ANNO II. Capodistria 16 Luglio 1868. N. U. LA PROYIN GIORNALE DEGLI INTERESSI CITILI, ECONOMICI E» 1MI8ISTE1TIVI DELL'ISTRIA. Esce il 1 ed il 46 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi 5 per linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Pagamenti anteeipati. La Camera di commercio. E ben lungi dall'animo nostro qualsiasi voglia di prendere le parli del censore, o di sconoscere, comunque, il merito delle buone intenzioni in chiunque abbia preso parte alla rappresentanza dei nostri interessi commerciali; ma desideriamo ad un tempo di sottrarci alle abitudini del silenzio, che sembrano essersi fatte padrone di noi in cotesto argomento, come pur troppo, in molli altri, con grave danno degli studii più essenziali al miglioramento delle nostre condizioni economiche. Che cosa fa là nostra Camera di commercio? Ecco la domanda che ci arriva assai di frequente quasi da ogni parte della nostra provincia, nè già soltanto dagli uomini incontentabili, da quegli uomini, sotto i cui occhi tutto piglia sembianza o di sonno o di veglia disutile, ma da chi suole recare nel giudizio dell'alimi operosilà i critcrii più riposati e longanimi. Che noi saremmo oltremodo lieti d'imbandire, in riscontro di tali richieste, i più lauti panegirici, non ci occorre, per sicuro, di protestarlo. Troppo schietto è il nostro- amore al bene, perchè non avessimo ad esultare nel vederlo tradotto in azione sagace e fruttuosa sotto qualunque mano e in qualsivoglia palestra delle gestioni provinciali, e particolarmente poi in questa di cui parliamo, dove la lode andrebbe tutta ad amici nostri;, ad egregi compatriotti, ehe dividono con noi le aspirazioni generose. Ma, lealmente,, una risposta allegra da porgere ai richiedenti noi non la troviamo; e se a darla mesta come vuol essere, ossia franca e sincera come la caviamo dall'animo, si può giovare alla cosa pubblica, stimiamo debito nostro di rompere le consuetudini del mutismo, e di lasciare che la verità si faccia innanzi. La nostra Camera di commercio ha molli e gravi officii da compiere, e il debito suo è tanto più stringente, quanto maggiori sono le angustie d'ogni maniera, in cui versa questa provincia. Abbiamo noi bisogno di esporre qui tulli gli adopramenti, a cui sodo chiamate queste provvidissime delegazioni degli ordini commercianti e industriali? Chi è che ciò non conosca? Chi è che non sappia, come non vi sia interesse materiale, il quale non cada nelle attribuzioni delle Camere di commercio, per essere almeno rappresentato e fatto sentire da lutti, ove tempi maligni non consentissero un effetto maggiore? Noi non diremo, che la nostra Camera abbia, propriamente, mancato di adempiere alle cosi delte sue incombenze d' uffizio, che, a guisa di esempio, non abbia tenuti in regola i suoi protocolli, non abbia data evasione a tutti i numeri de' suoi esibili, non abbia obbedito ai regolamenti nel disporre, di tratto in tratto, le sedie curuli intorno al tavolo del suo maggior Consiglio, non siasi guardala insomma dal costituirsi rea confessa di leso mandato di fronte alla nuda lettera della legge. Ma non cadere in aperta contravvenzione è ben altra cosa che meritare del proprio paese. A tal fine, fa d'uopo animare la legge stessa del pfoprio spirito migliore, dei proprii accorgimenti più desìi e solerti, ed è allora ch'essa rileva agli uomini dfe nuona volontà tulio il bene che se ne può cogliere. Se i consiglieri della Camera di commorcio prendessero sul serio il loro compito, e non si rimettessero intieramente nel segretario, il quale, per quanto attivo e intelligente, è un uomo solo, con due soli occhi in fronte, noi potremmo raccogliere più volte nell'anno le risultanze delle loro discussioni; e queste, se anche avessero a rimanere, in parte, sterili di effetto per cause indipendenti dal loro volere, riuscirebbero in ogni modo molto istruttive, e darebbero argomento a nuovi studii e a conoscere per bene non solo quello che ci occorre, ma quanto è più alto a farcelo conseguire, ossia ad avviare le sagge riforme almeno nelle menti, se non ancora nei falli, eli' è quanto a dire a spargere il buon seme nel terreno della pubblica opinione, che dissodato con cura amorosa risponde sempre alla fatica del cultore. Ci è ben noto quanto suole accamparsi contro siffatti nostri propositi: si accusano tutti, il cielo e la terra, nemici ed amici, la povertà, la sordità, la cecità e quanti altri sono i malanni delle popolazioni inférme e di guarigione disperata. Ma queste sono esagerazioni, e noi teniamo per fermo, che a nessuno indirizzo ragionevole e pratico mancherebbe il necessario appoggio, specialmente nei nostri comuni più colti. Soltanto, per essere appoggiati, conviene produrre idee approfondile, come quelle che va svolgendo in più articoli un nostro egregio collaboratore; per essere ascoltati, conviene parlare il linguaggio degli affari limpidi e positivi; per essere seguiti, conviene muoversi, e muoversi per vie possibili. Pei programmi confusi, pei sermomi teorici, pei. / progetti campali in aria nessuno cava la testa di sotto alle coltrici. Il troppo arduo, con quella beatitudine di fortune che ci piove addosso, non ci accade nemmeno in sogno di richiedere ad alcuno. Ma che per istarcene all' oggetto di queste nostre parole, cominci una buona volta la nostra Camera di commercio a prefiggersi qualche meta, a cui volgere se e la provincia, che rizzi su in piedi un qualche suo piano di operazioni, che non assista, colle braccia al sen conserte, alle disordinate processioni dei vecchi e sciancati nostri commerci, abbiamo coscienza di poterlo e doverlo pretendere. Non è questo il momento di farci a dire tutto quello che noi diremmo attuabile da essa, ma pure, qualche cosa di concreto, qualche domanda articolata vogliamo conchiudere, non già coli'animo di metter mano alle proposte più importanti e profittevoli, ma unicamente colla fiducia di avvisare ad alcun che di non difficile e capace di pronta esecuzione, E noi ed altri in questo giornale abbiamo più volte discorsa la estrema urgenza di una statistica della provincia, la quale avesse ad essere, come lo deve ogni lavoro di questo genere, norma e riprova d'ogni provvedimento economico. Ma, finche parliamo, così per via di massime, sulla importanza, generale e speciale, di quest'opera, anche le cose belle che avessimo a dire e ridire porterebbero seco la disgrazia di essere molto viete e ristrelte alle frasi di un mero proemio, senza seguilo di capitoli. È tempo adunque che, lasciate da parte le prefazioni, si proceda finalmente al testo del lavoro. Ed ecco che nessuno meglio della Camera di commercio può appagare questo volo, tanto più che il pensiero non l'è nuovo, ma l'onorevole suo segretario ebbe anzi a studiarsi, per buon trailo di tempo, a procurarne il compimento, approntando le tabelle statistiche, che avrebbero dovuto essere distribuite a comitati fiduciarii in ciascun distretto, e riempiute da essi delle rispettive cifre, e corredate di quei riflessi, attinti alle specialità locali, i quali stanno in capo a tanti e tanti, e, raccolti dallo studioso, possono fornirgli ricca materia di raffronti e di utilissime conclusioni. Ora, venga pure innanzi il più pratico di quella onoranda schiera di pratici, che direbbero utopia anche la propria esistenza, e ci dica, se un po' di buon volere non basterebbe a rendere una bella realtà i vantaggi di cotesto progetto. Sono pochi i membri della Camera di commercio? Sono pochissime le comodità di raccoglierli a spessi convegni? Ebbene, gli è appunto perciò ch'essa deve compiersi con quante sono le intelligenze e le attività della provincia, giovandosi dell'opera loro ausiliare. Non tutti risponderanno all'appello, e chi risponderà non lo farà che a mezzo e svogliato? Sono mere profezie, a cui non prestiamo fede; e in ogni modo ci danno diritto a metterle in forse gli stessi profeti, con quella loro paura di muovere ai fatti che dovrebbero avverarle. La Camera di commercio non badi a questi consiglieri senza consiglio, e si metta a fare. Inviti tosto i principali Municipii a costituire le anzidette commissioni di fiduciarii, e mandi loro senza indugio le tavole statistiche, ridotte da prima alle cose più essenziali, perchè è bene dar principio con poche, ma sicure notizie, se vuoisi che al lavoro si rendano fami- gliari lutti gli ajutatori, e dal meno si monti al più con perseverante impegno e crescente coraggio. E fossero pure i primi dati incompleti, e sconnessi i primi commenti, ben sarebbero essi sufficienti a porgere materia interessante per le pubblicazioni di questo giornale, dove non mancherebbero, al cerio, le osservazioni In contrario, e si aprirebbe di tal guisa il campo a quella sostanziale polemica, che lauto conferisce alla esattezza e pienezza degli studii. Noi siamo profondamente convinti, che la Camera di commercio ha in ciò il mezzo più efficace di associare i migliori ingegni della provincia, di volgerli costantemente a sode applicazioni, di alimentare il nostro periodico degli scritti più utili e decorosi, di pie? parare il fondamento d'ogni miglioria nelle condizioni economiche della provincia. A noi parrebbe di recare offesa alla retta intelligenza dei nostri lettori, se dimorassimo più oltre a ragionare una così specchiata evidenza. Ed ecco la prima domanda su cui ci permettiamo di chiamare l'attenzione della nostra Camera di commercio. Vorremmo poi ch'essa si decidesse immediatamente a trarre le sintesi più importanti, ossia le partite, le somme più essenziali dalle numerose e preziose relazioni che le inviano o possono inviarle periodicamente gli uffizii di porto della provincia. Tali somme, che presenterebbero il movimento della navigazione e del commercio marittimo, rilevando le distinzioni più convenienti fra le varie parli dell'Istria, le varie provenienze e destinazioni, le merci, le bandiere, le qualità e capacità dei navigli, figurerebbero con molto pregio in questo giornale, che si offre a ciò e prega anzi di esserne favorito. E infine, per questa volta, noi chiederemo ancora, che gli atti più importanti della Camera di commercio, prodotti in questi ultimi anni, ci fossero tosto inviati, come, a guisa di esempio, quelli che concernono le relazioni commerciali col Regno d'Italia. Siffatte cose non perdono, quasi mai, un valore di attualità, perchè ogni considerazione retrospettiva riguardo ad esse si connette strettamente colle necessità presenti ed è necessaria scoria alle previsioni dell'avvenire. Si dirà che noi in queste istanze abbiamo un occhio sempre al migliore andamento del nostro periodico. D'accordo pienamente, che noi invero ce ne preoccupiamo sempre del nostro meglio, e nuli'altro vogliono essere queste pagine che un servigio continuo ed esclusivo agl'interessi del nostro paese. Ed ora, per chiudere, se abbiamo rivolto una franca parola alla Camera di commercio, pensiamo che non se debba dolere alcuno, il quale abbia in cima a'suoi pensieri il bene, l'onore della provincia, e stimi ormai maturo il tempo di abolire le arcadie nella trattazione degli affari comuni, e di assumere invece, nelle debite forme e rispettando sempre gl'intendimenti delle persone, lo schietto linguaggio della vita pubblica in tutti gli oggetti che le appartengono. Sulla classificazione delle strade. (Continuazione e fine, vedi n. io). ira • Ridotta così a semplicità, in tutt'i distretti della rovincia, l'azienda stradale; tolti di mezzo tulli que-li equivoci, che sarebbero inseparabili dall'istituzione i un processo inquisitorio sopra ogni singola strada, l'oggetto di depurare la fondatezza delle contraddirne proposte, e decidere indi a quale delle tre cate-orie, contemplate dalla legge, la si debba ascrivere; ssata una base equa ali» concorrenza dei Comuni nel-spesa; annodali i medesimi intorno ad un Gomita-» centrale, che riassumendo in sè la somma delle in-ombenze amministrative, ne propaghi altresì da una stremila all'altra della regione l' impulso dell' attivili rivolta al buon governo delle strade; e resi arbi-ri, in fine, gli stessi Comuni di adottare, d'accordo ol Comitato, quel piano di amministrazione, che mag-iormenle convenga alle circostanze di luogo, ed alla couomia nella spesa con che questa, secondo i dati accolti, non dovrebbe oltrepassare la media propor-ionale del 7 per cento sull'imposta diretta, reslereb-ic da considerare, per ultimo, se in quest'associazio-e si debba comprendere tutte le strade rotabili del istretto, oppure limitarla alle strade principali, tenenti fermo anche peli'avvenire all'attuale sistema, vigen-in pressoché tutt'i distretti, della concorrenza dei omuni. soltanto pella manutenzione di quest'ultima ategoria di strade. La Giunta provinciale, esternando anche su di ciò proprio parere, non esita di dichiararsi in favore ella prima alternativa. Importa, in primo luogo, che anche le strade di rdiue secondario, siano dovunque egualmente bene riservate: poiché come in un vasto sistema di cana-ìzzazione, anche i minori canali arrecano di maggiori missari il proprio modesto contributo di acque, e la aro conservazione non potrebb'essere negletta, senza ortare, nello slesso tempo, un grave turbamento nel-assieme di quello; similmente rendesi necessario, che nche le dette strade siano conservate in uno slato oddisfacente, venendo non solo le medesime a presta-e un utile servizio locale al movimento delle persone delle cose, ma giovando altresì ad alimentare mag-iormente quello pelle strade principali, alle quali con-niscono, e contribuendo quindi ancor esse non poco più perfetto complemento della rete stradale della cgione. Secondariamente, se vi ha pericolo di trascurata lanutenzione delle strade, questo sussiste appunto, cole lo dimostra la esperienza, pella suddetta categoria die medesime; sicché, ove le si lasciassero in am-liuistrazione speciale dei molti Comuni, che non santi, o non vogliono, o non possono prendersi cura di sse, andrebbero incontro a sempre maggiore deperi-leuto, a scapito del considerevole capitale, che fu im-iegalo nella costruzione delle medesime, e della pubica utilità. Ed in fine, poiché dall'unione viene anche la for-11, la Giunta pensa, essere ormai cosa desiderabile, he si cominci una volta a fondere in uno gl'interessi munì a più estesi territori della provincia, dando co-* i a quelli la possibilità di avvantaggiare dei benefizi Bell'associazione, ed abituando sempre più i Comuni lessi a considerarsi come parti integranti della identi- ci ca famiglia, ed obbligati perciò alla mutua assistenza e benevolenza, anziché come altrettanti membri disgregati dalla medesima, ed operanti ciascuno sotto propria ditta ed insegna, dietro 1' unica spinta del particolare tornaconto. Laonde, concretando in forma di legge, quanto la Giunta è venula sin qui esponendo, essa sottopone all'esame ed accettazione della Dieta provinciale il seguente progetto di legge sulla classificazione delle strade. Art. -t.® Ciascuno del sedici distretti giudiziari della provincia, di Albona, Buje, Capodistria, Caslelnuo-vo, Cherso, Dignano, Lussino, Montona, Parenzo, Pin-guente, Pirano, Pisino, Pola, Rovigno, Veglia e Volo-sca, forma una regione di concorrenza per la manutenzione di tutte le strade rotabili in essa attualmente esistenti. Art. 2.° Venendovi costruite nuove strade, queste saranno del pari accettate nella concorrenza regionale, nell'anno successivo a quello del loro totale compimento. Art. 3.® Il dispendio annuale, occorrente alla manutenzione delle suddette strade, verrà ripartito sui singoli Comuni del distretto in proporzione del complessivo loro stato d'imposta diretta, osservale le prescrizioni del §. -18 della legge provinciale 19 Maggio 1863. Art. 4° L'amministrazione tecnica ed economica delle strade della intiera regione, la sorveglianza sul-l'esecuzione dei lavori, e sullo stato delle medesime, vengono affidate ad un Comitato di cinque, o tutl'al "più, di sette membri, eletti nei modi stabiliti dal successivo §. 19, nel capoluogo del distretto. I comuni, aventi proprio consiglio d'amministrazione, concorreranno all'elezione del Comitato mediante il rispettivo agente, colla Deputazione del Comune locale, cui sono essi aggregati. Ari. 5.° I comuni locali sono obbligati di cooperare, entro il circondario del proprio territorio, alla pronta esecuzione delle disposizioni ad essi rilasciate dal Comitato della regione. Art. 6.° Per forza della presente legge vengono poste fuori di vigore, nella parte solamente che concerne 1' obbligo della conservazione delle strade comunali, le prescrizioni dei §§. 13 e 14 della legge precitata,, ed il primo capoverso del §. 18, che esige per ogni singola strada regionale la costituzione di uno speciale Comitato. Capodistria, luglio. (N. M.) È inutile, tocca proprio a me, che non voleva, essere il primo a scrivere una specie di cronaca agraria di Capodistria. E non voleva farlo, sapete perché ? Perchè temeva di essere taccialo di millanteria, approfittaudo delle colonne del nostro periodico » la Provincia » per mettere innanzi 1' attività e la diligenza dei nostri coltivatori, che la pretendono di confronto agli altri distretti dell' Istria, certamente meno sviluppati del nostro, per il solo motivo che si trovano a maggiori distanze dalla piazza di Trieste, a cui Capodistria accede facilmente e per mare e per terra?-stante la sua vicinanza. Ma la colpa non è mia, chè ho fatto di tutto, invitando, eccitando ed insistendo per avere notizie dello slato agrario passalo e presente dei principali distretti della provincia presso tutti i maggiori possidenti, i quali o non risposero alle mie lettere, o si scusarono con ragioni tanto meschine da non le poter valutare. Dunque cominciamo da noi, e rimontando prima a quanto ho potuto rilevare intorno alla coltivazione dei nostri campi nel secolo passato, verrò ad esporre quanto ho vedulo succedere nel corrente, che ha già oltrepassato in buona parte la metà del suo corso. Le nolizie che ho tratte del secolo scorso le ebbi per tradizione, interrogando vecchi ottuagenarj che ora non sono più, e che per averle trovale concordi in replicate domande che feci loro non dubito che sie-no veritiere. Vi avverto che non saranno che cenni quelli che geltarò giù, i quali toccheranno e la coltura della terra, e quella degli ulivi, delle viti e dei bachi. Dopo la metà dello scorso secolo, giacché sulla prima mela nulla ho potuto rilevare, le terre erano coltivate a tormenti e legumi, e poco o niente a formentone, la cui coltura si estese sul finire del secolo, e prese il predominio sui nostri campi nel -1817, l'anno cosi detto della fame. Non so poi con quanta utilità venisse generalizzala la coltura del formentone sulle nostre colline, aride per natura, e per ricorrenti annuali siccità, e tulle popolate di vili, di olivi e di alberi fruttiferi. Allora si spinse a tal grado il fanatismo di coltivare il formentone, che si videro dissodare molte nostre belle vallate, ubertose praterie per seminarvi il prediletto granone, e ciò a scapilo degli animali da lavoro e quindi dei concimi. Ed il colono e il contadino, bramosi di polenta, se ne innamorarono a segno da trascurare e viti e ulivi per dedicare ogni loro cura all' incerto e costoso raccolto del maiz. Fatto è che anche oggidì i conladini, o meglio, la maggior parte di essi, danno più valore a un campo di formentone che ad una vigna, o ad un oliveto. Ma lasciamo le digressioni, e veniamo all'argomento. Tulle le colline che ci fanno corona, e che prospettano il mare, nel secolo passato erano popolale di olivi, ma il freddo improvviso ed intenso del marzo 4782 ne fece perire una gran quantità, particolarmente nelle posizioni a tramontana, e quelle di San Canziano, San Michele e Prade, che ne erano fìtte, furono le più colpite, onde c rami e tronchi perirono affatto. Se si fossero recisi fra le due terre, avrebbero germogliato di nuovo, ed ancora presentemente vedremmo ridenti quei colli di bellissimi olivi; ma così non fecero i possidenti di quel tempo, e sradicarono in vece l'albero prezioso, che solo da non molti anni venne qua e là ripiantato. Che Capodistria facesse negli anni addietro raccolti più abbondanti d' olio, lo provano certamente le molte pile che restano la maggior parte vuole nelle cantine di molli possidenti, qualcuno dei quali presentemente appena raggiunge, o di poco passa, il bisogno per la propria famiglia. I coltivatori più solerli dell' olivo, sarebbero stalle le famiglie Gravisi, Vittori, Majer, Orefici, Tacco, Grisoni e Bartoli. Queste attivarono i vivai cogli ovoli, allevando a questo modo piante più vegete e robuste, di cui si hanno ancora esemplari bellissimi nella tenuta dei Majer in contrada An-carano, posseduta tuttora da una famiglia Gravisi, alla quale pervenue per ragione di dote. Adopravano il concime più adatto col raccogliere tutti i ritagli di pelli, dai calzolai e conciapelli che mescolato a terre raccolte da fossi e capitagne, stendevano al piede degli o-livi, per cui ottenevano e rigogliosa vegetazione e buon raccolto. Erano però restii a frequenti e inesorabili potature, che appena a tempi nostri vennero in uso, seb-ben non troppo generalizzato, avvegnacchò si contino tuttora fra i nostri opcraj pochi che sappiano ben polare accomodare un olivo. La vite venne coltivata generalmente, piantandosi a filari; ma con nessuna attenzione nella scella delle uve mescendosi alla rinfusa fnsieme le bianche alle nere con il cosidclto refosco. La coltura a vigna e ad albero secco, rara, ed in ristrettissime estensioni. Mi si racconta, che uno dei migliori coltivatori della vite e specialmente di refo-scho sia sialo nello scorso secolo Pietro de Baseggio, il quale in un'estensione di circa selte giornate di terra, posta nella contrada di Nigrignano, raccoglieva circa 200 emeri di vino, ottimo relativamente ai gusti di allora. Le famiglie Gravisi, Bruti e Vittori specialmente coltivarono,e sempre a filari, anche l'uva moscaio e il piccolit di cui ritraevano un vino fatto a modo di licore, che riesciva prelibato, ma potentissimo, e che: veniva molto ricercato dalle famiglie patrizie di Venezia, alle cui mense si vuotavano casse di bottiglie, die annualmente si mandavano loro o in vendita o in do-( no. Il metodo di fare il vino comune era affatto erroneo ed irrazionale: chi lo faceva più colorito portava la palma, e per ottenere ciò si lasciavano fermentare le uve ed il refosco ne' tini finché la buccia marcisse, e raggiugnesse colla fermentazione un alto grado di colore. Allora appena si svinava. Il risultato era, elio il vino riusciva colorilo e denso, malsano a beversi, poco atto al trasporlo, e che facilmente inacidiva col sopravvenire dei calori estivi. Il primo a gridare contro questo falso metodo di fare il vino è stato Nicolò de Baseggio fu Giorgio, benemerito nostro concittadino per altri speciosi titoli, e per incrollabile amor patrio, il quale soleva ripetere a tutti che il vino fatto a quel modo » era inchiostro soprafino per avvelenare il popolo. » Ma allora fu un gridare al deserto, ehè si continuò fino a tempi nostri a farlo a quel modo, non tutti pensando peranco a più ragionevole e più salutale confezione. Non parliamo di coltura separata, chè a quei tempi, come anche adesso, veniva affatto preterita. Di concime non si davano certo pensiero, e fu soltanto nel 1780, o in quel torno, che si cominciò a capire, che i letami prodotti soltanto coi propri animali, o in altro modo, non erano sufficienti; e siccome in allora la vicina Trieste era ben lontana dal poterne fornire nelle misure attuali, si facevano venire con non lieve spesa dalla non vicina Venezia. I primi e forse i soli a ricorrere a quella provenienza furono i fratelli Madonizza, dopo aver acquistalo dalla Serenissima le possessioni di San Nicolo di Ultra, e di San Pietro del Carso presso Buje. Nò a quei tempi il gelso era trascurato : ve ne a-vea in gran numero nello prese di Campo Marzo, proprietà comunale, nè mancava di spandere le sue ombre sul sagralo delle chiese de'villagi, o intorno a quasi tutte le case coloniche. Chi li piantasse, nelle suddette prese s'ignora; il fatto è, che fino al 1820 se ne vedevano ancora. Furono svelti per dar luogo alle vili durante le guerre napoleoniche, che arrestarono lo svi- lappo dell'industria serica, appena nell' anno 4816 tornata a rifiorire. Nel secolo scorso si contavano qui n.° 34 fornelli pe-r trarre la seta, divisi nei seguenti industrianti: Giovanni Genzo fornelli N.° 12 Giulio Vittori » » 6 Angela Degrassi » » 4 Giuseppe Gasparutti » » 4 fratelli Madonizza » ■» 5 Francesco Celadia » » 2 Caterina Davanzo » » 2 Gio. Maria Tagliaferro » » 4 11 Genzo avea inoltre attivato un fìlatojo meccanico per la seta, di cui ancora, credo, se ne ponno vedere le traccie. Era diviso in tre piani; a pian terra stava collocata una gran ruota che dava moto a tutto il meccanismo situato nei due piani sovrapposti. Si contavano 24 aspi con corrispondente numero di rocchetti, e venivano impiegati giornalmente da 400 a 420 operai tra uomini e donne. I fratelli Madonizza, nella loro possessione di San Pietro del Carse presso Buje, riducendo e formando nuovi campi con non piccola spesa, li circondarono quasi tutti con piante di gelso, che tuttora iu parte sussistono e vegetano rigogliosi, c credo sia slato unico esempio a quei tempi e in quei luoghi la coltivazione dell" utile pianta, lontana da fabbricati e in campo aperto. Il turbine, che nell'anno 4789 sconvolse la Francia e per conseguenza l'Europa intera, giunse anche in Istria, chè dal 4797 al 1814 caduto prima il patrio governo veneto, vide succedersi Austriaci e Francesi, che poco o nulla fecero per rianimare l'industria agricola. Pacificata l'Europa nel 4815, l'Istria che divise sempre le sorti della Venezia, da cui venne staccata, cominciò a guardare come centro de'suoi interessi la più vicina Trieste, e con questa città cominciò a formare rapporti e relazioni d'industrie e commerci. Capodistria, a più vicino contatto di questo porto franco, indovinò l'utilità che poteva ritrarre, e cominciò una coltura affatto speciale de'suoi campi, e di mano in mano che quella città progrediva rapidamente al suo ingrandimento, ne estendeva la qualità e l'importanza. Primo a dare il buon esempio è stato Gio. Battista Volpe, che nella sua piccola possessione di Salara cominciò a coltivare la terra ad ortaglia e a fruitelo, ritraendo, specialmente dalle squisite pesche, lauti guadagni. Con lode e gratitudine va pur nominato Giovanni Schipizza, popolano solerte ed intelligente, che introduceva da noi la coltura dei piselli, che si estese ■quasi gereralmenle, e che forma una delle principali tonti di reddito, ascendente annualmente a parecchie migliaja di fiorini, coi quali il nostro popolo agricolo fa fronte ai primi bisogni della vita, che nella stagione di primavera si presentano stringenti più che mai. Va del pari annoverato fra i buoni cultori e di vili di olivi e di alberi fruttiferi Nazario Bencich, che seguendo i metodi migliori per l'allevamento di quelle piante, ridusse la sua piccola campagna in Barbano in uno stato florido e veramente esemplare. Il di lui figlio Pietro, seguendone le traccie avanzò nei miglioramenti e la ridusse ad essere modello di coltura. Arrivo anzi a dire che in Istria non v'ha campagna coltivata a riti che la possa agguagliare. Giacomo Godiglia fece acquisto, anni addietro, nel- la contrada di Lazzaretto, di vasta possessione, che trovò quasi brughiera. La piantò tutta a viti, a gelsi e ad alberi fruttiferi^ seguendo i metodi migliori. Soltanto avrebbe fatto meglio, separando, più che noi lece, le varie piantagioni. Ne divise ed affidò la coltura fra trentasci coloni, che invigila rigorosamente per l'adempimento contemporaneo ed opportuno di ogni lavoro campestre. Profonde il concime a larga mano, facendone vistosi acquisti a Trieste, oltre quello che ritrae da numeroso stuolo di vacche e di altri animali. È solerle, attivo ed avveduto, e, credo, si possa annoverarlo con lode fra quelli che sono benemeriti dell'industria agricola. Vicino al Godigna cammina di pari passo Giovanni Tolto colla sua tenuta di Prade, piantata da lui tutta di nuovo a vili, alberi fruttiferi ed olivi, e pel cui buon andamento dedica tulio il suo tempo, e tutte le sue cure. Ambedue sono campagne che si possono offrire come modelli. Giovanni Flcgo merita di essere ricordato per la sua coltura del pomidoro in an campo posto sul Risano, nella contrada di Semino. Approfittando dell'acqua di quel fiume mediante una pompa, ogni anno e-gli ricava un buon migiiojo di fiorini da un lembo di terra, che forse non ne vale la metà. Seguendo l'esempio di questi principali coltivatori, si può dire che in generale tutti i possidenti e piccoli e grandi del comune di Capodistria, e limitrofi, seguano chi più chi meno li stessi metodi e sistemi. L'industria serica, che prese un deciso sviluppo dal 4828 in poi, fu animata in particolar modo da Gian-nandrea Gravisi che fece impianti di gelsi su larga scala nella sua possessione di Prade. Dietro a lui tutti si misero a piantarne, traendoli dalle provincie del Friuli e della Trevisana. In molle parti dell'Istria si svegliava così l'amore del gelso; ed anzi nell'anno 4840, Nicolò Madonizza facea venire dalle pipiniere, che Giovanni Battista Travani teneva in Adria, diecimila piante di due anni, che vennero distribuite tra Rovigno, Parenzo e Pisino. Ma pur troppo, mentre l'allevamento dei bachi si estendeva ovunque e il contadino stesso faceva ricerca di gelsi, la fatale malattia ne arrestava il progresso, e disanimava i coltivatori. Dall'anno 1816, al 4842 si numeravano a Capodistria 52 fornelli per filare la seta, che lavoravano però col metodo vecchio, cioè a 4 capi. Le prelese del commercio serico unite a un maggior tornaconto, che richiedevano un lavoro più fino nelle sele filate, esercitò anche fra noi la sua infallibile influenza e cominciò nel 4842 a destare il bisogno di perfezionamenti onde mettersi in concorrenza colle scie della Lombardia e della Venezia. Il primo a introdurre il metodo più perfezionalo di filare a due capi è stato Paolo Sardotsch con 2 fornelli, che però smise pochi anni dopo. In seguito Giorgio de Baseggio con numero maggiore di fornelli che presentemente mantiene in numero di 24. A questi segue Giacomo Godigna che lavora a mariage, e vari altri industrianti. I fornelli sono oggi 64. Questi cenni storici, questa specie di cronaca a-graria, che gettai sulla carta come mi venne giù dalla pernia e come mi soccorreva la memoria, sono ben lontani dal soddisfare la mia volontà ed intenzione di porgerli più estesi, e forse più esalti. Serviranno pero di sprone a chi vorrà darsi cura di correggerli ed e- stenderli, che gliene sarò gratissimo, non essendomi prefisso altro scopo che quello di ecciltare, a questa specie di sludj perchè si conosca la nostra vera posizione agraria e industriale di confronto alle allre provincie. Nutro quindi speranza, che in tutti i principali comuni istriani si trovino persone che voglia/io dedicatisi, e mandare alla Provincia i loro scritti. -- • ' ut •; i'iflfi fb o' ' Pisino, luglio. (A. C.) Ora che l'agricoltura non è più arte empirica, ma scienza positiva, dacché i processi della fertilizzazione e della produzione ci vengono rivelati dalla chimica a calcolo esatto, la lettura dei libri moderni d'agraria è sommamente interessante perchè ci accerta di potere con tutta facilità governare i terreni, e padroneggiare l'andamento della coltivazione ad ottenerne i migliori risultati. Ma se dopo la lettura dei libri, ci portiamo sopra i campi, non. sappiamo in vero da dove rifarci per applicare le teorie dianzi ammirate. E ciò accade perchè le grandi varietà dei terreni di cui tratta la scienza, non le riscontriamo entro i confini di una nostra tenuta, ed anche perchè a un privato non è concesso tutto che la scienza indica di buono; per cui ci sembra, ed è in parte, difficile l'applicazione di quei dettami. Discendendo a qualche particolare diremo dei concimi. Viene caldamente raccomandato dagli agronomi quello che risulta dalla mistura di spazzature di cucina, ceneri, rottami di mari, ossa, fuliggine ecc., ma se da noi si volesse far questo, raccogliere cioè tutte queste materie in separato, ne avremmo sì meschina quantità da bastare appena alla fecondazione di qualche ajuola d'orto e non già per campi di qualche estensione a coltivazione di derrate con ispeciali ingrassi. Cesi dei lettami; se si volesse sceverare quello di cavallo, di bue, di porco, di pecore e di pollame si avrebbe un giuocatolare a far mucchietti con ispreco di tempo, di fatica e di sostanza. Non pertanto sta bene di conoscere le proprietà dei terreni e dei concimi, chè può accadere di farne applicazione in qualche caso. Le macchine rurali poi, di cui ve ne ha copia, e sono costose, se convengono all'economia in grande, poco, credo, potrebbero giovare a'privati coltivatori istriani, seppure (ciò che e desiderabile) per vantaggio comune non si associassero due, tre o più d'essi a seconda delle opportunità. A cagione d'esempio si potrebbe adottare nel batter i grani, sia a cavallo sia a mano, i trebiatoj, come, dietro avuto modello, se ne costruisce uno a Parenzo e corrisponde benissimo. Taluni osservarono, perchè da noi non si faccia uso della semplice macchina da tagliuzzare il fieno affinchè i buoi lo possano mangiare più facilmente. Certamente che ciò sarà sempre ien fatto laddove i prati danno un erba del tutto buona; ma è da sapersi che nei nostri prati naturali ci sono delle erbe che gli animali rifiutano perchè nocive ; vi sono certe erbacce spinose che per quanto ancor tenere si svelgano a mano prima della fal-eiagione o si separino quando s'asciuga l'erba, ve ne restano ancora ; per cui, a volere sminuzzare il nostro fieno, gli animali dovrebbero mangiare anche ciò che loro nuoce; mentre lasciando l'erba come si raccoglie, scelgono ciò che fa per loro ed il restante serve per gli stahbi. Quindi, in fino a che non ci si rimedi o con l'associazioni o cogl' istituti, sembrami il meglio lasciare mano libera nelle innovazioni e non ispingere troppo alla leggiera a spese incompatibili colle attuali condizioni agricole. Tutta l'attenzione però di noi istriani dovrebbe rivolgersi a tre cose, dalle quali potrebbe dipendere il ben essere della pro- vincia, e per le quali non dovrebbero ristare da studj e solecì-tudini tanto le autorità locali quanto i singoli cittadini. Intendo dire la coltivazione dei boschi, di cui fu parlato più volte e con molta saviezza nella Provincia-, la coltivazione de'bachi, su di che mi riservo ritornare un'altra volta, e la viticoltura con la vinificazione. Circa ai vini si leggono delle giuste osservazioni nell'articolo di Rovigno del passato giugno, in questo periodico. Infatti se dalle nostre buone uve noi sapessimo fare del buon vino d'una o più qualità e che potremmo alle qualità dare dei caratteri permanenti ogni anno per modo, cbe in commercio esso acquistasse un nome, si potrebbe essere sicuri di ricerche e di smercio. Ma non si può dire qui di saper fare il vino, e nemmeno si ha l'opportunità di farlo ammodo. Il poco liquore da bottiglie che si fa con ispecial cura è sempre buono, ma sebbene delle stesse qualità d'uva e dell' istessa fattura, riesce ogni anno di sapor differente. Il vino comune poi viene abborracciato, perchè ogni singolo possidente occupatissimo della vendemmia, della raccolta de'formentoni e patate, delle arature pel frumento « d'altri lavori che cadono in quell'epoca, ristretto di locali, con recipienti più o meno difettosi, vi è pressato di spicciarsela col-P uva a danno della confezione dei vini. Da ciò si verrebbe a dedurre che il coltivatore ha già soddisfatto il suo compito, ottenuto buon raccolto d'uva, e che all'industria spetti la manipolazione; per cui emerge la necessità d'un associazione enologica coi rispettivi stabilimenti per la fabbricazione del vino. È da sperare che non vi sia tra i benestanti istriani difetto di slancio per unirsi a tale provvedimento, rispetto a cui ogni altra associazione speciale per migliorare le coudizioni nostre avrebbe valore affatto secondario. Dell'adesione dei singoli producenti non si pone dubbio, ai quali basta la buona volontà di portarvi l'uva ; ma se per gli stabilimenti che ne vorrebbero forse più d'uno, non si trovassero sufficienti fondi, si speri in Trieste, a cui ora, colle attivate corse per mare, Capodistria è alle soglie, Pirano è li per fare lo stesso, e l'interno dell'Istria mercè la disegnata ferrovia, le si verserà tutta in grembo; laonde, divenendo sempre più intima l'unione, in ogni evento l'Istria deve cercare e trovare appoggio ed, attingere vita a Trieste. Pola, luglio. (B.) Fanno moltJ anni che trovatomi con certa gente di mal affare che putiva di liberale ad un miglio, si cianciava sul vecchio tema delle infelici condizioni della provincia, ed ognuno dicendo la sua, segnalava qualche causa, e accennava, a suo modo di vedere, un qualche rimedio. Come al solito l'ideale intrecciava la sua flora abbagliante e soave alla brulla severità delle cifre, e così si venivano ricostruendo i bei tempi di Cassiodoro coli' aggiunta di scuole, di strade, di cantieri, di miniere, fin che al presentarsi della inesorabile questione dei quattrini, tutti smozzicando qualche frase di associazione, finivano a pigliare il cappello. Anch' io m'era fatto animo a lanciare un' idea, la quale ra' era da prima, e m' è poi sempre rimasta confitta nel cervello. Io diceva che, senza sfiorar le nubi ritentando la ventura d' I-caro e senza infrangersi contro la questione del denaro, vi fossero alcune provvidenze suggerite dalla natura e possibili nella pratica. A chi osservi il suolo dell' Istria, e tenga conto dell' esperienza di molti anni, si presenta la conclusione palmare, che questa sia la regione degli alberi e non dei cereali. Bisogna quindi obbedire ai precetti della natura, specializzare le colture, e restringendo ai soli piani quella dei cereali, estendere a tutto il resto quella degli alberi. A mio vedere esiste dunque un'idea semplice, logica, a tutti accessibile ed aliena di fantasticheria, un mezzo vero e pratioo di cooperare al risorgimento economico, e questa idea, questo mezzo io li riassumevo nella formola : 1' avvenire della proprietà fondiaria in Istria sta nei boschi, nelle vigiae, nei gelsi, negli ulivi. I prodotti di queste colture sono in fatti di ottima qualità in tutta la provincia. I boschi delle alture danno legnami avidamente ricercati su tutti i mercati, i bozzoli gareggiano con quelli della Brianza, se non li superano, tanto da deplorare la tarda estensione della coltura dei gelsi; gli ulivi che prosperano su tutta la costa, danno un prodotto, che mediante una preparazione più industre non solo vincerebbe quelli della Puglia e della Dalmazia, ma potrebbe collocarsi a fianco de'più rinomati; le uve poi sono così distinte che i vini devono mantenersi padroni delle piazze di consumo vicine, e concorrere onorevolmente sulle più lontane, solo che il vino sia veramente ridotto ad articolo di commercio, e non duri, come fece gran tempo, ad essere un prodotto di locale scialaquo, e tutt' al più di una modesta esportazione screditata dalla contraffazione. Più tardi, nell' autunno del 1861, avvenutomi in quelli ed altri malarnesi, si rivenne a cicalare, e si parlò di Statistica provinciale, di associazione agraria, e di altro, e qui timidamente bisbigliai il progetto di una società enologa, la quale avesse per compito: 1. Lo 6tudio e la razionale determinazione delle qualità di viti più distinte, alte a dare alcune quantità marcate di vino pregiato; 2. La propagazione della coltura delle viti migliori onde far gradatamente prevalere nella massa della produzione, quella dei vini più accreditati, ed ottenere cobì al vino istriano una marcata, stabile, ed onorata classificazione in commercio; 3. Lo studio e la propagazione dei migliori metodi di prepare-zione e conservazione dei vini, per ottenere la maggiore perfezione del prodotto, e la sua durata al tempo e ai trasporti ; 4. La severa controlleria nello smercio dei prodotti genuini della società, onde guadagnare la fiducia dei mercati, e distruggere la mala voce della contraffazione ; 5. L'attività immediata della società diretta intanto all'acquisto delle uve di una migliore e determinata qualità, all'accurata confezione e custodia del vino, ed allo spaccio sotto severa controlleria. Anche questo embrione cadde in oblio con tant' altri migliori: ma confesso di provarne grave pena, dappoi che mi vado raffigurando il giorno vicino che la diffusa solforazione avrà fatto sparire le ultime vestigio della crittogama, e che il ristagno del prodotto delle viti lascierà il produttore più povero che nei tempi del disastro. Quanto strano ed umiliante non sarebbe udire i produttori rimpiangere i tempi beati dell' oidio! Ora poi la mia attenzione fu nuovamente richiamata a questo oggetto da una corrispondenza da Rovigno inserita nel N. 11 della Provincia. È una questione urgente e vitalissima che interessa tutti i proprietari delia provincia. Non è più tempo di sonnecchiare, noi siamo minacciati di vederci sopraffatti dalla concorrenza dei vini delle prossime provincie d' oltre Judri, e dell' interno della Monarchia. I mercati di Trieste e Venezia possono esserci tolti da rivali preferibili per prezzo e qualità. Oltre i vini del Friuli, che da lungo tempo tengono seggio a Trieste e Venezia soddisfando a buona parte del loro consumo, si presentano a competere quelli della Stiria, dell' Austria, e specialmente dell' Ungheria. E parlandoci in confidenza, le qualità di questi vini sono tali da doverne impensierire, e da far smettere le illusioni di un funesto ottimismo, mentre, dall' altra parte, il loro prezzo già sostiene la gara. Non abbiamo più che un solo ausiliario : 1' abitudine dei consu- matori ; ma guai se noi diamo loro il tempo di modificare i loro gusti, e di acconciarsi ai vini stranieri ! Non ci resterebbe altro mezzo di sostenere la gara che quello del ribasso dei prezzi, e dovressimo quindi noi stessi avvilire la nostra derrata e ridurre al menomo la rendita delle nostre decantate vigne, e per conseguenza il prezzo dei fondi. E giuoco forza affrettarci, e per ciò, lodando altamente le ottime vedute del corrispondente del N. 11, e associandomi ai suoi voti, non dissento da esso se non in ciò che verrei la società enologa costituita immediatamente, e la sua attività immediatamente spiegata in quella sfera, e con quei mezzi che sono oggi possibili, senza aspettare la costituzione dell' associazione agraria che è di là da venire, e la cui benefica influenza non può, ad onta di ogni volere e sapere, rendersi tosto e praticamente servibile. E vero che h diffusione delle cognizioni, e il conseguente miglioramento della viticoltura, devono precedere il miglioramento della produzione, ma stando strettamente a questa regola, per se razionalissima, quando andressimo noi a risentire i benefici della società enologa filiale dell' agraria ?... I compratori ci sarebbero da lunga mano sfuggiti, e dovressimo ripigliare il laborioso e dubbioso compito di riconquistarli. Anche in oggi si può far qualche cosa colla compera di ave e-lette, e con una diligente confezione. Anche «oi nostri metodi, usati con cura ed esattezza, e colle buone uve conosciute, si può ottenere del benissimo vino, come ne producono parecchi solerti e diligenti proprietari. E sin d' oggi si può accaparrare 1' opinione ai vini istriani colla controlleria della legittimità. Gli stessi odierni mercanti di vino dovrebbero guardare e subire di buon' occhio la società, poi che infine il crediti, del vino i-striano, viene a risolversi anche in loro vantaggio. BIBLIOGRAFIA. ! j isllftt* ';l raq shttup fkl Vecchi ricordi cormonesi. D.r Costantino Cumano. — Trieste, tipografia del Lloyd, 4808. Il D.r Costantino Cumano, che adopera il suo tempo e i suoi mezzi di fortuna in modo da essere buona scuola ai ricchi di molti paesi, stampò, per occasione di nozze, alcune memorie sloriche di Cormons, sotto il titolo Vecchi ricordi cormonesi. Non v'ha dubbio che fra le diverse parti d'Italia, questa orientale presenta una delle storie più fortunose, e che l'opera del tempo e degli uomini, e quest'ultima specialmente, vi fu più che altrove demolitrice. Fu di qui che passarono e ripassarono, dai tempi più vecchi ai più recenti, tulli i barbari che scesero a sfamarsi nel giardino d'Europa,e dalle distruzioni descritte dal Manzoni per epoca tanto più moderna, è agevole dedurre quale deserto abbiano lasciato sulla loro via gl'invasori preceduti di secoli. Aquileja n'è ben dolorosa allesta-zioue. Pertanto benemeriti assai sono quegli studiosi che concorrono a salvare quel poco che a tante vicende fosse fortunatamente avanzato, e, cavandolo dalla polvere degli archivi, e decifrandolo faticosamente dalle pergamene, ne curano la moltiplicazione e la diffusione. La pubblicazione del D.r Cuniano consta di citi- que parti. Lo scopo, solo ragionevole del presente cenno, che e unicamente di darne la notizia e di tributare al chiarissimo raccoglitore la meritata lode (per poco valore ch'essa ricova dalla mia penna), mi ammonisce a non mettermi in una analisi diffusa del lavoro r perciò ne toccherò di volo, per quello abbisogna a fornirne una bastante idea. É la prima parte un brevissimo riassunto storico delle varie dominazioni sotto cui successivamente passò il paese del Friuli al di qua e al di là dell'Isonzo. Vi si leggono, fra altro, interessanti notizie sui, castellari che la profonda sagaccia politica dei Romani aveva piantato su questo limite d'Italia, in vista l'uno mi'altro, a determinata distanza, formando linea, talvolta doppia, di vedette fortificate in posizioni eminenti. Il castello romano di Còrmons stava in rapporto pel monte di Medea con Jquileja, e per le rocche tti Gradisca, Sagrado, Monfalcone, Duino e Moccolone con Trieste. A piedi del colle su cui esisteva il castello romano di Cormons, nel luogo dove si sarebbe trovato l'alloggiamento del maggior presidio del castello, narra l'autore essere stata rinvenuta un'accetta in selce cornea, semitrasparente, verdastra, di forma perfettamente regolare; e distinguesi a colpo d'occhio la parte tagliente levigatissima che rimaneva libera, da quella più. scabra che veniva inserta nel manico di legno. Mirabile, soggiunge egli, si è la comparsa di cotesta lituana fattura dell antistorica età della pietra levicata di sotto alle romane vestigia. La seconda parte contiene i Cenni sulla costituzione geologica del territorio di Cormons, del prof. Giuseppe Zivic, dove questi espone con molta chiarezza il risultato delle osservazioni geologiche da lui fatte discorrendo i contorni di Cormons. Seguono nella terza parte i Memoriali Cormonesi, cioè i principali avvenimenti della storia di Cormons, disposti in ordine di data, dall'epoca longobardica all'anno 4777. La quarta parte tratta delle Cose di chiesa, ed ha la serie dei pievani e dei vicari di Cormons, e brevi indicazioni storiche sui conventi di quella città. Nella quinta sono raccolti 48 documenti importantissimi, il più autico del 4275, che è la tregua ira Patriarca Raimondo e Conte Alberto di Gorizia, per il possesso del castellò di Cormons. La precisione e sicurezza con cui sono esposti questi dati mostrano nel signor D.r Cumano una persona certa del fatto suo per lunghe amorose ed accurate ricerche. E prima di chiudere questo cenno non posso rinunziare a soggiungere alcune brevi considerazioni che stanno qui a luogo se non altro perchè derivate da alcuni fatti riportati nei Memoriali cormonesi. Gli avvenimenti, storici dei secoli passati, e meglio quando nudamente narrati, e non tratti a violenta interpretazione da sistemi preconcetti, oltre essere ammaestramento per l'avvenire sono incontrastabile conforto per il presente. Imperciocché, checché ne dicano gli c-terni lodatori temporis acli, che non rifiniscono dal deplorare su lutti i tuoni la malvagità degli odierni lem-pi, l'irreligiosità che s'allarga spaventosamente, la inquietudine nei rapporti civili delle genti, in una parola ciò ch'essi dicono i mali della civiltà, io sono intima- mente convinto che noi stiamo, non solo materialmente, ma anche moralmente, meglio dei nostri avi, e che i nostri posteri staranno meglio di noi, per quella legge di progresso che governa visibilmente l'umanità. In o-gni secolo ci ebbero i suoi Geremia, ma se questi a-vessero avuto ragione noi dovremmo trovarci al giorno d'oggi in uno slato di depravazione peggio che non 10 fossero Sodoma e Gomorra. Coi tempi avviene quello clic con gli uomini, che, passati, sono proclamati tutti della più buona pasta, di questo mondo. Naturalmente 11 male esistette sempre dal peccato d'Adamo in poi, esiste e, probabilmente, esisterà sempre; ma quando crollano tanto il capo per l'attuale indifferentismo religioso, e, sconfortati, lo contrappongono al sentimento religioso del Medio Evo specialmente, e al fervore che fu origine delle Crociate, io non posso abbandonare il dubbio che tutto sia in esagerazione della lontananza, e che sostanza religiosa, intesa la religione nel senso cristiano,, nel principio della carità,, e non al modo, gesuitico, se ne abbia più oggi che in qualsiasi altra e-poca. Il fatto sta che certe mostruosità presentemente non sono più non solo non possibili,, ma nemmeno immaginabili. Nei Memoriali cormonesi trovo dunque le seguenti date : « 4268. 3 luglio. Alberto De Colle vescovo di Concordia e Vicedomino del Patriarcato, viaggiando vicino al monte di Medea, viene ucciso con varii suoi famigliari dai partigiani del conte di Gorizia. Il Patriarca, tentata invano l'espugnazione di Gorizia, rotto il ponte dell'Isonzo, devasta il contado ed incendia Medea. » a 1344. Bertrando Patriarca assedia per dieci giorni il'castello di Cormons, sconfigge le milizie del conte di Gorizia, e saccheggia la villa. Marcia poscia contro Gorizia, e, sendo la vigilia di Natale, vi celebra le tre messe consuete. Dato il guasto al paese, si dirige a Belgrado e Latisana. » « 4362. 2 marzo. Quelli di Udine,. Cividale e Ge-mona assalirono il Castel di Manzano ed appiccatovi incendio, lo presero. Era con loro il Patriarca Nicolò con varii nobili del Friuli. » E non sono questi fatti isolati, ma cose regolaris-sime in quell'epoca. E lutti sanno, per l'inarrivabile descrizione di Manzoni, la condizione della società in epoca più recente, cioè nel secolo XVII, quando la forza legale non proteggeva in alcun conto l'uomo tranquillo, e Don Abbondio, per mettersi al coperto dalle universali prepotenze, si faceva prete. Adesso questo sarebbe forse un modo di tirarsele addosso; eppure (servatis servandis) anche i preti diventarono oggi migliori, come tutta la società. Da alcune parole del libro si avrebbe a ritrarre che il D.r Cumano faccia studii speciali sulle opere fortificatorie romane al confine orientale d'Italia. Nessuno, meglio di lui, ne ha l'opportunità; e non puossi che affrettare col desiderio il tempo in cui egli renda pubblici i risultali di tali interessanti sue ricerche. N. N.