II. ANNO. Sabato 29 Maggio 1847. M — 35. Sulla pianta materiale della città di Trieste. Altra volta ci è accaduto di accennare ad una sapienza che presiedette nella distribuzione delle città, sia antiche, sia moderne, fosse questa sapienza prodotto della mente di una sola persona fisica oppure morale, o fosse prodotto di consuetudini civili, o fosse applicazione di quel sapere che lentamente e per più ordini di generazioni nasce in un popolo senza che per così dire vi ponga attenzione o ne sia conscio. Le antiche città, e fra queste intendiamo comprendere quelle del mezzo tempo, svelano una prudenza che nelle città moderne spesso si deve desiderare; ma noi per non fare torto ai tempi moderni crediamo piuttosto che le antiche si mostrino meglio disposte (quasi fosse palazzo ben architettato) per le migliori abitudini urbane, per la più frequente necessità del vivere comune che ebbero, e vi aggiungeremo per il tempo che facendosi a correggere gli errori accidentali sottoponeva le individuali volontà alla legge naturale che vuole nelle città tutte una distribuzione la quale corrisponda agli ordinamenti civili, quasi fossero materialmente raffigurati. È antico convincimento che le lingue si formarono prima delle grammatiche, quantunque nelle lingue si osservi certa regolarità di formazioni che sembrerebbe convenuta; altrettanto avviene nella distribuzione materiale delle città, che spesso sembrano o precettate, o del caso, mentre difatti non è del tutto nè l'uno nè 1' altro, ma più di frequente l'esecuzione di una legge che è sentita anziché manifestata. L'intimo seno dell'Adriatico, nel braccio che piega verso le Alpi più prossime alla spiaggia marina, esige una città, perchè il movimento che offre il mare aperto e scevro di impedimenti persuade e cercare il sito ove minor terra resti da attraversare e le colline ed i seni di Trieste offrono comodo l'approdo, facile la stazione terrestre. I ruderi antichi che si rinvengono intorno il colle cui sovrasta la fortezza di Trieste, fanno certi che la città si disponesse su questo terreno, fino da 200 anni circa avanti la nascita di N. S.; di avanzi più antichi non vi ha nessuna anche minima traccia materiale. Bensì il nome di Tergeste, la di cui desinenza esprime città, ed il nome intero forse la città del capro nella lingua tracica, accerta che prima della conquista fattane dai Romani fosse città; v'hanno tradizioni che accennano alla trasmigrazione di un popolo tracico in tempi remotissimi dalle foci del Danubio nel Ponto Eusino, alle rive dell'Adriatico, e la di lui calata nel sito di Trieste; ma di questi tempi nulla è noto di più. Le condizioni dell'Adriatico circostante, e del terreno intorno Trieste, il quale alpestre nella parte montana è più atto a boscaglie ed a coltivazione di animali, ha breve tratto di colline attissime a produzione di frutti nobili, non concedono che città maggiore si formasse; nè i seni di mare che bene s'addentrano permettono che il territorio passi i naturali confini che sono ristretti. A formare città maggiore è necessità che traendo profitto dal mare Adriatico, provincie più remote marine si unissero colle mediterranee per relazioni di traffico; ma queste condizioni per cinque volte esistite dacché giungono notizie storiche certe, sentirono necessariamente l'influenza delle condizioni politiche dei popoli circoslanti, e fecero determinare il sito dell'emporio dell'Adriatico ; fu dapprima Spina al Pò, poi Aquileja, poi Ravenna, poi Venezia, poi Trieste, sul quale siccome emporio terremo fra breve parola, preferendo ora i tempi più remoti. Allorquando le provincie cisdanubiane caddero in potere dei Romani, e dall'Adriatico al Danubio tutti i popoli obbedivano allo stesso principe, e la dominazione stessa nelle provincie d' Asia e d'Egitto dava adito a relazioni di commercio, fu necessità di avere un emporio nell'Adriatico, e fu data preferenza ad Aquileja, meno per essere colonia, di quello che per le condizioni naturali. Imperciocché la navigazione, che è sicura lungo le coste istriane e dalmatiche a breve distanza dal lido, progredisce naturalmente nella stessa direzione retta alle spiaggie del Friuli, non più discoste dal promontorio di Salvore, di quello che Trieste; ed è più facile per la frequenza dei venti di terra che vengono dal golfo di Trieste assai propizi per chi si dirige ad Aquileja; è più facile perchè quanto più il golfo di Trieste s'avanza verso le Alpi, tanto più risente del clima subalpino i cui venti da terra sono piuttosto bufère. Le spiaggie presso Aquileja non sono importuose, la laguna offre varchi frequenti per entrarvi secondo le qualità dei venti, sufficiente è nella laguna la profondità, facile l'apertura di canali fino alla città, come seppero con mirabile sagaci-tà aprire gli antichi, da meritarne lode dai contemporanei, ammirazione dai posteri. Piano è il terreno intorno ad Aquileja, e per lungo tratto, ferace il suolo, abbon-devoli le cose necessarie al vitto, mite il clima che non sente gli impeti primi de' venti alpini ; e 1' aere che oggidì tiensi per grave, può facilmente ridursi a perfetto come fecero gli antichi, ammirati perfino dai contem- poranei che vedevano saluberrima stanza in mezzo a terreni talmente abbondanti d' acque, che da queste prese il nome la città. A sì breve distanza da Aquileja, Trieste non poteva starsi che in condizione secondaria e modesta; nè poteva contendere a quella la palma come potè per altre circostanze farlo in sul principio del secolo passato, e riportarla come vedremo. Pure potè Trieste nel migliore stadio della romana dominazione essere doppia di popolo e d'estensione di quello lo fu quando fu ristretta a sè medesima, e numerava intorno i 12000 abitanti. Era allora la città disposta sul colle occupato oggidì dalla città vecchia, e ne copriva le pendici rivolte a tramontana ponente, dal largo di S. Giacomo per la piazza maggiore, per la via S. Michele fino alle alture dove s'incrocicchia la strada che dal Castello mette a S. Vito. Notiamo siccome cosa singolare che la città fosse rivolta piuttosto a tramontana-ponente, a differenza delle altre città istriane che preferirono di piegare più al mezzogiorno col fitto dei fabbricati; la quale positura crediamo dovuta alla circostanza che il mare è collocato da questo, e che meno che altrove era forse necessario per ragione di salubrità di preferire il mezzogiorno. Quest' ambito che abbiamo accennato era della città propriamente tale, della parte abitata da quelli che in oggi terremmo in conto di nobili inferiori, era parte privilegiala; il borgo (che tale era propriamente perchè fuori delle mura ed in altra condizione civile della città) dei mercanti era collocato comunque in piccole dimensioni lungo il porto maggiore, e nella valle di S. Michele; altro borgo stendevasi dalle alture della fortezza verso S. Giacomo; altro v'era nella vallata, il quale per essere tripartito sulle tre strade che uscivano da questo lato si diceva Triborgo, e tuttora il nome si conserva in Riborgo. La città propria era disposta sul colle, alzandosi come il terreno di questo, e disposta regolarmente per quanto il terreno saliente lo concedeva, non più larghe le vie di 25 piedi (le maggiori), ampie le isole dei caseggiati per cui ne veniva che aria assai vi fosse, ed aperta, abbondante la luce, mite la temperatura nell'estate, ed anche nell' inverno, perchè la posizione della parte di città più esposta a tramontana fosse tale che borea vi scorresse anzi che farvi impeto. E queste erano previdenze assai atte a mantenere salubrità nei corpi i quali aborrono gli eccessi del caldo come gli eccessi del freddo. Nei secoli più a noi vicini la città copriva ancora buona parte del colle antico, e (cosa singolare) la parte più rivolta al mezzogiorno era stata abbandonata, ritratte più addentro le mura, per gli assedi sostenuti contro i Veneti. La distribuzione non variava gran fattcf dall' antica, se non che deserto il porto maggiore, il minore detto Mandracchio era l'unica stazione di mare, e la piazza nobile che dapprima era situata nella parte più alta della città, erasi trasferita in vicinanza al porto. In tempi a noi prossimi la città vecchia venne in mala fama, perchè le vie strette di troppo per gli usi odierni, le frequenti case della poveraglia, la resero malgradita. Confinate in questa persone di male affare che più addietro dovevano abitare dietro il pubblico pa- lazzo, poi alle estremità della città, talmente crebbe quella turpe rinomanza che famiglie agiate ed oneste abbandonarono interamente il più delle vie, e tanto ne venne il grido che l'intera città vecchia fu marchiata di fama che non meritava di avere. Imperciocché sana più che la città-nuova si conserva, non esposta come è questa a colpi di tanto sole e di vento ; e s' alza col terreno in elevazione superiore alle crassizie di un aere fatto meno puro dalle esalazioni della bassa regione che nella stagione estiva non vengono spinte altrove. Piacevole è il prospetto da quelle alture e verso il mare e verso la terra, e fu antica credenza che il movimento di salita e discesa fosse assai proficuo contro congestioni. La longevità, la robustezza erano nella città vecchia di gran lunga più frequenti che nella nuova, non già che quelli della vecchia non usassero di trascendere e spesso di eccedere al pari e più forse degli altri; ma la morte precoce causata da consunzioni non fu frequente come nella nuova, anche non calcolati quei malori che naturalmente venivano ai settentrionali in clima troppo calido, e che scemarono col mescolarsi dei vari sangui da cui vennero le generazioni acclimatizzate. Fu detto e fu scritto (da un solo, per quanto è a noi noto) che l'antica città fosse già nel sito ove fu aperto il Navale S. Marco nella vale di S. Andrea; ma questa dicerìa non è convalidata da segni visibili, nè da notizie che si hanno, nè dal giudizio degli scrittori che trattarono delle cose nostre. Un molo antico di approdo, una strada bene inghiarrata che dal mare metteva alle alture di S. Giacomo, sono tutti i monumenti di qualche importanza; i cocci, le tombe assicurano che quella regione fosse in antico suburbio assai propiziamente situato, poiché quelle cause fisiche di venti e di mare a-giscono in grandi come in piccole proporzioni, e quella valle che già si disse il Broletto è propizia pel transito da Muggia a Trieste; quel punto d'approdo è segnato dalla linea più prossima che può fare una barca spinta da borea. La credenza che nella valle del Broletto fosse altra volta l'antica città, non è che la manifestazione di un desiderio, non è che la ripetizione di un pensiero il quale spesso ebbe a svilupparsi siccome vedremo. Nel tempo antico, nel medio, la città di Trieste fu sempre in sul còlle ove ancor sorge la città vecchia. E questa città non era in vero esente del tutto (parliamo di un secolo fa) da quelle influenze che agiscono su tutta la provincia, e su quelle che provenivano dalle circostanze di luogo; il terreno occupato oggidì dalla città Teresiana nel tratto fra la via della Caserma ed il mare era terreno basso, coperto spesso dalle acque; non già maremme e paludi che poeti e magnifi-catori del novello emporio supposero, non già canneti, che immaginarono coloro i quali dal significato della voce canna in lingua slava trarre vollero il nome di Trieste; ma erano terreni ridotti a saline, circondati da argini in muro attraversati da tre canali navigabili, scompartiti in superficie a vario uso come lo esige la confezione del sale marino. E dall'altro lato nel sito ove è oggidì arsenale di artiglieria, ed i larghi circostanti, v'era altra salina di breve estensione. Le esalazioni di queste saline nella stagione estiva, specialmente di quelle della Valle del Rivo (Bau da Riu dicevano i contadini, e tut- torà si vede scritto), i molini (da cui vengono più nomi di vie odierne) e le acque frequenti rattenute dalle colline che fanno giro, rendevano l'aere meno perfetto, non rade le febbri; però l'effetto erane grandemente diminuito dalla posizione in monte della città. Non pertanto ritenevasi ed erano difatti più salubri e più ricercate le parti rivolte al mezzogiorno ed al ponente invernale, perchè riconoscevasi anche allora l'azione benefica del sole e la conseguente di una più tepida temperatura. Da qui ne venne che i conventi (e l'autorità ne è grave) non piantaronsi già nella Valle del Rivo, nè furono allettati dalle strade frequentate che mettevano dal di fuori nella città per questa parte, ma si collocarono tutti a ponente della città, e si disposero lungo la marina intorno l'odierna piazza Lipsia, meno i Gesuiti che presero stanza nell'interno. Così delle colline circostanti si ritennero per le più salubri quelle che guardavano il mezzogiorno, e Scorcola ebbe il primato, poi la costiera di S. Andrea ove amarono i nostri antichi avere le loro villette, e tanta era la certezza di salubrità, frutto di esperienza, che qualche villetta siccome quella degli Argento (poi Trapp) si collocò a breve distanza dalle saline, ed a non molta altezza sopra il livello del mare tanto efficace era creduta l'azione del sole. D'aria meno perfetta si riguardava la valle che ebbe nome da S. Giovanni perchè depressa, perchè umida; siccome altre valli ancora perchè esposte a quel movimento di venticelli freddi che naturalmente si formano ogni giorno per questi quasi canali, e lo sbilancio repentino di temperatura era sfuggito. A tale effetto, siccome i più venti repentini e freddi venivano e vengono dal levante estivo, si riguardava il bosco del Farneto siccome Palladio della città, e dalla sua distruzione (più volte ne venne anche in antico il desiderio) si temeva aumento di bufere nell'inverno, aumento di siccità e di arsure nell' estate ; la sua conservazione fu tenuta come provvedimento di pubblica igiene. Assai a-marono i nostri di collocare qualche loro villetta più remota sulle sommità, seguendo quella regola che fu di tutte le nazioni quando colla sapienza non sapevano ancora trarre profitto di altre condizioni; il collocamento sulle sommità non era d' altronde assai pericoloso, perchè il Maestro che colla sua gelida temperatura e colle esalazioni acquee ammorba i corpi umani, non è in questa spiaggia assai forte, anzi spesso manchevole ; nel-l'alto meno impuro che in basso. Nell'interno della città sì tentò di porre a riparo le parti più depresse, quale 1' odierna piazza maggiore contro l'influenze dei venti di fuori; le mura davano ottima tutela, e vi ha memoria di grande muraglia alzata per porre a riparo la piazza contro l'imperversare di Borea. Da questo saggio usare delle condizioni fisiche ne venne che i nostri antichi poterono condurre vita lunga e sana, senza ristare dal darsi ad eccessi che in altre condizioni d'aere avrebbero avuto tristissime conseguenze, che le stesse febbri non infrequenti non fossero micidiali; e pare a noi che legge suprema fosse quella di impedire nei corpi il repentino disequilibrio, causa precipua di malori. Allorquando l'imperatore Carlo VI volle formare sull'Adriatico un emporio austriaco, gravissimi furono i dibattimenti per dare la preferenza ad una delle sue città sull'Adriatico. Possedeva desso tutta l'odierna costa croatica da presso le foci della Zermagna fino alle foci della Reczina presso Fiume, siccome appendici del regno ungarico ; possedeva il litorale da Fiume fino a Fia-nona (questa era Veneta), da Zaule fino al Timavo, siccome appendici dell'Austria interiore; possedeva la spiaggia del Friuli intorno di Aquileja, appendice dello Stalo di Gradisca già possedimento della famiglia principesca degli Eggenberg. Le spiaggie di terra erano dell' imperatore, le isole dei Veneti, il mare di possesso controverso, però di fatto tenuto dai Veneti. Pria che determinarsi alla concessione di un porto franco, l'imperatore aveva fatto precedere un eccitamento ai mercadanti, agli industrianti ed ai navigatori, concedendo loro protezione ed immunità (ciò avveniva nel 1717 e ne abbiamo pubblicato la patente nei numeri 70-71 di questo giornaletto) confidando nella massima - laissez nous faire -; ma i popoli non erano maturi a tanto cangiamento e l'arte difficilissima del regnare esigeva che meglio fossero conosciuti gli elementi per porli a profìtto. La prima patente sembra che avesse dato alla costa croatica maggiore importanza di quello che lo conceda lo scarso litorale a piedi di altissimi monti, i porti non frequenti, e la difficoltà della navigazione in quell'arcipelago, attraverso stretti malagevoli, ed in prossimità tale di terre d'altra potenza che il chiuderne il passaggio sarebbe stata cosa facile; meno facile il contrastarne il diritto di dominio di quei canali. Fissata la massima di creare un emporio, la costa croatica non potè reggere alla concorrenza colle altre coste, e pendette la scelta tra Fiume, Trieste, Aquileja, Duino ; sì Duino che le attitudini di questo non erano sì meschine da non entrare in lizza. Aquileja avrebbe riportata la palma se peculiari circostanze non 1' avessero impedito. Stavano per lei la fama antica, la fertilità della regione, l'abbondanza di acque, la facilità del passaggio delle Alpi per Caporeto, per la valle del Vipacco, per lo stesso Carso che sarebbesi attraversato pel lungo dei filoni ; stava per lei la facile restituzione del porto tanto celebrato, il clima mite, la facile navigazione. Stavano contro Aquileja il tratto breve di paese da ambe le parti cinto da possidenze venete; il dominio delle lagune e di Grado nei Veneziani; l'impossibilità di venire ad Aquileja senza attraversare la laguna, e passare sotto Grado; l'aere grave che consideravasi non atto a ridursi salubre; le menti non capaci a slanciarsi in tutta la possibilità di rialzare quell' antico colosso, nè capaci a giudicare delle cause che la fecero nascere e perire per trarne norme di o-perare. Bensì i Veneziani trepidavano per la restituzione di Aquileja dalla quale prevedevano doverne venire pregiudizio a Venezia, e facevansi forti sulle negative di concedere passaggio attraverso le lagune, negative che avrebbero poi facilmente dato luogo a più prudenti pensieri, siccome avvenne per Trieste come si vedrà. Fiume aveva per sè il mare, l'acqua abbondante, il terreno; ma a giungervi v'avevano quelli stessi ostacoli che offriva I' arcipelago del Quarnaro alla costa croatica; rimaneva il seno Tergestino, ed in questo Trieste e Duino. Parlavano per Duino la facilità della navigazione anche coli'imperversare di Borea, il Timavo che poteva ridursi a porto, i porti medesimi di Duino e di Sestiana, la facilità del passaggio dell'Alpi, il clima meno subalpino; dissuadevano poi la prossimità del confine veneto allo stesso Timavo, il terreno alpestro ed inacquoso, la piccolezza dei porti. Rimaneva Trieste preceduta da fama di antica ed illustre città, suddita dell'Austria da tempo ben più lungo che le altre provincie, provata per inconcussa fedeltà in tempi difficili di guerre e d'invasioni, suddita immediatamente dell'imperatore senza interposizione di domini provinciali, di stati privilegiati, di ordinamenti spesso inceppanti, avanzo delle antiche condizioni politiche; soggetta a perpetuità a quei principi austriaci che a-vrebbero avuto il dominio dell' Austria inferiore. II mare le stava dinanzi aperto, reclamato come di sua proprietà da Trieste nel golfo che ne porta il nome, ed i Veneziani cedettero alla fermezza dell' imperatore di volerlo libero ; lo sposalizio del mare che faceva annualmente il Doge, simbolo di continuazione di possesso, ebbe restrizione che preparò la via a migliori cose. Legni da guerra poterono scorrere l'Adriatico col glorioso paviglione, navigli mercantili potevano liberamente recarsi ove loro meglio piaceva. Vuoisi che i Veneziani facessero per Trieste minori resistenze, perchè fidavano che le imperfezioni del clima subalpino non avrebbersi potute mai vincere, e consideravano l'instituzione di un emporio siccome e-sperimento che non sarebbe stato coronato da etfetto per le abitudini dei popoli naviganti per l'Adriatico, per la insufficienza dei Triestini privi affatto di mezzi; pure così non avvenne. Decretato l'emporio, doveva pensarsi all'erezione di novella città, cliè l'antica non si mostrava adatta, ed in verità le intenzioni erano di formarne un corpo sociale totalmente separalo e distinto dall' esistente, per esistenza, per ordinamenti, come per materiale; ed il pensamento si manifestò più tardi per indubbie esigenze della novella città. Non fu preterito di esplorare le spiaggie presso Trieste, e si diè anche pensiero di profittare della valle del Broletto (o del navale S. Marco); ma le idee erano allora modeste, erano proporzionate alle dimensioni dell'esistente; l'esistente ebbe assai attrattiva, mancava una mente ardita che fattasi a leggere nel futuro, ne sapesse calcolare l'estensione, e prepararvi gli elementi. Forse il piano fattosi allora fare del comune della rada di Trieste e pubblicare per incisione, giovò a valutare 1' e-sistente; vi si vedeva il porto antico detto delle navi, difeso dagli avanzi di un molo romano (1' odierno braccio di S. Teresa), l'altro tolto per averne pietre poteva restituirsi come succede oggidì, per cui l'antico porto rivive, forse senza volontà precisa di restituirlo; l'antico rione dei mercanti presso il porto era in potere di monaci e potevasi farne acquisto; le salino della Valle del Rivo, quelle di Campomarzo potevano incamerarsi, imbonirsi e disporsi a terreno per la novella città, la quale doveva essere piuttosto ampliazione dell'antica. E così fu fatto. Il terreno fra il mare, il corso, la via di S. Caterina, il torrente maggiore, doveva convertirsi in città; in città tutto il terreno dalla piazza Lipsia al Campomarzo e sulle pendici dei Santi Martiri. La Compagnia Orientale di Vienna, la quale ebbe il monopolio del commercio e della navigazione, preferì poggiare i pochi suoi edilizi alle mura della città verso la Valle del Rivo e ne sortì quel filare di case che costeggia il corso da Riborgo a S. Pietro, lasciato soltanto passaggio ad una pusterla che dicevano e dicono ancora porticcia, o volgarmente portizza. Cessata la Compagnia Orientale e tolti i vincoli del monopolio senza il quale non avrebbesi potuto avviare commerci, Maria Teresa diè esecuzione alla volontà dell'Augusto padre, e su basi più late; il terreno per la nuova città venne proteso fino alla piazza delle legna, e dall'Augusta prese il nome di città Teresiana, la quale fu preferita al fondo che dicevasi dei Santi Martiri. La distribuzione fu argomento di molte discussioni, di molte esercitazioni; i Paesi Bassi austriaci, Livorno, davano persone nella di cui intelligenza molto fidavasi, e questi naturalmente attinsero ai loro paesi natali, senza forse valutare quegli elementi diversi che erano propri di Trieste; certo officiale del Genio nativo dal Belgio, il quale sembra non avere conosciuta altra lingua che la francese, ebbe molta influenza per posizione di officio. Si pensò di dividere il terreno della città a tante isole, traversandola con canali, e di questi uno fu ampliato (esisteva da antico) e conserva ancora il nome di Grande; doveva prolungarsi fino al torrente; il torrente medesimo scavarsi a canale; la città Teresiana sarebbe stata città in isole di mare. Si pensò di diminuire il numero dei canali ed aprire piuttosto bacini; in mezzo alle isole minorate si pensò di farne almeno alcuni di questi bacini, e come avviene quando difficile argomento svariatamente si discute, ed i pensamenti sono assai diversificanti, niuna di queste cose si fecero, ma all'invece lasciati due canali a sacca l'uno maggiore l'altro minore, si scompartì il terreno a tanti parallelogrammi, prendendo a base la linea del mare, e si procedette con tanta osservanza di linee, che non essendo quadrilatero il piano della città nella parte verso terra, i parallelogrammi da questo lato terminarono, come venivano, fosse anche ad angoli acuti, ne sortissero anche triangoli. Questa distribuzione era la più pronta, la più facile, le piazze furono dimenticate, e formaronsi in progresso di tempo come poterono, ritirando le fronti dei parallelogrammi, doppiandoli; niun riguardo fu preso nè al clima, nè alla direzione dei venti; la regolarità, la larghezza delle vie furono attrattive tali da far dimenticare gii inconvenienti che ne derivavano, da far sorpassare la mancanza di scoperti interni. La città sortì quale oggi si vede; con ciò di differenza che il canale minore venne tolto, e cessò l'uso di colorire esternamente a colori variatissimi, fortissimi le case, ripetendo ciò che si costumava o si costuma nelle parti di Olanda. (Continuerà.)