'espressione della connessione. P. es. la scelta del canale: tra il parlato e lo scritto sussistono differenze notevoli, anche per quanto riguarda l'espressione della connes-sione, dipendenti dai differenti mezzi paralinguistici a disposizione . Per il parlato: mimica, gesticolazione, variazione di voce, pausa. Per lo scritto: interpunzione, divi-sione in paragrafi, fattori di lay-out ecc. A tutto questo va aggiunto il fattore individuale: le preferenze e le variazioni stilistiche, nonché la situazione comunicativa: il grado di aspettative reciproche a proposito della comunicazione e le conoscenze enci-clopediche condivise (o meno), fattori importanti per la possibilità di inferenza. Una conoscenza e confidenza reciproca molto stretta lascia un margine ampio all'inferen-za e viceversa. TIPOLOGIA LINGÜISTICA Le variazioni di tipologia linguistica offrono, in molti casi, possibilità assai divergenti per quanto riguarda le strategie per evidenziare la connessione«implicita». Questo è decisamente il caso per le due lingue trattate nel presente contesto: il danese e l'ita-liano. A causa delle differenze tipologiche tra le due lingue, la connessione transpro-posizionale si puo realizzare diversamente. Rispetto al danese, il sistema linguistico italiano è più ricco di forme flessionali, per cui l'italiano, davanti allo stile verbale e paratattico del danese, rappresenta uno stile nominale e ipotattico, con frequenti desentenzializzazioni. Mentre l'anafora, grazie al sistema flessivo dell'italiano, rap-presenta un esito frequente di coesione testuale , il danese si serve piuttosto di ripe-tizione lessicale. A questo va aggiunto il fattore delle diverse tradizioni retoriche. 4 Cfr. Maria-Elisabeth Conte: «la coherence non è una qualitas dei testi, ma la quidditas stessa dei testi, la costitutiva condizione della loro testualità» (Conte 1999: 29). Per una discussione del concetto di coerenza in Conte cfr. Caffi (2002: 92-94). ESEMPLIFICAZIONE In questo paragrafo passero in rassegna una breve esemplificazione della connessio-ne implícita nelle due lingue, certamente lungi dall'essere esauriente, riferendomi ai criteri di cui sopra. Elaborazione: e un procedimento di connessione, tipico della prosa descrittiva, in cui vari argomenti vengono descritti secondo la loro relazione reciproca. Cioe, piutto-sto che relazioni interproposizionali, le relazioni riguardano i contenuti lessicali.5 Come esempio cito un passo di una pubblicazione linguistica di V. Lo Cascio (Lo Cascio 1991: 95-98), introdotto dal titolo: In un articolo scientifico (titolo che poi si riferisce ad un titolo di ordine superiore: Argomentazione scritta): (13) Diversa e la situazione in un articolo scientifico [...] Il suo interlocutore non e presente [...] Un esempio di discussione scientifica [...] Di questa discussione [...] si riportano solo alcuni dei commenti [...] Nel brano riportato Gaetano Berruto prende in esame [...] Nora Galli de' Paratesi a questa osservazione risponde [...] L'autrice ammette dunque [...] Una serie di articoli scientifici attorno ad un tema [...] si possono quindi considerare come sottocomponenti ad una macro-argomentazione [...] L'elaborazione, come nell'esempio qui citato, e un procedimento normale, anche in testi corrispondenti in danese, il che dimostra la frequenza della connessione implicita in certi tipi di testi. Ripetizione: La ripetizione e un procedimento di connessione implicita, caratteristica di diversi tipi di testo, come p. es. il testo narrativo: (14) in questo presepio in sequenza [...] abbiamo il passaggio di [...] abbiamo anche l'inter-vento di [...] di nuovo l'intervento del [...] abbiamo l'intervento di. Esempio orale tolto dal corpus Mr. Bean (Skytte et al. 1999: 589). Ma la ripetizione e anche frequente nel discorso politico in cui presenta un effetto retorico, cfr. l'esem-pio seguente (J0rgensen/Kock/R0rbech 1994: 402-403) in cui si difende l'introdu-zione delle pubblicita nella televisione danese. Gli enunciati pronunciati in favore sono tutti introdotti da Vi ved at [sappiamo che.]: 5 Cfr. Matthiessen/Thompson, i quali con riferimento a Halliday danno la seguente spiegazione del concetto di elaborazione: «An elaborating relation is used when there is a relation of 'being' between two or more units; this is the very general relation that obtains between an attribute and a value, between a set and its members, or between generalization and its specific instances. Elaborating relations are distinct from other rhetorical relations in that they do not necessarily hold between propositions per se, but may relate terms in the propositions, e.g. one term in the proposition may be related to another as type to subtype». (Matthiessen/Thompson 1988: 298) (15) Der er etflertal for reklame-tv i Danmark. [Esiste una maggioranza favorevole all'introduzione della pubblicita nella televisione danese] Vi ved at ... Vi ved at ... Vi ved at . Vi ved at . Vi ved at . Vi ved at . Vi ved at . M. Dardano (Dardano 1981: 298) dice a proposito della ripetizione nella scrittura giornalistica: «Talvolta una parola-tema ripetuta serve a collegare piu periodi», citando l'esempio seguente: (16) Infatti in appoggio a quanti, in patria e all'estero, si battono contro il regime che opprime la Grecia, le Segreterie nazionali deiportuali [...] hanno deliberato un'azione contro gli armatori greci, che sono tra i principali sostenitori del governo dei colonnelli: un'azione che si esprimera per sei giorni [...], durante i quali i portuali di tutte le categorie negheranno ogni e qualsiasi pre-stazione lavorativa per le navi battenti bandiera greca che si troveranno ad operare nei nostri porti. Un'azione ha detto ilsindacalista Gallo, segretario della Filp-Cgil, parlando anche a nome dei sindacati portuali della Cisl e della Uil - che ha trovato la sua origine nel fatto che il movi-mento di solidarieta con il popolo greco e ancora troppo generico, a volte propagandistico. (l'Unita 21.4.1970) Cambiamento di tempo: nell'esempio (17) il cambiamento da passato prossimo al tra-passato prossimo indica una relazione causale: (17) Paolo non si e fatto vedere oggi. Aveva bevuto troppo ieri. E viceversa, il cambiamento dal trapassato prossimo al passato prossimo puo indicare una relazione risultativa: (18) Pietro aveva bevuto troppo ieri. Non si e fatto vedere oggi. Si tratta di strategie ugualmente possibili in danese, tuttavia la tendenza ad esplici-tare la connessione ci sembra piu frequente in danese. Il cambiamento di tempo potra anche servire, al livello della macrostruttura, come nell'es. 19 (Sciascia 1975: 33) a indicare cambiamento di sequenza: (19) [...] sentiva [Majorana] il disagio di dover insegnare [...] Pochi seguivano il suo corso [...] La sua vita a Napoli, in quei primi tre mesi del 1938, si svolge tra l'albergo e l'Istituto di Fisica. La proposizione relativa continuativa e spesso adoperata come strategia per codificare rapporti di successione temporale in testi narrativi, sia in danese che in italiano. Questo procedimento e ampiamente documentato nel corpus Mr. Bean. P.es.: (20) Sulla scena del presepe passa prima una banda su un carro, poi compare un gruppo di pecore, che viene portato via a bordo di un autocarro (Skytte et al. 1999: 596) (21) poi, eh- arriva un, un carro armato, che uccide il dinosauro (Skytte et al. 1999: 584) Si noti in (20) e (21) la combinazione con il paraconnettivo poi e la catena di verbi perfettivi. Come, nell'esempio seguente, la relativa continuativa, in italiano e in danese si realizza spesso in casi in cui il soggetto viene introdotto attraverso un verbo di presentazione o un verbo inaccusativo: (22) og der kommer [...] en lastbil som tager fárene (Skytte et al. 1999: 601) [e arriva ... un camion che porta via le pecore] L'apposizione in italiano, ma relativamente raro in danese, puo servire ad indicare una relazione causale, non esplicitata: (23) Che Mussolini, informato e sollecitato da una «supplica» della madre di Ettore e da una lettera di Fermi, abbia chiesto a Borchini il fascicolo dell'inchiesta [...] - di tutto questo altri documenti non restano, presso la famiglia, che copie della «supplica» della signora Majorana e della lettera di Fermi. (Sciascia 1975: 14-15) (24) Le ferrovie italiane, lente, inefficienti, arretrate, sono al centro di dure polemiche. Costrutti non-finiti: soprattutto nell'italiano scritto, la connessione implicita attraverso costrutti non-finiti (infinito, participio passato e gerundio) costituisce un'alterna-tiva assai frequente alla proposizione subordinata introdotta da connettivo, a diffe-renza del danese che si serve quasi esclusivamente di subordinata a verbo finito. Mi limito a pochissimi esempi rappresentativi di questa strategia dell'italiano: (25) QUI SI PARLA ITALIANO: Questa frase puo avere un valore di semplice informazione quando appare in un cartello esposto in un negozio o presso uno sportello (all'estero). Rivolta a un ospite straniero (nel corso di un ricevimento), e un'esortazione a parlare la nostra lingua. Pronunciata da un insegnante di italiano in una scuola per stranieri, ha la funzione di un ordi-ne. (Dardano 1996: 11) In questo esempio, tratto da un tipo di testo espositivo in cui si presentano diversi esempi o casi ipotetici, i costrutti non-finiti servono a continuare la catena di esempi ipotetici. In casi simili in danese si ricorrerebbe o a una subordinata introdotta da hvis ('se') oppure da una proposizione subordinata anteposta senza connettivo, con inversione (V + S): (26) Hvis man henvender sig/ Henvender man sig [Se ci si rivolge...] Hvis det bliver udtalt af/ Udtaler en terer det [Se e pronunciata da/ se un insegnante lo pronuncia] Gli esempi (27) e (28) sono tratti rispettivamente da una traduzione dal danese in italiano e una traduzione dall'italiano in danese: (27) «Hallo. Hallo, er du kommet til skade ?» rábte hun og strag atter sneen v&k fra 0jnene. Hun fik intet svar, gik et par skridt frem og kaldte igen. (Teller 1999: 46) «Ehila ! Ehi, ti sei fatto male ?» grido, continuando a togliersi la neve dagli occhi. Non otte-nendo risposta fece due passi ancora e chiamo di nuovo. (Teller 2001: 50) I verbi evidenziati del brano danese 'strag' e 'fik' sono di forma finita, tempo passato, coordinati con gli altri verbi finiti delle frasi, mentre sono ambedue resi in italiano con un costrutto gerundivo. (28) Alcuni dei requisiti imposti dalla legge [una direttiva UE] sembrano ovvi o superflui, ma e tuttavia necessario fornire tutte le informazioni, essendo il datore di lavoro sottoposto a delle sanzioni, se non adempie all'obbligo d'informazione. (Rossi 2003: 29). Nogle af de krav, som loven opstiller, kan synes selvf0lgelige eller overfl0dige, men samtlige oplysninger skal alligevel gives, da der er sanktioner for arbejdsgiveren for manglende opfyldel-se6 af oplysningspligten. (Rossi 2003: 30) In (28) si noti il costrutto gerundivo essendo sottoposto..., reso in danese col connet- tivo da ('dato che') e il verbo er, di forma finita. Nell'italiano scritto si usa spesso il costrutto di participio assoluto:7 (29) Sulla base dei dati fornitigli dall'osservazione lo scienziato formula la sua ipotesi: [...] Formulata l'ipotesi, entra in gioco il ragionamento deduttivo... (Biologia 1993: 10-11) Nell'esempio citato, il costrutto indica una connessione di tipo successivo-condizio-nale, di ordine macrostrutturale in quanto segnala un cambiamento di sequenza. In danese, in cui non sarebbe possibile un costrutto sintattico equivalente, si osserva in un testo equivalente (ossia un testo parallelo8) il procedimento seguente: (30) Er alt dette i orden, kommersá nxste fase [...] (Christensen 1988: 41)9 [e tutto questo in ordine, arriva poi la fase seguente] con una proposizione subordinata in anteposizione (v. supra) con inversione e senza connettivo che segnala la relazione successiva-condizionale. Desentenzializzazione: nel seguente esempio si osserva una relazione condizionale tra le due lessemi verbali: (non) rispettare e provocare, realizzata attraverso una desen- 6 Intéressante, rispetto alle più frequenti differenze generali tra le due lingue (it. nominale vs. danese verbale) è il caso di desentenzializzazione danese 'manglende opfyldelse' [mancante adempimento] vs il testo italiano 'se non adempie all'obbligo..'. Si tratta di una tendenza limi-tata allo stile burocratico-giuridico del danese. 7 Costrutto spesso fonte di formazione di nuovi connettori: ammesso che, presupposto che, eccettua-to che ecc. 8 Per testi paralleli intendo testi autentici nelle due lingue, prodotti in situazioni identiche e con contenuto equivalente, ma in modo indipendente, cf. Skytte et al. (1999: 13). 9 Si noti 'l'incapsulatore' alt dette ('tutto questo'). tenzializzazione in forma di un sintagma nominale deverbale, con significato generico, nel suo rapporto col verbale finito della proposizione: (31) Perché la guida possa essere considerata sicura [...] l'utente della strada deve avere sempre a disposizione, davanti a sé, uno spazio libero pari allo spazio di frenatura corrispondente alla velocità tenuta, aumentato dallo spazio di reazione corrispondente alla stessa velocità. Il non rispetto di questa elementare norma di sicurezza provocherebbe inevitabilmente l'urto con un ostacolo. (Di Leone 1994: 134) Non è escluso un costrutto simile in danese (cfr. nota 6), ma normalmente si prefe-risce in casi del genere il procedimento esemplificato nell'es. (30). Interpunzione: vorrei brevemente ricordare la possibilità di connessione implicita attraverso l'interpunzione. L'italiano scritto ricorre frequentemente all'uso dei due punti, soprattutto per segnalare rapporti causali, consecutivi o esplicativi, procedi-mento non escluso in danese, ma decisamente meno frequente. Il danese in casi simili preferirà la connessione esplicita: (32) Ha interrotto la conversazione: era arrabbiato Han afbmd samtalen, fordi ['perché'] han var irriteret Nel parlato diverse strategie prosodiche (accento, tono, intervallo/pausa), mimiche e gestuali possono contribuire ad evidenziare la connessione implicita, oppure ad accentuare la connessione esplicita. Per finire la mia esemplificazione assai limitata, vorrei infine ricordare un'alterna-tiva all'uso del connettivo, assai frequente, ma poco notata nella letteratura linguistica, in quanto piuttosto confinata al campo della stilistica, e cioè la connessione metatestua-le, una strategia non senza importanza per la descrizione comparativa e per la tradu-zione. Si tratta di un argomento che meriterebbe un esame approfondito, a cui, nel presente contesto, tuttavia, mi devo limitare a qualche esempio rappresentativo. Gli esempi più semplici si avvicinano ai connettivi e ai paraconnettivi, come p.es. se ne deduce che, la ragione è che (invece di perché, percio), è vero che (per relazioni di concessione):10 (33) La ricerca nelsettore [degli atti linguistici indiretti] bisogna comunque ancora farla. E vero pero che in alcuni testi gli argomenti per difendere o giustificare una data opinione, sono presen-tati in modo ambiguo o celato, ma , nonostante cio, in modo efficace. (Lo Cascio 1991: 67) Equivalente alla connessione aggiuntiva si usa nella lingua scritta va aggiunto che (danese 'hertil kommer"), o con più forte accentuazione ma non finisce qui fdanese 'men ikke nok med dei): 10 Cfr. l'usatissimo il est vrai que in francese, strategia di connessione metatestuale evidentemente in via di grammaticalizzazione. (34) Venuta meno la certezza dell'accusa, nelprocesso d'appello alla assise di Caltanissetta per la strage di Via D'Amelio a Palermo, due dei quattro imputati sono sfuggiti all'ergastolo [...] Ma non finisce qui. Per la strage sono in corso altri due processi... (La Stampa 24.1.1999) Una strategia assai frequente in italiano, soprattutto nella lingua parlata, e in danese anche nella lingua scritta, è l'uso di un pro-verbo (fare/g0re, succedere, accadere/ske) in funzione anaforica o cataforica:11 (35) Der er en stœrk tradition for at de [de dansktalende] skal kunne slâ op i en grammatikbog for at finde ud af hvad man mâ, og hvad man ikke mâ [...] Man siger at grammatikken er normativ. Den fastlœgger hvad der er korrekt, og hvad der er ukorrekt sprogbrug. Det g0r denne grammatik ikke. Den er deskriptiv... (Kristiansen et al. 1996: 57) [E assai normale [per i parlanti del danese] consultare un manuale di grammatica per sapere che cosa sia uso corretto e che cosa sia scorretto... Si dice che la grammatica è normativa. Indica l'uso della lingua corretto e quello scorretto. Non lo fa questa grammatica. Essa è descrittiva.] Nell'adottare la strategia metatestuale il testo (35) fa rilevare in modo accentuato il contrasto tra gli aggettivi normativo e descrittivo. In testi italiani equivalenti (in senso stilistico) si codificherebbe contrasti simili adoperando p.es. il connettivo mentre o il paraconnettivo al contrario. Nel corpus Mr. Bean, il verbo ske ('succede'), soprattutto nei testi parlati del danese, ma anche nello scritto, come nell'esempio seguente, viene usato per indicare una connessione successiva: (36) [...] jesusbarnet bliver lagt i en«behagelig» seng, men sá sker der det at en tredje hând kommer ind i billedet [...] (Skytte et al. 1999: 609) [Gesù bambino viene adagiato in un letto«confortevole», ma poi succede che una terza mano apparisce sulla scena] Applicando la strategia metatestuale si ottiene inoltre, come in (36), un forte effetto di focalizzazione. Cfr. il seguente es. (37) di un testo italiano parlato dello stesso corpus: (37) pero che cosa succede che, il bianchetto eh ...è ... (Skytte et al. 1999: 629) Nelle due lingue si usa molto spesso al livello della macrostruttura la connessione metatestuale per segnalare cambiamento di sequenza:12 (38) Passiamo ora ai segnali d'obbligo. (Di Leone 1994: 49) 11 Lehmann (1988: 211) usa il termine verbi anaforici che ci pare meno soddisfacente dato che la loro funzione potra anche essere cataforica. Una descrizione assai dettagliata si trova presso Prandi (1998 e 2005) che usa il termine verbo supplente. 12 Cfr. Conte (1988: 21) «Connessivita a livello metatestuale e una tecnica di organizzazione del testo». (39) Vi vil nu se pá de muligheder og begrnnsninger, man er underlagt som f0rer af en lille per-sonbil... (K0reskolernes nye teoribog, p. 29) [Ora guardiamo le possibilita e limitazioni a cui e sottoposto il guidatore di una piccola autovettura...] CONCLUSIONE Nel mio articolo sono partita da una definizione assai larga del concetto di connes-sione implícita, intesa come ogni tipo di connessione interproposizionale o interse-quenziale, realizzata senza connettivo esplicito, e cioe con o senza strategie linguisti-che alternative. Ho presentato una breve esemplificazione in cui analizzo le differen-ti strategie di connessione implicita in rapporto alla coerenza testuale, tenendo conto delle variazioni intra- e interlinguistiche, in casu con esempi dell'italiano e del dane-se. Collocando la problematica in questa prospettiva si mette in evidenza il rendi-mento di ulteriori esami e ricerche in questo campo di studio per esplorare i mecca-nismi evolutivi dei connettivi e per utilizzare la comparazione interlinguistica al fine di migliorare le strategie di traduzione da una lingua all'altra. Bibliografía A Corpus Biologia, Sistemi Relazioni Viventi. (1993). ETAS LIBRI per le Scuole Superiori. Christensen, B. Lauge/B. Madsen (1988) Vi og vore omgivelser bind 1: Menneskets 0kologi. K0benhavn: Gyldendal. Dardano, Maurizio (1981) Il linguaggio dei giornali italiani. Roma/Bari: Laterza. Dardano, Maurizio (1996) Manualetto di linguistica italiana. Bologna: Zanichelli. 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Povzetek »IMPLICITNA« ZVEZA Članek na osnovi kontrastiranja danskega in italijanskega gradiva prikazuje različne strategije ubesedenja »implicitne« zveze, ki obsega vse vrste medstavčne zveze brez eksplicitnega vez-nika. Avtorica implicitno zvezo proučuje v odnosu do besedilne koherence prek analize zgledov z različnimi ubeseditvenimi strategijami, pri čemer upošteva znotrajjezikovno in medje-zikovno raznolikost. Rosanna Sornicola Università di Napoli Federico II* UDK 811.131.1'367.626-112 I TIPI ITALIANI CONESSO, LUNGHESSO, SOVRESSO, SOTTESSO E LA GRAMMATICALIZZAZIONE DI IPSE 1. UNA DESCRIZIONE GRAMMATICALE In italiano antico erano presenti delle costruzioni preposizionali in cui il pronome esso appare agglutinato alla base preposizionale semplice. Si tratta dei tipi conesso, lunghesso, sovresso (sopresso), sottesso, che compaiono in testi del '200 e del '300, in particolare in Dante e Boccaccio, e hanno continuatori nella lingua letteraria sino agli inizi del '900 (in Pascoli, D'Annunzio e Pirandello): Conesso Dante, Inferno 32: «conesso un colpo per la man d'Artü» Boccaccio, Novella VII, 1 «Dell'altre volte ritrovandosi colla donna, molto di questa incan-tazione rise conesso lei» Cavalca, Epist. Eustochio, cap. 2 «Non temere (disse), che piu non sono conesso noi, che con-tro a noi» Ariosto, Orlando Furioso 40, 55 «Fu Bucifar dell'Algazera morto / Conesso un colpo da Olivier gagliardo»1 Lunghesso Conti morali (ed. Zambrini) 10 «e poscia cerco tanto, ch'elli trovo el santo romito, sotto el muro lunghesso la torre di Dauro» Dante, Purgatorio 2, v. 10 «Noi eravam lunghesso mare ancora, / come gente che pensa a suo cammino» Dante, Purgatorio 19, v. 27 »Ancor non era sua bocca richiusa, / quand'una donna apparve santa e presta / lunghesso me per far colei confusa» Boccaccio, Amorosa Visione, c. 7, v. 10 «Lunghesso Fauno e Pico lor vid'io / seguire, ed il gran Belo dopo loro» * Indirizzo dell'autrice: Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Filologia Moderna, Via Porta di Massa 1, 80133 Napoli, Italia. Email: sornicol@unina.it 1 Si veda il Catalogo delle forme del Corpus OVI dell'italiano antico s. v. conesso; si veda inoltre Tommaseo/Bellini (1929, 2: 517a). Il tipo non è registrato da Battaglia. Boccaccio, Decameron V, 7 «avvenne che, tornando egli da uccellare e passando lunghesso la camera dove la figliuola gridava, meravigliandosi, subitamente entro dentro e domando che questo fosse» Boccaccio, Esposizioni c. VII (i), par. 98 «E noi, Virgilio e io, in compagnia dell'onde bige, cioe lunghesso l'acque bige, come i compagni vanno l'uno lunghesso l'altro per un cammino»2 Sovresso Dante, Inferno 23, v. 54 «i pie suoi giunti al letto / del fondo giü, ch'e' furon in sul colle / sovresso noi; ma non li era sospetto» Dante, Inferno 34, v. 41 «l'altr'eran due, che s'aggiugnieno a questa / sovresso 'l mezzo di cia-scuna spalla, / e sé giugnieno al loco de la cresta» Dante, Purgatorio 27, v. 23 «E se io / sovresso Gerion ti guidai salvo, / che faro ora presso piü a Dio?» Dante, Purgatorio 31, v. 96 «Tratto m'avea nel fiume infin la gola, / e tirandosi me dietro sen giva / sovresso l'acqua lieve come scola» Dante, Purgatorio 32, v. 149 «simile mostro visto ancor non fue. / Sicura, quasi rocca in alto monte, / seder sovresso una puttana sciolta / m'apparve con le ciglia intorno pronte» Dante, Paradiso 19, v. 91 «Quale sovresso il nido si rigira / poi c'ha pasciuti la cicogna i figli»3 sottesso Dante, Purgatorio 31, v. 19 «Come balestro frange, quando scocca / da troppa tesa, la sua corda e l'arco / e con men foga l'asta il segno tocca / si scoppia' io sottesso grave carco» Boccaccio, Teseida 1.1. (c) «O sorelle Castalie, che nel monte Elicona contente dimorate... , sottesso l'ombra delle fronde amate da Febo» Livio volg. 5, 26 «Con l'armi e con la virtü e di necessita che... la nazione ribellante, piü temerariamente combattente che arditamente, al giogo di sotto, al quale s'e tolta, a ritorna-re sottesso costrignete»4 2 Si veda il Catalogo delle forme del Corpus OVI dell'italiano antico, s. v. lunghesso. Il tipo e regístrate e descritto da Tommaseo/Bellini (1929, 3: 1304a). 3 Si veda il Catalogo delle forme del Corpus OVI dell'italiano antico, s. v. sovresso. Si veda inoltre Tommaseo/Bellini (1929, 5: 1051b); Battaglia 19, 647b. 4 Si veda il Catalogo delle forme del Corpus OVI dell'italiano antico, s. v. sottesso; Tommaseo/Bellini (1929, 5: 1036c); Battaglia (19: 570a). Questi tipi sono stati segnalati da Rohlfs (1949-1954, 2: § 496), che cosi descrive il processo diacronico alla loro origine: «£sso... dopo alcune preposizioni è divenuto elemento rafforzativo indeclinabile, che ha finito col fondersi con la preposizione». Tuttavia la atrofizzazione del pronome rispetto alla preposizione non si puo considerare del tutto completata, dal momento che - come riporta Battaglia (9: 292b) - esi-stono esempi di concordanza del pronome con il sostantivo cui si riferisce: «Stimarono... acconcio... che, traghettata la Lenza, potesse [la cavalleria] marciare lunghes-sa sponda del Po» (Siri) «Otto grosse candele ardevano intorno alla morta, e la cera gocciolava agglomerandosi lunghesse in grosse e bizzarre stalattiti» (Praga) «Su i pianori dei monti, / lunghesse le vie lapidóse» (D'Annunzio) «Tra quell'ombre che giacciono oziose / sottessa la tranquilla onda lunare, / sognare, o Iole, le passate cose, / i dolci sogni d'un tempo sognare» (Pascoli) Che il fenomeno sia documentato in scrittori moderni potrebbe essere indizio della conservazione di una più antica condizione strutturale sull'arco di diversi secoli, ma non si puo neppure escludere una restaurazione colta di tale condizione, effettuata con l'intento di rendere meno opaca la struttura. Costruzioni come quelle ora ripor-tate, in ogni caso, pongono un interessante problema di descrizione grammaticale: sino a che punto è sostenibile che lunghesso e sottesso, che ancora presentano varianti con flessione governata dai tratti di genere e numero del nome che segue, siano delle vere e proprie preposizioni? Da un punto di vista strutturale, la duplice casisti-ca per cui il dimostrativo è agglutinato con perdita della flessione (tipo lunghesso il fiume), o conserva i suoi tratti morfologici di accordo (tipo lunghesse le vie) puo essere rappresentata, rispettivamente con i diagrammi (a) e (b): (a) Prep Prep N Lunghesso Spec N Il fiume (b) Prep Prep N Lungo Spec N esse Spec N le vie Le due rappresentazioni esplicitano il fatto che, indipendentemente dalle caratteristiche di fonología frasale (esso appartiene comunque al sintagma intonativo della preposizio-ne), in (a) il dimostrativo esso forma costituente con la preposizione, mentre in (b) forma costituente con il sintagma nominale che segue. Si tratta, come è ovvio, di uno dei casi di possibile asimmetria fra struttura intonazionale e struttura sintattica. Il diagramma (b) mostra che, per costruzioni come lunghesse le vie, non è lecito ricorrere ad un modello di «preposizione flessa», che pure è stato postulato nelle tradizioni grammaticali di varie lingue del mondo. Benché utili per una descrizione configurazionale di massima, le due rappresentazioni tuttavia non esauriscono le molteplici caratteristiche strutturali dei tipi in esame. Come vedremo tra poco, questi ultimi possono avere proprietà semantiche diverse in rapporto ai contesti di occorrenza, e ció si riflette anche a livello di relazioni sintattiche. Tale situazione mostra che è difficile sistematizzare in una trattazione grammaticale inevitabilmente sincronica la complessità della casistica diacronica. 2. L'ANALISI SEMANTICA Il valore semantico dei tipi preposizionali con ess- in confronto ai rispettivi tipi semplici non si lascia facilmente descrivere. Per quanto riguarda lunghesso, Battaglia (9: 292b) distingue un significato 'lungo, rasente, di fianco, per, attraverso', specialmente in rapporto ad un complemento di moto per luogo reale o figurato, da un significato 'presso, vicino, accanto, a lato', in rapporto ad un complemento di stato in luogo. Il significato 'accanto, a lato' è interpretabile per varie occorrenze della forma nella Commedia,5 ma compare anche in scrittori di epoca successiva, ancora nel Novecento, in Pascoli e Pirandello.6 Il significato 5 Ció è esplicitato nel Commento di Francesco da Buti a Purg. 2, 10: «Noi, cioè Virgilio et io Dante, eravam lunghesso il mare ancora, cioè allato al mare, che non c'eravamo ancora partiti da esso» (cap. 2, 10-24); a Purg. 19, v. 27: «lunghesso me, cioè allato a me, Dante» (cap. 19, 16-33). 6 Gli esempi forniti da Battaglia per Pascoli e Pirandello non sembrano sicuramente interpretabili in tal senso. 'a canto, a lato', peralto, non è esclusivamente in rapporto al tipo con il pronome aggluti-nato, ma si ritrova già di per sé nella preposizione semplice, che oltre al significato 'accosto, rasente, parallelamente' ha anche quello di 'vicino, accanto, presso': Dante, Vita Nuova cap. 12, par. 1-9) «Avvenne quasi nel mezzo de lo mio dormire che me parve vedere ne la mia camera lungo me sedere uno giovane vestito di bianchissime vestimenta» Battaglia (9: 301b, s. v. lungo2). Si tratta di una evoluzione del significato dell'originaria base latina aggettivale longu- (entrata in funzione nominale in formazioni preposizionali (per longum e per longo)), già attestata in documenti tardo-latini di area italiana.7 In ogni caso, rimane il problema di stabilire se lunghesso e lungo siano meri allotropi senza variazione di significato. Le cose stanno diversamente per quanto riguarda la definizione data da Battaglia per il tipo sovresso, 'sopra, proprio sopra', in cui in aggiunta al significato del tipo preposizionale semplice, compare un valore specificativo 'proprio', altrimenti assente Battaglia (19: 647b). L'esame della tradizione lessicografica più antica non fornisce indizi risolutivi. A proposito di esso in Tommaseo/Bellini (1929, 2: 1370c) si osserva in generale che «si aggiunge talora ad altre voci e preposizioni senza alterar punto il loro significato». Per il tipo conesso si rileva tuttavia che, quando è seguito da pronomi personali, il pronome esso non è un semplice riempitivo, ma figura come «rincalzo». D'altra parte, quando segue un nome, il pronome «è detto per vezzo in vece della semplice preposizione» (Tommaseo/Bellini 1929, 2: 517a). Per lunghesso, il cui significato è reso come 'rasente, accosto', si osserva che «è antica e usata proprietà di linguaggio l'aggiugner [esso] non solamente agli avverbi, ma eziandio a' nomi».8 La «proprietà di linguaggio» è indicata come caratteristica stilistica associabile anche ai tipi sottesso e sovresso.9Nel complesso, come si vede, la descrizione semantica è tutt'altro che chiara, né sembra più chiaro il sibillino commento stilistico. 3. CARATTERISTICHE DISTRIBUZIONALI Sia l'analisi semantica che quella del processo di grammaticalizzazione richiedono un esame congiunto delle proprietà dei tipi preposizionali italiani qui discussi e di quelle del pronome latino ipse nei suoi diversi contesti di occorrenza. I tipi italiani mostrano una sequenza rigida Preposizione + ess- + Pronome obliquo o Preposizione + ess- + Nome, dove il pronome obliquo puo essere essere uno della serie personale me, te, se, lui, lei, noi, voi, loro, oppure - limitatamente al tipo conesso - un pronome della serie meco, teco, seco.10 In alternativa, il sintagma nominale che segue la strut-tura Preposizione + ess- puo avere come testa un nome proprio o un nome comune. 7 Si veda Arnaldi et alii (1350b). Questo sviluppo di significato si trova anche in numerose forme preposizionali galloromanze antiche e moderne (si veda FEW 5: 407-408). 8 Tommaseo/Bellini (1929, 3: 1304a). Si noti che la caratteristica della «proprietá di linguaggio» era stata chiamata in causa al riguardo giá dal Vocabolario degli Accademici della Crusca (quarta impressione), s.v. lunghesso. 9 Per cui si veda in Tommaseo/Bellini (1929, 5: 1036c e 1051b). 10 A proposito della combinazione con meco, teco, seco, in Tommaseo/Bellini (1929, 2: 517a) si parla di un «fiorentinismo», il cui uso eccessivo e da stigmatizzare. Quest'ultimo puo essere preceduto da un articolo determinato o indeterminato (il che si vede nella maggior parte delle attestazioni) o puo essere privo di articolo. Non tutti i tipi si comportano allo stesso modo per quanto riguarda la frequenza di selezione di un sintagma pronominale o nominale. Con il tipo conesso, la casistica di combinazione con un pronome è infatti più caratteristica, mentre è più rara la combinazione con un nome.11 Si noti, infine, che alcuni tipi preposizionali, come lunghesso e sovresso ammettono costruzione avverbiale: «Tutti i rapporti concorrono ad affermare che Bonaparte è sbarcato non più in Alessandria, ma ad Alessandretta per recarsi di là sull'Eufrate e lunghesso penetrare nel cuore del commercio inglese» (Monti, cit. in Battaglia, 9: 292b).12 La struttura in cui il tipo compare in un contesto in cui seguono altri sintagmi preposizionali, riportata da Battaglia (9: 292b), dovreb-be del pari essere considerata avverbiale, con i sintagmi preposizionali successivi analizzabili come apposizioni: Buonarroti il Giovane, «lunghesso verso le case de' Peruzzi» (= 'a lato, verso le case dei Peruzzi'). 4. FUNZIONI DEL DIMOSTRATIVO LATINO IPSE La distribuzione ora descritta è in rapporto ad alcune proprietà sintattiche e semantiche del dimostrativo latino ipse, etimo delle forme italiane ess-. ipse era usato già in latino classico, ed ancora di più in latino tardo, in un ampio spettro di costruzioni e funzioni pronominali e aggettivali. Quando formava sintagma con un pronome personale o con un nome fungeva da focalizzatore di tale costituente, con valori rappresentabili come 'anche X, proprio X, X in persona, X dal canto suo'. Non è privo di interesse che già in latino post-classico la posizione di ipse potesse indurre valori semantici diversi. Se ipse precedeva il costituente pronominale o nominale aveva piuttosto il valore di un attributo di identità (= idem): ipse rex 'il re medesimo', se seguiva tale costituente aveva un più spic-cato valore di focalizzazione: rex ipse 'il re in persona, proprio il re'. Un altro valore del dimostrativo latino era quello che possiamo definire «indivi-dualizzante», che esprimeva una sorta di iperdeterminazione 'esattamente X', talo-ra con una implicazione di esclusione 'e nessun altro'. Il significato di individualiz-zazione o precisazione di un concetto era specialmente caratteristico di costruzioni preposizionali con valore locativo o temporale: ad ipsum puteum 'proprio vicino al pozzo', in ipsa ciuitate 'proprio nella città', in ipsa hora 'proprio in questo momento, subito'. Costruzioni come queste (specialmente quelle temporali) hanno avuto numerosi continuatori nelle lingue romanze, spesso in espressioni che si sono grammaticalizzate come avverbi.13 Un caso particolarmente emblematico è quello dell'avverbio italiano adesso, che deve essere ricondotto ad ad ipsum (tempus), 11 In Tommaseo/Bellini (1929, 2: 517a) si osserva che quando conesso «non e congiunto a persona» (cioe non si combina con un pronome personale) «e detto per vezzo, invece della semplice preposizione». 12 L'analisi di questo esempio pero non sembra incontrovertibile. Non si puo escludere infatti che esso sia qui una ripresa anaforica di Eufrate (si veda piü avanti, § 5). 13 Per una discussione di questo punto, e piü in generale delle forme e funzioni di IPSE in latino e della loro sopravvivenza nelle lingue romanze, rinvio a Sornicola (2008), Sornicola (in stampa). nonostante le difficoltà fonetiche (la e tonica è aperta e non chiusa, come ci si aspetterebbe).14 Si tratta infatti di un tipo di determinazione di tempo che ha nume-rosi riscontri in costruzioni avverbiali tra loro affini, presenti in tutta la Romània. È interessante che nel latino di varia epoca la posizione di ipse nelle costruzioni pre-posizionali fosse, benché non in maniera esclusiva, soprattutto ante-nominale. Le costruzioni romanze che grammaticalizzano questi tipi, ed in particolare le costruzioni preposizionali di cui ci stiamo qui occupando, testimoniano la prevalenza di tale ordine. 5. LA GRAMMATICALIZZAZIONE DEI TIPI ITALIANI PREPOSIZIONE + ESSO Si pone a questo punto il problema se la trafila di grammaticalizzazione di IPS- sia stata motivata dalle stesse ragioni semantiche in tutti i tipi preposizionali presi in esame. In alcuni contesti i tipi italiani Preposizione + ess- mostrano la conservazione del valore individualizzante 'proprio (in un determinato luogo)'. Come si è detto, tale valore risulta chiaramente esplicitato da Battaglia (19: 647b) per sovresso, defi-nito come 'sopra, proprio sopra'. Non è implausibile pensare che ancora in italiano antico e forse anche in seguito, nella competenza di scrittori e persone di cultura, questo valore di precisazione o iperdeterminazione fosse ancora avvertito. D'altra parte, è possibile che già in Dante, che fa diverse volte ricorso a questi tipi nella Commedia, la scelta fosse, almeno in alcuni casi, indotta da ragioni metriche. Meno chiare sono le ragioni semantiche che hanno potuto dar vita allo svilup-po del tipo conesso, la cui distribuzione prevalentemente in contesti con pronomi personali potrebbe far ipotizzare una originaria funzione comitativa della costru-zione, piuttosto che strumentale. In effetti, si potrebbe qui ravvisare la continua-zione e fossilizzazione dei contesti latini in cui ipse occorreva prima di un pronome personale, come rafforzativo di questo: ipse ego 'io stesso, io medesimo', ipse ille 'lui stesso, lui medesimo', e cosi via. Il principio di fondo all'opera in queste strutture potrebbe dunque essere stata la rideterminazione o ipercaratterizzazione di forme pronominali, un principio attivo in varie lingue del mondo attraverso diversi processi morfologici o sintattici. Bisogna notare peraltro che, specie negli stili non sofisticati del latino, ipse si puo trovare in combinazione con dei pronomi dimostrativi (hic ipse, iste ipse, ille ipse). Queste combinazioni hanno dato luogo a tipi romanzi morfologizzati, che hanno mantenuto il valore 'idem' della base ips-(si pensi all'it. stesso, allo sp. ant. eleiso 'medesimo'). Induce a riflessione il fatto che accanto a questi esiti, l'italiano antico abbia anche dei tipi sintagmatici come costoro essi, queste esse (Tommaseo/Bellini 1929, 2: 1370c), a riprova della versati-lità e vitalità delle combinazioni di IPS-, testimoniate anche nelle forme dimostra-tive rafforzate mediante eccu-. 14 Si veda Schuchardt (1891: 240); Cortelazzo/Zolli (1: 20) considerano questa etimologia dubbia. Implausibile l'ipotesi di REW 2558 che pone l'italiano adesso sotto la base dë(n)sus 'dicht'. Un ulteriore valore semantico di ipse, che possiamo definire «possessivo-relazio-nale», potrebbe trasparire in alcuni contesti in cui compaiono i tipi italiani in esame. Tale significato e antico, e si trova attestato ad esempio in Cicerone, ad Quint. fr. 1, 1, 22 «hominis... cum ipsa natura moderati tum... studiis eruditi». Nel Commento alla Commedia, Purgatorio 19, v. 91 («Quale sovresso il nido si rigira / poi c'ha pasciu-ti la cicogna i figli»), Buti propone una interpretazione che sembra suggerire la per-manenza di questa potenzialita della base latina nella competenza linguistica di un uomo del XIV secolo : egli interpreta «Quale sovresso 'l nido, cioe chente e come si gira sopra lo suo nido». E dunque possibile che nelle forme conesso, lunghesso, sovresso, sottesso convergano contesti strutturali e funzioni diverse di ipse. Ad ogni modo, quali che siano state le possibili diverse dinamiche semantiche retrostanti ai tipi preposizionali in esame, e quale che sia stata la consapevolezza antica dell'esistenza di determinati valori semantici, che gli scrittori piu colti pote-vano ancora cogliere come continuita con il latino, e indubbio che nell'arco dell'ul-timo secolo si sia determinato un processo di opacizzazione totale di queste struttu-re. Il problema della loro grammaticalizzazione completa come preposizioni in italiano antico lascia perplessi. Non si tratta solo di accertare o meno caratteristiche oggettive e inequivocabili come i tratti di concordanza precedentemente menzionati. L'analisi testuale a piu lungo raggio mostra non di rado proprieta della forma esso adiacente alla preposizione che non collimano con l'ipotesi di una sua totale dese-mantizzazione, condizione necessaria perché si possa ritenere di essere in presenza di forme grammaticalizzate. Cosi la forma sottesso che occorre nel gia citato passo di Livio volg. 5, 256, che qui riporto per comodita: «Con l'armi e con la virtu e di necessita che... la nazione ribellante, piu temerariamente combattente che arditamente, al giogo di sotto, al quale s'e tolta, a ritornare sottesso costrignete», rende legittimo ipotizzare che il pronome abbia una funzione anaforica di ripresa del sintagma nominale antecedente giogo, e che pertanto conservi in pieno il suo valore deittico. Tale conservazione conferma che il pronome non e decaduto a mera marca flessiva. Ad una funzione anaforica di ripresa fa pensare anche il gia citato contesto di Purgatorio 32, v. 149, che del pari riporto: «simile mostro visto ancor non fue. / Sicura, quasi rocca in alto monte, / seder sovresso una puttana sciolta / m'apparve con le ciglia intorno pronte», dove la forma pronominale sembra coreferente di mostro. Tale uso potrebbe riflettere la continuazione dell'antica funzione dimostra-tiva di ipse, ampiamente documentata in italiano antico per le forme libere del pronome / aggettivo esso (si pensi ad esempio a Paradiso 8, 19 «Vid'io in essa luce [= 'in quella luce'] altre lucerne / muoversi in giro»).15 C'e poi un altro motivo che a mio avviso complica la tesi della grammaticalizza-zione. E emerso in vario modo nella discussione sinora svolta: la possibilita che nella competenza di chi parlava o scriveva in italiano i valori diventati oggi per noi opachi 15 Per questa funzione delle forme libere si veda Tommaseo/Bellini (1929, 2: 1370bss.); Battaglia (5: 427b). Per un esame del valore dimostrativo di IPSE, specialmente in contesti anaforici, rin-vio a Sornicola (in stampa). fossero invece ancora presentí, sia pure come sfumatura semantica che tuttavia oppo-neva il tipo preposizionale semplice a quello con esso. Come abbiamo visto, qualche indizio in questa direzione potrebbe essere ravvisato, ed in ogni caso, almeno come principio metodologico, dovremmo lasciare la porta aperta a questa possibilita. La situazione moderna non deve essere proiettata sic et simpliciter su quella antica. A me sembra che il maggior interesse dei tipi conesso, lunghesso, sovresso, sottesso, consista non tanto nel fatto che si possano prestare ad uno studio dei processi di gram-maticalizzazione, ma che testimoniano la stretta interpenetrazione e la continuita del volgare rispetto al latino, profondamente riflesse nella sue strutture. Bibliografia Arnaldi, Francesco et alii (2001) Latinitatis italicae medii aevi lexicon: saec. 5. ex. - saec. 11. in. Firenze: Sismel, Edizioni del Galluzzo. Battaglia, Salvatore (1961-2009) Grande Dizionario della lingua italiana. 21 voll. Torino: Unione Tipografico-Editrice Torinese. Corpus OVI dell'italiano antico = Corpus testuale del tesoro della lingua italiana delle origini, Istituto Opera del Vocabolario Italiano del CNR, versione online. Cortelazzo, Manlio/Paolo Zolli (1979-1988) Dizionario etimologico della lingua italiana. 5 voll. Bologna: Zanichelli. Few = Wartburg, Walther von (1922-) Französisches Etymologisches Wörterbuch. Bonn: Schröder. Rew = Meyer-Lübke, Wilhelm (31930-1935) Romanisches Etymologisches Wörterbuch. Heidelberg: Winter. Rohlfs, Gerhard (1949-1954) Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. 3 voll. Torino: Einaudi. Schuchardt, Hugo (1891) «Wortgeschichtliches.» Zeitschrift für romanisches Philologie 15, 237-241. Sornicola, Rosanna (2008) «Sul problema dei resti di IPSE nella Romania.» In: R. Lazzeroni et alii (a cura di), Diachronica et Synchronica. Studi in onore di Anna Giacalone Ramat. Pisa: Edizioni ETS, 537-562. Sornicola, Rosanna (in stampa) «Per la storia dei dimostrativi romanzi: i tipi neutri zo, so, cid e la diacronia dei dimostrativi latini.» Zeitschrift fuer romansiche Philologie. Tommaseo, Niccolo/Bernardo Bellini (1929) Dizionario della lingua italiana. 6 voll. Torino: Unione Tipografico-Editrice Torinese. Vocabolario degli Accademici della Crusca. 6 voll. Firenze: appresso Domenico Maria Manni, 1729-1738. Riassunto I TIPI ITALIANI CONESSO, LUNGHESSO, SOVRESSO, SOTTESSO E LA GRAMMATICALIZZAZIONE DI IPSE I tipi morfologici caratteristici dell'italiano antico, conesso, lunghesso, sottesso, sovresso, pongo-no alcuni interessanti problemi di analisi strutturale e di formazione diacronica. Sono possi-bili due rappresentazioni alternative di struttura in costituenti, una in cui il dimostrativo esso forma sintagma con la preposizione, l'altra in cui forma sintagma con il nome. Le due rap-presentazioni potrebbero esplicitare fasi diverse del processo di grammaticalizzazione del dimostrativo nelle costruzioni in esame. Tale processo tuttavia non si lascia facilmente descri-vere in maniera unitaria. Decisivo sembra, in ogni caso, l'esame della complessa evoluzione del dimostrativo latino ipse. Povzetek ITALIJANSKE ZVEZE CONESSO, LUNGHESSO, SOVRESSO, SOTTESSO IN GRAMATIKALIZACIJA ZAIMKA IPSE Morfološke zveze, značilne za staro italijanščino, conesso, lunghesso, sottesso, sovresso, predstavljajo nekaj zanimivih problemov strukturalne analize in diahronega razvoja. Mogoča sta dva alternativa prikaza strukture po sestavnih elementih; pri prvem kazalni zaimek esso tvori besedno zvezo s predlogom, pri drugem pa s samostalnikom. Ta dva prikaza bi lahko pojasnila različne faze procesa gramatikalizacije kazalnega zaimka v obravnavanih konstrukcijah. Vseeno pa se tega procesa ne da enostavno in enovito opisati. V vsakem primeru se zdi odločilna analiza kompleksnega razvoja latinskega kazalnega zaimka IPSE. Sandra Augendre Université Michel de Montaigne Bordeaux 3 Università degli Studi di Cagliari* UDK 811.131.1'367:808.56 SOGGETTO E VERBO CON dormire, telefonare e arrivareIN CONTESTI DIVERSI INTRODUZIONE Quest'articolo vuole presentare lo studio realizzato su un campione di cento parlan-ti italiani, ed in particolare la parte che riguarda tre verbi, dormire, arrivare e telefonare, che si possono costruire con un unico argomento, il soggetto. Il punto di par-tenza del lavoro e la struttura argomentale identica di questi tre predicati e lo scopo e studiarne la realizzazione in due contesti enunciativi diversi: quando l'asserzione e «Predicato + Argomento» e quando la presupposizione e «Argomento» e l'asserzione e «Predicato». I risultati del test somministrato ai parlanti ci ha portato a formulare ipotesi che riguardano la realizzazione di una stessa struttura argomentale, i rispettivi ruoli del contesto e degli elementi presenti nel determinare la strutturazione dell'enunciato ed anche le ragioni che permettono di considerare una sequenza come inadeguata o al contrario come adatta rispetto al contesto. Inizieremo presentando la nozione di struttura argomentale e le proprieta dei tre predicati considerati. Poi introdurremo il questionario e illustreremo il suo funzio-namento. Infine, presenteremo i risultati ottenuti per ogni verbo nei diversi contesti e vedremo in particolare che non ci sono due classi di verbi intransitivi ma piuttosto un continuum tra gli inergativi e gli inaccusativi. 1. IL SOGGETTO COME ARGOMENTO UNICO Come abbiamo appena accennato, la base dello studio e la struttura argomentale. La «valenza» di un verbo - concetto introdotto da Tesniere nel 1959 - riunisce gli elementi che riguardano le entita direttamente o indirettamente coinvolte dal pro-cesso indicato dal verbo. Il punto di partenza della struttura e il verbo, che selezio-na zero, uno, due, tre. argomenti necessari alla buona formazione dell'enunciato. Gli argomenti di un verbo, diversamente dai circostanti, sono supposti essere obbligatori, ma cio non sempre e vero: si vogliono cosi distinguere gli argomenti necessari all'uso del predicato dagli argomenti opzionali, la cui assenza non impe-disce la costruzione di un enunciato grammaticale ed interpretabile. Prendiamo l'esempio di mangiare: * Indirizzo dell'autrice : 87, chemin de Mussonville Apt C 62, 33130 Bègles, Francia. Mél : augendre.sandra@wanadoo.fr Mangiare Agente Piero Paziente Mela b. Mangiare Agente Piero 1. E possibile attribuire due strutture argomentali a questo predicato, una con due argomenti, un'altra con solo un agente e l'ellissi del paziente: - Nella prima struttura, i due argomenti si distinguono per il loro ruolo semantico e per la loro funzione: «Piero» e agente e soggetto, mentre «mela» e paziente e oggetto diretto. Nel nostro esempio, sono direttamente riconoscibili per il fatto che solo il secondo puo essere soggetto della frase passiva («la mela e stata mangiata da Piero» vs «??/* Piero e stato mangiato dalla mela»), ma non e sempre cosí.1 - Nella seconda struttura, «mangiare» si costruisce solo con un agente («Piero mangia»). Il paziente e omesso, e questo fatto conduce ad un'interpretazione che non tiene conto dell'en-tita che viene mangiata e che si focalizza sull'azione effettuata dal soggetto. Questa breve presentazione della nozione di struttura argomentale pone la base dello studio empírico che proponiamo, dedicato al soggetto e alla sua realizzazione in contesto. Tale contesto e stato creato artificialmente, chiedendo ai parlanti di scegliere l'enun-ciato piu adatto a una situazione comunicativa determinata. Si trattera di lavorare su diverse coppie domanda-risposta. La logica, riassunta nello schema riportato sotto, e la seguente: lavorare sulla struttura argomentale di questi verbi per studiare diversi enun-ciati formulabili a partire da questa base, focalizzandoci sul fatto che ogni enunciato e suscettibile di ricevere diverse interpretazioni, ossia di trasmettere informazioni distinte in funzione del contesto d'enunciazione. Lo schema ha lo scopo di illustrare la comples-sita della situazione: con una stessa struttura argomentale, possiamo costruire diversi enunciati e ogni enunciato puo anche ricevere diverse interpretazioni. Enunciato 1 Struttura argomentale • -Enunciato 2 Enunciato 3 • Interpretazione 1 Interpretazione 2 Interpretazione 3 1 Siccome una mela non ha la capacita di mangiare, e facile interpretarla come paziente. Invece, se il predicato mangiare avesse come argomenti Piero e squalo, i due potrebbero essere interpretati o come agenti o come pazienti. In modo piu preciso, dopo aver preso in considerazione i tre verbi italiani suddetti, che dispongono di una stessa struttura di base (verbo + soggetto), lavoreremo a partire da un questionario somministrato a cento parlanti nativi, concentrandoci su due dei con-testi che sono stati proposti loro.2 La riflessione vertera non solo sulla struttura sintattica e l'interpretazione degli enunciati, ma anche sulle differenze che esistono rispetto al contesto, al verbo sele-zionato e alle proprieta dell'argomento unico. 2. DORMIRE, ARRIVARE E TELEFONARE: LE LORO CARATTERISTICHE Prima di tutto, vorremmo introdurre le proprieta intrinseche dei predicati conside-rati nell'articolo, identiche al livello della scelta dell'argomento ma diverse in termini sintattici e semantico-aspettuali. 2.1. Proprieta comune Lo studio presentato in quest'articolo riguarda tre verbi italiani selezionati sulla base della seguente proprieta comune: hanno necessita di un solo argomento soggetto per la loro costruzione. 3. Dorme Piero Arriva Piero Telefona Piero (a Maria)3 In effetti, tutti i tre verbi appartengono alla stessa classe, gli intransitivi, costruiti senza complementi e per i quali la scelta dell'ausiliare è correlata a fenomeni seman-tici e sintattici. Questa classe è tradizionalmente opposta a quella dei transitivi, che ammettono almeno un complemento oggetto e prendono l'ausiliare avere: 4. Verbi transitivi: SN nominativo [sv V accusativo SN...] Verbi intransitivi: SN nominativo [sv V.] 2 La limitazione a due del numero di contesti studiati ha lo scopo di poter sviluppare al massimo, per ciascun contesto, le caratteristiche e i risultati e, di conseguenza, di poter fornire un conte-nuto il piu preciso possibile nei due casi. Comunque, siamo ben coscienti che un allargamento dei dati sarebbe necessario al fine di proporre una visione globale del passaggio, in italiano, dalla struttura argomentale Predicato+Argomento all'enunciato Soggetto+Verbo. 3 Consideriamo in quest'articolo solo l'uso intransitivo del verbo telefonare e non la sua possibi-lita di avere un paziente costruito indirettamente, perche questo secondo argomento, al contrario del soggetto, non e necessario alla sua realizzazione. I tre predicati considerati richiedono esplicitamente solo un soggetto per la loro realiz-zazione; ci sembra pertinente introdurre l'idea che, per ciascuno dei tre verbi, è più o meno possibile riallacciare implicitamente altri elementi alla struttura argomentale: - Dormiré puo essere associato ad un luogo, un modo, una durata... tanto varrebbe dire che il predicato non conduce a nessuna interpretazione specifica. - Arrivare sottintende abbastanza direttamente un luogo («qualcuno arriva da qualche parte»), anche se il modo o il momento, per esempio, possono essere considerati come elementi pertinenti rispetto all'azione verbale. - Quanto a telefonare, include semanticamente un paziente che riceve la chiamata, anche se non è presente nell'enunciato. 2.2. Proprietà distintive Anche se possiedono una struttura argomentale identica, dormire, telefonare e arrivare non condividono le stesse caratteristiche. In effetti, la classe degli intransitivi non è omogenea e si divide in due gruppi che hanno proprietà specifiche: gli inaccusativi e gli inergativi. La distinzione tra questi due tipi di verbi si basa più che altro su delle caratteristiche sintattiche e semantiche. 2.2.1. Livello sintattico Al livello sintattico, i generativisti considerano che l'argomento unico degli inergativi e soggetto a tutti i livelli di rappresentazione (stesse proprietá sintattiche del soggetto dei verbi transitivi), invece quello degli inaccusativi e un oggetto (struttura profonda) o un soggetto (in superficie) . Qaoste elemento viene allora considerato da questi teo-rici comecsierno alSVperun verboiaa^aiiao1 emterno al SV per un inaccusativo: 5. - Vcrbc iacrnseiac: NP [VP V] ST Struttura intransitiva: V Esempio: Piero ha dormito. - Verbo inaccusativo:4 [VP V NP] ST SV V SN Esempio: È arrivato Piero. 4 Bumo (198 6) porld di vertii «ergativi» rispetto al fenbmenc cnalojjo dclle lingu e dette «ergative» nelle qo»» íí s ogpdUe v^ti' lntmdsitiva ha to steess o¡oso »dn' o^etto diïetto del t]«moltivo. L'ipotesi secondo la quale il soggetto di un verbo inaccusativo occupa la posizione vuota dell'oggetto è condivisa da molti linguisti, che suppongono un pro (locativo / temporale per Pinto 1997) prima del verbo, che permette di avere l'argomento unico in posizione postverbale. Tuttavia, non siamo convinti della distinzione di due posi-zioni sintattiche per un soggetto postverbale a seconda che il verbo sia inaccusativo 0 no. In effetti, da un lato, l'argomento unico degli intransitivi rimane un soggetto sintattico qualunque sia il verbo e, dall'altro, la posizione che occupa nell' enunciato puo essere studiata solo come una scelta del parlante rispetto al suo bisogno comunicativo e non come una necessità sintattica poichè, da questo punto di vista, la sua posizione in italiano è libera. In una lingua come il francese, l'argomento spesso usato per distinguere dagli altri 1 verbi inaccusativi è che solo questi possono iniziare una frase, anche se è possibile trovare qualche contro-esempio, come quello del verbo non-inaccusativo adopter/adot-tare che puo essere messo all'inizio, come in «Adoptent ce point de vue tous les membres du conseil / Adottano questo punto di vista tutti i membri del consiglio». L'italiano, che dispone dell'inversione libera, puo mettere qualsiasi verbo all'inizio. Di conseguenza, in italiano questa possibilità sintattica non è pertinente per identificare i verbi inaccusativi. In italiano infatti, per poter definire la classe dei verbi inaccusativi sono utilizzati diversi criteri. Tra l'altro la scelta dell'ausiliare essere, la possibilità di avere un soggetto con il participio assoluto del verbo, il test del ne partitivo o genitivo5 (cf. Andorno 2003: 105 o Benincà 1994: 69-72, per maggiori dettagli) o ancora il fatto che solo i verbi inergativi possono formare un nome d'agente con il suffisso -ore (cf. Graffi 1994: 57 per quest'ultimo argomento)... Appartengono a questa categoria gli intransitivi che richiedono l'ausiliare essere, i verbi ergativi, i verbi riflessivi ed ogni verbo usato nella forma passiva. Questa distinzione tra verbi non inaccusativi e inaccusativi viene messa in relazio-ne diretta con lo statuto del soggetto nei due casi: l'argomento unico di un non inac-cusativo possiede tutte le caratteristiche proprie a questo tipo di costituente, invece quello di un verbo inaccusativo riceve anche alcuni tratti dell'oggetto. Di conseguenza, dal punto di vista posizionale, l'ordine SV viene tradizionalmente associato ai verbi del primo tipo mentre l'ordine VS è considerato come più naturale rispetto all'ordine SV con gli inaccusativi.6 Adottano quest'idea Frison (1988) e Cornish (2001), tra l'altro, 5 Questo argomento evidenzia il fatto che ne puo solo corrispondere ad un complemento del nome proveniente dal COD di un verbo transitivo o al soggetto di un verbo inaccusativo. Ma anche in questo caso, un verbo come telefonare pone problemi. La questione è, secondo gli auto-ri, se considerare come grammaticale un enunciato come «ne hanno telefonato tre», o se considerare (Frison 1988: 50) il ne partitivo accettabile, ma solo senza ausiliare, oppure, sia con ausi-liare che senza, considerare agrammaticale l'enunciato (Burzio 1986: 22; Graffi 1994: 57). 6 Oltre al tipo di verbo, altri fattori (sintattici, semantici, comunicativi...) possono spiegare la scelta del parlante tra SV et VS, come il tipo di proposizione o la presenza di un altro complemento all'inizio dell'enunciato. Per maggiori dettagli su quest'insieme di criteri rinviamo allo studio di Sasse (1995) e ai lavori su corpus di Sornicola (1995) o Bernini (1995), tutti e tre reperibili in Matras/Sasse (1995). che considerano che questi verbi hanno naturalmente il loro soggetto in posizione postverbale, come quella dell'oggetto, o anche Marandin (2003) che parla di «costru-zione inaccusativa» e non di inversione del soggetto. Al contrario, altri linguisti parla-no di spostamento del soggetto (Costabile 1967) o notano semplicemente questa pre-ferenza per la postposizione con queste costruzioni (Genot 1989: 30 e seguenti7). Qui non mettiamo in discussione le proprieta sintattiche che permettono di distinguere due tipi di verbi mono-argomentali ma tenteremo, a partire dalle scelte dei parlanti nel test, di mostrare che la relazione verbo-soggetto in un contesto e che la costruzione del soggetto e la sua interpretazione oltrepassano la dicotomia verbi in accusativi - verbi non inaccusativi. 2.2.2. Livello semantico La distinzione tra i due tipi di verbi intransitivi puo anche essere considerata come semantica, determinata dall'interazione di parametri come l'aspetto, o il ruolo semantico del soggetto: un verbo inergativo denota °iuttoeec un'attivita incempiuta (atelica), un verbo inaccusativo piuttosto uno state aesuhativo (ipHcoi o al liaello de1 ruolo semantico dell'argomento unico, e piuteosto a^nüvoseü vetbae ine^ativo, mentre e non agentivo se e inaccusativo. Questi criteri, che peametteaebbero di distinguere i verbi inacousativi dai verbi inergativi, non ci semibaño pt^éí afftáeMli né sufficienti per dividere in due la classe dei verbi intransitivi. enfatti, ie -tadianV1 ln caratteristiche aspettuali e semantic.e dei verbi noo permettenn di0 eoeddae tt lorpt comportamento sintattico. In effetti, se si considerano i tre veebi di euesg'ertrcoio: - l'agentivita di un soggetto umano e innegabiie per arrivare (il criterio non e Ounebesem-pre affidabile); - telefonare ha dei punti in comune con i due tipi di verbi(cf. frecce; non ci son o due classi ben dtstinto). 6. Dormire (aus. Avere) ochnamico Canrbo atelico soggetto senm-a^ntivo ammato í t t Telefonare taus.Avere) dtnami co / verboa^üco soggetto agente animato Arrivare iaus. eoaerat Uiaamico / veri o (eliao sogaetto segante (se; animatoS) Nella stessa lógica di Cennamo (2001: ,31) B4 > B5 > B2 > B6 > B3 i í i i í i SV > S,V > C'e > VS > V,S > Faase saissq La tfjquenza SV iBli n taeee dubbio quelle che aorrésgonOe megltat al coeteato proposlo l ca. grimq sserUq oen'isS(saaamnia proaedaole). ü lotal a d ei Sarail i oStenu-e dd una peacentualq dg ^0%, moho qlta rirpeito ¡s queUo doU aenonciatn s,V elas-rr Sic^dq t dcon.Cs e c dS mglrra la sssa a 0115:11^1 a omo aa s 10^0 oS uno doto an da a gocarizeoeione laraqcon il verbo dormiré. Questa variante consiste in un blocco unico di informazione il cui punto di partenza e il soggetto ed e il verbo a occu-nace la eoráziono arnaie, e cporlaae i'acoento prinespaie cr a SUStítuiru i'esitd della prosa di parola.0a pa variante S,V Ssaa-X ahr prosonla ia sli^:^55tr dhpoeizwne eiegH einmen0l pl B1 ma cos un sUctncao o sinistra del soggetto viene classificata seconda, con una percentua-le molto meno importante (40% per B1 contro 18% per B4). In B4, l'ordine S+V e mantenuto, invece il blocco unico d'informazione e diviso in due: il parlante informa dell'esistenza di Piero (elemento dislocato) e poi stabilisce il legame tra questa persona e il fatto di dormire. Non studieremo in quest'articolo tutte le proprieta della dislocazione a sinistra ma rinviamo a Milano (2005) che ha effettuato un lavoro molto interessante su questo costrutto nell'italiano parlato. Il c'e presentativo (B5), in terza posizione, e anche percepito come adatto a questo tipo di contesto (13%). Nella stessa logica di B4 (S,V), l'apporto informativo si divide in due parti: si presenta prima il soggetto tra c'e e che e poi gli si attribuisce la proprieta di avere dormito. L'ordine VS (B2), la dislocazione a destra del soggetto (B6)14 e la frase scissa (B3), occupano le tre ultime posizione della classifica per dormire, ottenendo le percentua-li le piu basse (nell'ordine: 11%, 10% e 8%). 13 Segnaliamo semplicemente che le due altre possibilità di risposta che sono state proposte dai parlanti hanno questo ordine SV: si tratta di «Maria si è addormentata», aggiunto due volte, nel quale dormire viene sostituito dal suo omologo telico e di «è successo che Maria ha dormito», che riprende in parte la domanda e introduce la sequenza SV in una subordinata. 14 Come Bonvino (2005) o Sasse (1995), tra l'altro, facciamo la distinzione tra soggetto postverbale e soggetto dislocato a destra, dal punto di vista sintattico e pragmatico. B) Telefonare A:"Che cosa è successo?" B4B5B6 ■ B1: Piero ha TELEFONATO. ■ B2: Ha telefonato PIERO. □ B3: C'è PIERO che ha TELEFONATO. □ B4: È PIERO che ha TELEFONATO. ■ B5: PIERO, ha TELEFONATO. □ B6: Ha TELEFONATO, Piero. M: b5 : B1 |B6 îiBFJi B6 ^ n ; B5 B3 ^ l ^r6 mm 1o 2o 3o 4o Ordine di preferenza 5o Escluso Totale dei punti per enunciato (percentuale) A: "Che cosa è successo?" □ 12% 117% i □ 4% 24% □ 8% y 135% ■ B1 : Piero ha TELEFONATO. ■ B2: Ha telefonato PIERO. □ B3: C'è PIERO che ha TELEFONATO. □ B4: È PIERO che ha TELEFONATO. ■ B5: PIERO, ha TELEFONATO. □ B6: Ha TELEFONATO, Piero. Per lo stesso contesto, i risultati che riguardano il verbo telefonare sono abbastanza d ive rsi. La gerarchizzazione degli enunciati è la seguí^ntí^: B2 > î VS > B1 t SV B5 > B6 > B3 > B4 t t î t SiV > ViS > C'è > Frase seissa Come dei dormiré, apararcnaiamo t'anai si ici Z ad zt ia aorticai soe rullr trz priser aceite deüo classifica. La ^epetmone di rirposta Va 15 (B2 l c^ttiena ]er il verba a°s/o«atn kprima pes^ zione, d cvanti aüa varirnte SV (35% per B2 contro 24% per Bl). Per quosta aosea ac B4 B3 > 15 Un'unica altra forma di risposta, che ravviciniamo alla proposizione VS, è stata proposta: si trat-ta di «è successo che ha telefonato Piero», che riprende in parte la domanda e poi introduce la sequenza VS in una subordinata. in questo contesto speci fico, i parlanti considerano come canc^i^ico (cioe eome il piu adattos un ecunciaio renza cotturo, co n 0 scspoet^o tu aosizione postvcrbaie e prC foc-temonse eccscnSuoctr dcl veibo (cC. iotogramesm anona s ceitat- Pttt dimosirc ate quant Co si intrcOnce ic seicoione PleraCecacolSCoPeiedenacepyotOo, ii parlcnic Socailozc piC nnsuraimento ii rp^g^ttoclie il verbo (a differenza che per dormiré). La formr iV (Bl), perfesrambnte opcesto c VS iB2) in teomrni di tosisicni a di ecoeotuozioni, rioulta cn soeonda cosiaione. ti(jr ii ocrpo eentlPcsera rd in rispesta ad uno U(rmcnea e Pocaiiouteione iarga, i ]i^ttenti prvdosisconu avero ii tepcs^tto neiia petidione detto «fócele» (V2) p iuttosto che il verbo (B1). S,V (B5) comr no. cetc ds docmire, e ('enunciolo direltbmonte dcis^oote (topo SV Otservando nrtrgramma, s( epdo rhmrampn te coe c ii te reo e acuesta posi zepne che k vsrianVc .V s1 nde attribuisp . trisi ( pm e(evat(, (üetro Vb e S!V, (e (rmc meno eempeetco dar punió di vestsa struttr^ri^^^. L'enunorato V,o ti2), il o'd psesent aOivo l2 3) c ta fra^^ ccícc a )B4t sono uMrm nella classifica, con una percentuale, nell'ordine di 12%, 8% e 4%. C) Arrivare c ro ro o. t5 o ^ (U E 3 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 A: "Che cosa é successo?" □ B1: Piero é ARRIVATO. ■ B2: É arrivato PIERO. □ B3: C'é PIERO che é ARRIVATO. □ B4: É PIERO che é ARRIVATO. ■ B5: PIERO, é ARRIVATO. □ B6: É ARRIVATO, Piero. |B3 B5i 1o ■hTl 2o 3o 4o Ordine di preferenza 5o Escluso Totale dei punti per enunctato (percentuale) A: "Che cosa é successo?" °11 n24% □ B1 : Piero é ARRIVATO. QB2 : É arrivato PIERO. □ B3: C'é PIERO che é ARRIVATO. □ B4: É PIERO che é ARRIVATO. ■ B5 : PIERO, é ARRIVATO. □ BG: É ARRIVATO, Piero. Per quello che riguarda il t^^j^Iuo inaccusativo arrisare, i risultati sono ossolutamente identici a queSli rdi telefonare in trrmim c^t^:^assifica: B2 > B1 > B5 > B6 > B3 > B4 t t t t t t VS > SV > S,V > V,S > C'e16 > Frase scissa "Tuttav^a s i dea«; notare che VS cieñe scelte coma enunciíito canomco aa 82 parlanti su VeiSo, myere VV eato da use (iecma di parsone Scf. iatijiramma, prite a icelta).Nel caso d1 aerren rS1 e mairo prn nihurate per un j^ikate nativa risponenre coa va a eequenzaVSad una comaenaa focaHzehztone lara i, vera cheevnaoi meno evidente con il verbo precedente. D) labella ri^ssvntiva e conclutíane DopianecsattcindeStaelioi siiuli aticheriaeardano egnune deitreveva i aresnn considerazione, concluderemo questo primo punto con una sintesi globale e la relativa vnaüsi: f Sulla tendenza delle du ep^^me scelteiM parlanti : Verbi Prima pasizicVe Seconda p osizzone DORMIRE 90% per SV 32% per S,V TELEFONARE 64% per VS 23% per SV ARRIVARE 82% per VS 43% per SV - Esto ra slrttosi le pcrasotaali ottsnaSo ser crni enunciato: Enunciati-risposte DORMIRE TELEFONARE ARRIVARE SV 40% 24% 24% VS 11% 35%% 39% S,V 18% 17% 14% V,S 10% 12% 11% C'è presentativo 13% 8% 8% Frase scissa 8% 4% 4% (In grassetto la percentuale più alta per ogni verbo.) 16 L'unica altra possibilità di risposta proposta da un parlante si avvicina al c'è presentativo: «C'è Piero. È arrivato ora». In effetti, si divide in due frasi distinte, la prima introduce la presenza di Piero e la seconda stabilisce il legame tra questa presenza con il fatto che sia arrivato (ora). I dati cosi raggruppati ci conducono, prima in termini di strutture e poi in termini di verbi, alle seguenti conclusioni: La frase scissa non viene considerata come adatta al contesto proposto qualunque sia il verbo. Ció puo spiegarsi da un punto di vista sintattico e pragmatico: l'enunciato presenta una sintassi complessa (due blocchi con una subordinata) e la frase scissa presuppone che qualcuno «ha dormito / ha telefonato / e arrivato» e afferma che que-sta persona e «Piero»; invece niente nel contesto indica una tale informazione. Infatti, questa struttura deve condividere con il contesto l'implicazione espressa nella subordinata, ma non e questo il caso, da cui il suo non adeguamento. Il c'é presentativo, che ha la funzione di introdurre nuovi elementi e azioni, viene considerato poco naturale in questo contesto per i verbi dinamici telefonare e arrivare (percentuali d'uso inferiori a 10% rispetto all'insieme di proposte), invece con dormire, adinamico, questa struttura e classificata proprio dopo gli enunciati Soggetto + verbo con o senza dislocazione del soggetto (SV e S,V) ma soprattutto prima della variante VS. E quest'ultimo punto (c'é presentativo > VS) sostiene la pertinenza debole attribuita dai parlanti nativi ad un enunciato di tipo VS con dormire in un contesto in cui vengono introdotti e messi in relazione per la prima volta un referente e un'azione. Qualunque sia il verbo pero, le percentuali di uso del c'é presentativo sono solo del 10% circa, debolezza che attribuiamo alla complessitá sintattica e alla pesantezza di una tale struttura. La struttura V,S, che permette una focalizzazione dell'azione verbale associata ad una totale defocalizzazione dell'elemento distaccato, non appare per nessuno dei verbi tra gli enunciati piu adatti. Questo risultato ci sembra completamente logico, nella misura in cui il soggetto (come il verbo) e qua contestualmente prominente, e deve, di conseguenza, essere marcato come tale nell'enunciato. Invece, V,S equivale ad introdurre l'azione verbale e ad attribuirla ad un soggetto nullo in italiano («ha dormito (, Piero) / ha telefonato (, Piero) / e arrivato (, Piero)»)17 Per le sequenze SV e S,V, ci sembra pertinente fonderle in una variante unica S(,)V, nella quale il soggetto e distaccato o no. In effetti, qualunque sia il verbo, i parlanti hanno fatto seguire le due strutture nella classifica e, anche se la loro scelta si e orientata prima per semplicitá sull'enunciato SV, le due forme sono legate per l'ordine degli elementi che propongono e per le loro proprietá comunicative. L'ultimo tipo di enunciato,VS, non ha lo stesso statuto per i due verbi dinamici e per l'adinamico: gli si preferisce una struttura complessa, il c'é presentativo, con dormire. Invece, gli altri due verbi hanno la proprietá comune di vedere questo enunciato (con VS) scelto dai parlanti come quello non marcato rispetto al contesto. In termini di verbi, la situazione per il verbo non-inaccusativo dormire e la piu netta: e l'ordine S+V che prevale, prima senza dislocazione del soggetto (prima 17 In una lingua a soggetto non nullo come il francese, è ad un pronome personale che viene associata l'azione verbale in caso di dislocazione del referente diretto: «il a dormi (, Pierre) / il a téléphoné (, Pierre) / il est arrivé (, Pierre)». scelta del 90% dei parlanti) e poi con (seconda scelta del 32% dei parlanti), con una percentuale di uso del 58% raggruppando le due varianti. La posizione iniziale del soggetto e, insieme, topic dell'enunciato costituisce il criterio di base per la costru-zione della risposta. E questo si verifica con la classifica in terza posizione (o seconda, se si considera S(,)V come una possibilità unica) del c'è presentativo, che pone il soggetto nella proposizione principale (tra c'è e che) e rimanda il verbo in subordinata. In compenso, per telefonare, è la variante VS a dominare l'insieme delle scelte possibili (35%), senza, ed è questo che differenzia telefonare da arrivare, distaccarsi molto dalla sua opposta SV (24%). A partire dai risultati che riguardano le tre prime posizioni e gli esclusi (cf. sintesi qua sotto), si vede chiaramente che la struttura VS deve principalmente la sua alta percentuale al fatto che costituisce la prima scelta del 64% dei parlanti e che ha una percentuale debole di esclusione (11%). Invece, la struttura SV, esclusa al 27% e considerata canonica al 26%, deve la sua alta percentuale più alla sua classifica tra le prime posizioni che al fatto che sia stata scelta come la risposta più naturale. Prima posizione Seconda posizione Terza posizione ... Escluso VS 64% 16% 6% 11% SV 26% 23% 12% ... 27% Infine, per quanto riguarda arrivare, verbo inaccusativo al quale è tradizionalmente associata la posizione postverbale del soggetto, la situazione è inversa a quella di dormire ed i parlanti considerano effettivamente l'enunciato VS come canonico (82% dei parlanti contro solo 11% per la variante SV). Nel caso di arrivare, i dati sono più netti che per telefonare, verbo al quale attribuiamo uno statuto intermedio, ma non sono l'inverso di quelli che riguardano l'inergativo dormire. A prescindere dal bisogno comunicativo di introdurre per la prima volta nell'uni-verso del discorso una relazione argomento-predicato, come in risposta a «che cosa è successo?», la struttura effettiva dell'enunciato che risponde a questo bisogno comunicativo sembra dipendere, come mostrano i risultati del test, dalle caratteristi-che del verbo presente. Consideriamo prima quello che condividono dormire, telefonare e arrivare. A partire del contesto proposto e delle sei proposte, l'enunciato SV sarebbe utilizzato in quasi il 30% dei casi e il suo opposto VS nel 28% dei casi.18Queste medie, ottenute a partire dai dati dei tre verbi, sono le uniche a superare il 20%, e delle due strutture è SV che i parlanti rifiutano di meno per costruire un enunciato tetico. 18 Per gli altri enunciati, la media e inferiore al 20%: quella di S,V e a un po' piu del 16%, quella di V,S e dell' 11%, quella del c'e presentativo e quasi del 10% e infine, quella della frase scissa e a un po' piu del al 5%. Invece, due tendenze opposte si osservano con dormire da un lato e telefonare-arri-vare dall'altro lato, al livello della classifica globale dei diversi enunciati, identica per i due ultimi verbi, e per quanto riguarda la scelta dell'enunciato canonico. In effetti, per il primo verbo, adinamico e atelico, il soggetto e posto come base e poi si introduce la relazione soggetto-verbo (S(,)V). Il verbo viene marcato dalla sintassi e dalla prosodia come l'elemento con «il grado massimale di dinamismo comunicativo» (Sonicola 1981). Per i due altri verbi, dinamici, e piuttosto l'azione ad essere posta come base e lo scopo dell'asserzione diventa l'attribuzione di questa azione ad una persona in particolare (VS). Di fatto, per la formazione di un enunciato tetico, la sintassi italiana preferisce focalizzare il soggetto quando e attivo ed agente di un'azione dinamica e focalizzare il verbo nel caso inverso (soggetto semi-agentivo e azione adinamica). 3.2.3. Secondo contesto: «Sono andata a fare spese. E Maria?» Passiamo ora al secondo contesto, caratterizzato da almeno i seguenti tratti: - La domanda sottintende che ridentificazione di Maria e acquisita dall'interlocutore e che lei ha fatto qualcosa in particolare durante l'assenza del locutore. In modo concreto, l'elemento soggetto e quindi gia introdotto nella domanda di partenza. - La richiesta di informazione verte sull'azione esatta che e associabile a Maria. - Il locutore A suppone che B conosca la risposta, cioe che questo ultimo sappia quello che lei ha effettivamente fatto in quel preciso momento. - Lo scopo della presa di parola di B e quindi introdurre l'azione legata alla persona evo-cata, usando ogni volta nella sua risposta uno dei tre verbi studiati. Al contrario del contesto precedente, il referente del soggetto e qui presente fin dalla domanda. L'introduzione e l'identificazione di Maria precedono l'intervento di B, che deve allora stabilire un legame tra questa persona e l'azione che ha effettuato e sulla quale porta l'attenzione di A. Qui e il soggetto che costituisce il punto di partenza dell'asserzione ed e l'azione che le viene associata che importa al livello comunicativo e corrisponde al punto di arrivo dello scambio. Di conseguenza, visto che l'italiano e una lingua a soggetto nullo, il verbo e l'unico elemento necessario e suf-ficiente perché l'asserzione soddisfi la richiesta d'informazione. Il soggetto puo in effetti essere espresso solo nella desinenza verbale senza essere rappresentato in modo esplicito nell'enunciato con la ripresa del SN o con un pronome personale. Sempre per i nostri tre verbi, vediamo come gli enunciati italiani tendAno a veicola-re un altro tipo di informazione: l'argomento costituisce il tema della conversazione ed il predicato l'obiettivo della presa di parola. 17 In una lingua a soggetto non nullo come il francese, è ad un pronome personale che viene associata l'azione verbale in caso di dislocazione del referente diretto: «il a dormi (, Pierre) / il a téléphoné (, Pierre) / il est arrivé (, Pierre)». A) Dormiré A: "Sono andata a fare spese. E Maria?" ■ B1: (Maria / Lei) Ha DORMITO. ■ B2: MARIA / LEI, ha DORMITO. □ B3: Ha DORMITO, Maria / MARIA / LEI. □ B4: Ha dormito MARIA / LEI. ■ B5: MARIA, LEI, ha DORMITO. □ B6: Maria ( / MARIA,) ha DORMITO, LEI. 2o 3o 4o Ordine di preferenza B4 B6 Escluso 110% □ 4% □ 1 4% Totale dei punti per enunciato (percentuale) A:' Sono andata a fare spese. E Maria?' □ 5% 140% ■ B1 a (M a La I Le i) Ha DORMI T0. □ D2: RIA R IA / LEI i hH R10RHI TO. □ LM i Ha DORMIDO( M a lia I MARIA / LEI. ta LM i Ha dor mito MA RIA / LEI. ■ D5: MARIA, LEI i ha DORMI TO. □ D6: Ma rim (/ R/AR^hM,) ha DORMITA, LEI. 127% Peí" ii verboidoimate,id^a^ticonducono£^l^age^ar^]iiz^zaz^oi^e seguentedegli enunciati: B1 í (S)V B2 t S,V B3 t V,S B5 í B6 í > S,Po,V > S(/S,)V,Po > B4 t VS Ví^di^enzainseguitocdiei^^ contcneo ^mzc^i^iílart^e^í^fci^f^d^c^le qualuzque tiailverbe : la clactifica e idéntico neo iired aeésoioinZerm ini Zl erop oecioncche i risultati si distingono. 19 In tutti i casi, gli stessi quattro enunciati sono considerati come accettabili e i due altri rap-presentano solo circa il 5% dell'uso globale dell'insieme degli enunciati proposti. > > > > > > > Come previsto nella descrizione delle caratteristiche del contesto imposto, è nel limi-tarsi a sottintendere il soggetto ed a asserire l'azione verbale (B1)20 che il parlante risponde alla domanda nel modo più pertinente. Scelto dall' 81% come enunciato canonico in questo contesto (cf. istogramma), (S)V domina di molto l'insieme delle altre strutture proposte. Solo le dislocazioni a sinistra ed a destra, se vengono considerate come una strut-tura unica a due realizzazioni, hanno un peso rispetto all'enunciato dominante (con una percentuale totale d'uso di 41% rispetto all'insieme degli enunciati proposti). Tuttavia, anche se entrambe sono da considerare come adatte contestualmente, la scelta dei parlanti si orienta più facilmente verso la dislocazione a sinistra (27%) che verso la dislocazione a destra (14%). Il fatto che la metà dei parlanti classifichi seconda (dietro a (S)V) la dislocazione a sinistra mostra che, se il parlante valuta necessa-rio riprendere il soggetto, lo metterà all'inizio dell'enunciato, come legame tra la domanda e la risposta ma anche come base dell'asserzione che lo riguarda. Nel contesto imposto, nel quale solo il verbo veicola il contributo informativo, il soggetto è quindi di preferenza indicato dalla desinenza o dislocato. Sarà, al limite, rinforzato con un pronome tonico posto in inciso tra il soggetto e il verbo (la variante S,Pr,V rappresenta 10% dell'uso globale dei sei enunciati proposti) ma non occuperà la posizione focale, in finale e non dislocata (VS è escluso dal 82% dei parlanti). B) Telefonare 100 90 80 70 60 ■o o (U E 3 50 40 30 20 10 0 A: "Sono andata a fare spese. E Maria?" ■ B1: (Maria / Lei) Ha TELEFONATO. ■ B2: MARIA / LEI, ha TELEFONATO. □ B3: Maria ( / MARIA,) ha TELEFONATO, LEI. □ B4: Ha TELEFONATO, Maria / MARIA / LEI. ■ B5: MARIA, LEI, ha TELEFONATO. □ B6: Ha telefonato MARIA / LEI. 3o 4o Escluso Ordine di preferenza 20 L'unica proposta d'enunciato aggiunta da un parlante e idéntica a B1 al livello strutturale cambiando solo il tempo del verbo: «(Maria/Lei) Dormiva». Come ha suggerito giustamente Cristina Lavinio, con verbi come dormiré (o come telefonare), al contrario di arrivare, l'imperfet-to sembra comunque essere piu normale e naturale in questo contesto, avendo la proprieta di insistere sulla durata, aspetto gia presente nella loro semantica. Tota le dei punti per enunciato (percentuale) A: "Sono andata a fare spese. E Maria?" □ 6% □ 15% □ 2% B1 í (S)V2 ■ B1: (Maria / Lei) Ha TELEFONATO. 140% ■ B2: MARIA / LEI, ha TELEFONATO. □ B3: Maria ( / MARIA,) ha TELEFONATO, LEI. □ B4: Ha TELEFONATO, Maria / MARI A / LEI. ■ B5: MARIA, LEI, ha TELEFONATO. □ B6: Ha telefonato MARIA / LEI. ■ 28% > B2 í S,V B4 B V,S B5 í S,Pr,V B6 í VS B3 í S(/S,)V,Pr La scelta dei lo cutori rioade naturaemeite seegli stessi enunciatiper dormire eper telefonare. La elrssilicarione differisce solo cet 1o done setiriaiiti piee ^ifiutaite: íc(ye!eSe,r>r pee-coda VS srta il primo verbe feOt arniiio 4-ttD e lo (2gue ron il ^e^corrdei ea% roetra 0%).22 IC anehe por qurnto ripurisPei ie sirouo sisoni, i 3ÍsuStnts eona identici s>^r il 3 id eitserr 1 e eoigeeze legare ai concento rgincoro einiirs d) cnoiielie legate el %rsrlro, coir%:rari^mpnie a seeo olae aCbiamr poricio oer erraase nel eodo fregedenle, eeoe egetaocfo tilnereme Srogecario-Veriar %artiluisce 1 . inmo d el1; arf% ri paróte. A: "Sono andafa a fare spese. E Maria?" □ B1 ZtB2 □ B3 □ B4 ■ B5 □ B6 (baria / Lei) E ARRIVATA. E APi:íFtlVA.rTAO, M aria i MARIA / LEI. MARIA / LEI, é ARRIVATA. Maria ( / MARIA,) é ARRIVATA, LEI. MARIA, LEI, é ARRIVATA. E arrivata MARIA / LEI. B2 _B3 M ht 3o Ordine di preferenza 4o Escluso 21 Un parlante ci ha proposto come risposta «e stata al telefono»: telefonare viene sostituito da essere al telefono eilsoggettoesolo marcatonella morfologiadel verbo. Come con l'im-perfetto, si sottolinea qua l'aspetto durativo dell'azione. 22 Osserviamo la stessa gerarchizzazione con il terzo verbo: 3% contro 8%. Totale dei punti perenunciato (percentunle) A: "Sonc andeta a fare sperei E IN/laria?" □ 6% ■ B1 : (Marie) / l_ei) È ARRIVATA. ■ B2: È ARRIVATA, Maria / MARIA / LELI. 40%D B3: MARIA / L.ELI, è ARRIVATA. □ 2. □ B4: MAria ( / MARIA,) è ARRIVATA, l_ELI. ■ B5: MARIA, l_ELI, è ARRIVATA. □ B6: È arrivata MARIA / LEI. ■ 20% B 1 > 13 3 > B2 ■ 20% > B 5 > B 6 > B 4 t t t î î t (S)V > S,V > V, S > S,Pr,V > VS > S(/S,)V,Pr TaT^l caso di arrivare, comí; in quello dei verbi nrecedenti, i risultati sono moito simili in dormtni di classifica: 1a zzÊ^aarchltiiiszidnis d^i ctivetis i erruns;iati è sdzottamente iden-diticL r quella oosernala itteiis tsicfenarc e ai diadique a qrtolle oUe rieuanta dormirs r olo per ie strutture VS e S(/S,)V,Pr. tavero, sci Ie ituasro qi aianro rlie rendi intereseante iï cíiso di eraron«! i a acanto isa i Cus iipi di distocazkrne i1 mirnmOe ai contrarie dt cuilî chu pebiamrr riizro srin nli aitri due noediqatSi In r;^fel^ii oon deimm e iote/ali(tee, lit Oislocazione a uiitistsa precede 1 a dislo ca.:rio ne 3 di Oui tiu1 tr%, iolo iï c% iepara qui^e utesse strutturr quanU o si irat-Cei (^^ii'ult^mo iSriro t;onuid(rradi3 i2r%per S,V contro 20% per V,S). Cooee riliegore duezro diti^erenz^ noteveled E il ^roliè la Uioiosaziooe a destra si rivela adatta al contesto in modo quasi idéntico alla dislocazione a sinistra con arrivare? Per quel che riguarda la prima domanda (lo scarto tra S,V e V,S), i risultati par-lano da sè: se il verbo considerato è arrivare, S,V perde il 4% o 5% in termini di uso globale rispetto agli altri due verbi a vantaggio di V,S (più 6% rispetto a dormiré e più 5% rispetto a telefonare). E anche se si considera solo la seconda scelta dei par-lanti, questo rovesciamento di situazione salta agli occhi: con i due primi verbi, è la variante S,V che occupa maggiormente il secondo posto (l'hanno classificata seconda 49 parlanti con dormire e 41 con telefonare); è invece la struttura V,S a sostituirla quando il verbo è arrivare, grazie alle 31 persone interrogate che hanno fatto questa scelta. Perchè, in questo ultimo contesto, lo spostamento del soggetto alla destra di arrivare viene considerato come tanto naturale (dal 3% circa) quanto il suo spostamento a sinistra? La struttura richiesta fin là da questo verbo, VS, è inadatta per rispondere in modo pertinente al bisogno comunicativo del parlante (esclusa da 74 parlanti su cento). Ma l'esigenza di posporre il soggetto al verbo e talmente forte per arrivare che tra i due tipi di dislocazione, la scelta va naturalmente sullo spostamento a destra dell'unico argomento e quindi sulla sua apparizione dopo il verbo nell'enunciato. Tra i tre verbi che abbiamo scelto di studiare, arrivare e l'unico che favorisce la pospo-sizione del soggetto anche nella scelta del tipo di dislocazione: nell'impossibilita di poter associare l'enunciato VS al contesto proposto (il soggetto non essendo il focus), e V,S che viene favorito. Rispetto ai due contesti che abbiamo considerati in questo studio, telefonare si distingue da arrivare solo nel secondo, comportandosi piuttosto in maniera simile a dormire. Infatti, telefonare e un caso intermedio: tende da se stesso a posporre il soggetto quando e focale (come arrivare) ma non quando questo elemento e topicale (come dormire). D) Tabella riassuntiva e conclusioni Come abbiamo fatto finora, sintetizziamo i dati legati a questo secondo bisogno comunicativo: uno mi chiede che cosa ha fatto Maria, conosco la risposta ed affermo che questa persona ha dormito, ha telefonato o e arrivata. Ecco i dati per le due prime scelte: Verbi Prima posizione Seconda posizione DORMIRE 81% per SV 49% per S,V TELEFONARE 71% per VS 41% per SV ARRIVARE 78% per VS 31% per SV In termini di uso globale, a partire dal modo in cui e stato classificato ognuno degli enunciati dai parlanti, presentiamo ora le percentuali ottenute dalle sei sequenze proposte in rispondenza dei singoli verbi: Enunciati-risposte DORMIRE TELEFONARE ARRIVARE (S)V 40% 40% 40% VS 4% 6% 6% S,V 27% 28% 23% V,S 14% 15% 20% S,Pr,V 10% 9% 8% S(/S,)V,Pr 5% 2% 3% (In grassetto la percentuale piu alta per ogni verbo.) A partire dal contesto, che impone che il verbo sia focale ed il soggetto topicale nel-l'enunciato-risposta, e visto che l'italiano e una lingua a soggetto nullo, una sola ed unica struttura risulta totalmente adatta qualunque sia il verbo presente: un soggetto necessariamente marcato nella desinenza verbale, accessoriamente ripetuto all'ini-zio, ed un verbo in posizione finale e che riceve l'accentuazione principale. Nello stesso modo per i tre verbi, la variante opposta, VS, viene considerata come inadeguata al contesto.23 L'esclusione di quest'ordine sembra dovuta solo a fattori comunicativi: l'ordine VS viene associato alla focalizzazione del soggetto (il soggetto veicola «un'informazione nuova» nel 75% degli ordini VS del corpus di Sornicola 1994: 47). Invece, il contesto impone al verbo di costituire da solo l'informazione da trasmettere e di conseguenza il soggetto non puo occupare la posizione finale, riser-vata agli elementi focalizzati. Lo stesso avviene alla presenza in finale di un pronome tonico di rinforzo (S(/S,)V,Pr).24 Solo quando il pronome tonico viene posto direttamente dopo il soggetto, che ne risulta cosi rafforzato, i parlanti accettano la presenza di questo elemento (tacco di esclusione inferiore o uguale a 72% per i tre verbi). I risultati sono diversi relativamente al verbo, solo per quanto riguarda le dislo-cazioni, che occupano le seconde (S,V) e terze (V,S) posizioni della classifica. Se per i primi due verbi, la scelta va largamente sulla dislocazione a sinistra del soggetto, per il terzo, la differenza di pertinenza tra le due strutture è molto meno ovvia. Sembra che l'influenza del verbo arrivare sulla posizione del suo argomento unico sia abbastanza forte per condurre il parlante italiano a considerare la dislocazione a destra del soggetto tanto pertinente quanto la sua dislocazione a sinistra. Bisognerebbe allora studiare quello che succede quando, per esempio, il verbo è focus di tipo contrastivo e il soggetto topico (A: «Piero è partito?» B: «No. Arrivare + Piero») o quando l'enunciato è semplicemente la conferma di una supposizione precedente (A: «Piero è (ben) arrivato?» B: «Si. Arrivare + Piero»), per poter verificare o invalidare l'ipotesi che la preferenza per la dislocazione a destra sia direttamente legata alle esigenze strutturali di questo verbo. Conclusione generale La ricerca che abbiamo proposto in questo articolo voleva porre a confronto tre verbi con struttura argomentale identica ma con proprietà semantiche ed aspettuali distinte, in due contesti comunicativi possibili, mediante uno studio realizzato su un campione di cento parlanti nativi. Tra i verbi considerati, c'era prima dormiré, che richiede un solo argomento, il soggetto («qualcuno dorme»), che rinvia necessariamente ad un essere animato il cui stato di agente è abbastanza debole. Il secondo era telefonare, considerato come un verbo monoargomentale costruito con un argomento animato e agentivo, anche 23 L'enunciato e escluso dal 82% per dormiré, dal 78% per telefonare e dal 74% per arrivare. 24 Questa variante e rifiutata dall' 81% quando il verbo e dormire, dall' 89% quando si tratta di telefonare e dall' 88% se il verbo e arrivare. se ha la possibilita di avere un paziente («qualcuno telefona (a qualcuno)»), che puo rimanere sottinteso. L'ultimo, arrivare, richiede invece un argomento soggetto agentivo, se e umano (e non e sempre il caso), e suppone un altro dato: il luogo («qualcuno arriva (da qualche parte)»). Questi tre verbi hanno comunque esplicitamente bisogno solo di un argomento soggetto per essere costruiti. Al livello dell'ausiliare, i primi due verbi hanno bisogno di avere, l'ultimo di essere. In termini di aspetto, abbiamo considerato dormire come un verbo adinamico ed atelico, telefonare come un verbo dinamico ed atelico ed arrivare come un verbo dinamico e telico. Una volta identificate le caratteristiche di ognuno dei tre verbi, ci siamo dedicati alle diverse realizzazioni di una stessa struttura, contenente solo il predicato e l'ar-gomento soggetto, in due situazioni di comunicazione precise. Nel primo contesto imposto, il soggetto ed il verbo avevano lo stesso peso comunicativo e la loro associa-zione costituiva l'apporto informativo; nel secondo contesto, solo il verbo veicolava l'informazione pertinente, questa richiesta dall'interlocutore. Prima di esporre le conclusioni generali della ricerca, vogliamo semplicemente ribadire il fatto che, a partire dal momento in cui una struttura argomentale viene «trasformata» in enunciato, due tipi di influenza entrano in gioco: quella diretta-mente legata agli elementi combinati e quella legata al contesto (cf. schema qua sotto). Le richieste possono andare nello stesso senso o essere in contraddizione: da qui l'interesse a metterle a confronto per poter rendere conto della struttura effettiva degli enunciati: 8. Predicato + Argomento - ENUNCIATO -► Contesto Nel primo contesto, nel quale si trattava di introdurre la relazione argomento-predicato, senza che né l'uno né l'altro di questi elementi fossero stati gia introdotti, siamo arrivati alla conclusione che la struttura considerata piu adeguata a questo bisogno non e dipendente dal contesto ma dal verbo e dall'argomento presenti. Perché? Semplicemente perché i risultati che riguardano l'enunciato canonico variano in modo molto significativo se il verbo e dormire e se il verbo e telefonare o arrivare. Che il contesto abbia un'influenza, e innegabile: rigetta le strutture inadeguate ed ammette o favorisce le altre ma non ne impone una come canonica. In effetti, sono le caratteristiche situazionali dello scambio che si oppongono alla pertinenza della frase scissa, che ammettono come possibili le dislocazioni del soggetto ed il c'e presentativo e che attribuiscono il massimo dell'adeguatezza alle strutture SV e VS. I risultati sono omogenei qualunque sia il verbo per le diverse proposizioni, tranne che per i due enunciati classificati migliori: il contesto non e sufficiente per isolare la costruzione piu adatta e sono gli elementi presenti ad imporre l'una o l'altra come canonica. Per formare un enunciato tetico, l'italiano attribuisce al verbo la posizione focale, cioe in finale ed associata all'accentazione principale quando l'azione e adinamica, atelica e il soggetto e solo semi-agentivo, come e il caso di dormire e del suo argomen-to unico. Invece, questa stessa posizione viene riservata al soggetto quando quest'ul- timo governa un'azione verbale dinamica, come con telefonare, arrivare e i loro sog-getti. L'enunciato tetico ottenuto introduce direttamente la relazione soggetto-verbo (SV) quando l'aspetto dinamico dell'uno come dell'altro dei due elementi non è evidente e focalizza il soggetto (VS) quando il suo referente è alla base della realizzazio-ne dell'azione, cioè quando lo scopo dell'asserzione è non solo di associare un referente ed un'azione ma soprattutto di attribuire l'azione ad una persona particolare, che ne è il punto di partenza. Il secondo contesto, invece, attribuiva uno statuto comunicativo diverso ai due elementi: il verbo veicolava l'informazione richiesta dall'interlocutore, il soggetto invece era (solo) il tema dell'interazione. Cominceremo ricordando ancora una volta che in italiano non è necessaria la presenza «esplicita» del soggetto: la sua espressione puo limitarsi alle marche verbali (tranne se sono ambigue). Da questa opzionalità deriva che la scelta tra presenza o assenza di questo costituente viene direttamente legata al valore comunicativo che gli è attribuito nell'enunciato. Nel nostro contesto, l'argomento unico è presupposto e viene affermato solo il predicato. La presenza esplicita del soggetto è considerata dai parlanti nativi come accessoria, il verbo invece e l'azione alla quale rinvia costi-tuiscono lo scopo dell'intervento. È quindi questo secondo costituente, la cui presenza è richiesta dal contesto, che riceve tutte le marche della prominenza nell'enuncia-to-risposta (puo comparire solo, occupare la posizione finale se il soggetto è espresso di nuovo, non è distaccato, riceve l'accentazione principale...). Se la presenza del soggetto in posizione iniziale (SV) è contestualmente ammes-sa, la realizzazione di questo stesso argomento in posizione finale (VS) è rifiutata e l'enunciato deve essere considerato come inadeguato. Ed è lo stesso per le due pro-posizioni di risposta che contengono un pronome tonico che rinforza il soggetto. La conclusione da trarre da questi risultati è che il contesto qui esclude tutte le strategie che nell'enunciato contribuiscono ad attribuire lo statuto di elemento focale al soggetto. Tuttavia, il fatto che l'argomento non possa ricevere le marche proprie al focus non gli toglie la possibilità di essere considerato come un elemento prominente nel discorso: non lo è quando viene solo espresso attraverso la morfologia del verbo o quando è distaccato a destra, in appendice, ma la volontà di sottolineare la sua fun-zione tematica nell'enunciato è evidente quando è posto all'inizio e ancora di più quando è dislocato a sinistra. Il contesto tiene a questa prominenza attribuita al soggetto, elemento la cui pre-senza, ricordiamo, è facoltativa: 9. V > SV > S,V > V,S -► (S(,))V > V,S In modo globale, il distacco in posizione iniziale del soggetto (S,V) è in effetti consi-derato dai parlanti come più adatto al contesto che la sua realizzazione identica in finale (V,S). Per dormire e telefonare, la prima struttura domina largamente poiché, in termini di percentuale di uso, più del 10% la separano della seconda. Invece, le esigenze legate al verbo arrivare sono abbastanza forti per limitare lo scarto al solo 3%. Infatti, l'influenza che ha il verbo sotto la posizione del suo argomento è debole rispetto all'inadeguatezza nel contesto di VS (il soggetto non essendo focus qua) ma sembra essere in misura tale da condurre il parlante italiano a considerare in questo caso la posizione del soggetto a destra (V,S) altrettanto pertinente quanto la sua posi-zione a sinistra (S,V). Tuttavia, come abbiamo detto prima, bisognerebbe considerare altri contesti per confermare o smentire questa ipotesi, secondo la quale sarebbe dal verbo e dalle sue esigenze strutturali che proverrebbero la pertinenza della posizione a destra in un contesto dato. In modo piü generale, il lavoro che abbiamo appena esposto ci ha permesso di arrivare alle conclusioni e osservazioni seguenti: - una stessa struttura argomentale non conduce necessariamente ad una realizzazione identica degli elementi al livello enunciativo, cioe una struttura predicato(+argomento) per esempio, come e il caso per dormire, telefonare ed arrivare, non conduce sempre agli stessi enunciati canonici in un contesto identico. La struttura argomentale permette semplice-mente l'identificazione degli elementi necessari e dipendenti del predicato ma non determina la forma dell'enunciato. - Il contesto fornisce delle «leggi generali», che valgono per ogni verbo e per ogni argomento: rigetta le marche inadatte (un soggetto focus non sara distaccato a destra e disaccentuato per esempio), ammette quelle che permettono una buona interpretazione del bisogno comunicativo (un elemento tematico puo essere introdotto di nuovo per maggiore chiarez-za) e favorisce le strutture piü pertinenti da un punto di vista qualitativo (trasparenza dell'enunciato) e quantitativo (economia). - Quando il predicato rinvia ad un'azione dinamica e telica e/o ha un argomento unico agentivo, la posizione focale e riservata a questo argomento, a meno che lo scopo dell'interven-to sia solo quello di introdurre la parte verbale. E invece, se l'azione e adinamica, atelica e l'argomento solo semi-agentivo, la posizione focale e riservata al verbo, tranne quando il bisogno comunicativo riguardi solo il suo soggetto. - La forma effettiva di un enunciato adeguato contestualmente non e solo legata alla situa-zione comunicativa nella quale viene inserita. E piuttosto direttamente dipendente dal contesto in primis, e secondariamente influenzata dalle proprieta semantiche ed aspettuali degli elementi presenti nell'enunciato (come abbiamo visto per S,V e V,S con arrivare nel secondo contesto). Le esigenze contestuali dominano quelle relative ai predicati e argo-menti, che promuovono solo una certa strutturazione dell'enunciato senza imporla. La scelta dell'italiano come oggetto di studio ci ha anche permesso di analizzare il peso nel contesto, della possibilita di inversione (libera) del soggetto e della presenza «opzionale» di questo argomento. Prima di tutto, abbiamo avuto la conferma che la pertinenza della postposizione del soggetto al verbo e direttamente dipendente dal contesto e quindi dallo statuto comunicativo del primo argomento nell'enunciato. Poi, per quanto riguarda il fatto che la desinenza verbale possa permettere solo l'identificazione dell'elemento soggetto, due osservazioni s'impongono: la prima e che questa possibilita offerta dalla lingua e sfruttata al suo massimo appena e permes-sa contestualmente (cf. secondo contesto); la seconda e che se, malgrado questa pos- sibilità, la scelta del parlante è di esprimere esplicitamente il soggetto, quest'ultimo sarà marcato nell'enunciato come un elemento prominente. A partire dal momento in cui la presenza del primo argomento è accessoria rispetto al contesto, abbiamo riscontrato due tendenze radicalmente opposte: sia che gli si accordi un valore comunicativo molto debole, limitando la sua espressione alla morfologia del verbo o distac-candolo a destra, sia che si «sottolinei» nell'enunciato il suo statuto prominente di tema dello scambio, con la sua realizzazione «esplicita» in posizione iniziale (SV) o con la sua dislocazione a sinistra e l'accentuazione che gli viene associata (S,V). In questo articolo, ci siamo limitati a considerare tre verbi e due contesti distinti, pur decisamente consapevoli che sarebbe opportuno allargare lo studio ad altri pre-dicati mono-argomentali ed ad altri bisogni comunicativi per poter proporre un'ana-lisi più completa della loro influenza rispettiva sulla forma dell'enunciato e, di con-seguenza, per poter fornire una tipologia delle differenti strutture e del loro uso in maniera molto più pertinente. 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Riassunto SOGGETTO E VERBO CON DORMIRE, TELEFONARE E ARRIVARE IN CONTESTI DIVERSI L'articolo presenta i risultati di uno studio realizzato su un campione di cento parlanti attra-verso la somministrazione di un questionario. Il suo scopo è di descrivere il legame esistente tra contesto verbale e forma dell'enunciato in italiano. Il questionario consiste nella presen-tazione di una serie di contesti linguistici, ai quali sono associati diversi tipi di frasi, chieden-do ai parlanti di esprimere un giudizio sull'adeguatezza di ogni variante rispetto al contesto proposto. L'articolo si limita a presentare la realizzazione della sequenza soggetto+verbo in due contesti diversi per i verbi dormire, telefonare e arrivare, distinti per proprietà semantico-aspettuali ma identici dal punto di vista della struttura argomentale. Infatti, questi verbi hanno un solo argomento: il soggetto, che puö anche rimanere implicito, essendo sintattica-mente opzionale in italiano; di conseguenza, tutti gli altri elementi che si aggiungano even-tualmente all'enunciato, risultano indipendenti dal verbo. I due contesti linguistici messi a confronto si presentano in questo caso sotto forma di domande e determinano, nelle risposte, una organizzazione diversa dell'informazione: nel primo («che cosa è successo?») né il soggetto né il verbo sono presupposti e la loro introduzione è complessivamente informativa; nel secondo («sono andata a fare spese. E Maria?») solo il soggetto è introdotto ed è il verbo a portare l'informazione «nuova». Sulla base di queste restrizioni contestuali, lo scopo è di ana-lizzare quali siano le strategie linguistiche adeguate o meno per veicolare il tipo di informa-zione richiesto, confrontando i risultati per i tre verbi, al fine di stabilire un legame tra proprietà degli elementi presenti, contesto e forma dell'enunciato. Povzetek OSEBEK IN GLAGOL Z DORMIRE, TELEFONARE IN ARRIVARE V RAZLIČNIH KONTEKSTIH Članek predstavlja rezultate raziskave, opravljene s pomočjo vprašalnika na vzorcu stotih govorcev. Namen članka je opisati zvezo med jezikovnim kontekstom in obliko izjave v italijanščini. V vprašalniku je podana vrsta jezikovnih kontekstov, s katerimi so povezani različni tipi stavkov, anketiranci pa so naprošeni, da se izrečejo o ustreznosti vsake posamezne različice glede na predlagani kontekst. Članek se omejuje na predstavitev zaporedja osebek + glagol v dveh različnih kontekstih z glagoli dormire, telefonare in arrivare, ki se med sabo razlikujejo po semantično-aspektualnih lastnostih, a so enaki z vidika strukture argumentov. Ti glagoli imajo namreč en sam argument, in sicer osebek, ki lahko ostane tudi impliciten, saj je v italijanščini skladenjsko neobvezen; posledično so vsi ostali elementi, ki bi se lahko dodali k izjavi, od glagola neodvisni. Med seboj primerjana jezikovna konteksta sta v našem primeru predstavljena v obliki vprašanj, v odgovorih pa izzoveta vsakič različno organizacijo podatkov: v prvem kontekstu (»che cosa e successo«) ne osebek ne glagol nista predpostavljena in tako je njuna pojavitev kot takšna informativna; v drugem (»sono andata a fare spese. E Maria?«) se pojavi samo osebek in tako je glagol tisti, ki prinaša »novo« informacijo. Upoštevajoč te kontekstualne omejitve, ima prispevek namen proučiti, katere jezikovne strategije uspešno oz. neuspešno prenašajo zahtevano vrsto informacij. Podana je primerjava rezultatov za izbrane tri glagole, da bi tako lahko ugotovili zvezo med lastnostmi danih elementov, kontekstom in obliko izjave. Mirjam Premrl Università di Ljubljana* UDK B11.131.1'367.625:378.147 COMMENTO DELLE SCELTE DELLE FORME VERBALI NEI cloze DEGLI ŠTUDENTI DI ITALIANISTICA E DI TRADUZIONE (IDENTIFICAZIONE DEI PUNTI CRITICI E CONFRONTO TRA I GRUPPI) 0 INTRODUZIONE Il presente contributo ha come argomento le scelte delle forme verbali italiane nei cloze compiute dagli studenti universitari di italiano, e il variare di questa prestazione linguistica in dipendenza dagli anni di studio e dal corso di laurea frequentato: il corso di Lingua e letteratura italiana da un lato e i corsi di Traduzione e di Mediazione inter-linguistica dall'altro. Dopo un breve confronto tra le caratteristiche dei sistemi verbali italiano e sloveno, condotto allo scopo di evidenziare le difficolta di un apprendente slovenofono, saran-no presentati il test e il questionario. Sara discusso il cloze come metodo con cui non soltanto si mette il soggetto testato di fronte al compito di riempire il testo con le forme verbali che ritiene appropriate, ma ancora prima gli si chiede implicitamente di interpretare felicemente il messaggio del testo lacunoso. Si vedra, in seguito, che gli errori e le imprecisioni degli studenti non sono dovuti tanto a problemi di compren-sione del mondo testuale quanto piuttosto a difficolta relative alla scelta della forma verbale appropriata. Passero quindi in rassegna i dati delle analisi, soffermandomi sulla presentazione dei punti critici, sul commento delle scelte e sul confronto tra i gruppi. In base ai risultati ottenuti, cerchero di offrire, infine, dei suggerimenti di carattere didattico. 1 PARTE TEORICA Secondo Miklic (1997: 479) la scelta delle forme verbali dipende da tutta una serie di parametri: da quelli che riguardano il contenuto del messaggio e il modo in cui esso viene valutato - temporalita assoluta, temporalita relativa,1 tipo di azione (Aktionsart), modalita ecc. - e da quelli che riguardano le caratteristiche formali e i modi di presen-tazione - tipo di testo, varieta di lingua, adozione o presa di distanza, orientamenti dello * Indirizzo dell'autrice: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: mirjampremrl@gmail.com 1 Con «temporalità assoluta» si intende la posizione temporale dell'azione rispetto al momento dell'enunciazione: passato, avvenire, attualità, attualità allargata, extratemporalità. Con «temporalità relativa», invece, si indica la relazione temporale tra l'azione in questione e un altro punto di riferimento, diverso dal momento dell'enunciazione: anteriorità, simultaneità, posteriorità, contiguità e indipendenza temporale (assenza di tale relazione). sguardo,2 messa in rilievo e aspettualita,3 meccanismi sintattici,4 procedimenti narrati-vi,5 modi di inserimento di altri discorsi6 ecc. La realta sottostante ai parametri men-zionati viene codificata in modo diverso nelle diverse lingue, il che puo comportare delle difficolta nel processo di apprendimento e di acquisizione di una lingua straniera. Gia da un superficiale confronto tra lo sloveno e l'italiano si vede che l'italiano dispone di una vasta gamma di paradigmi verbali finiti e infiniti, mentre lo sloveno ne vanta pochi soltanto; tra essi, quelli infiniti sono caratterizzati da un uso molto ristretto (cfr. Miklič 1992a: 197). In italiano le forme verbali finite sono di norma distribuite nella maniera seguen-te: indicativo (presente (Pr), passato prossimo (PP), futuro semplice (F), futuro composto (FF), imperfetto (IM), passato remoto (PR), trapassato prossimo (TP), trapas-sato remoto (TR)), congiuntivo (presente (Pr'), passato (PP'), imperfetto (IM'), trapassato (TP')), condizionale (condizionale semplice (C), condizionale composto (CC)), imperativo (imperativo (ImP)). Si classificano tra le forme verbali infinite le seguenti forme: infinito semplice (INF), infinito composto (INFF), gerundio semplice (G), gerundio composto (GG), participio (PART), participio presente (PARTPr). Per quel che riguarda, invece, le forme verbali finite in sloveno appartengono all'indicativo il sedanjik (il «presente» sloveno, SED), il prihodnjik (il «futuro» sloveno, PRIH), il preteklik (il «preterito» sloveno, PRET) e il predpreteklik (il «trapassato» sloveno); al condizionale il pogojnik (il «condizionale» sloveno, POG) e il pretekli pogojnik (il «condizionale passato» sloveno); all'imperativo il velelnik (cfr. Miklič/Ožbot 2007: 66-67; Toporišič 2000: 510-511). Il predpreteklik e il pretekli pogojnik si adoperano molto raramente (Miklič 1992a: 197). Questo breve confronto delle due realta fa gia intuire l'esistenza di differenze profonde tra le due lingue; la vera diversita consiste, tuttavia, non solo nella quantita delle forme verbali, ma soprattutto nel loro impiego. Le due lingue differiscono sensibilmen-te nell'espressione della temporalita relativa, dell'aspettualita, della modalita e della sintassi (cfr. Miklič/Ožbot 2007: 69-70). L'italiano offre al parlante una serie di paradigmi verbali atti ad indicare contemporaneamente l'ubicazione dell'azione tanto 2 Con questo termine ci si riferisce a tecniche espositive-narrative quali ordine naturale, flash-back, flash-forward e preludio. Si ha l'ordine naturale quando l'ordine dei predicati del testo coincide con l'ordine cronologico delle azioni nella realtà extralinguistica ovvero nel mondo testuale. Si parla invece del flash-forward quando in un punto della narrazione il narratore riporta uno o più eventi posteriori ma realmente accaduti, per poi tornare ai fatti della storia principale ossia alle azioni nel fuoco narrativo. Per una presentazione più dettagliata del flash-back e del preludio si vedano 2.8.1 e 2.8.5. 3 Con le due espressioni ci si riferisce alla presentazione delle azioni in primo piano per mezzo di un paradigma perfettivo, o in secondo piano per mezzo di un paradigma imperfettivo. 4 Con l'espressione «meccanismi sintattici» si pensa all'uso delle forme in vari tipi di strutture sin-tattiche. 5 Con l'espressione «procedimenti narrativi» si pensa alle tecniche espositive relative alla scelta degli insiemi di forme verbali per raccontare il passato, cioè ai procedimenti fondamentale, storico, com-binato e misto. Nei due più frequenti, fondamentale e storico, le azioni centrali vengono di norma segnalate nel primo caso tramite il passato remoto (o passato prossimo), nel secondo caso tramite il presente storico. Nei cloze del presente contributo si ha il procedimento narrativo fondamentale. 6 Ne fanno parte ad. es. il discorso diretto (DD), il discorso indiretto (DI) e il discorso indiretto libero (DIL). rispetto al momento dell'enunciazione quanto rispetto ad un altro punto di riferimento e quindi dispone di paradigmi distinti per l'espressione della cronologia relativa nel non-passato (PP/PP', Pr/Pr', F/Pr/Pr') rispetto al passato (TP/TP', IM/IM', CC/IM/IM'). Questi paradigmi verbali si usano per segnalare un determinato rapporto di tipo relativo nei costrutti sintattici piu frequenti (giustapposizione (frasi indipenden-ti), periodi con dipendenti relative, causali, completive e alcuni altri). In questi costrutti la situazione in sloveno e simile a quella italiana nel non-passato, dove con il PRET, il SED e il PRIH ci si riferisce rispettivamente alle azioni anteriori, simultanee e posteriori. Diverso e l'uso delle forme verbali per la sfera del passato. Mentre nelle completive i rapporti di tipo relativo vengono segnalati - anche stavolta per mezzo del PRET, del SED e del PRIH, come nel non-passato -, nei costrutti indipendenti, relativi e cau-sali si fa uso del PRET, lasciando al destinatario il compito di interpretare la cronologia relativa per mezzo degli elementi di co- e contesto (Miklic 1992a: 195-201). Un altro punto importante riguarda le differenze nel funzionamento del sistema aspettuale sloveno rispetto a quello italiano.7 In sloveno, in linea di massima, il tipo di azione in buona parte incide sulla scelta di uno dei due elementi in opposizione, giac-ché con l'impiego del nedovrsnik (ND) (il «verbo imperfettivo» sloveno) viene messa in rilievo la fase durativa delle azioni omogenee (ateliche) nonché di quelle teliche che dispongono di una tale fase, mentre con il dovrsnik (D) (il «verbo perfettivo» sloveno) viene indirizzata l'attenzione verso la fase puntuale dell'azione telica, ma (con i verbi fasali) anche verso la fase iniziale8 o quella finale di quella atelica (Miklic 2007: 92, 9596, 99).9 Sul versante italiano, invece, quando l'azione omogenea o telica, di carattere singolo o iterativo, viene considerata nella sua globalita, si fa ricorso al perfetto, mentre l'espressione della visione parziale di un'azione qualsiasi,10 osservata da un punto passato rispetto al quale l'azione e simultanea, si affida all'imperfetto (Miklic 2007: 7 Per distinguere le due realtá Miklič (1981: 8) propone l'impiego del termine vid in riferimento alla situazione in sloveno e del termine ottica per la situazione in italiano. 8 Qualche volta la fase iniziale puo essere esplicitata con un verbo incoativo apposito. 9 Secondo la classificazione vendleriana rientrano tra le azioni ateliche gli stativi (state: essere malato) e i processi (activity: piangere), mentre fanno parte delle azioni teliche le realizzazioni (accomplishment: scrivere una lettera) e i conseguimenti (achievement: restituire) (Bertinetto 2003: 14). Sebbene l'azione atelica disponga anche di un inizio e di una fine, cioe di due fasi puntuali, la sua fase principale - quella che di norma viene messa in rilievo - e la fase durativa, per cui tale azione viene presentata per mezzo del ND (jokati [piangere]). Le fasi iniziale e finale, che si realizzano per mezzo del D, potrebbero essere classificate come situazioni di tipo conseguimento (zajokati [mettersi a pian-gere/cominciare a piangere], začeti/nehati delati, končati z delom [cominciare a/smettere di, finire di lavorare]). Le azioni di tipo conseguimento sono caratterizzate dalla sola fase puntuale (počiti [esplo-dere]), ma in alcuni casi possono disporre sia di una fase preparatoria durativa che di una fase puntuale (prihajati (ND) na vrh/priti (D) na vrh [stare per raggiungere la vetta/raggiungere la vetta]. Dato che in questo tipo di azioni viene, di norma, messa in rilievo la fase puntuale i conseguimenti sono perlopiu esplicitati per mezzo del D. Le realizzazioni, invece, sono caratterizzate sia dalla fase preparatoria durativa che dalla fase puntuale conclusiva. Quando si vuole presentare tutta l'azione, ponendo l'accento sul punto finale, viene usato il D. Quando, invece, si presenta tutta l'azione, ma senza dirigere l'attenzione sul punto finale, o quando l'attenzione si dirige verso la fase durativa, si ricorre all'impiego del ND (Miklič 2007: 92, 95-96). 10 Sono da escludere azioni momentanee puntuali, se non nel caso dell'impiego dell'imperfetto stilistico (cfr. Miklič 1981: 73). 93).11 Mentre in italiano la distinzione tra l'aspetto perfettivo e imperfettivo, sul lato espressivo, concerne soltanto alcuni paradigmi verbali (il PR/PP/TP in opposizione all'IM) in sloveno ogni forma verbale si manifesta o nella variante perfettiva o in quella imperfettiva, oppure - piü raramente in quella biaspettuale.12 Da quanto emerge da alcuni studi - e in particolare da quelli incentrati sull'impiego dei paradigmi verbali italiani in dipendenza dai costrutti sintattici da parte degli studenti universitari e ginnasiali - le difficolta in questo campo non sono del tutto superate nem-meno nei casi in cui l'italiano e una lingua dell'ambiente sociale, oppure vanta una forte presenza soprattutto a causa dei media: non lo sono nemmeno a livello universitario (Mertelj 2008: 349). A questo punto si potrebbe estendere il concetto all'impiego delle forme verbali in generale e ipotizzare che l'uso corretto dei paradigmi verbali sia conse-guenza dell'apprendimento cosciente piuttosto che dell'acquisizione spontanea.13 In quest'ottica persino gli anni di contatto con la lingua e le preconoscenze non sarebbero in grado di eliminare del tutto le difficolta nella scelta dei paradigmi del sistema verbale italiano. L'asserzione sembra trarre conferma da altri due studi di Miklic (1992b: 475 e 1998a: 373); il primo si incentra appunto sull'analisi degli aspetti problematici dell'apprendimento dell'italiano da parte di un madrelingua sloveno. Di fronte alle difficolta individuate l'autrice chiama di nuovo in causa la codificazione diversa della temporalita e dell'aspet-tualita in sloveno, ossia l'interferenza della madrelingua (Miklic 1992b: 475). La problematica dell'interferenza e stata affrontata anche da Sicherl (1998: 356), che, in base all'analisi dell'uso delle preposizioni negli studenti d'inglese, sostiene che in condizioni di mancato sapere metalinguistico o di altre difficolta nell'usare una lingua straniera si ricorre alla madrelingua. La stessa realta e stata osservata di recente da Ozbot (2009: 26), secondo la quale gli studenti componendo dei testi in una lingua straniera in qualche modo «tradu-cono» continuamente dalla propria o da un'altra lingua che sentono vicina. Influenzati dallo sloveno gli studenti d'italiano dovrebbero incontrare difficolta -sebbene in misura piuttosto limitata grazie all'insegnamento esplicito - nell'espressio-ne dell'anteriorita nel passato nell'ambito delle frasi relative e indipendenti (i casi di flash-back). Potrebbe risultare difficoltosa l'espressione della temporalita relativa tra le azioni passate nel caso dei discorsi inseriti indiretto nell'ambito delle completive e indiretto libero nell'ambito delle indipendenti. Si dovrebbe notare la tendenza, negli 11 Le azioni colte globalmente vengono denomínate da Miklič (1981: 76) «azioni di primo piano», mentre le azioni viste corsivamente sono definite «azioni di secondo piano». L'atteggiamento verso una rappresentazione di azioni globale è chiamato «narrazione», a differenza della tendenza a presentare azioni in modo corsivo, designata con il termine «descrizione» (Miklič 2007: 93). Con il termine «visione corsiva» ci si riferisce alla visione dall'interno dell'azione. L'espressione è stata presa da uno studio di Hermann («Objektive und subjektive Aktionsart», 1927) (Miklič 2007: 86). 12 In alcuni casi la stessa forma puo comparire come dovršnik e nedovršnik. 13 Gli effetti positivi del sapere acquisito sull'uso dei paradigmi verbali comunque non si possono del tutto escludere. La problematica è sfiorata da Mertelj (2008: 362) nella sua presentazione sintetica dell'uso dei paradigmi verbali in alcuni costrutti sintattici da parte degli studenti ginnasiali. Se non altro la familiarità con la lingua incide sicuramente su un livello più alto di comprensione testuale e, di conseguenza, su una maggiore disinvoltura, il che puo condurre a risultati migliori. Senonché in certi studenti appunto questo pregio pare essere causa di un mancato interesse nei confronti dell'apprendimento dei contenuti grammaticali. studenti, ad identificare l'uso del perfetto con l'uso del dovrsnik e l'uso dell'imperfetto con l'uso del nedovrsnik. Anche l'impiego attivo del preludio, praticamente sconosciu-to nello sloveno odierno (Miklic 1998b: 187), dovrebbe rivelarsi tutt'altro che facile. Infine non sono da escludere difficolta nell'uso del congiuntivo. 2 PARTE EMPIRICA 2.1 Preparazione e fini del test Per poter analizzare le prestazioni degli studenti nell'uso delle forme verbali - soprattut-to nei punti ritenuti critici - nonché il loro evolversi in dipendenza dagli anni e dall'in-dirizzo di studio - ho elaborato un test composto da due parti. La prima consisteva di cinque testi tratti da due numeri della rivista La settimana enigmistica (2008), la seconda, invece, di un brano tratto dal romanzo Ilgiardino dei Finzi Contini (GFC). Tutti e sei sono stati trasformati in altrettanti cloze con, tra parentesi, le forme verbali all'infinito. Ho scelto il cloze come tipo di esercizio perché nell'insegnamento moderno delle lingue straniere esso viene spesso usato anche per verificare le capacita dei discenti in relazione agli usi delle forme verbali. Rispetto a qualche altro esercizio linguistico - ad es. alla traduzione - il cloze, che indirizza l'attenzione del discente solo verso alcuni punti del testo, mentre tutto il resto e gia dato, sembrerebbe a prima vista un compito piu facile. Ma in realta il soggetto testato si trova davanti a un duplice compito. Sulla base del testo lacunoso deve in primo luogo capire il contenuto espresso dall'autore, cioe ricostruire felicemente il mondo testuale; soltanto in seguito potra completare il cloze con le forme verbali che ritiene appropriate, sia in base alle regole grammaticali apprese sia in modo automatico. La settimana enigmistica (LSE) e stata scelta per offrire ai partecipanti testi com-pleti e brevi di carattere divulgativo, e, quindi, non troppo complicati dal punto di vista lessicale, strutturale o contenutistico. I testi, di tipo prevalentemente narrativo, erano inoltre caratterizzati da una grande varieta di rapporti temporali e di conse-guenza da un uso svariato dei paradigmi verbali. Ecco i testi trasformati nei cloze. Il lettore e invitato a completarli e a confrontare in seguito la propria scelta con la presentazione dei fenomeni e con le soluzioni. Ad ogni soluzione italiana ho aggiunto - per evidenziare le differenze nel funzionamen-to dei sistemi verbali italiano e sloveno - anche la forma verbale con cui potrebbe essere resa la stessa realta nel testo sloveno. A. SALVATI DAL CANE Jean-Daniel e i suoi due bambini A.1 (partire) per una gita sulla neve nei dintorni di Villars-sur-Ollon (Svizzera) a bordo della slitta A.2 (trainare) dal loro cane Shady, quando all'improvviso una slavina li aveva travolti e sepolti. I soccorritori li hanno raggiunti solo dopo un certo tempo, ma i tre A;! (essere) gia fuori pericolo: il cane li Aá: (estrarre) dalla neve. (LSE 3993-12) A.1: L'osservazione attenta del cotesto (aveva travolti e sepolti) suggerisce l'uso del trapassato prossimo dell'indicativo (erano partiti (TP) /so se odpravili (PRET-D)/). I primi avvenimenti (era partito, aveva travolti e sepolti) costituiscono una specie di preambolo rispetto agli avvenimenti focali (li hanno raggiunti). Si tratta del cosiddetto preludio. A.2: La struttura e il conte- nuto richiedono l'impiego della forma verbale infinita PART (trainata/trainati /je vlekel (PRET-ND)/). A.3: L'azione e simultanea rispetto all'azione passata - (li) hanno raggiunti (erano (IM) /so bili (PRET-ND)/). A.4: L'azione e anteriore rispetto a (li) hanno raggiunti e erano fuori pericolo (aveva estratti (TP) /je izkopal (PRET-D)/). Si tratta di un flash-back (ante-riorita nell'ambito della indipendente). B. MARITO ABBANDONATO Tempo fa, il signor Norman Long di Saint Petersburg, una citta della Florida, intento una causa di divorzio contro la moglie Lizzie, accusandola di abbandono del tetto coniugale. La donna B.1 (allontanarsi) da casa poco dopo le nozze, celebrate piü di quarant'anni prima, e non vi B.2 (fare piü) ritorno. Al giudice che gli B.3 (chiedere) come mai B.4 (aspettare) tanto a denunciare la scomparsa, il marito abbandonato rispose: «Ho sempre sperato che prima o poi B.5 (tornare) da me...» (LSE 3993-12) B.1/B.2: Le azioni (verbalizzate nella indipendente) sono anteriori rispetto alle azioni passate nel fuoco narrativo - intento, chiese, rispose. Si tratta di un flash-back (si era allontanata (TP) /je odšla (PRET-D)/; non aveva piü fatto (TP) /se ni več vrnila (PRET-D)/). B.3: L'azione e contigua all'azione rispose (chiese (PR) /je vprašal (PRET-D)/). L'azione potrebbe essere interpretata anche come anteriore rispetto a rispose (aveva chiesto (TP) /je vprašal (PRET-D)/). B.4: L'azione e verbalizzata nell'ambito della completiva (il discorso indiretto del giudice) ed e anteriore rispetto all'azione chiese della frase citante. Nelle dipendenti interrogative indirette introdotte da chiedere si possono usare sia il congiuntivo che l'indicativo (Wandruszka 2001: 471) (avesse aspettato/aveva aspet-tato (TP/TP) /je čakal (PRET-ND)/). B.5: L'azione, verbalizzata nell'ambito della completiva, e posteriore rispetto all'azione passata ho sperato (sarebbe tornata (CC) /se bo vrnila (PRIH-D)/). Per sottolineare la sfumatura modale puo essere usato l'IM' (tornasse). C. GIULIO II Verso la fine del 1510, papa Giulio II C1 (incominciare) a sfoggiare una folta barba, che C.2 (scandalizzare) cardinali e ambasciatori: alcuni C.3 (scrivere) che il pontefice C.4 (somigliare) a un orso, altri lo C.5 (paragonare) invece a un eremita. In realta, con tale gesto il Papa C.6 (intendere) emulare Giulio Cesare, il quale nel 54 a.C. C.7 (giurare) di non radersi finché C.8 (non vendicare) la morte dei propri uomini C.9 (massacrare) dai Galli. Secondo quanto riportato da un cronista bolognese, Giulio II C.10 (essere determinate) a farsi crescere la barba fino a quando C.11 (non sconfiggere e cacciare) dall'Italia il re francese Luigi XII. (LSE 3993-4) Quando in un testo, caratterizzato da un registro piuttosto elevato, l'argomento e di tipo storico il paradigma piü spesso usato per denotare azioni centrali e il passato remoto (cfr. Bertinetto/Squartini 1996: 389-391, 400, 413-414). C.1: Si tratta di un'azione centrale nel passato (incomincio (PR) /je začel (PRET-D)/). C.2: L'azione e presentata come simultanea all'azione passata sfoggiare (scandalizzava (IM) /nad katero so se zgražali (PRET-ND)/). Potrebbe essere presentata anche come contigua (scandalizzo (PR)). C.3-C.5: In italiano c'e la tendenza a presentare le azioni nell'ambito della coordinazione copulativa e dell'asinde-to in una stessa ottica (Miklič 1981: 82-83) (scrissero-paragonarono (PR-PR); scrivevano-para-gonavano (IM-IM) /so pisali/so zapisali-so primerjali (PRET-ND/D, PRET-ND)/). C.4: L'azione, verbalizzata nella completiva (discorso indiretto) e simultanea all'azione scrissero (somigliava (IM) /spominja (SED-ND)/). C.6: L'azione e simultanea rispetto a incomincio a sfoggiare (intendeva (IM) /je nameraval (PRET-ND)/). C.7: L'azione e anteriore rispetto alle azioni incomincio a sfoggiare e intendeva (aveva giurato (TP) /je prisegel (PRET-D)/). C.8: L'azione e anteriore rispetto a di non radersi che e sua volta posteriore rispetto a aveva giurato. L'azione e verbalizzata in una temporale nell'ambito della completiva (finché non aves-se vendicato (TP') /dokler ne bo maščeval (PRIH-D/ND)/). C.9: La struttura sintattica e il contenuto richiedono l'impiego della forma verbale infinita PART (massacrati /so jih pomorili (PRET-D)/). C.10: L'azione e simultanea a incomincio a sfoggiare (era determinato (IM) /je bil odločen (PRET-ND)/). C.11: L'azione e anteriore rispetto a farsi crescere che e sua volta posteriore rispetto a era determinato a. L'azione e verbalizzata in una temporale nell'ambito della completiva (fino a quando non avesse sconfitto e cacciato (TP') /dokler ne bo premagal in pregnal (PRIH-D)/). D. BENIAMINO Il biblico patriarca Giacobbe decise che al suo ultimo figlio D.1 (dare) il nome augurale di Ben Yamin (Beniamino), che in ebraico D.2 (significare) «figlio della destra», e dunque «fortunato», poiché la sinistra D.3 (venire) considerata infausta. Cosí facendo, egli D.4 (trasgredire) le ultime volonta di sua moglie Rachele, che, prima di morire nel dare alla luce quel figlio, D.5 (chiedere) che il bambino D.6 (chiamare) Ben Oni, ossia «figlio del mio dolore». (LSE 3993-4) D.1: L'azione, verbalizzata nella completiva, e posteriore rispetto all'azione passata decise (avreb-be dato (CC) /bo dal (PRIH-D)/). Anche se il verbo decidere fa parte dei verbi volitivi a cui nella dipendente segue di norma un verbo al congiuntivo (Wandruszka 2001: 420-421) l'impiego dell'IM' (desse) in D.1 non e possibile dato che il soggetto della completiva e della sovraordinata e lo stesso. L'espressione della volizione, infatti, risente della finalita e quindi non puo essere autoreferenziale (*decise che desse). É invece possibile l'impiego della forma passiva dell'IM' (fosse dato (IM') /naj mu bo (PRIH-ND)/) appunto per la diversita dei soggetti.14 D.2: L'azione e presentata come extratemporale (significa (Pr) /pomeni (SED-ND)/). D.3: L'azione e simultanea all'azione decise (veniva considerata (IM) /so jo imeli za (PRET-ND)/). D4: Si tratta di un'azione centrale nel passato (trasgredí (PR) /ni izpolnil (PRET-D)/). D.5: L'azione e anteriore rispetto all'azione trasgredí (aveva chiesto (TP) /jeprosila (PRET-ND)/). D.6: Dato che con il verbo chiedere e espressa una volizione che concerne un'azione posteriore nel passato, nella dipendente e richiesto l'uso dell'IM' (venisse chiamato/fosse chiamato (IM') /naj ga poimenujejo (naj + SED-D)/) (Wandruszka 2001: 420-421). E. I DANA Secondo quanto afferma l'ingegner Felice Vinci nel libro Omero nel Baltico, le gesta dei Danai, narrate nei poemi omerici, E.1 (non svolgersi) nel Mediterraneo, ma nei mari del Nordeuropa. Partendo da uno scritto di Plutarco, nel quale lo storico greco E;2 (sostenere) che l'isola di 14 Ho scoperto questa tendenza esaminando i casi nel corpus La Repubblica (http://dev.sslmit.unibo.it/corpora/query.php?mode=simple&path=&name=Repubblica). Calipso, Ogigia, e situata a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, Vinci E.3 (analizzare) numerosi toponimi dell'Europa settentrionale, sorprendentemente simili a quelli omerici, nonché svariati fenomeni naturali, come gli enormi gorghi d'acqua detti maelstrom, che E.4 (ricordare) Scilla e Cariddi. Egli e quindi giunto a sostenere che i Danai (nome con cui Omero E.5 (indicare) i Greci) erano in realtá Danesi dell'etá del bronzo, E.6 (migrare) in seguito nel Mediterraneo, dove E.7 (attribuire) alle nuove terre i toponimi dei luoghi natii. (LSE 3976-12) E.1: Si tratta dell'azione passata riguardo alla quale il produttore del testo esprime delle riserve (non si sarebbero svolte (CC) /naj bi se ne odvijala/se baje niso odvijala (naj + POG-ND/baje15 + PRET-ND)/). E.2: Dall'osservazione attenta del cotesto con il Pr (e situata) nella dipendente completiva (che esclude la possibilitá dell'impiego dell'IM (*sosteneva) nella sovraordinata dato che la simulta-neitá nel passato non puo essere resa per mezzo del Pr nella dipendente) si puo dedurre la posizione extratemporale dell'azione sostenere e quindi la necessitá di renderla per mezzo del Pr (sostiene/trdi (SED-ND)/). E.3: L'azione e anteriore rispetto all'azione afferma (ha analizzato (PP) /je analiziral (PRET-D/ND)/). E.4: Si tratta di un'azione extratemporale (ricordano (Pr) /spominjajo (SED-ND)/). E.5: Con l'impiego dell'IM (indicava ¡je označeval (PRET-ND)/) l'opinione di Omero, vista corsiva-mente (a proposito del termine «corsivo» si veda la nota 11), e legata al passato. In questo modo si contrappone in senso non solo semantico ma anche temporale alle tesi di Vinci (e giunto a sostenere) che invece sono legate all'attualitá. Per questo motivo la scelta dell'IM e migliore rispetto ad un'altra scelta possibile, il Pr (indica /označuje (SED-ND)/) che sarebbe usato per presentare l'azione come extratemporale. E.6: La struttura e il contenuto richiedono l'impiego della forma verbale infinita PART (migrati /so se preselili (PRET-D)/). E.7: Azione centrale nel passato senza legami con il momento attuale (attribuirono (PR) /sopoimenovali (PRET-D)/). Il brano tratto dal romanzo, essendo un testo letterario, e caratterizzato da una complessitá maggiore. Inoltre, e anche piü lungo e meno completo dal punto di vista contenutistico. Per rimediare a quest'ultimo difetto il cloze e stato preceduto da una breve introduzione con cui si cercava di dare informazioni essenziali sul contenuto del romanzo nonché sui personaggi e sullo svolgimento della trama fino al momento dell'incontro - presentato nel brano - dei due protagonisti Giorgio (l'io narrato) e Micol nella camera da letto di quest'ultima. GFC Mi basto entrare nella sua stanza, invece, (dopo GFC.1 (introdurmi), Perotti aveva richiuso discretamente la porta dietro le mie spalle), per vedere che mi GFC.2 (sorridere - lei) benigna, gentile, amica. Ancor piü dell'esplicito invito a venire avanti, GFC.3 (essere) quel suo sorriso luminoso, pieno di tenerezza e di perdono, che mi persuase a staccarmi dal fondo buio della stanza e ad avvicinarmi. Mi accostai dunque al letto, dalla parte dei piedi, restando lí, con le mani appoggiate alla ringhiera. Benché infilata sotto le coperte, Micol ne rimaneva fuori con tutto il busto. GFC.4 (indossare) un pullover verde-scuro, accollato e dalle maniche lunghe, la medaglietta d'oro dello sciaddai scintillante sopra la lana della maglia, e due guanciali a sostegno della schiena. Quando GFC.5 (entrare - io) GFC.6 (leggere - lei): un romanzo francese, come GFC.7 (nota- 15 La sfumatura della notizia riferita puo essere data da un altro elemento di con- e cotesto non verbali. re - io), riconoscendo di lontano il tipo della copertina bianca e rossa; ed GFC.8 (essere) la lettura, probabilmente, piú che il raffreddore, a metterle sotto gli occhi un segno di stanchez-za. No, GFC.9 (essere) sempre bella - mi GFC.10 (dire - io) - contemplandola -, forse non GFC.11 (essere mai - lei) cosí bella e attraente. (GFC 1968: 212) GFC.1: L'azione è anteriore rispetto all'azione passata aveva richiuso. La dipendente temporale implicita richiede l'impiego della forma verbale infinita INFF (avermi introdotto /(me) je napovedal (PRET-D)/). GFC.2: L'azione è simultanea all'azione passata posteriore (per) vedere (sorrideva (IM) /se smehlja (SED-ND)/). GFC.3: Si tratta di un'azione centrale passata (visione globale). La com-binazione fu-(che mi) persuase presenta la stessa azione resa con due predicati per dare, nell'ambito della frase scissa, enfasi al soggetto (sorriso) (fu (PR) /je bil (PRET-ND)/). GFC.4: L'azione è simultanea all'azione passata accostai (indossava (IM) /bila je (v) (PRET-ND)/). GFC.5: Con l'azione, ver-balizzata in un costrutto sintatticamente indipendente dai costrutti in cui sono verbalizzate azioni nel fuoco narrativo (accostai, rimaneva, indossava), viene recuperata un'informazione anteriore -flash-back (ero entrato (TP) /sem vstopil (PRET-D/). GFC.6: L'azione è simultanea all'azione anteriore nel passato ero entrato (stava leggendo/leggeva (IM) /je brala (PRET-ND)/). GFC.7: Il PR viene usato per designare un'azione di importanza secondaria - in questo caso un commento del narra-tore - nel flash-back caratterizzato altrimenti dall'impiego del TP (casi simili presentati in Miklic 2004: 156) (notai (PR) /sem opazil (PRET-D)/). GFC.8: L'azione è colta globalmente, pero fuori del fuoco narrativo (flash-back). Si tratta di una stessa azione resa con due predicati (era stata-a metterle) nell'ambito della frase scissa (era stata (TP) /je bila (PRET-ND)/). GFC.9-11: Si tratta di azioni verbalizzate nell'ambito del discorso indiretto libero (DIL), rispettivamente simultanea e anteriore all'azione passata della frase citante dicevo (era-era stata (IM-TP) /je-je bila (SED-ND-PRET-ND)/). GFC.10: Nel romanzo abbastanza spesso si puo notare la tendenza a presentare l'azione della frase citante intercalata al DIL corsivamente (v. sopra) ((mi) dicevo (IM) /sem si rekel (PRET-D)/). Visto che la ricreazione felice del mondo testuale è essenziale per la scelta appropriata delle forme verbali - per farlo bisogna considerare il contenuto del testo come un'uni-tà esaminando la posizione temporale di tutte le azioni e non procedere frase per frase scegliendo la forma sulla base degli elementi di cotesto vicino - ho voluto identificare le possibili difficoltà degli studenti in questo campo; percio ho proposto ai candidati di: 1. sottolineare le espressioni sconosciute; 2. leggere la traduzione completa del testo C inserendo solo in seguito le forme verbali nel cloze; 3. riempire gli spazi vuoti dei cloze E e GFC, seguiti dalla traduzione slovena del testo integrale, con l'incarico di ripetere l'esercizio (completare gli stessi cloze una seconda volta: 2E, 2GFC); 4. completare il cloze D, tradurre il contenuto in sloveno per acquisire consapevolezza del mondo testuale e in seguito ripetere l'esercizio (completare il cloze una seconda volta: 2D); 5. rispondere alle domande riguardanti l'approccio usato nell'attività di scelta delle forme verbali. Per capire le motivazioni che li hanno guidati nella ricerca delle soluzioni ho chiesto loro di argomentare alcune scelte. I cloze saranno considerati in complesso nove, perché tre di essi sono stati proposti due volte. Il test è stato accompagnato da un questionario, composto da due parti principali. La prima conteneva domande legate sia all'indirizzo di studio dei partecipanti sia alle loro precedenti esperienze di apprendimento e acquisizione delle lingue straniere, in particolare dell'italiano. Nella seconda si cercava di sollecitare opinioni personali dei soggetti testati riguardo al grado della loro dimestichezza con l'italiano in comparazio-ne con altre lingue straniere, e di indurli a indicare le fonti di acquisizione o appren-dimento, evidenziando l'intensità di input linguistici che ne avevano ricavato. 2.2 Presentazione di alcuni tratti caratteristici dei corsi di laurea frequentati dai par-tecipanti all'esperimento16 La varietà dei corsi nell'ambito della Facoltà di Lettere e Filosofia di Lubiana offre una buona opportunità per la ricerca proposta, visto che l'insegnamento dell'italiano viene impartito sia al Dipartimento di Lingue e letterature romanze - corso di laurea in Lingua e letteratura italiana (Italianistica)17 - che nell'ambito del Dipartimento di Traduzione -corsi di laurea in Traduzione (Traduzione) e Mediazione interlinguistica (Mediazione)18 -, con due approcci in parte diversi, legati alle esigenze dei profili professionali dei futuri laureandi (cioè insegnanti o professionisti nel campo dell'editoria, turismo e simili da una parte e traduttori, interpreti e mediatori interlinguistici dall'altra). Tutti e tre i corsi hanno in comune l'insegnamento esplicito del funzionamento del sistema verbale italiano a livello morfologico, sintattico e testuale da un lato nonché atti-vità quali ad es. le esercitazioni di traduzione o di composizione di testi dall'altro, nel cui contesto l'attenzione è rivolta principalmente al testo stesso e l'impiego delle forme verbali non costituisce che uno dei tanti aspetti da tenere presenti. Ma da un confronto tra i programmi emerge che gli studenti di Italianistica seguono più lezioni del primo tipo (420) e meno lezioni del secondo (240), mentre per i loro colleghi di Mediazione e di Traduzione la situazione è opposta (165 del primo vs 465 del secondo tipo nel caso di Mediazione e 60 del primo vs 600 del secondo tipo nel caso di Traduzione).19 Poiché nell'ambito dei corsi di Traduzione e di Mediazione l'italiano è la terza lingua di studio accanto allo sloveno e all'inglese, il numero di lezioni a esso dedicate risulta ridotto (un terzo delle lezioni per il corso di Mediazione, il 25% per il corso di Traduzione). Il numero di ore obbligatorie dedicate ai vari aspetti dell'italiano (dalla linguistica alla letteratu-ra soprattutto) nell'ambito del corso di Italianistica, invece, raggiunge in complesso 1440 ore nel caso dell'indirizzo pedagogico e 1550 ore nel caso dell'indirizzo non pedagogico. 16 Le informazioni concernenti i corsi di laurea sono state ricavate dai siti internet ufficiali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Lubiana (http://www.prevajalstvo.net, 7. 4. 2009; http://www.prevajalstvo.net/files/Medjezikovno%20posredovanje_predstavitveni.pdf, 7. 4. 2009; http://www.ff.uni-lj.si/oddelki/romanistika/IT_star_pravi.htm, 7. 4. 2009). 17 II corso di laurea in Lingua e letteratura italiana, di durata pari a quattro anni, permette la scel-ta sia dell'indirizzo pedagogico sia di quello non pedagogico (Miklic/Ozbot 2001: 120). 18 Da una decina di anni esiste anche la possibilità di studiare italiano nell'ambito del Dipartimento di Traduzione (Miklic/Ozbot 2001: 120). Sulla scia della riforma dell'istruzione universitaria, il vecchio corso di laurea in Traduzione, di durata pari a 4 anni, è stato da qualche anno sostituito dal Corso di Laurea in Mediazione Interlinguistica (laurea triennale) e da un biennio di specializzazione (Laurea specialistica). I partecipanti all'esperimento del secondo e del terzo anno del Dipartimento di Traduzione erano già iscritti al nuovo indirizzo di studio mentre quelli del quarto seguivano il corso vecchio. 19 I numeri 420, 240, 165, 465, 60, 600 si riferiscono all'insieme delle ore di uno dei due tipi di lezioni offerte agli studenti nell'arco di tutto il corso di laurea. Il raffronto dimostra una prevalenza dell'italiano nell'ambito del Dipartimento di lingue e letterature romanze. Tuttavia, il corso di laurea in Italianistica si accompagna obbliga-toriamente a un altro corso di laurea di pari livello, che non necessariamente si colloca nell'ambito dello studio delle lingue; il fatto che, invece, gli studenti del Dipartimento di Traduzione studino contestualmente l'inglese e lo sloveno potrebbe contribuire a determinare in loro una maggiore sensibilità per il fatto linguistico. La domanda che mi sono posta come guida della mia indagine è se sia possibile raggiungere lo stesso grado di competenza nell'uso delle forme del sistema verbale italiano anche con un numero di lezioni dedicate all'apprendimento sistematico ed esplicito delle strutture della lingua italiana decisamente inferiore e con più diffuse attività che concernono la produzione di testi, da cui gli studenti potrebbero acqui-sire competenze per via induttiva. Va, pero, aggiunto che con il presente contributo non si intende privilegiare uno dei due approcci a scapito dell'altro visto che le dif-ferenze sono in gran parte giustificate dagli scopi educativi. 2.3 Caratteristiche del campione Ho deciso di sottoporre al test gli studenti del 2°, 3° e del 4° anno del corso di Italianistica, gli studenti del 2° e del 3° anno di Mediazione e quelli del 4° anno di Traduzione.20 Corso di lingua e letteratura italiana Corsi di Traduzione e di Mediazione interlinguistica Partecipanti del 2° anno del corso di Italianistica (IT2) Partecipanti del 3° anno del corso di Italianistica (IT3) Partecipanti del 4° anno del corso di Italianistica (IT4) Numero complessivo di tutti i partecipanti del corso di Italianistica (IT) Partecipanti del 2° anno del corso di Mediazione (TRA2) Partecipanti del 3° anno del corso di Mediazione (TRA3) Partecipanti del 4° anno del corso di Traduzione (TRA4) Numero com-plessivo di tutti i partecipanti dei corsi di Traduzione e Mediazione (TRA) 12 12/1121 12 36/35 14 12 9 35 Tabella 1: Numero dei partecipanti22 Gli studenti del 2°, 3° e del 4° anno di IT nonché gli studenti del 4° anno di TRA erano al corrente delle tematiche su cui si incentrava la ricerca. Il 4° anno IT si distingueva per aver ricevuto la quantità maggiore di insegnamento esplicito del funzionamento del sistema verbale italiano a livello morfologico, sintattico e testuale. Gli studenti del 2° anno IT, invece, seppur a conoscenza di tutti i fenomeni dal punto di vista teorico, pos-sedevano una scarsa esperienza pratica. Gli studenti del 2° e del 3° anno TRA, infine, 20 Siccome mi ero proposta di riflettere sull'insegnamento esplicito degli usi delle forme verbali italiane a livello universitario la partecipazione del 1° anno, dopo pochi mesi di esposizione a lezioni di questo tipo, non avrebbe contribuito a una maggiore oggettività dei risultati. 21 Alla prima parte del test hanno partecipato 12 studenti, alla seconda, invece, 11 soltanto. 22 Il numero dei partecipanti di ogni singolo gruppo non coincide con il numero complessivo degli studenti della stessa classe, visto che il test non era stato annunciato in anticipo. Sono stati coin-volti, quindi, gli studenti venuti con l'intenzione di partecipare alla lezione regolare di quel giorno. avevano appreso soltanto una parte delle tematiche. In comparazione con gli altri grup-pi, il 2° anno TRA aveva subito la quantita minore di insegnamento esplicito. A questo punto bisogna completare il quadro relativo al campione anche con alcuni dati ricavati dal questionario. Per quel che riguarda il punteggio ottenuto all'esame di maturita, che permetterebbe un paragone a livello nazionale, e i voti universitari dei par-tecipanti, entrambi indicatori sia delle capacita intellettuali che dell'atteggiamento verso lo studio, i gruppi presentano caratteristiche affini. Mentre la media dei punti all'esame di maturita mostra un lieve vantaggio degli studenti di Mediazione e di Traduzione (21,53 vs 20,4) in rapporto all'altro gruppo, la media dei voti universitari si rivela a favore degli studenti di Italianistica (7,87 vs 7,85). Anche se la maggioranza riteneva che al momento dell'iscrizione all'universita padroneggiasse bene l'italiano e pochi soltanto si dichiaravano principianti, la valutazione di alcuni altri parametri23 ha rivelato un grado di preconoscenze superiore negli studenti di Traduzione e di Mediazione.24 2.4 Classificazione delle soluzioni Nella fase iniziale dell'analisi ho suddiviso le soluzioni degli studenti in tre sottogrup-pi: soluzioni corrette (corr.), soluzioni parzialmente corrette (pcorr.), soluzioni inappropriate (err.). Si sono classificati tra le soluzioni parzialmente corrette gli errori di tipo ortografico (incomincio invece di incomincid), morfologico (eravano invece di erano), morfosintattico (avevano partito invece di erano partiti), lessicale (tirata invece di trainata) e le omissioni di elementi senza ripercussioni sull'uso appropriato delle forme verbali (aveva fatto invece di aveva piü fatto), mentre hanno trovato posto nel secondo sottogruppo gli errori di tipo sintattico (la segnalazione non-appropriata dei rapporti temporali: giuro invece di aveva giurato per l'anteriorita nel passato ecc.), semantico (mancata comprensione del contenuto: significherebbe invece di significa ecc.), sintattico-pragmatico (difficolta di scelta tra il perfetto e l'imperfetto: fu determi-nato invece di era determinato; scelta del passato prossimo (ha cominciato) al posto del passato remoto (incomincio) per presentare azioni centrali in un testo dal contenuto storico ecc.), nonché gli spazi da colmare lasciati vuoti, presumibilmente a causa di difficolta semantiche o sintattiche. Ho deciso di elaborare una tale suddivisione perché soltanto gli errori del secondo tipo riflettono difficolta di comprensione e d'uso.25 23 Sono stati considerati gli anni dell'apprendimento scolastico, la scelta dell'italiano come materia da studiare per l'esame di maturita, le fonti piü importanti dell'acquisizione e dell'apprendimento, i contatti con la lingua, il paragone delle competenze in italiano rispetto alle competenze in inglese o in un'altra lingua straniera. 24 Si alternano ai primi tre posti i gruppi TRA2, TRA3 e IT4, con prevalenza dei primi due, al quarto posto si collocano soprattutto studenti del gruppo IT3, mentre agli ultimi due posti tro-viamo i gruppi TRA4 e IT2. 25 Spesso un'unica soluzione conteneva non una sola, bensi piü inesattezze. Se presentava una combinazione di imprecisioni del primo gruppo, e stata unita alle soluzioni parzialmente cor-rette. Se, invece, presentava, accanto a uno o piü errori del primo gruppo, un aspetto qualsiasi del secondo, e stata classificata tra le soluzioni errate. Similmente sono state considerate errate anche le soluzioni caratterizzate da una combinazione di errori del secondo tipo. 2.5 Classificazione dei fenomeni osservati in base alla quantità di risposte inappropriate La Tabella 5 (per la sua lunghezza è stata inserita nell'Appendice) riassume i dati principali delle analisi. È stata elaborata in modo tale da disporre le soluzioni degli studenti in un ordine che tiene conto del grado di criticità di ciascun fenomeno. La Tabella 5 mette in evidenza un fatto molto curioso: pare che lo stesso fenomeno possa presentare livelli diversi di criticità (si osservino gli esempi di flash-back e di azioni extratemporali). Si potrebbe, dunque, sostenere che la valutazione del mondo testuale sottostante e degli elementi di cotesto in cui il fenomeno è inserito sia decisiva nella scelta appropriata dei mezzi linguistici. 2.6 Mondo testuale e cotesto L'analisi dei risultati dimostra che gli studenti hanno capito relativamente bene il mondo testuale, ossia i contenuti di ogni singolo testo. Infatti, hanno ritenuto sconosciuto sol-tanto l'1,04% di tutte le espressioni usate nei testi.26 La quantità di errori di tipo semantico, inoltre, si è rivelata molto inferiore rispetto agli errori di tipo sintattico o sintattico-pragmatico. Alcuni altri dati svelano qualche difficoltà in più: dovendo tradurre il testo D in sloveno gli studenti si sono resi conto delle difficoltà semantiche e lessicali in misu-ra maggiore di quanto non fosse accaduto nella fase che prevedeva la sola identificazione di espressioni sconosciute nel cloze B. Una percentuale superiore al 60% - il 61,11% degli studenti di Italianistica e il 62,86% di quelli di Traduzione - ha dichiarato di non aver avuto difficoltà a capire il contenuto del cloze GFC, il più complicato di tutti. Difficoltà in tal senso sono state evidenziate dal 33,33% degli studenti di Italianistica e dal 37,14% di quelli di Traduzione. Va notato il fatto che il gruppo IT2 ha risolto con un maggior numero di forme appropriate i cloze preceduti dalla versione slovena (2E, 2GFC, C, 2D) del testo; ció si è verificato in misura minore anche per i gruppi TRA4 e TRA3. È, quindi, possibile che il motivo per cui il gruppo IT2 si è classificato all'ultimo posto della gradua-toria generale (si veda 2.9) sia in parte imputabile alle difficoltà di comprensione. Nel complesso i cloze preceduti dalla versione slovena non sono caratterizzati sistematicamente da una quantità superiore di soluzioni appropriate rispetto agli altri cloze, il che potrebbe essere interpretato come segno di assenza di difficoltà significative degli studenti nel comprendere il mondo testuale. Il paragone tra i risultati dei cloze D, E, GFC e i rispettivi cloze 2D, 2E, 2GFC - che riflettono la prestazione degli studenti prima e dopo il confronto con la versione slovena - ha, tuttavia, rivelato quasi sempre un miglioramen-to della prestazione successiva alla lettura o all'elaborazione della versione slovena. Una delle strategie basilari che aiutano a riempire il cloze con le forme appropriate, considerando il contenuto del testo come un'unità e non solo sulla base degli elementi di cotesto vicino, consiste nella prelettura. Nel caso dei testi brevi della prima parte del test il 68,57% degli studenti ha asserito di aver letto gli interi cloze prima di 26 In condizioni ottimali il lettore ha bisogno, all'interno di un testo, di conoscere il 95% del lessico per poter ricreare con successo il mondo testuale. Il rimanente 5% puo essere desunto dal contesto (Sifrar Kalan 2008: 53). cominciare a inserire27 le forme, il 22,86%, invece, ha iniziato a risolvere l'esercizio senza una prelettura. Nel caso del testo GFC - più lungo e complesso e meno completo - solo il 58,57% degli studenti ha letto interamente il cloze prima di inserire le soluzioni,28 il 30%, invece, non lo ha fatto. La sola prelettura, tuttavia, non ha com-portato necessariamente un risultato migliore.29 È importante, quindi, che gli studenti imparino a osservare appropriatamente gli elementi di cotesto e ad accedere per mezzo di questi elementi ai contenuti. Nell'argomentare le proprie scelte circa il 20% degli studenti chiama in causa gli elementi di cotesto (una percentuale maggiore, invece, basa la propria scelta sull'indivi-duazione dei rapporti temporali tra le azioni). Questa tendenza è un po' più forte tra gli studenti di Traduzione. Tali argomentazioni mostrano spesso un ragionamento inap-propriato o superficiale da parte degli studenti, ma in altri casi ci fanno notare che essi si sono serviti con successo del cotesto per identificare il paradigma con cui denotare azioni centrali. Questa tattica, tuttavia, non è stata applicata sempre e da tutti; soprat-tutto gli studenti di Italianistica avrebbero potuto fare meno errori con un'osservazione più attenta del cotesto.30 Un'osservazione più attenta avrebbe potuto eliminare anche alcuni errori di tipo ortografico e morfologico. 2.7 Interferenza e coincidenza Le conseguenze di un'insufficiente osservazione degli elementi sopra menzionati e un sapere non abbastanza consolidato circa gli usi delle forme verbali italiane si manifestano nelle scelte influenzate dall'interferenza, soprattutto della prima lingua, cioè dello sloveno. L'esito delle analisi sembra suggerire che l'interferenza si manifesti a due livelli principali: al livello delle forme verbali31 e al livello delle strutture di superficie. I casi di interferenza sono stati classificati in cinque gruppi: i primi quattro riguardano il primo livello, mentre l'ultimo si riferisce al secondo. 27 75% (IT2), 75% (IT3), 91,67% (IT4), 57,14% (TRA2), 50% (TRA3), 55,56% (TRA4). 28 50 % (IT2), 54,55% (IT3), 83,33% (IT4), 50% (TRA2), 50% (TRA3), 66,67% (TRA4). 29 Mentre nel caso del gruppo IT4 effettivamente esiste una correlazione positiva tra i due fenomeni, il confronto dei risultati dei gruppi TRA3 e IT2 mette in luce una situazione opposta: anche se un numero maggiore di studenti aveva letto i cloze in precedenza, il gruppo IT2 non ha ottenuto buoni risultati; d'altro lato il gruppo TRA3, che in misura minore si era servito della preletura, ha ottenuto risultati assai migliori. 30 Nell'insegnamento la scelta del paradigma centrale da inserire nel cloze non deve essere limitata soltanto all'osservazione del cotesto, ma devono essere spiegate agli studenti le ragioni più profonde per cui una tale scelta risulta appropriata. Uno degli elementi che puo incidere sulla scelta consiste, ad es., nel genere testuale. 31 In questo senso il sedanjik («presente sloveno») trova la forma «corrispondente» nel presente del-l'indicativo, il pogojnik («condizionale sloveno») nel condizionale semplice, il dovršnik preteklika («preterito del verbo perfettivo sloveno») nel passato prossimo o nel passato remoto, il nedovršnik preteklika («preterito del verbo imperfettivo sloveno») nell'imperfetto dell'indicativo e il prihod-njik («futuro sloveno») nel futuro semplice. a) Interferenza totale dello sloveno (s+) (1) Al giudice che gli chiese come mai AVESSE ASPETTATO/AVEVA ASPETTATO tanto a denunciare la scomparsa, il marito abbandonato rispose. (2) Al giudice che gli chiese come mai *ASPETTAVA tanto a denunciare la scomparsa, il marito abbandonato rispose. L'interferenza, riflessa nell'uso dell'IM aspettava al posto del TP'/TP avesse aspettato/aveva aspettato nei test di alcuni studenti, si manifesta in due punti: influenzati dallo sloveno, che nelle completive segnala l'anteriorita nel passato con il preteklik e non con il predpreteklik (il trapassato sloveno), alcuni studenti non hanno scelto il TP neppure nel testo italiano. La scelta dell'IM (e non del PR) e inoltre dovuta all'influsso della forma imperfettiva del verbo sloveno (je čakal, PRET-ND). b) Interferenza parziale dello sloveno (s/) (3) Al giudice che gli chiese come mai *ASPETTO tanto a denunciare la scomparsa, il marito abbandonato rispose... Nel caso dell'impiego del PR aspettd non e stata segnalata l'anteriorita, ma a differenza del caso precedente, il ND, con il suo carattere imperfettivo, non ha esercitato alcuna influenza sulla scelta del paradigma italiano. c) Interferenza totale dello sloveno e dell'italiano del Nord d'Italia (sn+) (4) Tempo fa, il signor Norman Long di Saint Petersburg, una citta della Florida, intento una causa di divorzio contro la moglie Lizzie, accusandola di abbandono del tetto coniugale [...] Al giudice che gli *HA CHIESTO come mai avesse aspettato tanto a denunciare la scomparsa, il marito abbandonato rispose. (sn+) Con l'impiego del PP gli studenti non hanno rispettato la scelta dell'autore del testo di presentare le azioni centrali (tra cui anche chiedere) per mezzo del PR. A causa della forma per-fettiva del verbo je vprašal (PRET-D) gli studenti non hanno esitato ad usare il PP (paradigma perfettivo): l'esempio si e classificato, quindi, tra i casi di interferenza totale. Negli studenti si e potuta spesso notare la tendenza ad usare il PP32 nelle situazioni che in sloveno richiederebbero il preteklik. Il fenomeno e probabilmente dovuto al fatto che nell'apprendimento scolastico il PP viene insegnato relativamente presto rispetto al PR, all'IM e al TP. Gli studenti tendono ad usare il PP piü del necessario anche per la sua forte presenza - rispetto al PR - nell'italiano del Nord d'Italia, zona confinante con la Slovenia. d) Interferenza parziale dello sloveno e dell'italiano del Nord d'Italia (sn/) (5) Mi basto entrare nella sua stanza, invece, (dopo avermi introdotto, Perotti aveva richiuso discretamente la porta dietro le mie spalle, per vedere che mi sorrideva benigna, gentile, amica. Ancor piü dell'esplicito invito a venire avanti, *E STATO quel suo sorriso luminoso, pieno di tenerezza e di perdono, che mi persuase a stac-carmi dal fondo buio della stanza e ad avvicinarmi. 32 Questa tendenza e piü forte nel gruppo IT2 (73 casi), che e seguito dai gruppi TRA2 (49), IT3 (38), TRA3 (30), TRA4 (20) e IT4 (17). Con l'uso del PP gli studenti hanno rispettato la necessità di presentare l'azione globalmente e non si sono lasciati influenzare dalla forma imperfettiva (ND) del verbo essere sloveno, ma, per ragioni simili a quelle del caso precedente, non hanno usato il PR. e) Interferenza causata dalle strutture di superficie del testo sloveno (st+)33 (6) Proti koncu leta 1510 je papež Julij II začel razkazovati svojo gosto brado, nad katero SO SE ZGRAŽALI kardinali in poslaniki. (7) Verso la fine del 1510, papa Giulio II incominciô a sfoggiare una folta barba, che SCANDALIZZAVA cardinali e ambasciatori. (8) Verso la fine del 1510, papa Giulio II incominciô a sfoggiare una folta barba, che *SCANDALIZZARONO/*SCANDALIZZAVANO/*È STATA SCANDALIZZATA cardinali e ambasciatori. Influenzati dal sintagma verbale so se zgražali nad nella traduzione slovena del testo C (da cui que-st'ultimo era preceduto) che richiede il sostantivo barba in funzione di oggetto preposizionale, e il sintagma nominale cardinali e ambasciatori in funzione di soggetto, alcuni studenti hanno pro-posto come soluzione paradigmi quali scandalizzarono, scandalizzavano, e stata scandalizzata, evidentemente pensando che anche con il verbo scandalizzare le entitá barba e cardinali e ambasciatori dovessero svolgere la funzione rispettivamente di oggetto e soggetto, o almeno ricoprire gli stessi ruoli semantici, cioe quello di tema nel primo, e quello di agente nel secondo caso.34 In alcuni casi la soluzione proposta dagli studenti sembra suggerire una loro interpreta-zione diversa del mondo testuale, che in sloveno sarebbe verbalizzata per mezzo di un paradigma considerato analogo alla variante scelta. Ma dato che non avevo una confer-ma piü solida, ho potuto soltanto ipotizzare l'interferenza. Ho denominato questo tipo di interferenza interferenza probabile (+?, /?). Si osservi il caso dell'azione in D.3: (9) Il biblico patriarca Giacobbe decise che al suo ultimo figlio avrebbe dato il nome augurale di Ben Yamin (Beniamino), che in ebraico SIGNIFICA «figlio della destra», e dunque «fortunato», poiché la sinistra VENIVA considerata infausta. (10) Svetopisemski očak Jakob se je odločil, da bo svojemu zadnjemu sinu za dobrodošlico dal ime Ben Yamin (Benjamin), kar v hebrejščini POMENI »sin desnice« in zatorej »srečen«, saj JE levica VELJALA za nesrečno. A differenza delle azioni decise (PR) e avrebbe dato (CC), l'azione significa (Pr) non si trova nella sfera del passato bensi nell'extratemporalitá. Nel testo sloveno sarebbe percio verbalizzata per mezzo del SED. D'altro canto l'azione veniva (IM), simultanea all'azione decise, 33 Ci sono anche dei casi caratterizzati da una combinazione ulteriore dei quattro principali tipi di interferenza, ad. es. interferenza combinata dello sloveno e dell'italiano del Nord d'Italia e delle strutture di superficie del testo sloveno (snt+). 34 Un esempio simile è rappresentato dalle soluzioni influenzate dalla diatesi attiva in sloveno, quali chiamino, chiamarono, chiamassero, chiamerebbe, chiamasse in punto D.6, che in italiano invece richiede l'impiego della diatesi passiva. appartiene al passato. Nel testo sloveno sarebbe verbalizzata per mezzo del PRET-ND. Si trat-ta, dunque, di una situazione di coincidenza che gia di per sé avrebbe potuto comportare l'uso dell'IM. Ma invece dell'IM alcuni hanno proposto il Pr (viene): (11) Il biblico patriarca Giacobbe decise che al suo ultimo figlio avrebbe dato il nome augurale di Ben Yamin (Beniamino), che in ebraico SIGNIFICA «figlio della destra», e dunque «fortunato», poiché la sinistra *VIENE considerata infausta. Con molta probabilita la loro scelta e dovuta a una diversa interpretazione della posizio-ne temporale dell'azione veniva: anche quest'ultima e stata interpretata come extratemporale per l'attrazione esercitata dall'azione extratemporale significa e a causa della pre-senza del binomio destra - sinistra. Cio ha comportato l'uso del Pr (viene). Visto che in una situazione del genere anche in sloveno sarebbe stato usato il SED (saj levica *velja za nesrečno) si ha di nuovo un caso di coincidenza. Ma siccome questa interpretazione risulta inadeguata a rendere il significato completo della frase (il fatto che la sinistra veniva considerata infausta giustifica la scelta del nome), ho classificato il caso tra i casi di interferenza probabile e non tra i casi di coincidenza. Servendomi di questa suddivisione ho poi elaborato una nuova classificazione dei casi di interferenza, distinguendo tra casi di interferenza totale35 (+), casi di interfe-renza parziale (/),36 e casi di interferenza probabile (+?, /?). L'interferenza totale determina 32 su 65 casi di soluzioni inappropriate con la maggiore frequenza di occorrenze (si vedano i dati presentati nella Tabella 5). Se si considerano anche le soluzioni piu frequenti con interferenza parziale, ci si arriva a 37 casi. Se a questi si aggiungono anche i casi di interferenza probabile, i casi sono 41 su 65. I fenomeni di interferenza compaiono con una percentuale lievemente superiore tra gli studenti di Traduzione. Tipo di interferenza IT2 IT3 IT4 IT TRA2 TRA3 TRA4 TRA (+) 20,17% 14,53»% 10,87% 15,19% 18,7% 17,16% 15,25% 17,04% (+), (/) 23,39% 18,71»% 13,67% 18,59% 23,44% 21,71% 20,23% 21,79% (+), (/), (?) 26,82% 20,85»% 16,1% 21,26% 25,8% 24,78% 21,8% 24,13% Tabella 2: Percentuale media di soluzioni determinate dall'interferenza Gli študenti del 4° anno di Italianistica risultano decisamente i meno soggetti al fenomeno dell'interferenza; li seguono, nell'ordine, gli študenti del 3° anno di Italianistica e del 4° anno di Traduzione, quelli del 3° anno di Mediazione, quelli del 2° anno di Mediazione e del 2° anno di Italianistica. In linea di massima l'interferenza diminui-sce con il progredire degli studi, con un'intensita maggiore nel gruppo di Italianistica (si noti il dislivello notevole tra l'IT4 e l'IT2) e minore nel gruppo di Traduzione e di 35 Sono stati presi in considerazione i casi di interferenza, caratterizzati dai simboli s+, sn+, st+, snt+. 36 Si tratta dei casi di interferenza, caratterizzati dai simboli sn/ e s/. Mediazione che si rivela più omogeneo, ma anche un po' meno segnato da progressi in itinere. È da notare la posizione del 3° anno di Mediazione che si classifica piuttosto male rispetto al secondo posto nella classifica generale (si veda 2.9). Il risultato miglio-re del gruppo IT (si tratta, tuttavia, di differenze minime) potrebbe essere collegato all'insegnamento esplicito degli aspetti morfosintattici e degli usi dei paradigmi verbali in chiave contrastiva e testuale. D'altro lato le scelte compiute dagli studenti nei punti di coincidenza37 dimostrano che gli studenti - in occasioni in cui avrebbero potuto farlo - non sempre hanno proposto forme verbali ritenute analoghe.38 (12) Secondo quanto afferma l'ingegner Felice Vinci nel libro Omero nel Báltico, le gesta dei Danai, narrate nei poemi omerici, non si sarebbero svolte nel Mediterraneo, ma nei mari del Nordeuropa. Partendo da uno scritto di Plutarco, nel quale lo storico greco sostiene che l'isola di Calipso, Ogigia, è situata a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, Vinci ha analizzato numerosi toponimi dell'Europa settentrionale, sorprendentemente simili a quelli omerici, nonché svariati fenomeni naturali, come gli enormi gorghi d'acqua detti maelstrom, che RICORDANO (Pr) Scilla e Cariddi. In sloveno: ki SPOMINJAJO (SED-ND) na Scilo in Karibdo. Soluzioni inappropriate proposte dagli studenti: *ricordavano, *ricordava, *ricordas-sero, *hanno ricordato, *ricordarono. Il confronto tra le percentuali di soluzioni appropriate nei casi di coincidenza e la percentuale media di tutte le soluzioni appropriate del rispettivo esercizio evidenzia una prestazione migliore nei casi di coincidenza da parte del del gruppo TRA, men-tre il gruppo IT è meno incline a scegliere i paradigmi secondo le analogie. 2.8 Commento dei punti critici 2.8.1 Azioni anteriori verbalizzate nell'ambito delle frasi indipendenti: flash-back Mentre nei testi sloveni, nella narrazione dei fatti passati, le azioni omesse in un primo tempo vengono recuperate tramite l'uso dello stesso paradigma con cui sono denotate le azioni nel fuoco narrativo, per cui il rapporto di anteriorità deve essere dedotto soltanto dagli elementi di co- e contesto, in quelli italiani tali azioni sono esplicitate anche per mezzo di un paradigma in grado di segnalare l'anteriorità. I cloze proposti presentavano 7 casi di flash-back: in 5 di questi si è raggiunta una percentuale molto elevata (oltre l'80%) di soluzioni inappropriate. Gli studenti di 37 Con il termine coincidenza sono indicati i casi in cui il testo italiano e la corrispettiva traduzione in sloveno richiedono l'uso dei paradigmi ritenuti analoghi nell'immaginario laico di un parlante sloveno. A differenza di quanto accade nei casi di interferenza, nei casi di coincidenza la scel-ta della forma ritenuta analoga e quella appropriata. 38 Si osservi la posizione nella classifica dei casi (Tabella 5): A.3, B.3, C.1, C.2, C.6, C.10, D.2, 2D.2, D.3, 2D.3, D.4, 2D.4, E.2, 2E.2, E.4, 2E.4, E.5, 2E.5, E.7, 2E.7, GFC.4, 2GFC.4, GFC.6, 2GFC.6, GFC.7, 2GFC.7. Italianistica in 5 casi hanno ottenuto risultati migliori rispetto ai colleghi di Traduzione.39 Tra le soluzioni inappropriate spiccano quelle evidentemente influen-zate dall'interferenza con lo sloveno: mentre il PRET-ND ha suggerito la scelta dell'IM, il PRET-D ha provocato l'impiego del PR o del PP nel testo italiano. Si osser-vi l'uso dei paradigmi verbali in GFC.5 e GFC.8: (13) Mi basto entrare (PR) nella sua stanza [...] per vedere che mi sorridevabenigna, gentile, amica [...] Mi accostai (PR) dunque al letto, dalla parte dei piedi [...] Benché infilata sotto le coperte, Micol ne rimaneva fuori con tutto il busto [...] Quando *ENTRAI (PR)/*SONO ENTRATO (PP) (GFC.5) stava leggendo (IM): un romanzo francese, come notai, riconoscendo di lontano il tipo della copertina bianca e rossa; ed *ERA (IM) (GFC.8) la lettura, probabilmente, piú che il raffreddore, a metterle (INF) sotto gli occhi un segno di stanchezza. In sloveno: sem vstopil (PRET-D) in GFC.5; je bila (PRET-ND) in GFC.8. Soluzioni appropriate: ero entrato (TP) in GFC.5; era stata (TP) in GFC.8. Dal confronto dei 7 brani in cui appaiono i casi di FB emerge il ruolo decisivo, nel pro-cesso di individuazione del fenomeno, della complessita sintattica, lessicale, stilistica, contenutistica nonché del fattore della lunghezza del testo. Sono questi i motivi per cui i FB del testo GFC sono stati cosi difficili da decifrare. I casi B.1 e B.2, legati per mezzo della coordinazione copulativa, mettono in evidenza l'influsso della distanza dalla precedente azione nel fuoco narrativo sull'individuazione del fenomeno: mentre il FB del B.1 (si era allontanata) e stato riconosciuto dal 52,11% degli studenti, il FB del B.2 (aveva piú fatto ritorno) e stato segnalato soltanto nel 18,31% dei casi: (14) Tempo fa, il signor Norman Long di Saint Petersburg, una citta della Florida, intento (PR) una causa di divorzio contro la moglie Lizzie, accusandola di abbandono del tetto coniugale. La donna SI ERA ALLONTANATA (TP)/*SI ALLONTANO (PR) (B.1) da casa poco dopo le nozze, celebrate piü di quarant'anni prima, e NON vi AVEVA piü FATTO (TP)/*FECE (PR)/*HA FATTO (PP) (B.2) ritorno. Al giudice che gli chiese (PR) come mai ... L'esempio A.4 rappresenta, per la chiarezza dei contenuti e delle strutture sintatti-che del primo testo, il caso con il maggior numero di soluzioni esatte (71,82%): (15) I soccorritori li hanno raggiunti (PP) solo dopo un certo tempo, ma i tre erano (IM) gia fuori pericolo: il cane li AVEVA ESTRATTI (TP)/*HA ESTRATTO/*HA ESTRATTI/*E STATO ESTRATTO (PP) dalla neve. 39 Nell'ambito di Italianistica il gruppo IT4 e stato il migliore nell'identificazione dei FB (33,33%), seguito dai gruppi IT3 (26,51%) e IT2 (17,86%), mentre fra gli studenti del gruppo TRA il miglior risultato e stato ottenuto dal gruppo TRA2 (21,43%), seguito dai gruppi TRA3 (20,24%) e TRA4 (19,05%). 2.8.2 Azioni anteriori nel passato verbalizzate nell'ambito della dipendente relativa L'espressione dell'anteriorità nell'ambito delle dipendenti relative, sia in sloveno che in italiano, è analoga all'espressione del FB, per cui presenta anche lo stesso tipo di difficoltà: (16) Dejansko pa je na ta način papež želel (PRET-ND) posnemati Julija Cezarja, ki JE leta 54 pr. Kr. PRISEGEL (PRET-D), da se ne bo obril, dokler ne bo maščeval smrti svojih mož, ki so jih pomorili Galci. (17) In realtà, con tale gesto il Papa intendeva (IM) emulare Giulio Cesare, il quale nel 54 a.C. AVEVA GIURATO (TP)/*GIURO (PR)/*HA GIURATO (PP)/*GIURAVA (IM)/*EBBE GIURATO (TR) di non radersi finché non avesse vendicato la morte dei propri uomini massacrati dai Galli. Tutti e tre i casi caratterizzati da questo fenomeno (C.7, D.5, 2D.5) presentano oltre il 50% di soluzioni inappropriate. Il risultato migliore (le soluzioni con il TP) è stato di nuovo ottenuto dal gruppo IT (IT: 50,93%; TRA: 33,43%). Il confronto tra gli studenti all'interno di ciascuno dei due gruppi IT e TRA mette in luce un fatto curioso: i due sottogruppi migliori della classifica generale, l'IT4 e il TRA3 (si veda 2.9), hanno ottenuto il risultato meno buono.40 Tra le soluzioni inappropriate prevalgono quelle det-tate dall'influsso dello sloveno, con un'intensità maggiore negli studenti di traduzione (IT: 41,67%; TRA: 51,43%41). 2.8.3 Espressione della temporalità relativa nel passato nell'ambito delle completive L'impiego delle forme verbali nelle completive ha presentato gradi diversi di criticità.42 La più critica si è rivelata - a causa della complessità del costrutto sintattico, carat-terizzato da una temporale di secondo grado nell'ambito della completiva implicita - l'espressione dell'anteriorità nella posteriorità nel passato:43 (18) Po besedah kronista iz Bologne je bil Julij II odločen (PRET-ND), da si pusti (SED-D) rasti brado, dokler NE BO PREMAGAL IN PREGNAL (PRIH-D) iz Italije francoskega kralja Ludvika XII. (19) Secondo quanto riportato da un cronista bolognese, Giulio II era determinato (IM) a farsi crescere (INF) la barba fino a quando NON AVESSE SCONFITTO E CAC-CIATO (TP') dall'Italia il re francese Luigi XII. La percentuale media di soluzioni inappropriate in C.11 e C.8 è del 64,79%; esse risultano prevalenti nel gruppo TRA (IT: 59,72%; TRA: 70%).44 A prima vista 40 Soluzioni con il TP: 55,55% (IT2, IT3), 41,67% (IT4), 35,71% (TRA2), 25% (TRA3) 33,33% (TRA4). 41 Sono stati presi in considerazione sia i casi di interferenza totale che quelli di interferenza par-ziale. Tale tipo di errori costituisce il 57,14% (TRA2), il 55,56% (IT3 e TRA4), il 41,67% (TRA3), il 36,11% (IT4) e il 33,33% (IT2) di tutte le soluzioni. 42 Si osservi nella Tabella 5 la posizione dei casi B.4, B.5, C.7, D.1, 2D.1, D.6, 2D.6, GFC.2, 2GFC.2. 43 Per una discussione più approfondita si veda Miklič (1991: 100). 44 Usi appropriati (TP'/IM'): 45,83% (IT2), 54,17% (IT3), 20,83% (IT4), 28,57% (TRA2), 25% (TRA3), 38,89% (TRA4). potrebbe sorprendere il fatto che la quantità più elevata di soluzioni inadeguate sia stata prodotta dai due gruppi migliori (IT4 e TRA3), ma dall'analisi delle motiva-zioni della scelta addotte da coloro che hanno inserito una delle due soluzioni appropriate, il TP' (avesse vendicato, non avesse sconfitto e cacciato) o l'IM' (vendicas-se, non sconfiggesse e cacciasse), si puo evincere che tale scelta è frutto non di un esame consapevole dei rapporti temporali tra le azioni - supportato da competenze attive nell'uso dei paradigmi verbali - ma di automatismo o casualità. Nell'argomentare la scelta soprattutto del congiuntivo, infatti, molti hanno chiama-to in causa la congiunzione finché, che di per sé non determina il suo uso. Si sono avvicinati di più all'interpretazione corretta dei rapporti temporali tra le azioni gli studenti che hanno proposto come soluzione il CC45 pensando, forse anche per non aver notato la completiva implicita, che si trattasse di una semplice posteriorità nel passato. Gli usi del F, Pr, FF e C sono dovuti all'interferenza dello sloveno,46 che raggiunge i livelli più alti nei gruppi TRA2 e TRA4, seguiti dal gruppo IT2:47 (20) Secondo quanto riportato da un cronista bolognese, Giulio II era determinato a farsi crescere la barba fino a guando *NON AVREBBE SCONFITTO E CACCIATO (CC)/*SCONFIGGEVA E CACCIAVA (IM)/*NON AVRà SCONFITTO E CACCIATO (FF)/*NON SCONFIGGEREBBE E CACCEREBBE (C)/*NON SCONFIGGERÀ E CACCERÀ (F)/*SCONFIGGE E CACCIA (Pr) dall'Italia il re francese Luigi XII. 2.8.4 Segnalazione della temporalité relativa nel discorso indiretto libero (DIL) Il discorso indiretto libero (DIL) è uno dei discorsi inseriti che si oppongono alla die-gesi, cioè al discorso della voce narrante. Il DIL presenta i contenuti da due punti di vista diversi: quello del personaggio, ossia l'enunciatore originario, e quello del narra-tore (cfr. Miklic 2003b: 94). Di conseguenza assomiglia per certi aspetti al DD e per altri al DI, ma la proporzione dei tratti caratteristici dell'uno o dell'altro dipende dalla sua realizzazione nell'ambito di una determinata lingua. In italiano il DIL prototipico rappresenta le stesse caratteristiche del DD per quanto riguarda la struttura sintattica (frasi indipendenti), le scelte lessicali, la deissi temporale e locale. Assomiglia, invece, al DI per quel che riguarda la deissi personale e l'uso dei paradigmi verbali. In sloveno, d'altro canto, il DIL ha ancora più tratti in comune con il DD, visto che anche i paradigmi verbali rimangono uguali a quelli nel DD (cfr. Miklic 2003b: 95). Il DIL proposto nel cloze GFC (GFC.9&11) - si tratta, più esattamente, di un «pen-siero indiretto libero» (cfr. Leech/Short 1981: 337) - è interessante soprattutto dal 45 L'impiego inappropriato del CC: 25% (IT2), 37,5% (IT3), 58,33% (IT4), 32,14% (TRA2), 62,5% (TRA3), 33,33% (TRA4). 46 Mentre gli usi del Pr e del F rientrano nei casi di interferenza totale, l'impiego del FF riflette un'interferenza parziale. Gli studenti che hanno scelto il FF avevano notato il rapporto di ante-rioritá tra l'azione della dipendente di secondo grado e l'azione della completiva, ma influenzati dal prihodnjik (si bo pustil rasti) non hanno segnalato l'appartenenza dell'intera situazione al passato. 47 L'interferenza ricopre in media il 16,67% delle soluzioni nel gruppo IT2, l'8,33% nei gruppi IT3 e IT4, il 39,29% nel gruppo TRA2, il 12,5% nel gruppo TRA3 e il 22,22% nel gruppo TRA4. punto di vista degli usi dei paradigmi verbali, in quanto non presenta elementi di deis-si temporale o locale. Nell'espressione il DIL della versione slovena non differisce dal DD (se non per l'assenza delle virgolette con cui di solito si segnala il DD). Non cosi nell'originale italiano. (21) DIL: Ne, še vedno je lepa (SED-ND) - sem si rekel, ko sem jo gledal - morda ni bila še nikoli tako lepa in privlačna (PRET-ND). (22) DD: »Ne, še vedno je lepa (SED-ND),« sem si rekel, ko sem jo gledal, morda ni bila še nikoli tako lepa in privlačna (PRET-ND).« (23) DIL: No, era sempre bella (IM) - mi dicevo - contemplandola -, forse non era mai stata cosí bella e attraente (TP). (24) DD: «No, e sempre bella (Pr) », mi dicevo - contemplandola, «forse non e mai stata cosi bella e attraente (PP)». Con l'inclusione del DIL nel test si e voluta osservare la misura in cui la codificazio-ne diversa del fenomeno in sloveno avrebbe influito sulle soluzioni degli studenti, sia di coloro che avevano gia acquisito queste nozioni nel loro percorso universitario (IT4 e TRA4) sia di coloro che ancora non le possedevano. Gli studenti hanno dovu-to prima riempire il cloze GFC. In seguito sono stati sottoposti per la seconda volta allo stesso cloze (2GFC), preceduto, pero, dalla versione slovena del testo. La versione slovena avrebbe dovuto favorire una comprensione piü completa del contenuto, anche se, al contempo, avrebbe potuto provocare l'interferenza. Nel caso del cloze GFC la combinazione corretta (IM-TP) e stata proposta dal 25,72% degli studenti e tale percentuale risulta uguale per i due gruppi (IT e TRA). Ho deciso di considerare parzialmente corretta anche la combinazione Pr-PP, tipica del DD.48 Tale interpretazione e stata proposta dall'8,56% degli studenti, con inten-sita maggiore tra gli studenti di Italianistica (IT: 14,29%; TRA: 2,86%). Il maggior numero di soluzioni inappropriate e stato prodotto dagli studenti di Traduzione (TRA: 71,43%; IT: 60%).49 La maggior parte delle soluzioni inappropriate riflette l'in-flusso dello sloveno (40%). Si tratta di combinazioni IM-IM (27,14%), Pr-IM (11,43%) e Pr-TP (1,43%). Mentre gli studenti di Traduzione hanno impiegato piü volte i due IM (TRA: 34,29%; IT: 20%), errore classificato come interferenza parziale, visto che soltanto l'uso del secondo IM e dettato dall'interferenza, gli studenti di Italianistica hanno usato piü volte la combinazione Pr-IM (IT: 14,29%; TRA: 8,57%), dovuta pro-babilmente all'interferenza totale.50 48 Ho tenuto conto del fatto che gli studenti avrebbero potuto interpretare il passo come un DD - interpretazione, peraltro, possibile. 49 Percentuali di soluzioni inappropriate in ordine decrescente: 54,55% (IT3), 58,33% (IT4, TRA3), 66,67% (IT2 e TRA3), 85,71% (TRA2). 50 Percentuali di soluzioni in cui risulta evidente l'influsso dello sloveno: 50% (TRA2), 45,45% (IT3), 44,44% (TRA4), 41,67% (IT2), 33,33% (TRA3) e 25% (IT4). La percentuale di scelte appropriate (IM-TP) nella seconda esecuzione del cloze (2GFC) (15,71%) è calata rispetto alla percentuale riscontrata nella prima esecuzione (GFC) (25,72%). Una quantità minore di soluzioni adeguate è stata proposta dagli studenti di Traduzione (TRA: 11,43%; IT: 20%). È aumentata la frequenza della com-binazione Pr-PP (15,71%), tranne che nei gruppi IT2 e TRA4, ma raramente a scapito della combinazione IM-TP.51 Mentre nel gruppo TRA la quantità di soluzioni inappropriate è ulteriormente cresciuta rispetto al cloze GFC (80%), nel gruppo IT è rimasta quasi invariata (57,14%).52 Tra le soluzioni inappropriate sono aumentati i casi di interferenza (55,71%), soprattutto i casi di interferenza totale (Pr-IM: 27,14%) e i casi di interferenza parziale (Pr-TP: 11,43%). È invece diminuita la quantità dei casi IM-IM (17,14%) spesso perché sostituita dalla soluzione Pr-IM o, in misura minore, dalla combinazione Pr-PP.53 Il confronto tra i gruppi IT e TRA dimostra un aumento maggiore dell'interferenza nel gruppo TRA (60% in 2GFC vs 42,86% in GFC) rispetto al gruppo IT (51,43% in 2GFC vs 37,14% in GFC). I casi di interferenza sono aumentati in tutti i sottogruppi, tranne che nei gruppi IT4 e TRA3. L'aumento più consistente si è verificato nel gruppo TRA2.54 Una delle attività successive al cloze 2GFC richiedeva agli studenti di argomenta-re la propria scelta della forma verbale in 2GFC.9. Il fenomeno è stato riconosciuto come DIL soltanto da 4 studenti del 4° anno IT, e da uno studente del 4° anno TRA.55 L'uso di IM in 2GFC.9 è stato per lo più spiegato con il ricorso a concetti quali «durata», «descrizione», «stato», riferiti alla simultaneità nel passato. Chi, invece, aveva proposto il Pr ha motivato la sua scelta con un riferimento al DD. La traduzione slovena come stimolo all'uso del Pr è stata menzionata da 6 studenti di Traduzione. Alcuni hanno scritto di aver scelto il paradigma intuitivamente, ma le loro soluzioni sono state di norma errate. La soluzione corretta è stata proposta anche da parte di alcuni studenti che non avevano ancora studiato l'uso delle forme verbali nel DIL. Ma in tal caso è stata spes-so sostituita, nel cloze 2GFC, da una combinazione caratterizzata dall'interferenza. 2.8.5 Preludio Tra i casi rivelatisi di più difficile soluzione va collocato anche l'impiego del TP per riempire lo spazio vuoto A.1. Nel testo riportato sotto, l'azione erano partiti è in rap- 51 Si è avuto questo cambiamento in 2 casi su 18. Tre volte la soluzione appropriata è stata sostituita dalla combinazione Pr-TP. 52 Percentuali di soluzioni inappropriate: IT2 (75%), IT3 (63,64%), IT4 (33,33%), TRA2 (92,86%), TRA 3 (66,67%), TRA 4 (77,78%). 53 Le soluzioni con interferenza totale sono aumentate dell'11,42% (25,71%) nel caso del gruppo IT e del 2 % nel caso del gruppo TRA (28,57%). Nel gruppo IT sono aumentate del 2,85% anche le soluzioni con interferenza parziale (25,71%), mentre nel gruppo TRA sono, invece, - dimi-nuite (dal 34,29% al 31,43%). 54 Percentuali di soluzioni caratterizzate dall'interferenza: 85,71% (TRA2), 66,67% (IT2), 63,64% (IT3), 55,56% (TRA4), 33,33% (TRA3), 25% (IT4). 55 Tra coloro che hanno riconosciuto il DIL non tutti hanno proposto la combinazione corretta. porto di contiguita rispetto alle azioni aveva travolti e sepolti. Tutta questa parte ini-ziale costituisce una specie di preambolo ai fatti nel fuoco narrativo che hanno come centro l'azione (li) hanno raggiunti, espressa per mezzo del PP: (25) Jean-Daniel e i suoi due bambini ERANO PARTITI (TP) per una gita sulla neve nei dintorni di Villars-sur-Ollon (Svizzera) a bordo della slitta TRAINATA dal loro cane Shady, quando all'improvviso una slavina li AVEVA TRAVOLTI (TP) e SEPOLTI (TP). I soccorritori li hanno raggiunti (PP) solo dopo un certo tempo, ma i tre erano (IM) gia fuori pericolo...56 Questo modo di esporre azioni passate in ordine cronologico, usando per quelle all'ini-zio del testo un paradigma in grado di segnalare l'anteriorita, e denominato preludio:57 e come se si volesse togliere alle azioni introduttive una parte della loro rilevanza per dare piu importanza alle azioni nel fuoco narrativo (cfr. Miklic 1997: 492; Miklic 1998b: 184-185). Visto che tale fenomeno nello sloveno odierno e quasi del tutto sco-nosciuto (Miklic 1998b: 187) sarebbe stato illusorio aspettarsi dai discenti un uso spon-taneo e appropriato del TP. Si e voluto, piuttosto, mettere alla prova la loro capacita di osservazione del cotesto (la presenza dei due TP aveva travolti e sepolti). Il risultato migliore e stato ottenuto dagli studenti IT (36,11% vs 20% di soluzio-ni corrette e parzialmente corrette), grazie alle soluzioni del 4° anno IT.58 Invece di proporre la soluzione giusta gli studenti hanno fatto uso del PP, scelta condizionata dall'influsso dello sloveno.59 2.8.6 Espressione di notizie riferite ad azioni passate dubbie Il condizionale composto (CC) si usa anche per esprimere azioni passate riguardo alla cui verita l'emittente del testo ha delle riserve (Miklic 2003a: 555). In questo modo e espressa, nel cloze E/2E una riserva riguardo a una delle tesi presentate nel libro Omero nel Baltico, relativa al luogo delle gesta dei Danai: (26) Secondo quanto afferma l'ingegner Felice Vinci nel libro Omero nel Baltico, le gesta dei Danai, narrate nei poemi omerici, NON SI SAREBBERO SVOLTE (CC) (E.1/2E.1) nel Mediterraneo, ma nei mari del Nordeuropa. 56 Le azioni scritte in lettere maiuscole fanno parte del preambolo, mentre quelle scritte in minu-scole sono nel fuoco narrativo. 57 A differenza delle azioni anteriori, che sono verbalizzate all'interno delle dipendenti, le azioni espresse con il TP (o con il PP nel caso del procedimento storico) per segnalare il preludio sono verbalizzate nell'ambito delle frasi indipendenti. 58 Percentuali delle soluzioni errate in ordine decrescente: 91,67% (IT2), 88,89% (TRA4), 83,33% (IT3), 78,57% (TRA2), 75% (TRA3), 16,67% (IT4). Il vantaggio del gruppo IT4 e probabilmente dovuto sia alla conoscenza del fenomeno che alla capacita di osservazione. Il fenomeno era stato studiato anche dagli studenti del 4° anno TRA e del 3° anno IT, ma nonostante cio questi gruppi hanno ottenuto risultati bassi, peggiori di quelli dei gruppi TRA2 e TRA3 che non ne erano a conoscenza. 59 Uso del PP: 75% (IT2), 83,33% (IT3), 8,33% (IT4), 71,43% (TRA2), 58,33% (TRA3), 66,67% (TRA4). L'espressione di una tale azione passata non necessariamente richiede l'impiego del CC: (27) Secondo quanto riportato da un cronista bolognese, Giulio II ERA determinato (IM) (C.10) a farsi crescere la barba fino a quando non avesse sconfitto e cacciato dall'Italia il re francese Luigi XII. La presenza del sintagma secondo quanto afferma nel cotesto, dunque, potrebbe sug-gerire al soggetto testato l'impiego del CC. Tuttavia ció non basta, il che traspare anche dagli elaborati degli studenti. Soltanto il 5,63%,60 infatti, ne ha fatto uso. Una quantita piu elevata ha preferito il PR (18,31%).61 In sloveno l'espressione di notizie riferite ad azioni passate dubbie e affidata al condizionale sloveno preceduto dalla particella naj (naj se ne bi odvijala (POG-ND)),62 oppure al preterito sloveno preceduto dalla particella avverbiale baje ((baje) se niso odvijala (PRET-ND)). Anche se nel processo di traduzione da una lingua all'al-tra, secondo la teoria della traduzione di Coseriu (2002: 385), si tratta di riprodurre la stessa designazione e lo stesso senso ma non gli stessi significati linguistici (stru-menti tipici di una determinata lingua), in certi casi e comunque possibile rendere il senso e la designazione nel testo d'arrivo anche per mezzo di un significato analogo a quello presente nel testo di partenza. In questo senso ho voluto verificare in che misura l'impiego del pogojnik nella traduzione63 avrebbe influito sulla scelta del mezzo analogo nel cloze 2E e se gli studenti ne avrebbero riconosciuto l'uso o avreb-bero agito a seconda dell'analogia formale. (28) Po trditvah inženirja Feliceja Vincija v delu Homer na Baltiku naj BI SE junaška dela Danajcev, o katerih pripovedujejo Homerjeve pesnitve, NE ODVIJALA (POG-ND) v Sredozemlju, pač pa na morjih Severne Evrope. Rispetto a E.1 il numero di occorrenze del CC in E.2 e aumentato (19,72%).64 L'impiego e stato maggiore nell'ambito del gruppo TRA (TRA: 25,71%; IT: 13,89%). E aumentata anche la quantita di usi del PR (21,13%).65 Alcuni studenti hanno detto di aver scelto il CC per aver notato il pogojnik nella traduzione. Nonostante questa affermazione e difficile stabilire con certezza se la scelta sia stata motivata dalla forma o dalla consapevolezza dell'uso. Visto che non e stato usato il C, che avrebbe rappresentato il valore prototipico piu simile al pogojnik, si potrebbe dire che agli stu- 60 Si tratta di 3 studenti del gruppo IT e di uno študente del gruppo TRA. 61 Percentuali delle soluzioni con il PR: 25% (IT2), 16,67% (IT3), 8,33% (IT4), 14,29% (TRA2), 33,33% (TRA3), 11,11% (TRA4). 62 Sarebbe possibile esprimerla anche per mezzo della combinazione naj e condizionale passato sloveno (naj bi se ne bila odvijala). 63 Il cloze 2E e stato preceduto dalla traduzione del testo integrale in sloveno. 64 Usi del CC: 8,33% (IT2), 16,67% (IT3, IT4), 14,29% (TRA2), 33,33% (TRA3, TRA4). 65 Gli usi del PR: 33,33% (IT2), 16,67% (IT3, IT4), 7,14% (TRA2), 33,33% (TRA3), 22,22% TRA4. denti e mancata soprattutto la terminologia con cui spiegare correttamente il fenomeno. Altri hanno attribuito la scelta del CC a concetti quali «espressione di una supposizione», «espressione del sentito dire». Solo uno studente del gruppo IT3 ha spiegato la propria scelta usando la terminologia impiegata in classe: «l'espressione di un'azione riguardo alla quale il parlante ha delle riserve». La quantita di soluzioni inappropriate in E.1 e del 74,65% (e maggiore nel gruppo TRA (TRA: 77,14%; IT: 72,22%)),66 mentre nel caso di 2E.1 risulta piu bassa (59,15%) (stavolta soprattutto nel gruppo TRA (TRA: 54,29%; IT: 63,89%)).67 Tra le soluzioni inappropriate spiccano quelle scelte per l'interferenza: il PP e l'IM. Mentre la scelta del PP e stata determinata, probabilmente, dalla consapevo-lezza degli studenti di avere di fronte un fatto passato, la scelta dell'IM rappresenta un grado di interferenza maggiore: riflette, infatti, l'influsso del nedovršnik nelle due forme verbali (se niso odvijala (PRET-ND); bi se ne odvijala (POG-ND). In E.1, la quantita di PP (23,94%) e quasi uguale alla quantita di IM (21,13%). In entrambi i casi la percentuale e un po' piu alta nell'ambito del gruppo IT (PP: 27,78%, IM: 22,22% vs PP: 20%, IM: 20%o).68 In 2E.1 si nota un impiego minore dell'IM (19,71%) e del PP (15,49%) rispetto a E.1. La quantita di usi nell'ambito dei due gruppi e piu o meno uguale (IM: 19,44% (IT), 20% (TRA); PP: 16,67% (IT), 14,29% (TRA)).69 2.8.7 Scelta tra la narrazione e la descrizione Il sistema aspettuale italiano e quello sloveno funzionano in modo diverso. Esistono, tuttavia, delle situazioni in cui si puo riscontrare una corrispondenza, sebbene superficiale, nella distribuzione dei perfetti (P) e degli imperfetti (IM) da una parte e dei verbi perfettivi (dovršnik (D)) e imperfettivi sloveni (nedovršnik (ND)) dall'altra: (29) Ko sem vstopil (PRET-D), je brala (PRET-ND). (30) Quando sono entrato (PP)/entrai (PR) stava leggendo (IM). Avendo notato tale corrispondenza il discente e portato a scegliere i P e gli IM a seconda dei modelli della madrelingua (Miklič 1983: 59). Uno degli ambiti in cui la scelta tra il P e l'IM da un lato e tra il D e il ND dal-l'altro segue un andamento diverso e rappresentato dalla coordinazione copulativa (e dall'asindeto): mentre la lingua slovena puo presentare uno accanto all'altro un D e un ND, scelti in base alla natura di ogni singola azione (telica o atelica), l'italiano mostra la tendenza a mantenere l'ottica costante (narrazione (con i P) o descrizione (con gli IM)) (Miklič 1983: 111). 66 E.1: 66,67% (IT2), 75% (IT3 e IT4), 85,71% (TRA2), 58,33% (TRA3), 88,89% (TRA4). 67 2E.1: 58,33% (IT2), 66,67% (IT3 e IT4), 78,57% (TRA2), 33,33% (TRA3), 44,44% (TRA4). 68 L'uso del PP (E.1): 33,33% (IT2), 25% (IT3, IT4), 21,43% (TRA2), 16,67% (TRA3), 22,22% (TRA4). L'uso dell'IM: 8,33% (IT2), 33,33% (IT3), 25% (IT4), 28,57% (TRA2), 8,33% (TRA3), 22,22% (TRA4). 69 L'uso del PP (2E.2): 16,67% (IT2), 25% (IT3), 8,33% (IT4), 21,43% (TRA2), 8,33% (TRA3), 11,11% (TRA4). L'uso dell'IM: 8,33% (IT2), 25% (IT3, IT4), 35,71% (TRA2), 8,33% (TRA3), 11,11% (TRA4). In C.3-5 nella versione slovena stanno due ND (so pisali, so primerjali), ma l'azio-ne in C.3 potrebbe essere resa anche per mezzo di un D (so zapisali). Nel testo italiano, invece, le due azioni possono essere presentate sia entrambe globalmente per mezzo dei perfetti (narrazione) sia entrambe corsivamente (v. sopra) per mezzo degli imperfetti (descrizione). Con la scelta dei due perfetti si continua la serie di azioni centrali iniziata con incomincio a sfoggiare, con la scelta dei due imperfetti, invece, si passa subito alle azioni che fanno da sfondo all'azione centrale. La considerazione dell'intero testo e del suo carattere informativo suggerisce l'uso dei due P. Inadeguata è invece la combinazione P-IM. (31) Proti koncu leta 1510 jepapež Julij II začel razkazovati (PRET-D + NED-ND70) svojo gosto brado, nad katero so se zgražali (PRET-ND) kardinali in poslaniki. Nekateri SO PISALI (PRET-ND)/SO ZAPISALI (PRET-D), da papež spominja (SED-ND) na medveda, drugi SO ga PRIMERJALI (PRET-ND) z eremiti. (32) Verso la fine del 1510, papa Giulio II incomincio a sfoggiare (PR+INF) una folta barba, che scandalizzava (IM) cardinali e ambasciatori: alcuni SCRISSERO (PR) che il ponte-fice somigliava (IM) a un orso, altri lo PARAGONARONO (PR) invece a un eremita. Soluzione alternativa: SCRIVEVANO-PARAGONAVANO (IM-IM). Soluzioni inappropriate: *scrissero-paragonavano (PR-IM), *hanno scritto-parago-navano (PP-IM). La combinazione con due PR è stata proposta dal 18,31% degli studenti (IT: 19,44%; TRA: 17,14%), quella con due IM, invece, dal 45,07% (IT: 47,22%; TRA: 42,86%). D'altro lato il 39,39% degli studenti (IT: 30,56%; TRA: 34,29%) non ha mantenuto l'ottica costante, proponendo, quindi, combinazioni PP-IM oppure PR-IM. Per il parlante sloveno, la scelta tra il perfetto e l'imperfetto si rivela particolar-mente difficile quando, soprattutto nell'ambito di una indipendente, si trova davanti a un'azione (o più) della storia focale, di carattere atelico e, quindi, espressa per mezzo del ND, visto che in italiano tale azione - in linea di massima - potrebbe essere colta globalmente e, quindi, resa con il P, oppure vista corsivamente (v. sopra) e, quindi, denotata per mezzo dell'IM (cfr. Miklič 1981: 81). È lui stesso a dover deci-dere - valutando gli elementi di co- e contesto - se presentarla con il P o con l'IM. Gli studenti si sono trovati davanti a questo tipo di scelta nei punti A.3, C.2, C.6, C.10, E.5/2E.5, GFC.4/2GFC.4. In tutti questi casi i testi italiani prevedevano l'im-piego dell'IM, uso che per l'analogia con lo sloveno (l'uso dei ND) non avrebbe dovu-to presentare grandi difficoltà. I risultati dell'analisi hanno, pero, rivelato che una determinata azione viene percepita come un'azione da sfondo (IM) con più facilità in certi contesti che non in altri. In C.10, ad es., gli studenti che hanno presentato l'azione essere determinato con il P (fu determinato, è stato determinato) (49,3%; IT: 41,67%; TRA: 57,14%) sono stati più numerosi di quelli che l'hanno resa con l'IM (45,07%; IT: 47,22%, TRA: 42,86%). In C.6 la situazione si è rivelata simile: 70 NED-ND: forma imperfettiva dell'infinito sloveno. (33) Verso la fine del 1510, papa Giulio II incomincio a sfoggiare una folta barba che scandalizzava cardinali e ambasciatori: alcuni scrissero che il pontefice somigliava a un orso, altri lo paragonarono invece a un eremita. In realtà, con tale gesto il Papa INTENDEVA (IM) C.6 emulare Giulio Cesare, il quale nel 54 a.C. aveva giurato di non radersi finché avesse vendicato la morte dei propri uomini massacrati dai Galli. Secondo quanto riportato da un cronista bolognese, Giulio II ERA DETERMINA-TO (IM) C.10 a farsi crescere la barba fino a quando avesse sconfitto e cacciato dall'Italia il re francese Luigi XII. (LSE 3993-4) In GFC.4 (similmente in 2GFC.4) - trattandosi di un caso di descrizione prototipico, segnalato già dall'impiego di ne rimaneva nel cotesto vicino - l'IM è stato scelto da quasi tutti gli studenti (92,86%; IT: 91,43%; TRA: 94,29%): (34) Mi accostai dunque al letto, dalla parte dei piedi, restando lí, con le mani appoggiate alla ringhiera. Benché infilata sotto le coperte, Micol ne rimaneva fuori con tutto il busto. INDOSSAVA (IM) un pullover verde-scuro, accollato e dalle maniche lunghe, la medaglietta d'oro dello sciaddài scintillante sopra la lana della maglia, e due guan-ciali a sostegno della schiena. L'impiego del PR in C.2, rappresenta, invece, un'interpretazione accettabile: (35) Verso la fine del 1510, papa Giulio II incomincio a sfoggiare una folta barba SCAN-DALIZZO (PR) cardinali e ambasciatori. In questo caso l'IM è stato proposto dal 38,03% (IT: 38,89%; TRA: 37,78%) degli studenti, il PR dal 43,66% (IT: 38,89%; TRA: 48,57%). L'impiego generalizzato del PR in alcuni contesti, tuttavia, non è un cattivo segno: vuol dire che gli studenti cercano di non prendere come modello la codifica-zione slovena, e di partire, invece, dalla situazione italiana. Le difficoltà relative alla scelta tra il P e l'IM si sono potute notare anche in GFC.3/2GFC.3. Il predicato fu rappresenta assieme al predicato persuase un'unica azione telica, colta globalmente. Nell'espressione di azioni teliche in sloveno viene di norma accentuata la fase puntuale tramite l'uso del D. Il verbo essere sloveno, pero, dispone soltanto della forma imperfettiva (je bil, ND). Sotto l'influsso del-l'utilizzo del ND sloveno la maggioranza degli studenti ha riempito lo spazio vuoto con l'IM (GFC.3: 52,86%; 48,57% (IT); 57,14% (TRA); 2GFC.3: 50%; 45,71% (IT); 54,29% (TRA)). (36) Mi basto entrare nella sua stanza, invece, (dopo avermi introdotto, Perotti aveva richiuso discretamente la porta dietro le mie spalle), per vedere che mi sorrideva benigna, gentile, amica. Ancor più dell'esplicito invito a venire avanti, FU (PR) quel suo sorriso luminoso, pieno di tenerezza e di perdono, che mi persuase (PR) a stac- carmi dal fondo buio della stanza e ad avvicinarmi. Soluzione inappropriata più frequente: *ERA (IM). 2.8.8 Segnalazione dell'appartenenza delle azioni di un testo a mondi testuali separati Le azioni presentate nel testo E (Danai) appartengono a due diversi mondi testuali. Il primo, staccato dal momento dell'enunciazione, ha come protagonista il popolo dei Danai, ragione per cui viene presentato per mezzo del passato remoto (E.7) o dei suoi sostituti - condizionale composto per sottolineare la sfumatura modale di noti-zia riferita in E.1 e participio passato nel caso della dipendente implicita in E.6. Il secondo mondo testuale, strutturato attorno alle tesi dell'autore del libro e legato al momento attuale, richiede, invece, l'impiego del passato prossimo (E.3): (37) Secondo quanto afferma l'ingegner Felice Vinci nel libro Omero nel Báltico, le gesta dei Danai, narrate nei poemi omerici, NON SI SAREBBERO SVOLTE (CC) E.1 nel Mediterraneo, ma nei mari del Nordeuropa. Partendo da uno scritto di Plutarco, nel quale lo storico greco sostiene che l'isola di Calipso, Ogigia, è situata a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, Vinci HA ANALIZZATO (PP) E.3 numerosi toponimi dell'Europa settentrionale, sorprendentemente simili a quelli omerici, nonché svariati fenomeni naturali, come gli enormi gorghi d'acqua detti maelstrom, che ricordano Scilla e Cariddi. Egli È quindi GIUNTO a sostenere che i Danai (nome con cui Omero indicava i Greci) ERANO in realtà Danesi dell'età del bronzo, MIGRATI (PART) E.6 in seguito nel Mediterraneo, dove ATTRIBUIRONO (PR) E.7 alle nuove terre i toponimi dei luoghi natii. (LSE 3976-12) In sloveno le azioni passate di entrambi i mondi testuali - eccetto l'azione non si sarebbero svolte - sarebbero espresse per mezzo del preteklik. Gli studenti, poco abituati alle situa-zioni in cui all'interno di uno stesso testo per le azioni della diegesi compaiono sia il PP che il PR,71 hanno avuto difficoltà ad usare correttamente i due paradigmi: solo 4 studenti di Italianistica e 2 studenti di Traduzione hanno usato una delle due combinazioni accettabili (CC-PP-PR; PR-PP-PR) per riempire gli spazi vuoti E.1-E.3-E.7. 71 Durante la normale prassi didattica gli studenti sono generalmente sottoposti ai cloze che prevedo-no o la scelta del PR o la scelta del PP. Sono quindi escluse le situazioni che prevedono la coesi-stenza dei due paradigmi. 2.9 Osservazioni generali e confronto tra i gruppi GRUPPO IT 2 IT3 IT4 IT % corr. pcorr. err. corr. pcorr. err. corr. pcorr. err. corr. pcorr. err. ESERCIZIO A 29,17 18,75 52,08 47,92 14,58 37,5 85,42 8,33 6,25 54,17 13,89 31,94 ESERCIZIO B 36,67 6,67 56,67 53,33 3,33 43,33 66,67 5 28,33 52,22 5 42,78 ESERCIZIO C 55 8,33 36,67 59,17 4,17 36,67 61,67 0,83 37,5 58,61 4,44 36,94 ESERCIZIO D1 44,44 4,17 51,39 47,22 12,5 40,28 56,94 16,67 26,39 49,54 11,11 39,35 ESERCIZIO D2 51,39 2,78 45,83 45,83 11,11 43,06 55,56 18,06 26,39 50,93 10,65 38,43 ESERCIZIO E1 40,48 9,52 50 48,81 3,57 47,62 55,95 2,38 41,67 48,41 5,16 46,43 ESERCIZIO E2 47,62 8,33 44,05 51,19 3,57 45,24 60,71 3,57 35,71 53,17 5,16 41,67 ESERCIZIO GFC1 33,33 7,5 59,17 58,18 5,45 36,36 56,67 1,67 41,67 49,14 4,86 46 ESERCIZIO GFC2 40,83 8,33 50,83 58,18 4,55 37,27 60,83 5,83 33,33 53,14 6,29 40,57 IESERCIZI 42,10 8,26 49,63 52,20 6,98 40,81 62,27 6,93 30,80 52,15 7,49 40,46 Tabella 3: Percentuali relative alle soluzioni corrette, parzialmente corrette e inappropriate, per ciascun esercizio e per l'insieme degli esercizi, proposte dagli studenti di Italianistica GRUPPO TRA2 TRA3 TRA4 TRA % corr. pcorr. err. corr. pcorr. err. corr. pcorr. err. corr. pcorr. err. ESERCIZIO A 50 10,71 39,29 60,42 6,25 33,33 55,56 13,89 30,56 55 10 35 ESERCIZIO B 54,29 5,71 40 60 0 40 55,56 0 44,44 56,57 2,29 41,14 ESERCIZIO C 52,86 2,86 44,29 61,67 0 38,33 56,67 2,22 41,11 56,86 1,71 41,43 ESERCIZIO D1 51,19 16,67 32,14 59,72 8,33 31,94 48,15 7,41 44,44 53,33 11,43 35,24 ESERCIZIO D2 48,81 16,67 34,52 62,5 6,94 30,56 51,85 5,56 42,59 54,29 10,48 35,24 ESERCIZIO E 41,84 3,06 55,10 46,43 7,14 46,43 50,79 6,35 42,86 45,71 5,31 48,98 ESERCIZIO E2 50 3,06 46,94 57,14 9,52 33,33 55,56 11,11 33,33 53,88 7,35 38,78 ESERCIZIO GFC1 52,86 2,14 45 55 2,5 42,5 47,78 4,44 47,78 52,28 2,86 44,86 ESERCIZIO GFC2 47,86 2,85 49,29 56,67 5 38,33 54,44 4,44 41,11 52,57 4 43,43 IESERCIZI 49,97 7,08 42,95 57,73 5,08 37,19 52,93 6,15 40,91 53,39 6,16 40,46 Tabella 4: Percentuali relative alle soluzioni corrette, parzialmente corrette e inappropriate, per ciascun esercizio e per l'insieme degli esercizi, proposte dagli studenti di Traduzione Le due tabelle rappresentano il quadro riassuntivo della prestazione linguistica di ciascun gruppo. In generale i dati rivelano una modesta prevalenza delle soluzioni appropriate (52,77%) e parzialmente corrette (6,83%) rispetto a quelle inappropriate (40,46%). Le soluzioni appropriate in assoluto rivelano un modesto vantaggio degli studenti di Traduzione (TRA: 53,39%; IT: 52,15%). In 5 cloze su 9 gli studenti di Traduzione e di Mediazione hanno otte-nuto un punteggio piu alto rispetto agli studenti di Italianistica. Tuttavia, se consideriamo separatamente i singoli sottogruppi, notiamo che il risultato migliore e stato ottenuto dagli studenti del 4° anno di Italianistica (69,2%), seguiti dal 3° anno di Mediazione (62,81%). Il terzo posto è stato raggiunto dal 3° anno di Italianistica (59,18%) che precede di pochissimo il 4° anno di Traduzione (59,08%) e il 2° anno di Mediazione (57,05%). All'ultimo posto, infine, si è classificato il 2° anno di Italianistica (50,36%).72 In linea di massima la classifica rias-suntiva conferma, fatta eccezione per il quarto anno di Traduzione, un miglioramento della prestazione legato al grado di avanzamento nel percorso degli studi universitari. Se consideriamo l'esito di ogni singolo esercizio, la correlazione positiva tra anno di corso frequentato e prestazione grammatico-testuale si nota sei volte negli studenti di Italianistica e tre volte in quelli di Traduzione; nei casi rimanenti siamo in presenza di un'oscillazione, ossia di assenza di correlazione tra miglioramento della prestazione e anno di corso frequentato. Nei casi di oscillazione il gruppo IT4 si classifica una volta all'ultimo posto, mentre il gruppo TRA4 ottiene il risultato peggiore quattro volte. L'esame più dettagliato delle soluzioni con cui è stato riempito ogni singolo spazio vuoto mostra - negli studenti di Italianistica - un miglioramento delle capacità grammatico-testuali in dipendenza dagli anni di studio in 37 casi, un peggioramento in 5 casi, un'oscillazione in 22 casi73 e un caso di prestazione costante. La situazione concernente gli studenti di Mediazione e di Traduzione vede, invece, 11 casi di miglioramento, 44 casi di oscillazione,74 9 casi di peggioramento e un caso di prestazione costante. La situazione vede più volte il verificarsi di un progresso legato all'anno di corso fre-quentato nell'ambito del gruppo di Italianistica,75 mentre il gruppo di Traduzione e Mediazione si dimostra più omogeneo e forse meno incline a migliorare i risultati con il passare degli anni di studio, il che si potrebbe considerare, in misura limitata, una comprova del fatto che meno insegnamento esplicito e osservazione intenzionale del funzionamento del sistema verbale nel testo e più lavoro su base testuale non significhe-rebbero necessariamente un vantaggio per quel che riguarda l'uso dei paradigmi verba-li.76 D'altro lato il buon risultato ottenuto soprattutto dall'IT4 potrebbe dare conferma, appunto, dell'influenza positiva del maggior numero di ore dedicate all'insegnamento esplicito, anche se non si dovrebbe prescindere del tutto dall'importanza delle precono-scenze. I due gruppi migliori, IT4 e TRA3, si inseriscono, infatti, anche tra i tre gruppi migliori per il livello di preconoscenze. Senonché gli studenti del gruppo TRA2, bravi per le preconoscenze, si classificano soltanto al penultimo posto per quanto riguarda l'appropriatezza nell'uso dei paradigmi verbali. Tuttavia il confronto fra i gruppi TRA2 e IT2 di nuovo si rivela a favore del gruppo TRA2, caratterizzato da un livello più alto di preconoscenze. Considerati i risultati in generale, la prestazione degli studenti (solo due gruppi raggiungono una percentuale relativa agli usi appropriati superiore al 60%) si rive- 72 Sono state prese in considerazione le medie delle percentuali indicanti gli usi corretti e parzial-mente corretti delle forme verbali. 73 In 5 su 22 casi di oscillazione il gruppo IT4 si classifica all'ultimo posto, in 6, invece, al primo. 74 In 17 su 44 casi di oscillazione il gruppo TRA4 si classifica all'ultimo posto, in 8, invece, al primo. 75 Tale conclusione e abbastanza logica, visto che i gruppi IT4 e IT2 rappresentano i due estremi della classifica. 76 Per poter essere del tutto sicuri di questa affermazione bisognerebbe eseguire un esperimento del genere con ciascun gruppo piu volte nell'arco degli anni di studio. la deludente.77 Sembra che, nonostante l'insegnamento esplicito, l'impiego delle forme verbali permanga un campo difficile da maneggiare con disinvoltura. I risultati delle analisi rivelano, inoltre, che il problema principale degli studenti consiste non nella difficoltá di comprendere le caratteristiche del mondo testuale, ma nella loro interpretazione consapevole, che dovrebbe portare all'uso corretto delle forme verbali. Visto che la capacitá di valutare in modo cosciente il mondo testuale viene acquisita nel-l'ambito dell'insegnamento degli usi, si potrebbe dire che gli studenti possiedono un sapere non abbastanza consolidato, oppure che trovano difficoltá nell'applicare gli usi alla realtá extralinguistica per poca esperienza in merito al funzionamento dei paradigmi all'interno di vari tipi di testo. Potrebbero essere spia di un sapere non abbastanza consolidato - oltre ai numerosi casi di interferenza - anche l'impiego generalizzato del trapassato remoto,78 l'uso mancato, oppure generalizzato del congiuntivo79 ecc., mentre si potrebbero ascrivere alle difficoltá nell'applicare gli usi alla realtá extralinguistica l'uso generalizzato del passato prossimo nei contesti in cui andrebbe usato il passato remoto, tipico soprattutto degli stu-denti del 2 ° anno di Italianistica, la distinzione tra la narrazione e la descrizione, nonché, nel caso di preludio, la decisione di dare rilevanza alle azioni focali con l'impiego cataforico del trapassato prossimo per denotare quelle iniziali. La tesi viene confermata anche dalle difficoltá incontrate dagli studenti qualora si trovino nella necessitá di usare, all'interno di uno stesso testo, passato prossimo e passato remoto (si veda il caso del testo E/2E). CONCLUSIONE I risultati della ricerca sulle scelte delle forme verbali italiane nei cloze degli studenti dei corsi di laurea in Lingua e letteratura italiana da una parte, e in Traduzione e Mediazione interlinguistica dall'altra hanno confermato la necessitá e l'importanza dell'insegnamento e dell'osservazione espliciti del funzionamento del sistema verbale italiano. Infatti, persino a livello universitario, spesso dopo non pochi anni di contatto con la lingua italiana, si e rivelata forte, specialmente in alcuni contesti, l'interferenza, dovuta soprattutto alla codificazione diversa della temporalitá e dell'aspettualitá nella 77 Si deve comunque considerare il fatto che il test non era stato annunciato in anticipo. 78 Gli studenti si servono del TR per denotare un'azione anteriore nel passato anche al di fuori di una dipendente temporale: In realtà con tale gesto il Papa intendeva emulare Giulio Cesare, il quale nel 54 a.C. *EBBE GIURATO di non radersi... L'impiego generalizzato del TR si puo notare spo-radicamente in tutti i gruppi, con intensità maggiore nel gruppo IT4. 79 14 studenti, tra cui 6 del 3° anno di Italianistica, hanno scelto l'imperfetto del congiuntivo in C.4 perché pensavano che si trattasse dell'espressione di un'opinione di cardinali e ambasciatori: alcuni scrissero che il pontefice *SOMIGLIASSE a un orso, altri lo paragonarono invece a un eremita... Si tratta, invece, dell'atto di riferire la loro opinione e quindi di un fatto reale. Un altro caso di gene-ralizzazione riguarda l'esempio D.1: Il biblico patriarca Giacobbe decise che al suo ultimo figlio *DESSE il nome augurale di Ben Yamin... Per poca esperienza gli studenti non si sono resi conto del fatto che l'uso del congiuntivo sarebbe stato appropriato solo se i soggetti della principale e della dipendente fossero stati diversi. Dato che i soggetti sono uguali non si tratta di una volizione, ma piuttosto di una decisione che riguarda un fatto posteriore nel passato. Il paradigma da usare è quindi il CC (avrebbe dato). È da notare anche l'uso sporadico del congiuntivo nelle frasi indi-pendenti per l'espressione di un parere o di un dubbio: No, era sempre bella - mi dicevo - contemplandola -, forse non *fOSSE STATA mai cosí bella e attraente. prima lingua dei discenti. Hanno riempito i cloze con maggiore successo gli studenti del 4° anno di Italianistica, seguiti, nell'ordine, da quelli del 3° anno di Mediazione, del 3° anno di Italianistica, del 4° anno di Traduzione, del 2° anno di Mediazione e, infine, del 2° anno di Italianistica. In base a questa graduatoria si puo supporre che l'insegnamento esplicito della grammatica abbia un influsso decisamente positivo sulla prestazione lin-guistica; d'altro lato pero, si e rivelato importante anche il livello delle preconoscenze. Le analisi hanno, inoltre, dimostrato che le scelte inappropriate sono legate non tanto alle difficolta nella ricostruzione del mondo testuale quanto a una mancata interpretazio-ne consapevole delle relazioni tra le azioni che ne fanno parte, e, quindi, all'assenza di un uso consapevole e argomentato delle forme verbali. Alcune volte tale sapere pare non abbastanza consolidato, altre volte le difficolta sono causate dall'incapacita di applicare il proprio sapere a una concreta attivita testuale. Per superare le difficolta si dovrebbero potenziare ulteriormente le abilita degli studenti nell'ambito della rappresentazione del mondo testuale: partendo dalla loro capacita di recepire in modo abbastanza completo il contenuto di un testo si potrebbe cercare di sviluppare una sensibilita maggiore verso la stratificazione temporale, modale e aspettuale dei testi. Per facilitare l'acquisizione di que-ste abilita si potrebbero offrire agli studenti, soprattutto ai livelli iniziali, testi narrativi brevi ma completi. Occorrerebbe, in seguito, piu lavoro pratico con diversi tipi di testo per evidenziare come la scelta delle forme verbali sia in stretta correlazione anche con la spe-cificita delle diverse tipologie testuali. Gli studenti dovrebbero diventare piu abili nella scelta tra il passato remoto e il passato prossimo per rappresentare le azioni centrali di un dato testo. Dovrebbero essere sottoposti anche a testi in cui, a causa dell'appartenenza delle azioni a mondi testuali distinti, vengono usati sia il passato prossimo che il passato remoto. Siccome l'influsso della prima lingua e un fatto da tenere presente nell'apprendi-mento della lingua in questione, sarebbero da proporre delle attivita basate sul principio contrastivo. Si potrebbe partire, ad esempio, dall'analisi attenta del testo sloveno con l'in-tento di osservare i fenomeni testuali e i rispettivi mezzi linguistici per poi procedere con la traduzione in italiano, concentrandosi soprattutto sulla codificazione appropriata di detti fenomeni. Infine, si potrebbero individuare i punti critici. L'insegnante dovrebbe cercare di richiamare l'attenzione sui principi dell'espressione della stessa realta anche nell'ambito di qualche altra lingua straniera nota agli studenti, come l'inglese, per aiutarli a raggiungere un livello piu alto di comprensione dei rapporti interlinguistici. Corpus LSE = La settimana enigmistica 3976. LSE = La settimana enigmistica 3993. GFC = Bassani, Giorgio (1962) Il giardino dei Finzi-Contini. Torino: Einaudi. Bibliografía Bertinetto, Pier Marco (2003) Tempi verbali e narrativa italiana dell'Otto/Novecento: quattro esercizi di stilistica della lingua. Alessandria: Edizioni dell'Orso. 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E stata elaborata in modo tale da disporre le soluzioni degli studenti in un ordine che tiene conto del grado di criticitá di ciascun fenomeno: si va, cioe, da quelli con il maggior numero di risposte errate a quelli con il maggior numero di soluzioni corrette (colonna 1). Nella colonna 2 e indi-cato il fenomeno con la soluzione corretta e, se necessario, anche con una soluzione par-zialmente corretta;80 nella colonna 3, invece, e evidenziata la posizione del fenomeno nel rispettivo cloze (ad es. A.1, A.2, B.5 ecc.). Nella colonna 4 e indicata la percentuale complessiva delle soluzioni errate per ciascuno dei fenomeni analizzati, a cui fanno seguito i dati parziali relativi alle soluzioni inappropriate degli studenti rispettivamente di Italianistica (IT) e di Traduzione (TRA). I segni t, i, = accanto alle percentuali evi-denziano il rapporto interno tra le percentuali di soluzioni inappropriate di ogni singolo sottogruppo. Quando all'interno di uno dei due gruppi la prestazione migliora a seconda dell'anno di corso frequentato81 il rapporto interno viene segnalato con il simbolo t. La 80 Con i simboli t e 4 nella colonna 2 si desidera mostrare la correlazione tra la prestazione negli eser-cizi 2D, 2E e 2GFC (il secondo tentativo) con la prestazione nei corrispettivi esercizi D, E e GFC. 81 Con «miglioramento della prestazione in dipendenza dagli anni di studio» si intendono situazioni in cui il sottogruppo IT2/TRA2 raggiunge la percentuale piü alta di soluzioni innapropriate, il sot-togruppo IT3/TRA3 una percentuale piü bassa e il sottogruppo IT4/TRA4 la percentuale piü bassa di tali soluzioni. situazione opposta è evidenziata con il símbolo 1. Se le percentuali delle soluzioni inappropriate con il progredire degli anni di studio rimangono uguali il rapporto è evidenzia-to con il simbolo =. Quando invece non c'è una correlazione né positiva né negativa tra il miglioramento della prestazione e gli anni di studio il rapporto è evidenziato con il simbolo ~ .82 Tra le soluzioni inappropriate una o due compaiono con maggiore frequen-za. La prima percentuale della colonna 5 indica appunto la media delle percentuali dei gruppi IT e TRA relative alla soluzione inappropriata più frequente. Sotto la media sono indicati i dati parziali dei gruppi IT e TRA. Tra parentesi, accanto all'indicazione della forma verbale usata con più frequenza, viene evidenziata la maggiore o minore presenza di interferenze. Con il simbolo + è indicata l'interferenza totale, con il simbolo / l'inter-ferenzaparziale. Le sigle s (sloveno), sn (sloveno in combinazione con l'italiano del Nord d'Italia), st (strutture di superficie del testo sloveno) e snt (strutture di superficie del testo sloveno in combinazione con l'influsso dell'italiano del Nord d'Italia) si riferiscono all'origine dell'interferenza. Nella colonna 6 sono indicate le soluzioni che nei cloze degli studenti compaiono con minore frequenza, con i rispettivi tipi di interferenza. Con ogni percentuale è indicata la quantità di un determinato tipo di soluzioni rispetto all'insie-me di tutte le soluzioni (appropriate, inappropriate e parzialmente corrette).83 1 % 2 3 4 % 5 % 6 FB (anteriorità nell'ambito della frase indipendente) era stata (TP) GFC.8 97,14 = 100 IT Î 94,29 TRA IM (s+): 71,43 82,86 IT; 60 TRA Pr', IM', PR (s/) 50 100 FB (anteriorità nell'ambito della frase indipendente) era stata (TP) Î 2GFC.8 94,29 ~94,29 IT Î 94,29 TRA IM (s+): 61,43 62,86 IT; 60 TRA IM', TP', CC, PP (s/), PR (s/) FB (anteriorità nell'ambito della frase indipendente) ero entrato (TP) GFC.5 94,29 Î 91,43 IT ~97,14 TRA PR (s+): 66,2 60 IT; 74,29 TRA PP (s+), IM, TR FB (anteriorità nell'ambito della frase indipendente) ero entrato (TP) 2GFC.5 94,29 Î 91,43 IT ~97,14 TRA PR (s+): 65,71 62,86 IT; 68, 57 TRA PP (s+), IM 82 Si tratta di situazioni in cui i sottogruppi sono disposti in base alla quantità di soluzioni inappropriate - dal grado massimo a quello minimo - in uno dei seguenti modi: IT2/TRA2 > IT4/TRA4 > IT3/TRA3, IT3/TRA3 > IT4/TRA4 > IT2/TRA2, IT4/TRA4 > IT2/TRA2 > IT3/TRA3, IT3/TRA3 > IT2/TRA2 > IT4/TRA4. 83 La Tabella 5 contiene anche alcuni altri simboli. 0: assenza della soluzione; % 0: assenza parziale della soluzione; (e): errore (il simbolo (e) accompagna le forme verbali che potrebbero essere considerate corrette o parzialmente corrette se non presentassero al contempo un altro tipo di errore: ad. es. al posto di non si svolsero in E.1 è usata la forma non si svolse, non furono svolte); (a) e (p): diatesi attiva e passiva (i due simboli sono usati soltanto nei casi in cui una tale distinzione è necessaria: ad. es. in D.6, che prevede l'impiego della forma passiva dell'IM' fosse chiamato, è importante distinguere tale uso dall'uso errato della forma attiva dello stesso paradigma come chiamassero o chiamasse). 50- 100 FB (anterioritä nell'ambito della frase indipendente) non aveva piu fatto (TP) B.2 81,69 Í 77,78 IT ~85,71 TRA PR (s+): 59,15 47,22 IT; 71,43 TRA PP (s+), IM, 0, á 0 azione passata riguardo alla cui verita l'emittente esprime delle riserve non si sarebbero svolte (CC): corr. non si svolsero (PR): pcorr. E.1 74,65 172,22 IT ~77,14 TRA PP (sn/): 23,94 27,78 IT; 20 TRA IM (s/): 21,13 22,22 IT; 20 TRA TP, Pr, IM', TR, PR (e) il TP" e i sostituti (IM') nell'ambito di alcune dipendenti di 2° grado all'interno della completiva per l'espressione dell'anterioritä nella posteriorita del passato: non avesse sconfitto e cacciato (TP'): corr.=12,68 sconfisse e cacciasse (IM'): corr.+pcorr. =1,41+11,27=12,68 C.11 74,65 ~69,44 IT ~80 TRA CC: 46,48 44, 44 IT; 46,57 TRA FF (s/), C (s+), F(s+), 0, IM, Pr (s+?), PP', TR preludio erano partiti (TP) A.1 71,83 Í 63,89 IT ~80 TRA PP (s+): 60,64 55,56 IT; 65,71 TRA PR (s+), IM , TR azioni simultanea e anteriore nell'ambito del DIL era-era stata mai, era-era mai stata (IM-TP) 2GFC. 9&11 68,57 Í 57,14 IT ~80 TRA Pr-IM (s+): 27,12 25,71 IT; 28,52 TRA IM-IM (s/): 17,14 17,14 IT; 17,17 TRA IM-PR, IM-PP, IM-TP', IM-F, Pr-TP (s/), Pr-PP(e) (s/), PP-PP' anterioritá nel passato nell'ambito della relativa aveva giurato (TP) C.7 67,61 158,33 IT ~71,14 TRA PR (s+): 47,89 30,56 IT; 65,71 TRA IM, PP (s+), TR, 0 azioni simultanea e anteriore nell'ambito del DIL era-era stata mai, era-era mai stata (IM-TP): corr. + pcorr. = 25,72 interpretazione secondaria: azioni simultanea e anteriore nell'ambito del DD (Pr-PP): pcorr. = 8,56 GFC. 9&11 65,71 ~60 IT ~71,43 TRA IM-IM (s/): 27,14 20 IT; 34,29 TRA Pr-IM (s+): 11,43 14,29 IT; 8,57 TRA IM-PR, IM-TR, IM-PP, IM-PP', IM-TP', IM- 0, IM-C, IM-F, PR-TP, PR-TP, PR-F, F-F, Pr-PP(e), PP-TP, TP-TP, Pr-TP (s/) azione centrale nel passato (visione globale), frase scissa (fu ... che ... per-suase) fu (PR) l 2GFC.3 60 ~62,86 IT ~57,14 TRA IM (s+): 50 45,71 IT; 54,29 TRA PP, Pr, TP azione passata riguardo alla cui verita l'emittente esprime delle riserve non si sarebbero svolte (CC) non si svolsero (PR) Í 2E.1 59,15 163,89 IT ~54,29 TRA IM+IM(e) (s/): 9,71 19,44 IT; 20 TRA PP: 15,49 16,67 IT; 14,29 TRA PR(e), TP, Pr, TR, PP', IM', F, TP' anteriorita nel non-passato (neces-sario rendersi conto della presenza di piu mondi testuali) ha analizzato (PP) E.3 59,15 152,78 IT ~65,71 TRA PR: 35,21 30,56 IT; 40 TRA Pr (s+?), IM (s+?), TP, TR azione centrale nel passato (visione globale), frase scissa (fu ... che ... per-suase) fu (PR) GFC.3 57,14 ~57,14 IT ~57,14 TRA IM (s+): 52,86 48,57 IT; 57,14 TRA PP (sn/), Pr, IM anteriorita nel passato nell'ambito della relativa aveva chiesto (TP) D.5 54,93 ~44,44 IT ~65,71 TRA PR (s/): 42,25 27,78 IT; 57,14 TRA IM (s+), PP (s/), TR, TP', PP', G azione centrale nel passato (necessario rendersi conto della presenza di piu mondi testuali) attribuirono (PR) 1 2E.7 54,93 ~58,33 IT i 51,43 TRA PP(sn+): 28,17 22,22 IT; 34,29 TRA TP, TR, Pr, F, IM, IM(p), IM' il TP' e i sostituti (IM') nell'ambito di alcune dipendenti di 2" grado all'interno della completiva per l'espressione dell'an-teriorita nella posteriorita del passato avesse vendicato (TP') + vendicasse (IM'): corr. C.8 54,93 i 50 IT ~60 TRA CC: 36,62 36,11 IT; 34,17 TRA FF (s/), F (s+), 0, C (s+), PP' anteriorita nel passato, nell'ambito della relativa aveva chiesto (TP) t 2D.5 53,52 ~44,44 IT i 62,86 TRA PR (s/): 40,84 27,78 IT; 54,29 TRA IM (s+), Pr, PP (s/), TR, PP', TP' 50- 100 simultaneita nel passato (visione corsiva) era determinato (IM): corr. sarebbe stato determinato (CC): pcorr. C.10 53,52 ~50 IT i 57,14 TRA PR (s+?): 40,85 33,33 IT; 48,57 TRA PP (sn/?), PP', TP, IM' anteriorita nel passato, dipendente implícita avermi introdotto (INFF) GFC.1 52,86 ~48,57 IT i 57,14 TRA INFF(e): 22,86 17,14 IT; 28,57 TRA INF, G, GG, INFF(e), TP, TP', 0, PP (st+), PR (st+) anteriorita nel non-passato, (necessario rendersi conto della presenza di piu mondi testuali) ha analizzato (PP) t 2E.3 52,11 ~47,22 IT ~57,14 TRA PR: 38,03 38,89 IT; 37,14 TRA IM (s+?), Pr, TP simultaneita nel passato (visione corsiva) veniva (IM) 1 2D.3 50,70 152,78 IT ~48,57 TRA Pr (s+): 18,31 19,44 IT; 7,14 TRA IM(e), IM', PR azione centrale nel passato (necessario rendersi conto della presenza di piu mondi testuali) attribuirono (PR) E.7 50,70 150 IT t 51,43 TRA PP (sn+): 19,71 13,89 IT; 25,71 TRA TP, TR, IM, F, Pr, IM' simultaneita nel passato (visione corsiva) veniva (IM) D.3 49,3 t 50 IT ~48,57 TRA Pr (s+?): 16,90 19,44 IT; 14,29 TRA IM(e), IM', PR azione extratemporale, esclusione di altre interpretazioni con l'osservazione attenta del cotesto sostiene (Pr) E.2 49,3 t 50 IT ~48,57 TRA IM (s+): 35,21 27,78 IT; 42,86 TRA PR, PP (s+), PP(p) (s/), TR, TP 40- 50 FB (anteriorita nell'ambito della frase indipendente) si era allontanata (TP) B.1 47,89 t 36,11 IT ~60 TRA PR (s+): 33,80 19,44 IT; 48,57 TRA PP (s+), TR, PP' azione extratemporale ricordano (Pr) E.4 45,07 t 52,78 IT t 37,14 TRA IM (s+?): 33,80 36,11 IT; 11,43 TRA Pr(e), PP, IM', PR, 0 simultaneita nel passato (visione corsiva) intendeva (IM) C.6 43,66 ~41,67 IT ~45,71 TRA PR: 40,85 38,89 IT; 42,86 TRA 0, TR, TP posteriorità nel passato nell'ambito della completiva in seguito al verbo volitivo decidere nella principale avrebbe dato (CC)/fosse dato (IM') i 2D.1 42,26 ~44,44 IT î 40 TRA F (s+): 15,49 13,89 IT; 17,41 TRA PR, IM', C, Pr (s+), FF posteriorità nel passato nell'ambito della completiva in seguito al verbo volitivo decidere nella principale avrebbe dato (CC)/fosse dato (IM') D.1 39,44 î 44,44 IT ~34,29 TRA F (s+): 14,08 13,89 IT; 14,29 TRA Pr (s+), PR, IM', C, FF, TP' posteriorità nel passato in combinazione con l'espressione del desiderio nell'ambito della completiva in seguito al verbo volitivo chiedere nella principale fosse chiamato/venisse chiamato (IM') D.6 38,03 î 41,67 IT ~34,29 TRA IM'(e, a): 9,86 13,89 IT; 5,71 TRA C(a), Pr'(p) (s+), Pr'(a) (st+), PR (a) (st/), IM'(a) (st+), IM (p), C(p), CC(p), Pr'(p), PR(p), TP'(p),'V 0, FF (a) posteriorità nel passato in combinazione con l'espressione del desiderio nell'ambito della completiva in seguito al verbo volitivo chiedere nella principale fosse chiamato/venisse chiamato (IM') 2D.6 36,62 î 41,67 IT ~31,43 TRA IM' (e, a): 9,86 13,89 IT; 5,71 TRA C(a), Pr'(a) (st+), PART, PR(a), IM'(a) (st+), IM, C(p), CC(p), Pr'(p), PR(p), TP'(p), 'V 0, FF(a) tendenza a mantenere l'ottica costante nell'ambito della coordinazione copulativa scrissero/paragonarono (PR): corr.+ pcorr. = 14,08+ 4,23 = 18,31 scrivevano/paragonavano (IM): corr.+ pcorr. = 45,07 C.3/5 36,62 î 33,33 IT ~40 TRA PR-IM (s+): 26,76 22,22 IT; 31,43 TRA PP-IM (s+), TP-PR, PR-IM' 30-40 anteriorità nel passato nell'ambito dell'interrogativa indiretta introdotta da chiedere nella principale avesse aspettato (TP') (corr.+pcorr. = 18,18) aveva aspettato (TP) (corr.+pcorr.= 46,59) B.4 35,21 î 33,33 IT ~37,14 TRA IM (s+): 12,86 8,33 IT; 17,14 TRA PR (s/): 8,45 5,56 IT; 11,43 TRA IM' (s+), TR, PP (s/), PP' (s/), TP(e), V 0 azione extratemporale, esclusione di altre interpretazioni con l'osservazione attenta del cotesto sostiene (Pr) î 2E.2 35,21 î 38,39 IT ~31,43 TRA IM: 26,76 25 IT; 28,57 TRA PR, TP, PP, PP (p) parte del FB: avevo notato (TP) commenta: notai (PR) 2GFC.7 34,29 î 34,29 IT ~34,29 TRA PP (s+): 17,14 20 IT; 14,29 TRA TP (e): 15,71 11,43 IT; 20 TRA PR (e) parte del FB: avevo notato (TP): corr.+pcorr.= 5,72 commenta: notai (PR): corr.+pcorr.= 52,86 + 8,57 = 61,43 GFC.7 32,86 î 37,14 IT î 28,57 TRA PP (s+): 17,14 22,86 IT; 11,43 TRA PR(e), TP(e) azione presentata sia come un'azione di secondo piano nel passato (visione corsiva), oppure come extratemporale indicava (IM); indica (Pr) E.5 30,99 î 36,11 IT ~25,71 TRA PR (s+?): 19,71 19,44 IT; 20 TRA IM(e), TP, PP (sn+?) 30-40 azione presentata sia come un'azione di secondo piano nel passato (visione corsiva), oppure come extratemporale indicava (IM); indica (Pr) 2E.5 30,99 136,11 IT ~25,71 TRA PR: 19,72 16,67 IT; 22,86 TRA IM(e), TP, PP azione centrale nel passato (visione globale) trasgredí (PR) D.4 29,58 138,89 IT ~20 TRA PR(e): 11,27 16,67 IT; 5,71 TRA PP (sn+), Pr, TP, 0, CC azione centrale nel passato (visione globale) trasgredí (PR) 2D.4 29,58 136,11 IT ~22,86 TRA PR(e): 11,27 16,67 IT; 5,71 TRA PP (sn+), Pr, TP, CC azione centrale contigua nel passato (PR)/azione anteriore nel passato (TP) chiese (PR): 63,38 aveva chiesto (TP): 7,04 B.3 29,58 144,44 IT 114,29 TRA PP (sn+): 21,13 30,56 IT; 11,43 TRA IM', IM (s+?), PP' anteriorità nel passato, dipendente implicita avermi introdotto (INFF) t 2GFC.1 28,57 131,43 IT 125,71 TRA soluzioni disperse INF, GG, INFF, PP (st+), TP, TP', 0, PR (st+) FB (anteriorità nell'ambito della frase indipendente) (li) aveva estratti (TP) A.4 28,18 127,78 IT 128,57 TRA PP (s+): 28,18 27,78 IT; 28,57 TRA assenza di soluzioni inappropriate meno frequenti azione extratemporale ricordano (Pr) 2E.4 28,17 138,89 IT 117,14 TRA IM: 16,90 22,22 IT; 11,43 TRA Pr(e), IM(e), IM', PP, 0 20-30 simultaneità nel passato, azione verbalizzata nell'ambito del discorso indiretto, visione corsiva somigliava (IM) C.4 26,76 ~30,56 IT ~22,86 TRA IM': 19,72 27,78 IT; 11,43 TRA Pr (s+) costrutto implicito migrati (PART) E.6 23,94 ~11,11 IT ~37,14 TRA PR (st+): 5,63 5,56 IT; 5,71 TRA PARTPr, G, GG, IM, PP(snt+), TP, 0 visione corsiva dell'azione passata verbalizzata nell'ambito della frase citante intercalata al DIL: dicevo (IM) visone globale dell'azione passata verbalizzata nell'ambito della frase citante intercalata al DIL dissi (PR) 1 2gfc.10 22,86 122,86 IT ~22,86 TRA PP (sn+): 17,14 17,14 IT; 17,14 TRA F, Pr, PP/PR, IM', PR(e) visione corsiva dell'azione passata verbalizzata nell'ambito della frase citante intercalata al DIL: dicevo (IM): corr. = 25,71 visone globale dell'azione passata verbalizzata nell'ambito della frase citante intercalata al DIL dissi (PR): corr.+pcorr.= 52,86 GFC. 10 21,43 131,43 IT 111,43 TRA PP (sn+): 8,57 11,43 IT; 5,71 TRA PR(e), IM(e), C, Pr, F, 0 simultaneità nella posteriorità nel passato sorrideva (IM) GFC.2 21,43 ~20 IT ~22,86 TRA PR (s+): 12,86 11,43 IT; 14,29 TRA Pr (s+), CC, TP, 0, IM' costrutto implicito migrati (PART) t 2E.6 21,13 ~8,33 IT ~34,29 TRA PR (st+): 7,04 5,56 IT; 8,57 TRA PARTPr, G, GG, IM, PP (snt+), TP simultaneitá nel passato, visione corsiva erano (IM) A.3 19,72 t 22,22 IT ~17,14 TRA PP: 12,58 19,44 IT; 5,71 TRA TP, PR simultaneitá nel passato, visione corsiva scandalizzava (IM) (38,03) contiguitá, azione centrale nel passato: scandalizzo (PR) (43,66) C.2 18,31 t 22,22 IT ~14,29 TRA PR(e) (st+) + IM(e) (st+) + PP(p) (snt+): 8,45 16,67 IT; 0 TRA TP, PP (sn+) posterioritá nel passato nell'ambito delle completive tornasse (IM'): 38,03 sarebbe tornata (CC): 43,67 B.5 15,49 t 22,22 IT ~8,57 TRA F (s+): 5,63 8,33 IT; 2,86 TRA Pr (s+), IM, C, TP', 0, PP' 10-20 costrutto implicito, simultaneitá nel passato trainata (64,79)/trainati (12,68) (PART) A.2 14,08 113,89 IT 114,29 TRA 0: 7,04 5.56 IT 8.57 TRA G, TP, PP (s+?) azione extratemporale significa (Pr) D.2 12,68 ~16,67 IT ~8,57 TRA IM: 8,45 11,11 IT; 5,72 TRA Pr', C (s+) simultaneitá nella posterioritá nel passato sorrideva (IM) T 2GFC.2 11,43 ~5,71 IT ~17,14 TRA Pr (s+): 7,14 5,71 IT; 17,14 TRA PR, IM' azione centrale nel passato, visione globale incomincio (PR) C.1 11,27 ~11,11 IT ~11,43 TRA PP (sn+): 5,63 8,33 IT; 2,86 TRA TP: 5,63 2,78 IT; 8,57 TRA assenza di soluzioni inappropriate meno fre-quenti azione extratemporale significa (Pr) T 2D.2 8,45 ~11,11 IT ~5,71 TRA IM: 4,27 5,56 IT; 2,86 TRA Pr', C (s+?) simultaneitá nel passato, visione corsiva indossava (PART) GFC.4 7,14 t 8,57 IT 15,71 TRA assenza di una soluzione prevalente PP, G, PR 0-10 simultaneitá nel passato, visione corsiva indossava (PART) T 2GFC.4 4,29 12,86 IT 15,71 TRA assenza di una soluzione prevalente IM(e), PR simultaneitá nel passato, visione corsiva stava leggendo/leggeva (IM) GFC.6 4,29 t 5,71 IT 12,86 TRA assenza di una soluzione prevalente PP, PR costrutto implicito, anterioritá nel passato massacrati (PART) C.9 4,23 ~2,78 IT 15,71 TRA assenza di una soluzione prevalente PR (st+), 0, forma inesistente simultaneitá nel passato, visione corsiva stava leggendo/leggeva (IM) T 2GFC.6 1,43 t 2,86 IT =0 TRA PP: 1,43 2,86 IT; 0 TRA assenza di soluzioni inappropriate meno frequenti Tabella 5: Classificazione dei fenomeni in base alla quantita di risposte inappropriate Riassunto COMMENTO DELLE SCELTE DELLE FORME VERBALI NEI CLOZE DEGLI STUDENTI DI ITALIANISTICA E DI TRADUZIONE (IDENTIFICAZIONE DEI PUNTI CRITICI E CONFRONTO TRA I GRUPPI) Nel presente contributo l'autrice si concentra sull'osservazione e sul commento delle scelte delle forme verbali nei cloze degli studenti del 2°, del 3° e del 4° anno del corso di laurea in Lingua e letteratura italiana, del 2° e del 3° anno del corso di Laurea in Mediazione interlin-guistica e del 4° anno del corso di laurea in Traduzione. Il punto in comune di tutti e tre i corsi e l'insegnamento esplicito delle caratteristiche e del funzionamento del sistema verbale italiano, anche se nell'ambito di Italianistica la quantita di ore dedicate a questo tipo di insegna-mento e superiore rispetto a quella prevista nell'ambito di Traduzione, mentre nell'ambito di Traduzione una quantita maggiore di lezioni concerne esercitazioni di traduzione e composi-zione di testi. Per gli scopi della ricerca e stato elaborato un test composto da cinque testi autentici brevi ma completi e da un brano tratto dal romanzo Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, trasformati in seguito nei cloze. Ma visto che la scelta della forma verbale nei cloze dipende non soltanto dalla conoscenza degli usi, bensi anche dall'interpretazione felice del mondo testuale, i cloze sono stati completati da attivita quali sottolineare espressioni sco-nosciute, tradurre il testo in sloveno, completare i cloze preceduti dalla versione slovena del testo. Dai risultati traspare che gli studenti non hanno problemi particolari nella comprensio-ne del mondo testuale, mentre incontrano difficolta nell'interpretazione attiva delle sue carat-teristiche e nell'applicazione degli usi alla realta extralinguistica. Per la quantita di usi inap-propriati si rivelano come i piü critici fenomeni quali l'anteriorita nell'ambito delle frasi indi-pendenti e relative, l'espressione della temporalita relativa nell'ambito dei costrutti sintattici complessi e nel discorso indiretto libero, il preludio, la scelta tra il perfetto e l'imperfetto e l'espressione di notizie riferite su azioni passate con il condizionale composto. Si e scoperto, pero, che la criticita di uno stesso fenomeno varia in dipendenza dalla sua riconoscibilita nel co- e contesto. I risultati hanno inoltre confermato - eccetto che per un gruppo - il migliora-mento della prestazione con il progredire degli studi. Al tempo stesso si e potuta notare l'im-portanza dell'insegnamento esplicito e dell'osservazione attiva degli usi delle forme verbali, dato che né le preconoscenze, acquisite spesso in modo informale e utili soprattutto nella rico-struzione del mondo testuale, né l'esperienza relativa alla composizione di testi possono eliminare l'influsso dell'interferenza. Data la presenza implicita della madrelingua nella produzio-ne linguistica del discente in un'altra lingua straniera, l'autrice propone delle attivita in classe che prendano come spunto i testi in madrelingua. Per superare le difficolta di applicazione delle nozioni teoriche ai casi pratici gli studenti dovrebbero essere esposti ancora di piü alla lettura e all'analisi dei vari tipi testo in lingua straniera. Gli studenti dovrebbero essere inoltre incitati a un processo consapevole di ricostruzione del mondo testuale. Povzetek KOMENTAR K IZBIRI GLAGOLSKIH OBLIK V CLOZIH ŠTUDENTOV ITALIJANISTIKE IN PREVAJANJA (OPREDELITEV KRITIČNIH TOČK IN PRIMERJAVA POSAMEZNIH SKUPIN) Avtorica opazuje in komentira izbiro italijanskih glagolskih oblik v clozih študentov 2., 3., in 4., letnika študijskega programa Italijanski jezik in književnost, 2. in 3. letnika Medjezikovnega posredovanja ter 4. letnika Prevajalstva. Skupni imenovalec vseh treh študijskih smeri je prisotnost eksplicitnega poučevanja značilnosti italijanskega glagolskega sistema in njegovih rab, čeprav je delež tovrstnega pouka na italijanistiki večji, medtem ko je na prevajalstvu več aktivnosti tvorjenja besedil. Za namene raziskave je bil izdelan test, sestavljen iz petih kratkih, vsebinsko zaokroženih avtentičnih besedil ter odlomka iz romana Giorgia Bassanija Il giardino dei Finzi-Contini, spremenjenih v cloze. Ker pa pri tem tipu naloge pravilna izbira ni rezultat zgolj poznavanja rabe, ampak najprej pravilnega razumevanja besedilnega sveta, so cloze spremljale dejavnosti, kot so podčrtovanje neznanih besed, prevod besedila v slovenščino in dopolnjevanje besedila ob predhodno podani slovenski različici. Rezultati raziskave pokažejo, da študenti skoraj nimajo težav z razumevanjem besedilnega sveta, pač pa z njegovo aktivno interpretacijo in aplikacijo rab glagolskih oblik. Za najbolj kritične se izkažejo signalizacija preddobnosti v preteklosti v neodvisnih in relativnih stavkih, signalizacija relativnih časovnih odnosov v zaplete-nejših skladenjskih konstrukcijah in polpremem govoru, signalizacija preludija, izbira med per-fektom in imperfektom, signaliziranje ograjevanja pripovedovalca od novic o preteklih dogodkih z obliko condizionale composto. Vendar pa na kritičnost točke ne vpliva zgolj sam pojav, ampak njegova (ne)prepoznavnost v ko- in kontekstu. Rezultati so pokazali - z izjemo ene skupine -, da je napredek premosorazmeren z leti študija. Hkrati se je izkazalo, da je eksplicitno poučevanje in aktivno opazovanje rab glagolskih oblik za njihovo pravilno rabo bistveno, saj tudi predznanje, pridobljeno v neformalnem stiku z jezikom, ki prispeva zlasti k razumevanju besedilnega sveta, in izkušnje s tvorjenjem besedil ne morejo zajeziti vpliva interference. Zaradi implicitne prisotnosti materinščine pri rabi tujega jezika avtorica predlaga aktivnosti pri tujejezičnem pouku, ki bi izhajale iz besedil v maternem jeziku. Poleg tega meni, da bi študenti potrebovali še več stika s tujejezičnimi besedili, saj bi le tako premostili težave pri aplikaciji svojih teoretičnih znanj v praktičnih situacijah. Prav tako je treba študente spodbujati k zavestni izgradnji in interpretaciji besedilnega sveta. Fabiana Fusco Universita degli Studi di Udine* UDK 811.131.1'374.81:81'27 STEREOTIPO E GENERE: IL PUNTO DI VISTA DELLA LESSICOGRAFIA 1. INTRODUZIONE Qualche mese fa (luglio 2009) la stampa nazionale italiana si e soffermata su di una notizia che ha suscitato curiosita e stupore nel mondo della televisione, ovverossia l'assunzione da parte di una delle reti Rai, nello specifico RaiDue, di due nuovi annunciatori, Livio Beshir e Natasha Cicognani. Il clamore e ovviamente dovuto al fatto che il neoassunto e stato chiamato a ricoprire un ruolo svolto tradizionalmente da donne. Sembrerebbe, agli occhi dei piu retrivi, un atto di appropriazione da parte degli uomini di un ambito professionale storicamente femminile, rimasto sinora precluso alle possibilita maschili. Ma andiamo oltre e osserviamo il modo in cui e stata riportata la notizia da tre quotidiani di ampia circolazione: Al debutto Livio Beshir, primo annunciatore della Rai. Un passo avanti per le pari opportunita. Al maschile. Perché la Rai (Raidue) avra il suo primo «signorino Buonasera», annunciatore per la prima volta di sesso maschile, in un mestiere che da Nicoletta Orsomando in poi e sempre stato al femminile. Passo avanti doppio in un Paese e una tv restia ai cambiamenti, perché Livio Beshir, oltre a essere maschio, e anche di colore [...] (Corriere della Sera, 4 luglio 2009, p. 47). RaiDue, rivoluzione negli annunci arriva Livio, maschio e di colore. Sorpresa a RaiDue: da domenica tra gli annunciatori ci sara anche un ragazzo di colore. Mentre il governo e sempre piu ostile alla multietnicita, la rete piu vicina alla lega apre le porte al 32enne Livio Beshir, di Anagni (Frosinone) [...]. Il Signorino Buonasera ha grinta. [...] (la Repubblica, 4 luglio 2009, p. 48). In Rai arrivano annunciatori multietnici. La societa sta diventando multietnica e la tv di Stato si adegua. Raidue ha presentato ieri due nuovi annunciatori: Livio Beshir e Natasha Cicognani. Da domani saranno in onda sugli schermi televisivi. Beshir, 32 anni, nono-stante il cognome esotico (il padre e egiziano con cittadinanza americana) e nato ad Anagni e risiede a Paliano (in provincia di Frosinone). La Cicognani, 27 anni, e nata a Cesena da padre romagnolo e madre inglese (il Sole 24 Ore, 4 luglio 2009, p. 7). * Indirizzo dell'autrice: Facolta di Lingue e Letterature straniere, Dipartimento di Glottologia e Filologia classica, Via Mazzini 3, 33100 Udine, Italia. Email: fabiana.fusco@uniud.it Da un confronto dei tre testi, è facile isolare l'ultimo, quello tratto da il Sole 24 Ore, poiché, pur osando un titolo di effetto, nell'insieme appare sobrio e misurato, laddove gli altri esibiscono invece un lessico intriso di espressioni logore e banali: rilevante a tal proposito è l'inopinata scelta lessicale che spazia da pari opportunità, multietnicità, multietnico a di colore, al maschile, al femminile fino ad arrivare ad un originale caso di mozione, cioè signorina buonasera (cfr. GRADIT s.v. buonasera) che per l'occasione diventa signorino buonasera.1 Anche l'enfasi attribuita al fatto che il nuovo annuncia-tore sia di colore, novità che, secondo i giornalisti dovrebbe costituire un «passo in avanti» o «una rivoluzione» nella nostra società moderna, stride fastidiosamente alle nostre orecchie.2 È proprio a partire dall'uso di determinati tipi lessicali che voglio iniziare la presente riflessione su genere e stereotipo, dedicata a Mitja Skubic con cui ho avuto il piacere di discutere varie volte di aspetti e questioni di linguistica italiana in occasio-ne di incontri e seminari organizzati dal Centro Internazionale sul Plurilinguismo a cui Skubic ha attivamente partecipato anche come membro del Consiglio scientifico. L'acribia e la sensibilità hanno sempre distinto la sua produzione scientifica ma anche la sua personalità, schiva e affettuosa allo stesso tempo. 2. STEREOTIPO E GENERE La maggior parte dei parlanti è portata a pensare al comportamento linguistico come ad un fatto asettico e pertanto asessuato. Tuttavia, indipendentemente dal grado di consapevolezza, la lingua ci coinvolge quotidianamente attraverso le scelte, mai neutre, di cui siano responsabili. Opzioni che assumono una valenza culturale e sociale importante sia nel contesto dell'educazione linguistica sia in quello della comunicazio-ne istituzionale e di massa. Quale lingua si insegna, attraverso quali filtri linguistici si fanno passare le informazioni, quali contenuti si trasmettono celandoli sotto forme lin-guistiche che si vogliano credere non marcate? Il modellamento culturale generato dal-l'azione linguistica è tale da imporre agli operatori culturali la responsabilità di riflet-tere seriamente sugli effetti delle loro scelte (Marcato 1995). È in tale alveo che, ad esempio, ha preso corpo, verso la fine degli anni Ottanta, la ben nota presa di posizio-ne contro la pretesa misoginia della lingua italiana portata avanti da Alma Sabatini che, nei suoi saggi (Sabatini 1986 e 1987), argomenta sul carattere sessista della nostra lingua, discriminatoria a suo avviso nei confronti delle donne, sia quando si parla di esse, sia per come ci si aspetta che esse parlino. I suoi lavori hanno suscitato aspre pole-miche: molti hanno espresso pareri scettici circa la realizzabilità di interventi prescrit- 1 Si noti altresi, nel titolo di la Repubblica, l'impiego del nome di battesimo del nuovo annunciatore, che rappresenta un tratto assai frequente del 'nuovo' giornalismo. Il fenomeno va infatti spiegato nei termini di una 'personalizzazione' tesa a suscitare una curiosità personale nel lettore, il quale, in tal modo, è catturato più dall'eventuale nota di costume che dall'informazione stessa (Antelmi 2006: 35). 2 Ricordiamo, a tal proposito, la chiosa di Faloppa (2004: 124): «[...] di colore, questo si [è] un eufemismo ipocrita che nasconde il riferimento al colore 'nero' come se esso fosse un inconfess-abile stigmate per chi ne è 'affetto'». tivi sulla lingua, spesso percepiti come imposti d'autorita, futili e artificiali. Modificare la lingua non implica come effetto immediato un mutamento di ideologia e l'immis-sione nei complicati circuiti della comunicazione di modi e usi politicamente corretti non risolve i problemi poiché i neologismi eufemistici col tempo possono acquisire le connotazioni negative delle parole che sono venute a sostituire (Arcangeli 2005). Se dettar legge in materia linguistica puo esser ragionevolmente considerato un atto non sempre auspicabile, rimane comunque doveroso prendere coscienza della non neutralita della lingua. La lingua non e neutrale innanzitutto perché e intimamente connessa con il mondo. E importante quindi diventare consapevoli del fatto che attraverso la lingua si afferma un visione 'orientata' della realta, dato che: «language plays an active role in the symbolic positioning of women as inferior to men. It both constructs and perpetuates that reality, often in obvious way, but at other times in subtle and invisible ways» (Romaine 2001-2003: 170). Scorrendo la nutrita bibliografia che, dagli anni Settanta ad oggi,3 ha affrontato il nodo del «linguaggio delle donne»,4 si individuano varii filoni di ricerca, molti dei quali, particolarmente sensibili al contesto sociale e alla costruzione discorsiva dell'identita, hanno infatti dimostrato che non sussiste alcuna correlazione tra genere e lingua. Alla netta dicotomia uomo/donna hanno sostituito una prospettiva piu fluida, che ha portato alla luce una considerevole varieta nelle pratiche lingui-stiche femminili. Tuttavia per alcuni decenni ha pesantemente influito, anche sugli usi linguistici, lo stereotipo del cosiddetto 'stile femminile' debole, cortese e incer-to, messo in evidenza soprattutto nei lavori di Lakoff (1975). E ben noto che nella letteratura di ambito sociale gli stereotipi costituiscono un insieme rigido e sempli-ficato di credenze che un determinato gruppo sociale condivide e replica in maniera acritica su un oggetto, un evento, un comportamento o su un altro gruppo sociale, talora facendo del medesimo una base per formulare pregiudizi, cioe giudizi aprioristici, per lo piu negativi, fondati su dati empirici parziali e insufficienti.5 Gli 3 Negli anni Cinquanta circolano pero documenti letterari, come quelli di Renzo Barbieri, che mettono in scena giovani donne dell'alta borghesia che si esprimono con modalita del tutto inedite. Lauta (2006: 46-47), dal suo organico inventario, estrapola enunciati, quali: «La modella saro io che sono l'unica con la carrozzeria indicata» ovvero «Ieri sera la Tata si e fatta un biondo con la riga, lui e infognato da matti». Lo studioso fa altresi notare come nei testi di Barbieri i personaggi femminili osino pronunciare «una serie di parole eloquenti e con una forte connotazione sessuale per indicare ragazzo, bel ragazzo o fidanzato (a volte rovesciando scherzosamente espressioni típicamente maschili: damo, fato, maggiorato, spalle carozzate mercedes): bronzo, búfalo, caliente, ceppo, cipresso, darling (come sostantivo: ilDarling), David, fusto, gattone, giaguaro, gorilla, guglia, hombre da s¡ ('uomo da sposare'), hombre, pioppo, putto, ragazzissimo, strabico 'bel ragazzo', Tarzan, torero». 4 Una accurata rassegna dei vari temi (socio)linguistici legati al genere si trova in Fresu (2008) che costituisce un apprezzabile aggiornamento bibliografico in prospettiva nazionale e internaziona-le; si veda altresi Dovetto (2009) che tratta da angolazioni diverse il tema del femminile. 5 Per una chiara discussione sui rapporti fra stereotipi e pregiudizi, sulle loro origini sociali e psicologiche, sulle strategie da mettere in atto per difendersene rimandiamo a Mazzara (1997) e a Villano (2005). stereotipi congelano dunque le caratteristiche di un gruppo sociale e ne bloccano le potenzialità di sviluppo. Varie ricerche, svolte in momenti e luoghi diversi, hanno infatti messo in luce una significativa continuità temporale, oltre che un certa resi-stenza, nell'utilizzo di stereotipi connessi all'appartenenza sessuale, che hanno con-tribuito a consolidare modelli «polarizzati» di uomo e di donna. Se l'uomo è inteso come forte, razionale e indipendente, la donna è specularmente definita come dipendente, tranquilla, incline all'ascolto, all'affetto e al lavoro di cura.6 Tale oppo-sizione binaria, a detta di molti, è rassicurante, perché consente il mantenimento di una prospettiva ancorata nella tradizione, ovvero di una società fatta per l'appun-to solamente da donne e uomini. In anni più recenti, alla luce delle radicali trasfor-mazioni che hanno investito le società moderne, si è pero convenuto sia sull'ineffi-cacia della rigida separazione tra ruoli e identità maschili e femminili sia sulla costante trasformazione delle stesse identità. A tal proposito alcuni studi hanno insistito sulla articolata difficoltà dei significati connessi con l'essere donna e sui processi di diversificazione delle identità femminili (alludiamo alla crescente parte-cipazione delle donne al mercato del lavoro e al loro profondo investimento in istru-zione) meno ravvisabili nel caso maschile, percepito invece come un'identità più stabile nel tempo (Ruspini 2009).7 Malgrado cio stupisce ancora osservare come le immagini femminili veicolate dai mezzi di comunicazione, pur sforzandosi di rispettare ruoli e aspettative, siano piuttosto lontane dalla realtà o comunque ancora poco rappresentative della complessità del mondo reale. Ci si interroga sui modi in cui le diverse agenzie di socializzazione, che concorrono alla definizione del-l'identità di genere, trasmettono e rafforzano stereotipi e differenze, e, non meno importante, se tali agenzie diffondono messaggi univoci oppure contrastanti. Un esempio per tutti è la Rete che, rappresentando lo 'spazio' della tecnologia avanzata e della modernità, fa emergere pratiche e strategie discorsive originali in cui le donne sono coinvolte talora come soggetti a pieno titolo e talaltra come (s)oggetti rappresentati (Demaria/Violi 2008).8 Indicativo è ad esempio lo studio condotto da Cosenza (2008) sui profili registrati a Meetic.it (uno dei siti di incontri più frequen-tati) come «donna che cerca un uomo», ovvero sulle informazioni, per lo più ste-reotipate, che il campione femminile ha inserito per autodescriversi (la Romantica, l'Emotiva-Sensoriale, la Semplice-Sincera, la Decisa, la Cerco amici e poi chissà, la Delusa e infine l'Originale). Sottolineando quanto siano irrilevanti le variabili come l'età, il titolo di studio, la regione di provenienza, la studiosa afferma che «se tutto nell'interfaccia di Meetic concorre a spingere le donne verso i ruoli e le storie 6 Sul carattere prescrittivo degli stereotipi rinvio a Talbot (2003). 7 Per un inquadramento, anche bibliografico, sulla condizione maschile e sullo sviluppo dei men's studies si veda con profitto Fresu (2008: 87, n. 3). 8 Altrettanto accade nella pubblicità, nella televisione, nei giornali, nei film, in cui si ripropone, ciclicamente attraverso un processo di costruzione e de-costruzione, lo stereotipo della donna da un parte madre e moglie premurosa e dall'altra preda o oggetto sessuale: a tal riguardo si leggano i contributi in Luraghi/Olita (2006) e Capecchi (2006). più trite dell'amore romántico, è probabile che poi finiscano davvero per giocare quei ruoli, almeno finché stanno in quell'ambiente» (Cosenza 2008: 251). Non è questa la sede per sviluppare tali argomenti, tuttavia crediamo sia neces-sario individuare i possibili riflessi sulla lingua dei comportamenti appropriati, accettati e condivisi per un uomo e una donna. Quando si parla ovvero si scrive di donna, numerose sono le insidie in agguato. Le circostanziate analisi fino ad ora condotte su testi di cronaca, di narrativa, di stampa (anche femminile) oppure su campioni di locuzioni e proverbi e persino su vocabolari hanno diffusamente dimo-strato che, nonostante i risultati e i notevoli traguardi raggiunti, lo sguardo stereoti-pato resiste e si propaga. Le immagini femminili, proiettate sulla pagina di un dizio-nario, come avremo modo di osservare nei paragrafi successivi, sono spesso mono-dimensionali: ritratti disegnati con parole scelte da altri, e modellati cosi come si vorrebbero modellare le protagoniste delle vicende narrate. 3. STEREOTIPO DI GENERE E DIZIONARI La giusta attenzione nei confronti degli strumenti linguistici che rappresentano lo standard, e che possono intervenire plasmandolo, ci aiuta a individuare e a comprendere la tenacia di taluni luoghi comuni. Nella relazione tra lingua e genere, la prospettiva terminologica e lessicografica risulta infatti assai promettente per lo spessore delle sedimentazioni culturali di cui si carica (Lurati 2002). Se conside-riamo infatti i dizionari come delle opere 'ideologiche', che riflettono la mentalità dei loro fruitori e dei loro redattori, non è quindi raro imbattersi in definizioni e esempi che mostrano delle dissimetrie di trattamento dei significati attribuiti agli uomini e alle donne. Degna di sottolineatura appare, a tal proposito, la voce Santippe, nel Tommaseo-Bellini, in cui, dopo aver ricondotto alla figura storica della moglie di Socrate l'espressione antonomastica una Santippe, adoperata per alludere a 'una moglie inquieta e uggiosa', Tommaseo sembrerebbe confutare la sua fama di misogino (Della Valle 2005: 37) circoscrivendo l'epiteto come una «calunnia a carico di Santippe e di tutte le mogli, che non possono mai essere tanto uggiose quanto gli uggiosi mariti», se non precisasse subito dopo che «nel caso, le Santippe si troverebbero tra le donne libere; perché non c'è cosa più pesante di una Libera Pensatrice». I dizionari avrebbero dunque un ruolo cruciale nel mantenere e alimentare lo stereotipo della differenza. Non è un caso che Yaguello (1979: 165) affermi: Le dictionnaire est una création idéologique. Il reflète la société et l'idéologie dominante. En tant qu'autorité indiscutable, en tant qu'outil culturel, le dictionnaire joue un rôle de fixation et de conservation, non seulement de la langue mais aussi de mentalités et de l'idéologie. Tale strumento restituirebbe dunque attraverso le sue reti lessicali un mondo e una società incrinati e distorti, ben lontani da quella caratteristiche di oggettività, cor-rettezza e aggiornamento che l'utente aprioristicamente attribuisce ad un reperto- rio lessicografico. Tuttavia, Marazzini (2009: 196) giustamente si interroga se e quanto un vocabolario sia responsabile, nel momento in cui registra i pregiudizi correnti nella lingua: è davvero uno dei compiti della redazione prendere le distanze dall'uso e intervenire sui pregiudizi della lingua, sugli stereotipi, visto che «alle spalle delle parole deposte in un dizionario ci sta la Storia e i suoi avvenimenti. Ma ci sta anche la memoria dei fatti minimi e singolari, la piccola storia, e ci stanno anche le usanze perdute, le abitudini da tempo dismesse. Le parole che usiamo sono lo specchio di vicende accadute, e di consuetudini». (Beccaria 2008: 52)? Marazzini con prudenza risponde: Svelare per ogni parola le implicazioni emotive e storiche è forse un compito troppo gravoso, anche se è vero che il vocabolario, al tempo stesso, registra l'uso e lo guida, assu-mendo funzioni contraddittorie. In redazione, le cautele sono d'obbligo, se si vogliono evitare incidenti. Nei vocabolari recenti si scorge oramai con maggior agio la tendenza a «evitare incidenti», ovvero a lasciare nell'ombra valutazioni e connotazioni aggiuntive rispetto all'oggettività e della definizione e dell'esempio. In sostanza è evidente la volontà di non assumere nei confronti di certe opzioni lessicali un atteggiamento censorio né dal punto di vista linguistico, o meglio puristico, né dal punto di vista ideologico-moralistico. In conseguenza di quanto affermato, è facile osservare che le edizioni sempre più aggiornate hanno provveduto a registrare le forme e i modi in cui la società italiana ha denominato e fissato nel corso degli anni l'evoluzione dell'esperienza femminile. Tuttavia Chiantera (1999), nella sua indagine sul «neo-lessico» novecentesco, segnala che molti neologismi continuano a presentare una immagine stereotipata della donna e le spiegazioni stesse fornite dai dizionari rimangono velate da una predominante prospettiva 'androcentrica'. Talvolta la sfu-matura svalutativa di alcune voci si è via via persa sullo sfondo, eppure è ancora vero che persiste un suo aroma nella sensibilità dei parlanti, infatti molte donne, immesse a ranghi sempre più larghi in professioni tradizionalmente esercitate da uomini, preferiscono essere chiamate al maschile, come segno di maggior rigore e serietà. Analogamente Vanwelkenhuyzen (2007), a partire da un corpus costituito da alcuni tra i dizionari dell'uso più adoperati, giunge alla stessa conclusione. Le voci selezionate e commentate perpetuano, a detta della studiosa, un certo conser-vatorismo ideologico che alimenta delle rappresentazioni culturali stereotipate e discriminanti. Non si sottraggono agli stereotipi neppure le più sofisticate tecnolo-gie applicate al lessico: ad esempio, le ricerche condotte sul Thésaurus di Word in diverse lingue mostrano addirittura come tale mezzo, considerato oggettivo e quin-di utilizzato in maniera acritica, sia pervaso da sessismi linguistici (Thüne/Leonardi/Bazzanella 2006). Svariati sono gli esempi addotti, nel caso italiano si evidenziano: la sproporzione quanti- e qualitativa del maschile per il quale il Thésaurus fornisce più sinonimi e di maggiore complessità; la diversa organizza-zione delle informazioni che comporta spesso la subordinazione dei termini fem- minili a quelli maschili o addirittura il loro occultamento; le voci che danno da intendere il confinamento della donna nell'ambito domestico; gli stereotipi su forza maschile e grazia femminile (Manera/Bazzanella 2006).9 Ma non e da un moto di rivalsa che intendiamo muovere le nostre osservazioni, bensi dalla constatazione che l'ingresso relativamente recente delle donne nella vita economica e politica si sta scontrando con un lessico e un modo di parlare che portano ancora i segni di un mondo dominato dagli uomini, tanto che alcune formule o espressioni, inutile negarlo, possono sembrare non tener conto dell'evolu-zione dei costumi, e ció non unicamente nella lingua italiana.10 Per questi motivi, l'analisi degli stereotipi di genere ci fornisce preziosi elementi per comprendere ció che ci aspettiamo dalle donne e dagli uomini e che cosa intendiamo con com-portamenti «femminili» e «maschili». Esistono cioe nel nostro orizzonte di attese delle aspettative culturalmente determinate sul comportamento linguistico delle donne e degli uomini che, in qualche misura, possono condizionare le nostre scel-te espressive. In questa prospettiva, ad esempio, si colloca l'indagine di Berretta (1983) che intendeva verificare il discorso femminile «in termini di costruzione sociale» su un campione di donne e uomini di diversa eta e provenienza sociocul-turale.11 La compianta linguista, facendo tesoro dei giudizi dei parlanti per indagare gli stereotipi relativi al linguaggio femminile, sottolineava che tali giudizi, pur trattandosi di tipizzazioni, si caratterizzano come aspettative che possono influire da un lato sul comportamento linguistico stesso delle persone e dall'altro sulle ipo-tesi di lavoro degli studiosi. In sintonia con le considerazioni esposte da Berretta, anche in questa sede, con metodi e presupposti difformi, si desidera intraprendere un percorso diverso, teso cioe a studiare non il singolo fatto linguistico preso in isolamento, bensi l'immagi-ne sociale cosi come e riflessa nel vocabolario, ovvero nella scelte di tipi lessicali legate alla donna e, ove necessario, all'uomo. Si potra cosi rilevare l'esistenza di giudizi cristallizzati, stereotipi e quindi di aspettative socialmente condivise nelle opzioni lessicali di un dizionario, ma soprattutto nell'ampia varieta di esempi che correda i singoli lemmi. 9 A conclusioni analoghe giunge anche Leonardi (2009) che, indagando nei dettagli i significati e i sinonimi associati, per il tedesco, alla donna nel Thesaurus di Word 2008 per Mac, fa emergere da un lato una asimmetria tra le forme maschili e quelle femminili e dall'altro scelte lessicali attardate su posizioni sessiste e stereotipate. 10 Per l'area francofona, rimandiamo, solo per citarne alcuni, a Scullen (2003), Farina/Raus (2007) e ai relativi riferimenti bibliografici. 11 In proposito si rinvia a Fresu (2006) per un aggiornamento delle conclusioni formulate da Berretta; l'Autrice infatti ripropone a distanza di oltre un ventennio la ricerca, ricavando risul-tati in parte coincidenti con quelli precedentemente attestati e in parte innovativi, che sembra-no preludere ad una «progressiva attenuazione della percezione di una differenza» (51). 3.1. Il Gradit e le parole 'al femminile' Il presupposto teorico e metodologico alla base della presente ricerca si prefigge di dipanare, seguendo la rete lessicale 'al femminile', la relazione tra forme lin-guistiche e l'immagine femminile cosí come appare nella scelta delle entrate, delle definizioni e delle esemplificazioni offerta dal GRADIT, che, in quanto Grande dizionario italiano dell'uso, ben si presta a documentare la lingua e la cultura attuali.12 Abbiamo scelto in questo caso di riprendere un tema già affrontato in Fusco (2009) in cui, grazie alla disponibilità del supporto informatico che ha permesso di impostare la ricerca attraverso un sistema di interrogazione per lemmi, nella fattispecie donna e uomo, è stato possibile raggruppare i sinonimi, i derivati, i composti e le unità polirematiche; si è proceduto poi ad una ulteriore selezione dei lemmi mediante una cattura della voce donna e, ove necessario, di uomo nel testo, cioè nelle definizioni, negli esempi, nella fraseologia e nelle cita-zioni. Il quadro emerso è che il GRADIT si dimostra sensibile al peso delle parole, segnalando il pericolo dei pregiudizi inscritti nella lingua. Un tale atteggia-mento, come sottolinea Marazzini (2009: 197), risponderebbe alle esigenze del momento, ovvero farebbe parte della storicità del dizionario, e «un dizionario è quasi sempre uno strumento di conformismo». Tuttavia, anche il GRADIT, in alcune occasioni, pur esibendo una notevole cautela, svela qua e là, come vedre-mo in seguito, qualche tentazione sessista nella scelta di taluni tipi lessicali o di talune opzioni esemplificative. In questa sede intendiamo recuperare, ma con finalità diverse, l'ampia messe di occorrenze che, per ragioni di spazio, è stata tralasciata in Fusco (2009). Desideriamo infatti analizzare le modalità con le quali la presenza di determínate voci, avallate dal corredo di esempi, confermi l'esistenza di un orizzonte di attese preconfezionato per i parlanti, che, in tal modo, trovano nel vocabolario impieghi pronti per un uso talora acritico. L'attenzione è dunque rivolta al modo in cui sono inserite le parole della lingua italiana (inclusi i prestiti) come sistema linguistico storicamente determinato e nel complesso dei valori a cui tale sistema rinvia. Dopo queste opportune premesse descrittive, passiamo ora a scorrere e analizzare alcuni gruppi di lemmi selezionati a partire dalla voce donna: si tratta in totale di 1372 lemmi, all'interno dei quali fa la sua apparizione la suddetta voce. I lemmi presi qui in considerazione sono stati scelti in base ad alcuni criteri guida. Innanzitutto abbiamo tenuto presente solo le definizioni che contengono esplici-tamente l'indicazione donna (o simili); ció significa che sono state escluse le entrate in cui donna appartiene al titolo della fonte documentaria (opera lettera-ria e stampa quotidiana) ovvero nella fraseologia di matrice colta (citazione lette-raria). Inoltre abbiamo selezionato quelle voci in cui il riferimento al referente donna figura negli esempi, nella fraseologia o nelle citazioni (ma non letterarie) che completano la definizione. Gli appellativi 'al femminile' recuperati hanno 12 Rinvio a De Mauro (2005) per una chiarificazione teorica e metodologica del dizionario. quindi l'obiettivo di disvelare in che modo un dizionario, nella sua apparente aset-ticità, possa rappresentare la ricostruzione simbolica di pensieri e costumi che si lascia pazientemente sfogliare pagina dopo pagina. Il GRADIT, nel presentare la figura femminile, non si limita a tratteggiare l'aspetto e la personalità, ma indirettamente valuta e giudica. Nella disciplinata varietà di appellativi riconducibili alla donna, è infatti possibile rintracciare alcuni luoghi comuni che vengono solitamente attribuiti alle donne. Ció significa che la maggior quantità delle forme linguistiche considerate si addensa in corrisponden-za di ambiti lessicali contraddistinti da sfumature, connotazioni e valori negativi in senso lato (sminuenti o spregiativi). Ma vediamo più da vicino l'ampia campio-natura di voci che, per esigenze di chiarezza, è stata disaggregata e catalogata secondo schemi e finalità che via via illustreremo. Una prima ricognizione ha permesso di raggruppare parte dei tipi lessicali docu-mentati sotto due categorie: l'una riconducibile alle qualità fisiche e l'altra alle qua-lità morali. Lo spoglio effettuato mostra quanto sia radicata la tradizionale dicotomia tra la donna bella e la donna brutta ovvero tra la quella onesta (o presunta tale) e la malvagia, una separazione di figure che si proietta, come vedremo anche in seguito, in una articolata varietà di appellativi italiani, regionali e stranieri, dei quali il GRADIT ci rivela opportunamente la marca d'uso. Si ricorda che queste voci sono state selezionate, facendo attenzione che nella definizione fosse esplicito il riferi-mento alla donna. Qualita fisiche DONNA BELLA, GIOVANE E PROSPEROSA acqua e sapone (s.v acqua), al naturale, atómica (sost.), atomico/a (agg.), bambola, bambolina, bambolona (cui si affianca il verbo bamboleggiare), bella, bellona, ben equipaggiata e ben messo/a (s.v. ben), biondona, bocciolo di rosa (s.v. bocciolo), bona, fica, figurina, gingillino, gnocca, granatiera, granito (cioe 'di donna, che ha forme prosperose'), maggiorata, matrona, multipopputo/a, opulento/a, pastoso/a, piacevole, polpettona, pupa, pupattola, regina, rosa, semidea, siliconato/a, steatopigo, strafica, stuzzicante, stuzzichino, superdotata, superfiga, supermaggiorata, sventola, tettona, tipetto, tipino, tocco, valchiria, venere tascabile (s.v. tascabile) Donna sofisticata principessa DONNA BRUTTA, GRASSA (O MAGRA) E MATURA carnesecca, chitarrone, demonia, orchessa, palo, panciona, pialla, piallato, piatto, pulcellona, racchia, scapolona, scarpa vecchia (s.v. scarpa), senzamarito, sfiorito/a, smamellato/a, spampanarsi, strega, tardona, tartana, versiera, zitella, zitellona Qualita morali DONNA ONESTA (O PRESUNTA TALE) casta Susanna (s.v. casta), santarellina, santessa, torre d'avorio DONNA TIMIDA (O PRESUNTA TALE) monachella, monachina DONNA ENERGICA E AUTORITARIA bersagliera, capitana, colonnella, gendarme, generalessa, marescialla, matronessa, soldatessa, virago DONNA PETTEGOLA E SACCENTE avvocata, ciabattina, cicisbea, comare, filosofessa, pepia, portinaia, suocera, vesciaia DONNA CAPRICCIOSA E FRIVOLA fantoccia, fraschetta, gergolina, madama, madame, salsicciona, smorfiosa, spuzzetta, testina DONNA DISINVOLTA E SPREGIUDICATA esplosivo/a, fatale, maga, maliarda, mangiatrice di uomini, mano, nave scuola (cioe 'donna che inizia alle esperienze sessuali ragazzi piü giovani'), navigato/a, odalisca, ragazzaccia, ragazzaccio, sculetta, sgallettata, sgonnellona (cf. anche il verbo sgonnellare), vampira, vampiressa DONNA VOLGARE E IGNORANTE lavandaia, pescivendola DONNA TRASGRESSIVA O DI DUBBIA MORALITA fante, landra, porca, porcona, troietta, troiona DONNA AGGRESSIVA E MALVAGIA brigantessa, diavolessa, ramba, strega, versiera, zarina Questi dati confermano alcune tendenze specifiche nella rappresentazione sessi-sta delle donne, in particolare la rilevanza della loro caratterizzazione fisica e la priorita del riferimento ad alcuni aspetti del carattere, quali la trasgressivita, la civetteria, la saccenteria, ecc. Lo spoglio effettuato mostra, come detto dianzi, quanto sia persistente l'opposizione che contrappone la bellezza e la bruttezza ovvero l'onesta e la malvagita. Ad una prima sintetica disamina dell'apparato definitorio, si evidenzia un consistente numero di lemmi che riguarda l'avvenenza e la prosperosita della donna, determinate, in alcuni casi, anche dalla giovane eta; piü contenute sono le parole che mettono in risalto i tratti per cui la donna e giudicata brutta e di eta matura. Tra le voci raccolte, e altresi necessario separare quelle descrittive (acqua e sapone, al naturale, bella, ecc.) da quelle che invece fanno leva su espliciti giudizi valutativi (atomica, pastosa, sventola ovvero carnesecca, pialla, racchia ecc.). Le forme dell'am-mirazione maschile trovano infatti modi sempre piü originali per essere nominate, in specie nell'ambito della gradevolezza fisica: si pensi a ben equipaggiata, ben messa, granatiera, granito, maggiorata e supermaggiorata, opulenta, polpettona, semi- dea, stuzzicante per chiudere con venere tascabile che dimostra quanto una figura fresca e tornita, seppur minuta, sia comunque appetibile. Poco piacevole risulta invece un profilo troppo magro (carnesecca, palo, pialla, piallata); e analogamente l'essere grassa e sgraziata (chitarrone, orchessa, panciona, tartana) non si addice a una donna che voglia essere definita bella. Alle diverse fasi della vita della donna, contrassegnate soprattutto dalle tracce lasciate dal tempo, sono riconducibili alcune entrate che, tuttavia, non si limitano ad alludere solo all'eta: scapolona, pulcellona, tardona, zitella e zitellona evidenziano infatti una certa condizione fisica ma altresi un percorso di vita, per cosi dire, non coronato dalla presenza di un uomo. Una breve menzione spetta inoltre all'espres-sione scarpa vecchia che riassume in modo chiaro l'orrore della vecchiaia patito sia dal fisico sia dalla persona oramai giudicata inutile dalla societa. Anche il quadro delle qualita morali e particolarmente ricco di appellativi che si distribuiscono lungo un continuum all'interno del quale si addensa una serie di caratteristiche spregiative, oramai radicalizzatesi come banali luoghi comuni. Le voci infatti, trovando la loro collocazione in ben pochi e circoscritti ambiti seman-tici, convalidano gli stereotipi individuabili nella lingua d'uso. Ne risulta che il riconoscimento di tratti positivi e assai misurato; non c'e traccia, ad esempio, del valore intellettuale della donna. Se si intende poi ricercare termini che nominino una qualche forma di protagonismo femminile, troviamo tipi lessicali che in modo scherzoso ne esaltano tratti tradizionalmente maschili: pensiamo a ramba e zarina, ad esempio, che definiscono rispettivamente il comportamento di una donna aggressiva e violenta ovvero potente. Osserviamo poi quanto sia radicato lo stigma attribuito all'essere pettegola e chiacchierona (ciabattina, comare, pepia, portinaia, vesciaia) o al comportamento della femmina capricciosa e frivola (fantoccia, fra-schetta, gergolina, madama, madame, salsicciona, smorfiosa, spuzzetta, testina). Ma forse il dispetto maggiore si rivolge alla donna saccente che si atteggia a avvocata o a filosofessa. Espressione di inequivocabile fastidio evocano anche le parole che condannano la donna trascurata e volgare, ovvero la lavandaia e la pescivendola (che, a differenza di portinaia, contrassegnata dalla segnalazione di spregiativo e stereotipo, non prevedono alcuna marca). Un ambito ben preciso e consistentemente rappresentato nella lessicografia e quello della trasgressione sessuale (cf. Fusco 2009). Nel corpus qui selezionato non si fa espressamente menzione della prostituzione, tuttavia non mancano allusioni alla spregiudicatezza sessuale della donna. La seduzione e infatti messa in risalto negli appellativi che evocano il suo potere ammaliatore (fatale, maga, maliarda) ovvero la sua apprezzata esperienza (nave scuola, navigata).13 Dal punto di vista for- 13 Nell'ambito semantico della prostituzione, e altresi frequente il passaggio dal toponimo o dal nome proprio al nome comune, con esempi, documentati dal GRADIT, del tipo, bre-scialda, bresciana ovvero messalina, venere, drusiana, ecc. male, l'analisi dei vari lemmi mette in risalto alcuni procedimenti ricorrenti nella rap-presentazione femminile. In primo luogo l'antonomasia che si trova alla base delle seguenti espressioni: casta Susanna, venere tascabile e ramba. Un altro insieme di voca-boli va invece ricondotto a similitudini e metafore tratte dal mondo vegetale (bocciolo di rosa, rosa ma anche sfiorita e spampanarsi): in questi casi la metafora floreale sembra suggerire i vari passaggi della vita, cioe dalla freschezza della giovane eta all'inevitabile avvizzimento del corpo determinato dalla vecchiaia.14 Altrettanto interessanti sono le voci che fanno riferimento, nell'ambito dell'autorita, ad una immagine 'militaresca' del ruolo femminile: bersagliera, capitana, colonnella, gendarme, generalessa, marescialla, matronessa, soldatessa, virago denotano infatti una donna dal comportamento energico e deciso. Un altro gruppo di parole e ottenuto attraverso la figura della sineddoche anatomica: carnesecca, fica, gnocca, mano, panciona, tettona. Il processo di reificazione delle donne viene cosi consolidato dal ricorso a questo tipo di paragone, secondo cui la parte vale per il tutto (proprio come per la bella e la brutta). Tali forme ammiccanti costitui-scono il corrispettivo verbale delle immagini cui ci hanno abituato i mezzi di comuni-cazione, che fondano il loro messaggio sull'esibizione del corpo o di sue parti. I lemmi fin qui selezionati e commentati, rinviando esplicitamente alla referenza femminile nella definizione, filtrano una serie di immagini che trasmette, pagina dopo pagina, non solo ció che si vede, ma soprattutto ció che ci si aspetta di intrav-vedere tra le 'pieghe' delle parole. Il ritratto femminile che la lingua ci restituisce e, in definitiva, quello che la cultura (dominante) desidera prospettare come alcune delle possibilita dell'essere donna. Non e un caso che nel corpus facciano altresi capolino espressioni, come quelle qui sottoccitate, che fissano la donna in ruoli e mansioni non piu adeguati alla realta: lavori femminili (s.v. femminile) che allude ad un insieme di occupazioni tradizionalmente considerate tipiche della donna come il cucito e il ricamo portadote che designa ironicamente una donna in eta da marito, fornita di dote (lemma di basso uso) prónuba che, tra le varie accezioni, indica la donna che si adopera nel combinare un matrimonio o nel favorire un rapporto amoroso sepolta viva (s.v. sepolta) che si attribuisce alla donna che non esce mai di casa trinunzia, ovvero la donna che si e sposata tre volte (lemma obsoleto) 14 A fianco del mondo vegetale, si collocano le metafore tratte dal mondo faunistico che assimilano la figura femminile a varie tipologie di animali, da un lato quelli notoriamente considerati poco intelligenti (gallina, oca, ecc.) e dall'altro quelli infidi (vipera) o aggressivi (tigre, pantera, ecc.). Una riflessione su tali immagini e oggetto di un saggio in corso di elaborazione. Possiamo pertanto affermare che talune scelte lessicali fotografano una società in cui la donna si trova ancora in una posizione marginale, fortemente stereotipata, ed è considerata più per le sue caratteristiche fisiche che per quelle intellettuali ovvero per una serie di retaggi e consuetudini ormai superati. Il GRADIT resta comunque uno dei repertori più attenti a cogliere le indica-zioni di chi vuole limitare il pericolo dei pregiudizi insiti nella lingua, visto che si adopera diffusamente segnalando con cura la marca d'uso ovvero specificando (non sistematicamente) gli impieghi ironici, scherzosi e stereotipici. In fondo come giustamente rileva Marazzini (2009: 200, n. 4): «Vi è dunque la necessità di non offendere attraverso la lingua, ma vi è anche quella di tutelare margini di espressività, difendendo gli elementi ironici, satirici, metaforici, per non ridurre la lingua a una nomenclatura asettica. Del resto la lingua si difende da sola». Crediamo che tale considerazione spieghi, ad esempio, il ricorso alle parole stra-niere e a quelle regionali per alludere a certi aspetti ritenuti tipici della femmini-lità. L'uso di altre lingue o varietà è nei fatti una delle forme più efficaci di eufe-mizzazione, come del resto aveva ben intuito Galli de' Paratesi (1964). La studiosa, grazie ad una accurata documentazione, segnalava infatti come l'occorrenza di parole provenienti da altre tradizioni linguistiche fosse un comodo espediente per attenuare l'impatto di un concetto interdetto. Prestiti Dal francese: allumeuse 'donna che si compiace di stuzzicare i desideri maschili', bas-bleu 'donna pedante e saccente', cocotte 'prostituta', coquette 'donna civettuola', débardeuse 'donna corpulenta', fané 'spec. di donna, a cui gli anni hanno tolto freschezza', femme fatale 'donna affascinante e seduttrice', frou-frou 'spec., di donna, che ha un atteggiamento frivolo e bamboleggiante', gamine 'giovane donna dall'aria esile e sbarazzina', ménagère 'donna di casa, massaia', rigolote 'donna di cui non ci si puo fidare per mancanza di serietà o di competenza', vedette 'nel mondo dello spettacolo, artista, spec. donna, di grande successo' Dall'inglese: bag-lady 'barbona', barbie 'giovane donna che, nel fisico e nella particolare cura dell'aspetto, ricorda l'omonima bambola', dark lady 'donna fatale e spregiudicata', glamour 'sensualità e fascino irresistibile, spec. femminile', lady 'donna di grande signorilità', pin-up 'giovane donna particolarmente avvenente', vamp 'donna dalla bellezza vistosa e aggressiva, dotata di grande potere di seduzione' Regionalismi settentrionale: pelandraccia 'donna pigra e svogliata', sgnacchera 'donna molto attraente' lombardo: popola 'ragazzina, giovane donna', slandra (anche piemontese) 'donna di malaffare' *la voce sgolgia 'donna alta e magra, di aspetto sgradevole', sempre di provenienza lombarda, e invece marcata con la segnalazione «DI» veneto: pelarina 'donna avida o sfruttatrice' centrale: bonazza 'bella donna, molto appariscente', ciofeca 'donna vecchia e brutta', sciacquetta 'donna mediocre e insignificante; sgualdrinella' centromeridionale: sarapica 'donna litigiosa' toscano: ciambola 'donna chiacchierona e sguaiata', ciantella 'donna sciatta e volgare', cimbardosa 'donna pettegola o smorfiosa', cimbraccola 'donna sciatta e volgare', cincipottola 'donna chiacchierona e sciocca', cirimbraccola 'donna sciatta e volgare', ciscranna 'donna vecchia e brutta', manimorcia 'donna sciatta e trascurata', margoffa 'donna sgraziata, goffa', perlonza 'donna piccola e vivace', sbarbata 'donna giovane e bella', sbrendola 'donna cenciosa, stracciona', sbrindola 'donna leziosa, smorfiosa', spatanfiona 'donna molto grassa', stucchino 'donna giovane e bella, ma priva di fascino' *la voce musceppia 'donna presuntuosa e smorfiosa', marcata con la segnalazione «DI», proviene da Pistoia D'altronde è ben noto che i prestiti, in specie da lingue prestigióse, come il francese e l'inglese, possono porsi, almeno in certi ambiti lessicali, in concorrenza rispetto ai corrispettivi indigeni, acquisendo sfumature semantiche inedite: si pensi ai soprac-citati cocotte, coquette, fané, rigolote, ovvero bag-lady, dark-lady, pin-up, che si differen-ziano proprio per la connotazione più positiva. Un secondo censimento ha poi permesso di estrapolare un campione di voci, la cui definizione è per cosi dire neutra, riferibile cioè ad entrambi i generi. Tuttavia, si è osservato che l'esempio di volta in volta messo a corredo del lemma coinvolge unicamente la donna. Detto altrimenti, si è osservato che per i lemmi qui citati e suddi-visi per categoria grammaticale la spiegazione del significato è oggettivamente descrittiva, poiché, non designando espressamente né la referenza maschile né quella femminile, ricorre a perifrasi non marcate, del tipo «persona o cosa (che) ...», «che/chi (non) ...», «che/chi (non) è ...», «che/chi (non ha) ...», «di qcn, che ...», ecc., ma gli esempi affiancati, volti a documentare l'impiego del lemma, fanno esplicito riferimento alla donna. L'aspetto interessante di tale rinvio è che per alcune voci l'uso ricorrente, qualcuno aggiungerebbe il nostro orizzonte di attese, ci ha, per cosi dire, abituati a adoperarle (a 'immaginarle') in combinazione con l'elemento donna. Sostantivi Aggettivi Verbi bellezza, benedizione, boccaccia, ciabatta, dinamite, ficcanaso, grissino, incantesimo, irresistibilita, maledizione, mani di fata, mistero, mostro, principio, rocca, prosperosita, scipitezza, seccature, sensualita, sintesi, superficialita, tabú, tappo, temperamento, un certo non so che caldo, carico, caritatevole, conturbante, fenomenale, imprevedibile, inaccessibile, incolore, incredibile, inespugnabile, inimitabile, inimmaginabile, interessante, irresistibile, micidiale, migliore, piacente, piatto, popputo, pretenzioso, procace, prosperoso, rigoglioso, robusto, rubensiano, scandaloso, schifato, scipito, scoperto, scrupoloso, sfasciato, stizzoso, stupendo, succinto, virtuoso, voglioso, voluttuoso curarsi, dare di volta il cervello, destinare, fischiare, frivoleggiare, immaginare, incarnare, irretire, ispirare, spiritualizzare, tenere, trasudare, usare Forzando un po' il nostra ragionamento potremmo dire che taluni lessemi, cosi come appaiono nelle esemplificazioni, tendono a cooccorrere in presenza dell'ele-mento donna e non con l'elemento uomo, pur avendo un significato che non esclu-derebbe altre combinazioni. In questo caso il limite alla distribuzione della parola non dipenderebbe dal suo significato, ma da fattori puramente contestuali ovvero extralinguistici. Per ragioni di spazio ci limiteremo a trascegliere dal corpus alcune parole particolarmente significative, riconducibili al caso ora evidenziato: boccaccia, persona maldicente, pettegola: quella donna e una b.; ciabatta, spreg. cosa o persona vecchia e malandata: quella donna e una vecchia c.; dinamite, che e provocante: quella donna e d.; ficcanaso, persona indiscreta e curiosa che si immischia in cose che non la riguardano: mia suocera e una gran f. (come agg. inv. una donna f.) grissino, persona molto magra: donna g.; maledizione, persona molto fastidiosa, che suscita disappunto: quella donna e una m.; mistero, persona impenetrabile che, per il carattere riservato e sfuggente, suscita interesse e affascina: quella donna e un m.; seccatura, persona insopportabile, che procura grane e fastidi: quella donna e una vera s.; superficialita, mancanza di approfondimento, di precisione o di costanza nel riflettere o nel comportarsi: la sua s. e causa di ripetuti errori, parlare, giudicare con s., la s. di quella donna e irritante; tabú, persona o cosa intoccabile, irraggiungibile: quella ragazza e un t.; (agg. inv. quella donna e t.) tappo, persona di bassa statura: quella donna e un t.; una squadra di tappi; un certo non so che, qcs. di indefinibile che suscita un sentimento, un'impressione: quella donna ha un c. non so che che mi piace. Si tratta di voci che, più o meno, riecheggiano le qualità fisiche e morali discusse dianzi, confermando la presenza di una evidente correlazione tra certi tratti e caratteristiche e la figura femminile e di una reiterata rappresentazione stereotipata della donna. D'altronde l'insistenza con cui si registrano contesti come quelli appena discussi rinforza l'impressio-ne che tali lemmi, abbinati alla donna, corrispondano ad un uso largamente verificabile e che quindi descrivano una realtà linguistica e sociale attendibile, seppur in continuo movi-mento. Non si sottraggono a tale riflessione altri casi in cui l'occorrenza di alcuni lemmi a fianco della referenza femminile, presente nell'esempio, risulta oggi inappropriata: dare di volta il cervello, dare i numeri: a quella donna ha dato di volta il cervello; destinare, avviare, indirizzare qcn. a una professione, a una funzione: d. qcn. agli studi, alla carriera militare, d. qcn. prete, d. una donna in moglie a qcn.; irretire, attrarre, circuire con arte, con inganni, abbindolare: i. gli sciocchi, lasciarsi i. dalle promesse di qcn., dalle astuzie di una donna; micidiale, di qcn. che provoca infelicità, tormenti: è una donna m., guarda come tratta il marito; pretenzioso, di qcn., che affetta eleganza o ricchezza, che vuole apparire raffinato: una donna elegante e p.; schifato, disprezzato, evitato, sfuggito: è una donna pettegola, schifata da tutti; A questo gruppo si contrappone una serie di lemmi che invece tratta paritariamente l'uomo e la donna nella definizione e, ove presente, nelle esemplificazioni.15 altero, altezzoso: un uomo a., una donna a.; charme, fascino: un uomo, una donna di grande c. conquistare, sedurre, far innamorare: c. un uomo, una donna crudele, di qcn., che non ha pieta per le sofferenze che procura agli altri, spietato: un uomo, una donna c. del giorno, la persona piü nota del momento: essere l'uomo, la donna del g. desiderare, d. un uomo, una donna, esserne attratti fisicamente freddo, scarsamente passionale: un amante f., una donna f.16 grande, di qcn. che ha una corporatura, un fisico di dimensioni maggiori rispetto all'ordinario: un uomo, una donna g. mezza eta, eta della vita umana compresa fra la giovinezza e la vecchiaia: un uomo, una donna di mezza eta notevole, di qcn., che ha meriti o doti degni di stima: un uomo, una donna n. realizzarsi, riuscire a esprimere la propria personalita e le proprie capacita in modo pieno e rispondente alle proprie aspettative: si e realizzato nel lavoro, una donna che si epienamente realizzata rompiscatole, scocciatore molesto e importuno: una donna petulante e r., lascialo perdere, e un r. tremendo 15 Alie voci commentate si aggiungono: biancheria, del cuore, di carattere, di fatica, fatto, focoso, for-nito, forte, impazzire, impúdico, infatuarsi, infelice, intellettuale, oggetto, onorato, passionale, perdere, pio, posa, povero, pratico, riconquistare, santo, scopabile. 16 Il suo antonimo caldo, nell'accezione di 'sensuale', e corredato da un unico esempio: e una donna calda. Si tratta di voci, le cui citazioni esemplificative, compatibili con un atteggiamento meno sessista, fanno esplicito riferimento a entrambi i generi, recuperando quella giusta simmetria invocata da piu parti. Infine abbiamo adunato un gruppo di voci in cui la prospettiva definitoria e implicitamente orientata in direzione maschile: ammaliare, affascinare, sedurre: quella donna lo ha ammaliato diventare matto, provare una passione, un'attrazione sfrenata: d. matto per una donna, d. matto per la pastasciutta divinizzare, celebrare, esaltare qcn. o qcs. come divino: d. un poeta, la donna amata estasiato, rapito in estasi, ammirato: restare e. dalla bellezza di una donna perdere la testa, entrare in uno stato di confusione mentale, impazzire: ha perso la testa per quella donna, se ne e perdutamente innamorato preso, pervaso da una passione amorosa: p. d'amore per quella donna, e p. di lei pieno, che e in rapporto o in relazione con un gran numero di persone: p. di amia, diparenti, di donne rincoglionire, diventare coglione, stupido, rimbambire: quella donna l'ha rincoglionito succubo, che, chi soggiace alla volonta altrui: un uomo s. della moglie In questi casi l'allusione alla donna, evocata negli esempi, perpetua ancora una volta l'immagine di una figura femminile che da un lato seduce ovvero respinge per le sue caratteristiche fisiche o per i suoi difetti morali e dall'altro assume il ruolo di soggetto verso il quale si proietta un sentimento smodato.17 Una soluzione per attenuare la portata negativa potrebbe essere quella di formulare la citazione omettendo la referenza sessuale e ricorrendo a rinvii neutri, non marcati («persona», «individuo», ecc.) ovvero coinvolgendo sia l'uomo sia la donna, come abbia-mo visto dianzi. Si puo dunque constatare che nel discorso lessicografico rivestono una funzione rilevante le parti che prolungano gli apparati definitori esplicitandoli e illustrandoli, cioe gli esempi e la fraseologia. Tali corredi sono inseriti a fianco delle voci con inten-ti precisi, visto che rendono evidenti le accezioni e gli usi delle stesse. Nella sua dimensione concreta, l'esempio cattura il segno linguistico, ne orienta l'uso e lo resti-tuisce all'utente carico di connotazioni (positive o negative). La stereotipia dell'im-magine femminile ricavabile dalla lettura vuoi delle definizioni vuoi delle citazioni esemplificative e quindi documentabile non solo a partire dalla quantita e qualita delle entrate, ma altresi, come e stato dimostrato anche in Fusco (2009), dal modo in cui ogni singola unita testuale, costruita attorno alla relazione tra lemma, definizione ed esempio, si presenta, nonché dalle informazioni che fornisce e da quelle che fa presupporre o inferire. 17 Ma forse e nel giusto Marazzini (2009: 198) quando riconosce che "la compilazione di un vocabolario non e mai esente da rischi legati al politicamente corretto e alla (iper)sensibilita dei lettori, a volte cosí marcata da destare reazioni imprevedibili». 4. CONCLUSIONE Come si è fin qui osservato, è chiaro che sulla questione dello stereotipo di genere agisco-no contemporaneamente diversi livelli e non solo quello linguistico. Tuttavia qui ci preme sottolineare come un certo modo di parlare o di alludere alla donna, cosí come emerge dalla rassegna dei lemmi e degli esempi prodotti, percepito comunemente come un fatto naturale, possa diventare un certo modo di pensare acriticamente che, nel caso in questione, comporterebbe una svalorizzazione del ruolo della donna. Infatti la funzio-ne modellizzante della lingua fa si che le rappresentazioni sociali in essa sedimentate si possano tradurre di volta in volta in comportamenti attesi. Detto altrimenti possono esse-re proprio certe parole collocate in certi contesti, quasi preconfezionate e pronte per l'uso, a produrre, anche inconsapevolmente, modelli di comportamento e aspettative di ruolo. Tale processo di inferenza, che porta a prevedere una correlazione tra l'appartenenza al genere femminile e alcune disposizioni comportamentali o caratteristiche soggettive meno rilevabili, potrebbe rappresentare una strategia efficace mediante la quale le persone si orientano nelle interazioni e nei comportamenti da adottare. Nello specifico, i repertori lessicografici, offrendo al lettore, su carta e su supporto informatico, un gran numero di servizi e indicazioni (informazioni grammaticali ed eti-mologiche, datazioni, frequenza d'uso, fraseologia, sinonimi, contrari, derivati, compo-sti, unità polirematiche, ecc.), mirano a descrivere l'uso scritto e parlato effettivo, confi-gurandosi sempre più come strumenti di conoscenza non solo linguistica. La finalità informativo-educativa del vocabolario dell'uso è essenziale, «perché con esso si punta a colmare lo scarto tra le conoscenze individuali del lettore e quelle della comunità nel suo complesso. I vocabolari sono anche strumenti di educazione permanente che coin-volgono o dovrebbero coinvolgere parlanti e scriventi di tutte le età e grado di istruzione» (Aprile 2008: 161). Ma allora come conciliare tale intento formativo con opzioni lessicali e apparati esemplificativi che descrivono una realtà in cui il ruolo femminile è ancora marginale e appesantito da logori stereotipi? Dare una risposta esaustiva è un compito non facile né banale, tuttavia crediamo sia importante avviare un riflessione in vista di un maggior controllo dell'espressione linguistica, perché siamo convinti del ruolo cruciale svolto dai repertori lessicografici nell'apprendimento della lingua d'uso. Una riflessione necessaria dunque che è espressione «non solo del valore che si attribuisce alle parole da parte della gente comune, ma anche del significato che assume un vocabolario, con la sua autorevolezza, materializzando agli occhi degli utenti il patrimonio linguistico della nazione» (Marazzini 2009: 199). 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Riassunto STEREOTIPO E GENERE: IL PUNTO DI VISTA DELLA LESSICOGRAFIA Nella relazione tra lingua e genere, la prospettiva terminológica e lessicografica risulta assai promettente per lo spessore delle sedimentazioni culturali di cui si carica. Se consideriamo infatti i dizionari come delle opere 'ideologiche', che riflettono la mentalita dei loro fruitori e dei loro redattori, non e quindi raro imbattersi in definizioni e esempi che mostrano delle dissimetrie di trattamento dei significati attribuiti agli uomini e alle donne. In questo lavoro si desidera osservare l'immagine sociale cosi come e riflessa in un vocabolario (GRADIT), ovvero nelle scelte di tipi lessicali legate alla donna e, ove necessario, all'uomo. Si potra cosi rilevare l'esi-stenza di giudizi cristallizzati, stereotipi e quindi di aspettative socialmente condivise nelle opzioni lessicali del repertorio in questione, ma soprattutto nell'ampia varieta di esempi che corredano i singoli lemmi. Povzetek STEREOTIP IN SPOL: LEKSIKOGRAFSKI VIDIK Če se ukvarjamo z odnosom med jezikom in spolom, se terminološka in leksikografska perspektiva izkaže za precej obetavno, saj se pri njej osredotočamo na proučevanje bogastva kulturno zaznamovanega gradiva, ki se je v plasteh nalagalo skoz jezikovno zgodovino. Če imamo namreč slovarje za »ideološka« dela, ki odsevajo mentaliteto svojih uporabnikov in sestavljav-cev, ni neobičajno, da naletimo na definicije in zglede, v katerih se kažejo nesorazmerja pri obravnavi pomenov, ki se nanašajo na moške oz. ženske. V tem prispevku skušamo opazovati družbeno podobo, kot se zrcali v enem izmed slovarjev italijanskega jezika (GRADIT) ali, natančneje, v izboru nekaterih vrst leksemov, ki se nanašajo na ženske oz. na moške. Tako lahko vidimo, da je v naboru leksemov, vključenih v omenjeni slovar, predvsem pa v zelo raznolikih zgledih, s katerimi so opremljena posamezna gesla, mogoče najti okostenele sodbe, ste-reotipe in zato tudi družbeno sprejeta pričakovanja. Vincenzo Orioles Universita degli Studi di Udine* UDK 811.131.1'366 TRA SICILIANITÁ E SICILITUDINE 1. MARCHE LINGUISTICHE DELL'IDENTITÁ II tema deWidentitá ha acquistato negli ultimi tempi una valenza simbolica ricca di implicazioni e suggestioni. Facendo astrazione da forme di rivendicazione basate sul fattore etnico e dai casi di costruzione mitica e di «invenzione della tradizione», vogliamo qui guardare al caso in cui l'identita sia stata tematizzata come fattore di promozione delle appartenenze particolari, specie regionali, che si pensava fossero ormai assorbite da forme di aggregazione piu vaste e globalizzanti. Sotto questo aspetto una caratterizzazione identitaria si giova di elementi o contrassegni culturali che concorrano alla focalizzazione di questo o quell'ele-mento del quadro, mentre sul piano linguistico l'individuazione puo essere resa con strategie espressive sottili affidate non solo a unita lessicali ma a volte anche a strutture morfologiche. Con questi presupposti vorrei soffermarmi sulle forme derivazionali che compendiano in sé il riferimento alla specificita siciliana e in particolare sul tipo sicilitudine.1 2. CONCORRENZA DI SUFFISSI DERIVATIVI Per evocare l'identita siciliana disponiamo di almeno due tipi formativi concorren-ti: da una parte sicilianitá, con cui si designa la «peculiarita di quanto e propriamen-te siciliano o tradizionalmente attribuito ai siciliani nella lingua, nella cultura, nel costume, nella civilta» (av. 1886, GRADIT s.v.), e dall'altra il piu recente sicilitudine, definito come l'«insieme delle consuetudini e degli atteggiamenti tradizional-mente attribuiti ai siciliani» (1983 s.v.) per non parlare dell'ulteriore derivato sici-lianismo che riveste volta per volta un ben definito valore di termine storico o di tratto linguistico.2 Questa coesistenza di per sé non sorprende: non e infrequente * Indirizzo dell'autore: Dipartimento di Glottologia e Filologia classica, Universita Via Mazzini 3, 33100 Udine, Italia. Email: orioles@uniud.it 1 Sono persuaso che Mitja Skubic non disdegnera questo lavoro che evochera le mie 'radici' sici-liane a lui del resto ben note. Allo studioso mi lega una pluriennale consuetudine sviluppatasi proficuamente nel periodo in cui egli ha svolto le funzioni di componente del Comitato Scientifico del Centro Internazionale sul Plurilinguismo presso l'Universita degli Studi di Udine. Da tale frequentazione e scaturito un sodalizio culturale e amicale che, a partire dalle singole esperienze di ricerca, unisce e affratella in una visione comune i due Atenei di Udine e Lubiana. 2 Nel senso di «movimento politico e atteggiamento intellettuale che rivendica l'autonomia culturale e politica della Sicilia rispetto alla restante Italia», sicilianismo e documentato a partire dal 1864; con il valore di «parola, locuzione o forma del dialetto siciliano entrata nell'uso di un altro nei processi di formazione della parola di una determinata lingua, la compresenza di due o piü affissi derivativi che si contendono uno stesso spazio semantico acqui-sendo ciascuno una specializzazione funzionale: accanto a un tipo non marcato, che rappresenta la polarita neutra, se ne puo affiancare uno caricato di valore aggiunto, regionale, stilistico o tecnico, che gli permette «di ritagliarsi una nicchia nella quale manifestare la sua produttivita».3 E questa in particolare la condizione dei suffissi -ita e -itudine (continuazioni rispettivamente delle basi latine -itate- e -itu-dine-) entrambi utilizzati per formare astratti ricavati da aggettivi per indicare una qualita, una capacita, una condizione che si attribuisce a qualcuno o qualcosa. 3. GENESI DEL DERIVATO SICILITUDINE Per la coniazione del tipo sicilitudine viene comunemente chiamato in causa il ruolo di Leonardo Sciascia (1969), la cui raccolta di saggi La corda pazza si apriva proprio con un intervento su Sicilia e similitudine. Attraverso tale espressione lo scrittore siciliano compendiava quella che egli riteneva la nota distintiva del carattere isolano, «il comportamento, il modo di essere, la visione della vita - paura, apprensione, diffi-denza, chiuse passioni, incapacita di stabilire rapporti al di fuori degli affetti, violen-za, pessimismo, fatalismo - della collettivita e dei singoli» (p. 13). Nei confronti di questo spietato profilo della sicilianita si sarebbero levati molti accenti critici tra cui mi piace annotare il netto giudizio di Andrea Camilleri, pronto a prendere decisa-mente le distanze da una categoria giudicata «impalpabile», carica com'e di «una connotazione affettiva, piü che razionale».4 Ma Sciascia, che alla sicilitudine ha sicuramente garantito ampia eco, non ne e l'onomaturgo tanto e vero che egli stesso, sia pur fugacemente, chiama in causa un non meglio precisato «scrittore siciliano di avanguardia» (p. 17 del saggio citato), al quale solo qualche anno dopo avrebbe reso giustizia menzionandone espressamente il nome. Alludo al palermitano Crescenzio Cane, che aveva gia fatto uso del termine in un racconto-saggio scritto nel 1959 e che ricordera le circostanze dell'atteso rico-noscimento con le parole qui riportate: Lo scrittore Leonardo Sciascia, nel suo libro «La corda pazza» edito dall'Editore Einaudi, nel saggio d'apertura titolato «Sicilia e Sicilitudine», parla della Sicilia e dei personaggi che hanno creato la cultura siciliana, sino ad usare il mio vocabolo «la sicilitudine»: «la dialetto o nell'italiano», e attestato dal 1891 (le datazioni sono tratte dal GRADIT s.v.). Per una densa analisi dell'ideologia sicilianista e della sua connessione con l'esaltazione esasperata del nazionalismo isolano rimando senz'altro a S. Trovato, in Ethnos e comunita lingüistica: un confronto metodologico interdisciplinare - Ethnicity and language community: an interdisciplinary and methodological comparison. Atti del Convegno organizzato dal Centro Internazionale sul Plurilinguismo (Udine 57 dicembre 1996). A cura di R. Bombi e G. Graffi. Udine: Forum, 1998, pp. 479-493. 3 La formulazione e tratta da A. M. Thornton, «Avampiede e il prefisso avan- in italiano». Lingua Nostra 59/3-4 (sett.-dic. 1998), p. 107. 4 Le citazioni sono attinte da alcuni passaggi testuali on line che ripropongono brani del libro intervista redatto da Marcello Sorgi, La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri. Palermo: Sellerio, 2000. Sicilitudine dice uno scrittore siciliano d'avanguardia». Senza fare il mio nome e cognome, e questo suo saggio e datato 1969. Senza dubbio sono onorato dell'uso che ha fatto del mio «vocabolo», ma mi suono strano non sentirmi citato col mio nome e cognome e, senza dubbio, credo che Leonardo Sciascia l'abbia compreso, tanto e vero che nella mia prima Mostra di pittura, fatta alla galleria «Arte al Borgo» nel mese di dicembre 1972 a Palermo, presentandomi, nel catalogo, ha scritto: «Crescenzio Cane e l'inventore della parola «Sicilitudine» che lettori distratti e critici peggio che distratti ingiustamente e ingiustifi-catamente ritengono mia. Lo dicevo chiaramente, che era stata coniata da altro scrittore siciliano, e d'avanguardia; ma quasi nessuno ci ha fatto caso ...» (La Memoria Collettiva, pp. 76-77). In realta, a ben guardare, ci sono sottili differenze di caratterizzazione del termine da parte dei due intellettuali: se Cane puntava sulla negativita di una condizione di asser-vimento a un sistema di potere feudale e mafioso («vivere in Sicilia significa scontrarsi con una particolare realta che e la condizione socio-politica culturale della nostra Isola che e l'occhio del ciclone della 'sicilitudine'»), Sciascia guardava all'identita siciliana come tensione irrisolta, carica di inquietudine e di tormento interiore. Qualsiasi inter-pretazione si voglia dare alle motivazioni ispiratrici dei due autori, resta il fatto che, a partire da quell'uso letterario, la sicilitudine si presta a diventare uno tra «i piu logori cliché ... concetto degradatosi a stereotipo falsamente etnografico»5 anche perché «sot-tintende (o postula) un sentimento, una cognizione di diversita».6 4. NASCITA E FORTUNA DI UN NUOVO PARADIGMA DERIVAZIONALE Va detto che sicilitudine merita l'attenzione del linguista non solo per le sue valen-ze semantiche e connotative ma anche per la prerogativa di rialimentare, attraver-so l'estrapolazione del suffisso -itudine, un fortunato modello derivazionale la cui produttivita sembrava bloccata.7 5 M. Di Gesu, «Per una contro-storia letteraria e civile della Sicilia moderna». Gli Apoti [Pubblicazione quadrimestrale di letteratura, storia, arte e politica], II/1 (ott.-genn. 2006), pp. 11-16. 6 Sono parole di Andrea Camilleri, tratte dall'intervista rilasciata a Simona De Montis, La grotta della vipera, XXV/88 (inverno 1999). Accanto a sicilitudine appare occasionalmente anche la variante sicu-litudine registrata da Marri 2008 con retrodatazione al 1979 rispetto al 1999 fatto valere da G. Adamo/V. Della Valle, Neologismi quotidiani: Un dizionario a cavallo del millennio (1998-2003) (Firenze: Olschki, 2003) e che possiede una valenza semanticamente diversa da quella identitaria di sicilitudine «e piuttosto connessa allo stereotipo folcloristico del maschio siciliano (o meglio, siculo)». 7 Se Rohlfs (1969: 459) caratterizzava ancora -(i)tudine come «suffisso latineggiante limitato alla lingua dei ceti superiori» (adibito alla formazione di astratti, con citazione di attitudine, altitudi-ne, gioventudine, gratitudine, consuetudine, quietudine, vicissitudine), Grossmann/Rainer (2004: 243; e si veda anche p. 310) rilevano l'avvenuta inversione di tendenza e la riacquisita capacita del suffisso di formare nomi di status. A sua volta (Frenguelli 2008: 139-140) osserva come «non sono pochi i neologismi apparsi nel periodo 1998-2006 alcuni dei quali hanno raggiunto una discreta diffusione: asinitudine, casalinghitudine, gaytudine, pigritudine, sicilitudine, singletudine ... Come spesso succede (lo hanno fatto notare Bruno Migliorini8 e poi Pietro Janni 1990 e 1995) anche una singola espressione e suscettibile di trasformarsi in 'forma pilota' che intercetta un immediato consenso per il fatto di rispondere a un nuovo bisogno espressivo e di delimitare un ben preciso e originale spazio semantico. Sicilitudine in definitiva si presta a fungere da 'collo di bottiglia', incentivo alla conia-zione di formazioni affini ricavate da etnici:9 sarditudine 1977;10 romagnolitudine 1983; russitudine 1998 e il recente suissitudine 2008.11A partire dalla caratterizzazio-ne territoriale, l'elemento -itudine finisce con l'acquistare la funzionalita di una marca di identita socioculturale e come tale ben si presta ad essere aggiunto, con una progressiva estensione funzionale, a forme nominali che evocano stili di vita (punkitudine 1977), condizioni esistenziali (casalinghitudine 1987,12 singletudine e sin-glitudine 1991, gaytudine 2000), o anche propensioni e idiosincrasie (asinitudine 1999, gaffitudine 200813). Si assiste in definitiva ad uno «spostamento del significato verso un piano sociale ed identitario ... [con il risultato che] le piu diffuse neoformazioni ... designano una categoria di soggetti vista come portatrice di specificita e rivendi-catrice della propria identita».14 Questo derivato appare di un certo interesse in quanto mostra la capacità del suffisso di legarsi a una base allogena (anche se ormai ricorrente nel nostro lessico). Capacità che è del tutto incompatibile con un suffisso improduttivo». 8 Ripercorre questo aspetto della ricerca miglioriniana il saggio introduttivo di G. Ghinassi anteposto a B. Migliorini, La lingua italiana nel Novecento. A cura di M. L. Fanfani. Firenze: Le Lettere, 1990, pp. XLVII-XLVIII. 9 Sotto questo aspetto, tra l'altro, va fatto rilevare che la forma archetipica sicilitudine denuncia una certa anomalia poiché la sua base lessicale non è un vero e proprio etnico come per sarditudine da sardo, romagnolitudine da romagnolo, russitudine da russo ecc. ma semmai il corrispondente toponimo Sicilia, forse in quanto sicilitudine si reggeva su un gioco di contrasti con sicilianità, Non a caso del resto qualcuno avrebbe ideato l'alternativa sicilitudine (v. nota 6), meglio allineata con la serie derivativa; ma ormai la circolazione e la pregnanza di sicilitudine erano tali da assicurare stabilità all'espressione. 10 Quando non diversamente indicato le datazioni delle varie forme, che qui documentiamo in ordine cronologico di attestazione, sono tratte dal GRADIT. 11 Entrambe le forme sono ricavabili dall'archivio del Corriere della Sera on line e sono datate rispettivamente al 19 aprile 1998 e al 26 aprile 2008; per suissitudine devo in particolare la segnalazione alla collega Raffaella Bombi. 12 Menzionato da F. Marri, Lingua Nostra 67 (2006), p. 116. 13 Appare utilizzato in riferimento all'esponente politica Ségolène Royal in un articolo a firma di Maria Laura Rodotà dal titolo Ségolène, tutta chiacchiere e gonnella. Meglio seguire la lezione di Angela, «Corriere della Sera» 11 luglio 2008, p. 13; nell'occhiello si dice: «La sindrome tradita da suggestioni noir, voce stridula e 'gaffitudine'» mentre nel testo ricorre il diretto antecedente fr. gaffitude: «Come la ' gaffitude ' (cosi la chiama Libération) rischia di penalizzare Royal nella sua battaglia per la segreteria». 14 Sono parole di Mioni (2008: 133-134). 5. LA SINERGIA CON IL TIPO NEGRITUDINE Lungo la strada che conduce all'estrapolazione e alla riconoscibilità del suffisso, sici-litudine tuttavia non agisce isolatamente ma stabilisce una importante sinergia con la formazione di origine francese negritudine, le cui vicende giustificano un adeguato excursus proprio in virtù dell'azione di rinforzo svolta dall'espressione ai fini della diffusione del nuovo schema formativo. Anzi, se stiamo all'accenno che si puó leggere presso Grossmann/Rainer (2004: 243; e si veda anche p. 310): «L'uso di -itudine come suffisso per formare nomi di status» avrebbe preso le mosse proprio da negritudine (a. 1972) a sua volta calcato sul fr. négritude». È sulla scia di questa forma, puntualizza il repertorio, che si sarebbe generata la serie formativa comprensiva appunto del tipo sicilitudine (per il quale in particolare si rinvia a Giorgio Bocca, Italiani strana gente. Milano: Mondadori, 1997, p. 90). Rispetto a questo quadro siamo in grado di fornire tutta una serie di integrazioni avvalendoci anche della puntuale scheda lessicografica di Marri (2008: 54-55). Innanzitutto possiamo decisamente migliorare il quadro cronologico della ricezione di negritudine che il GRADIT riporta al 1960 con rimando ad uno scritto di Alberto Moravia del quale riportiamo il pertinente passaggio testuale: In altri termini, anche il visitatore più inclinato all'estetismo e all'evasione, non puó sottrar-si alla sensazione che a Bahia ci sia un nesso molto stretto benché difficilmente definibile tra la «negritudine» e l'abbondanza delle chiese tra l'antica prosperità (oggi scomparsa), della società coloniale e il carattere della sua religione».15 A sua volta negritudine è inseparable dal fr. négritude, espressione usualmente riferita a Léopold Sédar Senghor (1906-2001) noto poeta africano, ex presidente del Senegal, che la fa propria almeno dal 193916 anche se la paternità del neologismo viene attri-buita dallo stesso leader senegalese17 ad Aimé Césaire (1913-2008), scrittore impe-gnato originario della Martinica che lo aveva usato per la prima volta nel numero del marzo della rivista «L'Etudiant Noir» (Journal de l'Association des Étudiants Martiniquais en France) in un articolo intitolato Jeunesse noire et assimilation. A Parigi, dove aveva frequentato l'università, Aimé Césaire, incontra Léopold Sédar Senghor, e insieme a lui e al guyanese Léon-Gontran Damas fonda la rivista L'Étudiant Noir, «punto di riferimento fondamentale per gli studenti neri della capi- 15 Si tratta di una corrispondenza dal Brasile apparsa sul Corriere della Sera del 1° settembre 1960 e ripresa in Viaggi, p. 949, con il titolo Bahia di tutti i santi, pp. 954-951, nella sezione dedicata agli articoli «Brasile 1960»). 16 La datazione è quella del TLF s.v. fatta valere sulla base di M. Riffaterre, «Datations de mots et néologismes», Le français moderne 22 (1954), p. 66. 17 L'Année francophone internationale 1997; cfr. http://www.ville-verson.fr/fr/negritude.htm . tale francese, nonché tribuna per rifiutare i valori coloniali e promuovere il concetto di negritudine, termine inventato dallo stesso Césaire».18 Al di là dell'uso occasionale che ne fa Aimé Césaire, è in ogni caso per impulso di Senghor che la négritude si identifica nell'insieme dei tratti culturali e dei valori veicolati dalle civiltà che traggono la loro origine dall'Africa nera. 6. VALUTAZIONI CONCLUSIVE C'è a questo punto da chiedersi quale sia stata, tra sicilitudine e negritudine, la forma più incisiva nel favorire l'isolamento del morfema. Se la cronologia qui illustrata parla a favore di sicilitudine (Crescenzio Cane 1959), c'è da dire che nella prima fase della sua apparizione la sua vitalità è ancora esile e bisognerà aspettare Leonardo Sciascia (1969) perché venga alla ribalta. D'altra parte negritudine da solo ben difficilmente sarebbe stato produttivo perché la base lessicale era isolata e soprattutto troppo lonta-na dalle pratiche comunicative politically correct perché si potesse replicarne il principio formativo. A mio modo di vedere sono le due espressioni a sorreggersi a vicenda in una sorta di rinforzo reciproco, che le rende produttive nel loro insieme. Passo dopo passo si è venuto in ogni caso a creare un paradigma derivazionale suscet-tibile di ulteriore implementazione. Sarà il tempo a giudicare se ci troviamo di fronte a creazioni effimere, ennesimo prodotto 'teratologico' della formazione della parola (prendo a prestito il modulo locutivo da Cesare Segre 2003) o se invece il consenso arriso a -itudine sia destinato a diventare tratto consolidato della Wortbildung italiana. Al di là di ogni previsione (le vicende della lingua non sono facilmente pronosticabili) rimane la particolarità di un caso che si discosta da altri affini per il fatto di investire un elemento formativo 'patrimoniale'. Altre risemantizzazioni toccano infatti di norma i confissi di origine greca e latina (sulla composizione neoclassica, rinvio a Orioles 2006a e 2006b); una reinterpretazione per certi versi comparabile è quella che prende di mira il suffisso -eria che amplia e rivede il suo universo delle forme-base a partire da cafeteria, cui puo essere attribuito un ruolo comparabile a quello di negritudine come modello per una ridefinizione dei contorni delle forme cui il suffisso puo essere correlato. Bibliografía Fonti primarie Cane, Crescenzio (1959) «Sicilitudine.» [Ripreso in: Cane (1974), pp. 85-88, con il titolo esteso La sicilitudine (la struttura della sicilitudine) e con le date 1959-1973. Riproposto anche in: Cane (1987), § XXXII, pp. 77-80, con l'aggiunta di una premessa (§ XXXI, pp. 76-77), di un com-mento (§ XXXIII, p. 81-82) e di una precisazione apposta in nota: «La struttura della Sicilitudine /questo sarebbe il titolo/, nata come racconto nel 1959, e stata poi strutturata come saggio /nel 1973/»]. 18 http://www.martinicaonline.it/aime_cesaire.htm Cane, Crescenzio (1974) La bomba proletaria. Palermo: Movimento-Anti. Cane, Crescenzio (1987) La Memoria Collettiva. Presentazione di N. Lo Bianco. Palermo: Centro Jatino di Studi e Promozione Sociale «Nicolo Barbato» Partinico. Moravia, Alberto (1994) Viaggi. Articoli 1930-1990. A cura e con introduzione di Enzo Siciliano; postfazione di Tonino Tornitore. Milano: Bompiani. Sciascia, Leonardo (1969) «Sicilia e sicilitudine.» In: id., La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia. Milano: Adelphi, 1991, 11-18. [Ediz. orig.: Torino: Einaudi, 1970]. 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A partire dalla caratterizzazione territoriale, -itudine finisce con l'ac-quistare la funzionalita di una marca di identita socioculturale e come tale ben si presta ad essere aggiunto, con una progressiva estensione funzionale, a forme nominali che evocano stili di vita (punkitudine), condizioni esistenziali (casalinghitudine, singletudine), o anche propensioni e idio-sincrasie (gaffitudine). Alla base di tale nuova fortuna del modulo formativo possono essere collocate due espressioni pilota e cioe da una parte negritudine, che su sollecitazione del francese négritude si identifica con i valori delle civilta dell'Africa nera, e dall'altra sicilitudine a cui ha garantito ampia risonanza la valenza pregnante propria dell'uso di Leonardo Sciascia. Il contributo mira ad approfondire in particolare la genesi dell'espressione sicilitudine individuandone l'onomaturgo in realta nello scrittore Crescenzio Cane (1959) e cercando di delimitarne lo statuto rispetto alla forma concorrente sicilianita. Povzetek MED SICILIJANSTVOM (SICILIANITÀ) IN SICILIJANSKOSTJO (SICILITUDINE) Med tako imenovanimi identitetnimi priponami, ki izražajo neko določeno pripadnost in jo tudi konotirajo, se v italijanskem prostoru zadnje čase čedalje bolj širi tip -itudine, ki ga najdemo na primer v sarditudine, russitudine, romagnolitudine in v drugih podobnih tvorbah: gre za deriva-cijsko paradigmo, ki jo lahko imamo za »ponovno aktivirano«, potem ko se je zdelo, da je povsem neproduktivna. Pripona -itudine, ki je najprej označevala ozemeljsko pripadnost, je na koncu dobila vlogo označevalca in kot takšna se - ob postopnem širjenju funkcije - zlahka uporablja s samostaniškimi oblikami, ki se nanašajo na življenjski slog (punkitudine), eksistencialni položaj (casalinghitudine, singletudine) ali tudi na tendence in posebnosti (gaffitudine). Na začetek takšne vnovične rabe besedotvornega vzorca lahko postavimo dva izraza, in sicer na eni strani negritudine, ki se pod vplivom francoskega négritude nanaša na črne afriške kulture, na drugi pa sicilitudine, ki se je trdno uveljavil spričo nabitosti pomena, s katerim ga je uporabljal Leonardo Sciascia. Prispevek ima namen osvetliti posebej genezo izraza sicilitudine, katerega dejanski avtor naj bi bil pisatelj Crescenzio Cane (1959), in obenem skuša raziskati odnos med tem izrazom in med konkurenčno obliko sicilianità. Fiorenzo Toso Università di Sassari* UDK 811.131.1'282:81'373 PAROLE RITROVATE Puo esserci ancora qualcosa di interessante da «scoprire» nella parlata locale di un centro bene inserito all'interno di un'area linguistica studiata a fondo e per la quale si disponga di ottimi repertori lessicali e di un'ampia documentazione in sincronia e in dia-cronia? Oltrettutto il dialetto di Arenzano, primo comune autonomo a ovest della Grande Genova,1 non presenta caratteristiche di particolare rilievo rispetto alla varieta urbana, se non per una serie di tratti «rustici» e «rivieraschi» che si connotano in gran parte come aspetti blandamente conservativi, variamente condivisi da altre parlate della zona: non tali quindi da consentire di individuarlo come sottovarieta autonoma del genovese (al punto da non richiedere neppure un'autonoma denominazione)2 anche se sufficienti a consentire alcune interessanti osservazioni in diacronia, risultate di partico-lare utilita per la determinazione della tipologia linguistica del tabarchino, la varieta ligure - originaria per l'appunto della zona compresa tra Genova e Savona, con centro a Pegli - «esportata» a partire dal XVI secolo in Tunisia e dal XVIII in Sardegna.3 Del dialetto di Arenzano, mia lingua materna, ho raccolto in passato un'ampia documentazione lessicale (in parte confluita nell'opera del VPL) che mi riprometto di pubblicare prima o poi in forma autonoma. Mi e gradito intanto fare omaggio al maestro Skubic di qualche appunto (frutto di osservazioni estemporanee o collegate a vario titolo a iniziative in corso, dalla mia collaborazione al LEI alla compilazione del DEST), tale da mettere in evidenza alcuni motivi di interesse del «tesoretto» lessicale che si puo ancora desumere dall'uso vivo della parlata: a testimonianza del fatto che anche da una varieta sostanzialmente ben nota agli studiosi e apparentemente * Indirizzo dell'autore: Dipartimento di Scienze dei Linguaggi, Via Tempio 9, 07100 Sassari, Italia. Email: ftoso@uniss.it 1 L'agglomerato urbano si e formato a partire dagli anni Venti del secolo scorso inglobando comu-ni autonomi a est, a ovest e alle spalle della citta storica. Nella percezione corrente fino a qualche decennio fa, quindi, Arenzano era gia «Riviera» nettamente distinta dall'area metropolitana, pur essendo storicamente inserita nell'hinterland genovese. 2 Per gli Arenzanesi il loro dialetto e semplicemente zeneize [ze'nejze] 'genovese' senza ulteriori precisazioni, per quanto sia facilmente riconoscibile (e riconosciuta) la differenza tra ün ch'u parle de Rensen [yg 'k u 'pa:rle de reg'seg] 'una persona che parla alla maniera di Arenzano' e ün ch'u parle de Zena [yg 'k u 'pa:rle de 'ze:na] 'una persona che parla come a Genova'. Tali differen-ze si vanno tra l'altro stemperando sempre piü per il deciso influsso della varieta cittadina, par-ticolarmente avvertibile tra le generazioni piü giovani dei parlanti. 3 Per il tabarchino e per l'utilizzo che e stato fatto in tal senso dei tratti specifici del dialetto aren-zanese rimando in particolare a Toso (2004a). destinata a non offrire novità di rilievo, qualche pur modesto contributo alla storia linguistica dell'area in cui si trova coinvolta puo sempre scaturire. Le voci che mi accingo a commentare dispongono tutte di una sicura documen-tazione storica antica4 ma non figurano più nei repertori attraverso i quali, negli ultimi duecento anni, è andato in certo qual modo strutturandosi il «canone» della les-sicografia genovese: «arcaismi» dunque, in qualche caso non più documentati dal-l'epoca medievale e in qualche caso assenti, a quanto pare, anche dalle raccolte les-sicali moderne relative al resto dell'area ligure.5 Si tratta di affioramenti tanto più interessanti dunque, se si considera l'esposizione del dialetto di Arenzano alle inno-vazioni urbane (fonetiche, lessicali ecc.) che attraverso i secoli hanno condizionato in maniera significativa l'evoluzione dei dialetti dell'area «genovese» in cui esso si trova inglobato; e lo specimen che propongo in questa circostanza non solo testimonia di sopravvivenze inopinate, ma conferma anche, ad esempio per il riaffiorare di alcune delle voci commentate nelle ali estreme della Liguria, la validità di una let-tura dell'area nel suo insieme come «asse» nel quale il polo centrale, innovatore, ha influenzato notevolmente, configurandolo sempre più in senso unitario, l'intero territorio regionale, mentre le tracce di stadi precedenti che lo stesso genovese, in base alla documentazione storica, mostra di aver condiviso, sebbene restino particolar-mente visibili ai due lati della Liguria sono ancora riconoscibili attraverso preziosi «fossili» rintracciabili anche in punti insospettabilmente contigui alla metropoli: si vedano i casi di asbuî e incainéu, risalenti a forme del genovese due-trecentesco e condivise oggi dal dialetto di Arenzano e da quelli dell'estremo Ponente, o l'affiorare in aree periferiche della variante epentetica libero 'libro' alle due estremità della Liguria e ad Arenzano.6 4 Il genovese dispone di una tradizione letteraria e documentaría che si sviluppa senza soluzione di continuità soprattutto a partire dalla fine del XIII secolo con l'opera del cosiddetto Anonimo Genovese (notizie fino al 1311). Su tale corpus documentario rimando a Toso (2009) e, per la fase più antica, a Toso (1995). 5 Per consolidata convenzione, la classificazione dei dialetti liguri distingue tra un'area centrale «genovese», particolarmente dinamica, e aree laterali e marginali (ligure centro-occidentale, orientale e dell'Oltregiogo) che si caratterizzano, più ancora che per esiti originali, per un parti-colare conservatorismo rispetto ai tratti fonetici, morfologici, sintattici e lessicali che sono comu-ni al dialetto di Genova e a quelli di un'area compresa grosso modo tra Noli a Ponente e Sestri Levante sulla costa. Per «genovese» si intende dunque qui, di volta in volta, sia il dialetto citta-dino (o per meglio dire la lingua letteraria in cui fu scritta la documentazione addotta, nelle sue diverse fasi evolutive) che l'insieme dei dialetti che con esso condividono i tratti salienti in oppo-sizione alle altre aree. Per queste distinzioni basti comunque il rimando a Toso (2002). 6 Altre voci di antica documentazione genovese oggi assenti in tutta la Liguria centrale (e quindi anche ad Arenzano) si ripresentano invece solo in aree laterali e di colonizzazione, di volta in volta isolatamente o rivelando concordanze attuali tra punti assai distanti tra loro: qualche esempio è stato analizzato ad esempio in Toso (1999), ora in Toso (2006: 145-159). Se le voci qui presentate non offrono in linea di massima particolari difficoltà di interpretazione etimologica, più interessanti risultano semmai i passaggi semantici, anche vigorosi, che alcune di esse hanno conosciuto rispetto alla documentazione sto-rica: ma non è poi tanto singolare che l'antica voce caviâ 'capitale finanziario' sia pas-sata a indicare un 'mucchio di fieno' quando sto, che indicava nel Duecento l'armata di mare della Repubblica, ha potuto passare a indicare nel dialetto attuale di Arenzano il fastidio provocato da un importuno, e se l'antico verbo per 'lapidare' significa oggi 'seccare, infastidire', mentre le antiche catene che avvincevano metafóricamente le anime dei dannati nelle prose morali del Trecento vengono oggi utiliz-zate per rappresentare una salutare stizza: del resto, come mostra la storia di taunâ, già nella letteratura duecentesca un modesto tafano si era ingigantito 'a quanto pare' fino a diventare una feroce tempesta di mare... Invece, l'emergenza di una voce come siomma è in certo qual modo sconcertante, e pone problemi di ordine storico-linguistico che travalicano abbondantemente l'area ligure e riguardano le modalità della partecipazione del genovese alla formazione di un lessico comune alle diverse lingue e dialetti dell'area mediterranea occidentale (e non solo). A questo punto, la domanda posta all'inizio di questo contributo apparirà irrimediabilmente retorica, e la risposta ad essa largamente scontata. Per la grafia delle voci arenzanesi e di quelle del genovese moderno si ricorre a convenzioni basate sull'italiano, con l'integrazione di alcuni simboli (o, ü, x per la fricativa palatale sonora) il cui valore risulterà facilmente riconoscibile: si è rinunciato invece al ricorso alla grafia del genovese letterario, alquanto distante dalla pronuncia effettiva, che è stata naturalmente conservata, nelle sue varianti diacroniche e nel rispetto degli originali, per la documentazione storica addotta. asbuî [azbu'i:], v. tr.; 'riprendere, rimproverare aspramente, redarguire': s'u ven turna a angusciâ l'asbuimmu 'se viene di nuovo a infastidirci lo rimproveriamo'. Corrisponde con leggero slittamento semantico al ligure antico sboir 'spaventare, sbalor-dire', presente già nell'Anonimo Genovese: «Or no voio e' tanto dir / c'o' ve deiai de zo sboir» [non voglio dire tanto / che dobbiate spaventarvi] (AG 38: 60-61), col participio passato xboio nelle trecentesche Questioim de Boecio: «e como xboio atendea pur a veir so che ella farea» [e come stordito aspettava di vedere cosa ella avrebbe fatto] (Parodi 1898: 52); cfr. anche il derivato sboimento sempre nel Boecio: «orriber cossa e gram sboi-mento seream, se la maxom de lo sovram paire fosse ordenaa como tu penssi» [cosa ter-ribile e motivo di spavento sarebbe, se la casa del padre sovrano fosse ordinata come tu pensi] (Parodi 1898: 80). La voce è attualmente sconosciuta in tutta l'area genovese tra Noli e Sestri Levante, mentre si ritrova, sempre col significato di 'spaventare', qua e là nell'Oltregiogo e più compattamente nell'estrema Liguria occidentale (VPL, III: 107: sbui, a Triora anche 'scacciare'), dove potrebbe essere peró rientrata dalla contigua area nizzardo-provenzale: l'etimo della voce antico-genovese è da individuare infatti nel provenzale e francese antichi esbair 'abbagliare' (Greimas 1986: 238), dal latino volgare *BATARE. caviâ [ka'vja:], m.; 1. 'ció che si ammucchia', ad esempio il fieno, la terra: p'anco u caviâ l'émmu fœtu 'per oggi abbiamo raccolto il necessario, quanto ci eravamo ripro-posti'; 2. 'ció che si conserva', provviste, un gruzzolo di denaro: mangiâse fina u caviâ 'mangiarsi tutto, dissipare tutto', anche ció che si era messo da parte. Corrisponde al genovese antico cavear 'capitale' ben attestato nell'Anonimo Genovese: «spe-s'or de pro fam cavear» [spesso dai vantaggi ricavano capitale] (AG 14: 463); «che se voi no avei scotrimento / sun cavear far creximento / e longo tempo viverei / per inganao ve trovei» [che se non siete scaltro / nell'accrescere il capitale, / vivendo a lungo / vi ritroverete ingan-nato] (AG 79: 193-196); «tuto l'ano ó assai a far / a retronar in cavear» [tutto l'anno sono impegnato / a rientrare nelle spese] (AG 115: 19-20). La voce, ovviamente da capitalis (LEI X: 1724-1740) manca nei repertori del ligure moderno e pare oggi sconosciuta in genovese e altrove in Liguria. incainàu [iqkaj'naw], agg.; 'molto arrabbiato, stizzito, inviperito': nu l'ho mai vistu cusci incainàu 'non l'ho mai visto cosi infuriato'; ghe parlu mi quand'u nu l'è ciü incainàu 'gli parlero io quando non sarà più cosi inviperito'; meno frequente è il verbo pronominale incainâse [iqkaj'na:se], passato anche nell'italiano locale, dove era comune soprattutto fino agli anni Settanta: se siete cosi incainati fatevela passare. Il genovese antico ebbe incaenao, inchainao col significato proprio di 'incatenato, messo in catene' bene attestato nella letteratura trecentesca, ad esempio nelle Questioim de Boecio: «lo cor è preisso e marmenao / como avogollo è inchainao» [il cuore viene preso e malmenato / come un cieco viene incatenato] (Parodi 1898: 58); nella Passion de lo Segnor «lo nostro Segnor si dissipà e guastà tuto lo inferno, e si liberà a tuti quelli santi pairi chi eran inchainai allo inferno» [il Signore sconvolse e rovinó l'inferno, liberando tutti quei santi padri che vi erano incatenati] (Guarnerio 1893: 381): Inchennà 'incatenare' compare ancora nel XVI secolo in Paolo Foglietta («l'amorosa chenna / dra qua ro Dè d'amó sempre n'inchenna» [l'amorosa catena / con la quale il dio d'amore sempre ci incatena] (Rime 1595: 61), ma poi la forma cadde progressivamente in disuso di fronte a incadenâ, affer-matosi contemporaneamente a cadeña, esito semidotto per 'catena' rispetto all'antico caen-na, a sua volta specializzatosi almeno a partire dal XIX secolo per 'catena del focolare' nella forma cœnna. Nella voce arenzanese, oggi sconosciuta nell'area genovese, è evidente uno sviluppo semantico analogo a quello ben noto di captivus, condiviso anche dal ven-timigliese incainàse 'inferocirsi' (Malan 1998: 50), e forse facilitato dall'assonanza col nome biblico di Cain 'Caino'. lapiâ [la'pya:], v. intr.; 'infastidire, assillare, tormentare con lamentele spropositate o continue domande', detto spesso dei bambini fastidiosi: cumm'u lappia 'quanto insiste!'; a l'à lapiàu tüttu u giurnu pe sa demùa ch'a l'ha persu 'ha scocciato tutto il giorno per via di quel giocattolo che ha perso'; éan zà li che lapiàvan che perdèivan u trénu 'cominciavano a assillare per la paura di perdere il treno'. Dal verbo si è formato anche il sostantivo lappia ['lapya]f.; 'persona fastidiosa' e 'fastidio', soprattutto in frasi esclamative e a carattere scherzoso: che lappia! 'che seccatore!'; au l'è 'na lappia! 'è un gran seccatore'. Da identificare col semidotto alapiar, allapiar assai frequente nella letteratura antico-genovese col significato di 'lapidare': «che elo fose sentenciao a esser alapiao et morto» [che venisse condannato a essere lapidato fino alla morte] nelle prose di Luca Paterio (Ive 1882-1885: 26); «per so che ella serea staita alapiâ» [perciö ella sarebbe stata lapida-ta] (Cocito 1979: 37), e cfr. anche Marchiori (1989: 222). La documentazione storica si esaurisce verso l'inizio del XV secolo, e oggi solo il dialetto arenzanese, sembra avere conservato il verbo, che ha mantenuto evidentemente un senso figurato e ha generato un sostantivo. Il passaggio da 'lapidare' a 'tormentare' è peraltro presente in tabarchino per l'italianismo lapido, 'infastidire, detto soprattutto dei bambini': l'è tütt'a sàia ch'u me làpide 'è tutta la sera che mi fa dannare', mentre Casaccia 1876, p. 460, registra lapidâ solo nel significato proprio. lübétu [ly:'be:tu], m.; 'filo di cera arrotolato e foggiato a forma di libretto che almeno fino alla metà degli anni Cinquanta i bambini tenevano acceso durante le funzioni della Novena dei Morti: a Voltri, a Genova e altrove in Liguria è detto ôfisiô': i lübéti di Morti 'i libretti per la commemorazione dei defunti'. L'usanza tipicamente ligure è ben documentata (Dotti 1977; Giardelli 1991: 286), e altrove questi ceri potevano assumere anche altre fogge (barchette, casette, campane, torrette, frutti ecc.) pur mantenendo il nome che sta naturalmente per 'ufficiolo, piccolo libro contenente l'Ufficio dei defunti'. La denominazione arenzanese non è dunque di particolare interesse per la semantica (ufficiolo e libretto evidentemente si equivalgono), quanto per la fonetica che rende oggi meno riconoscibile l'etimo e quasi opaco il significato rispetto all'allomorfo libréttu usato genericamente per 'piccolo libro, libriccino'. In genovese antico libero con «raro fenomeno di epentesi vocalica» (Cocito 1970: 38) pare anteriore a libro, e ricorre già nell'Anonimo Genovese: ad esempio «su qualche libero o cartolario» [su qualche libro o car-tulare] (AG 14: 140); «biasteme, asdeiti e vituperi | som lor liberi e salterj» [bestemmie, maldicenze e vituperi | sono i loro libri e i loro salteri] (AG 38: 16-17). Libro compare in alternativa a partire dalle prose trecentesche, ad esempio in Gerolamo da Bavari: «san Zoane in lo libro de la soa revelacion» [San Giovanni nel libro della sua rivelazione] (Guarnerio 1894: 40); ma libero è poi ben attestato in tutto il Cinquecento, e basti qui ricor-dare il delizioso gioco di parole reso possibile dall'assonanza con l'aggettivo libero nell'in-dovinello in Rime 1595: 124: «Libero nasso, e dapuœ son ligaou | e chascun da mi imprende à vive ben | e son da i hömi dötti accarezzaou» [nasco libero e poi vengo legato | tutti impara-no da me a vivere bene | e sono ambito dagli uomini dotti]; nel XVII secolo la documentazione di libero si fa più rara fino al 1660 (Spinola 1660 II: 14), dopo di che la forma sembra uscita dall'uso; quanto al diminutivo, libereto è nel primo libro del Dialogo de Sam Gregorio, testo trecentesco di Antonio de Regibus (Porro 1979), e ancora nello scrittore cinquecen-tesco Cristoforo Zabata («me deschiaxe ... che non haggie possuo inseri in questo liberetto quarch'unna dre soe mascharate» [mi rincresce di non aver potuto inserire in questo libretto qualcuno dei suoi canti carnascialeschi], Rime 1588: 3). In effetti libru è oggi l'unica forma diffusa in tutta la Liguria tranne in qualche punto conservativo dell'estremo Levante e del-l'estremo Ponente (libio a Lerici, libeétu a Taggia, VPL II: 125); a quanto pare in area gen-ovese il diminutivo sopravvive soltanto ad Arenzano e in un'accezione particolare, con [i] > [y] dovuto a influsso della labiale, regolare caduta di [r], in precedenza passata a palatale, e allungamento di compenso della vocale tonica. siomma [si'ma],f.; 'cantilena noiosa', solo in locuzioni come a l'e delungu a máxima siomma 'e sempre la stessa solfa' o in esclamazioni come che siomma! 'che barba, che litania!'. L'interesse di questa forma sta una volta tanto non nel rapporto con la documentazione antico-genovese riconducibile alla stessa base etimologica (che in ultima analisi e il grecismo celeu(s)ma), bensi nella sua difformita da essa: il genovese antico ebbe infatti ihusma gia nell'Anonimo Genovese col significato di 'ciurma' («soa ihusma examinando» [passan-do in rassegna la sua ciurma], AG 49: 118), e la voce e rimasta in questo significato nel genovese moderno (anche ad Arenzano) nella forma corrispondente ciüsma, largamente attesta-ta fino ai repertori moderni (cfr. solo Casaccia 1876: 231; per la documentazione storica ligure cfr. DEST: 484-485). Al contrario, la voce arenzanese ha in primo luogo un significato che sembra avvicinarsi a quello presente nell'area meridionale (e specialmente siciliana) per i continuatori di celeu(s)ma, dove l'attestazione piü antica e data nel 1348 dal siciliano chi-loma 'grido dei marinai' (Fanciullo 2005: 135): ma il siciliano cialóma (VS I: 695) significa piuttosto 'vocio, confusione di piü voci che parlano insieme' e anche 'discorso lungo e scon-clusionato', che rappresenta comunque una diversa (o ulteriore) evoluzione dal significato originario, che era 'clamor, cantus, vox tibiae similiumque, quo simul laborantibus [e soprat-tutto ai rematori sulle navi] signum datur, ut numerum servent' (Fanciullo 2005: 135): la voce arenzanese sembra essersi insomma sviluppata autonomamente anche da quella siciliana, e non solo per l'evoluzione semantica (da 'canto monotono dei vogatori' a 'cantilena', quindi 'solfa, discorso noioso'), ma anche per la fonetica, che rende assai poco probabile una derivazione dalla voce insulare; e da osservare che quest'ultima e entrata in genovese (anche ad Arenzano) come prestito, nella forma cialümma, cialümmu la cui forma e inequivocabile, e il cui significato di 'pasticcio' e 'gozzoviglia' (Casaccia 1876: 219) e chiaramente un'evolu-zione del siciliano 'confusione di voci'. Riassumendo, ad Arenzano sussistono, con signifi-cati diversi, tre varianti della stessa base etimologica: una (ciüsma) in comune col genovese, dove e di antica attestazione; una (cialümma) che rappresenta un prestito dal siciliano in area ligure, dove in genovese e attestata dal XVIII secolo (De Franchi 1771-1772: 125); una prettamente locale (siomma), piü vicina per aspetto fonetico alla variante siciliana, da cui purtuttavia e autonoma, e con un significato particolarmente vicino a quello della base. Senza voler azzardare in questa sede un'interpretazione di dati che confermano quanto meno la molteplicita dei canali di diffusione e l'ampia circolazione di questa voce nella sua varieta di forme e significati, credo che il reperto arenzanese implichi almeno una ridiscus-sione della distribuzione areale delle varianti e della cronologia relativa. In particolare, se e valida la lettura dei problemi proposta da Fanciullo 2005, il siomma arenzanese dovrebbe riflettere, insieme all'italiano meridionale cilóma, la variante piü antica del grecismo assunta in latino (keléuma), rispetto alle forme derivate da una piü tardiva riassunzione di kéleu-ma, dai cui succedanei tardo-latini e romanzi sarebbero derivate le varie voci genovese (ciü-sma), toscana (ciurma, forse a sua volta un genovesismo), veneta ecc. sto ['st:], m.; in dialetto di Arenzano esiste solo in locuzioni come: avei a sto 'avere alle calcagna', u se gh'e missu a sto 'gli si e messo alle calcagna, gli sta alle costole', ma anche 'gli si mette sempre tra i piedi', detto ad esempio di un bambino noioso e invadente: ghe l'ó delungu a sto che nu ne póssu ciü 'l'ho sempre tra i piedi, alle calcagna, non ne posso piü'. È uno sviluppo del genovese antico sto(l), dal grecismo STOLUS (REW 8276: o direttamente dal greco?); la voce antico-genovese è documentata esclusivamente nel significato di 'flotta in armi', condiviso anche dall'italiano antico stuolo, in origine 'flotta' e 'moltitudine arma-ta' (GDLI XX: 425). La voce è largamente attestata in latino medievale ligure (stolium, stolius, stolium, extolium, extoleum, storium, storum, dal 1062: VLSB I/2: 364 e rimandi), ma bastino qui le attestazioni nell'Anonimo Genovese: «mai no vi stol si grande alcum / faito per rei ni per comun» [non vidi mai una flotta cosi grande / radunata da comune o da re] (AG 38: 72-73); «ordenamenti fen so sto / de garee e de gente / cernue discretamente / si como antigamenti sor» [con gran calma riunirono la flotta / di galee e marinai / scelti attentamente / come è antico costume fare] (AG 49: 61-64); «e quelo comovimento / parti 10 stol in monte guise» [e quella tempesta / divise la flotta in molte parti] (AG 49: 155156); «eciamde me pare anchor / che lo stol asminuio / chi per fortuna fo partio / n'a aquis-tao pu francho onor» [e mi pare anche / che la flotta ridotta di numero / e divisa dal fortunale / ne abbia acquistato onore più palese] (AG 49: 333-336); «che De reduga salvo e san / lo stol con prosperitae» [che Dio conduca sana e salva / la flotta e le dia prosperità] (AG 49: 347-348). Le locuzioni arenzanesi riflettono un senso figurato che riprende metaforicamente l'immagine della flotta in mare aperto, alla continua ricerca del nemico: sono tutto ció che rimane di una voce storica di illustre tradizione locale, che come termine militare il genovese medievale condivise con le principali lingue e dialetti del Mediterraneo occidentale e che andó perdendosi a partire dal XV secolo. L'ultima attes-tazione a me nota è infatti del 1453-1456 (Raxone 1996), dopo di che essa scompare dalla documentazione, sia nel significato di base che in eventuali accezioni secondarie. taunâ [taw'na:], intr.; 'lamentarsi in modo insistente per un danno morale o per un lutto, con manifestazioni generalmente contenute ma continue di dispiacere': a s'è missa a taunâ aprovu au gattu e a nu â ciantava ciü 'ha cominciato a lamentarsi per il gatto e non la smetteva mai'; cus'a l'ha da taunâ? 'di cosa si conduole?'; talvolta anche 'mugugnare, borbottare in modo insistente': han cumensau a taunâ che lû nu ghlntran e nu gh'oan intrâ 'hanno cominciato a mugugnare che loro non c'entrano e non vogliono entrarci'. 11 genovese antico ebbe tavanna per 'tempesta (di mare)', attestato tre volte nell'Anonimo Genovese: «ma de ver no so che tanna / se me coposse unna tavanna / chi fè lo tempo astor-beà / con bachanexi e grosso mar» [ma da non so quale tana / mi usci fuori una tempesta / che intorbidó il tempo / con grandi onde e mare grosso] (AG 45: 11-14); «entre grego e tramontanna / se compose una tavanna / con troyn, losni, vento ioio» [tra grecale e tramontana / si raccolse una tempesta / con tuoni, lampi e vento di pioggia] (AG 85: 57-59); «d'estae che la gran calura / e le tavanne e li negin / fan li corpi d'imor pin» [d'estate quando il gran calore / le burrasche e le nebbie / riempiono il corpo di umori] (121, 1-3). Poi la voce non è più attestata fino al XVII secolo quando ricompare in una commedia del Brignole Sale, dove si parla in senso metaforico di una «taanna da miezo di e scirócco» 'una tempesta [che si profila] da mezzogiorno a scirocco' (Brignole 1666 V: 8) annuciando una lite imminente. Per la forma arenzanese, sembra lecito ipotizzare un verbo *tavanar del genovese antico, passato poi a *taanâ in genovese popolare almeno dal XVII secolo, e di qui alla forma locale per dissimilazione. Il passaggio semantico da 'far tempesta' a 'agitarsi, scalmanarsi' e poi genericamente 'lamentarsi' non pone particolari problemi, e si confronti con l'italiano tempestare 'abbattersi furiosamente (detto della grandine)' e 'essere in burrasca' ecc., poi 'tormentarsi, turbarsi profondamente' e 'protestare a gran voce e con veemenza' ecc. (GDLI XX: 839-841). Quanto all'etimo di tavanna, Flechia (1885-1888: 397) ha pensato a uno svi-luppo metaforico da tabanus / *tafanus (REW 8507) > tavan 'tafano', voce quest'ultima assente in genovese antico e moderno ma ben documentata in altri dialetti liguri del Levante, del Ponente e dell'Oltregiogo (si veda solo VPL IV: 16). In tal caso la forma fem-minile medievale passata a indicare la 'tempesta' dovrebbe pero rappresentare la sostanti-vizzazione di un tipo (mosca) tavana che trova riscontro in siciliano (VS V: 549, settentriona-lismo?), dove ha conservato il significato originario; oppure si deve pensare a un deverbale, cio che rende ancor piü necessario, evidentemente, l'ipotetico *tavanar, il cui corrisponden-te italiano tafanare, non a caso, vale anche 'infastidire, sottoporre a importune insistenze' (GDLI XX: 664, e REW 8507 ricorda il bolognese atavanarse 'unruhig sein'). Fonti citate con sigle o con titoli AG = Anonimo Genovese, fine sec. XIII - inizio XIV. [Si fa riferimento al numero della poesia e dei versi secondo l'edizione di NICOLAS 1994]. BRIGNOLE 1666 = BRIGNOLE SALE, Anton Giulio (1666) Comici Schiavi. Commedia in cinque atti. Cuneo: Strabella. [Si fa riferimento al numero dell'atto e della scena da cui si ripor-ta la citazione]. DE FRANCHI 1771-1772 = DE FRANCHI, Steva (1771-1772) Comedie trasportœ da ro françeize in lengua zeneize da Micrilbo Termopilatide P.A. dedichœ à i veri e boin Zeneixi. Zena: Gexiniana. Questioim de Boecio = De le questioim de Boecio. Testo in prosa del sec. XIV. [Si segue l'edizione di Parodi 1898]. Raxone 1996 = La raxone de la Pasca. Opus aureum et fructuosum. Testo in prosa e in versi del sec. XV. [Si segue l'edizione di Bagnasco, Boccalatte e Toso 1997]. Rime 1588 = Rime diverse in lingua genovese le quali per la novità de'soggetti sono molto dilettevoli a leggere, di nuovo date in luce. Pavia: Gieronimo Bartoli. 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Questi elementi propongo-no alcuni spunti di riflessione in merito al rapporto che intercorre tra aree particolarmente conservative e aree innovative, e confermano al tempo stesso la possibilità di reperire, anche in dialetti apparentemente ben noti e documentati, motivi di interesse e contributi allo svilup-po dell'analisi in prospettiva sincronica e diacronica, di fenomeni di più vasta portata. Esemplare in tal senso è il caso della voce siomma, un continuatore del grecismo celeu(s)ma col quale si riapre in certo qual modo il problema della storia e dell'irradiazione di una serie di continuatori, tra i quali la ben nota voce italiana ciurma 'equipaggio di mare'. Povzetek ZNOVA NAJDENE BESEDE V članku je predstavljen niz besed, zbranih v narečju kraja Arenzano, enega izmed središč ligurske obale, nekaj kilometrov oddaljenega od Genove. Te besede se skladajo z oblikami iz starogenoveške literature (13. - 15. stoletje), ki niso več zabeležene v kasnejšem gradivu in predvsem ne v slovarjih, na osnovi katerih se je v zadnjih dvesto letih izoblikoval »kanon« pisne genoveščine. Vse te besede sicer izpričujejo semantični razvoj, ki je zanimiv več kot le zaradi enostavnega prepoznavanja izvornega etimona; nekatere izmed njih še vedno najdemo na skrajnem robu ligurskega območja, medtem ko so druge v zdajšnji obliki izpričane samo v narečju Arenzana. Ti elementi ponujajo nekatere vzgibe za razmišljanje o odnosu med izrazito konservativnimi območji na eni in inovativnimi območji na drugi strani, hkrati pa kažejo, da so lahko tudi navidezno dobro poznana in dokumentirana narečja zanimiva in da lahko z njihovim proučevanjem prispevamo k novim sinhronim in diahronim analizam pojavov širših razsežnosti. V tem smislu je značilen primer besede siomma, nadaljevalke gre-cizma celeu(s)ma, s katerim se na neki način znova odpre problem zgodovine in širjenja niza iz tega grškega elementa izhajajočih leksemov, med katerimi je tudi znana italijanska beseda ciurma 'morska posadka'. Alberto Zamboni Università di Padova UDK 811.131.1'282:81'373-112:581 NUOVE OSSERVAZIONI SU UNA GLOSSA BOTANICA MEDIOLATINA: citamus 'COLCHICO' 1. La classica monografía di Vittorio Bertoldi (1923) sui nomi del 'colchico' o 'zaf-ferano bastardo (Colchicum autumnale L.)'1 riserva uno spazio piuttosto ampio alla tradizione ed alla trasmissione medievale della complessa nomenclatura di questo tipo botanico, a causa della forte popolarità goduta all'epoca dalla pianta quale suc-cedanea d'una spezia rinomata e costosa, lo zafferano verace (Crocus sativus L.), originario dell'Asia occidentale. Rinvio direttamente a questa trattazione (1923: 124-33) e ad altri riassunti premessi all'esame di terminologie regionali (tra cui soprattutto Pellegrini/Zamboni 1982: 325-42) per soffermarmi sulle due glosse cita-losa e citamus (soprattutto sulla seconda) di cui Bertoldi argomenta ai §§ 71-73 del suo Ribelle. La prima, che accompagna in genere l'antico (h)ermodactylon (gr. ép^oôdKxuÀov, da Alessandro di Tralle e Galeno),2 compare in varie forme soprattutto in glossari d'area tedesca, cit(e)lose, citelosa, citilosa, ancora a.alto ted. cytelose, m.alto ted. ciidelosse (Marzell 1: 1070-1109), diffuso tramite una «fortunata etimologia popolare» nel ted. Zeitlose3 e congeneri, sospetto secondo alcuni di provenienza meridionale nel filone nomenclatorio ispirato al culto della Madonna, cioè a partire da una base citella, z- 'ragazza', che d'altra parte non ha lasciato nessuna tradizio-ne nel supposto dominio d'origine: gli unici lasciti romanzi pertengono infatti al grigionese tschentaloscha, tschiantlosas, schitalosas, tschittaloscha, d'influsso evidentemente tedesco. È qui che Bertoldi, accantonando quest'ipotesi, tira in ballo la seconda delle glosse medievali succitate, che compare nelle varianti citamus e citomus (tra gli altri, in Diefenbach), base che secondo taluni rappresenterebbe l'anticrocus 'herba ... quae habet florem croceum in modum croci' ossia il Carthamus tinctorius L. 'zafferano saracinesco' (altro succedaneo), lat.mediev. cartamen (sec. XV), cartamus (1486), d'origine araba, del quale la nostra glossa non sarebbe in ultima analisi che «una 1 Denominazione garantita dall'estensione pressoché panromanza dei tipi 'zafferano selvatico', 'zafferano matto', 'zafferano bastardo', 'zafferano falso', 'zafferano dei prati', 'zafferanone' ecc. (Bertoldi 1923: 133 e nota 2). 2 Il nome di spezieria hermodactyla (che ricorre gia in S. Ildegarda) si riferisce propriamente ad una pianta importata nel Medioevo, probabilmente dall'Egitto tramite la Turchia, che acquisto rapidamente fama come rimedio antipodagrico e come mezzo purgativo, restando tuttavia di i discussa identificazione tra il Colchicum Illyricum e il C. variegatum o anche l'Iris tuberosa L., tutte liliacee affini, evidentemente (Bertoldi 1923: 126-7). 3 Reinterpretato infatti come 'senza tempo' perché il colchico fiorisce in autunno. variante sorta forseper immistione di un'altra voce, che ora sfugge alle nostre indagini»: una variante non giustificata insomma, neppur con qualche timido argomento paleografico od altro e forse semplicemente una cattiva lettura di cart(h)amus, documentato gia in Simon Januensis (1288, 1304: Marzell 1: 1372). Sta di fatto, sempre secondo Bertoldi, che mentre citalosa non ha attecchito nei linguaggi romanzi il meno frequente citamus ha (o avrebbe) potuto invece conseguire quest'esito, dato che ad esso e piu precisamente ad un derivato *citamula dovrebbe risalire un vero e proprio fascio di voci alpine designanti il colchico, il cui tipo lessicale e rappresentato dal sigámula riportato dal Michael (1905) al n. 137 del suo studio sul dialetto di Poschiavo, varieta lombarda alpina orientale. Va aggiunto tuttavia, per necessaria completezza, che lo studioso svizzero aveva supposto alla base di questa voce (sul modello del lat. delle glosse cavlc(ü)la da clavicula, REW 1979) un *cicamüla prodot-to per dissimilazione da *ciclamüla < cyclamen 'ciclamino', il cui fiore ha evidenti somiglianze con quello del colchico, confortato dallo stesso Battisti (1924: 152) con-tro l'ipotesi di *citamula, per non dire che la scarsa consistenza della base consente addirittura un andirivieni di posizioni, visto che ai dinieghi di Salvioni (1906: 618, ma cfr. Faré 2434a) e del citato Bertoldi4 fa poi seguito la ritrattazione di quest'ulti-mo (in Pedrotti/Bertoldi 1930: 99). 2. Il punto sulla questione: secondo Bertoldi (1923: 132), ripreso da Stampa (1937: 78), *citamula abbraccia tutto il sistema fluviale della Bernina, ad eccezione dell'Engadina, quindi tutto il corso superiore dell'Adda, il Poschiavino e il corso della Maira con le varianti bregagliotte, quello della Spol con la variante di Livigno, donde la voce e scesa per il passo di Ofen (Pass dal Fuorn) anche nella valle di Monastero, cfr. a Fuldera siómbla d'altun; schiombla 'Zeitlose' (Pallioppi). Un tempo fu questo cer-tamente anche il tipo lessicale dell'alta valle dell'Oglio e forse anche dell'alta valle di Sole, qui giunto oltrepassando il baluardo naturale dell'Adamello e della Presanella: cfr. grigion. schiombla, tschiombla 'colchico', HWbRatorom (2: 726); aggiungendo, sia pur con un punto di domanda, il friul.cargn. siangala, occ. (Forni di Sotto) siángoles pl. (AIS 640, p. 327), bisangule, Pellegrini/Zamboni (1982: 466); DESF (1: 222); siangala 'zafferano primaticcio (Crocus vernus L.)' Penzig (1924: 146). Gli apporti di Pedrotti/Bertoldi (1930: 96; 99) e del cit. Stampa (1937: 77-8) danno buona conferma del tutto: il primo espone nella complessa onomastica del colchico (accanto a tipi concorrenti, isolati arcaismi e sovrapposizioni, cfr. fass. mirándole f. pl.; Cavedago sane f.pl.; cembr. violaster m., Faver olastri pl.) la serie compatta di cigambola f. (Breguzzo), segamble, segambole pl. (Storo), segamole (Bondone), rimangola f. (Castello di Condino),5 commentando: 4 Che obietta il carattere dotto della tradizione di 'ciclamino' e soprattutto la mancanza di conti-nuatori della base primitiva (che dovrebbe essere la piu feconda e la piu antica) in confronto a quella di un'elaborata base derivata: obiezione per la verita tutt'altro che insormontabile. 5 Che nella Val del Chiese segna appunto il passaggio a 'mirándola' (Pellegrini/Zamboni 1982: 328). Anche le Giudicarie hanno un tipo lessicale notevole: cigambola. Benché la voce cyclamen non abbia su territorio romanzo continuatori di stretta fattura popolare, pure non si puó negare la possibilita che i nomi giudicariesi del colchico risalgano a un *cicamula, nato da *ciclamula sul modello di cavicula da clavicula. Ritorniamo quindi alla vecchia idea del Michael che spiegava il poschiavino sigamula (= 'colchico') appunto cosí. Anche meglio fa lo Stampa riguardo al bacino principale lombardo alpino nel capitolo Colchico e croco, che sottolinea preliminarmente la difficoltosa distinzione popolare delle due piante: da inchieste personali il tipo 'cicamula' ricorre in al fa sigámbola 'e ubriaco' (40); sigámpuli pl. (63), sigámuli (70, 72, 73, 74), sigámbuli (78, 80, 82, Tiolo), cigámbula f. (88, 99), cigámula (90, 94), cirámula (92), hibáqgole pl. (172), cigámboli (176), segámbuy, -bula f. (Gandino), sigámula (112, 113), nome che si dice anche alle ragazze e fiore di cui anticamente ci si serviva del per uccidere i pidocchi dei vitelli, fyu cikámul m. (119), fyu sigámmul (129), cigámlaf. (135), cigám(b)la(143);6 da altre fonti posch. sigamula (Michael), scigammuli pl. 'zafferano', ~ d'altoin 'colchico', borm. cigámola 'croco' e 'colchico' (Longa); AIS (640, p. 209) cigamula, -ola 'croco', p. 218 sigámbuli pl. sigámbul m. 'poltrone', p. 227 sigámbuli pl., berg. (Valtorta, Val Brembana) gámber, 7oltre ai materiali giudicariesi di Pedrotti/Bertoldi e al poco chiaro bresc. siborgola (Penzig 1924: 131), mentre in area romancia il tipo occorre soltanto nel monast. schiómla (Carisch), sigmbla d'altun (Vieli). In conclusione, 'cicamula' e sconosciuto nella Bassa Valtellina mentre nella media valle esso si rintraccia a partire dal p. 40 (Caiolo, presso Sondrio) nell'espres-sione figurata che vale 'ubriaco' (e alludera alle note qualita venefiche del colchico) ed e poi diffuso nel resto della valle fino a Livigno: nella Bassa Mera esso fa capo-lino sulla riva sinistra (pp. 112-13, 119), dal lago di Mezzóla fino a Chiavenna, a Villa di Chiavenna e in tutta la Val Bregaglia: si vedano anche per la stessa Bregaglia, Sopraporta e Poschiavo scigamula, cigam(b)la di LSI (4: 698). 2.1. Riporto di seguito (per gentile concessione dei Direttori) l'ordinamento provvi-sorio del LEI: a. *citamülu: tic.alp.centr. (Prosito) tsigámal m. 'colchico (Colchicum autumnale L.)' (Wartburg 1942: 209). b. *citamüla: breg.Sopraporta (Borgonovo) sigámbal f. 'colchico', Sottoporta (Soglio) cigámbla, lomb.alp.or. (Tartano) scigambula f. 'colchico' e 'croco (Crocus vernus L.)' Bianchini/Bracchi, Albosaggia sigámbuli pl. 'croco', Sondrio ~, posch. scigamula f. 'col-chico', sigámula Michael num. 172, Tirano ~ 'croco' Bonazzi, scigamola ib.,8 Sóndalo cigámbala, Cepina cigambula 'colchico',9 borm. cigamola 'croco' Longa, Valfurva cira- 6 Anche qui e sporadicamente nota la commistione con la nomenclatura del veratro: fyur di veládr§ (14). 7 Con aferesi di sillaba iniziale inquantoché, secondo riferisce Bertoldi (1923: 168) da un'informa-zione di P. Scheuermeier, interpretato dai contadini del luogo come 'i gamberi'. 8 Lo spostamento accentuale pare dovuto alle locuzioni in cui la voce e incrociata con tiramola (Bianchini/Bracchi). 9 L'interferenza di gamba ipotizzata da Bianchini-Bracchi non e realmente necessaria, essendo suficiente una spiegazione fonetica: -mb- dissimilato da un soggiacente -m(m)- coda di sillaba debole (intertonica). mula 'colchico',10 Livigno cigámbola, trent.occ. (Storo) segámbole pl., Pedrotti/Bertoldi 96, segamble ib., Castello di Condino rimángola11 ib., Val Giudicarie cigambola f., Bondone segámole pl. ib., Breguzzo cigámbola f. ib. Sintagmi: tic.alp.centr. (Artore) combún ?12 'colchico' (Bertoldi 132), breg. Sopraporta (Vicosoprano) tsigámbla f. d'aton (Wartburg 1942: 209), posch. schigamu-li pl. d'altoin Bertoldi 131, borm. cigamola f. d'altögn Longa, Isolaccia Valdidentro cigámula d'altöü. Breg.Sopraporta (Vicosoprano) tsigámbla de prümaveira 'croco' (Wartburg 1942: 209). Sign.fig.: lomb.alp.or. (Tartano) scigambula f. 'ragazza, anche ragazza leggera' Bianchini/Bracchi), Grosio ~ Antonioli/Bracchi. Locuz.: lomb.alp.or. (Tirano) anda 'n scigambula 'fingere, vaneggiare' Bonazzi, sunä la ~ 'id.' ib., vess an scigamola 'essere insicuro' ib. 2.2. Il friulano siangala, siangola 'colchico' (PironaN 1037), attestato in area carnica e ampezzano-fornese nelle raccolte locali (Gortani 2: 108) e generali (Penzig 1924: 1312), citato (col dubbio) da Bertoldi (1923: 132 n. 2) e poi da Battisti (1924: 152), e discus-so in Pellegrini/Zamboni (1982: 328, 340-2), anche in base alle poche risultanze geo-linguistiche di AIS 640 e di ASLEF I, 421 carta 47: siángalas pl. a Vico (p. 22a), ziángo-les pl. a Forni di Sotto (p. 23), ciándule, raccolto ma non confermato ad Artegna (p. 64), senza che vi si raggiungano novita rispetto alla vulgata di *citamüla, *cicamüla. Incerto resta infine il nesso con bisangule, denominazione isolata del narciso (Narcissus poeticus L.),13 raccolta a Raveo (p. 26) dall'ASLEF I, 475 e gia nota al Gortani (2: 119) e al PironaN 56; Pellegrini/Zamboni (1982: 466); DESF (1: 222). 3. Il panorama resta dunque insoddisfacente e impone la ricerca di altre soluzioni, diverse da quella d'un prelatino *citamus ipotizzata in prima battuta dallo stesso LEI ma in ogni caso sprovvista di una vera base documentaria. A questo scopo credo utile ripartire dal commento di Pedrotti/Bertoldi (1930: 98-101), che esordi-sce con la testimonianza isidoriana (Etym. xvii, 9, 48) di milimindrum 'giusquiamo' glossato «milimindrum vulgus dicit hyoscyamum propter quod alienationem mentis 10 Con sovrapposizione di rama (Bianchini/Bracchi). 11 Zona della Val del Chiese di sovrapposizione e di passaggio fra i tipi 'mirándola' e 'cigamola' (Pellegrini/Zamboni 1982: 328). 12 Di genere indeterminabile: forse fusione di 'cigámula d'altón 'croco d'autunno' ossia 'colchico'? O meglio, connesso col tic. cimbol (Moghegno, Sonogno), cimborio (Sonogno), ciumbol, ciumbul (Val Verzasca) agg. 'ubriaco' (sempre per le note qualitá venefiche) ossia in definitiva con la diffusa locuzione in cimba(r)li 'brillo', 'ilare' dal passo latino «laudate eum in cymbalis bene sonantibus, laudate eum in cymbalis jubilationis» del Salmo CL, 5 (VDSI 5: 281; LSI - 1: 811; DELI 339). 13 Che in area tedesca sett. mostra qualche interferenza con la nomenclatura del colchico: Seddloschen, Ziddloschen (Kiel) ossia íZeitlose,, Marzell (3: 273). inducit»: entrambe le piante sono infatti velenose14 e usate per scopi simili nella medicina popolare, col che si spiega facilmente l'intersezione delle nomenclature rispettive. Il nome, di verosimile pertinenza celtica, si continua soprattutto nella Ladinia centrale (in area adiacente a quella di *cicamüla), nelle varianti milàndores pl., mirándoles, minándoles ecc., con le lontane eco iberiche dello sp. milmendro e del port. meimendro, che insieme con poche15 altre ne garantiscono l'arcaicità di fronte alla folla delle innovazioni posteriori e più trasparenti. Altro in sostanza non c'è e la questione si ritorce su *cicamüla, fortemente indiziato a questo punto d'essere un filone derivato (e piuttosto elaborato) d'una base già nota: in tale prospettiva il candidato d'obbligo è appunto 'giusquiamo ', la nota solanacea velenosa.16 Il lat. hyoscyamus m. (noto da Columella e Celso) hyoscyamum n. (Plinio, Ps.-Apuleio), iusquiamus (Discoride), yosc-, yosqu- (Oribasio), è ricalcato sul gr. OGKÙa^oç 'fava porcina' (per la forma del bulbo) e conta numerose alternative lessicali come adamantu(m), altercum, Apollinaris, calycularis, faba lupina, insana, sinfoniaca(m), milimindrum: ThesLL (VI/2: 3145-6); André (1956: 127). Tuttavia, nonostante e contro la seriore continuità di queste, esso non sembra elevarsi oltre una tradizione a mala-pena semipopolare (comunque minoritaria), a giudicare dalle attestazioni medievali, puri e semplici nomi di spezieria, e dai riflessi moderni: fr. jusquiame (dal sec. XIII), fr.a. jusquiainne. m.fr. jusquiman, dial. jussiame, junscane, occit. jusquiam, Drôme jusclia, aveyr. jusclamo, Vd'Aure yousquiamo; m.fr. hyoscyame (1611), hyosciame (1732): FEW (4: 524).17 Quanto all'italiano, il Penzig (1924: 236-7) riporta per l'Hyoscyamus albus L. tosc. giusquiamo bianco, iosciamo, jusquiamo, lig.nizz. giuschiama (il cui genere parla per 14 Il colchico, in particolare, contiene specialmente nel bulbo e nei semi un potente veleno, la col-chicina, molto pericolosa per il bestiame che pascola e anche per i bambini che inavvertitamente ci giocano: per i riflessi di queste nozioni nella farmacopea medievale cfr. anche Bertoldi (1923: 126-7). Quanto al giusquiamo, mangiato o bevuto in decotto, provoca alterazioni della mente, come insegna anche il latino mediev. insana, non privo di continuazioni volgari, cfr. nel Trentino zani pl. (Fai della Paganella), sane f.pl. (Cavedago) 'capsula coi semi': in realta voce popolare nel latino tardo, come attestano Sereno Sammonico (sec. III) e lo stesso Isidoro (Etym. xvii, 9, 41) «haec erba et insana vocatur, quia .... si bibatur vel edatur, insaniam facit». Si tenga presente che insanus (accanto a demens e a furiosus 'persona che non e in grado di contenersi, pazzo conclama-to', di tradizione costante fin dalla legge delle XII Tavole) e il termine centrale per 'pazzo' nel les-sico latino (Zamboni 2006-07: 571-2, 579, 587). 15 Per esempio, e in riferimento al colchico, il valsuganotto lavene pl. (gall. lagena?) 'pianta prima-verile colle foglie', il cemb. olastri pl. violaster 'id.', tributario della nomenclatura del veratro) e il trent.occ. spressate, spersate pl. 'bulbo' (lat. di glossa sparsio). 16 Perché le sue foglie contengono la giusquiamina, dalle proprieta narcotiche e calmanti: i semi erano invece rinomati un tempo nelle campagne perché efficaci contro il mal di denti, cosa che ingenera notevoli intersezioni con la nomenclatura della celidonia (Chelidonium Majus L.), a partire dal tipo 'erba di Sant'Apollonia', Pellegrini/Zamboni (1982: 311; 430-1). 17 E numerose altre, spesso di genere f., in Rolland (8: 93): fra le tante, jusquiau, jusquiane, juskia-ma, juskiano, justiame, justiano, jusc(l)ano, juskémé, justiné, janscane, jussiame, l'interessante jame (Charente Inf.) ecc. un nesso occitanico), salent.lecc. iosciamo, sard. iosciamo; e per l'H. Niger L. tosc. giu-squiamo nero, piem. giosquiamo, ast. osquiamo, lomb.com. osquiam, ven.ver. giosquiamo, pochi e residuali entro un'ampia tradizione popolare nella quale emergono anche resti di basi storiche, cfr. tosc. alterco, lig. (Porto Maurizio) simprineigua e abr. (Lama) gian-frignacca (ossia sinfoniaca); tosc. erba apollinaria, ~ apollinea, emil. lèbur (ossia elleboro, altra pianta velenosa). Al patrimonio culto Alessio 217 ha tuttavia il merito d'aggiun-gere, oltre al sic. iosciamo (di modello accentuale latino?) e al salent.ant. josciamo (sec. XVIII), il salent. erva d'assame, èrva r'assane, asssème f. (in VDS 1: 62 'erba di sciame'), sciama (anche 'verbasco'), sciamu m. (anche 'salvia'); ervë dëssamë f., ssamë m., ussème m., otrant. sciamo m. 'giusquiamo', collegandoli (unico a mia conoscenza) al piemon-tese (?) di Val S. Martino erba de la ciamo (tratto dal succitato Penzig, che dà pure lecc. sciamo) e, aggiungo io, al succitato fr. di Sud-Ovest jamë. Ignoro se qualcuno abbia già avanzato un'ipotesi del genere, ma perché non pensare proprio a hyoscyamus (REW 4250; Faré; Alessio 217), partendo appunto da una base affine al semipopolare merid. 'samo'? Ne occorrerebbe naturalmente supporre un ampliamento *hyoscyamüla > *sciamüla (analogo del resto a *citamüla, *cic-!), facilmente restituibile negli adattamenti locali con sa-, si-, ca-, ci-, sia-, si- che, rispetto al tipo semplice, verrebbe a costituire una base ragione-vole per gli esiti sigàmula, ci(g)-, si(g)àmbul(a), supponendo per quest'ultimo un -mülu sincopato in -mlu e un successivo scioglimento del nesso consonantico -ml-con l'inserzione di -b-; cosa che, oltretutto, si adatterebbe meglio anche al friul. siangala, emergenza laterale ed isolata, che urta contro la caduta di -d- (< -t-) implicata da *citamulu- ed è invece meglio compatibile quella d'altre sonore, per la verità con -g-, che dilegua in plae 'piaga', leâ 'legare' ecc.: se palatale in ro(j)e 'roggia', corée 'correggia', màine < imagine 'cappelletta', tant'è vero che il nesso iniziale sia- non accoglie la -g- di refezione > siga- propria invece delle forme giu-dicariesi; ma anche -v- è piuttosto stabile, cève 'cipolla', pavée 'farfalla', avonde 'abbastanza', savalón < *sabülone 'sabbia'. A rigor di termini dunque, da un *(hyo)scyamüla ci si aspetterebbe un esito finale *siàmula, *siambla o *siambula. Osservo tuttavia la pur lontana coincidenza della variante hibáygole pl. 'croco', raccolta sempre da Stampa (1937: 77) a Cortenedolo in alta Val Camonica (p. 172), che passa necessariamente attraverso una metatesi *sigámbola > *sibángola (con successivo s- > h- tipicamente lombardo orientale), di quella giudicariese (Castello di Condino) rimàngola, segnalata da Pedrotti/Bertoldi (1930: 96) in area di connessione con 'mirándola', cfr. n. 5, e quella bresciana siborgola registrata dal Penzig: il friulano stesso ne ha infine un'ulteriore versione, seppur non con-fermata, nel ciándule di Artegna (p. 64). Un parallelo friulano è senz'altro possibile, anche se restano vari dubbi sulla componibilità di tante dispersioni: d'altra parte, queste formazioni in -àmola, -àngola, -àndula ecc. ricalcano piuttosto bene 'mirándola', estraneo si al friulano ma non al ladino-centrale e alto-bellunese e perció facilmente esposto ad interagi-re con *(hyo)scyamüla: ragionevolmente giustificando insomma l'acquisizione d'un nuovo filone autonomo ed elaborato di hyoscyamus, più vicino alle forme popolari e arealmente, come ci si puo attendere, relittario e marginale, tuttavia entro un omogeneo areale alpino e subalpino. Bibliografía Fonti e repertori Ais = Jaberg, Karl/Jakob Jud (1928-40) Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz. Zofingen. Alessio = Alessio, Giovanni (1976) Lexicon etymologicum: supplemento ai dizionari etimologici latini e romanzi. Napoli: Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti. 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Bertoldi (1923: §§ 71-3) ad una glossa mediolatina citamus, citomus, riportata nel Diefenbach ma piuttosto isolata e possibile cattiva lettura di cart(h)amus (1288, 1304). L'ipotesi passa attraverso un suffissato (e non documentato) *citamüla, che renderebbe le numerose varianti dialettali attraverso una normale lenizione di -t- > -d- > -0- (con eventuale refezio-ne tramite -g-) - tratto fonetico estraneo tuttavia al friulano - e si oppone a quella sostenuta in prima istanza da Michael (1905), che pensava ad un *cicamüla dissimilato da *ciclamüla, derivato da cyclämen 'ciclamino', i cui fiori hanno somiglianza con quelli del colchico e del croco. Va tuttavia riconosciuta ad Alessio la valorizzazione del meridionale šamo 'giusquiamo', solanacea velenosa di lontana tradizione per le sue proprietà farmacologiche (cosi come per il colchico, una liliacea): una forma, almeno semipopolare, che a mio avviso puo esser stata diffusa anche in aree settentrionali, sempre in una variante suffissata *,sámula, *siá- che rende facile conto del patrimonio grigionese schiombla (/š/!), lombardo segám(b)ola, meno invece del friulano siángala. Una nuova soluzione che offre il vantaggio di recuperare un filone autonomo ed elaborato di hyoscyamus in un areale alpino sostanzialmente omogeneo. Povzetek NOVA OPAŽANJA O SREDNJELATINSKI BOTANIČNI BESEDI: CITAMUS 'PODLESEK' Graubundensko schiombla, tschiombla 'podlesek', vzhodnoalpsko lombardsko cigam(b)ula, si-, zahodno tridentinsko (Giudicarie) čigambola, segambola itd. so, morda skupaj s sporadičnim podalpsko furlanskim siangala, v znanem Bertoldijevem delu Ribelle (1923: §§ 71-3) pripisane srednjelatinski besedi citamus, citomus, ki jo navaja Diefenbach, vendar je precej osamljena in morda izhaja iz slabega branja besede cart(h)amus (1288, 1304). Ta hipoteza nato upošteva priponsko (in nedokumentirano) besedo *citamula, iz katere naj bi nastale številne narečne različice prek običajne leniza-cije -t- > -d- > -0- (z morebitno okrepitvijo s pomočjo -g-) - fonetične značilnosti, ki je sicer furlanščini tuja - in nasprotuje domnevi, ki jo je najprej zagovarjal Michael (1905), ko je imel v mislih besedo *cicamula, nastalo z disimilacijo iz *ciclamula, iz cyclamen 'ciklama', katere cvetovi so podobni cvetovom podleska in žafrana. Pač pa je treba Alessiu priznati vlogo pri ovrednotenju leksema iz južne italijanščine šamo 'črni zobnik', imena strupene razhudnikovke, ki ima dolgo tradicijo zaradi svojih farmakoloških lastnosti (tako kot podlesek, ki spada med lilije); ta oblika je vsaj napol ljudska in se je po mnenju avtorja tega prispevka lahko razširila tudi na severna področja, ravno tako kot pripon-ska različica *šamula, *sia-, ki jo je zlahka mogoče povezati z graubundensko obliko schiombla (/š/!), lombardsko segam(b)ola, manj pa s furlansko siangala. Prednost takšne nove rešitve je v tem, da predpostavlja obstoj samostojnega in razdelanega niza, izhajajočega iz besede hyoscyamus, na praktično homogenem alpskem območju. Roberto Gusmani Università di Udine UDK 811.132.1'373.21:81'373.6 IL TOPONIMO FRIULANO nimis La prima attestazione del nome di questa località a nord di Udine, in prossimità di Tarcento, è il (castrum) Nemas che compare in due passi di Paolo Diacono (IV, 37 e V, 22), cui fanno riscontro le testimonianze, di qualche secolo posteriori, rac-colte da Di Prampero (1882: 120-121): Nemas attorno al 1000, Rodopertus de Nimes (1170), Erluinus de Nimecz (1210), Harluinus de Nemis (1234), plebs de Nimis (1247), in Nimiso (1254), homines de Nimis (1270), in villis de Nimis (1275), in Nimis (1300). Dunque le ricorrenze più antiche sono caratterizzate dal vocalismo a/e nella silla-ba finale oltre che da una e in quella iniziale: una variante Nemis compare peraltro anche in una registrazione orale effettuata nella prima metà del secolo scorso (Schürr 1930: 320).1 Per quanto riguarda l'etimo, l'unico in circolazione risulta esser quello propo-sto (probabilmente per primo) da F. Schürr (1930: 319-320), secondo cui il toponimo risalirebbe ad una forma celtica affine alla denominazione in età classica della città di Nîmes (provenzale Nemse), cioè Nemausus, a sua volta messo in rela-zione con l'appellativo nemeton «bosco sacro» ben documentato in gallico.2 Mentre la ricostruzione di un prototipo celtico veniva revocata in dubbio da A. Prati (1936: 97-98), che accennava piuttosto vagamente alla possibilità di un'origine paleoveneta del toponimo, l'etimo di Schürr veniva sostanzialmente accolto da G. B. Pellegrini (1972: 289) e, sia pur con alcune riserve, da G. Frau (1969: 264-265; v. anche 1978: 86) ed è stato riproposto in più occasioni da C. C. Desinan (p. es. 1977: 144 e 1984: 24). Pur concedendo che la communis opinio ha dalla sua un'indubbia somiglianza esteriore tra Nimis e Nîmes - che pero potrebbe anche essere del tutto casuale -, sarà lecito sottoporre a vaglio anche ipotesi differenti, tanto più che man-cano in area friulana altre tracce del termine gallico che starebbe alla base dei nomi delle due località.3 Ora, se si pone mente alla circostanza che Nimis è situata a poca distanza dall'im-bocco della valle del Torre, dove per secoli si è parlato un dialetto sloveno (tersko) le 1 Al toponimo risaliranno pure cognomi quali Nimis (presente a Tarcento e nella stessa Nimis), Niemiz (nella vicina Faedis) e forme analoghe. Del tutto isolato e invece il Nimes su carta catas-tale di Raveo in Carnia (Frau 1969: 264). 2 Per la documentazione di Nemausus e nemeton si rinvia a Holder (1962: 698 e rispettiva-mente 712). 3 Non si potra considerare tale la legenda nemet su alcune monete rinvenute in area carnica e a nord dello spartiacque alpino, che andra messa in relazione piuttosto col nome della tribu (germanica?) dei Nemetes. cui tracce persistono tuttora soprattutto nell'onomastica,4 è a mio giudizio opportuno prendere in considerazione la possibilità che il toponimo friulano sia di origine slava. In effetti la forma più anticamente attestata, Nemas, potrebbe senza sforzo esser ricondotta ad un prototipo paleoslavo nëmîd, con lo jer finale regolarmente caduto e quello in posizione forte vocalizzato in /a/, come parzialmente succede anche in slo-veno, mentre la continuazione di /ts/ con una semplice sibilante sarebbe interpreta-bile come riflesso dell'adozione del nome da parte di una varietà friulana, cui è estra-nea l'affricata. L'ipotesi di 'friulanizzazione' di un toponimo slavo darebbe conto, tra l'altro, dell'indebolimento del vocalismo della sillaba finale nelle varianti più recenti Nimes e Nimis, che presenterebbero uno sviluppo parallelo a quello della terminazio-ne del plurale dei nomi femminili (-is < -as). Della resa in tersko di jat' paleoslavo si dirà più avanti. Com'è noto, nëmici è il termine paleoslavo per «tedesco», di origine discussa,5 le cui continuazioni compaiono in diverse lingue slave anche nella formazioni di (micro)toponimi: per l'area slovena basterà menzionare Nemška Loka, Nemška Vas, Nemški Rovt nella Krajna (Miklosich 1927: 287), Nemec, Nemci ecc. in Bezlaj (1961: 50) e gli altri esempi addotti da Bezlaj (1982: 219) e da Pohl (2005: 507). Che tra il nome di Nimis e il termine slavo per «tedesco» esista una relazione,6 è del resto sug-gerito dalla circostanza che nel dialetto della valle del Torre7 il corrispondente toponimo Niéme (un plurale tantum come di frequente nel caso di nomi di località derivati da etnici, cf. Miklosich 1927: 204) ha accanto a sé l'aggettivo di pertinenza niém-ski, quasi coincidente con niémški «tedesco».8 D'altro canto il nome etnico locale per «Tedesco» è Niémac, di cui Nemas - la più antica occorrenza del toponimo, come si è visto - potrebbe ben rappresentare un adattamento in bocca romanza. 4 Una copiosa documentazione del tersko fu a suo tempo raccolta da Jan Baudouin de Courtenay: il materiale, rimasto a lungo inedito, è da poco reso accessibile in Spinozzi Monai (2009). Purtroppo attende ancora la pubblicazione il glossario approntato sulla base di rilevamenti, com-piuti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, da P. Merkù, che ho potuto consultare per la cortesia dell'Autore che pubblicamente ringrazio. 5 Cf. la recente proposta di H. D. Pohl (2005: 507 e ss.) che pone alla base un originario etnonimo, forse di matrice celtica, successivamente passato a designare specificamente i Tedeschi, con un accostamento paretimologico a nemü «muto». 6 Se l'etimo qui proposto coglie nel segno, bisognerà pensare alla presenza in zona di qualche elemento tedesco già in età altomedievale: un indizio potrebbe essere rappresentato dagli antropo-nimi germanici menzionati accanto alle più antiche testimonianze del toponimo che abbiamo ricordato all'inizio. 7 Qui e in seguito si rinvia per la documentazione del tersko a Merkù (inedito) e a Spinozzi Monai (2009): nel repertorio di Merkù i rispettivi lemmi sono facilmente rintracciabili perché ordinati alfabeticamente, mentre il materiale raccolto (ma non ordinato) da Baudouin de Courtenay è ora pienamente accessibile grazie ai preziosi indici predisposti dalla Curatrice. 8 Nelle schede di Baudouin de Courtenay si trovano registrati njemski «di Nimis» e rispettiva-mente po njemšken «in tedesco» (si semplifica qui il complesso sistema di notazione grafica usato dallo studioso polacco, per cui si rinvia a Spinozzi Monai 2009). Si aggiunga che, nell'ipotesi d'una connessione con némici, il tersko Niéme e i suoi derivati mostrerebbero la stessa continuazione di jat' paleoslavo che troviamo in miera «misura» < mera, rieč «cosa» < reči, miesac «mese» < meseci, hlieu «stalla» < xlevü, (g)rieh «peccato» < grexü, hliebac «pane, pagnotta» (accanto ad esempi di hleb / hlep) < xlebü «pane» e via dicendo. Nel supposto prestito romanzo questo dittongo /ie/ del prototipo tersko si sarebbe successivamente ridotto a i (Nimis) con uno svi-luppo secondario ben documentato in friulano: cf. gli esempi del passaggio di ie, sorto da *e tonica, a i (mil, intir, vinars ecc.) addotti da Ascoli (1873: 489). Sulla scorta delle indicazioni raccolte, una trafila dal tersko Niémac (o sim.) a Nimis risulta pertanto plausibile, mentre un percorso inverso dalla forma friulana a quella del dialetto del Torre non avrebbe alcuna verisimiglianza. In conclusione mi sembra che l'ipotesi di un prestito antico dalla vicina parlata slovena, irreprensibile dal punto di vista fonetico, vada presa in seria considerazione e che non sia necessario mettere in campo, per l'etimologia di Nimis, un ipotetico sostrato celtico. Bibliografía Ascoli, Graziadio Isaia (1873) «Saggi ladini.» Archivio Glottologico Italiano 1, 1-537 Bezlaj, France (1961) Slovenska vodna imena. II. Ljubljana: Slovenska akademija znanosti in umetnosti. Bezlaj, France (1982) Etimološki .slovar slovenskega jezika. II. Ljubljana: Slovenska akademija znanosti in umetnosti. Desinan, Cornelio Cesare (1977) Problemi di toponomastica friulana. Contributo II. Udine: Societa Filologica Friulana. Desinan, Cornelio Cesare (1984) «A proposito di Celti nella toponomastica friulana.» In: G. Fornasir (a cura di), Studi forogiuliesi in onore di Carlo Guido Mor. Udine: Arti Grafiche Friulane, 3-40. 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La forma Nimis sarebbe il risultato della 'friulanizzazione' del lessema slavo presente nel dialetto sloveno della valle del Torre situata a poca distanza dalla località friulana in questione. Povzetek FURLANSKI TOPONIM NIMIS Prispevek se ukvarja z izvorom imena kraja Nimis blizu Vidna, ki se prvič omenja pri Pavlu Diakonu. Po doslejšnji razlagi, ki jo je predlagal F. Schurr (1930), naj bi furlanski toponim izviral iz keltske oblike, sorodne s francoskim toponimom Nîmes (provans. Nemse) oz. latinskim Nemausus. V nasprotju s to interpretacijo avtor meni, da bi bil toponim Nimis lahko slovanskega izvora; izhajal naj bi namreč iz staroslovanskega nëmïcï (»Nemec«), ki naj bi v lokalno romansko varianto prišel iz bližnjega terskega narečja in se furlaniziral. Federico Vicario Università degli Studi di Udine* UDK 811.131.1'373.2"13" IL CATALOGO DI DONNE DI VENZONE (SEC. XIV) 1. PREMESSA Lo studio della scripta volgare tardomedievale consente, in generale, di acquisire importanti informazioni sulla storia delle varietà neolatine, una scripta che anticipa, molte volte, quei fenomeni e quelle strutture che vanno a costituire, con il tempo, i caratteri tipici delle singole varietà. Ció è indubbiamente vero anche per il friulano, che possiede una cospicua tradizione manoscritta, tra XIV e XV secolo, soprattutto per quanto riguarda le scritture usuali, le carte di uso pratico. Si tratta di documenti, come minute di notai e di camerari, registri di comuni e di confraternite, che offrono importanti e anche vivaci testimonianze, in friulano, sulla vita delle comunità e sull'economia del tempo. Gli elementi di lessico comune che si possono isolare e studiare, con la lettura delle carte, sono numerosi, senza dubbio, ma ancora più numerosi sono gli antroponimi e i toponimi attestati nei documenti: se infatti i contesti e i tipi di operazioni riportate nelle carte si ripetono, anche di frequente, è l'onomastica invece a cambiare continuamente, con la costante segna-lazione di nuovi luoghi e di nuove persone interessate alle singole operazioni. Il problema del censimento di questo vasto patrimonio documentario, avvertito, si puó dire, già dalla metà dell'Ottocento, pare finalmente vicino alla soluzione. Devo segnalare, a questo riguardo, i positivi risultati conseguiti dal pluriennale progetto di ricerca Documenti antichi dagli archivi friulani, diretto da chi scrive, avviato ormai nel febbraio del 2003. Si tratta, in particolare, di un progetto promosso dalla nostra Società Filologica Friulana di Udine in convenzione con il Ministero per i Beni culturali e con la Soprintendenza archivistica per il Friuli-Venezia Giulia, un progetto che prevedeva una ampia ricognizione, sistematica e tendenzialmente esauriente, dei fondi documentari antichi del Friuli storico fino alla fine del XV secolo. Nel primo triennio di lavoro, fino al febbraio del 2006, sono stati impegnati una ventina di collaboratori, tra archivisti e paleografi, e sono state prodotte circa 4.000 schede catalografiche, rivolte alla descrizione di archivi (enti conservatori ed enti produttori), fondi, serie e singoli documenti di interesse. Contestualmente alla ricognizione degli archivi, sono stati segnalati e trascritti un cospicuo numero di documenti di uso pratico in volgare friulano. Nel marzo del 2006, per presentare i risultati del progetto, si è tenuto a Udine un convegno di studi, gli atti del quale sono stati recentemente pubblicati sul primo numero del 2007 [ma: marzo 2009] * Indirizzo dell'autore: Dipartimento di Lingue e Letterature germaniche e romanze, Via Mantica 3, 33100 Udine, Italia. Email: federico.vicario@uniud.it / federico.vicario@tele2.it della rivista Rassegna degli Archivi di Stato.1 Ci si augura, naturalmente, di poter riprendere al più presto il lavoro, bloccato in attesa della stipula di una nuova con-venzione, auspicando anche un maggiore coinvolgimento della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in particolare della Direzione degli archivi, Regione che è chiamata ad assumere un ruolo centrale nel complesso sistema di conservazione e di valorizzazione dei beni culturali del nostro territorio.2 In questo contributo, che con vero piacere offro al prof. Mitja Skubic, insigne romanista e appassionato studioso dei fenomeni di contatto tra il mondo romanzo e il mondo slavo, mi propongo di riproporre e di commentare un documento del Trecento proveniente da Venzone, località a pochi chilometri da Gemona del Friuli, un documento ricco di spunti relativi al lessico e all'onomastica antica del Friuli. 2. IL CATALOGO DI DONNE DI VENZONE DEL XIV SECOLO La Biblioteca civica di Udine, erede del Museo cittadino, conserva collezioni mano-scritte di straordinario interesse per la storia e per la cultura friulana. Grazie ad un impegnativo programma di ricognizione dei fondi della Biblioteca e di pubblicazione dei documenti antichi in volgare friulano, condotto negli ultimi dieci anni, vd. Vicario (1999, in particolare la Premessa, pp. 13-17, per la presentazione del lavoro), disponia-mo di un complesso di edizioni che al momento, quanto meno per ampiezza, in Friuli non ha pari. Nel corso degli anni, in particolare, è stato quindi pubblicato un registro del 1382 della Confraternita di Santa Maria dei Battuti di Udine, che si occupava del-l'amministrazione dell'ospedale cittadino, un quaderno di cameraria della Pieve di Tricesimo, per gli anni 1426-1437, i cospicui rotoli della Confraternita dei Calzolai di Udine, dei primi del Quattrocento, in cinque volumi - quattro contenenti l'edizione delle carte e il quinto con il glossario e gli indici onomastici - e infine tre volumi miscellanei di carte antiche, a partire dalla fine del XIII secolo, di varia provenienza e dimensioni.3 Nell'ultimo di questi volumi, quello del 2008 (pp. 145-152), ho presenta-to anche una pergamena del XIV secolo, Y Elenco di iscritte a un pio sodalizio di Venzone. Si tratta del secondo manoscritto venzonese della Biblioteca civica di Udine, per 1 La pubblicazione, cui naturalmente si rimanda, contiene la presentazione del progetto e i suoi risul-tati, vd. Vicario (2007a), una serie di articoli su singoli fondi documentari o aree della regione e, infine, una breve rassegna di testi friulani antichi segnalati nel corso della ricerca, vd. Vicario (2007b). 2 La segnalazione e la descrizione paleografica dei documenti tardomedievali in volgare non esaurisce il compito di chi si proponga di portare un contributo allo studio del friulano antico, ma senza dub-bio si pone come punto di partenza fondamentale per lo sviluppo di un programma di pubblicazione dei documenti stessi. Solo a partire dalla costituzione di un ampio repertorio di forme antiche si puó passare, infatti, alla redazione di opere di ampia prospettiva diacronica, come un vocabolario storico, un dizionario dei nomi personali, una storia della lingua. 3 Previsti in uscita nel 2009 sono gli indici lessicali e onomastici relativi a questi tre ultimi volumi pubblicati. ampiezza, il primo essendo stato pubblicato, nel 1874, da Alexander Wolf, un cospicuo inventario di redditi della locale confraternita di Santa Maria dei Battuti.4 La pergamena, della quale riproponiamo qui la trascrizione, con un paio di marginali interventi all'edizione e con commento linguistico, è legata all'interno del quarto volume della raccolta delle Pergamene Friulane, un volume che raccoglie documenti, non numerati, dal 1393 al 1406.5 L'intitolazione Catalogo di donne di Venzone probabilmente iscritte in un pio sodalizio è da attribuirsi a Vincenzo Joppi, come anche la datazione del pezzo al XIV secolo. Di questo documento, interessante soprattutto per l'onomastica personale, si sono occupati anche Giovanni Battista Corgnali (1934), per la discussione, in particolare, del formante diminutivale -ùs e -ùz per il femminile, e Gianfranco D'Aronco (1982, pp. 77-81).6 La pergamena è perfettamente regolare e piegata in quattro, con facciate da mm. 315 x 230 (stesa misura mm. 315 x 450), ed era utilizzata come coperta di un fascicolo d'archivio, appartenente ai conti Antonini: ció si desume da una nota del 1682, che compare sull'ultima facciata del fascicolo stesso.7 L'elenco è vergato da più mani, come si puó rilevare dalla variazione degli stessi tipi onomastici e lessicali all'interno del testo, ed è quasi sicuramente mutilo, dal momento che comincia senza alcuna intestazione; Corgnali suppone, tra l'altro, che esso dovesse comprendere anche gli Statuti della fraternita di Santa Maria dei Battuti di Venzone, che sono peró andati perduti. Si è aggiunta, nell'edizione, la numerazione delle righe, assente sul manoscritto. Il Catalogo comprende in tutto 219 nomi, disposti su due colonne; nell'edizione si va a capo ad ogni riga, numerate sul margine destro della pagina, e si segnala, in nota, il cambio di colonna. Le parole vergate unite nell'originale sono state separate secon-do l'uso moderno, con il trattino orizzontale, quando si ha elisione di vocale; anche le maiuscole sono state segnate secondo l'uso moderno. Le note all'edizione sono riportate in numeri romani alla fine di ogni carta. Sono stati aggiunti, infine, alcuni accenti tonici (gravi) per facilitare la lettura e la comprensione del testo. 4 Pubblicato integralmente, con revisioni e integrazioni all'edizione, il manoscritto è ora presen-tato in Vicario (2006-08, vol. II, pp. 13-59) e commentato, dal punto di vista lingüístico, in Vicario (2008a), lavoro al quale si rimanda anche per una presentazione, più generale, dei fondi manoscritti di Venzone. 5 La raccolta delle Pergamene friulane corrisponde al ms. 1231 del Fondo Principale della Biblioteca e questo quarto volume, in particolare, al ms. 1231/4. 6 Il Catalogo di donne era stato segnalato al Corgnali dallo stesso Joppi, cui si deve materialmente anche la raccolta delle Pergamene friulane; questo pezzo, nonostante il suo indubbio interesse, non viene pero inserito dallo studioso di Tarcento nella sua nota antologia dei Testi inediti friu-lani, che pubblica nel 1878, con commento linguistico di Graziadio Isaia Ascoli, sul quarto numero dell'Archivio Glottologico Italiano. 7 La raccolta delle Pergamene friulane corrisponde al ms. 1231 del Fondo Principale della Biblioteca e questo quarto volume, in particolare, al ms. 1231/4. c. 1r Katerina del Mulin1 Domenia Pilot Chumina la Schusarie11 Uliana Ingistalt Catarina di Simon Mian 5 Madalena Merlot La baia Baldifar Pif mogler111 Cristoful sartor Blasiola Bafeit La Quochula 10 Crofessa Francescha mogler Stefin Madalena Taragnot Vignuda Filit Tomasina di Indriüs 15 Margaretta Corat Madalena di Sant Qorf Vignudis di Nichulau Paculin Madalena Fifot Cataruf Stolf 20 La Iostanella Provencia Savi La mogler Vidifo Nuse Chichan Margaretta Rodonger 25 Uliüs Babos La Marchiole Vignut Pagisin Iustina di Samonf Chiliana 30 Catarina Lafarin Gitüs monica di santa Maria La Ufilutta Galdrut dicta Pirlüs1v Cataruf di Iacum Cof 35 Gnisüs Galuf Viniria Vignuda di Simon Indrich Ursula Martin fari Galdrut di Pontaleon 40 Margaretta Cont Cuminuf Mulaif Madalena Coset Sabida mogler Fidrich Madalena di Lenart carador 45 La mogler Iosef fari Catari[n]a Candin Pitilin Catarina Panfeir Chuchuluf Scorset La Scorsetta 50 La mogler Candon Flor Tomat Cof Aricafina Betta Claboch Margiritüs di Iacum da Ridolf 55 Francescha Sant Cataruf Prinel Madalena Qichut Vignudaf Dona Ursula 60 Margaretta Uanegar Gitüs Uischang Catarina Pacet Anussa mogler Benedet Birtulina di Pluorn 65 Catarina neca Canduc I colonna di sinistra II anche Corgnali, vergato pero Schusaric III vergato mol con abbreviazione; in seguito anche mogler e muglir per esteso iv colonna di destra c. 1v Clara la Çuanella1 Luca Bidot Margeretta mogler Lorenç La Blaudine11 70 Margaretta Micul Bos Gnesa Dot Tussa Vigliset Dona Nicholosa Vignuda di Iacum Martin 75 La Missetta La Tarnabane Vignuda figle Zuan Baffe Cataruç Çaçarel Lena mogler Dinel Marabeç 80 Lena la monia Lorença Candös Dona Baltrama Madalena mogler Martin Broilet Claruç mogler Çorç Toschan 85 Catarina Trapan La Biçuita Catarinaiii mogler Niculau Maurisiv Betta Lenardin Dona Lena 90 Kataruç del Michis Mos mogler Petri del Ost Sabida la Masile Birtulina di mestri March Mancilina 95 Vignuda Pigurin Francescha Fiçot Palmuç Fuçùs Dona Biatris di Pertistan La mogler Bertul Rix 100 Margaretta mogler Andrea Pilotv Silia di Iacum Philipan Marta Biatavi Dona Cirincina Margaretta Canduç 105 Catarina mogler Çorç di Samonç Catarina la Bergine Vignuda Matio Broilet Dorotea di Moç Katarina Cuchuluç 110 Vignuda mogler Durich Todesch Culussa Iacum Scriç La rimita di sant Iacum Margaretta Pitul Milena 115 Catarina Uargent Niculusse Michel dela Nera Çuana di Bortolomio Poç Madalena mogler Siart Meçinbrout Birtulina Pieri Iaculg 120 Margaretta di Mena La mogler Iançil del Lion Vignuda Muy Galiana Miniùs mogler Bortolot l-Ugulinvii Tonie figlie del Çot Vinta mogler di Pieri Carnel Margaretta Gnesan Dona Simona di Antony Poç La Çotta Minot Katerinaviii la mogler di Simon Vignut Menia di Niculau cartar La mogler Iacum dell[a] Plaça colonna di sinistra si corregge qui la lettura proposta in Vicario (2006-08, vol. I, p. 148) con ta nell'interlineo superiore vergato Maris con abbreviazione colonna di destra Corgnali antepone un dona che non c'è con segno di abbreviazione superfluo aggiunto dalla stessa mano sulla stessa riga c. 2ri Çuanina Pilirin mulinarii La mogler Indriùs Piçul 135 Madalene de N. Pieri Menis Catarina la Zacha[...] de Mozo Madalena de Madùs de Resia Subette mogler cu fo Pieri Zanpel Agite di Iachum Zunchunin 140 Sigidie Iacum dela Stella Bortholomee Iacum Pugnet Ursule mogler cu fo de Pieri Cichut Lena mogler cheiii fo Niculau Catùsiv Leonarde muglir Martin de Sant Denel 145 Lene mogler che fo Francesch de Sequals Catarina mogler Zuan Daç Lena Tarvisan La mogler Murilv de Ovedàs Fracescha de Bone d-Amar 150 Madalùs figle Burtulùs de Quall Lucia sorella Lazer de Moço 130 i ii iii iv v vi vii viii Sabide di Pieri del Blanch Culusse mogler Toni Simot d-Amar Margareta de Pieri Pusan 155 Miniùs de Andrea di Peglonis Clare mogler Zuan Munyti de Portis Zuanina mogler Pichull de Samonç Paschuta de Forglarie Maria de Mation Marcagno 160 Palma mogler Benedet de Inpeç Birtulina mogler ser Duri de ser Aitor d-Udin La Pascula La mogler Nicolo Feret Simone mogler Zuan tesedor 165 Miniùs mogler Stiefin Caristia de Tarnep Catarina figle Zorç Canduçvi Gnese Pedros de Resia Vignude de Buia Benvignude de Simon Paculin 170 Ursule mogler Uliff syridurar Margareta de Toni vichary Birtuline de Mazoll de Mozo Catarine de Simon de Andrea Margareta de Andrea batafer 175 Tonie figle Zuan de Pers Margareta de Niculau Zamul Ursule de Bortolot Radiff Anne figle de Domeny Minigin Catarine de Lenart Tertin 180 Menie de Zuan de Zara Ursule figle de Zuan tessedor La moniga de sant Iacum Lena mogler de ser Nicolo Paculin Piran de Domenis Marabeç 185 Chatarina la Moltesa de Mozo La mogler Blas Flor Aligranze mogler Andrea Candin Uliana de Iacum Varagnut Filipa mogler Bortolot Bareitvii 190 Stella d-Andrea Marcuç Sabida de Iacumin de Çulg Margareta figle Culau Preoles Margareta Poç Catarine de Domeni de Alnitviii 195 Vignude mogler Zuan Pacet Catarine mogler Tomat < zudio > de Mozo Culussa Simot de Amar Margareta figla che fo ser Qorzo Pitacul Margareta la maistra dicta Cantula 200 Quana che fo mogler Culau Milene Flandina di Pilirin de Cavaf Catarina de Domeni Silimon Brida mogler Culau Tomadot Aligranza Laurinzut de Amar 205 Cuza de Zuan Razulin de Cavaf frequenti cambi di mano colonna di sinistra vergato ch con abbreviazione; troviamo per esteso, per il medesimo contesto, sia cu che che Corgnali legge, o interpreta, Cacus Corgnali legge Anuril con punto di domanda colonna di destra Corgnali legge bazeit vm sic c. 2v Margareta mogler Stiefin Starnaf' Dorothea mogler Lebisorch Catarina mogler Culau Monet La mogler Mation Candin Margareta de Simon Pacet de Ovedas Marie" mog[l]er Indrea Paurin Chostanza muglir Nichulau mestry Zuan Barbire fig[l]e Simion Vignut Bete de Fantüs Francescha mogler Lenart Saladin Beta mogler Toni Chiapilin de Cavaf Bortolamea monia de sancta Maria Lena moier che fo Cullau Martinuzo ' unica colonna, a sinistra " lettura incerta anche con la lampada di Wood; Corgnali mette Aurie i ii iii iv v vi vii 210 215 3. NOTE AL TESTO 3.1 Gli antroponimi Le tre principali categorie di antroponimi, che troviamo nel nostro Catalogo, sono quelle consuete dei nomi personali (o individuali), dei nomi aggiunti e dei soprannomi; il numero complessivo dei nomi, per le tre categorie, è abbastanza rilevante, trovan-dosene anche tre o quattro per ogni riga della pergamena. Fanno parte della prima classe di nomi, i personali o individuali, gli appellativi della tradizione latina, germanica, greca, cristiana, o di origine augurale, forme che stanno alla base di numerosissimi nomi propri e cognomi friulani moderni.8 L'elenco di tipi che qui brevemente si propone comprende anche numerosi derivati, con la presenza di alcune forme di diminutivo, soprattutto, con i suffissi -UTTUS, -ITTUS, -INUS, -USS(I)US, -ELLUS, -UCIUS, di accrescitivo, in -ONE, -OTTUS, -ATTUS, quest'ultimo talora anche con valore dispregiativo. I diminutivi, come prevedibile, risultano particolarmente numerosi; ció si deve anche al fatto che nel Catalogo pre-valgono i nomi femminili, che spesso, con il diminutivo, sottolineano la grazia e la gentilezza della persona che li porta, doti che si sogliono attribuire alle donne. Molto diffusi sono anche gli ipocoristici, cioè le forme abbreviate dei nomi stessi, di norma per aferesi della sillaba atona iniziale. Tra i nomi tradizionalmente più diffusi nella regione friulana troviamo qui alcu-ni continuatori di 'Giovanna', con Çuana e le due forme di diminutivo Çuanella e Çuanina; il nome corrispondente al maschile 'Nicola, Nicolao' è rappresentato dalla forma di diminutivo Niculusse, anche ipocoristico Culusse, e dall'accrescitivo Nicholosa. Per 'Giacoma, Giacomina', altro nome in genere molto diffuso, abbiamo invece i due ipocoristici Chumina e Cuminuç, quest'ultimo con doppio suffisso diminutivo; 'Domenica' presenta la regolare forma friulana Domenia, con dileguo della velare intervocalica, e gli ipocoristici Menia, Miniùs, quest'ultimo al diminutivo. 'Caterina', un nome solo femminile, si registra con la forma primaria Katerina o Catarina e il diminutivo Cataruç. Particolarmente numerosi per i nomi femminili, come si diceva, sono i diminutivi. Abbiamo Gnisùs da Gnesa 'Agnese', Anussa 'Annetta', Vignudis da Vignuda 'Benvenuta', entrambi ipocoristici di Benvignude, che si trova anche nella forma Vignudaç, con suffisso dispregiativo, Birtulina da 'Berta', Blasiola 'Biagetta', Iustina 'Giustina', Madalùs da Madalena 'Maddalena', Marchiole per 'Marcolina', Margitùs e Gitùs da Margaretta 'Margherita', Paschuta da 'Pasqua' e Tomasina da 'Tommasa'; 8 Il processo di fissazione di vere e proprie forme cognominali, nel Friuli del Tre e Quattrocento, non è pero ancora compiuto; nel caso dei patronimici e dei matronimici tale processo pare, pero, più avanzato rispetto ad altri tipi. Per un'analisi storica ed etimologica degli appellativi qui pro-posti, si rimanda comunque al fondamentale lavoro di Rossebastiano/Papa (2005), anche se non sempre, in realtà, i tipi friulani equivalgono o corrispondono precisamente a quelli italiani. Per una presentazione generale dell'onomastica personale friulana si rimanda a Frau (1988); altri lavori, su singoli pezzi o raccolte, sono proposti da Vicario (2008b) e (2008c). nella forma Tussa, infine, possiamo vedere una forma breve per Bertussa o per Margitussa. Altri nomi personali, questa volta senza diminutivo, sono poi Agite 'Agata', Aligranze 'Allegranza', Baltrama 'Bertanda', Betta 'Elisabetta', Biatris 'Beatrice', Bortholomee e Bortolamea 'Bartolomea', Chostanza 'Costanza', Clara 'Chiara', Dorotea 'Dorotea', Filipa 'Filippa', Flor 'Fiora', Francescha 'Francesca', Galdrut 'Geltrude', Galiana 'Galliana', Lena per 'Elena' o 'Maddalena', Leonarde 'Leonarda', Lorença 'Lorenza', Lucia 'Lucia', Maria 'Maria', Marta 'Marta', Milena 'Milena', Palma 'Palma', Sabida 'Sabata', Silia 'Marsilia', Simona 'Simona', Stella 'Stella', Subette 'Alzubetta', Tonie 'Antonia', Uliana 'Giuliana', Ursula e Ursule 'Orsola', Viniria 'Veneria'. Molti e vari sono anche i nomi maschili, nel nostro Catalogo; si tratta, in genere, dei nomi dei padri, dei mariti o dei fratelli delle donne che vi sono indicate. Numerosi sono, in particolare, gli appellativi di origine germanica, alcuni decisa-mente desueti, appellativi che hanno avuto grande fortuna e circolazione nel Friuli patriarcale. Abbiamo, in ogni caso: Aitor 'Ettore', Antony 'Antonio', anche con l'ipo-coristico Toni, Baldiçar 'Baldassarre', Benedet 'Benedetto', Blas 'Biagio', Bortolomio 'Bartolomeo', Bortolot e Burtulùs da 'Berto', Corat 'Corrado', Çorç 'Giorgio', Cristoful 'Cristoforo', Dinel 'Daniele', Domeni 'Domenico', con i diminutivi Domenis, Menis e Minigin, Duri e Durich 'Odorlico', Fidrich 'Federico', Francesch 'Francesco', anche al diminutivo Çichut, Iacum 'Giacomo', Indrea 'Andrea', Indrich 'Enrico', con il diminutivo Indriùs, il germanico Ingistalt, che non risulta avere corrispondenti in italiano, Iosef 'Giuseppe', Lazer 'Lazzaro' e il diminutivo Laçarin, Lenart 'Leonardo', anche con il diminutivo Lenardin, Lorenç 'Lorenzo', con il diminutivo Laurinzut, con con-servazione del dittongo, Luca 'Luca', il diminutivo Madùs per 'Amedeo', March 'Marco' e il suo diminutivo Marcuç, Martin 'Martino' e il diminutivo Martinuzo, Matio 'Matteo' con l'accrescitivo Mation, Mian 'Damiano', Michel 'Michele', Nichulau 'Nicolao, Nicolo', con il comune ipocoristico Culau, Philipan 'Filippo', Pieri 'Pietro', con Pedrés, Pilirin 'Pellegrino', Pontaleaon 'Pantaleone', Ridolf 'Rodolfo', il raro Siart 'Sigheardo', Simion 'Simeone' e Simon 'Simone', Stiefin e Stefin 'Stefano', Stolf 'Astolfo', Tomat 'Tommaso', con l'accrescitivo Tomadot, Vignut 'Benvenuto' e, infine, Zuan 'Giovanni', con la variante Iançil, di tradizione germanica. Le categorie dei nomi aggiunti e dei soprannomi comprendono gli appellativi forse più interessanti e curiosi, tra quelli che si registrano nel Catalogo, appellativi entrati, di norma, dal lessico friulano comune e attribuiti per molti e diversi motivi, talora oscuri. Tra questi, scorrendo la lista, si segnala il comune Pilot (r. 2), frl. pilot 'verrettone, freccia', a definire una persona alta, magra o nervosa; abbiamo poi questa Chumina la Schusarie (r. 3) 'Giacomina la Sbucciatrice, la Scortecciatrice', dal frl. scus-sâ 'sbucciare, scorzare, escoriare', ad indicare una persona che aiutava in un mulino o in un'altra manifattura. Il Merlot della r. 6 è il 'merlo comune', il Vidiço della r. 23 richiama il frl. vidice, vidiçon 'tralcio della vite', a significare magari la passione o l'abuso di vino. Asciutta o con la voce chiara sarà la Uçilutta 'Uccellina' della r. 33, mentre Galdrut dicta Pirlùs, della riga successiva, richiama il frl. pirlâ 'girare come una trottola', anche pirli 'trottola', quindi 'Geltrude detta Trottolina', di persona sempre indaffarata. Non molto alti e slanciati saranno stati Iacum Cog (r. 35) e Tomat Cog (r. 52), dal frl. comune cog 'corto', e minuto anche il Pitilin 'piccolo' della r. 47. Dal frl. scorsá 'rincorrere, cacciare via', anche scorse 'rincorsa, corsa', abbiamo il maschile Scorset, alla r. 49, e il femminile Scorsetta, alla riga successiva, probabilmente la moglie del suddetto Scorset. La Blaudine della r. 70 potrebbe essere il frl. comune blau-din 'vitalba', una pianta arbustiva piuttosto diffusa, come il Bos della riga successiva il frl. bos 'bosso comune'; la Missetta di r. 76 era mediatrice di affari o di matrimoni, cfr. frl. missete 'sensale', Zuan Baffe, alla riga 78, aveva forse passione per la buona cucina, cfr. frl. bafe 'cotenna del maiale, lardo'. Sabida la Masile, r. 93, aveva forse una mascella pronunciata, e la Marta Biata di r. 103 non era probabilmente molto pronta e sveglia, cfr. frl. biát 'beato', ma anche 'sciocco'. Altri nomi aggiunti, che richiamano il lessico comune, sono Cuchulug (r. 110), frl. cocule 'noce', Scrig (r. 112), frl. scrig 'scric-ciolo, uccellino', Pog (r. 118), frl. pog 'pozzo', Lion (r. 122), frl. leon, lion 'leone' (sempre che non si tratti pero di un ipocoristico di Pontaleon, vd. sopra), Qot (r. 126) e Qotta (r. 130), frl. guet 'zoppo', Pigul (r. 135), frl. pigul 'piccolo', Zunchunin (r. 140), frl. gonc 'pezzo di tronco', Pugnet (r. 142), frl. pugn 'pugno', Catus (r. 144), frl. catus 'assiolo, chiu, civetta', anche 'sciocco, scimunito', Blanch (r. 153), frl. blanc 'bianco', Feret (r. 164), frl. fier 'ferro', Caristia (r. 166), frl. cjaristie 'carestia', e altri ancora. A fianco del nome personale e del patronimico, concorre talvolta all'identificazio-ne di una certa persona anche l'indicazione della professione, del mestiere, della fun-zione.9 Tra questi elementi, anch'essi molto produttivi nella formazione dei cognomi friulani moderni, segnaliamo: baia 'balia, nutrice', frl. baie; batafer 'fabbro ferraio, bat-tiferro', frl. batifier; carador 'carrettiere, barrocciaio', frl. cjarador; cartar 'cartaio', frl. cjartár; fari 'fabbro', frl. fari; mestri 'mastro, operaio', con il femminile maistra, frl. mestri; monia, moniga e monica 'suora', frl. muinie; mulinar 'mugnaio', frl. mulinár; rimi-ta 'eremita', frl. rimit, remit; sartor 'sarto', frl. sartor; syridurar 'serraturaio, magnano, fabbro', cfr. frl. mod. sieradure; tesedor 'tessitore', frl. tiessidor; vichary 'vicario, vice, facente funzioni', frl. vicjari. 3.2 I toponimi e gli etnici Frequente nell'identificazione di una certa persona, insieme al riferimento al nome dei genitori o del mestiere, e l'indicazione del luogo di provenienza. Nel nostro Catalogo i toponimi non sono poi cosi numerosi, in realta, ma ci consentono comun-que di rilevare una serie di localita nelle vicinanze di Venzone (ma il toponimo Avengon o Vengon non e mai registrato, probabilmente perché la maggior parte delle persone erano proprio di li e quindi l'indicazione sarebbe risultata superflua), della Carnia e del Friuli centrale.10 Nelle vicinanze della cittadina abbiamo quindi le locali- 9 Una essenziale rassegna di tali elementi, tratti dallo Schedario onomástico di Giovanni Battista Corgnali, e tracciato in Frau/Marcato (1997). 10 Alcuni toponimi sono presenti piu volte, nel documento: si indica, qui, solo la prima attestazio-ne di ogni singolo tipo. tà di Pluorn 'Pioverno di Venzone' (r. 65), con conservazione della nasale scoperta in fine di parola (cfr. frl. mod. Pluver), di Portis 'Portis di Venzone' (r. 157), con monotton-go (cfr. frl. mod. Puartis) e di Samonç 'Sottomonte di Venzone' (r. 29). Numerose sono le località della Carnia e del Canal del Ferro, con Amar 'Amaro' (r. 150), Cavaç 'Cavazzo Carnico' (r. 202), Çulg 'Zuglio' (r. 192), Inpeç 'Ampezzo' (r. 161), Moç 'Moggio Udinese' (r. 109), ancora una volta con monottongo (cfr. frl. mod. Mueç), anche Moço (r. 152), con restituzione della vocale finale, con la frazione di Ovedàs 'Ovedasso di Moggio Udinese' (r. 149), e quindi Peglonis 'Peonis di Trasaghis' (r. 156), Resia 'Resia' (r. 138) e Tarnep 'Interneppo di Bordano' (r. 166). Oltre alla città di Udin 'Udine' (r. 162), in area più centrale abbiamo ancora Buia 'Buja' (r. 169), Forglarie 'Forgaria nel Friuli' (r. 159), Pers 'Pers di Majano' (r. 176), Pertistan 'Partistagno di Attimis' (r. 99), Sant Denel 'San Daniele del Friuli' (r. 145) e, oltre il Tagliamento, Sequals 'Sequals' (r. 146). Registriamo inoltre due toponimi comu-ni, come Alnit 'Alneto, bosco di alni' (r. 195) e Quall 'Colle' (r. 151), che, senza maggiori indicazioni, potrebbero ancora riguardare il territorio di Venzone, come anche Sant Çorç 'San Giorgio' (r. 17), anch'esso piuttosto diffuso. Fuori dal Friuli abbiamo, alla fine, Zara 'Zara' (r. 181), ora in Croazia. Derivati dai toponimi, per indicare la provenienza, sono gli aggettivi etnici.11 La categoría non è qui particolarmente rappresentata; abbiamo infatti solo Tarnabane 'di Interneppo (Bordano)', Tarvisan forse 'di Tarvisio', piuttosto che 'di Treviso', Toschan 'toscano', Todesch 'tedesco', e l'immancabile Carnel 'carnico, originario della Carnia'. 4. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Per concludere questa essenziale presentazione del Catalogo di donne di Venzone del XIV secolo, esempio certo interessante di scripta friulana delle origini e fonte per lo studio dell'onomastica locale, non mi resta che ribadire l'importanza del sistematico esame dei documenti tardomedievali di uso pratico della nostra regione. I lavori di ricognizione dei fondi e il programma di edizioni dei mano-scritti di interesse, in corso ormai da alcuni anni, hanno portato a risultati che consentono di avviare, con fiducia, la redazione di un repertorio, ampio e affida-bile, di forme antiche. Questo lavoro, forse non breve e nemmeno facile, non pare comunque avere alternative alla sua realizzazione, se si vogliono intrapren-dere quelle opere lessicografiche e storiche che ancora mancano nel panorama di studi sul friulano. Mi riferisco in primo luogo ad un dizionario comprensivo delle fonti tardomedievali, cosi notevoli e abbondanti, ma poi anche ad un repertorio dell'onomastica personale. Costituisce un modello e un sicuro riferimento, a questo proposito, quello che rimane ancora oggi il principale strumento per lo studio dell'antroponimia di area 11 Molto documentato e ricco di informazioni è, a questo proposito, il recente saggio di Marcato/Puntin (2008), che supera ampiamente gli studi precedenti. friulana, il monumentale e inédito Schedario Onomástico di Giovanni Battista Corgnali, ricco di circa 160.000 schedine manoscritte e conservato presso la Biblioteca Civica di Udine. Fa piacere segnalare che e gia in corso dai primi mesi del 2009, a cura dello scrivente e con la collaborazione di alcuni giovani ricercato-ri, la digitalizzazione integrale dello schedario su database informatico in rete, con il controllo e la segnalazione delle fonti a suo tempo utilizzate dal Corgnali. A cin-quanta e piü anni dalla morte del suo autore, magnifico esempio di laboriosita e di tenacia, ma anche di competenza e di dedizione nell'illustrazione del patrimonio linguistico e culturale del Friuli, i tempi paiono maturi per promuovere l'ag-giornamento e il completamento, con l'apporto di quanto prodotto in questi decenni, anche di questo straordinario repertorio. Bibliografía Corgnali, Giovanni Battista (1934) «Onomastica friulana. Del diminutivo femminile in -üs e in -üz.» Ce fastu? 14, 103-107. Corgnali, Giovanni Battista (1965-67) «Scritti e testi friulani (cur. Gaetano Perusini).» Ce fastu? 41-43, i-x, 1-405. D'Aronco, Gianfranco (1982) Nuova antología delle letteratura friulana. Dalle origini al Settecento. Vol. I. Udine: Ribis. Frau, Giovanni (1988) «Per la storia dei cognomi friulani.» Atti dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Udine 81, 247-263. 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XIV), un documento conservato presso la Biblioteca Civica di Udine «V. Joppi». All'edizione, diplomatica, segue un commento linguistico, in particolare sull'onoma-stica personale, sul lessico comune e sulla toponomastica; l'esame del testo consente di isolare numerosi elementi di interesse, nomi femminili e maschili, ma anche nomi di mestiere e funzione, che costituiscono gli antecedenti di numerosi cognomi moderni. Si conferma l'importanza fondamentale dello studio sistematico delle carte friulane di uso pratico, come quelle qui presentate, operazione preliminare e indispensabile al fine di avviare, in seguito, opere di lessicografia di ampia prospettiva, in primis la redazione di un dizionario storico comprensivo delle forme antiche. Sembra quest'ultimo un obiettivo ormai alla portata, potendo contare sui progressi che la disciplina ha compiuto negli ultimi anni, con lo svolgimento di un vasto progetto di ricognizione dei fondi archivistici di tutto il Friuli storico promosso dalla Società Filologica Friulana e dal Ministero per i Beni culturali (Documenti antichi dagli archivi friulani). Ai positivi risultati ottenuti con lo svolgimento di questo progetto si aggiungono le numerose edizioni realizzate su fondi manoscritti conservati in alcuni degli enti conservatori più importanti della regione, a partire ancora dai materiali antichi depositati presso la Biblioteca Civica di Udine. Povzetek IL CATALOGO DI DONNE DI VENZONE (14. STOL.) V članku je predstavljena izdaja poznosrednjeveškega furlanskega dokumenta Il catalogo di donne di Venzone (14. stol.), ki ga hrani Videnska mestna knjižnica »V. Joppi«. Diplomatski izdaji sledi jezikoslovni komentar, predvsem o osebnem imenoslovju, o splošnem besedišču in o topo-nomastiki. V besedilu je mogoče najti številne zanimive elemente, in sicer ženska in moška imena, pa tudi poimenovanja poklicev in funkcij, iz katerih izhajajo mnogi sodobni priimki. Iz gradiva se potrjuje temeljna pomembnost sistematičnega proučevanja furlanskih dokumentov pragmatične narave, kakršni so tukaj predstavljeni. Takšno proučevanje pomeni namreč nepogrešljivo začetno opravilo, ki nam omogoča, da se nato lotimo obsežnih leksikograf-skih projektov, predvsem zgodovinskega slovarja, ki bi vključeval tudi stare oblike. Ta cilj se sedaj zdi že na dosegu roke, saj je mogoče računati na napredek, ki ga je stroka dosegla v zadnjih letih z obsežnim projektom popisa in pregleda arhivskih fondov na območju celotnega zgodovinskega ozemlja Furlanije, katerega pobudnik sta Furlansko filološko društvo in Ministrstvo za kulturno dediščino (naslov projekta: DOCUMENTIANTICHIDAGLIARCHIVI FRIULANI). Pozitivnim rezultatom tega projekta se pridružujejo številne izdaje, pripravljene na osnovi rokopisnih fondov iz nekaterih najpomembnejših furlanskih arhivskih ustanov, med katerimi je treba spet omeniti stare dokumente iz Videnske mestne knjižnice. Roberto Dapit Universita degli Studi di Udine* UDK 811.163.6'282(450.34):81'373.21 RELAZIONI SEMANTICHE TRA LO SLOVENO STANDARD E I DIALETTI CON RIFERIMENTO ALLE LINGUE DI INTERAZIONE INTRODUZIONE Nel presente contributo si propone un tentativo di analisi semantica effettuata sulle basi lessicali individuate in un corpus toponimico proveniente da fonti orali raccolte nell'ambito linguistico resiano (Dapit 1995, 2003).1 Dall'esame del materiale, effet-tuato anche in una prospettiva etimologica, oltre alla definizione del significato delle singole voci, sono emersi alcuni fenomeni che ci hanno indotto a verificare, sul piano semantico, la condizione del dialetto di Resia (con alcuni riferimenti ad altri dialetti contigui) di fronte allo sloveno comune ovvero standard. L'apporto linguistico di origine diversa da quella slovena, vista la consistenza di questo settore nei dia-letti in questione, svolge un ruolo importante nella discussione e, in determinati casi, si e reso necessario un confronto con la semantica del friulano.2 E forse opportuno precisare che l'interessante questione relativa agli eventuali significati simbolici, che le unita lessicali considerate potrebbero sviluppare nella funzione toponimica, non sara oggetto della presente trattazione, benché tali impli-cazioni siano particolarmente attraenti in questo tipo di materiale. Si confronti sol-tanto l'esempio dell'oronimo Bába (Dapit 1995: 36) che corrisponde all'appellativo dial. bába '(vecchia) donna', stand. baba nel significato di 'anus, avia', conservato dalla fase del protoslavo e dello slavo ecclesiastico antico (ESSJ I 7). L'abitudine di attribuire tale nome a rilievi caratterizzati da una forma particolare e assai diffusa sia in Slovenia che in altre aree di lingua slava e da alcuni autori ne viene sottolinea-ta anche la dimensione mitica (cfr. Smitek 2004: 238-239; ESSZI 50). * Indirizzo dell'autore: Facolta di Scienze della Formazione, Dipartimento di Lingue e Civilta dell'Europa Centro Orientale, Via Antonio Zanon 6, 33100 Udine, Italia. Email: roberto.dapit@uniud.it 11 toponimi di cui si tiene conto riguardano l'area orientale della Val Resia che comprende il territorio della frazione di Solbica/Stolvizza e della borgata di Kori'to/Coritis. In una fase preliminare, l'analisi viene realizzata su un corpus di 370 basi toponimiche semplici, mentre in questa sede si riduce a 269 basi; dall'analisi dell'intero corpus raccolto sono state infatti escluse le basi non pertinenti come gli antropotoponimi o le voci supposte tali, le voci che appaiono nella lingua letteraria slovena, italiana e friulana, le basi illeggibili o etimologicamente incerte e oscure nonché i toponimi di origine esterna; oltre alle 370 basi semplici, la ricerca iniziale ha individuato 138 basi composte che pure sono state escluse dalla presente analisi. 2 A tale scopo, oltre ai dizionari etimologici, sono stati esaminati i vocabolari NP, VLF, GDBTF, DO che, in base alle diverse epoche di edizione, riproducono anche una relativa variazione del lessico e della semantica. L'interesse in questo contributo si focalizzerà percio sulla relazione semantica tra la voce3 dialettale individuata nel toponimo e il lemma della lingua standard, come indicato dallo SSKJ. Il corpus toponimico è stato allora suddiviso in categorie che rappresentano le diverse gradazioni espresse dalla relazione conservatasi tra i due livelli della lingua. Riassumendo il percorso effettuato, si precisa che viene prima considerato il grado più elevato di coincidenza dei due livelli, in seguito si discutono i fenomeni che tendono alla divergenza nonché alla perdita totale del significato a livello dialettale; infine si tiene conto della presenza di materiale linguistico origina-to da prestiti che si rivelano essenzialmente di provenienza friulana ed eccezional-mente tedesca.4 CONVERGENZA SEMANTICA Nel primo e più ampio gruppo si collocano le basi toponimiche le cui voci dialettali di riferimento dimostrano una corrispondenza semantica ampia o totale con le voci della lingua standard.5 Il concetto di coincidenza semantica non presuppone sem-pre una totale corrispondenza del significante: in diversi casi si mettono infatti a confronto due basi (standard e dialettale) che possono, ad esempio, rivelare leggere divergenze formali benché appartenenti alla stessa categoria grammaticale. Il caso seguente ci indica infatti che una voce toponimica si colloca nella prima categoria essendo semanticamente trasparente grazie all'esistenza di un lessema dialettale vitale. Osserviamo allora la voce Hlívac (Dapit 1995: 87-89) in cui si individua la base res. hlíw -a 'stalla'; il suffisso -ac/-ec, che generalmente segnala la forma diminutiva, nel caso del toponimo Hlívac/Hlívec pare desemantizzato e lo confermereb-be l'esistenza, nel lessico resiano, del doppio diminutivo hliwčec (K) della voce hlíw appena citata. Una divergenza formale di significante si esprime anche nel toponimo Carnjël che corrisponde all'aggettivo res. č^mjël 'rosso', attestato in ambito sloveno già nella lingua dei riformatori e quindi nel Dictionarium Quatuor Linguarum di Megiser del 1592 nella variante zherlèn (Roth. ruber. erdezh, zherlèn. rojso) (SDLW 296; ESSJ I 89). In base allo status di cui il termine gode nello SSKJ, esso è defi-nito come voce dialettale nella variante črm^n 'rossastro' (rdečkast)(SSKJ I 313), cfr. anche Pleteršnik črmnel (črnel, črnjel) 'rosso' (SNS I 112). Oggi nelle varietà dialettali slovene in Italia la voce tuttavia è attestata in un'area piuttosto estesa ossia dallo zegliano al dialetto del Torre; nell'area di Masarolis pero appare già come rdeč (GDT 516 s.v. černjeu, 584 s.v. rdeč), condividendo la forma a^č/a^c 3 Ai fini dell'analisi, questa puo apparire nella forma d'uso corrente oppure in quella ricostruita, nel caso non si annoveri piu nel lessico attuale ma soltanto nella toponimia. 4 Questo tipo di classificazione puo incontrare, nei casi di lemmi polivalenti, dei limiti di attuabilitá ma rappresenta uno dei percorsi metodologici che ha permesso di affrontare questo tipo di analisi. 5 Precisiamo che per ogni categoria verranno discussi soltanto alcuni casi esemplificativi, percio, per ulteriori dati riguardanti le basi indícate, si rimanda alle fonti di riferimento giá citate. del dialetto del Natisone, area in cui appare anche rús (VIN 140), attestato que-st'ultimo anche in Alasia da Sommaria nel 1607 con lo stesso significato di 'rosso' (VIS 158). La voce va confrontata con il serbocroato crman 'rosso', della stessa origine, attestato nei testi antichi dal XIII al XVII secolo e nella toponomastica (ERSHJ I 275-276). In questo gruppo si collocano anche vari prestiti.6 Si confronti la voce kríz dial. 'croce' e stand. 'croce, incrocio', di ampia diffusione, ma non esclusivamente in ambito sloveno, e di derivazione romanza, presumibilmente offerta dal friulano antico nel VII o VIII secolo (SES 325), oppure il toponimo Fréta, dim. Frática, di nota origine latina (ESSZI 135)7 che viene contemplato come appellativo frata -e anche nello SSKJ.8 Degno di nota è il fatto che in resiano fréta f. (K) (Dapit 1995: 77; 1998: 64; 2008: 47-48) sia attestato con la stessa accezione di 'località disboscata di recente' indicata dal Nuovo Pirona (NP 343) per Fràte, lemma definito negli altri vocabolari friulani come 'fratta, macchia, macchia intricata, spineto, roveto; siepe' (VLF 473), 'fratta, macchia, roveto, spineto' (DO), 'fratta' (GDBTF). Sul piano fonologico va ricordato il caso della voce Madona (e del diminutivo Madonica) (Dapit 1995: 129; 2008: 92) che, in base alle caratteristiche vocaliche, pare sia entrata in resiano attraverso il friulano madone, mentre l'appellativo sloveno stand. madóna derive-rebbe dall'it. madonna (SES 371). Il toponimo Partún corriponde all'appellativo res. partún m. 'portone (ad arco)', cfr. frl. porton, puarton, assai diffuso nel territorio linguistico sloveno occidentale tanto da essere contemplato nello SSKJ nella forma porton m. 'entrata' e definito termine dialettale occidentale.9 Un ultimo caso di estremo interesse è rappresentato da un toponimo diffuso in vari punti del teritorio linguistico resiano ossia Tàmor/Tomor che corrisponde all'appellativo támor támurja m. (K) 'recinto per il bestiame minuto nelle malghe'; a Solbica invece Tomor è attestato soltanto come microtoponimo (Dapit 1995: 196; 1998: 177; 2008: 157);10 anche nell'alta Val Torre támar támarja m. significa 'rico-vero per le pecore' (Z).11 Nei vocabolari friulani il lemma tamar m. viene spiegato come 'recinto a stan-ghe, a stecconata o palizzata, che chiude i vari fabbricati che costituiscono la casera. Un tempo significava anche lo spazio, chiuso da stanghe, ove le mandrie serena- 6 Sono inseriti in questa categoría poiché contemplati nello SSKJ. 7 Snoj suppone per lo sloveno l'intermediazione del mat. frate 'radura', nei dialetti sloveni occiden-tali invece e supponibile un prestito diretto dalle varieta romanze (ESSZI 135), cfr. anche Merku (2006: 76). 8 Cfr. SSKJ s.v. fráta dove il termine e connotato come dialettale: «nar. poseka, krčevina». 9 SSKJ s.v. portón: «nar. zahodno vhod zlasti na kraško dvorišče, navadno kamnit». 10 Cfr. anche quanto riproduce per támur m. , a Bila/San Giorgio, Steenwijk (1992: 318). 11 Nell'area del Torre la toponimia relativa a questa voce e copiosa, cfr. anche Merku (1997: 199); GDT § 67, 4522, 4999. Il materiale linguistico proveniente dall'area del Torre e stato raccolto presso Pia Lovo Awklinéja, originaria di Villanova delle Gotte/Zawarh, e viene indicato nel presente contributo con il segno (Z). vano all'aperto, ciö che è in uso ancora in Valcellina', precisa inoltre il NP: 'e in generale malghe, stali' (NP 1168-9); nel vocabolario Faggin tamar m. sta per '(recinto all'aperto del gregge) stazzo, addiaccio, ovile' e per estensione 'steccato, recinto' (VLF 1449). Il GDBTF traduce tamar come 'ovile' e lo definisce 'rustic par tignî pio-ris o cjavris'; nel tedesco della Carinzia è attestato tummer, tunger il cui significato corrisponde a quello friulano (SES 749); la base inoltre è presente anche sulle Dolomiti (REW 706). Benché l'origine e l'etimologia siano incerte (SES 749) pare si tratti di una voce di substrato prelatina (ESSZI 423, REW 706) e rappresenta un raro esempio di ampia coincidenza di significato riscontrabile nella dimensione interlinguistica attestata in sloveno,12 friulano e tedesco. Basi (138): Áhudiščë, Bába, Beculár, Béza, Barnjúkaw0, Bsrw, Bíla, Bilë, Bíli, Bílina, Bobïcawô, Bögec, Brëza, Brëzna|Brëznô, Brúde, Burcïca, Bükawjë, Církew|Církow, Cmkeč, Čal0, Čarin, Č0kavi, Č3rmj|Č3rmj Č^rnjël, Č^rtanjë|Č^rtanjë, Čïstinjë, Dëd, Dolïna, Drínica, Fráta, Garnjás, Golïca, GoHcinö, Goráčič, Gozdèč, Gözd, Grád, Grádec, Hliväc|Hlivec, Hlivïščë, Hrüska, Jáma, Jámnik, Jásanaw0, Jáwurcë, Klèn|Klsn, Konäc, Korïcë, Korïto, Korončsč, Kotlsč, Krís, Krïž, Kót, Könj, Köpica, Köran, Köranavi, Köranawö|Körinawö, Kôranjë, Kráwjë, Krej, Lášči|Láški, Lisïčiščë, Lisniki|Lïsniki, Lïpica, Lopáta, Madöna, Madönica, Masësanjë, Mlïnec, Mocïlo, Mostèč|Most^č, Mozëw, Must, Nst, Njïvica, Nöga, Oknö, Pakëw|Paklô, Palëna, Pataljïnjinô, Partún, Pënč, Pïnja, Plánja, Pláz, Plaztó, Polïca, Polïcica, Polömjanö, Položèč|Polož^č, Pót, Potök, Pród, Pucuwálca, Pujë, Rávan, Rávanca, Rawnïna, Rép, Rëbra, Rësana, Rób, Rüšjë, Rütič, Skákalica, Skála, Skálica, Slimančaca, Smrëka, Sridnjë, Stári, Svéti, Svïnjinô, Šija, Š^j Támor|T0mor, Tësnô, Tsrni, Töf, Vès, Vërčeč|Vírčeč, Vír, Vírawa, Visök, Wodïca, Wolôwjë, Wör|Wörh, Wört, Wótla, Wöda, Wúnča, Wurbïca, Wurzíla, Zalëni, Zób, Žábjë. DIVERGENZA SEMANTICA Anche in questa seconda categoria significante e significato dialettali possono, su vari piani, rivelare leggere discrepanze con la lingua standard ma ora sono le tenden-ze alla variabilità semantica che suscitano un certo interesse. Alcuni tratti semantici sono infatti comuni, altri dimostrano uno sviluppo divergente, come si renderà espli-cito attraverso l'illustrazione dei casi seguenti. Il microtoponimo Përjë (Dapit 1995: 147), ad esempio, formalmente va ricon-dotto allo stand. pérje (SSKJ III 568) con cui il resiano përjë n. 'foglie interne del cartoccio della pannocchia' (K) coincide in parte soltanto all'interno dell'accezio-ne n° 2., qualificata come arcaica, nel significato di 'foglie (sull'albero)';13 maggio- 12 Va precisato tuttavia che lo SSKJ contempla si questa voce ma, in entrambe le accezioni proposte, viene qualificata come dialettale e precisamente relativa allo spazio nord-occidentale e carinziano. SSKJ V s.v. támar -ja: «1. nar. severozahodno ograjen prostor, v katerega se zapira živina», «2. nar. koroško preprosta stavba za bivanje živali». 13 SSKJ III s.v. pérje: «star. listje (na drevju)». re coincidenza invece si riscontra nel dialetto del Torre dove la forma pérje e pl. f. e significa 'foglie (verdi)' (Z) (cfr. anche GDT § 606-607). Lo stesso vale per la base toponimica Gláwa, corrispondente, sul piano semantico, all'appellativo dial. yláwa (K), láwa (S) e stand. glava f. 'testa', che in resiano sviluppa anche il significato di 'colle, cocuzzolo, cima tondeggiante' (Dapit 1995: 79-81), accezione che non viene registrata dallo SSKJ, mentre ne tiene conto Pletersnik.14 Una divergenza, che si esprime anche sul piano formale, e evidente nel caso di brán brána (K), bron brona (S) m. 'cancello di legno' (Dapit 1995: 54) a fronte della voce stand. m. bran -a la cui accezione piu vicina al resiano e quella di 'argine, diga'.15 Una piu ampia condivisione di tratti semantici si riscontra infatti nel lemma stand. f. brana -e in cui, all'accezione n° 2., si specifica che il termine era usato in passato significando proprio 'grande cancello';16 del resto anche l'accezione n° 1. della stessa voce, ossia 'erpice', richiama l'analogia fra la struttura in legno dell'at-trezzo agricolo tradizionale e quella del cancello resiano. Assai eloquente e l'esempio di Tráwnik che, in base alle definizioni raccolte sul campo, dimostra di vivere una fase di lenta desemantizzazione. A Solbica l'appellati-vo tráwnak m. significa infatti 'prato in fiore con erba di buona qualita' oppure 'prato (di grandi dimensioni)'; a Korito invece tráwnek e sinonimo di valika rawnina 'grande pianura' e appare solitamente nei canti di improvvisazione (Dapit 1995: 199). Quest'ultima precisazione e destinata a sottolineare l'uso limitato dell'appellativo negli ambiti ordinari della comunicazione, poiché, per esprimere il significato di 'prato' si utilizza normalmente la forma m. tarenj tarínja,11 derivata dal friulano teren m. 'terreno; terra, suolo' (VLF 1471), 'campo, fondo, humus, pezza, possesso, spazio, suolo, superficie, terra, terreno' (GDBTF),18 'suolo, terreno' (DO). E interessante notare che la stessa voce frl. teren sia stata interpretata dai resiani come 'prato' visto che la lingua offerente in questo caso possiede il lessema m. prát 'prato'. Basi (16): Brán/Bron, Bsrdo, Bríg, Cükawo, Dúl, Dúlcac/Dúwcec, Dwor, Gláwa, Gorica, Klánac/Klonec, Kolcacé/Kúwcacé, Kolk/Kúk, Méja, Pérjé, Slátina, Tráwnik. I casi di divergenza semantica totale sono in realta rari, nel senso che tutte le voci della presente categoria conservano, benché in misura molto ridotta, determinati 14 Cfr. SNS I 213: «- 4. etwas Kopfähnliches: [...] glave visokih gora». 15 Cfr. SSKJ I s.v. brán -a: «3. knjiž. nasip, pregrada pri vodi». 16 Cfr. la fraseologia relativa all'accezione 2. in SSKJ I s.v. brána: «2. negdaj velika mrežasta vrata: po gradovih so zgodaj zvečer zapirali brano». Pleteršnik considera la voce resiana (indicando soltanto la fonte e il significato, das Pförtchen) all'interno della voce bran -i f. 17 Attestato anche come toponimo in tutto il territorio resiano, cfr. Dapit (1995: 197), (1998: 178), (2008: 158). 18 Dei lemmi indicati nei vocabolari si contemplano normalmente soltanto le accezioni di mag-giore pertinenza. tratti semantici comuni allo standard. Al fine di esemplificare questo sottogruppo scegliamo il percorso che ci viene illustrato dagli idronimi MMčica, MMčna, Mlaka, Mlàkica, riconducibili alla base res. f. mláka (K), mlàka (S) 'sorgente' (Dapit 1995: 134-135; 2008: 97); lo standard mlaka f. significa pero 'luogo paludoso, palude; fango, pantano, pozza'. Esiste anche una voce dial. Ma nel senso di 'fango, pantano', stand. luža 'pozzanghera, stagno; pozza'. È lecito tuttavia supporre che nel resiano sia esistita una voce che con molta probabilità esprimeva la totale coincidenza semantica con la lingua comune. Le varie attestazioni di idronimi quali Stodonäc e Štodončèč/Študunčèč, riconducibili all'appellativo stand. studenec m. 'fonte, sorgente', si riferiscono infatti a sorgenti (Dapit 1995: 190, 195-196; 2008: 150) e rappresente-rebbero una testimonianza inconfutabile in questo senso. Si puo percio ipotizzare l'esistenza di un fenomeno che ha provocato la sostituzione di funzioni all'interno del fondo lessicale originario sloveno trasferendole da un lessema a un altro e, di conseguenza, privando di significato *studenec. Un procedimento simile di mutamento, ma leggermente più complesso, è indivi-duabile nei silvotoponimi Hrást, Hrâstjë riconducibili al dendronimo dialettale f. hrást hrastá (K), rást rastè (S) 'faggio' (Fagus silvatica); la voce stand. m. hrast -a significa invece 'Quercus', differenziandosi cosí sia sul piano della semantica che del genere.19 La forma stand. corrispondente è bukev f. 'faggio' che a Resia vive nella voce m. bük -ä (K), non più dendronimo ma appellativo nel significato di 'legno di faggio'; la pianta del faggio puo inoltre essere definita bükawa hrást (K) (Dapit 1995: 91; 1998: 72; 2008: 56-57). Precisiamo infine che il dendronimo relativo a Quercus in alcune varietà resiane occidentali (Dapit 2008: 42; Steenwijk 1992: 252), nel dia-letto del Torre (Merkù 1997: 79; 2006: 62-63; GDT 522-523) e del Natisone (Petricig-Zuanella 1990: 157) appare con la base dób, o gli eventuali derivati, anche nella toponomastica. La diversità linguistica emanata da questo dendronimo è segnalata già da Jurij Dalmatin nel Register dove indica Hraftje e Dobje, utilizzati rispettivamente dai parlanti definiti 'Crajnjki' e 'Corojhki' (Dalmatin 1584:{3}). Un altro silvotoponimo estremamente interessante è Brïna che corrisponde al dendronimo dial. brïna f. 'Pinus nigra' (Dapit 1995: 57; 2008: 34). Questo nome infatti stimola una discussione coinvolgente poiché, oltre a indicare una variazione semantica nell'areale sloveno nord-occidentale, si manifesta anche in ambito croato čakavo nonché romanzo (spazio alpino) e nell'area dei Carpazi.20 Benché nelle le tra-dizioni linguistiche citate, che testimoniano la presenza della base in oggetto, si possa individuare il tratto comune 'aghifoglia', il quadro della distribuzione sul territorio è piuttosto complessa dal punto di vista semantico. Nello SSKJ brina -e f. viene registrato innanzitutto come sinonimo di brin m. 'Juniperus communis', men-tre l'accezione n° 2. indica già una gradazione semantica pertinente alla nostra 19 Cfr. il protoslavo *xvorst& che indicherebbe il significato di 'albero', anche 'cespuglio, sterpaglia' (SES 211). 20 Skok amplia la comparazione alla Penisola Iberica (ERHSJ I 211). discussione: nell'area dialettale della Carniola Superiore significa infatti 'abete'.21 Lo stesso vale per il dialetto del Torre dove si registra la voce f. brina -e (Z) nel significato di 'abete rosso',22 base registrata anche nei toponimi (Merkù 1997: 68-69).23 In friu-lano invece la voce brene f. viene descritta come 'il fogliame degli alberi resinosi, spec. dell'abete (pèz). Se ne fa un mucchio nei capanni alpestri per adagiarvisi la notte' (NP 74); tuttavia a Claut, nel Friuli Occidentale, brèna f. è 'pino mugo' (NP 1440, DESF I 2 6 5).24 In altri punti dell'area romanza alpina si registrano dendronimi per Larix decidua e Juniperus communis di cui si suppone una unità originaria in un probabile rapporto di designazione tra larice e ginepro in cui l'ultimo è concepito come 'piccolo larice' o 'piccolo abete'(DESF-FPF 181).25 Gli etimologi tendono ad attribuire la base in oggetto a un sostrato molto antico: alcuni infatti la considerano una base prelatina, da *brenrn 'larice' (DESF I 265), altri preslava (ERHSJ I 211, ESSJ 44) e preindoeuropea (ESSJ I 44). Snoj inoltre propone l'interpretazione secondo cui il protoslavo *brim potrebbe condividere la stessa radice del protslavo *borb 'Pinus' e, se questa ipotesi fosse vera, il dendronimo brin avrebbe significato in origine *'pianta simile al pino' (SES 58). Ci poniamo allora la questione, se questa ipotesi non possa trovare un punto di sostegno anche nella realtà semanti-co-lessicale resiana, visto che brïna è 'Pinus'. Per il momento ci limitiamo a sottoli-neare il fatto che l'ampia area di distribuzione, la coincidenza o la divergenza delle attestazioni semantiche rendono questa base un caso di estremo interesse. Come ulteriore esemplificazione della categoría abbiamo scelto l'agrotoponi-mo Brájda che rivela sul piano intra e interliguistico una semantica piuttosto com-plessa; nello SSKJ il termine brájda f. riconduce al significato di 'pergola',26 men- 21 Tale distribuzione semantica era stata gia indicata da Pleteršnik, sotto la voce brína, che pero attribuiva anche al dendronimo resiano il significato di smreka ossia 'abete' (SNS I 61). 22 Cosí anche in GDT 513. In altre fonti tuttavia, e precisamente nel commento di Pavle Merku alla base toponimica Brína -e (attestato anche nella forma diminutiva Brínica e in quella collet-tiva Brínuje, cfr. nota successiva) nell'alta Val Torre, si definisce il dendronimo brína come 'Picea abies' aggiungendo 'ma qui sara da identificare soprattutto con una nome generico per le conifere' (Merku 1997: 68). Anche in seguito la voce brína nel Torre e spiegata dallo stesso autore come iglavec 'aghifoglia' (Merku 2006: 52). Cfr. anche DESF-FPF 10: «a [...] Prad[ielis] brína e voce con vari significati». 23 Cfr. anche il microtoponimo Brínuje -a n. (Merku 1997: 69; 2006: 52) che in un'altra fonte appa-re come appellativo brínuje 'area con pino mugo' (NB 24). Il riferimento al pino mugo per l'oro-nimo Brínica, citato nella nota precedente, appare anche in GDT 431 (§ 6264), 513. 24 Non e contemplato nell'accezione di 'fogliame' in GDBTF, soltanto in DO. 25 Si puo inoltre aggiungere che il significato originario di voci romanze quali brénk'-ul, bréns-ul potrebbe essere allora quello di 'piccolo larice' (DESF-FPF 181). Per quanto riguarda invece le corrispondenze tra il friulano brene e lo sloveno brina, si esprimono in questo senso anche gli autori in DESF-FPF 12, 181 e DESF I 265 riportando l'opinione del sostratista J. Hubschmid. 26 SSKJ I s.v. brájda: «po ogrodju iz letev napeljana vinska trta», «ogrodje iz letev za vinsko trto ali sadno drevje». tre i dizionari etimologici attestano in particolare il significato di 'campo piantato a viti',27 che si avvicina alla semantica originaria della lingua offerente, ossia il friulano, e indicano anche la distribuzione sul territorio linguistico, ovvero i dia-letti occidentali. In Friuli i toponimi del tipo Brajda si notano con una certa frequenza nella pianu-ra, mentre si manifestano raramente sui rilievi. Si registra infatti una forte concentra-zione a Nord di Palmanova, mentre è quasi assente nel Friuli Nord-Occidentale. Con una particolare concentrazione appare nel Canal del Ferro, all'altezza di Resiutta, e nell'intero territorio resiano fino alla testa della valle nei pressi di Korïto (Desinan 1983: 19; Dapit 1995: 53; 1998: 40; 2008: 30-31). In tutta l'area resiana, soltanto a Lïpovac/Lipovaz abbiamo riscontrato una trasparenza della base Brájda nella forma diminutiva brájdica f. 'grande prato, eventualmente con piccoli campi, circondato da muretti a secco', non distante semanticamente dalla definizione del NP Bràide f. 'pode-retto chiuso' (NP 71), cfr. anche braide 'braida, podere' (DO), 'campanile, podere', brai-de urbane 'orto urbano' (GDBTF). Il significato rilevato a Resia contrasterebbe con il significato originario del longobardo braida 'campo pianeggiante, pianura' (DESF I 2 6 0)28 che invece, in parte, si conserva ad esempio Ospedaletto di Gemona/Spedâl, dove braide f. indica il campo coltivato nei pressi dell'abitazione, con ai lati dei filari di viti, non delimitato da manufatti umani. La conservazione della semantica del frl. brai-de si rivela, a nostro avviso, piuttosto labile nel senso che i campi con le suddette carat-teristiche sono ormai molto rari a causa della trasformazione dell'ambiente agrario. Sottolineo infine che la voce in questione è contemplata anche negli attuali vocabolari della lingua italiana dove il significato di braida f. è spiegato come 'campo o prato nei pressi di una città' (GDIU). Basi (10): Brájda, Brïna, Hrást, Hràstjë, Kâmanjë, Mëja, Mlácna, Mláka, Mlókica, Rüpa. DESEMANTIZZAZIONE Nella seguente categoria si annoverano toponimi etimologicamente collocati nel sistema linguistico sloveno standard risultando tuttavia privi di elementi di riscontro nel lessico dialettale resiano poiché sono stati desemantizzati. Dal punto di vista quantitativo questa categoria è mediamente elevata e comprende basi altamente diffuse nella toponomastica slovena (cfr. Bezlaj 1956-1961). 27 Cfr. le definizioni «vrstni nasad trte» (ESSJ I 37) e sul Carso «kos polja, nasajen s trtami» (ESSJ I 37, ESSZI 74). Anche in ambito croato (Cherso) brájda significa 'uno o piu filari di viti soste-nute da pali e fili di ferro' (Dapit 1995: 53; cfr. anche ERHSJ 197 s.v. brájda). ' 28 Cfr. anche REW § 1266: «braida (langob.) «Breite», «ebenes Feld»», lemma in cui si citano alcune varieta linguistiche dell'Italia settentrionale, tra cui il friulano, e si attesta il significato di «Besitztum, das aus mehreren Feldern und aus einem Bauernhaus besteht», «kleines Landgut, das verpachtet wird». Fra i nomi individuati ci sono alcuni silvotoponimi che, da vari punti di vista, si rivelano particolarmente affascinanti (Dapit 1995: 52). Nel caso di Borowjë, accanto all'ipotesi, appena menzionata, di ricondurre la voce brína alla base bor 'Pinus', va ricordato che il dendronimo attualmente in uso a Resia per l'essenza Pinus è brïna, mentre nell'alta Val Torre è buór buórja m. (Z), convergendo con lo sloveno comune. La testimonianza del silvotoponimo resiano Borowjë tuttavia ci indicherebbe in dia-cronia un'eventuale (com)presenza dei due dendronimi e in seguito la soppressione di *bor compiuta da brïna. I silvotoponimi res. Hóst, Hôstjë (Dapit 1995: 90) si possono ricondurre invece alle forme stand. host m., hosta f., 'bosco' senza un riscontro nel resiano, mentre il vicino dialetto del Torre conserva la voce host m./(f.?) 'bosco' (Z);29 lo stesso vale per il microtoponimo Plëcaca che corrisponde al diminutivo dello stand. pleča n., in senso anatomico 'spalla, spalle; omero' e figurato 'schiena', conservato nel dialetto del Torre come pléce pl. (Z) 'spalle'; alla pari dello standard, questa voce dialettale attiva l'accezione che, per estensione, riflette il significato di 'schiena'. II microtoponimo Kozówc invece, attestato solamente in un punto del territorio resiano (Dapit 1995: 115-116), non trova riscontro come elemento del lessico e nem-meno della cultura materiale resiana se, formalmente, lo riconduciamo allo stand. kozolec 'essicatoio ad arpa'. Si tratta tuttavia di un'importante espressione dell'architet-tura rurale alpina distribuita maggiormente nelle aree slovene centrali e Resia, anche in base a questo indizio, rappresenterebbe un territorio di transizione tra la Slovenia e l'area alpina che si estende verso occidente (cfr. Čop-Cevc 1993: 13-15). In questa come in altre categorie appaiono toponimi come Molža o Prësaka, la cui funzione semantica esercitata in qualità di sostantivi si è esaurita nell'esclusiva dimensione toponimica, mentre nella categoria verbale conserva la vitalità rispetti-vamente nelle forme mlëst 'mungere' e sëkat 'tagliare'. Nella forma toponimica la valenza semantica non viene più percepita dai parlanti che, se interrogati sul signi-ficato di questi toponimi, rispondono che sono semplicemente jïmana, ossia dei nomi, e percio non rappresentano degli appellativi. Anche in questa categoria si collocano dei prestiti come il toponimo Ronk, attestato in vari punti del territorio resiano dove è riferito a piccoli insediamenti o alpeg-gi (Dapit 1995: 174-175; 1998: 161-162; 2008: 138-139). Appare nello SSKJ come rónek 'pendio, vigneto' e deriva del frl. ronc m. (ESSZI 360), definito nel Nuovo Pirona 'frutteto o vigneto a scaglioni sul pendio d'un colle' e per la Carnia, area più pertinente alla zona interessata, attesta il significato di 'terreno coltivato o pascolo ricavato dall'abbattimento d'un bosco; terreno montato sull'orlo dei boschi, messo a coltura in seguito a disboscamento' (NP 895), cfr. anche ronc m. 'scaglione, terrazza, vigneto', ronc di pomârs 'frutteto' (GDBTF). Attestato come toponimo anche nel-l'area del Torre (Merkù 1997: 186; GDT § 4147, 4150), pare che conservi il significato 29 Attestato anche come microtoponimo Hóst (Merkù 1997: 89). Cfr. inoltre GDT 533. di 'pendio, declivio' anche nelle Valli del Natisone (Petricig-Zuanella 1990: 158; Skubic 2000: 157). Basi (59): Bsrca, Barlog, Barl0žnica, Borowjë, Gáca, Glabíla, Glabúwjë, Grúbja, Hóst, Hôstjë, Hribi, Jíz, KarnÏca, Karmški, KÏkej, KÏla, Kládjë, Kópe, Kozówc, Köpiščë, Króglica, Kucërjë, LadÏna, Láz, LazÏna, Lóg, Lomsč, Löm, MolovÏna, Molza/Molža, Osrídek/Osrídki, Ostrica, Palëna, Pardúlina/Pradúlina, Plëčaca, Požár, Prám/Práman, Pravála, Prehod, Prësaka, Rasüha, Ronk, Sëdalcë, Skok, Skütnek, Sonožèt, Stína, Stodonäc, Stríla, Ströp, StrumÏna, Štodončèč/Študunčèč, Triščanik, TumÏca, Varanjá, Wláka, Woršec, Wráca, Ž^bi/Žlib. Prestiti30 Nella categoria dei prestiti che risultano, come già accennato, prevalentemente di origine romanza, si collocano sia i nomi integrati al lessico resiano sia i nomi che rivelano una totale desemantizzazione. Fra questi ultimi si collocano prestiti presu-mibilmente non recenti, considerata la presenza di alcuni di essi sia nei vocabolari sloveni che friulani. È il caso ad esempio di Tulïn (Dapit 1995: 200), corrispondente al frl. tulin m., contemplato già in Pleteršnik come tulin m. 'der Wasserwirbel' che cita proprio una fonte di provenienza resiana, ossia la raccolta di Oroslav Caf (SNS II 702). Nell'ambito lessicografico friulano tulin non appare ad esempio nel vocabo-lario Faggin, mentre viene descritto con varie accezioni nel Nuovo Pirona, i cui dati pertinenti alla discussione sono i seguenti: Tulin m. 'per Marmitta scavata dell'acqua al piede d'una cascata', 'A Venzone: L'aghe dal Tilimènt 'e fâs tulin, vortice, gorgo' (NP 1223).31 La descrizione del luogo a Resia coincide infatti con un'accezione della voce friulana visto che si tratta di un punto lungo il rio Potök, che scorre accanto a Solbica, dove si trova proprio una cascata. Si puo aggiungere infine il dato che in questo punto del torrente si recavano le donne del luogo a lavare i panni. L'accezione di 'vortice' invece coincide con quanto attestato da Pleteršnik nel lemma resiano e, benché siamo a conoscenza di come le oltre 300 voci resiane siano state contemplate in questo vocabolario (cfr. Steenwijk 2001), è interessante notare come un lemma, pressoché scomparso nell'uso quotidiano del friulano, sia entrato in una delle opere più importanti della lessicografia slovena. Nel caso analogo del toponimo Mujúl (Dapit 1995: 138-139) il riferimento al friulano è rappresentato dall'appellativo m. muiûl 'mozzo delle ruote' ed estensivamente 'pezzo di legno rozzamente squadrato' (NP 627 s.v. mujûl; VLF 839) 'mozzo' (GDBTF, DO). Il lessema non soltanto è presente nei più importanti vocabolari friulani ma il suo aspetto formale e semantico si conservano tutt'oggi.32 30 In questa categoria rientrano solo le basi che non risultano contemplate nello SSKJ. 31 VLF e GDBTF non lo contemplano, mentre in DO tulin m. e 'marmitta dei giganti'. 32 Il termine muiul m. 'mozzo della ruota del carro o di altro mezzo' e stato raccolto presso Domenico Dapit, il 18.09.2009 a Ospedaletto di Gemona. Avviandoci verso il termine della nostra discussione, presentiamo il nome di luogo Bant/Bent che e attestato in diversi punti del territorio resiano (Dapit 1995: 39; 1998: 32; 2008: 25); lo troviamo inoltre disseminato nel Medio e Basso Friuli e in alcune zone della Carnia (Desinan 1982: 131-132). Totalmente desemantizzato in resiano, e probabile che anche in friulano abbia perduto abbastanza presto il significato originario per indicare, in un secondo tempo, semplicemente l'accezione di 'bosco'.33 Nonostante l'attuale assenza di una dimensione semantica sia in resiano che in friu-lano, la voce ci indica uno sviluppo che, oltre ad avere radici remote, ci pone di fronte all'esigenza di un trattamento etimologico specifico, in grado di fornire gli approfon-dimenti necessari alla ricostruzione della fortuna di questo termine. Va sottolineato che nell'area di Resia si registrano toponimi per i quali si puo supporre una derivazio-ne dal frl. bant, mentre nell'area del Torre le basi documentate sono sia *band che *ban. Benché entrambe ascrivibili al dominio linguistico germanico, e lecito supporre due percorsi diversi di entrata nei dialetti sloveni del Friuli. Invito percio a esaminare gli eventuali dati storico-lessicografici pertinenti. Alla voce Bant m. del NP, accanto all'accezione di 'bandita', si specifica che 'E anche n[ome] rimasto ad alcuni territori' (NP 36); anche in Faggin band 2. e 'bandita' (VLF 51), mentre nel GDBTF bant mette in luce la propria caratteristica polisemica 'avviso, bandita, bando, cartello, disposizione, editto, esilio, espulsione, messaggio, oasi, pace, parco, proscrizione, riserva, riserva di caccia, tana'. Dal punto di vista etimologico il frl. bant m. 'bando, bandita' deriverebbe, come l'it. bando, dal gotico ban-dwa 'segno' attraverso il latino medievale b a n d u m (DESF I 155).34 Come gia accennato, nell'alta Val Torre compare sia la forma Ban Bána m., derivata dal tede-sco Bann(forst) 'bosco protetto' (ESSJ I 11; Merkü 2006: 39),35 sia Bant Bánda m. corrispondente all'appellativo friulano bant 'riserva (di caccia)'; e documentato inoltre il diminutivo Bándic (Merkü 1997: 58; 2006: 39).36 Si presume allora che per la voce resiana la lingua offerente sia il friulano, mentre nel Torre la presenza delle basi Ban e Bant indicherebbe per queste varianti una derivazione rispettivamente dal tedesco e dal friulano. 33 Cfr. anche il contributo di Corgnali (1954: 44, nota I). 34 Desinan (1982: 132), durante la discussione riguardante la base toponímica Bando, aggiunge la nota seguente: «E poi bando e una voce che [...] appartiene anche alla nomenclatura romanza, non solo a quella germanica. La parola e cosí antica che risulta del tutto ragionevole presupporre una matrice perlopiu longobarda per parecchi dei nostri, tanto piu che la voce si estinse per tempo [...]» 35 ESSJ I 11: «ban II (m.) ščedem, zaščiten gozd», considerato prestito dal ted. Bann(forst) 'bosco protetto, riservato' e attestato nella toponomastica. Cfr. EWDS 59 s.v. Bann m.: «Mhd. ahd. as. ban aus g. *banna- m. 'Aufgebot, Befehl, Bann', auch in afr. ban(n), bon, in anord. bann (n.) 'Verbot', ae. geban(n)[...]». 36 Nel Friuli orientale Ban e attestato anche a Taipana, Cergneu, localita nelle Valli del Torre, e a Saletto (Desinan 1983: 124). Si precisa infine che sono inseriti in quesa categoria anche toponimi come Krépa, corrispondente all'appellativo dial. f. krépa 'testa, cranio' (Dapit 1995: 118) che come tale non compare nello SSKJ. L'ESSJ gli dedica invece un lemma e, ben-ché citi una fonte che accredita una derivazione friulana del termine, lascia aperta la questione dell'origine (ESSJ II 89). La voce riflette una larga diffusione in tutto l'arco alpino ma la discussione etimologica propone varie ipotesi sull'origine (DESF II 514). Alla voce frl. crepe, che sta alla base del prestito, va accostata la voce crep m. 'coccio; incrinatura; e per estensione coccio, terra cotta da stoviglia; stovi-glia in terracotta' (DESF II 513) che condivide ampiamente la semantica dello slov. črep m. 'coccio, pentola di coccio' (SSKJ I 310; ESSJ I 87-88), termine che, in una eventuale discussione etimologica e in mancanza di interpretazioni soddisfacenti, andrebbe messo in relazione con krep m. e krepa f. 'coccio, pentola di coccio', l'ul-timo anche nell'accezione di 'cranio' (Valle dell'Isonzo, Kobarid), come indicato da Bezlaj (ESSJ II 89). Basi (46): Bânt/Bènt, Bokál, Čïza, Č0f, Cadïn, Cowčma, Dip0žet, F0rča, ForMž/Furn0ž, Kaláda, Kazëra, Kazërica, Kunfïn, Krépa, Kugulítac, Küzulawö, Láštra, Liša, Lót, Májana, Mažërja, Monumènt, Mujúl, Mütawa, Päsk, P^rtižún, Páčeč, Psč, Pjacéta, Plavánaw0, P0št, Rifúgo, Roáw, R0šta, Sadïn, Salveragïna, Santantúnih/Sintantunih, Satmtéëri, Šk&a, Štuva, Tarènj, Tarinčeč, Tulïn, Valüdawö, Vilináw, Wárda. CONCLUSIONI Compiendo l'analisi semantica dei toponimi, di cui è stata illustrata soltanto un'esemplificazione, si è affacciata anche la possibilità di approfondire, attraverso i dati etimologici, la complessità semantica del lessico dialettale, attribuendo cosi nuova luce alla storia linguistica e culturale dell'area studiata, anche nella prospetti-va dell'interazione. Il dato rilevante, che emerge dalla breve indagine, è senza dubbio la convergenza semantica tra il livello dialettale e quello standard nella prima e più numerosa categoría (138 = 51,30%), mentre la categoria della divergenza risulta assai meno importante (26 = 9,67%). Il cospicuo numero di lemmi desemantizzati (59 = 21,93%) invece testimonia in particolare di un processo che ha assunto dimensioni considerevoli, provocando in numerose voci la perdita della relazione con il sistema sloveno originario. Ne consegue, in sincronia, un apparente distacco fra aree centrali e periferi-che. Oltre a ció, si è verificato il processo di entrata di numerose basi romanze (e solo raramente germaniche)(46 = 17,10%) che pure rappresenta un fenomeno di notevole portata. Nel corso della presente discussione inoltre abbiamo percepito gli stimoli per alcune riflessioni di altra natura che ci hanno posto, ad esempio, di fronte all'inte-ressante questione della diversità linguistica rilevata all'interno dello stesso sistema o della convergenza accertabile in più sistemi linguistici in contatto. Nella storia della lessicografia slovena infatti l'atteggiamento nei confronti di questi temi, anche dal punto di vista semantico, si rende esplicito sin dagli esordi. I primi lineamenti di un vocabolario sinonimico, elaborato in sostanza su un concetto diatopico ovvero sul confronto tra le varietà regionali, ci viene offerto dal Register di Jurij Dalmatin pubblicato nel 1584 (Orožen 1983-84). Il nucleo della lingua usata nella Biblia riflette infatti la presenza continua di «sinonimi di contatto» di origine interna e, in parte, anche esterna alla lingua slovena. Come sottolineato da Martina Orožen (1986), è ragionevole ritenere che questa diversità o, più semplicemente, ric-chezza riscontrata tra centro e periferia si sia rivelata un fattore di sviluppo nella suc-cessiva evoluzione della lingua letteraria slovena. La discussione sorta nel presente contributo esprime anche l'auspicio per un trat-tamento speciale del lessico derivato da processi di interazione. Di ciö gli autori di opere lessicografiche slovene ne hanno tenuto conto e, oltre all'affascinante esordio di Dalmatin, appena menzionato, notiamo la consapevolezza degli effetti prodotti dall'interazione linguistica anche nelle opere successive. Pensiamo ad esempio alle opere lessicografiche di Hieronymus Megiser, Gregorio Alasia da Sommaria, Ožbalt Gutsman e più recentemente di Maks Pleteršnik, o ancora ai dizionari etimologici contemporanei che, privi di specifici intenti normativi, sono in grado di esprimere più intensamente la dimensione interlinguistica. Oltre a ciö si intende porre l'accen-to sul fatto che attraverso la toponomastica si possono compiere preziose osservazio-ni sulla vitalità, sulle fasi dell'esistenza e sul percorso effettuato da un termine e quindi sulla possibilità di definirne lo status nei vari contesti intralinguistici e inter-linguistici. In conclusione ci pare allora sensato sottolineare l'importanza di chiarire ulteriormente la dimensione storica del lessico che, una volta svelata, puö fornirci indicazioni non soltanto sulle vicende delle comunità linguistiche coinvolte e sulle relative interazioni ma anche sulla percezione, a livello più profondo, di come un sistema linguistico si sia sviluppato anche in relazione agli altri. Abbreviazioni e sigle dial. 'dialettale' dim. 'diminutivo' f. 'femminile' frl. 'friulano' it. 'italiano' K 'Korïto|Coritis' m. 'maschile' mat. 'medio alto tedesco' n. 'neutro' res. 'resiano' S 'Solbica|Stolvizza' stand. 'standard' s.v. 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Oltre al resiano si tiene conto nella discussione anche di altre varietà, in particolare del dialetto del Torre e, a causa dell'intensa interazione, del friulano, da cui deri-vano numerosi toponimi; il tedesco invece ha svolto in questo senso un ruolo assai limitato. Secondo i risultati dell'analisi, la categoría più numerosa comprende voci che indicano un'ampia convergenza tra i livelli della lingua slovena (51,30%), mentre risulta piuttosto limitata la categoría della divergenza (9,67%); la categoría delle voci desemantizzate assume invece un peso maggiore (21,93%); i prestiti, provenienti quasi esclusivamente dall'ambito romanzo e pre-valentemente friulano, compongono l'ultima e relativamente ampia categoria (17,10%). L'autore sottolinea inoltre la questione del rapporto instauratosi non soltanto tra i livelli linguistici ma anche tra questi e le lingue di interazione. Infatti, oltre a constatare che i tratti semantici individuati nei nomi di luogo resiani confermano, anche sul piano della semantica, una stretta relazione con la lingua standard, ovvero la lingua slovena centrale, pone l'accento sulla necessità di definire, anche attraverso un processo di analisi etimologica, alcuni altri aspetti. Si riferisce più precisamente alle caratteristiche semantiche del lessico appartenente a sistemi lingusitici che si sono sviluppati in una dimensione di interazione linguistica e culturale. L'accento viene posto infine sulla rilevanza dei dati riguardanti la storia del lessico auspi-cando una ricerca che tenga conto della diversità linguistica e delle relazioni tra le lingue. Un simile approccio infatti consentirebbe non soltanto di approfondire le conoscenze relative all'evoluzione della semantica e alla lessicografia, ma anche di comprendere una condizione in cui la convivenza di varie lingue e culture è destinata normalmente a svolgere, nel lungo periodo, un ruolo preminente. Povzetek POMENSKA RAZMERJA MED STANDARDNO SLOVENŠČINO, NJENIMI NAREČJI IN INTERAKCIJSKIMI JEZIKI Izhodišče razprave je pomenska primerjava narečnih osnov s standardnim jezikom, kot ga ponazarja Slovar slovenskega knjižnega jezika. Poskus pomenske analize je izpeljan na osnovi korpusa krajevnih imen iz Rezije, uvrščenih v različne kategorije na podlagi ujemanja pomenskih lastnosti. Poleg rezijanščine se v analizi upoštevajo tudi druga narečja, predvsem tersko in zaradi močnega medsebojnega vplivanja tudi furlanščina, iz katere izvirajo mnogi rezijanski toponimi, medtem ko je v procesu nastajanja krajevnih imen nemščina igrala omejeno vlogo. Izsledki poskusne analize dokazujejo, da najštevilnejša kategorija vsebuje lekseme, ki pričajo o širšem ujemanju med zvrstmi slovenskega jezika (51,30%). Dosti bolj omejena je kategorija pomenskega neujemanja (9,67%), medtem ko je postopek popolne desemantiza-cije spet izpričan v številnih osnovah (21,93%). Izposojenke, skoraj izključno romanskega oz. furlanskega izvora, tvorijo zadnjo, precej pomembno kategorijo (17,10%). Avtor med drugim poudarja vprašanje odnosa med posameznimi jezikovnimi zvrstmi ter med jezikovnimi zvrstmi in interakcijskimi jeziki. Poleg dejstva, da pomenske lastnosti rezijanskih krajevnih imen izpričujejo tesen odnos med narečjem in standardnim oz. osrednjim slovenskim jezikom tudi na ravni pomenskosti, prispevek podčrtuje nujnost odkrivanja in določanja, tudi skozi etimološki postopek, nezadostno raziskanih pomenskih lastnosti besedja v jezikovnih sistemih, ki jih sooblikuje vplivanje drugih jezikov in kultur. Čedalje natančnejši podatki o zgodovini besedja, ki jih prinaša raziskovanje jezikovne drugačnosti in medjezikovnih razmer, so relevantni med drugim tako za pomenoslovje kot za slovaropi-sje, obenem pa omogočajo poglobljeno razumevanje situacij, za katere je ključno stalno sobivanje jezikov in kultur. Liliana Spinozzi Monai UDK 811.132.1'373.45:811.163.6'282(450.36) Centro Internazionale sul Plurilinguismo Università di Udine* IPOTESI DI UN CALCO PARADIGMATICO SLAVO-ROMANZO (L'imperativo-congiuntivo: uno studio fondato sul Glossario del dialetto del Torre di Jan Baudouin de Courtenay) 1. INRODUZIONE La fascia salvo-romanza che corre lungo il confine italo-sloveno del Friuli fu individuata come una delle più interessanti per gli studi linguistici sull'interferenza fin dai primordi di questa disciplina, che annovera Jan Baudouin de Courtenay (BdC) tra i suoi pionieri. E' ampiamente risaputo che nelle sue ripetute spedizioni scientifiche in questi luoghi egli raccolse un'ingente mole di materiali dialettologici in vista di una loro utilizzazione per deduzioni di carattere generale sul linguaggio umano (cf. Tolstoj 1960). La scelta di aree mistilingui, dove s'incontrano e spesso s'intrecciano struttu-re di diversa provenienza, muoveva dal presupposto che, a parità di fenomeno, sem-pre e comunque dovuto a principi universali, sarebbe stato assai più agevole osser-varlo in una situazione di contrasto che di omogeneità. Tutti i lavori di BdC ispirati all'area slavo-romanza, a partire dall'Opjt fonetiki rez'-janskich govorov (del 1875), miravano, in ultima analisi, a questo obiettivo. Tuttavia, data la consistenza dei materiali e l'impossibilità di elaborarli in prima persona, BdC lasciö ad altri il compito di proseguire la propria opera, in particolare la redazione dei due complessi lessicografici destinati ad un Dizionario resiano e al cosiddetto Glossario del dialetto del Torre (d'ora in poi tersko), un genere che riteneva ottimale per gli scopi ultimi della ricerca. L'enunciazione ufficiale del suo credo venne fatta nel 1903, in vista del primo congresso degli slavisti, da tenersi nel 1904 a San Pietroburgo, ma che non ebbe luogo a causa della guerra russo-giapponese. Ai punti 9. e 10. della proposta presentata per i lavori si legge: Sulla utilizzazione di materiale lessicografico per deduzioni di linguistica generale, di psicologia, e per deduzioni storico-culturali; e, rispettivamente: Sulla compilazione di inventari lessicali per obiettivi di ordine grammaticale (BdC 1904b). Ad oltre un secolo da quella enunciazione il Glossario ha già visto la luce e il Dizionario è in dirittura d'arrivo. Il Glossario del dialetto del Torre (Spinozzi Monai 2009), le cui schede risalgono agli anni 1873 e 1901, fa da pendant ai Materiali II (BdC 1904a), nel senso che racco-glie frammenti estrapolati dai testi narrativi dati alle stampe, colmandoli abbondan-temente con materiale inedito, pensato per una grammatica scientifica. * Indirizzo dell'autrice: Viale Marconi 35, 33043 Cividale del Friuli, Italia. Email: liliana.spinozzi@alice.it Questi frammenti registrano un gran numero di prestiti e calchi, quasi tutti di origine romanza. Uno dei piu interessanti e dato da un costrutto frasale che lo Steenwijk aveva gia rilevato per il resiano (1992: 185 seg.). Esso riguarda proposizioni principali e/o secondarie con il verbo al modo imperativo, dove la forma di 2. persona sia del sin-golare che del plurale viene estesa rispettivamente alle persone 1. e 3.1 2. ANALISI2 2.1 Esempi dal resiano Iniziamo dalle attestazioni presentate da Steenwijk nella sua Grammatica resiana che riportiamo in trascrizione semplificata, facendola seguire da una versione slovena e rispettivamente friulana sotto forma di 'glosse', adatta ad un'analisi contrastiva: 1) da ni pojté se srát «let them go to hell» naj grejo srat (ottativo = naj + indicativo presente) che vadin a caga (congiuntivo presente) 2) da to se ni ruvinéj «so that il will not go bad» da se ne pokvari (indicativo presente) che no si ruvini (congiuntivo presente) 3) da ja kapíj da razumem (indicativo presente) ch'o capissi (congiuntivo presente) 1 Metka Furlan mí fa notare che l'estensíone dell'imperativo di 2. persona sing. alla 3. era stata già rílevata da Älasia di Sommaripa nel suo Vocabolario Italiano e Schiavo (Udine 1607; ristampato nel 1979 a Lubiana/Lubljana - Aurisina/Devin - Trieste/Trst). A pag. 28 della ristampa leggíamo inve-ro: «Ama tu lubí tí - Amet ille lubí on». Tale uso è tuttora vivo presso la varietà carsolina, quella stessa registrata da Älasia, come dimostrato dal fatto che Živa Gruden - nativa del Carso ma dotata di assoluta padronanza dello sloveno standard -, alla quale mi sono rivolta per la versione slovena delle forme díalettalí riportate nel presente contríbuto, per xudí té nesi tié u pàkou dell'es. 8 (scheda 2346 del Glossarío) abbía risposto in prima battuta con hudič te nesi, salvo a correggersí con hudič naj te pobere, dando prova di aver attinto inconsciamente a due diversi registri, quello basso, correlabile alla situazione informale in cui si svolgeva l'incontro, e quello formale, derivante dal tipo di inchiesta oggetto dell'incontro stesso. L'incontro con Živa Gruden (di anni 61) è avvenuto a San Pietro al Natisone / Špeter Slovenov il 23/04/09, lo stesso giorno dell'incontro con Luigina Blasigh (di anni 71), di Cividale, cui sí deve la versíone friulana dei testi dialettali sloveni. 2 Per la stesura del testo è stato utilizzato il sistema dei caratteri ZRCola (http://ZRCola.zrc-sazu.si), elaborato da Peter Weiss al Centro di ricerche scientifiche dell'Accademia slovena delle scienze e delle arti di Lubiana (http://www.zrc-sazu.si). 4) bašta, da an délaj prów ta-na svétu «it suffices, that he does good in the world» dovolj, da dela prav na svetu (indicativo presente) bàsta ch'al fàsi ben tal mont (congiuntivo presente) 5) vi vi ba tél per esempio, da vi méjte wsé prów «you would like, for instance, to have everything right» vi bi hoteli imeti vedno/v vsem prav (infinito presente) vô o voréssis vê simpri razon (infinito presente) Negli esempi 2) e 4) possiamo osservare l'estensione della 2. singolare alla 3. singo-lare in frasi subordínate, rispettivamente finale e soggettiva; nell'esempio 1) l'estensione della 2. alla 3. plurale in frase indipendente ottativa; nell'esempio 3) l'estensione della 2. alla 1. singolare in frase non meglio definita; nell'ultimo esempio l'anomalia è invece rappresentata dall'uso inatteso dell'imperativo in luogo dell'in-finito, che sarebbe richiesto dal verbo servile tiet (it volere, slov hoteti), per cui abbia-mo una frase subordinata esplicita oggettiva, dove il pronome personale e la forma verbale si accordano tra loro, diversamente che negli altri casi. L'evidente forzatura di quest'ultimo costrutto ci induce ad escluderlo dalla nostra analisi. 2.2 Esempi dal Glossario del dialetto del Torre Passiamo ora al Glossario, scegliendo i casi più perspicui tra i quaranta documentati, di cui soltanto dieci presenti anche nei Materiali II. Gli esempi sono stati ritagliati dalle rispettive schede del Glossario, qui snellite del corredo analitico. Per comodità di citazione, proseguiamo con la numerazione adottata per il resiano, facendola seguire da quella del Glossario. Se l'esempio compare anche nei Materiali II, viene fatto un rimando entro parentesi quadra a fine scheda. Ciascun esempio viene poi estrapolato dal contesto e ridotto all'essenziale, quindi tradotto in sloveno e friulano. Diciamo fin d'ora che i numeri 6) e 7) documentano l'estensione dell'imperativo di 2. persona singolare alla 1. singolare; i numeri 8)-15) quella dell'imperativo di 2. persona singolare alla 3. singolare; il numero 16) quella dell'imperativo di 2. persona plurale alla 3. plurale. Gli ultimi quattro rappresentano dei casi a parte, accomunati dalla forma di imperativo attinta al friulano lâ «andare», elaborata in maniera estre-mamente originale, che esamineremo nel dettaglio. Dato che, a parità di fenomeno, i meccanismi attivati per il singolare differiscono da quelli del plurale, gli esempi relativi vengono trattati separatamente. 2.2.1 Estensione della 2. persona singolare dell'imperativo alla 1. e alla 3. Cominciamo dai numeri da 6)-15), che mostrano l'estensione dell'imperativo di 2. persona alla 1. e alla 3. 6) 6456 ánu «e» ejtáko «cosí» za «per» nás «noi» tó [«esso»] ne «non» bó «ci sarà» pošibilja sn Gsg «la possibilità», ké «che» jt [«io»] b®di imper 2sg estesa alla 1sg (subordinata soggettiva) «stia» z wámt «con Voi/Lei» [cf. Materiali II, testo 236] ké jt brádi da bi jaz bil (condizionale presente) ch'o stédi (congiuntivo presente) 7) 3413 9 «lui» œ razd1élu «ha spartito» sóuse «tutte» jflšte «equamente»; cénca kt «senza che» [«senza bisogno che»] já «io» prodajéj vi imper 2 sg estesa alla 1sg (subordinata modale) je (Acc. pl. f.) «le venda» cénca kt já prodajéj ne da bi jih jaz prodajal (condizionale presente) cènce che o ju vèndi (congiuntivo presente) 8) 2346 xudíc «il diavolo» té «ti» nesi vp imper 2sg estesa alla 3sg con valore ottativo «porti» tié «là» u pàkou «all'inferno» Xudíc té nesi hudič naj te pobere (ottativo = naj + indicativo presente) che il diàul ti puàrti (congiuntivo presente) 9) 4755 buóx «dio» n^n «ci» dí vp imper 2sg estesa alla 3sg con valore ottativo «dia» srécno [lett: «fortunatamente»] «fortuna» - 1665 bu®Y «dio» wan «vi» dáj vp imper 2sg estesa alla 3sg con valore ottativo «dia» srénju «fortuna» buóx nq.n dí srëcno - buroY wan dáj srénju naj nam/vam bog da sreče (ottativo = naj + indicativo presente) dio nus/us dèi/dédi furtùne (congiuntivo presente) 10) 3534 so «sono» mé «i miei» sóute = sóutt «soldi», ma «ma» 9[«egli»] jefe «li» 9 «lui» wliéct vp imper 2sg estesa alla 3sg con valore concessivo = wlieci (che le [li] tiri lui) «riscuota» 9 jœ 9 wliëct = wlieci. naj jih on pobira (ottativo = naj + indicativo presente) che ju tiri lui (congiuntivo presente) 11) 7045 to [«esso»] niébo [nié bo = nié bilo] bizúña «non c'era bisogno», k «che» 9[«egli»] Xodi vi imper 2sg estesa alla 3sg «andasse» ttu paktu «all'inferno» (subordinata soggetti-va) [cf. Materiali II, testo 310] k 9 xodi da gre v pekel (indicativo presente) ch'al lés (congiuntivo imperfetto) 12) 7082 t' [= če] «se» ç [«egli»] umarjœ «muore/morirà», ánu «e» k «qualora» ç™ [«egli»] pústb vp imper 2sg estesa alla 3sg con valore ipotetico «lasci» sínu «al figlio» dán «un» centenár «centinaio» fjorinœ «di fiorini» = «cento fiorini», ç [«egli»] m®rœ «deve» dopóunbti. «eseguire» nayá «la di lui» = «la sua» volontat «volontà» k çm pústi ko bi pustil (condizionale presente) ch'al lássi (congiuntivo presente) 13) 3800 sè deremó (urliamo) (gridiamo); razderí vp imper 2sg se k ç [«egli»] č®j vi imper 2sg estesa alla 3sg (subordinata finale) (grida, che senta) «grida, (affin)ché senta» k ç cráj da bo slišal (indicativo futuro) perché 'l sinti (congiuntivo presente) 14) 1597 jœ ^áu «ha detto», ke «che» ná «lei» Jakœri vi imper 2sg estesa alla 3sg (subordinata esortativa) «dica» kéj «qualcosa» cf. 1344 Jœkœréj imperat ke ná Jakœri naj govori (ottativo = naj + indicativo presente) che jé ciacári (congiuntivo presente) 15) 3319 Imper. 2 pl. písajta «scrivete» (scriver ta [scriverta = it scrivete]) šé «anche» Maríj® «Maria» Pàr [= par] Ricóte «(quella) dei Riciot [»ricciuti"]» (sopran.); pištj (Imperat. s. 3.) imper 2sg estesa alla 3sg «scriva» pišbj naj piše (ottativo = naj + indicativo presente) ch'al srívi (congiuntivo presente) Prendendo in esame anche gli esempi 2)-4) riportati per il resiano, oltre alla lista proposta per il tersko, vediamo che la resa in friulano di tutte le forme verbali (tranne quella al numero 11, che prende il congiuntivo imperfetto) figura al congiuntivo presente con terminazione in -i sia nella 1. che nella 3. persona, che è poi la terminazio-ne prevista dalla grammatica friulana per tutte le classi verbali. Quanto alle corrispon-denze nello sloveno standard, premesso che esso ignora il modo congiuntivo, trovia-mo due forme di condizionale equivalenti al congiuntivo romanzo; sei forme con naj + indicativo tipiche del modo ottativo, qui valevole anche per frasi esortative, finali, soggettive e concessive; una forma di condizionale nella protasi di un periodo ipotetico (es. 12) e quattro forme di indicativo. In ultima analisi, nove delle tredici forme slovene diverse dall'indicativo ricoprono il ruolo sintattico del congiuntivo romanzo. La deduzione che potremmo trarne è che, a livello di interlingua, il sistema sloveno denota una sfasatura tra la funzione verbale di congiuntivo, che pure conosce a livello profondo, e una forma 'dedicata' atta ad esprimerla in superficie, il che dà luogo ad una casella morfosintattica vuota, pronta ad essere riempita in circostanze favorevoli: nel nostro caso il contatto con un sistema che ignora tale sfasatura e dispone di una forma specifica per la funzione data. Ora, comparando il resiano e il tersko con il friu-lano, alla luce degli esempi prodotti, si scopre che il congiuntivo del friulano possiede dei requisiti ottimali per fare da modello ad un congiuntivo sloveno, favorendo l'in-sorgere di un paradigma nuovo, dovuto all'incastro di elementi dell'uno e l'altro sistema, tra loro strettamente legati sul piano funzionale. Potremmo visualizzare il paradigma-tipo di nuova formazione mediante le forme del verbo «essere» del tersko (bite) e del friulano (jèssi) (cf. Marchetti 1977: 265 seg.), tenendo presente che queste ultime fungono da 'stampo' per quelle ricalcate dal tersko, che darebbero come risultato finale le tre forme poste a destra della prima serie: 1. ch'o sédi (cong) «che io sia» ^ (da/ke) bodi (cong) 2. bodi (imper) «sii tu» ^ bodi (imper) 3. ch'al sédi (cong) «che egli sia» ^ (da/ke) bodi (cong) Vediamo ora le motivazioni che stanno a monte e a valle del calco operato. Per le prime basterà ricordare il cosiddetto congiuntivo esortativo del latino, ereditato dalle lingue romanze, costituito dalle forme in certa misura complementari dell'im-perativo di 3. persona singolare e di 1. e 3. plurali. Sappiamo invero che l'imperativo in senso proprio è ristretto, per costituzione, alla 2. persona e che, per ... la «contra-dizion che no'l consente», manca nella prima singolare. Dire che il congiuntivo esortativo completi l'imperativo 'in certa misura' significa la non sovrapponibilità semantico-funzionale dei due modi verbali e quindi la loro non intercambiabilità: un conto è impartire un ordine, altro conto esortare o auspi-care. Sul piano pragmatico e su quello dei suoi riflessi a livello morfosintattico solo le modalità dell'esortare, auspicare e simili possono avvenire in forma diretta o indi-retta, vale a dire mediante proposizione principale o subordinata, mentre il comando conosce solo la prima via. Tale differenza si traduce in un diverso strumentario espressivo, che per l'imperativo è ridotto allo zero assoluto, nel senso che la forma verbale non viene introdotta da alcunché; mentre nel caso del congiuntivo lo zero diventa opzionale in una proposizione esortativo/ottativa indipendente, e viene sostituito da una congiunzione in una dipendente. 2.2.2 Estensione della 2. persona plurale dell'imperativo alla 1. e alla 3. e confronto con il singolare La opzionalità della congiunzione zero nal caso del congiuntivo indipendente pos-siamo indurla dal confronto tra italiano, sloveno standard e rispettivamente dialettale (precisamente il resiano/rez) e il friulano per la forma di 3. plurale con valore esortativo del verbo venire: it Vengano! - slov Naj pridejo! - rez Da ni pojté (se srát)! - frl Ch'a végnin! Se riandiamo agli esempi 6)-15) del tersko, vediamo che tutti e quattro i congiun-tivi indipendenti (8-10 e 15) sono privi di congiunzione, al pari dell'italiano. Se poi ci spostiamo sul versante delle subordinate, troviamo generalizzata la congiunzione k(e) attinta al friulano (6-7, 11-14) a fronte della forma autóctona da del resiano (2-4). La presenza costante della congiunzione subordinante k(e) nel tersko dovrebbe suggerire che il calco operato sul friulano abbia interessato in prima istanza la funzio-ne propriamente congiuntiva del paradigma romanzo e che solo secondariamente abbia investito la funzione non congiuntiva - non bisognosa di congiunzione -, come documentato dai quattro esempi citati (8-10 e 15). Il quadro offerto dal tersko a valle del processo di mutamento denota una elabo-razione autonoma del modello d'importazione, rispondente al principio di economia e di coerenza, in quanto il tersko da un lato ignora una congiunzione superflua, e dall'altro la fa propria là dove è indispensabile, serbandone la veste forestiera quasi a sottolineare - con il marchio di provenienza - il nuovo valore di un imperativo indigeno svuotato dell'antica funzione. Ricapitolando e chiarendo meglio le fasi dell'evoluzione dal friulano al tersko, diremo che la spinta iniziale va ricercata nell'universale semantico della comple-mentarietà di imperativo ed l'esortativo/ottativo; quindi nella circostanza che un sistema analitico come il romanzo, che tiene distinte le due funzioni con l'opporre l'imperativo al congiuntivo, si sia trovato a stretto contatto con un sistema sintetico come lo sloveno, e gli abbia spianato la strada verso la semplificazione, favorendo la distribuzione su due diverse entità funzioni concentrate su una sola. La secolare interazione tra i due sistemi avrebbe insomma favorito quello più perspicuo, la cui influenza sarebbe stata facilitata dal punto d'incontro tra la -i di 1. e 3. persona sin-golari del congiuntivo friulano e la -i/-j dell'unica persona dell'imperativo singolare sloveno, ovvero la 2. Il modello friulano sarebbe stato ricalcato in maniera non pedis-sequa, ma secondo le esigenze per cosi dire dell'importatore. Il risultato finale vede la seconda persona dell'imperativo usata come congiuntivo per tutte e tre le persone: senza congiunzione in frase indipendente; con congiunzione in frase dipendente. E poiché la congiunzione consiste in un vero e proprio prestito, siamo in presenza di un calco-prestito morfosintattico di tipo strutturale (per la tipologia cf. Gusmani 1986: 72, 82, 146). In tale prospettiva la forma bodi, vista più su per la 2. persona singolare, non è la stessa dell'imperativo, ma è la nuova forma del congiuntivo allineabile alle persone 1. e 3. Che non si tratti di pura ipotesi pare dimostrato dai casi in cui alla differenza funzionale si accompagna una differenza percepibile, tanto nell'imperativo singolare quanto nel plurale. Per il singolare valgano i seguenti esempi, dove le due forme di 'vero' imperativo del verbo diélati «fare» si contrappongono alla forma di imperativo impiegata come 1. persona del congiuntivo: 7002 d1élij vi imper 2sg «Lavora!» 3048 Imperat. diélï vi 2sg «Lavora!» 620 kój Jéte (m£) ükuazáte ke diélë vi imper 2sg estesa alla 1sg (cosa volete comandare, che faccia io). Per poter cogliere il mutamento esteriore che riflette le due diverse funzioni della 2. persona plurale dell'imperativo, occorre prima soffermarsi sul solo imperativo, quale appare nel seguente esempio: 2741 naxájte vi imper 2pl 'di cortesia' (R lasciate/lasci); néj part esort naxajB/jro indpres 3pl [naj + ind = ott: qui imper] (R che lascino) ... naxájta imper 2pl «lasciate»; naxi imper 2sg (lascia) Come si puo notare, la 2. persona plurale ha due uscite, in -e e rispettivamente in -a, secondo che si tratti di un plurale di cortesia o di un vero plurale. Se spostiamo l'attenzione sulle forme di 2. plurale estese alla 3., come documentato qui di seguito al numero 16), vediamo che prendono la -e della forma di cortesia e non la -a dell'imperativo, e dunque sono altra cosa da quest'ultimo: 16) 6852 - 6853 t<£ «voglio» kupítt «comperare» [alias: tiet + inf=fut «comprero»]kràvœ«delle mucche», kï> «affinché» nt [«esse»] manttnàjtœ vi imper 2pl estesa alla 3pl menè «man-tengano me», za «per» móustt «mungere» útx «il loro» ml1ekó (ml1ekó - latte). - án «e» t' ra je Ynàtb «voglio condurle» [alias: «le condurro»] past «a pascolare» zá kt «affinché» ni dàjtœ vp imper 2pl estesa alla 3pl (subordinata finale) «diano» ml1ekó sn Asg «il latte» an© «e» kit «affinché» nt [«esse»] ospamàjtœ vp imper 2pl estesa alla 3pl «conservino» [= «mi facciano conservare»] káku «un» Yríwra (- griva slov «prato in pendenza» - = d^ kosit' «un pezzetto» travœ «d'erba») [cf. Materiali II, testo 278] ki nt manttnàjtœ menè ... zá kt ni dàjtœ ... ki nt ospamàjtœ da me bodo preživljale ... da mi bodo dajale ... da mi ohranijo (indicativo futuro + presente) perché mi mantégnin ... mi dédin ... mi fásin salvâ (congiuntivo presente) 2.2.3 L'imperativo-congiuntivo alínte Un'ulteriore riprova del valore di congiuntivo della forma in -e della 2. plurale pos-siamo ricavarla dagli esempi 17)-19), incentrati sul verbo lâ «andare», dove alínte è imperativo di cortesia solo in 17), mentre in 18) e 19) funge da congiuntivo di 3. e rispettivamente 1. plurale: 17) 1994 alínte v imper 2pl 'di cortesia' «entrate» na obœ t A «a pranzo» (entri a pranzare) alínte na obœ t pridite na kosilo (imperativo 2. plurale) vignît a mangiâ (imperativo 2. plurale) 18) 1449 ke «che» nu [«essi/esse»] alínte v imper 3pl «vadano» spät (andino a dormire [vada-no a dormire]) [cf. Materiali II, testo 550 e-^áu «ha detto» [...] kè nu alínte spä t «che vadano a dormire» = subordinata esortativa] ke nu alínte spä t naj grejo spat (ottativo = naj + indicativo presente) che vàdin a durmî (congiuntivo presente) 19) 1455 alínte v imper 1pl spä t (furl. an; a dormí [anïn/alïn a durmî] «andiamo a dormire») alínte spä t pojdimo spat (imperativo 1. plurale) anin a durmî (imperativo 1. plurale) La forma alínte risulta del massimo interesse sotto più di un riguardo, ma potremo affrontarla meglio dopo aver cercato una risposta al perché dell'estensione della 2. persona plurale alle altre due. In questo caso, infatti, la motivazione di natura strut-turale non è la stessa di quella vista per il singolare, dove il punto d'innesto tra i due sistemi era dato dall'uscita -i del congiuntivo friulano e dell'imperativo sloveno. Una prima risposta potrebbe essere quella di ordine generale secondo cui, una volta creato il congiuntivo singolare, la griglia sarebbe stata applicata al plurale per il principo di simmetria. Il punto d'innesto, questa volta, andrebbe cercato nella termi-nazione -t della 2. persona dell'imperativo plurale del friulano (l'unica uscita in -t della coniugazione friulana! - cf. Marchetti 1977: 246 seg.) e nella -te del tersko per il plurale di cortesia. Perché l'uscita -te e non l'attesa -ta? Premesso che il friulano possiede un'unica forma sia per il plurale di cortesia che per quello canonico, la selezione dell'uscita in -te operata dal tersko proverebbe che l'interferenza ha preso le mosse in situazioni formali, di ambito friulano, con impie-go dell'imperativo in funzione di rispetto, senza dubbio più idoneo a veicolare la modalità dell'esortazione anziché del comando, grazie al tratto 'di cortesia', per l'ap-punto, che ne attenua la carica illocutoria del comando. Sotto il profilo teorico, il calco appena visto mostra un procedimanto inverso rispetto al calco di più ampio respiro entro cui viene a collocarsi, ovvero la traspo-sizione in blocco del congiuntivo friulano sotto mentite spoglie slovene (sia pure dialettali), che a nostro avviso sarebbe stata favorita dal carattere analitico del friu-lano a fronte di quello sintetico dello sloveno. Viceversa, nel caso della 2. plurale dell'imperativo, il calco sul friulano, pur confermando il principio della tendenza alla semplificazione strutturale dei sistemi, trova il terreno favorevole nel sistema ricevente - il tersko -, che al momento dell'interferenza doveva avere già esplicita-to le due funzioni sottese a detta forma, e ció in maniera indipendente, dato che sia nello sloveno standard che nel friulano le due funzioni rimangono concentrate in un'unica forma. Ma torniamo alla forma alínte degli ultimi tre esempi, cui ne aggiungiamo un altro, che mostra la prima plurale dell'imperativo friulano in funzione della seconda singolare dell'imperativo tersko: 20) 4319 an(s4 (vien qua) = s4 Xodî> vi imper 2sg (usato più raramente); s4 pridt vp imper 2sg «vieni qua» tí «tu» aní s4 pridi sem (imperativo 2. singolare) vén cà (imperativo 2. singolare) L'uso piuttosto curioso di frl anin (o alin: cf. Pirona 1935: 495) «Andiamo!» per «Vieni!» trova spiegazione nella pragmatica, e precisamente in una situazione in cui il parlante e l'ascoltatore si trovano a distanza ravvicinata e il primo invita il secondo a seguirlo dove che sia. Un uso che ritroviamo nell'italiano «Andiamo!» per «Andiamo insieme!/Vieni con me!» rivolto in forma confidenziale ad una o più persone, e che è documentato nello stesso tersko nella scheda 1993, dove pójdi majse viene reso corret-tamente con «vai» nella versione russa e con «andemo a messa» in quella veneta. Questo tratto tipico del registro colloquiale fa da base alla forma ibrida alínte, che risul-ta dalla combinazione della forma di prima plurale, dotata di quella connotazione, e della terminazione -te, di cui si è detto. Che si tratti di un ibrido dovuto ad una profonda rielaborazione del modello è dimostrato dal fatto che alínte è cosa assi diversa dalla 2. plurale dell'imperativo frl làit «Andate!» (Marchetti 1977: 292), che non verrebbe mai usata con persone di riguardo, e verrebbe in tal caso sostituita dalla forma vignît «Venite!», incontrata sopra, al numero 17). Il confronto tra due forme appartenenti entrambe al verbo lâ «andare» - alínte «Venite!/Venga!» del tersko e làit «Andate!» del friulano - prova che, oltre al fattore pragmatico, a favorire la neoformazione è stato pure il labile confine semantico tra due verbi che intrattengono tra loro un rapporto di inversione, nel nostro caso i verbi andare e venire, quest'ultimo assorbito dalla forma di cortesia costruita sulla prima plurale (per alínte «Andiamo!/Venga!»), l'altro anco-rato alla seconda plurale, esprimente l'ordine di andarsene. Volendo schematizzare il neo-congiuntivo plurale del tersko, avremo: 1. (ke) alínte 2. (ke) ? alínte 3. (ke) alínte Resta da chiederci se la seconda persona, oltre a fungere da imperativo di cortesía, possa fungere anche come congiuntivo - da qui il nostro «?». Una risposta afferma-tiva possiamo ricavarla dall'es. 5), che riproponiamo qui sotto, dove méjte assolve per l'appunto tale compito in frase oggettiva: 5) vi vi ba tél per esempio, da vi méjte wsé prów «you would like, for instance, to have everything right» vi bi hoteli imeti vedno/v vsem prav (infinito presente) vô o voréssís vê simprí razon (infinito presente) L'interrogativo che ci siamo posti per la 2. persona plurale s'impone con forza ancora maggiore per la 2. singolare. La circostanza che nessuna delle occorrenze da noi incontrate riguardi la 2. singolare pare infatti alquanto sospetta, e porterebbe a esclu-dere a priori la possibilità che la forma esprimente l'imperatività al suo massimo grado possa convivere con l'omofona di grado attenuato. Poiché la questione non è di poco conto, abbiamo voluto verificarla presso i par-lanti nativi,3 facendo loro tradurre in tersko delle frasi formulate in italiano in cui la seconda persona del verbo figurava ora all'imperativo, ora al congiuntivo, come si puo vedere qui di seguito: Mantieni [imper] la parola! vs Ora ti mantengo io, affinchè poí mi mantenga [cong] tu. L'elicitazione della risposta che si andava cercando è stata piuttosto laboriosa, poiché, a differenza dell'imperativo, il congiuntivo italiano veniva regolarmente evitato e sostituito con il costrutto verbo modale + infinito, con il modale all'indicativo: Mantinjè besiédu! vs Njelè e te mantenjàn èst, pero te maš še tí mantenjàte menè («...pero anche tu hai da mantenere me» ovvero «... anche tu manterrai me»). Tuttavia, pur nella consapevolezza che stavamo forzando una norma consolidata, abbiamo provato a insistere sul costrutto finale - fino quasi a scandirlo -, ricevendo la seguente risposta: Njelè e te mantenjàn èst, za ke te me mantenjè menè, dove mantenjè altro non puo essere che l'adattamento anche fonetico della forma di imperativo mantinjè in funzione di congiuntivo. 3 A dire il vero siamo ricorsi ad un unico informatore, assunto come parlante ideale o parlante tipo, il cui idioletto dovrebbe far fede dell'intera sottovarietà di appartenenza. La persona da noi interrogata il giorno 9 giugno 2009 è Maria Sgarbàn Zupin, di anni 79, nativa di Pers/Breg, fra-zione del Comune di Lusevera/Bardo posta sulla riva destra del Torre. CONCLUSIONE Se i passaggi da noi seguiti sono corretti, ci troviamo di fronte ad un mutamento di enorme rilevanza, anzitutto perché riguarda il settore piú strutturato di una lingua -la morfosintassi; secondariamente perché investe non un elemento isolato, ma un intero paradigma. D'altronde, gli studi sul dialetto del Torre, a cominciare da quello di BdC sul clitico soggetto (BdC 1905; ma cf. anche Merkú 1978 e 1980; Skubic 1997: passim; Benacchio 2002: passim), hanno posto in evidenza gli effetti di un'azione estrema-mente incisiva operata dal friulano. Quelli da noi illustrati sembrano darne ampia conferma. Bibliografía Baudouin de Courtenay, Jan (1904a) Materialien zur südslavischen Dialektologie und Ethnographie. II. Sprachproben in den Mundarten der Slaven von Torre in Nordost-Italien, gesammelt und herausgegeben von J. B. de C. / Materialy ... II. Obrazcy jazyka na govorach Terskich Slavjan v severovostočnoj Italii sobral i izdal I.A. B.-de-K. Sbornik Izvestija Otdelenija russkogo jazyka i slovesnosti Imp. Akademii Nauk LXXVII/2. S.-Petersburg / S.-Peterburg. Baudouin de Courtenay, Jan (1904b) Pervyj s''ezd slavjanskich filologov i istorikov. I. Materialy po organizacii s''ezda. 1. Avgust 1903 - Maj 1904. Sanktpeterburg, 13-14. Baudouin de Courtenay, Jan (1905) «Neskol'ko slučaev psichičeski-morfologičeskago upodo-blenija ili uodnoobraženija v tersko-slavjanskich govorach severo-vostočnoj Italii. (Posvjaščaetsja Vlad. Ivan. Lamanskomu k ego 50-letnemu jubileju).» Izvestija Otdelenija russkogo jazyka i slovesnosti Imp. Akademii Nauk X/3, 266-283. Benacchio, Rosanna (2002) I dialetti sloveni del Friuli tra periferia e contatto. Udine: SFF. Gusmani, Roberto (21986) Saggi sull'interferenza linguistica. Firenze: Le Lettere. Marchetti, Giuseppe (1977) Lineamenti di grammatica friulana. Udine: SFF. MerkÜ, Pavle (1978) «Il dialetto della Val Torre.» In: AA. VV., Lingua, espressione e letteratura nella Slavia italiana. San Pietro al Natisone/Trieste: Editoriale Stampa Triestina, 43-61. (Quaderni Nediža, 2). Merkü, Pavle (1980) «O slovenskem terskem narečju.» Slavistična revija XXVIII/2, 167-178. Pirona, Giulio Andrea/Ercole CARLETTI/Giovanni Battista CORGNALI (1935) Il Nuovo Pirona. Vocabolario friulano. Udine: SFF. Spinozzi Monai, Liliana (2009) Il Glossario del dialetto del Torre di Jan Baudouin de Courtenay. Udine/San Pietroburgo/Lubiana: Consorzio Universitario del Friuli/St. Peterburg Branch of the Archive of the Russian Academy of Sciences/Znanstvenoraziskovalni center Slovenske akademije znanosti in umetnosti - Inštitut za slovenski jezik Frana Ramovša. Steenwijk, Han (1992) The Slovene dialekt of Resia. San Giorgio. Amsterdam/Atlanta, GA: Rodopi. (Studies in Slavic and General Linguistics, 18). Skubic, Mitja (2000 [1997]) Elementi linguistici romanzi nello sloveno occidentale. Roma: Il Calamo. Tolstoj, Nikita Il'ič (1960) «O rabotach I.A. Boduena de Kurtene po slovenskomu jazyku.» In: I. A. Boduen de Kurtene 1845-1929 gg. (k 30-letiju so dnja smerti). Moskva: Izdatel'stvo Akademii nauk SSSR, 67-81. Riassunto IPOTESI DI UN CALCO PARADIGMATICO SLAVO-ROMANZO (L'imperativo-congiuntivo: uno studio fondato sul Glossario del dialetto del Torre di Jan Baudouin de Courtenay) Muovendo dal presupposto, teorizzato da Baudouin de Courtenay, secondo il quale il muta-mento linguistico è costitutivo del linguaggio umano e pertanto la nozione di monolinguismo andrebbe superata, i dialetti sloveni di area friulana, esposti alla millenaria azione del romanzo, rappresentano un terreno ideale per gli studi sull'interferenza, in quanto rendono perspicui fenomeni da contatto altrimenti difficili da individuare. Il primo ad aver colto una tale oppor-tunità fu lo stesso Baudouin, che visito ripetutamente le vallate snodantisi lungo (l'attuale) confine italo-sloveno, raccogliendovi materiali dialettologici solo in parte pubblicati. Uno dei complessi più notevoli rimasti inediti per oltre un secolo è costituito dal Glossario del dialetto del Torre, le cui schede risalgono agli anni 1873 e 1901. Esso registra un gran numero di prestiti e calchi romanzi, alcuni dei quali risultano del massimo interesse, perché docu-mentano da un lato la forza incisiva di un sistema sull'altro in presenza di condizioni di natura strutturale e storico-culturale particolarmente favorevoli; dall'altro, la capacità di elabora-zione originale del modello forestiero ad opera del sistema ricevente. Il contributo si concentra su un fenomeno di calco assai complesso compiuto sul friulano, che investe il sistema dell'imperativo, estraendone in maniera originale un paradigma di con-giuntivo, ignoto alla grammatica slovena. Il mutamento viene seguito nelle sue varie fasi, a iniziare dalle motivazioni di ordine generale che ne stanno a monte, per passare a quelle spe-cifiche di natura morfosintattica, connesse con l'interlingua sloveno-friulana. Povzetek HIPOTEZA O PARADIGMATSKEM SLOVANSKO-ROMANSKEM KALKU (Imperativ-konjunktiv: raziskava, temelječa na Slovarju terskega narečja Jana Baudouina de Courtenayja) Če začnemo s predpostavko, ki jo je teoretsko utemeljil Baudouin de Courtenay in po kateri je jezikovno spreminjanje zaradi medjezikovnega stika sestavni del človeškega jezika, zaradi česar bi bilo treba misel o enojezičnosti zavreči, predstavljajo slovenska narečja na furlanskem območju, ki so izpostavljena tisočletnim romanskim vplivom, idealen teren za raziskave o interferenci; tu je namreč mogoče jasno razločiti pojave jezikov v stiku, ki jih je sicer težko prepoznati. Prvi, ki je ta potencial doumel, je bil ravno Baudouin, ki je pogosto obiskoval doline vzdolž (zdajšnje) italijansko-slovenske meje in tam zbiral doslej samo delno objavljeno dialek-tološko gradivo. Eno najpomembnejših zbirk, ki je ostala neobjavljena več kot stoletje, predstavlja Slovar terskega narečja, katerega kartice so nastale v letih 1873 in 1901. V njem je zabeleženo veliko število romanskih izposojenk in kalkov, nekateri od teh pa so kar najbolj zanimivi, saj kažejo po eni strani moč vpliva enega sistema na drugega, ki se udejanja pod posebno ugodnimi pogoji strukturne in zgodovinsko-kulturne narave, po drugi pa sposobnost ciljnega sistema, da na izviren način predela tuji model. Prispevek se osredotoča na pojav precej zapletenega kalka iz furlanščine, ki zadeva sistem imperativa, pri katerem je prišlo do prenosa slovenski slovnici neznane konjunktivne paradigme. Avtorica zasleduje to spremembo v njenih različnih fazah in obravnava tako splošne okoliščine in razloge prenosa kot tiste bolj specifične, ki so oblikoslovno-skladenjske narave in so povezane s slovensko-italijanskim medjezikom. LINGUISTICA XLIX Založila Znanstvena založba Filozofske fakultete Univerze v Ljubljani Izdal Oddelek za romanske jezike in književnosti Revue editée par les Presses scientifiques de la Faculté des Lettres et Philosophie et publiée par le Département des Langues et Littératures Romanes Za založbo: - Responsable : Valentin Bucik Dekan Filozofske fakultete - Doyen de la Faculté des Lettres et Philosophie Glavna in odgovorna urednika - Rédacteurs en chef Stojan Bračič, Martina Ožbot Številko XLIX uredila - Numéro XLIX dirigé par Martina Ožbot Tajnica redakcije - Secrétaire de la rédaction Metka Šorli Prevodi povzetkov v slovenščino - Lesjraductions des résumés en slovène Martina Ožbot, Maja Žorga, Barbara Pihler Nasloviti vse dopise na: Prière d'adresser toute correspondance à : Martina Ožbot Filozofska fakulteta Oddelek za romanske jezike in književnosti Aškerčeva 2 1000 Ljubljana Slovénie linguistica@ff.uni-lj.si ali - ou Martina.Ozbot@guest.arnes.si Tel. : +386 1 241 13 98 Fax : +386 1 425 93 37 Naklada: 450 izvodov - Tirage : 450 exemplaires Računalniški prelom: - Mise en page : Biro Stara Ljubljana, d. o. o. Tisk: - Impression : Birografika BORI, d. o. o. Linhartova cesta 1, 1000 Ljubljana Cena: 17€ - Prix : 17€