Anno XI. Capodistria, Maržo Aprile 1913 N. 3 4 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE „Le Sette Leggende" di Angiolo Orvieto^ Publicando, per i lussuosi tipi dei Fratelli Treves, le sue Sette Leggende, Angiolo Orvieto ruppe un silenzio che durava da dieci anni giusti e riempiva di sincero rammarico quanti non sapevano dimenticare il dolce lirico della Sposa mistica e del Velo di Maya, il delicato drammatizzatore della vita di Fede-rico Chopin, il fantastico e sentimentale pellegrino di Verso 1'Oriente. Ma 6 tornato 1'Orvieto a noi quale noi lo brarnavarno, quale cioe eravarao usi ad ammirarlo e, piu, ad amarlo, poeta del sogno e della grazia, interprete mirabilmente squisito delle mille voci e dei raille aspetti della augusta natura ? E' insomma quella che udiaino una cara nota voce od e, per quanto dolce e simpatica, una voce nuova? Per rispondere, apriamo il libro. Senti i cavalli. senti. . . scalpitan nel cortile, impazienti annitris.cono, sbuffano: odi odi, Gualdrada, echeggiar per gli androni di spade e di speroni aspro tintinno; vedi per il castello torcie che vanno e vengono veloci fra le voci che s' incrociano, mentre di tratto in tratto uno squillo di tromba balzando tra gli spalti alti rimbomba. Ha principio cosl la prima delle Sette Leggende, quella, tolta dalle Cronache Fiorentine, che narra della figlia di Rinieri *) Milano, Fratelli Treves, 1913. Zingano, povera amorosa creatura ripudiata dal marito a cagione di un tradimento commesso dal padre di lei e da questi forzata a nuove nozze con un ignaro gentil cavaliere che non solo le perdona la fedelt& al primo sposo ma le con-cede di prendere il velo. E sono versi che, alle risolute mo-venze dello stile, alla concreta precisione delle imagini e al concitato fragore del ritmo, si giudicherebbero piuttosto epici che lirici e nel cui autore noi duriamo in verit& fatica a rico-noscere 1' Orvieto d' un tempo. Se non che, volgiamo un paio di pagine e leggiamo, ad esempio, questi altri versi che accom-pagnano la dolente ripudiata mentre cavalca, a fianco del feroce padre, verso il nuovo marito: Ma a te che fa, Gualdrada, se per la verde strada trillan gli uccelli e brilla la rugiada? . ^ o se di quando in quando l ** V 1 " sorridon luccicando le foglie degli ulivi al vento blando? che t' importa deli' Arno che in ton a il mattutino con 1'argentino scampanio dell'acque'? Oppur questi, messi dal poeta in bocca al secondo marito, quand' egli si vede dinanzi, curva in singhiozzante angoscia, la desiata donna, e non sa rendersi ragione del d i lei lagrimoso sgomento: O mia Gualdrada, o mia Gualdrada, dimmi, cio chc tanto t' accora e ti fa mesta e abbassa la tua testa fra le lagrime! Io pur sospiro di piangere teco, d' esser eco fraterna de' tuoi gemiti, di fare ambascia mia cio che ti strazia; e aver la grazia poi di consolarti, di ridonarti il sorriso . . . Non sai quanta provai per te dolcezza in cuore, quanta ne accumulai per te nell' arido tenace esiglio che al mio cuor si avido mai non concesse il desiato ardore! Ora, si, noi riconosciamo il poeta, capace, quando le ra-gioni deli' arte lo richiedano, d' intonare ad epica vigoria il principio di un canto, ma fedele e obbediente poi sempre alla non fallace voce del suo istinto di lirico; di lirico che sa cosl penetrare 1' intima essenza delle cose inanimate e convertirla in suono e fantasma, come dar efficacia di perfetta espressione poetica ai piu vari, piu lievi e anche piu reconditi moti del-1'anima umana ; costantemente scegliendo la forma linguistica meno tronfia e reboante ma jnon percio piu sciatta, e conser-vando al numero, con abilit& d' artefice esperto d' ogni pili raffinato secreto deli' arte sua, classica fermezza d' orditura, soave rispondenza d' accordi, impeti e slanci quasi visibili di volo. Con che, beninteso, non si vuol affermare che in questo nuovo libro di versi la poesia deli' Orvieto tocchi sempre 1' ultimo limite della perfezione. E in vero, anche nelle Sette Leggende 1' artista o, meglio, il virtuoso deli' arte prende tal-volta il sopravvento sul poeta, massime in certi ultrasquisiti accoi'gimenti stilistici e verbali, nell' assiduo gioco delle rime al mezzo, nei troppo studiati incontri ed incroci d' assonanze e d' allitterazioni. Tutte colpe, del resto, delle quali sarebbe vera pedanteria far soverchio carico ad un poeta della seriet& e del valore deli' Orvieto. * * Poesia lirica, dunque, anche questa delle Sette leggende, anzi personalissimo commento lirico di sette motivi leggendari e fiabeschi ridotti alla loro semplicit& essenziale, sfrondati cio6 di tutti quegli elementi che avrebbero potuto fuorviare in un modo o nell'altro il poeta o renderne piu complicato l'assunto. Della prima leggenda conosciamo ormai il pietoso soggetto. S' accosta ad essa, per tragicita di contenuto, il maggior numero delle altre. Giudicate. Nel Vaso di basilico e ravvivata, da una novella del Boccaccio, 1' atroce storia di quella fanciulla ch' ebbe 1' amatore decollato dai fratelli e che seppelll in un vaso di basilico, per non separarsene piu mai, il mozzo capo di lui. In Vasavadatta freme il dramrna di una bellissima cor-tigiana deli' India, che, innamoratasi perdutameute di un disce-polo di Buddho, non ne fu corrisposta che il giorno in cui, colpita dalla vendetta del «troppo tradito» maraji, essa giacque nel suo sangue, mutilo corpo agonizzante. Nelle Mani d'TJliva 6 liberamente tolta, da una famosa Sacra Rappresentazione, la figura della mistica fanciulla che si fece troncare le candide meravigiiose mani perch6 colpevoli d' avere acceso un ince-stuoso amore, Nell' Eremo finalmente k data veste poetica alla leggenda medievale del brutal castellano che prima fa tortu-rare, poi annegare il monaco confessore della moglie, al quale indarno ha chiesto il motivo della gelida impassibilita di lei.. »Si direbbe quasi che al cantore s' accompagni un inesausto rivolo di sangue e ch' egli fatalmente soggiaccia al vermiglio fascino. Pure, alla inesorabile legge di dolore che incombe domi-natrice sul libro, due leggende sembrano sottrarsi del tutto e aprire come chi dicesse due spiragli d' azzurro in un greve cielo nemboso: La bella addormentata e le Sette camicie. Di che tratti la prima lo dice chiaramente il titolo, che siibito ci raffaccia al pensiero la vecchia popolarissima fiaba della dolce fanciulla sopita nel magico bosco, in attesa del giovine principe che ,deve destarla e innamorarsene. Non meno fan-tastica n6 men tenue cosa la seconda: una fanciulla perde, distruggendo il nido di una rondine a lui čara, il fidanzato; e deve, per riacquistarlo, tessere paziente sette camicie di filo d' ortica. Queste due leggende, dissi, sembrano sottrarsi alla legge di dolore che governa tutte le altre: in realt&, son pur esse venate di una sottile malinconia; di quella sottile e pacata malinconia, proveniente da una concezione, se non addirittura pessimistica, certo dolorosa della vita, che fu sempre e, come si vede, seguita ad essere la musa a volte occulta, a volte palese, ma non mai assente della dolce poesia orvietana. Os-servate, ad eseinpio, la Bella addormentata: il racconto che ci fa il poeta corre parallelo alla fiaba popolare sino al punto in che il principe s'arresta dinanzi alla bella che dorrae; ma qui si modifica; e si modifica dando un senso nuovo e inatteso a tutta la favola, un senso ch' 6 di verM e di dolore insieme. Non e piu un principe in cerca unicamente di una legg^adra sposa quegli che ormai contempla le armoniose forme della vaga dormente: si 6 uno che vede fatta realt& la pura par-venza ideale che gli finsero i sogni suoi piu cari e segreti. Ecco perch6, dopo ammirata la soave creatura, chiusa anch' essa in un suo delizioso sogno, il primo impulso di lui non e quello di destarla. Egli ben sa che svegliandola essa si muterebbe di fantasma in realt&, d' ideale in donna, e che il duplice in-canto (della fanciulla e suo) sarebbe finito. Meglio dunque non destarla la dolce dormente, meglio fisarla a lungo anche una una volta e poi staccarsene pian piano, senza pur inviarle un bacio su la punta dc-lle dita, e conservare intatto, nel profondo del cuore, per tutto il resto della vita, il ricordo infinitamente dolce deli' attimo sublime. * * * V' 6 un critico il quale disse doversi riconoscere il maggior pregio di questi nuovi versi deli' Orvieto nell' evidenza meravigliosa e nella grande passione con cui 6 rappresentato in essi il paesaggio; e ve n' b un altro che affermd rivelarsi nell' Orvieto delle Sette Leggende un nuovo poeta italiano d' amore. Io dubito che si possano accettare senz' altro questi due giudizi. Certo che nelle Sette Leggende il paesaggio (un dolce, sereno, luminoso paesaggio toscano) ha parte grandissima, per non dire preponderante, ed assume anehe quelle forme di pla-stica e concreta evidenza che troppo spesso mancano alle figure umane che il poeta vi ha per entro disposte; ma accanto al paesaggio, anzi tra il paesaggio e noi c' b il poeta o, meglio, c' e il sogno del poeta, sogno che variamente si colora e si atteggia ma che reca sempre le nobili impronte di un profondo sentimento e di un puro pensiero, e al quale inevitabilmente e spontaneamente si subordina anehe il paesaggio. E' dunque il pieno e sincero abbandonarsi del poeta alla sua interiore commozione fantastica ci6 che piu ci tiene avvinti al suo canto, ci6 che con piu vivo senso di piacere godiamo. Figure, paesi, cose, tutto nelle Sette Leggende si vela prima o poi, con lenta ma progressiva dolcezza, di un non so che misterioso e malioso vapore; e anehe la musica dei ritmi e delle rime allora si smorza, si fa sempre piu tenue, si esala quasi in un soffio; e noi abbiamo la sensazione come di un delizioso smar-rimento, come di un magico viaggio verso i regni deli' oltra-sensibile. Ci tiene il fascino del sogno cui gi& sogno il poeta. Quanto all'amore, che pur dovrebbe costituire un elemento caratteristico e ragguardevole insieme delle nuove poesie del-1' Orvieto, se esso, da un lato, pivi e meglio che spasimo erotico, elevazione e zelo di sacrifizio, dali' altro apparisce, nei riguardi psicologici almeno, un alcunchč di troppo semplice, di troppo elementare, di troppo, anehe, uniforme, per essere scambiato con una interpretazione originale e nuova della passione che piu travaglia gli uomini. Non basta. Amore par- rebbe significare per 1' Orvieto dolore, anzi, ne' piu dei časi, morte. Ma 1' aveva gi& detto il Leopardi : «Due cose belle ba il mondo: amore e morte». Senza che, lo stesso Orvieto aveva gi& accomunato, per non dire armonizzato, i due concetti in preeedenti composizioni. Interprete dunque del paesaggio 1' Orvieto quando e fin tanto che questo s' accorda con 1' intimo sentimento della sua ispirazione e con la natura delle sue fantasie; e poeta d' amore in quanto i soggetti da lui prescelti e gih da altri animati son soggetti in prevalenza amorosi. Nel rimanente, cio6 nella con dotta delle singole narrazioni, nel colore dato ai diversi luoghi e ai diversi episodi, nella dolce rassegnazione a cui sono at-teggiate le sue figure di donna (le meglio riuscite del libro), nella lingua, pura, agile, delicata lingua, qua e 1A un po' ar-caicizzante ma sempre stupendamente duttile nelle mani del-1' artista, e nel meccanismo del verso, finalmente, la cui regola suprema 6 una profonda, costante, raffinata musicalit& non pure di ritmo e di rima ma di stile, di costrutto e di vocaboli; in quanto, dico, 6 diretto e genuino prodotto deli' ingegno suo, egli in verit&, il libero e originale creatore di una poesia quant' altra mai soffusa di fresca grazia e di suggestiva ma-linconia e moventesi per entro a un ambiente tutto di amabile sogno e di fantastico incanto. Giovanni Quarantotto Un Crocifisso dorato del secolo XII nel Convento di s. Anna a Capodistria Mentre di croci astili e di Orocifissi, taluni splendidi dav-vero, appartenenti ali' arte industriale veneziana, di fra lo scorcio del secolo XIV e la fine del secolo XVIII, in Istria c' 6 dovizia l), pochi, epper6 tanto piu degni d' essere segnalati, Con eccellenti criteri d' arte molte di siffatte croci, appartenenti alle sole cit t ž d' Ossero e d' Albona, descrive AUilio Tamaro, Saggio del catalogo dei monumenti e degli oggetti d' arte esistenti nell' Istria, in «Archeografo Triestino» (Trieste, 1909), vol. V, serie III, XXXIII della Raccolta, pg. 123 e ss. Crocifisso dorato del secolo XII esistente nel Convento di S. Anna a Capodistria (Fot. Opiglia. - 111. da F. Babudri). sono ali' incontro i Crocifissi istriani che rimontino al di 1& del secolo XIV. Fra questi cimeli va posta la croce con smalti del secolo XIII esistente a Sferna di Portole 2), e nel bel novero devesi pure aggiungere un Crocifisso senza croce, esistente a Capodistria nel Convento dei Minori di sant'Anna. Esso fu donato nel 1910 da una faraiglia del contado capodistriano al P. Stanislao Cociancich da Laura, allora guardiano del convento santannese, il quale 1' aveva notato e con ottimo pensiero 1' aveva cosi sottratto al pericolo d' andare forse irremissibil-mente perduto. Ora, giacchč questo 6 un ciraelio ignorato, e riesce pure un buon contributo alla storia deli' iconografia del Crocifisso, studiata oggi piu che raai3), trovo doveroso e utile di descriverlo. II Crocifisso di s. Anna — ch' io noraino cosi, impropria-mente, dal hiogo dov' 6 custodito — raisura cm. 17-5 in altezza e 12-5 in larghezza. E' in lamina di bronzo grossa mm. 2, dorata molto bene. 11 corpo di Cristo, come nella Croce di Sterna, e come in tutte le opere consimili, 6 di tipo primitivo e scorretto. 11 viso e sbarbato, giovanile, impassibile, come se sporgesse su dalle strette d' un camauro. In testa ha la corona a due corni rotondi, fiancheggianti una croce latina un po' piu alta. Le braccia sottili sono diritte, e le mani, le cui dita paiono graffite, hanno aperti i due buchi, entro i quali — come ne' due 2j E' descritta da Attilio Tamaro, Una croce con smalti del secolo XIII esistente a Sterna, in «Atti e Memorie« (Parenzo, 1908), vol. II della serie archeolog., XXIV della Raccolta, pg. 347-351. 3) La bibliografia sulla croce, sulla crocifissione e sul Crocifisso dali' opera aurea di I. Lipsius, De cruce libri tres (Anversa, 1595), senza contare le dissertazioni dei Padri eccles., fino a noi, 6 qualche cosa di grande. Vedi il saggio bibliografico dato da Suitb. Bčiumer, Das Kreuz, in «Wetzer u. Welte's, Kirchenlexikon», vol. VII (Freiburg i. Br., 1891) pg. 1083, 1085, 1086-1088. A queste mi permetto d' aggiungere alcune delle migliori opere che su tale argomento uscirono di recente: Adolfo Venturi, La Madonna (Milano, Hoepli, 1900), cap. V «La Crocifissione» ; Wiegand, Das altchristliche Hauptportal an der Kirche der hI. Sabina (Trier, 1900); Wilpert, La Croce sui monumenti delle catacombe, in «Nuovo Bullettino d'archeologia cristiana» (Roma, 1902), pg. 5 e ss.; B. P■ Goffre, Les portraits du Christ (Pariš, 1903); G. Schonemark, Der Krucifixus in der bildenden Kunst (Strassburg, 1908); L. Brčhier, Les origines du Crucifis dans 1' art religieux (Pariš, 1908); Dr. C. Costantini, II Crocifisso nell' arte (Firenze, 1911). Quest' ultimo 6 un lavoro condotto molto bene, ed io lo citerd piu volte. piedi — passavano i chiodini, che dovevan tenere il corpo affisso alla croce. II torso presenta una lieve stortura ed 6 stretto da tre corde cosi, che il ventre sporge a destra. La parte mediana del corpo 6 fasciata da un grembiule lungo, striato da due doppie striscie oblique. Le gambe sono pure sottili, ed i piedi, che appariscono graffiti come le mani, sono appoggiati diritti ad un suppedaneo. Questo Crocifisso pu6 aver fatto parte d' una delle tante croci astili contorniate da altre figure, si nel diritto che nel rovescio, alle quattro estremit& dei bracci, com' 6 il caso della croce a smalti di Sterua4), ma puo essere stato fermato sur una croce semplice, senza contorno d' altre figure a sbalzo. Cosi 6 della croce processionale di Cividale 5), e cosi dei due Cro-cifissi, del tutto identici al nostro, di Chiusdino in provincia di Siena 6). Ad ogni modo appartenne ad una crux immissa o ca-pitata. Nel suo insieme poi, il Crocifisso di s. Anna, come tutti i Crocifissi deli' epoca istessa, apparisce un lavoro di natura dozzinale, dovuto a mano inesperta e rozza: apparisce, dico, perchfe puo essere opera di qualehe artista per avventura buono. In questo riguardo, e in questo campo, dalla Crocifis-sione di s. Sabina (sec. V) fino alla scuola di Cimabue (1240? + dopo il 1302), fa d' uopo andar cauti e non lasciarsi impres-sionare dali' aspetto dozzinale e talora persin brutto del Re-dentore in Croce. Per quel che riguarda il Crocifisso devesi ammettere che il caso 6 singolare davvero, perclie nessuna figura nell' arte stent6 tanto ad evolversi come appunto il Crocifisso. E le ragioni che si adducono dagli studiosi a spiegazione di questo fatto sono parecchie. In primo luogo dagli autori si accampa il grande rispetto, necessariamente dovuto alla Persoua Divina del Redentore, che rattenne gli arti3ti dal raffigu-rare Gesti in genere, e Gesu in croce in ispecie, intimorendoli dal rappresentare quanto costituisce il culmine eccelso della 4) Attilio Tamaro, op. cit. pg. 348. 6) Pubblicato da Gino Fogolari, Cividale del Friuli (Bergamo, 1906), pg. 105. 6) Pubblieati, da fot. Alinari, dal Costantini, op. cit. Redenzione7). Cosl avvenne che il Crocifisso fosse rappresentato meno spesso, e che pertanto gli artisti non avessero campo di sviluppare questo ramo deli' iconografia cristiana, non eserci-tandosi a rappresentarlo. In secondo luogo ebbe grande in-fluenza sugli artisti 1' idea sbagliata che Gesu, il Verbo Divino fattosi Uomo, dovesse in croce essere deforme, corrispondente cioe anehe all'esterno, alla deserizione impressionante che del Redentore, al quale non erat species ei neque decor, da Isaia8). Da cio ven ne la persuasione negli artisti e in parecchi scrittori ecclesiastici, che Gesu dovesse essere rappresentato brutto, come servo abietto 9). E Tertulliano lanciava la esagerata ed erronea trase: «Se Cristo fu brutto, allora soltanto 6 il mio Dio». Da questa utopia ebbe origine quel vezzo, manifestatosi in Oriente per opera specialmente dei monaci Basiliani, di affaticare la mente nella ricerca di forme strane e antiestetiche per raffigurare il Crocifisso. Queste idee sono erronee, n6 certamente derivano dal-1' insegnamento della Chiesa, e tanto meno sono 1' esponente della mentalit& ecclesiastica del Medio Evo, cui era noto egre-giamente il testo scritturale, che dice Gesu «speciosus forma prae filiis hominum» (Ps. 44, 3). Eppure queste idee avevano influenzato gli artisti; fatto sta che di tutti i Crccifissi piti antichi fin oltre il secolo XII, nessuno si pud dire bello. E' na-turale quindi che siffatto canone d' arte impedisse la evoluzione iconografica del Crocifisso, si da far apparire come dozzinaii anehe le opere di artisti buoni. Come terza ragione si deve addurre quella certa difficoM ch' ebbero i eristiani di raffigurare, come oggetto pubblico 10) 7) Vedi il magnifico articolo dello Hefele (Heuser), Christusbilder, in Kirchenlex. (Freib. i. Br. 1884), vol. III, 293-304. — Della passione di Gesu la rappresentazione (igurativa piu antica fu considerata quella che fu detta la coronazione di spine del cimitero di Pretestato (sec. II): vedi Perret, Les Catacombes de Rome, I, planch. LXXX-LXXXII; ma il Ma-rucchi, Manuale d' arch. (II ed. 1908) ne annunziava una spiegazione diversa (pg. 350, nota 1). 8) Isaia, LIH, 2-12, cui fan riseontro Matt., 8, 17; 26, 63; Mare., 9, 11; 15, 28; Paol., I Cor. 15, 3; Act., 8, 32; ete. 9) s. lustin., Dial. c. Tryph. (ed. Moran.), c. 35, p. 181; Clem. Alexandr., Strom., 2, 5 e 3, 17; Paedag.,3, 1; Origen., Contr. Cels., 6, 75; Teriull., Adv. Iud. c. 14. 10) Dico pubblico, perche in privato certamente i eristiani fecero uso della croce e del Crocifisso (cfr. Armellini, Lezioni di archeologia erist., Roma,-1878, pg. 257, e Marucchi, Manaale di Archeologia Cristiana, Roma, Desclee e C., 1908, pg. 350), come fa fede il crocifisso blasfemo del Palatino, cui accenneremo aneora di culto, Gesti su quella croce, che continuava a servire d' istru-mento di supplizio per i malfattori piu laidi. Si direbbe che 1' arte cristiaua avesse voluto nascondere la cruda realta degli episodi della Passione, dissimulandoli con altri fatti delFAntico Testamento u), sostituendo la croce con i simboli deli' &ncora, del tridente e del monogramma di Cristo 12), staccando la croce dal busto del Salvatore 13), oppure infiorando e ingemmando la croce stessa 14). Pare incredibile: eppure, abbenchč gi& nel secolo I s. Pietro facesse un appello quanto mai caldo a Gesu crocifisso e le lettere di s. Paolo riboccassero della Croce e del Crocifisso, e gli Apologisti si richiamassero gi& nel sec. II a Cristo crocifisso, in pratica le arti plastiche e figurative non rappre-sentarono Gesu Crocifisso prima della fine del secolo V e anche di poi se ne tennero ritrose quanto mai. Comunque sia, resta il fatto che negli artisti si radic6 per lungo tempo un certo ritegno nel rappresentare il Crocifisso, la cui iconografia subi necessariamente un grandissimo ritardo d' evoluzione 1S), e per di piu fecero anche credere per secoli e secoli, che il Crocifisso dovesse raffigurarsi sotto forme non belle. Ne viene pertanto che quasi sempre in questo campo deli' arte, cio, che pur in mezzo allo splendore delle dorature e delle gemme, sembra opera imperfetta e dozzinale dovuta ad imperizia deli' autore, entr6 nell' intenzione deli' au-tore stesso, che volle creare una figura non bella l6). ll) Cosi nel bel sarcofago del IV secolo nel museo cristiano latera-nense (cfr. Marucchi, Guida del museo cristiano lateranense, Roma, 1897, n. 171 e n. 174). ls) De Rossi, Buli. d'Arch. crist., 1863, pg. 35; De Rossi, De titulis carthaginiensibus, in Pitra, Spicilegium Solesmense, V, pg. 503, IV, 505 e 517 e ss.; MarucchiDi una pregevole ed inedita iscrizione cristiana, in «Studi in Italia», VI (1883), tom. II. — Fra tutti i simboli e singolare 1' affresco del Cimitero di Callisto, dove un delfino attorcigliato ad un tridente indica evidentemente la croeifissione di Gesu: vedi Marucchi, Epigrafla Cristiana (Milano, Hoepli, 1910), pg. 58. 13) Cosi nel musaico del sec. VII (642) a Santo Stefano Rotondo a Roma, dove al disopra della croce c'e il busto del Salvatore: Bosio, Roma sott., lib. III, c. 65; Marucchi, Manuale cit., pg. 352; ArmelHni, 259. 14) Come nella croce gemmata del cimitero di s. Ponziano (sec. VI). 15) De Rossi, Buli. d' arch. crist. (1868) pg. 88-91; Marucchi, articolo «Croix» in Vigouroux, Dictionnaire de la Bible. 16) Eccellente fu 1' idea deli' editore Herder di Friburgo in Brisgovia di aggiungere al vol. V del suo Konversations-Lexikon (ed. III, 1905) 219, III, una tavola nitidissima che in 27 illustrazioni presenta le fasi per le quali passd 1' iconografia del Crocifisso. Altrettanto fece per 1' evoluzione deli'iconografia di Gesu: vol. II (ed. III, 1903) 735. Con questi criteri devesi giudicare il Crocifisso di s. Anna, che tuttavia non pu6 dirsi apoditticamente fattura eletta. Ci6 pošto, nel Crocifisso di s. Anna vanno considerati a parte i dettagli, che servono a determinarne 1' epoca e al tempo stesso avvalorano e comprovano parecchie delle norme fissate dai critici deli' iconografia della Passione. Questi dettagli sono: I. 11 viso imberbe del Redentore. Qui il Redentore 6 sbarbato o con aspetto giovanile. 11 Gesu imberbe 6 di tipo romano 17), c si trova in molti Crocifissi del periodo della de-cadenza latina, come in quello d' avorio del Museo di Cividale (a. 750), nel Diptychon di Narbona al Vaticano (a. 898), nel-1' avorio deli' H6tel di Cluny a Parigi (a. 1000) e nella cassetta di Montecassino 1S). Questo e un particolare che richiama i secoli XI o XII. Nella croce di Sterna il Crocifisso ha la barba segnata con piccoli tratti iucisie solo nella parte posteriore della croce, nel disco di mezzo, il Redentore apparisce giovane ed imberbe20). In questa rappresentazione alcuni vedono un carattere barbaiico, come se gli artisti avesser voluto raffigurare in Gesu un condottiero romano e duce delle genti21). II. Le corde. Nell' iconografia dei due ladroni 1' arte adottd spesso le corde, le trascur6 invece quasi sempre nella rappresentazione del Salvatore crocifisso '"). Eppure e storicamente provato che il giustiziato veniva legato alla croce 23), perche 1T) Costantini, op. cit., pg. 94. 18) Munoz, L' art byzantin a 1' exposition de Grottaferrata, 160, fig. 114. 19) Attilio Tamaro, op. cit., pg. 347. 2") Attilio Tamaro, op. cit., pg. 348. 21) SchSnemark, op. cit. 22) Uso le funi 1' Holbein nel (Crocifisso del Museo di Basilea, il Barberi nel Crocifisso della Certosa di Bologna, Max Klinger nel celebre e discusso Crocifisso posseduto dali' architetto Hummel di Trieste e 1' ele-gantissimo pittore James Tissot, che dimoro dieci anni in Oriente per risuseitare nel suo pensiero 1' ambiente della Passione. II Costantini, che oltre ad essere buon critico d' arte 6 anche scultore buono, scolpi un Crocifisso, bello e originale, con 1' intento — egli dice — di offrire una rappresentazione realistica, tenendo conto di due elementi: il sedile e le corde, che sono quasi sempre trascurati dali' iconografia cristiana {Costantini, op. cit., tavola dopo la pag. 168). 23} Lucan., Pharsal. 6, 543; Plin., Hist. Nat., 28, 4, 11; Hilar. Pict., De Trinit., 10, 13; Priscill., Tract. 3 (ed. Schepss, Vindob., 1889, 44); Tertull., Scorpiace, c. 15. Lo si capisce poi chiaramente dalle parole con cui Gesu predisse a s. Pietro il genere di morte che 1' aspettava (Ioh., XXI, 18): Stav yh]paaj;c, Škteveis rd; Xe'P5*'! oou> xat ae ijooaet, dove il verbo Ciuvvuju noji ammette dubbio. pochi soldati, si stando sulle scale appoggiate alla croce, si per terra, mal potevano trattenere gli spasmodici contorcimenti del condannato nell'atto dell'atroce inchiodamento 24), e ancora perch6 il corpo non gravasse col suo peso, con pericolo di staccarsi dai chiodi della croce e di precipitare a terra25). E' perci6 che nel Crociflsso di s. Anna le funi ne stringono il corpo, sino a farne sporgere il ventre. III. II grembiule. Qui il grembiule, che scende dai lombi di Cristo, non 6 piti il lungo antico colobium, ma non 6 neppure il semplice perizoma dei Crocifissi posteriori al sec. XIII. Conserva quindi, con la sua. forma di campana, un che di primitivo ed 6 molto piti marcato che nel Crociflsso di Sterna. Si noti che s. Atanasio, s. Ambrogio e s. Agostino opi-narono, che Gesii, per colmo d' ignominia, e perche assaporasse il calice deli' orrenda sua passione fino ali' ultima amarissima feccia, fosse stato crociflsso completamente nudo, conforme aH' uso dei Romani26). Tuttavia 1' arte rifuggl dal presentare il Redentore nudo in croce, soprattutto perchč, come dice il Didron, la nudita di Dio in croce apparve sempre, com' b di fatto, uno spettacolo rivoltante 21), e poi perchž la voce greca ft)|AVi!is, a' Pari della latina nudus, non intende la nuditi com-pleta 28). E' per questo motivo, che Iames Tissot20), riferendosi 24) Friedlieb, Archaologie der Leidensgeschichte (1843), cap. XIX. ") Costantini, op. cit., pg. 9-10. u) Cosi Lipsius, De cruce, II, 7; Fulda, Das Kreuz und die Kreu-zigung (Breslau, 1876), 145. ") Didron, Iconographie chretienne, pg. 242; Costantini, op. cit., pg. 30. *8) Nudus, •pc-'«'?, oltre al significato di nudita assoluta, cioe ava|j.-ice^ovo; %a\ ri^iTiov (Mosch. 4, 98), dinota anche una persona poco vestita. Nudi, cioe con il semplice pallium i Greci, e senza toga i Romani, e senza ua amictus, solevano gli antichi attendere ai lavori deli' aratura, della seminagione e della messe (Hes. Op. et D. 391; V trg., Georg. I, 299; Ael. V. H. 6, 11; 13, 27). Si sa di Cincinnato che nudus, cioe poco vestito, arava la terra, quando gli si presentarono gli inviati del Senato per an-nunziargli la nomina a dittatore, per cui mando a prendere la toga per ascoltare 1'ambasciatore convenientemente vestito (Plin. Hist Nat. 18, 4: Aur. Vict., Viri ill. 17; Liv. 3, 26). Nudus e •pp'^ dicevansi coloro che per attendere ai lavori faticosi vestivano una semplice exomis o una tunica corta piu su dei ginocchi. Nude (yojjiv-xi) dicevansi le vergini spar-tane che per dedicarsi alla ginnastica portavano una piccolissima camicia (Arhitoph., Lys. 82; Paus., 5, 16, 2). In questo senso la voce nudus si applica ai soldati, detti per tal ragione gijmnetes (yo;ivijTsc): Bom., II., 21, 50; los. Fl., Ant. lud. 6, 22; Gell., 9, 13; Xen., R. L. 11, 9. Cfr. IMbker-Murero, Lessico ragionato della Antichita classica (Roma, 1891), pg. 832-3. ") Tissot, Les Evangiles, 179. alla tradizione desunta dagli apocrifi Acta Pilati30) secondo i quali Gesii fu bensi spogliato del tutto ma fu poi ricoperto i fianchi d' un lino, e basandosi sul rispetto al pudore, che vigeva presso gli Ebrei assai piu che presso i Romani3I), opina che una delle pie donne o la Vergine stessa o un pietoso sco-nosciuto, avra offerto un lino per coprire la nudita del Reden-tore. Ed 6 cosl che 1' arte su questo punto fu cortesemente schiva 32). Nelle piii antiche, celeberrime, imagini del Crocifisso, cio6 nella crocifissione della porta in legno di s. Sabina in Roma (sec. V)33), e nell'avorio del British Museum (sec. VI), c'6 uno stretto perizoma intorno ai lombi di Gesu, cadente giil dali' om-belico a foggia di pendaglio. Piu tardi il perizoma si muta in un colobium, cio6 in una camicia lunga, senza maniche, che si vide gia nella piu antica sebbene blasfema imagine del Crocifisso ch' 6 la caricatura del Palatino34), e si vede nel 30) Lo dice anche 1' apocrifo Evangelium Nicodemi, cap. 10. 31) Fouard, La Vie de N. S. J6sus-Christ (Pariš, 1886), II, 373. 3i) Nel passo cit. nella nota 29, il Tissot dice: «La nudita di Dio «in croce k uno spettacolo rivoltante. Devo pero dire ch' io conosco due «soli esempi di tale nuditi completa: uno si trova in un manoscritto della «biblioteca reale, 1' altro In una miniatura della Biblia Sacra, n. 6829». Si aggiungano il Crocifisso affatto nudo in s. Nicolo di Treviso, e il Re-dentore, non del tutto nudo, nel Giudizio finale di Michelangelo. 33) La riproduce splendidamente in tav. separata il Kuhn, Allge-meine Kunstgeschichte, vol. I della Geschichte der Plastik (Einsiedeln, Benziger, 1909), pg, 296. Vedi ancora: Berthier, La pcrte de s. Sabina ž, Rome (Fribourg, 1892); Wiegand, op. cit. nella nota 3; Grisar, Kreuz und Kreuzigung auf der Tiir von S. Sabina in Rom, in «Romische Quartalschrift» (Rom, 1894) VIII, 1, e Marucclii, Elementa d' archeol. chret., t. III, pg. 191 e ss. 34) Al celebre grafflto scoperto nel 1856 dal P. Garrucci, allora conservatore del Museo Kircheriano di Roma, sulla parete d' un corpo di guardia romano, nella parte del palazzo imperiale contemporanea a Settimio Severo, dove b preso in burla il soldato cristiano Alessameno, che adora un crocifisso con la testa d' asino, io conservo il titolo di Crocifisso blasfemo. Recentemente il sig. G. Haupt di Vienna, il WUnsch, Sethianische Verfluchungstafeln aus Rom (Leipzig, 1898) e il Brihier, Les orig. du Crucifix etc. (Pariš, 1908, gi& cit.) vollero vedere nel grafflto dalla testa asinina del Palatino non la caricatura del Crocifisso, ma il dio malefico egiziano Tifone Seth, di cui 1' asino era il simbolo e che 6 rappresentato con una testa d' asino sul papiro di Leida e nelle tabulae devotionis dei Gnostici. Sul braccio sinistro del graffito c' 6 una Y, che fu da essi identificata col segno magico, che si trova spesso sulle tavo-lette di piombo egiziane e gnostiche, a indicare la potenza del dio sotter-raneo. Partendo da questo criterio, tutt' al piu si concesse che nel dise-gnatore del grafflto siavi stata confusione fra il dio Seth e Cristo, percui si avrebbe in esso il disegno d' un affiliato alla setta gnostica dei Sethiani, ma non precisamente una caricatura del Salvatore. Senza riserva io sto reIiquiario vaticano35), nel codice siriaco 56 di Rabula alla Biblioteca Laurenziana di Firenze (a. 586) 36), nei Crocifissi di s. Griovanni e Paolo, di s. Valentino 31) e di s. Maria Antiqua a Roma, nella cassetta lignea (sec. XI) del Sancta Sanctorum 38), nel bassorilievo del candelabro pasquale di s. Paolo fuori le mara a Roma39), e via dicendo. Talora il colobium si muta in una vera veste intera, come nel Volto Santo di Lucca 40), nel Codex Egberti della Biblioteca Civ. di Tre viri41), nell' an-cona in legno gi& esistente nella cappella dei Lucchesi a Ve- per la spiegazione data dal Garrucci (Garrucci, Un crocifisso graffito da mano pagana nella časa dei Cesari sul Palatino, Roma, 1856, II Crocifisso graffito in časa dei Cesari ecc., Roma, 1857, e Due monumenti dei primi secoli della Chiesa, Roma, 1862) e da altri autori (Beker, Das Spottecru cifix, Breslau, 1862; Kraus, Das Spettkrucifix vom Palatin und ein neu entdecktes Graffito, Freiburg, 1872, e Realencyklop., II, 774 e ss.; Ma-ruechi, Le Forum Romain et le Palat''n, p. 340, e Manuale d' arch. crist., pg. 56 e 57; Armellini, 257; Costantini, op. cit., pg. 76-77; Kaulen, in Wetzer u. Welte's Kirchenlex. IX, Freiburg, 1895, 857-858), e vedo nel graffito del Palatino una vera e propria caricatura del Crocifisso, in cui il cristiano Alessameno, che in altra camera dello stesso palazzo si firmo Alexamenus fidelis, 6 esposto alle beffe come adoratore di un asino crocifisso con la scritta greca AXe | šct/ievo; | (per aefisrai) | Osov, accanto alla quale il Marucchi (1. c.) lesse la risposta d' un cristiano Poetia | s tu | 6eou | paotXeuc. Per me, dev' essere ovvio che nel graffito viene lanciata ai cristiani 1' accusa di onolatria, ricordata da Tertulliano (Apol. XVI, in Migne, Patr. Lat. I, col. 372-373) il quale narra che a Cartagine un gladiatore mostrava il disegno d' una testa d' asino con la scritta «11 Dio dei Cristiani«, e da Minucio Felice (Octav., 9, 28); come la stessa accusa era stata fatta dai Romani agli Ebrei (Tacit., Hist., 5, 4; Diod. Sic., 34, 1). 35) RipTodotto nel Herder's, Konversationslex. cit., V, tav. 3, col. 220, num. 4. 36) Vedila in Garrucci, Sfcoria deli'arte crist., III, 139; secondo J. Labarte in Woermann, Geschichte der Kunst (Leipzig, 1905), II, 49, e in Dr. Bud. Kleinpaid, Die Peterskirche (Leipzig, s. a.), pg. 109. 3T) Vedilo in Marucchi, Manuale cit., pg. 353, che lo descrive. Del Marucchi stesso cfr. II Cimitero e la basilica di s. Valentino (Roma, 1890). — II crocifisso di s. Giovanni e Paolo 6 analogo a quello di s. Valentino. 38) Grisar, Die romische Kapelle Sancta Sanctorum und ihr Schatz (Freiburg i. Br., 1908), pg. 113 e ss., fig. 59 a pg. 115. 39) Woermann, op. cit., II, 145, lo riproduce secondo il Muscioni. 40) Di questo antichissimo Crocifisso vestito e coronato, ricordato da Dante (Inf. XXI, 48), di legno nero, portato a Lucca, come si vuole, verso 1' VIII secolo da Costantinopoli al tempo degli iconoclasti, che la leggenda attribuisce a Nicodemo, vedi Stockbauer, Kunstgeschichte des Kreuzes (Schaffhausen, 1870), 264, che lo riproduce. Dal Volto Santo di Lucca si tolse la figurazione della leggendaria martire barbuta Oncommera (detta anche Kummer.iiss, Ontcomena, Wilgefortis, Liberata) ch' 6 del pari con la corona regale la veste lunga e quattro chiodi, e sulla quale ricordo 1' esauriente articolo del Weber, in Wetzer u. Welte's, Kirchenlexikon, IX (Freib. 1895), 851-854. 41) Woermann, op. cit. II, 113, che lo riproduce dal Kraus. nezia42), e altrove ancora. Nel sec. XII poi43) del colobium si conserva soltanto la parte inferiore in forma di ricca stoffa striata, coni' e il caso appunto del Crocifisso di s. Anna, dove il grembiule e un proprio richiamo bizantino. IV. II suppedaneo. Q,ui esso apparisce piu marcato che nella croce di Sterna. II suppedaneo, legno trasversale pošto sotto i piedi (6710 jro§wv) di Gesii, fu quasi sempre raffigurato nei Crocifissi piu antichi in sostituzione del sedile44), che a sua volta per ragioni estt-tiche fu ignorato si nella pittura che nella plastica. Alcuni autori furono d' avviso, che il suppedaneo non fosse parte delle croci romane45), e il Marucchi opina che il suppedaneo non comparisse prima di s. Gregorio di Tours (f 594), che lo descrisse nel suo de gloria martyrum (I, 23)46). Ma la cosa sta in altri termini, perchč esso comparisce nel Crocifisso blasfemo del Palatino (sec. III), graffito quando la croeifissione era ancora in pieno vigore, e comparisce in altre delle piu antiche rappresentazioni del Crocifisso: nella scultura cio6 della porta di s. Sabina, nell' evangeliario della Lauren-ziana, nelle catacombe di s. Valentino e nel Crocifisso del Monte Athos (sec. V)47). Con questo particolare adunque si il Crocifisso di s. Anna, si la croce a smalti di Sterna, entrano nell'ambito del tipo romano. Cio si riscontra pure nei crocifissi deli' arte industriale a Venezia, dove s' infiltrano bensl giii nel sec. XIII elementi deli' arte nordica, specie nell' ornamentazione della croce, ma 42) Molmenti, Storia di Venezia nella vita privata (Bergamo, 1905), I, 331, da un disegno del Grevembroch al Museo Civico Correr. 43) Costantini, op. cit., pg. 29. 44) II sedile, descritto da s. Ireneo, da s. Giustino, (dial. c. Tryph. 91), che gli da il nome di corno e lo paragona a quello del rinoceronte, da Tertultiano (ad nat. I, 12), che lo dice sedilis excessus, e da altri, che lo chiamano equuleus, doveva servire per farvi sedere il giustiziato, ed evitare cosi che il tessuto palmare del disgraziato si dilacerasse per il peso del corpo e il corpo si rovesciasse in avanti. 45) Friedlieb, op. cit., cap. XVI; Rosadi, II processo di Gesu (Firenze, 1904) cap. XXII. 46) Marucchi, art. cit. nel Lessico Eccl. Vallardi, I, 902, col. 2. 47) Smith, A Dictionnarv of christiau antiquities (1875), I, pg. 514. Noto che nel Crocifisso di s. Sabina il Kraus nega trattarsi di suppedaneo. mentre il Grisar sta per il suppedaneo, che dali' artista sarebbe stato immedesimato con 1' inquadratura deli' intera formella. il tipo romano del Crocifisso con suppedaneo e quattro chiodi 6 conservato48). V. I quattro chiodi. I piedi del Crocifisso di s. Anna sono appoggiati in giii, aderenti al suppedaneo, 1' uno staccato dal-1' altro, sicche mostrano ognuno un buco delle trafitture, onde i chiodi vengono ad essere quattro (con i due delle mani) e non tre. II Marucchi scrive 49) che furono le scuole di Marga-ritone e di Cimabue 50) quelle, che «per introdurre una movenza piu artistica, sovrapposero e unirono con un sol chiodo i piedi del Salvatore nei loro preziosi dipinti conservati specialmente a Firenze, inaugurando cosi il tipo dei nostri moderni Crocifissi* 51). E per vero, corrispondendo alla tradizione e ali' uso romano che parlano sempre di quattro chiodi52), si vedono traforati, staccati 1' un dali' altro, i due piedi nei Crocifissi piu antichi, quali sono quelli della caricatura blasfema del Palatino (sec. III), della porta di s. Sabina (sec. V), deli' avorio del Bri-tish Museum (sec. VI), del codice siriaco di Firenze (586), del cimitero di s. Valentino (sec. VII), deli' oratorio vaticano eretto da Giovanni VII nel 705 (ora perito), di s. Maria Antiqua al Foro Romano (sec. VIII), della Basilica primitiva di s. Clemente, nella chiesa di Licadi presso Ancona, nel Volto Santo di Lucca e nelle imagini derivatene della leggendaria Martire barbuta Oncommera, nel Crocifisso regalato da Carlo Magno a Leone III (815), nel graduale di s. Gregorio (sec. XI), nel musaico di Daphni (sec. XI)53), negli avori carolingi del Museo Nazionale di Firenze (secc. IX, X e XI), nel Crocifisso del Louvre pro- 48) Molmenti, op. cit., I, pg. 325 e 327. Vedi a pg. 316, 318, 319 e 320 riprodotti alcuni Crocifissi fra i sec. XIII e XV. 49) Marucchi, in «Ateneo» an. XXXVII, n. 11, e Manuale d'arch., pg. 353. Vedi Costantini, op. cit., pg. 21. 50) Cfr. d'altronde Woermarin, op. cit., II, 364 e 365. 51) Oggi 6 ritornata ali' iconografia antica del Crocifisso con i quattro chiodi la Scuola benedettina di Beuron. Un bel Crocifisso con 4 chiodi e quello di Pranz Kirchbach. s2) Iustin., Dial. c. Tryph. c. 97 e 104, Apol., I, 353; Ter tuli., Adv. Marc. 3, 19 e Contr. Iud.10; Euseb., Demonstr. ev. 10, 8; s. Hilar., Tract. in Ps. 143; s. Leon. I, Serm. 2 in Pasch.; Pseudocyprian., de Passione; e cosi fino al secolo XII e fino a s. Bonaventura e Innocenzo III. Vedi poi Fouard, op. cit., II, 375; Langen, Die letzten Lebenstage lesu (Freiburg, 1864), 317 e ss.; Kraus, Der heilige Nagel in der Dom-kirche zu Trier zugleich ein Betrag zur Archaologie der Kreuzigung (Trier, 1868), 18. 53) Gabriel Millet, Le Monastere de Daphni (Pariš, Lerous, 1899), cap. II. veniente dali' Italia meridionale, nella porta di bronzo del Duomo di Hildesheim (1015)51), nella miniatura del salterio bizantino del British Museum (nr. 19.352, an. 1066) 55), nel bassorilievo di Benedetto Antelami nel Duomo di Parma (a-1178) 50), nell' affresco della chiesa sotterranea di Schwarz-rheindorf presso Bonn (sec. XII)57), nella patena deli' abbazia di Wilten presso Innsbruck (sec. XII)58), e via dicendo 59). Non si pud pero dire che tutti i Crociflssi anteriori al primissimo rinascimento pittorico fiorentino - seuese abbiano quattro chiodili0), perche oltre che negli avori gotici del Museo Nazionale di Firenze del sec. XIV, dov' 6 raffigurato il Padre Eterno che sostiene il Crocifisso con un chiodo solo attraverso i piedi sovrapposti, gih in figure dei secoli XII e XIII si ri-scontra la cosa medesima; p. e. nel Crocifisso della Liebfrau-enkirche di HalberstadtBi), in quello in legno del Duomo di Freiberger ora al Museo d'Antichita di Dresda6Ž), nella ma-gnifica crocifissione in legno di Wechselburg 6a), nell' antipendio d' altare di Soest ora al Museo di Berlino S4). Ne si pud dire, che dal secolo XIII la rappresentazione del Crocifisso abbia adat- 54) Vedile in Kuhn, op. cit., Plast. I, 322, fig. 456, e meglio assai in Woermann, op. cit, II, 122, tav. 13. — Vedi il bel libro del Kratz, Der Dom von Hildesheim, Berlin, 1856. 55) In \Voermann, II, 128, giusta I. I. Tikkanen (Die Psalterillu-stration im Mittelalter, Helsingfors, 1895-1900). 56) In Woermann, II, 162; Kuhn, Pl. I, 357, fig. 487. 57) Vedi la magnifiea tavola 23 a colori di Hans Weisshaar in Woer-mann, II, 244. 58) In Woermann, II, 257, giusta I. v. Falke (Geschichte des deu-tschen Kunstgewerbes, Berlin, 1888). 59) Ricordo ancora in nota il rilievo della cattedrale di Toledo {Kuhn, Pl. I, 299, fig. 422, sec. Gustave Schlumberger, L'epopee byzantine, Pariš, Hachette, 1896), la porta di s. Paolo fuori le mura a Roma {Kuhn, Pl. I, 301, fig. 424), il cosidetto Exterstein fra Horn e Paderborn (Kuhn, Pl. I, 331, fig. 464 e pg. 338-339), il Crocifisso stranissimo deli' evangeliario irico n. 51 della biblioteca abbaziale di san Gallo, 1' affresco in s. Angelo in Formis {Kuhn, Malerei, I, 235, fig. 251). Costantini, op. cit., 21. 61) Ne accenna il Woermann, II, 221. Ne dice esaurientemente E. Forster, Die Bildnereien der Chorsehranken der Liebfrauenkirche zu Halberstadt, Leipzig, 1860. 62) In Woer marin, II, 222, e O t to Wankel, Die Sammlung des Kgl. Sachs. Altertumsvereins, Dresden, 1898-1900. 6S) In IVoermann, II 223; molto meglio in tav. separata in Kuhn, Pl. I, 342; cfr. R. Steche, Beschreibende Darstellung der alteren Bau-und Kunstdenkmaler des Konigsreichs Sachsen (Dresden, 1890), fasc. XIII. M) Kuhn, Malerei, I, 210, fig. 221. tato esclusivamente tre chiodi65); perche la tavola della Cro-cifissione di Teodorico da Praga (1365), ora al Museo di corte a Vienna, ha quattro chiodi e i due piedi staccati °6), e quattro chiodi hanno il Crocifisso in cima della meravigliosa ancona marmorea deli' altar maggiore in s. Francesco di Bologna, compiuta dai fratelli Iacobello e Pietro Paolo Dalle Masegne circa il 1396 67), e quello deli' affresco di Taddeo di Bartolo a Pisa68) Venendo ali' Istria, riscontrasi che nell' iconografia del Crocifisso i due tipi si espressero promiscuamente senza distin-zione di tempo. Mentre a Cividale si trova sempre il tipo primitivo con i piedi separati e incbiodati con due chiodi, anzicM con uno 69), e ali' incontro a Trieste si ha il tipo con i piedi sovrapposti e traforati da un sol chiodo 70), nell' Istria, come a Venezia71), emerge la promiscuit& dei due tipi con prevalenza per6 del tipo primitivo a quattro chiodi. Cosl, nella rozza ma preziosa finestra traforata della chiesa di s. Trinitfi a Rovigno del sec. XIII il Crocifisso ha tre chiodi72): nel quadro la Trinita di Portole, attribuito al Carpaccio, il Crocifisso ne ha quattro 73): quattro sono i chiodi nei due Crocifissi di Sterna 65) Cosi il Woermann, II, 221 ove dice: «Aber auch der gestaltete Gekreuzigte des 12. Jahrhunderts iiber dem Lettner des Doms zu Hal-berstadt setzt noch beide Fiisse nebeneinander auf dem Plock. Etwas junger, wenngleich herber ist der Heiland am Kreuze in der Liebfrauen-kirche zu Halberstadt, der die Fiisse schon iibereinandergelegt von nur einem Nagel durchbohrt zeigt. Die s bleibt seit dem 13. Jahrhundert die ausschliessliehe Darstellungsweise». 66) In Woermann, II, 337, sec. I. Neuivirth, Mittelalterliche Wand-gemalde und Tafelbilder der Burg Karlstein in Bohmen (Prag, 1896). — Vedi pure il Crocifisso della cappella di s. Caterina a Karlstein (Kuhn, Malerei, I, 252, fig. 268). 6') Vedilo riprodotto dal Molmenti, op. cit., I, 389. <*) Kuhn, Malerei, I, 392, fig. 431. 69) Cfr. Fogolari, Cividale, pg. 51 (la pace del duca Orso), 57 (croce longobarda), 58 (reliquiario del sec. X), 77 (coperta del messale per la cerimonia deli' Epifania), 91 (coperta del salterio elisabettiano), 95 (salt. elisabett., i langravi Ermanno e Sofia in Adorazione), 105 (croce delle monache di s. Maria in Valle e croce processionale), 108 (crocifisso in legno del dugento). 70) Cosi il Crocifisso dei Battuti (sec. XIII) e 1' altro del 1383 nel tesoro di s. Giusto, in Caprin Giulio, Trieste (Bergamo), pg. 48 e 49. ") In Molmenti, op. cit., I, 316 (croce capitolare a sbalzo, sec. XIII, a 4 ch.), 318 (reliquiario del frammento della s. Colonna, 1371, a 3 ch.), 319 (altra croce capit., sec. XIII, a 3 ch.), 384 (crocifissione deli' isola di Santo Spirito, ora al Museo Civico di Venezia, sec. XIII, a 4 ch.). ") Giuseppe Caprin, L' Istria Nobilissima (Trieste, 1905), vol. I, 82. ™) Giuseppe Caprin, Le Alpi Giulie (Trieste, 1895), p. 312. (sec. XIII) e di s. Anna (sec. XII): quattro sono pure i chiodi del Crocifisso nella fina miniatura dello statuto di Pola, opera di fra Antonio da Lendinaria, che fini di scrivere e miniare lo statuto polese il 22 ott. 1500 7i). Della quale ultima imagine e lecito arguire che in Istria sia prevalso per molto tempo dopo il sec. XIII il tipo primitivo del Crocifisso. VI. La car ona regale. E' questo il dettaglio piii impor-tante del Crocifisso di s. Anna e ne caratterizza 1' epoca. Notisi bene che un Crocifisso bizantino o romanico o gotico dell'alto Medio Evo (secc. XI XIII), porti il colobio o il grembiule, sark di disegno stecchito, lungo, sottile, magro, con espressione in-significante talora, e talora fra il dolce e il triste, con un senso del chiaroscuro — in pittura — molto manchevole e con forme anatomiche — si nella pittura che nella plastica — ridotte a una semplificazione schematica, con le pieghe del colobio o del grembiule rappresentate da linee lunghe, doppie, secche, tutte di maniera, che per nulla modellano la persona del Redentore e meno ancora d&nno rilievo al panneggiamento, con braccia e gambe sottili, con piedi e mani lunghi e gravi, e con capelli disegnati crudamente a foggia di calotte poste sulla testa75): manchera insomma di bellezza, ma non mancheri della particolarita notevolissima allo spirito elevato deli' alto Medio Evo, ch' e quella di rappresentare il Salvatore entrato nell' arte come trionfatore, tale da conservare i suoi attributi di vincitore pure sul patibolo della croce, si da raffigurare Gesu non gi& nell' aspetto di Martire, ma di Re vincitore dei secoli, corrispondendo al verso Regnavit a ligno Deus dell'inno Vexilla Regis76). Talora si vorra mostrare, sebben di rado, 1' Uomo-Dio nel Crocifisso, specialmente per difendere la tesi cattolica delle due nature in Cristo contro le continue fanta-sticherie dei Monofisiti, anche fra il sec. IX e il sec. XII, come nel Crocifisso di Innichen "), ma si presenterk sempre il Re, 1' Eroe, sia pure in un insieme non bello. 74 < Pubblicata dal Benussi, Statuto del comune di Pola, in «Atti e Memorie« (Parenzo 1911) XXVII, pg. 128, tav. 2. ,s) Cito per tutti il Costantini, op. cit., pp. 100-101; 111 e 112, che queste norme precisa molto bene. 76) Iacob, Die Kunst im Dienste der Kirche (Landshut, 1880), 109, nota 6. ") Herder's, Konversationslexikon, V, pg. 219, tav. cit., n. 10. Prendendo le imagini bizantine, bizantineggianti e italo-bizantine del Crocifisso nel loro assieme e osservandole con uno sguardo comprensivo e generale, si deve rilevare la cura con cui gli artisti, maggiori, minori e dozzinali, evitarono in-tenzionalmente d' accentuare ogni e qualsiasi espressione di dolore nelle figure del Redentore in croce, ci6 che forma la caratteristica deli' iconografia cristologica sino alla fine del se-colo XII e durante un tratto del secolo XIII78). Si disse — osservano i critici — che 1' arte deli' alto Medio Evo fosse improntata da un' ardente devozione e da un tenero misticismo, ch' essa and6 esprimendo con una pietži dolorosa nei patimenti di Gesii, della Vergine e dei Martiri. Ma 6 opinione erronea; perch6 siffatta arte, d' altronde pensa-trice e sovrana veramente, non ha mai espresso altra soffe-renza, se non quella dei dannati. Le sue Vergini sono sorridenti 0 impassibili, e non addolorate, talche 1' inno sublime Stabat Mater data soltanto dalla fine del secolo XIII, e si popolarizzb appena nel secolo XIV; e il suo Gesu 6 soffuso dali'espressione serena del Trionfatore: dico espressione serena, non gi& pla-sticamente bella. Di tali Crocifissi, ne' quali la corona regale sostituisce il nimbo, e che appartengono ad un' epoca anteriore al sec. XIII, ci d&nno esempi Robert Gurzon e il Grimouard de Saint Lau-rent; ed esempi sono 1'Evangeliario di Uota, il Volto Santo di Lucca, il Crocifisso di Elvengeu nel Granducato di Lussem-burgo, quello deli' abbazia di Engelberg in Svizzera79), quello nella formella seconda del quinto scompartimento a sinistra della porta di s. Zeno a Verona80), e quelli che si trovano nei Musei del Louvre, di Monaco e di Bruxelles, senza contare 1 Crocifissi delle collezioni private. Ed un esempio e pure il Crocifisso di s. Anna. ,8) Vedi su questo punto gli articoli «Kruzifix», «Christusbilder» e «Kreuz» nel lessico artistico di W. Spemann, Das Museum, Eine Ein-leitung zum Genusse der Werke der bildenden Kunst etc., herausgegebeu von R. Graul und R. Stettiner, Bd. I-X (Berlin und Stuttgart, 1896-1905). In continuazione. 79) F ti ordinato dali' abate Enrico I (1197-1223). Vedine una bellis-sima riproduzione in Kuhn, Pl. I, 351. 80) E' deli' epoca di Berward von Hildesheim (993-1022): Woermann, II, 161; Kuhn, Pl. I, 300 fig. 490; Dr. Luigi Simoni, Verona (Verona, 1910), pg. 139; Simoni, S. Zeno di Verona (Verona, 1909). In tutte queste imagini il Redentore in croce 6 diritto in piedi, piu che pendente, con le braccia orizzontali e con il corpo e le gambe verticali, cosicchč pu6 dirsi *vivente in croce», quale vincitore anche quando ha gli occhi chiusi. Dopo il secolo XII il corpo del Crocifisso si sposta dal suo asse verticale e spioraba ognora pili da una parte, come nei Crocifissi bizantini anteriori a quest' epoca, deformando le linee di contorno e ren-dendo necessariamente le braccia ognora piu sensibili al peso del corpo. E' cosi che 1' iconografia del Crocifisso si evoluziona passando dali' arte bizautina pura ali' arte italo-bizantina, dalla romanica alla gotica, per giungere attraverso l'alba del Tre-cento al Rinascimento. Ed 6 cosi che sparisce il nimbo e spa-risce la corona regale per dar pošto alla corona di spine. Nel Crocifisso di s. Anna il corpo del Redentore presenta una lieve stortura, che ha sapore di bizantino; la corona regale vi apparisce in tutta la pienezza del suo significato e in tutta la precision della sua figurazione, molto meglio che nella croce di Sterna, onde b una classica riproduzione deli' estetica piti sopra descritta, ed uno specchio fedele delle norme regolatrici di tale estetica. Per cui lo si deve assegnare al secolo XII o forse forse aH' inizio del secolo XIII. Certamente, 6 impossibile stabilire in arte con esattezza nvitematica i limiti cronologici, per dire «da quest' anno a quest' anno va questo tipo, da quest' anno incomincia il tipo nuovo», perchč, come abbiamo veduto per il dettaglio dei quattro chiodi, ogni forma artistica, prima di fissarsi definiti-vamente, ha i suoi prodromi, e prima di cessare affatto, ha le sue reminiscenze. E' vero che gi& nel secolo XIII il Crocifisso cessa di essere 1' Eroe nel suo trionfo, il Sacerdote ne' suoi ornamenti, il Re nelle sue insegne, ed incomincia ad apparire la Vittima dolorante. Cosi sulla piastra della rilegatura d' ar-gento dorato deli' Evangeliario della Sainte-Chapelle di Parigi, Gesii in croce china gik il capo a destra, ha gia oblique le braccia e le ginocchia, e abbandona tutto il corpo; in capo la corona di spine gli sostituisce il diadema di re; un semplice velo corto gli fascia i lombi, e i piedi non appoggiati a suppedaneo, stanno sovrapposti, forati da un sol chiodo 81). Ma non si pu6 dire che tutti questi dettagli sieno normativi per il secolo "j Qui le citazioni bibliografiche le ometto perchš sarebbero soverchie. XIII. II Crociflsso di Sterna 6 diritto ancora, e non ha i tratti suddescritti, eppure fu giudieato del XIII secolo. Anche 1' apparizione della corona di spine b discussa. II Male la pone nel secolo XIV, e il M61y la trov6 gi& nel secolo XII in una miniatura anteriore al Crociflsso della Sainte-Cha-pelle. II Venturi assegna al secolo XI un Cristo coronato di spine a s. Urbano di Roma, e il Fabre invece lega questa in-novazione iconografica aH' erezione della Saint-Chapelle, com-piuta fra il 1243 e il 1248 da Pierre de Montereaux per incarico di s. Luigi IX re di Francia, che vi ripose la corona di spine acquistata da lui per una gran somma82). II fatto si b che questo avvenimento influenzb 1' imaginazione creativa degli artisti nel senso di far loro adattare piu di spesso la corona di spine nell'iconografia del Crociflsso, ma non fece sostituire d' un tratto dalla corona di spine il nimbo e il diadema regale del Redentore in croce. Voglio dire, che barriere cronologiche infallibili in questi riguardi non si possono fissare. Ad ogni modo si b al lungo periodo del Crociflsso vittorioso (sec. VI-XIII) e regale, che va ascritto il Crociflsso di s. Anna. In esso gli elementi latini della faccia romanamente imberbe, del suppedaneo e dei quattro chiodi, sono frammisti alla concezione bizantina, che apparisce nei dettagli del grembiule striato e della stortura del corpo, sui quali elementi si sovrappone 1'idea forte e so vrana del-1' alto Medio Evo con il dettaglio della corona regale. Questi elementi, che trovano riscontro nei raffronti con altre opere congeneri del sec. XII e del principio del sec. XIII, fanno aggruppare il Crociflsso di s. Anna alla corrente italo-bizantina, che da Ravenna e da Venezia, ma specialmente da Ravenna, si ripercosse sull' Istria (anche dopoche tanti Crocifissi furono portati dali' Oriente in Occidente per sottrarli alle furie degli iconoclasti), e lo precisano come lavoro del secolo XII, o tutt' al pili deli' alba del secolo XIII. Francesco Babudri 82) Woermann, II, 278. Le epidemie di peste bubbonica in Istria Memorie storiche raccolte da Bernardo dott. Schiavuzzi. XXIII. Cessate in Istria le epidemie di peste, la maggior parte dei luoghi che ne vennero colpiti eressero templi a S. Rocco, onde il Santo impetrasse la preservazione del popolo da ulteriori comparse del fiagello, mentre quelli che ne rimasero preservati li eressero in segno di ringraziamento. Cosi fece come abbiamo veduto Pirano, la segul Gallesano, borgata che erige nel 1634 una Chiesa maggiore sopra quella piccola del 15004), indi Pedena nel 1638, cosl feccro molte altre 1 očali t& istriane, perchč rare sono le parocchie nella provincia, le quali non posseggano un tempio dedicato a quel Santo od almeno un altare nella Chiesa maggiore. Capodistria innalzč nel 1609 una Chiesa-Santuario alla B. V. delle Grazie su quel prato di Semedella, nel quale vennero sepolti i morti deli' ultima peste 2). D' altro canto il governo veneto continua a premunire i confini verso i paesi austriaci. Erige caselli per le guardie poste a tutela dei rastelli di confine e punisce severamente coloro cha azzardano di oltrepassarli. E ci6 con ragione perchfe il morbo dominava ancora in tutta 1' Europa e specialmente nei paesi confinanti coll' Istria. La peste difatti infierisce nel 1633 a Breslavia, nel 1632 ad Ingol-stadt, Bamberga, Augusta, Monaco e piu vicino ali' Istria nel 1634 in Stiria, in Carniola, in Carintia (Vipacco), nel Friuli 3). Nell' anno seguente 1635 nel mese di settembre scoppiano alcuni časi a Trieste, da dove una nave trasporta il morbo negli Abruzzi4). Nel 1638 la peste scoppia a Londra B). Per la durata di nove anni la peste risparmia 1' Europa. Indi una nuova infezione passa dall'Asia in Russia e da questa in Germania ove 4) Giaehin. Manoscritti nell' archivio parocchiale di Gallesano. a) Pusterla G. L. c. — Nel 1729 la Chiesa di S. Rocco a Pirano riceve un proprio cappellano. 3) Atti e Mem. cit. XVIII, 15 e XIV, 296. 4) Idem, XVIII, 29. 5) Bo. 63. si presenta a Breslavia nel 1642, nel 1646 a Graz, nel 1645 a Dranlaeh vicino Lubiana *). Contemporaneamente un' altra infezione passa dall'Asia nelle isole del Mediterraneo, da dove s' estende nel 1644 a Spa-lato, di cui attacca specialraente i sobborghi, il che dži occasione a serii provvedimenti da parte del governo per preservarne 1' Istria s). Nel 1646 scoppia a Candia e sembra gravemente ; nell' agosto un caso sospetto occorre a Ragusa 3) e cio d A pure motivo a misure energiche onde il morbo non si propaghi nelle localita venete Nel 1649 (1 febbraio) il morbo si presenta nuovamente in Dalmazia •, addi 7 giugno si manifesta a Sebenico, li 3 luglio principia a Zara4) e nel luglio del seguente anno a Spalato 5). Nei dieci anni che seguono troviamo la peste a Cracovia nel 1652 (morti 17,000), a Danzica nel 1653 (morti 10,000), nel 1656 fino al 1657 in Italia (Genova ed in tutta la Liguria, Napoli, Sardegna e Roma con circa 60,000 morti); in Tolone nel 1654, in Germania nel 1655 (Posnania) ed in Austria (Vienna) e nelle sue provincie della Stiria, nonchfe in Un-gheria. Nel 1655 scoppiava in Alessandria d' Egitto6). Allarmato da codesto stato di cose il governo veneto promulgava allora il primo capitolare, contenente norme e provvedimenti contro la peste'), II morbo si presenta a Londra negli anni dal 1661 al 1670, in modo disastroso specialmente dal 1664 al 1667. Časi singoli scoppiano nel 1667 in Svizzera. Nei paesi orientali subentra indi un' epoca di calma, ma di breve durata, giacchč nel 1669 manifestasi un caso sospetto di peste a Capodistria nella persona di Salomon Furlano, con esito letale (febbraio), per6 senza seguito 8). ' Nel settembre del 1671 ed indi nel 1673 scoppiano dei časi sospetti di peste fra gli Aiducchi importati nella Polesana; ne muoiono piu di ottanta, senza che il morbo si propaghi 4) Vallardi, Enciclopedia, 584. 2) Atti e Mem. XV, 51, 52. 3) A. M. XV, 88. *) Ibid. XVIII, 243. 6) Ibid. XV, 318. «) Atti e Mem. XV, 367, XVI, 4 — Bo. op. cit. 22, 36, 88 — Meyer, Convers. Les. Nel 1656 Roma conio una medaglia per la cessazione della peste. 7) Kandler, Annali. 8) Atti e Mem. XIX, 31. ulteriormente. E' quindi da ammettersi non essersi trattato di peste, ma probabilmente di tifo '). In Rovigno poi il pericolo si presento oltremodo grave nel giugno 1673, pel caso fortemente sospetto di peste, verifi-catosi in un marinaio dalla fusta capitana, d' una squadra pro-veniente da Dulcigno 2). Gli anni che seguono segnano delle gravi epidemie di peste. Nel 1667 il morbo domina in Olanda3). Scoppia nel dicembre di quell' anno in Dalmazia, perdurandovi fino al gennaio 1679. Colpisce specialmente Spalato, Trau e nell' anno seguente 1678 le localitS, poste ai confini di Zara4); mentre contemporaneamente divampa in Ungheria, a V i en na, in Spagna e nel Portogallo, ove perdura fino al 1679. L' epidemia di Vienna fu delle piu disastrose fra tutte quelle che colpirono la cittži. Infieri fino ai primi mesi deli' anno 1680, facendo vit-time del suo furore da 40,000 a 70,000 persone5). In quello stesso anno la peste colpisce la Stiria, 1' Ungheria, la Boemia, la Moravia, la Polonia, la Slesia, il Brandeburgo, le cittft, di Dresda, Altenburg, Lipsia (morti 3212), Magdeburgo, Bamberga, Norimberga, Ratisbona, Ingolstadt, Ulma e Stoccarda. Nell' ottobre del 1672 il morbo scoppia a Lubiana e vi si mantiene fino ali' aprile 1680. Si presenta a Cilli in novembre dello stesso anno. Attesa la vicinanza dei focolai infettivi colla frontiera veneta, questo governo ordina severe sorveglianze ai confini, i quali vengono chiusi, ed una stretta contumacia verso la provenienza da quelle provincie 6). Dopo che il morbo nella primavera del 1680 s' era estinto nelle Austrie, in Stiria, Carintia e Carniola'), ricomparisce nel 1681 in Stiria, specialmente a Petovia (Pettau) e in Ungheria a Varasdin nel mese di dicembre8). Epidemia questa che s'estende altresi in Sassonia, nella Tu-ringia, a Meissen, nel Harz, a Praga nel 1681 (morti 83,000), in Franconia, ') Ibid. XX, 17. Ibid. XX, 16. 3) Meyer, Conv. Lexicon. *) Atti e Mem. cit. XX, 261. II morbo e pero detto semplicemente contagioso; potrebbe quindi trattarsi d'altra forma morbosa. 5) Lode, op. cit. L' imperatore Leopoldo cessata la peste faceva erigere a pietoso ricordo la colonna della Trinitš, al Graben, nel sito ove erano state sepolte le salme degli appestati. «) Atti e Mem. cit. XX, 261, 265, 266, 267. 7) Ibid. XX, 269, XVI, 85. 8) Ibid. XVI, 91, 95, 97; XX, 269. — Kandler (negli Annali) segna un' epidemia di peste a Gorizia nel 1681 e negli Atti e Mem. XVI, 99, 101, 102 viene pure fatto cenno d' un morbo contagioso scoppiato in quella cittži nella seconda meta del 1682. Si tratta di certo della stessa epidemia, che non venendo indicata quale peste, fu con tutta probabilit& un tifo addominale. Tuttavia il governo adotto delle serie misure. a Wiirzburgo, a Magdeburgo (morti 4500); nel 1682 a Halle (morti 4397), ad Eisleben, Halbe.rstadt, Miihlhausen, Nordhausen, Dresda; nel 1683 in Erfurt, ove muoiono 8792 persone e 1' autorita nomina tre sacerdoti e tre inservienti per 1' assistenza degli appestati4). Finalmente nel luglio 1683 il raorbo si pote considerare come estinto negli Stati eonfinanti colla regione Giulia 2). XXIV. Decorrono otto anni esenti dal flagello, quando nel settembre 1691 la peste si presenta a Zara ed in Croazia, nonchč in Ungheria ed a Vienna3). II governo veneto ordina dei severi provvedimenti contro j' importazione del morbo dalle parti imperiali della provincia 4). Nello stessu anno nnnche nel seguente la peste scoppia nella provincia di Bari5). Epidemie di peste divampano nei varii paesi d' Europa nei primi cinquant' anni del secolo XVIII. Sono specialmente i paesi settentrionali che vengono invasi dal morbo, dei quali esso si propaga verso il mezzo-giorno. Cosi troviamo dal 1707 al 1713 la peste in Russia, in Scandinavia, in Germania (Amburgo), in Austria (Vienna 1713-14) ed in Ungheria (por-tatavi dalla Turchia); indi in Slavonia, in Dalmazia, in Albania e poi nella cittit di Fiume (1712), a Buccari e Bucavizza. Ad eccezione di alcuni časi sospetti di peste osservati nelle vicinanze di Pola nel 1706 e nelle isole del Quarnero nel 1712 e che probabilmente non erano tali, nulla occorse di particolare nella provincia durante quelle annate. Nel 1714 invece 1' estendersi novello del morbo in Germania ed in Austria obbligo il governo a prescrivere una sorveglianza accuratissima ai confini, al quale scopo si rinforzarono i caselli di san i t A, i quali ven-nero forniti di personale sufficiente; il che fu provvidenziale perche il male s' estese nelle provincie austriache anche nel 1715, dirigendosi al mezzogiorno verso la Carinzia 6). Una nuova epidemia di peste divampa in Francia (Marsiglia e Provenza, gravissima nel 1721) dal 1720 al 1722 portata da Sidone da nave con patente netta. Nel 1724 časi singoli del morbo s' osservano a Triplo in Croazia, vicino a Carlstadt'). ') Pestilentia in nummis cit. 2) Atti e Mem. cit. XX, 270. 8) Ibid. XVI, 222, XV, 136. *) Ibid. XVI, 223. 5) Meyer, Conv. Lexicon. 6) Bo. op. cit. — Meyer, Conv. Lex. — Nel 1715 Vienna liberata dalla peste erige il tempio a S. Carlo Borromeo. ') Atti e Mem. XXIII, 54. Mentre nel 1725 le provincie settentrionali della Persia vengono desolate dal morbo, 1' Europa ne rimane esente ed appena nel 1731 un' onda pestifera si riversa sull' Europa meridionale, dalla quale la Bosnia 1' Erzegovina, la. Dalmazia e Croazia, indi Costantinopoli (1735) e 1' Ucrania (1738-39) vengono invase 4). Frattanto Trieste inaugura nel 1730 il Lazzaretto di S. Carlo, destinato principalmente ad accogliere gli appestati2). Nel decennio che segue la peste scoppia a Messina ed a Reggio nel 1743, in Ungheria e Transilvania nel 1744 3). La provincia corse in questi due anni un serio pericolo. Nel maržo 1743 poggiava a Portorose di Pirano una tartana carica d' olio, proveniente da Antivari, nella quale durante il viaggio erano morti di peste il padrone, un marinaio ed un turco levato in Antivari4). Nel 1744 poi ci furono dei časi sospetti di peste a Trieste, i quali per6 non produssero un' epi-demia, ma rimasero isolati5). Dali' Oriente s' avanzava in seguito verso 1' Europa una nuova irruzione di peste, la quale scoppiata in Persia nel 1757, ove durava quasi tre anni, passava indi in Europa, toccando Cipro nel 1760 e Metelino nel 1762 per poi, decorsi due anni, estendersi sino in Dalmazia, invadendo Spalato nell' aprile e Knin nell' ottobre 1764 6). Trieste prevedendo il pericolo eresse nel 1769 il grande Lazzaretto di S. Teresa e promulg6 nuove leggi sanitarie 'J. II morbo per6 che ancora fino al 1815 compieva ripetutamente grandi stragi in Dalmazia ed a Venezia, rispett6 1' Istria e Trieste e non vi fece ulteriormente alcuna comparsa. Bernardo dott. Schiavuzzi Ibid. XVI, 302, XVII, 317, 324. — Tamassia, op. cit. 15. — Ene. Vallardi, 584. 2) Kandler, Annali. 3) Atti e Mem. X, 66, 67. 4) Atti e Mem. XXIII, 259. 5) Ibid. X, 65. 6j Ibid. XXV, 4, 5. — Archeogr. triest. XVI, 224. — Meyer, Conv. Lexicon. — Tomassia, 24. ') Kandler, Annali. — In memoria deli' erezione del nuovo Lazzaretto viene coniata una medaglia. Gli ebrei feneratori a Capodistria (Continuazione vedi a pag. 185 A. X). Si rileva dal complesso delle cose che sebbene il bisogno di aiuti fosse grande, 1' animo dei cittadini non era ancora disposto a dimenticare il passato e si riteneva necessario un bel gesto per ricordaro agli ebrei che non erano desiderati. Ma che valgono i bei gesti quando il bisogno incalza? Ai 19 luglio dello stesso anno adunatosi il Consiglio sotto la presidenza del predetto Podest& Alvise Priuli fra le altre parti poste figura anche questa: «Che gli ambasciatori elleti habbiano supplicar sua Ser.ta che sia contenta di conceder che in questa cittii venghino ad habitare un Banchiero liebreo il qual con suo danaro sovvenga questo populo qual mai si e ritrovato in tanta miseria et calamita, et se vi e alcuno come molti vi sono che voglia soccorer se et la sua fameglia essendo astretto da detta necessita andando a Trieste e sforziato a pagar 30 et 40 per cento ruvina pur troppo grande et che e per distruger non solamente la faculta ma le vite de gli hoinini. La qual gratia ottenuta da Sua Ser.ta essi ambasciatori con ogni diligentia habbiano trovar esso banchiero che sia commodo et da bene, et trovato sia proposto in questo Cons.o con li capitoli che da esso hebreo sarano proposti et non altramente* '). La parte fu presa con voti favorevoli 68, contrarii 12. L' incumbenza viene data al dott. Pietro Vergerio e a M. Ales-sandro Gavardo, i quali erano stati incaricati anche di altre supplicazioni. Essi eseguirono il loro incarico e 1' ecc.te Domino Pietro Vergerio Favonio condusse a Capodistria nel gennaio del 1574 i banchieri Oervo q. Salaroon da Mestre, e Mandolino q. Ioseph da Oderzo, i quali presentarono al Consiglio la supplica e i capitoli che seguono 2). 4) Arch. n. 548 Libro Consigli Q pag. 7. 2) Arch. n. 548 Libro Consigli Q, pag. 16-19. — Vedi ancora per questi ebrei. Vattova, La colonna di Santa Giustina, 53-57, 81, 83, 84, 86, 112, 116. «Sp,li et Mag.ei Sig.ri Conseglieri Desiderando noi Cervo q. Salamon de Mestre, et Mandolino q. Ioseph da Uderzo, hebrei compagni venir et ridursi in questa vostra citta, quando cio segua con vostra buona gratia, et non altramente, con 1' importantia de molti migliara de scudi, et tanti in una parola che a sufficentia, et pienamente potrano satisfar al bisogno universale si de cittadini, come de distrittuali, promettendo in questo etiam dio oltra ogn' altra obligatione contenuta nei Cap.li ogni amor, et favor, verso ogni porsona che k noi si conviene, per questo con ogni affetto di humilta et debita rivcrentia supplichiamo le Sig.rie vostre che si degnino di accettarci alla loro servitvi, con 1' infrascritti patti, accordi, et Cap.li et non altramente ne in altro muodo videlicet P.o Che Cervo q. Salamon de Mestre, et Mandolino q. Ioseph da Uderzo compagni, heredi et successori loro, per si overo per legitimi agenti durante il tempo deli' infrascritta con-dutta siano obligati di venir & far residentia personalmente con le loro fameglie in questa citt& de Cap.a ne possano in modo alc.o sotto qual si voglia colore, et pretesto che immaginar si possa cieder, renuntiar, locar, vender, donar, et allienar quovismodo il luoco sive condutta loro de banchiero ad altri, et pero durante detta sua condutta detti Cervo et Mandolino compagni s' intendano principali et non solamente principalmente obligati, ma ancora in solidum 1' uno per 1' altro. 2. Che venuti ad habitar come di sopra in questa citti de Capo d' istria possano viver in essa, et haver la sua Sinagoga iuxta la loro legge, rito et consuetudine, secondo cho anche 6 disposto per il statuto di essa citta et tener i suoi libri expurgati in quel modo che di presente b perm esso ad hebrei di tener nell' inclita citt& di Venetia, 3. Che non possano esser astretti ne risponder in Iud.o in tempo delle sue feste ne prestar over restituir pegni in detto tempo, et similmente andar alle prediche de Chri-stiani in qual si voglia tempo. 4. Che non possa esser tolto loro alc.o suo figliuolo si mascolo come femina, ne alcuna altra persona come sarebbe k dire fattore hebreo minori d'anni 18 sotto pena de ducati 200 la metta della quale s' intenda immediate applicata al Cl.mo Pod.a et Cap.o pro tempore che fara 1' esecutione senza far gratia alc.a della detta persona, et 1' altra raetta al' hebreo 6 patrone della persona. 5. Che non possano esser astretti ad alc.a tansa sive gra-vezza ne real ne personal secondo che anche dispone il statuto di questa citt&, et inter caetera occorendo ne anche di allogiar soldati. 6. Che non possano esser astretti, in caso che iddio guardi di peste ne a uscir di časa ne k prestar contra il suo volere, salvo che con il bolletino delli proveditori de la Sanita. 7. Che siano obligati a star in časa di giovedi Santo et da una campana ali' altra, ne siano molestati in modo alcuno alle čase loro sotto pena de lire cinquanta da esser im-mediate tolte al contrafattore et applicate al fontico della citt&, con dechiaratione che il CI.o Sig.r Podesta et Cap.o pro tempore sia tenuto ogni anno nel detto tempo far far le cride che non sia alc.o che dia loro molestia, come di sopra sotto detta pena ')• 8. Che sia loro permesso de tener rnanifestamente il banco in uno overo piu luochi pub.ci pur che li luochi non ec-cedano il n.o de dui et appresso di haver una o piu čase et boteghe ad affitto nella cittii secondo che ad essi parera meglio et piu espediente. 9. Che possino far i suoi negotij in ogni tempo eccettuati il giorno di Natale, di pasqua, et Corpus d.ni sotto pena in caso di contrafattione in ciasc.o delli tre Santissimi giorni de lire cinquanta de pizzoli, da esser immediate applicata la metta ali' accusator, et 1' altra metta al fontico della citt&, salvo se essi hebrei non havessero espressa licentia o dal R.mo Mons.r Vescovo pro tempore, o dal R.do Viccario di quello. 10. Che in caso di necessit& possano tener in časa nena, overo balia, et similmente ogn' altra servitu Christiana pagando loro la sua mercede. l) Per comprendere il significato di questo capitolo giova sapere che tra il popolo c' era la tradizione che gli Ebrei avrebbero pagato tesori perche si sonassero le campane da Giovedi a Sabbato Santo. Tale tradizione che certamente risale al Medio Evo e che udii io stesso ripetere con tutta serieta da un popolano, morto pochi anni or sono, ci dimostra ancor una volta che le cause deli' odio per gli Ebrei erano varie e non ultima quella della differente religione. 11. Che li beccari siano tenuti dar loro la carne per il suo bisogno, iusta il suo rito, almeno dui volte alla settimana, et ogni altro ancora medesimamente sia tenuto dar loro, et vender ogni altra cosa pertinente al viver humano, per il medesimo pretio che dano et vendono a' Christiani. 12. Che sia concesso loro il luoco altre volte solito appresso la chiesa de s. Giusto over altro luoco drento della citta, per sepelir occorendo li suoi morti, secondo che e disposto per il statuto. 13. Che sia permesso loro mercantar (eccettuato li sali) et comprar, et vender secondo che mercantano, comprano, vendono tutti li altri mercanti della citta et absolutamente di far goder, et haver in questo tutto quello ch' a loro 6 permesso per il statuto. 14. Che siano obligati durante la loro condutta, in ogni tempo deli' anno non prohibito expressamente per li sopt.ti et in-frascritti Cap.li prestar k sufficentia si alli Cittadini tutti, come a tutti li distrittuali di Capodistria sopra ogni pegno mobile, securo ad interesse, pur che 1' interesse di quelli che impegnarano le robbe loro per sovenirsi nelli suoi bisogni, non sia maggiore che di pizzoli doi et mezo per lira al mese a modo alcuuo, secondo che e disposto per il statuto di essa citta, et ultimamente anche per parte presa nell' Ecc.mo Senato de Pregadi sotto di 9 zenaro presente 1574 dummodo che non sia alcuno no cittadino, ne distrittuale, il qual in suo nome impegni per altri non distrittuali ne cittadini, sotto pena in caso di contrafattione de lire cen to, da esser immediate applicate la metta al-1' accusador et 1' altra metta al fontego della citta. 15. Che sopra oro et argento, siano tenuti di prestar dui terzi di quello valera il pegno, essendo di tanto ricercati, sopra li altri pegni veramente la metta di quello valessero, essendo pur di tanto ricercati. 16. Che mancando, o ricusando di prestar nelli giorni, et hore competenti, cioe da due hore di giorno, sino a hora de disnare, et dal mezo giorno fino a hore 23 inclusivamente caschino alla pena de lire tre per ciascuna volta, da esser applicato la metta ali' acusator, et 1' altra metta al fontego di questa citta, salvo giusto impedimento da essi quando cio occoresse legitimamente giustificato. 17. Che siano obligati dar & ciascuno che impegnara il bole-tino scrivendo in lingua ittaliana il giorno, mese, mill.mo la cosa impegnata, et la quantita del danaro prestato. 18. Che sia loro permesso pigliar per ogni partita notata nelli suoi libri in lingua ittaliana avanti tratto un soldo come per mercede della fatica, et della spesa corente. 19. Item di prestare sopra cose rubbate et trafurate, in modo che non siano tenuti a restituirle se prima non haverano havuto il Capitale et utile, over interesse intieramente insieme col bolletino o vero mandato dali' uff.o della Canc.a concernente la restitutione della cosa impegnata come piu di sotto si dira, purche tai cose non siano croci, calici, patene, paramenti di ehiesia, et simili altre cose sacre, sopra le quali essi hebrei non possino prestar in modo alc.o sotto pena di perder il capitale et utile insieme. 20. Che non siano tenuti rifar li pegni tarmati, overo rosegati da sorzi, giurando quanto alli tarmati di haverli sborati almeno tre volte ali' anno, quanto verameute a'li rosegati di haver tenuto con bona custodia le gatte con li suoi gattolieri alle porte. 21. II medesimo s' intenda se fosse commesso qualche robbaria manifesta overo se le čase loro, che iddio non voglia, ca-sualmente si brusassero, nel qual caso et časi non siano obligati a pagar nelli pegni ne la časa. 22. Che in caso si smarisse, o perdesse, o altramente fusse robbato pegno alc.o siano tenuti di pagar il doppio piu di quello sara statto impegnato, detratto per6 sive battuto giu tanto il capitale, quanto 1' utile: salvo che nelli argenti, et ori, nelli quali s' intendino obligati solum per il valor del terzo de piu, et quando per dui homini degni de fede fosse giustificato il valor del pegno esser stato di piu, siano tenuti k pagar di piu. 23. Che siano tenuti a dar, et pigliar ancora, monete correnti, quali non siano bandite over in voce di esser bandite. 2-1. Itezn di restituir il pegno k qualunque presentara li danari tanto de 1' utile, over interesse, quanto del capitale insieme con il bolletino, et non ad altri, salvo se non fosse chi presentasse uno mandato dali' officio della Canc.a concernente la restitutione della cosa impegnata, quale mentre che stara in pegno non possano essi hebrei ne usar per si, ne imprestar ad altri, ne impegnare in modo alcuno. 25. Che siano obligati & tener i pegni per mesi dodese intieri, overo fino un' anno intiero se li patroni delli pegni tanto li lassaranno, secondo che sopra cio k disposto anehe dal statuto di essa citta, et passato 1' anno possino venderli al pub.co incanto, servatis servandis, secondo che per la dispositione del medesimo statuto e dechiarato, intendeu-dosi sempre che in caso fussero venduti de piu li pegni incantati, oltra il cavedal, utile, et spese, tal soprabondante detti hebrei siano tenuti di presentar al Canc.r de comun, se li patroni di pegni non lo venissero & levar almeno uno mese doppo fatto 1' incanto, il qual Canc.r de comun sia tenuto & far de ricever in uno libro appartato delli soprabondanti havuti da essi hebrei, et habbia esso per sua mercede soldi doi de pizzoli per ogni deposito, qual deposito sia obligato immediate restituir alli patroni delli pegni venduti overo a' suoi legilimi procuratori. 26. Che occorrendo difficulta alcuna sopra alc.o pegno, in tal caso sia prestato fede alli libri di essi hebrei tenuti come s' usa legitimamente con suo giuramento perč et non in altro modo, dummodo che per doi homini degni de fede non siano reprobati, nel qual caso la partita controversa, della qual siano obligati dar copia, s' intenda solamente tagliata, le altre parti veramente del libro restino nella sua forza robore et vigor. 27. Che siano obligati volendo passato il tempo sopradetto vender i pegni al pub.co incanto, far una erida nel luoco, over luochi soliti che tutti vengano & pagar il suo interesse, overamente seoder, et rimetter essi pegni. 28. Che se per occasion delle cose impegnate, alcuno pretten-desse di esser stato ingannato da essi hebrei, overo che altramente pretendesse che fosse error alc.o debba fra termine di un mese lassarsi intender, et dedur quanto prettende, et provando con degni di fede error, overo ingano sia ressarcito. passato veramente il mese non possa dedur alc.a delle sop.te pretensioni, ne esser aldito dal Cl.mo Sig.r Podesta et Capit.o pro tempore. 29. Che quando alc.a persona havesse impegnato per qual si voglia minima quantita et subito riseodesse la cosa impe-gnata, sia tenuto pagar almeno soldo uno per pegno ad essi banchiero. 30. Che le cose impegnate non possino ad instantia d' alc.o sia chi si voglia per alc.o modo ne causa, esser ne seque-strate, ne intromessa. 31. Che in caso de guerra che iddio guardi intorno alla cittk, o terr.o di quella, possano detti hebrei con intervento di uno k cio deputato dalla Mag.ca Comunita portar li pegni nell' alma cittk di Venetia, senza gabella de sorte alcuna. 32. Che sia loro permesso prestar, et dar A interesse, ancora k forestieri, in quel modo che sopra cio dispone il statuto di questa cittk. 33. Che medesimamente possano prestar et dar ad interesse sopra instrumenti et scritti de mano, secondo che dispone il medesimo statuto, et in caso che prestassero sopra scritti ovvero instrumenti ad alc.o sia fatta loro ragion summaria come se 1' instrumenti overo scritti fussero fatti nell' alma citti di Venetia. 34. Che li sopradetti, et infrascritti Capitoli s' intendino durar per anni diece continui dal di della confermation, et ap-probation delli medesimi in questo maggior Cons.o 35. Che sei mesi inanci finisca il detto decenio, over spacio de anni diece, sia tenuto una parte ali' altra, cioe li Sp.li Sindici della Mag.ca Comunita ad essi hebrei, overo li hebrei ad essi Sp.li Sindici far intender di non voler piu continuar nella condutta, et seguito questo habbino li hebrei dui anni de rispetto per poter destrigar li suoi negotij, con con dechiaratione che in detto tempo d' anni doi non possino prestare sotto pena per ogni volta che contrafacessero, oltra la perdita del capitale, et utile, de lire dusento, da esser date, et applicate come di sopra, et di piu con questa altra espressa dechiaratione, che nel medesimo tempo d' anni dui de rispetto, possa prestar ogn' altro che fosse condotto dalla Mag.ca comunita alla qual spetialmente s' in-tenda non poter far preiud.o alcuno, in alcun tempo, legge 6 rito, 6 consuetudine che si trovasse tra hebrei in materia de condutta. 36. Che quando una parte ali' altra 'non facesse intender come di sopra, la presente condutta s' intenda durar per altri anni diece, et cosi d' anni diece, in anni diece sucessiva-mente. 37. Che fra giorni vinti doppo 1' approbation sop.ta siano obligati k dar il Capitale de tutti li pegni che di presente si trovano in procinto di esser venduti purche siano securi, nel banco de Trieste con idonea sigurta, overo parola delli Sp.li Sig.ri Sindici della cittž,, k tutti quelli che mo-straranno il boletino di essi pegni. 38. Che in caso che iddio non voglia che fuse fatto d' alc.o setta over solevation de populo contra il banco, sia obli-gata la Mag.ca comunita con tutte le sue forze diffender essi hebrei da cosi fatta sollevatione, sotto obligation de tutti li suoi beni, come piu de sotto, con dechiaration che de 1' haver deffesso o non secondo le sue forze, il Cl.o Sig.r Podesta, et Capit.o pro tempore sia cognitor. 39. Che nissun hebreo, eccetto Cervo et Mandolino compagni sop.ti suoi heredi, sucessori, et agenti come di sopra, possa venir ad habitar in essa citta, durante la detta condutta ne per prestar, ne per altro, sotto pena de ducati dusento, la qual pena s' intenda immediate applicata la metta, al fontico di questa citta, et 1' altra metta al Cl.mo Podesta, et Capit.o protempore che far& 1' esecutione. 40. Che in tutte le cause cosi civili, come criminali, non possa esser altro Iudice in prima instantia delli pre.ti hebrei, salvo che il Cl.o Sig.r Pod.a et Cap.o di questa citta pro tempore. 41. Che attento 1' urgente bisogno di essa citta detto Cervo, et Mandolino, hebrei siano tenuti k venir quanto prima, cioe alla piu longa alla metta del pross.o mese futturo de maržo 6 prestar et esercitar il banco in questa citta. 42. Che venuti che saranno, non possano ne essi, ne la sua fameglia, ne altro hebreo, che dalli medesimi quovismodo dipendese, usar carnalmente con alc.a Christiana sotto pena per ciascuna volta de lire cento, da esser immediate ap-plicate al fontico di questa citta. 43. Che essi hebrei nelle cose non espresse, et a quelle che sono espresse non contrarie, s' intendano esser sottoposti al statuto di questa citta, et di haver anche tutte le pre-rogative concesse loro per il medesimo. 44. Che tutte le conventioni, promissioni, et capitoli, sopra detti, et sop.te sia tenuto una parte ali' altra di mantener, et far mantener inviolabilmente, per tutto il tempo el termine sopradetto, sotto obligation de tutti li suoi beni pre-senti et futuri». Se consideriamo questi capitoli, vediamo che sono sempre gli antichi con ben poche modificazioni; resta eguale 1' interesse preteso, resta eguale il trattamento richiesto, salvo 1' eccezione per il commercio dei sali, al quale, da quanto si rileva scor-rendo i diversi libri di consigli deli' epoca, la citt& annetteva la massima importanza considerandolo il pili forte cespite delle sue entrate, restano eguali le condizioni di pegno e d' incanto, viene preso in riflesso soltanto un maggior numero di časi, che avrebbero potuto in un modo o nell'altro creare impicci agli ebrei, che si sapevano odiati, come apparisce specialmente dal cap. 38. Eppure 1' odio palese e 1' avversione, che i cittadini ave-vano per gli Ebrei, dimostrata anche dai frequenti processi ad essi intentati pochi anni dopo ') non valse a far respingere la parte, che fu presa con voti favorevoli 147 e soli 17 contrari. Ecco dunque nuovamente ricondotti gli Ebrei contro i quali la citt& s' era mostrata tanto esasperata e ad evitare i quali avevano fondato il sacro Monte di Pietk, che non pote perd sostenersi perchfe mancavano mezzi sufflcienti a sovvenire il popolo nei suoi pifi urgenti bisogni. (Continua) F. Majer. i) Vedi Majer, Inventario deli' antico Archivio Municipale N. 72, e N. 607, dai quali si rileva che un certo Isach viene condanuato a pagare 100 ducati nel 1582 e che in quest' anno Iacomo Gravisi incomincia contro Cervo e Salamon suo figliuolo un processo che dura sino al 1596. BIBLIOGrRAFIA GENERALE Luigi Credaro s Alfonso Testa e i primordii del Kantismo in Italia. Catania, Battiato 1913 (Bibl. di critica storica e letteraria, vol. I). II libro del Credaro non 6 nuovo; usci per la prima volta nel 1886, quando il Credaro poteva dedicare piu tempo agli studi che alla politica e alle fatiche del Ministero. Esce immutato, mentre il sistema filosofico del Testa k stato riesaminato nel frattempo — parte in dissidio col Credaro — nei due saggi notevolissimi di Giovanni Gentile su Eosmini e Gioberti e Da Genovesi a Galluppi. La ri.stampa ha dunque piu che altro interesse bibliografico. Manca quel dibattito polemico col Gentile che avrebbe conferito al libro una nuova giovinezza e tolta al lettore la pre-occupazione del dubbio su alcune interpretazioni. Poiche Alfonso Testa non 6 tale personalita, nella sfcoria della filosofia italiana, da consigliare la lettura dei suoi libri a chi non sia specialista. nfe si occupi ex-profenso della corrente alla quale egli appartiene. Forse egli 6 piu noto per le cri-tiche mosse al Rosmini, che se ne sbrigo pero con «disprezzo anche troppo affettato». Alfonso Testa nacque a Borgonovo in quel di Piacenza nel 1784. Fu sacerdote, ma di spirito indipendente. Insegno nel Liceo di Piacenza. Mori nel 1860. Studio e amo Kant in un tempo in cui questo filosofo era poco noto, se non addirittura ignorato in Italia, e poco apprezzpto da chi lo conosceva. Per questo riguardo il Testa apparisce come un precursore isolato. Anche percio la sua importanza non 6 grande. Ma il Credaro, nel suo libro, cerca non solo di tratteggiare la figura del filosofo piacentino, ma di lumeggiare tutto il periodo primordia'e kantiano in Italia. g. v. Emilio Bodrero: Pagine di coltura modema. Serie prima. Catania, Battiato 1913. In 8°, pgg. 191. Anche il volume del Bodrero fa parte di quel!a Biblioteca di critica storica e letieraria iniziata da un editore intraprendente, il Battiato, e diretta da un uomo d' attivita multiforme e di vivace intelligenza, Carlo Pascal, nella quale dovranno essere studiate «particolari tendenze dello spirito filosofico e letterario, e singoli fenomeni storici degni di rilievo». Degli otto saggi raccolti dal Bodrero, uno solo, su la terza parola, e inedito; gli altri furouo gi& pubblicati in varie rassegne, ma si ripro-ducono «ampliati e perfezionati». Trattano argoinenti diversi: 1. intorno al profeta di Zarathustra (F. Nietzsche); 2. la vita di Giovanna d' Arco di Anatole France; 3. fonti e foci d'annunziane; 4. la traduzione dei poeti classici; 5. Giacoino Barzellotti; 6. la parola scenica; 7. Giovanni Vailati; 8. la terza parola. I libri cuciti insieme di articoli diversi offrono campo al lettore moderno, affaccendato e pur curioso, d'informarsi rapidamente di molti fatti e problemi di coltura. II libro del Bodrero ha un merito maggiore: i vari articoli sono idealmente legati dalla coerenza deli' atteggiamento critico deli' autore. Questo atteggiamento risale, in ultima istanza, a una tesi del Gobineau e del Taine, combattuta recentemente dal Fariuelli, ma 6 intonato alla corrente nazionalista italiana, preannunziata da altri critici e da poeti. Si potrebbe riassumere eosi: nello scrittore come nel fatto storico ha larga risonanza il fattore etnico; 1'Italia deve tendere a un predominio intellettuale a cui ha diritto per le sue tradizioni. Una tesi cosiffatta, se puo aprire da un lato nuovi spiragli, puo condurre facilmente a partiti presi. II Bodrero ha la tendenza a genera-lizzare singole osservazioni, conferendo loro un valore intrinseco che forse non posseggono. Prendiamo i singoli articoli. Nietzsche e raffigurato nell' impotenza di organare un sistema, impotenza che si rivela nello squilibrio tra la forma profetica e un tentativo di fondamento logico. Gli vien contrapposto il genio latino del Leopardi, che non destina alla pubblicita lo zibaldone, ma attinge la perfezione nel Filippo Ottonieri. La storia di Giovanua d'Arco d'Anatole France si compendia nel riconoscimento del culto gallico della donna, di cui la vergine d' Orleans sarebbe un tardo, ineraviglioso germoglio. Gabriele d' Annunzio, invece che plagiario, apparisce intento a un' opera di «nazioualizzazione e personalizzazione« delle forme impor-tate, inediante le quaii divulga la cultura straniera e rinsangua la na-zionale. La valutazione, favorevolissima, della versione d' Aristofane fatta dal Romagnoli, conduce ali' affermazione della nostra aflinita coi classici e della superiorita assoluta deli' italiano nel rendere la poesia antica. Giacomo Barzellotti e celebrato rappresentante genuino del tradi-zionale integralismo spirituale italiano, che ripugna dal dissidio fra cultura e arte, e rifugge tanto dalla filologia pura del «germanesimo» come dalla mera letteratura del «gallicismo». Lo stesso concetto scaturisce dali' esame della «parola scenica« ; 1' Italia avra un proprio stile teatrale, quando, ce3sato lo screzio tra il pensiero e 1' arte, si sara creato un patrimonio di pensieri nazionali non solo da espriinere, ma da attuare. Giovanni Vailati si rivela come il tipo mediterraneo compiuto del sofista curioso d' ogni problema, rnultiforme, maestro nell' armonizzare la vita e 1' idea, e magari — per amore del ricorso storico — scettico teorico. Soltanto 1' ultimo articolo, su la terza parola, non s' adagia alla diinostrazione assunta, ma studia i rapporti fra la vita moderna, il gior-nale e la letteratura. Fra la lingua parlata (cosa naturale) e la lingua letteraria (cosa manufatta), la lingua giornalistica rappresenta 1' industria, uniforme, impersonale. I danni e pericoli di questa condiziono — che avevano indotto anche i Croce a dissuadere i giovani dalla carriera giornalistica — sono svolti largamente; ma b anche accennato al fatto che la letteratura giornalistica appartiene alla vita pratica, non soltanto alla vita intellettuale. * * * Questa tendenza puo costituire il torto del libro. se n' e turbata comunque la sua obbiettivita scientifica ; ne costituisce il pregio, se n' 6 rinsaldata 1' intonazione soggettiva che lo vivifica. Al Bodrero piacerebbe l'equilibrio — lodato in Anatole France — fra 1' obbiettivita storica ch' 6 metodo, e il subbiettivismo ch' e arte. Lasciamo stare se questo dualismo sia giusto e se questo equilibrio sia sempre raggiunto. Certo il Bodrero, anche dove ripete osservazioni non nuove, mostra d' averle ripensate per conto suo; affronta ogni problema con larga preparazione di cultura, as-sorgendo dalla rassegna d' un libro alla discussione di principii critici e dei rapporti fra 1' arte e la vita; scrive con spigliata eleganza e dialettica sicura. g. T, La risurrezione di un libro «8otto la Croce«. Fra pochi giorni la «Casa Editrice Italiana« di Torino metterd in vendita, in elegante veste tipografica, la nuova edizione riveduta di uno dei piu interessanti romanzi di Ugo Valcarenghi: quel «Sotto la Croce® che ventott' anni or sono fece la sua prima apparizione e che oltre a un bel successo di pubblico, ebbe le lodi recise della «Nuova Antologia» e di Antonio Fogazzaro. II Fogazzaro infatti scrivendo di questo romanzo in un giornale di Vicenza, encomio sopratutto 1'interesse e la naturalezza della narrazione, la verita della rappresentazione e dei caratteri, e l' assoluta assenea di prediche. «Sotto la Croce» e infatti uno dei piu interessanti e cominoventi romanzi della nostra Letteratura. Non vi sono tirate noiose; e per la ricchezza degli episodi, e per la bellezza delle scene, e per la veritš, del-1' ambiente e dei caratteri magistralmente scolpiti, e per la vivacita del-1' azione drammaticissima e della forma veramente squisita, costituisce una lettura emozionante e gradevole, in ispecie per le signore, le quali ritrovano in Luigia (la protagonista) una vera eroina da romanzo e non un personaggio di stoppa, e si interessano vivamente alle sue indimenti-cabili vicende di passione, di amore, di dolore c di sacrificio. Non si puo leggere questo romanzo senza rinianerne profondamente commossi. Le verita piu dolorose vi sono narrate con quella verecondia che le idealizza e le rende accessibili anche agli animi di gusto piu delicato. Per questo appunto il libro, opportunamente ritoccato dali'Autore e in inolte parti rifuso, ritrovera la sua via, e potra certo diffoudersi ancor piu rapidamente e penetrare nei salotti affermandosi con una vitalitž, nuova. «Sotto la Croce» non e un romanzo veriata nel signiticato assoluto di questa parola; esso si allontana, sia per la trama vasta e complessa come per la sua indole intuitiva e sentimentale, da aitri romanzi dello stesso Autore che ebbero gia la fortuna di molte edizioni. E' opera gio-vanile ma resistente e vigorosa, dove 1' Arte del Valcarenghi raggiunge altezze considerevoli, e che la revisione piu riflessiva del roinanziere avveduto ed esperto ha voluto rendere ora perfetta. Questa nuova edizione torna anche opportuna per dimostrare che 1'Autore di «11 romanzo dello sdegno» non si e fermato al successo lusin-ghiero di questo recente suo libro ; ma ha voluto ritornare sulla sua opera antica, che gli anni hanno solamente potuto velare di polvere, e che k destinata a risplendere ancora per molto tempo. Poiche, variano i costumi e molte sono le bizzarre volonta della moda; ma le passioni sono sempre le stesse; e quella umanita che dš, vita ali'opera d'arte 6 appunto la preziosa qualiti che la rende intangibile. Torino, Febbraio del 1913. Bibliografia istriana A) Opere d' istriani e (li corregionali stani pate in Istria e fuori; opere di forestieri stampate in Istria. 6. Salvatore Sabbadini, de Socratica philosophia a Cicerone in Laelio adhibila dissertatio. — Tergesti, in aedibus I. Caprini XCMXII (Pubblicato per le nozze Spadon-Peressini, 21 dic. 1912, 34 pp.). L' opuscolo del Sabbadini non vuo!e essere (come gia diee il titolo stesso) un' ampia trattazione del pensiero filosofico di Cicerone, quale esso si pud rivelare nel dialogo deli' amicizia, chiainato anche Lelio dal nome deli' interlocutore principale; opere, che in maggiore o in minore mole trattino di tale argomento, ne abbiamo a sufflcienza; tutti ormai sono d' accordo nel riconoscere che Cicerone, il quale come avvocato e come oratore, come plasmatore magistrale della frase e del periodo, raggiunse altezze sublimi, come filosofo non ebbe, e del resto non s' b mai vantato di avere, pensieri o sistemi originali o profondi; le sue opere fllosoflche sono, e tutti lo sanno, un rifacimento in veste latina, splendida e piace-volissima, di teorie, le piu semplici e le piu pratiche, dei filosofi greci di varie scuole e tendenze. Della stessa natura e anche il Lelio. Un' analisi pero dei siugoli elementi che compongono questa opera non era ancora stata fatta; tanto piu valore percio ha 1'opera del Sabbadini, il quale si e accinto a ordinare sistematicamente e a vagliare con ponderatezza e competenza tutti quei passi del dialoghetto ciceroniano che ricordano pensieri, osservazioni e espressioni di filosofi greci. Comincia con Teofrasto, il cui scritto rcepl 91X10;? a noi non e perve-nuto, ma che certo Cicerone ha usato, come ci riferisce uno scrittore degno di fede quale e Gellio. Ma appunto perche lo scritto 6 andato perduto, noi non possiamo che accontentarci di poehe supposizioni e congetture. Ben diversa 6 la nostra condizione di fronte ad Aristotile, nella cui Etica Nico-machea, che il Sabbadini črede essere possibile che Cicerone abbia letta contro l'opinione del Madvig, si trovano circa una trentina di passi, i quali sia per il concetto generale, sia talvolta per 1' espressione quasi identica, hanno riseontro e un' eco fedele nello scritto ciceroniano; piccole e insi-gnificanti sono invece le divergenze, le quali il Sabbadini trova, a buon diritto, di spiegare e giustificare con la diversita di vita del filosofo greco e deli' oratore romano. Oltre che Aristotile, l'A. cita poi parecchi passi del Liside di Platone e piu ancora dei Cominentari di Senofonte, che Cicerone ha ineorporato nel suo dialogo e dei quali si e servito a comporre quasi 1' ossatura del suo ragionamento. Piu scarsi sono i raffronti con gli Stoici, la dottrina dei quali, sebbene, per certi riguardi, approvata da Cicerone, riusciva tuttavia nel suo insieme parecchio ostica aH' oratore romano causa la sua troppo scarsa praticita. L'A. chiude il suo lavoro con una rassegna dei passi in cui Cicerone si rivela avversario irreducibile, piu di quanto non fosse giusto, della teoria epicurea, e osserva co i e tale avversione debba andare spiegata col fatto che Cicerone vedeva nell' epicureismo uno dei germi corruttori della societa romana, che per la rilassatezza generale dei costumi e 1' infiacchimento del carattere, si avviava alla monarchia. Da questo studio, scritto in un latino purgato e classicamente cle-gante, condotto con scrupolosa esattezza e scevro di ogni esagerazione, difetto difficilmente evitabile in tale genere di lavoro, il lettore puo farsi un' idea chiara e giusta della genesi e della struttura del dialogo cicero-niano preso in esame; 6 esso un' analisi acuta di tutti gli elementi che costituiscono il tessuto sul quale poi Cicerone ha saputo ricamare cosi abilmente il suo trattatello. Porse da questo lavoro risulta chiara la ragione per cui il Lelio e cosi poco profondo e cosi inorganico; certo vi avrž, contribuito la fretta della composizione, ma senza dubbio piu ancora il fatto che la materia presa a svolgere non era frutto della osservazione e della meditazione personale deli' autore, ma acquisita dai libri degli an-tichi e non ancora digerita completamente, cosi come ha dimostrato mi-rabilmente il Sabbadini, al quale ogni studioso di Cicerone deve essere riconoscente. C. 7. Dott. Girolamo Curto : Marozia, dramma; Trieste, Ettore Vrani, editore; 1912 (cor. 1.20). II successo del «Trionfo de' vinti» ha avuto anehe questa natura-lissima conseguenza: che ha persuaso il suo autore a comporre una nuova azione scenica, la quale, a dir vero, checchfe opponga qualche critico emunetae naris, ci sembra tutt' altro che smentire le qualita che il Curto possiede di efficace ed austero autore drammatico. Suggestivo quanto mai il titolo: Marozia; titolo che ci trasporta col pensiero ad uno dei periodi piu oscuramente intricati e piu tristamente famosi della Roma medievale, ed e quasi sinonimo di violenza e di sangue. Buona la sceneggiatura, che in quadri coloriti con forza e con maestria ci presenta, se non un dramma nel vero e compiuto senso della parola, tutti i principali e piu caratteristici episodi di ambizione, di erudelta, di lussuria svoltisi a Roma tra il 928 e il 932 dopo Cristo. Ben delineati i caratteri, con fedelta non pure alla logica delle passioni umane, ma anehe alla genuina tradizione storica. Giacchč il Curto (e anehe a cio va dato il debito rilievo), quando s' ac-cinge ad un lavoro drammatico di fondo storico, accudisce anzi tutto a minuziosi e attenti studi storici, senza risparmio ne di tempo 116 di fatica. Cosi avviene che i suoi personaggi sieno alle volte dei veri ritratti storici. In questo ultimo suo dramma, ad esempio, sono figure perfettamente e fedelmente storiche Liutprando, veseovo di Cremona, 1' infamatore della memoria di papa Giovanni X; Marozia, la bellissima ma turpe intrigante; e il debole ed inetto Giovanni XI. Laddove son scaturiti dalla fantasia del drammaturgo Germano, il padre di Liutprando, fiero rappresentante delle piu retrive tradizioni nazionali germaniche; Agiprando, che politicamente 6 il suo contrapposto; Arnaldo e qualche altra figura di minore impor-tanza. Quanto ali' azione, di assolutamente fantastico non c' k in essa che la conversione di Teodora e il suo affetto per Giovanni X. E' quindi storica anche la truce uccisione di Pietro dinanzi al papa Giovanni, fra-tello suo; uccisione decretata dalla sanguinaria oltracotanza di Teodora, e che il Curto rappresenta al vivo, in una scena breve e terrificante che si potrebbe considerare perfetta, se altra vi fosse 1' attitudine di papa Giovanni, che pritna riniane, dinanzi allo scempio del fratello, inerte e muto, poi esce in queste troppo iinpassibili parole: »Sepoltura cristiana in luogo santo Do vete dargli.« E' evidente: qui parla il ministro di Dio, non il fratello; mentre, se non c' inganuiaino, dovrebbe parlare proprio quest'ultimo. Ma se questa scena lascia qualcosa a desiderare, altre in compenso ve ne sono in Marozia (specie nell' atto V) che non possono non appagare del tutto anche i giudici piu difficili, massime per rapida stringatezza di dialogo e per serrata foga d' azione. Anche questa volta il metro prescelto dal Curto (t il classico ende-casillabo sciolto ; metro ch' egli maneggia, com' e noto, con grande abiliti e al quale imprime un carattere di forza talvolta aspra ma sempre efficace, che lo rende veramente originale e adattatissimo ali' espressione di senti-meuti fieri e impetuosi. Accanto allo sciolto troviamo pero in Marozia anche qualche altro metro: qualche breve metro lirico abilmente conden-sante, nel giro di poche strofe, la passione che predomina nell' animo or deli'uno, or deli'altro personaggio, Eccone un esempio: Qui m' ha sorriso. Memore Di tal ventura il core Soavemente palpita, Mosso da dolce amore Per la leggiadra dea, Che m' affeziona e bea, Giocondandomi il sen. Per 1' occhio nel suo spirito La mia indagine e scesa: V' ho scoperto nell' intimo Possibile la resa. Se, come il mio cor brama, Mi dicesse che mi ama, Sarei felice appien. E' una cosa carina, che rammenta la melodiosa spigliatezza delle celebri ariette metastasiane. d. Q. 8. Italo Sennio: Muggia (della raccolta «La Venezia Giulia e la Dalmazia» vol. VI); editrice la libreria M. Quidde, gia F. H. Schimpff; Trieste 1913. E' questo, in tre anni, appena il sesto volume de «La Venezia Giulia e la Dalmazia®, la collezione di succose monografie storiche ed artistiche accortamente divisata dal coraggioso editore Mavlander e che si larga e unanime eco avea suscitata di aperti consensi e di accese sim-patie. E', in veritž, un andar troppo a rilento e uno svogliare il publico dali' intrapresa. L' editore Quidde, subentrato al Mavlander, ci pensi e veda se non gli convenga procedere piu spedito. L' autore di »Muggia« 6 Italo Sennio, pseudonimo ben noto ai let-tori delle Pagine lstriane di un altrettanto modesto qnanto fervido e operoso cultore della storia deli' arte, da pochi mesi lontano (vogliamo sperar non per sempre) dali' lstria, dove lascio lunga brania di se e dove questo vo-lumetto accrescerš, la gratitudine ehe tutti gli dobbiamo per quanto gia fece in pro deli' Esposizione provineiale di Capodistria e per la fondazione di quel Civico Museo. Con piana e semplice parola espone anzi tutto il Sennio la non ingloriosa storia di Muggia, dal povero castelliere preistorico ai candidi templari croeiati di rosso, e dai templari alla fondazione, in epoca a noi vicinissima, del cantiere navale di San Rocco, fonte precipua deli' odierna prosperitS. della ridente borgata. Assolto questo primo compito, passa in accurata rassegna quanto v'e di artisticamente notevole cosi in Muggia vecchia che in Muggia nuova, sofferniandosi di proposito, com' era giusto, su quel piccolo gioiello di basilica latina antiea che e la chiesetta di Santa Maria de Oastro Muglae, sul Duomo di Muggia nuova, sul Castello pa-triarchino. In uno speciale capitolo discorre poi degli abitanti di Muggia, del loro dialetto, degli uomini che piu onorarono nelle anni, nelle varie discipline e nelle lettere la cittadina ; e chiude 1' operetta con una pitto-resca descrizione del piccolo ventoso golfo azzurro in cui Muggia tutta si rispecchia e che k «1' insenatura forse piu poetica della parte setten-trionale deli' Adriatico». Una serie di nove bene scelte e riuscite riproduzioni fotograflche costituisce 1' opportuno corredo illustrativo deli' elegante e nitido volu-metto, al quale auguriamo di gran cuore la fortuna gia incontrata dagli altri cinque. (j. 9. Bruno Astori: In sardina; poesie. Editrice la libreria Maylander; Trieste, 1913. Non 6 facile compito quello di caratterizzare la poesia di Bruno Astori. Per due motivi: primo, ch'e poesia di un giovanissimo e pero (necessariamente) ancora in formazione; secondo, che 6 poesia, per sua natura, tenue e sfuggevole, di blandi suoni, di sommessi accenti, di pal-lide imagini. Limitiamoci dunque a distinguere cio che v' ha in essa di veramente buono e nuovo. Anzi tutto, 1'Astori, pur risentendosi delle molte letture che deve aver fatte di poeti moderni e modernissimi, non copia, a rigor di termini, nessuno; segno che dentro di lui s'agita una libera personaliti artistica che una volta o 1' altra trovera indubbiamente la sua via. Poi, egli non ci presenta che una esigua rigorosa scelta dei molti canti da lui composti dal di che la Musa lo volle suo; indizio certo, anche questo, di serieti e di buon gusto. E' vero che neppure i canti prodotti possono dirsi in tutto e del tutto perfetti; ma e pur vero che in ciascuno di essi si possono cogliere degli squarei, delle strofe, delle bat-tute, dei versi che ci scoprono nell'Astori ora uno squisito interprete di malinconici stati d' animo, ora un felice descrittore di paesaggi serotini e notturni, ora un melodioso artefice di ritmi. Ecco, ad apertura di libro, un esempio deli' abiliti con che egli sa accordare col suo intimo senti-mento 1' intima voce delle cose: Nel campiello Quante secchie avran pianto in risalire e catene striduto, e quante donne avranno fatto udire • ^ i >./*' " i bei cantari nel campiello muto al pozzo bruno, consunto, sconnesso! Al pozzo vecchio che per ogni fesso cola le perle e sboccia il capelvenere e lo pende ne 1' ombra; al pozzo vecchio ch' ha tersa 1' acqua e come in uno specchio vi si miran le stelle. Facoltš, poetiche dunque 1' Astori ne ha, e non poche n6 volgari, come s' 6 visto ; e se vorri (e volendo, certo potr&) dar piu concisi contorni alla visione fantastica, piu salda compagine al verso e alla strofe e maggior disciplinatezza alla forma linguistica (ch'egli ora si piace infiorare d' inutili strappi alle regole tradizionali della grammatica), riuscirA, senza dubbio un lirico di soffio originale e pieno, di profondo sentimento, di soave linguaggio. (*• 10. Franco (le Beden: La figura morale di Anlonio Fogazzaro (con-fereuza). Edizione fuori commercio. Trieste, Werk, 1913. [Stampa postuma, procurata da L' Indipendente, di una conferenza che il Beden doveva tenere alla Minerva di Trieste e che fu ivi letta, invece, nel trigesimo dalla di lui immatura scomparsa, da Arturo Bellotti.] 11. Domenico Lovisato: Da Cagliari a Thiesi — Altre specie nuove di «Cigpeaster miocenici*; estratto dalla «Paleontographia italica® ; vol. XVII, pp. 129-140; Pisa, Tipografia successori fratelli Nistri; 1912. 12. Uniberto Saba: Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi); pubblicato dalla »Libreria della Voce»; Firenze, 1912. 13. Emilio Gerosa: Appunti sull'importante problema della soppres-sione delle immondizie nelle grandi citta. Con 6 figure intercalate nel testo e una tabella sinottica in line. Stab. tip. Carlo Priora, Capodistria; 1912 [Trieste]. 14. Salvatore Farina: Prima che nascesse (novella); trascrizione [del dr. Guido Da Banj in caratteri stenografici secondo il sistema Gabelsber-ger-Noe gentilmente concessa dali' illustre autore. II ediz. Trieste, Unione stenografica triestina, ed.; 1913. 15. Bruno Rorere : La bellezza muliebre ; Societi editrice partenopea ; Napoli, 1913. [lil.] 16. Antonio Pizzarello: Contatti fisici fra solidi e liquidi. Liquidi spugna. Estratto dal Suppl. al Periodico di matematica; a. XVI, fasc. II e III; Livorno, R. Giusti, 1913. 17. F. Victor: Studio pratico per l' uso dei verbi ausiliari modali e difettivi della lingua inglese. F. H. Schimpff; Trieste, 1913. 18. Dario De Tuoni: Preludio (versi); S. Lapi, Citt;\ di Castello, B) Opore di forestieri stani pate fuori deli' Istria e riferen-tisi in via diretta o indiretta ad essa. 19. Egisto Gerunzi: Al nome di Giuseppe Picciola (divagazioni di un amico); dalla «Roma letteraria» - dic. 1912: a. XX, fasc. XII. [E' 1' affettuoso discorso onde il Gerunzi, noto traduttore e illustra-tore delle Georgiche virgiliane, commemoro il Nostro al Circolo Filologico di Firenze. Vi abbiamo notati parecchi interessanti aueddoti e toccanti particolari di vita privata. Sarebbe ottima cosa, se non vi abbondassero stranamente divagazioni di ogni fatta.] C) Kiviste istriane; cose istriane nei giornali istriani e nelle riviste e nei giornali forestieri. 20. Atti e meniorie dalla Societa istriann di archeologia e storia patria; a. XXIX (1912);, vol. XXVIII. Parenzo, Tip. G. Coana (1912). [Sommario: Pietro Donazzolo — Francesco Patrizio di Cherso erudito del secolo decimosesto (1529-1597). Antonio De Colle — Briciole di storia inontonese. Francesco Babudri — Le antiche chiese di Parenzo. Ant. Dott. Pogatschnig — Di un codice sinora ignoto contenente lo Statuto di Capodistria.] 21. Bollettino (Mla Societa Escursionisti Istriani del Parini. — Guido Mcizzoni, Pagine di coltura moderna. — G. Federzoni, Conversazioni e divagazioni intorno al poema di Dante. Un sonno di sette giorni. — Giulio Natali, A. Guidi e G. Parini. Giuseppe Morici, La pellegrina d'amore nel frammento XXXIX del Leopardi. * Bollettino delPAssoeiazione Archeologica Romana, Roma, A. III, n.i 1-3: Filippo Tambroni, L'incendio di Roma nel 64 deli'E. V. — Ch. Huelsen, Mausoleo di Adriano. — Spiridione Lambros, Grecia e Italia. * Lares Biillettino sociale (liretto da Lamberlo Loria, Roma, Vol. I, Fasc. I-II: Luigi Salvatorelli, Andrew Lang. — Giuseppe Nicasi, Le credenze religiose delle popolazioni rurali deli' alta valle del Tevere. — G. A. Di Cesaro, II valore occulto di superstizioni, tradizioni e fiabe popolari. — Arrigo Solmi, Sulla interpretazione dei riti nuziali. — Aristide Baragiola, A proposito di una pubblicazione di Ewald Paul. — Arrigo Balladoro, Una leggenda della morte. * Rivista Ligure di scienze lettere ed arti, A. XL, Fasc. 1: G. Lazzeri, La quistione lunigianese. — G. Bustico, Paolo Heise sul Lago di Garda. — G. Natali, di Luisa Battista e d' altre poetesse lucane. * Pro cnltura, Trento, A. IV, Fasc. I-II, 1913: Dr. Pietro Pedrotti, II Trentino alla vigilia deli' insurrezione tirolese del 1809. — Dr. Lino Ijeonardi, Riccardo Zandonai; cenni biogratici e critici. — Prof. Dr. Enrico Quaresima, Un poeta tedesco a Rovereto (Hermanu von Gilm). — Achille Albertini, Un contratto di fabbrica deli' epoca clesiana; notizie del Palazzo Salvadori a Trento. — Prof. Dr. Guglielmo Bertagnoli, Ultimi saggi critici su Giovanni Prati. — Archivio folcloristico ecc. * Coltura e Lavoro, Treviso 1913, n.i 1 e 2 : Augusto Ser ena, Versi. — Tito Garzoni, Un celebre attore, Gustavo Modena. — Augusto Serena, Bibliografia Zinelliana. * Archivio Trentino, Trento, A. XXVII, Fasc. I-III: Desiderio Reich, Un nuovo documento volgare trentino (1435). - Guido Suster, Antichi fatti di cronaca trentina. — Giacomo Roberti, Una tomba del basso impero a Vezzano. — Dr. G. Bertagnolli, La parola di Giovanni Prati in una polemica letteraria a mezzo il sec. XIX. * Rendiconti: Reale istituto Loinbardo di scienze e lettere, Milano 1913, Vol. XLVI, Fasc. I-III: Lattes, Saggio deli' indice lessicale etrusco per finali. — Pascal, Una superstizione antica. * Bollettiiio storico piacentino, Piacenza 1913, Fasc. I e II: Fran-cesco Picco, Un episodio del «Piemonte» del Carducci e il generale Conte Ferdinando Negri Della Torre. — Mario Casella, Bricciehe Panniniane. — Annibal Caro Segretario di Ottavio Farnese. — Stefano Fermi, Corri-spondenti piacentini di G. Galilei. — S. Fermi — F. Picco, II padrino della Primogenita: Pietro Gioja (1795-1865) con lettere inedite di P. Gior-dani, P. Gioja, M. A. Castelli ed altri. * Atene e Roma, Firenze, A. XV, n.i 163-168: A. Gandiglio, La poesia latina di Giovanni Pascoli. — N. Terzaghi, Note di letteratura Omerica. — K. Zilliacus, L* Epigramma sepolcrale greco. — C. Pascal, L' opera storica di Taeito. — C. Lanzani, Euripide, Bacco e le donne. — A. Gandiglio, I metri barbari di Carducci. — L. Castiglioni, La vita nuda. (Caratteri ed episodi di vita ateniese nelle orazioni di Lisia). * II giorno 16 maržo si e inaugurato a Trento con grande solen-nitž. il busto marmoreo di Antonio (Jazzoletti, eretto per iniziativa dell'As-sociazione degli študenti trontini. La societa di Minerva spedi ali' Asso-ciazione un telegramma di plauso composto da Attilio Hortis. % II giorno 17 maržo mori a Trieste 1' illustre pittore triestino Eugenio Scomparini. * La sera del 18 maržo ci fu a Trieste, nel Teatro fregiato del suo nome, la commemorazione del grande Maestro Giuseppe Verdi. II di-scorso commemorativo fu tenuto dal dott. Attilio Tamaro. I)ino Mantovani, P appassionato biografo di Ippolito Nievo, il sottile psicologo delle »Passioni illustri», il brillante critico letterario della «Stampa», non e piii. Mori a Torino, dove dirigeva un liceo, la notte dal 17 al 18 aprile, fulminato a tradimento da una sincope cardiaca; e avea appena varcato la cinquantina. Era stato amico ed estimatore del nostro Picciola, al quale aveva dedicato una delle sue pensose »Lettere provinciali» e per la morte del quale mando alla rivista nostra una pagina dnvvero indimenticabile. Lascia, ahime, incompiuta la biografia di Ed-mondo de Amicis, alla quale attendeva da diverso tempo e per cui aveva avuto comunicazioni di documenti pur dalle terre nostre, che egli forte-mente amava e dov' era noto anche per le due belle conferenze, tenute, anni sono, alla tergestina Minerva. Le nostre piu vive condoglianze alla famiglia. Gicliano Tesrari editore e redattore responsabile. St»b. Tip. Carlo Priora, Capodistria. Arti Grafiohe lahni Trieste