III. AN NO. Sabato L° Gennaro 1848. Brano d'im viaggio nelFIstria. (tradotto dal tedesco) (Ccmtinuazione — Vedi i numeri 76-77, 78 deli' anno II.) La mattina per tempo assai la fedele guida busso alla porta, ed entrato mi avverti che tutto era pronto, ma che avrei dovuto pazientarmi fino a che fosse pronta la colazione, che il padrone di časa aveva ordinato mi si approntasse. Io era impaziente, ma seguendo i consigli del mi o morlacco dovetti adattarmi, perche mi avverti che se ne sarebbe preso a male. Questo attendere an-dava per le lunghe, e non avendo altro pensiero che mi occupasse' diedi un'occhiata alla camera ove aveva pas-sata la notte. Sapeva che il padrone: non faceva 1' al-bergatore, e che mi aveva accolto per essere stato a lui indirizzato, e sapeva bene che quella non era una lo-, canda. La stanza era grande a sufficienza ma di poca altezza, le pareti imbiancate, il soffitto mostrava le tra-vamenta e le tavole del piano superiore; qualche buco era turato da torsi di formentone, o con carta, il che pero non impediva 1' udire tutto queIIo che si sarebbe parlato nel piano superiore; cosa che spiegava a me perche avessi trovato assai spesso curiosita dei fatti altrui. II pavimento era di tavole, che non erano state lavate dal di che furono incliiodate. Le serrature delle finestre quando erano nuove chiudevano abbastanza male; i vetri erano piccoli ed a scompartimento, uniti con piombo e tenuti insieme con bacchettine di ferro : non erano tutti, ne tutti interi. Non v' era che un solo uscio a due battenti che con un calcio si sarebbe potuto sfon-darli; su questi battenti nel lato interno della stanza v' erano infissi chiodi di legno, e su questi attaccato un mantello, e qualche altro vestito, per cui servivano di guardaroba. II letto era altissimo, per due persone, poggiato su cavalletti e tavole, con immenso saccone ripieno di fo-glie di frumentone, coperto con una grandissima coperta a liste Iarghe di vari colori. Ai lati v' erano due sga-belletti, ma*si bassi, che dovetti conchiudere non essere uso di leggere stando a letto. Sul letto pendeva una santa immagine ad olio che attraverso la polvere mi sembr6 di buon lavoro; poi ai due lati, quadretli con sante reliquie, candele benedette, un cereo grosso orna-to, palme pasquali, pile d' acqua santa, rosari e corone benedette. Su d' uno sgabello trovai libro di meditazioni Si pubblica ogni sabato. M t. religiose, il quale negli angoli rivoltolati, e sporchi di tabacco mostrava di servire ad uso frequente. V' aveva un armadio a cassetti alla rococo, di di-ligenti e variate intarsiature, che riparato e pulito era cosa bella, se bello e il genere del rococo. Sull' armadio ovale stava una guantiera in piedi, di semplice la-marino un tempo tulto verniciato, e cogli orli a traforo quasi vi fosse attaccato un merlo; sull' armadio erano disposte in simmetria tazze da caffe e zuccheriere di fab-brica veneta (non pero vasi da caffe) e sulle tazze o fra queste, pomi codogni, qualclie figurino di maiolica, un bicchiere di vetro immenso che poi seppi servire per ! cacciate di sangue, ed un calamaio di lastre sottilissime d' ottone, del quale non potei capire come facessero per usarne. In un vaso c' era una spugna scarsamente in-zuppata di inchiostro, e certe penne...., non vidi tem-perino, ne ceralacca, ne suggello, bensi qualche ostia rossa. Seppi da poi che 1' improntare una moneta sul sigillo e con a freqiiente. Sopra 1' armadio v' era uno specchio della fabbrica Bigaglia di Venezia, con cornice che era dorata, alla rococo; ma lo specchio non serviva a ripetere 1' immagine della persona, tanto era appannato dal sudiciume, ed il mercurio ossidato e mancante. Avrei giurato che da sessanta anni quello specchio non era stato lavato. Pen-devano sulle pareti da lunghi cordoni che altravolta erano colorati, alcuni quadri, qualche rame del Rizzi, qualche scena pastorale, il ritratto del Beauharnais, e quello che mi fece sorpresa nessun ritratto di Doge ve-neziano, o qualche altro ricordo di quella Repubblica. In un angolo c' era un fucile da caccia, delle bisaccie, un paio di stivali che al fango attestavano esservi stati deposti 1' inverno passato, un frustino da cavallo. Alcune sedie di paglia ordinarissime di fabbrica veneziana, un tavolo di legno dolce compivano i inobili di questa stanza, Nel salotto esterno v' erano quadri frammezzati a piccoli specchi bislunghi, con bracciali per candele, sedie di paglia, ed in un angolo un orologio a pesi, di Jegno, che non correva da un pezzo. Mentre stava guardandolo, il mio morlacco entrd in discorso: — Voi vorreste sapere che ora sia? guardo fuori della finestra e la disse con precisione. Ouest' orologio non corre, ma appena ritor-nera un Cargnello che fa il sarto, lo fara andare a me-raviglia; — che i Cargnelli sono fatti apposta per ag-giustare orologi. Ouando Dio volle capit6 la colazione, e m' accorsi d' essere stato trattato con tutto il tuono : era del caffe nero, che lo recarono nello stesso vaso con cui era stato bollito al fuoco (costume turco) ed era in vero eccel-lente; un bicchiere d' acqua col mastice (cosa greca) e dei savoiardi (uso veneziano). Avrei desiderato qualcosa di piu sostanzioso, raa cosi era il costume. Pero i biso-gni del viaggio valevano meglio che tutte le considera-zioni, e gustai quella colazione nel desiderio di trovarne fra il giorno altra piu triviale ma corrispondente alle imperiosita naturali, se non altro di acqua potabile. Partimmo, e la mia guida, che ali' odore avrei giurato si fosse satollata di acquavite, mi parve in aria quasi di trionfo, per non aver voluto seguire i suoi con-sigli nel giorno precedente. Postici alla via, dissi alla guida che voleva andare al tal luogo, e mi consiglio di preferire la strada postale la quale non era molto distante: a dir vere cio non mi ricresceva e vi ci mettemmo. — M'avete detto di un sarto Cargnello; frequentano questa provincia? — Signore, male per noi se non Ii avessimo; litroverete in tutta la campagna, nelle ville, nelle borgate ed anche nelle citta. Mi chiedete cosa facciano ? Eh quello che fanno i Cargnelli! Tagliano boschi, scavano fossi, fanno da magnani, fanno da sarti, raccolgono stracci e vetri rotti, sono muratori, picchiapietra, fanno da musicanti, tessono, s' industriano facendo i piccoli trafficanti e fanno anche affari in grande; vi assicuro che vi sono čase rispettabili assai; fanno belle fortune. E quello che e singolare, vi fanno qualunque mestiere appena lo vo-gliate. — Ma si fissano poi nella provincia? — Yi diro; alcuni si; quelli che si sono dati ad ac-quistare terre, lo devono nccessariamente, o vi sono molte famiglie che si dicono istriane e che sono cargnelle. Ma i piu quando hanno raccolto abbastanza, se ne tornano a časa loro, e non ritornano cosi leggieri come sono partiti. — Ma le vostre citta che ne avete tante, non sommi-nistrano alla campagna artieri ed industrianti, come sa-rebbe naturale e vicendevolmente proficuo? Non ricorrete alle citta per le vostre necessita? — Se intendete di noi, noi non abbiamo bisogno di tante cose: la lana la tosiamo noi; il lino lo raccogliamo, lo tessiamo da per noi; da per noi facciamo le camicie, i calzoni, i giubboni; le oppanche se le facciamo noi. Non e che la cap izza e le asole che dobbiamo comprare. — Sicche quella gualdrappa che avete sulle spalle e fattura vostra? Non avete gualchiere? — Cioe, mia no; io fo altro mestiere, e vi ho detto che non so se sia o non sia morlacco. Gualchiere? cosa e sta roba?..... ah ah capisco, mi dicono che ce ne sia una nella valle dell'Arsa, ma io non vado da quelle parti. .Non e per noi fare certi mestieri; perche, vedete, sebbene siamo tutti fratelli fra Schiavoni, e tutti in con-fidenza, pure ci sono delle distinzioni; abbiamo anche noi i nostri servi e le nostre serve, e vi sono certi momenti nei quali la vita patriarcale esige delle differenze. Per esempio..... — Lo so, lo so; ma voi vi tenete per servo o per padrone? — Padrone, s'intende; se ho perso tutto quello che aveva non importa, sono sempre quello stesso; e poi se presto servigi, li presto quando ed a chi mi pare e piace. — E i latini, come voi li chiamate, non si danno alle arti ed ai mestieri? — In verita vi direi bugia, se volessi proprio raccon-tarvi come la e. Veramente non sono stato mai assor-dato da romore di spole nelle citta che frequento; io čredo che tutto comprino fuori, o facciano venire da di fuori, o quasi tutto, e che poca differenza vi sia tra citta e campagna; meno che nelle citta trovate qualche botte-ga. Ma non so poi se sieno tutti istriani, o per lo piu forestieri; i caffettieri so che sono tutti foresti, non so poi da dove. — Non avete il proverbio — impara un' arte e mettila da parte? — Non 1' ho mai inteso; noi siamo poveri e povero il povero. — Cio che mi dite non e efFetto ma causa della po-verta. Ma io ho veduto nell' Istria che non e dappertutto cosi; non c' e nessuno che dia mano ad attivare industrie borghesi? — Volete dire Capodistria, Pirano.....ma quelli sono altri paesi. Oualcuno che dia mano? Oh questa e bel-la! chi volete che ci pensi? Non dice il proverbio: Ognuno pensi per se e Dio per tutti. Oh bella! chi volete che ci pensi ? I Signori hanno da far da Signori, e quelli stanno la basso: quando vogliono qualcosa vanno a Venezia o Trieste; i poveri sono poveri, e resteranno sempre poveri; i Cargnelli.....ma noi non siamo Cargnelli e non possiamo fare quello che essi fanno. Cosi chiacchierando giunsimo alla strada postale, e proprio al crocicchio trovammo persona che, piegata, stava assettando la sella di un cavallo e non poteva venir-ne a capo; la cinghia s' era rotta ed egli sforzavasi di rappezzarla con un pezzo di spago che era troppo breve. Nel passare la mia guida lo saluto. — Quell' uomo non fara nulla con quel pezzetto di spago; dagli questo cordone ed aiutalo, che altrimenti avra ancora da camminare prima di poter provvedersi.— Io attesi frattanto, e compiuta 1' operazione, e montato su quel ronzino, si avvicino a me e con cortesi parole mi ringrazio, e mi disse — II vostro servitore mi annuncio che siete diretto per abbasso; se non vi e discaro, ambirei 1' onore di tenervi compagnia e di diminuirvi la noia del cammino. Vengo da Trieste ove ho dovuto andare per una lite (e lo disse con cert' aria quasi di importanza); or ritorno a časa mia (e m' indico il luogo). — Mi fate il piacere; pero vi avverto che quell' uomo non e mio servitore, ne mio servo, e soltanto mia guida, o come altro lo chiamate.... — Pedone, pedone; io me 1'era immaginata subito che fosse cosi, ma non mi fidai a dirlo; quando si viaggia pel mondo, si trova tanta gente che qualehe volta si si inganna. Io veramente ho un certo presentimento che mai m' inganna; eh! non sono nato ieri, e ne ho vedute. Ouesto sollecito parlare d' un uomo che mi vedeva per la prima volta non mi dispiacque, e ne trassi prelu-dio di piaeevole compagnia. Usava certa urbanita che si mostrava tosto per presa ad imprestito, ma che pure era gradita. Stava osservandolo perche in verita la cavalcatura ed il cavaliere avevano non so che di grottesco. Era desso scarmo della persona e di figura mediocre, aveva fisonomia regolare, e che deve essere stata bella in gio-ventu, occhi brillanti, colorito abbronzato, ma nelbianco deli' occhio apparivano certe iniettature e sotto la pelle certo colore che conosceva per indizi certi che quell' uomo era stato attaccato piu volte dalla febbre. Era vestito decentemente, raa senza arte alcuna, ed i vestiti si vedevano tagliati sul suo dosso ma da per-sona inesperta. Aveva calzoni neri di brunell, le estre-mita erano rivoltate in su per modo che mezza tibia era coperta dai soli stivali, teneva le falde della niar-sina con una mano ripiegate sulla pancia affinche non avessero a toccare il cavallo. Ai talloni aveva attaccati speroni, ruggini e di forma si antica che li avresti detti dei tempi veneti, e non erano punto adatti ai suoi stivali. Mi parve che 1' allacciatuva di uno fosse rappezzata con dello spago. II cavallo era piccolo, pieno di brio, pero mal educato anzi viziato, scomposto il pelo, irta la criniera. La sella abbastanza sdruscita poggiava su d'un pezzo di panno che una volta dovrebbe essere stato verde; dietro la sella stavano assicurale a due anelli ap-positamente preparati, due bisaccie di griso che sbatte-vano sulle costole di quel povero cavallo; ed erano ri-piene di varie cose a giudicarne dalle protuberanze. Da una di queste bisaccie sporgeva F estremita di un pezzo di corame. Sopra le bisaccie era assicurato un ombrello con due spaghi, dei quali mi sovvengo molto bene che uno era bianco 1' altro rosso. II cavaliere stava scom-postamente ed annunciava di non avere mai avutascuola di equitazione ne di avervi spontaneamente atteso; stava sbadatamente, ma come uomo che aveva corso molto con cavalli. Per quella concordanza di pensieri che e spesso inesplicabile, mentre io alla sfuggita e senza che ei se ne avvedesse considerava la cavalcatura, sciolse la lin-gua sul mio cavallo. — Non e da fatica quel vostro cavallo, e non sarebbe pei nostri paesi; non ha un bel gettare di gambe, e la coda non e ben collocata. Parve a me che volesse darsi aria di superiorita, e tuono da pratica delle cose di questo mondo; ne cio volli tollerare. — Converro con voi quando avro veduto i vostri cavalli da sella nelle citta: dal vostro discorso dovrebbe dedursi che ne abbiate di superbi e di ineccepibili, se trovate di censurare nel mio cio che ancora non ho udi-to censurare da alcuno. Sono veramente curioso di ve-derli. — Oh ! non vedra niente di buono; cosa vuol vedere in questi paesi ? siamo fuori del mondo; c' e qualcosa per verita, ma sono cosi..... relativamente ..... nel loro piccolo — questi si resistenti alla fatica e pieni di brio, e cio viene dalle erbe aromatiche che abbiamo ec-cellenti; non sono cavalli di apparenza.... — Eppure guardando quel vostro ronzino non giudi-cherei che abbiate gran passione pei cavalli; forse sua madre non era di cattiva razza, ma scommetto che voi non sapete chi sia suo padre, perche la cavalla vi e tornata a časa dal pascolo vago, senza che nemmeno vi siate accorto.....Quel cavallo li non ha mai mangiato fieno dalla grippia, e se volete ve ne daro la prova al prirno luogo che arriviamo; quel cavallo li e vissuto nei bo-schi e nei pascoli comunali, ed ancora adesso lo cac- ciate a procurarsi da vivere se ne trova. Guardate come nei piedi davanti porta i segni dei legacci con cui alla pastura gli legate le gambe acciocche non possa correre troppo lontano; io scommetto che non e stato mai stregghiato ne ha mai veduto avena. Quel cavallo li, ha portato le some assai prima che fosse capace di portare pesi, e le porta tuttora; quel cavallo ha udito pili bestemmie ed imprecazioni e pigliato piu pedate che avuto carezze. Quel cavallo e inselvatichito, e maltrattato; se gli levate la sella, vedrete che piaga ha, me ne accorgo dallo scuo-tere che fa talvolta della pelle. — Vedete che se voi avete osservato qualcosa sul mio cavallo, ancor io ho avuto occasione di farne sul vostro, comunque per cose alquanto diverse. — Ma vuol inettere, dalle loro parti e tutt' altro che da noi; se anche si volesse qui, non si potrebbe farlo. — Voglio crederlo, ma vi assicuro che da noi i cavalli non vanno a pigliare il fieno, ne ad attingere 1' acqua dal pozzo, ne si stregghiano vicendevolmente, ne vanno soli a caricarsi. Pei boschi andrebbero soli se li lascias-simo, ma solo finche siano giovani. — II sigtiore e certamente ungherese? — No, sono greco. — L'ho pensato appena vi ho veduto, non si puo fal-lare, lo si ravvisa dalla faccia. — Vi pare, si ? Ma voi mi dicevate d' una lite; vi com-piango, travagli non mancano a questo mondo. — Cosa volete. E veramente una sopraffazione che mi si fa. Un mio compare di S. Giovanni che sta a Trie-ste, m' ha prestato una piccola somma, inezie, ed io gli ho fatto 1' obbligo, in tutta regola per mano di avvocato, e tutto fu. registrato alle notifiche. Io sono galantuomo, non nego il debito, quello che e giusto e giusto, ed ognuno ha un'anima da salvare. Ebbene lo credereste? Ouest' uomo mi scrisse delle lettere, che io non ho avuto tempo di rispondere, perche si hanno tante cose per la testa, ma gli aveva mandato dire a voce dal padrone di barca che e mio compare che pazientasse, quando esso mi impeti. — Io trovo naturale che se voi gli siete clebitore e se non lo pagate, vi abbia chiamato in tribunale. — Non e per la vile moneta, ma per 1' azione che e indegna. Egli aveva la carta, era notificato, io non gli negava il debito, cosa poteva pretendere di piu? — Io penso che egli volesse il danaro. Ma oggidi gli negate il debito? — Čredo! il debito e la firma: dacche siamo perlevie della giustizia deve essere anche fatta piena giustizia, e la legge dice chiaro, actori incumbit proba/io, egli deve provare tutto. Ma avra un bel che fare. La lite pe^ide da due anni e non siamo ancora alla risposta. II giorno stesso della prima udienza feci tenere una procura ad un avvocato, fatta in tutte le forme, e con tutte le le-galizzazioni Podesta, Commissario; scongiurandolo che non mi lasciasse cadere in contumacia; e 1'avvocato ac-cetto la procura. (E qui fece un segno assai ridicolo, ponendo 1' indice teso della mano diritta verso 1' occhio socchiudendolo). Ma in verita e una disgrazia aver da fare cogli avvocati; quest' uomo comincid a chie-dere istruzioni ed anticipazioni per le spese in lettere successive. Diceva di essere pressato dal tribunale, e minacciava di rinunciare il patrocinio. Potete ben cre-dere che io non diedi retta a quelle lettere; che istru-zionil perche ha studiato? che faccia il suo dovere; se ho da dargli istruzioni faro io 1' avvocato. Questo con-tegno mi pose naturalmente in sospetto, e come potete ben credere anticipazioni non gliene mandai. Che so io cosa meditasse quell'uoino! ma io sono furbo, e non me la fanno. Quell' uomo rinuncid il patrocinio e 1' altrieri appunto era Ia giornata destinata; il mio avversario cre-deva di farmela; ma ci vuol altro, perche furbo lui, ma furbo ancor io. Io venni munito di un certificato che mia moglie era di parto,.... la legge dice che il ma-rito non deve abbandonare la moglie.... e cio s'in-tende tanto piu quando e di parto. — E come ve la siete spicciata col vostro avvocato? — Eh, egli pretendeva di essere pagato di certe spese, di certi bolli, e delle sue fatiche... Ma chi sa se ha avuto queste spese.... e poi quella sua e una desertio ma-litiosa. Oh oh — abbiamo ancora a verlere. Se ha qual-che pretesa che mi impetisca; i Tribunali sono pagati per questo. Che so io! Puo essere stato d' accordo col mio avversario — non so niente, — che mi impetisca, e vedra che presidiale che gli faccio, perche se le cose giu-ste mi piaccion6, mi piacciono anche le cose chiare. (Sara continualo.) Al Signor TTomaso huciani in ALBOISA. Le piu grandi verita sono le piu contraslate. Zanon - Am. del Cont. An. III n. 45, Varieta. (Cont. e fine. Vedi il N. antec.) Ottenuta la comunicazione dei fascicoli deli 'Amico del Contadino lessi nell' Anno VI. N. 6. Agricoltura. Congresso Centrale di Agricoltura in Francia molte cose in generale ed in particolare adattate anche ai časi nostri, le quali andai annotando a comun beneficio e lume, e tra queste che " II Congresso si occupo prima di tutto del miglio-„ ramento delle razze bovine, cavalline e pecorine „. a ... Intimamente conviene il Congresso che il „ principal mezzo di prevenire il ritorno della scarsezza „ delle sussistenze e di migliorare nel modo il piu effi-„ cace la condizione delle classi agricole, consiste; „ Nell' assicurare aH' agricoltura la giusta influenza „ che le si appartiene, e un maggiore concorso di ca-„ pitali, d' intelligenza e di lavoro, senza di cui non si „ potrebbe pretendere di aumentare la produzione; „ Nel creare una gran massa di foraggi, che pro-„ ducendo la moltiplicazione del bestiame, accresce le „ sussitenze alimentari le piA ricche, aumenta la qualita „ degli ingrassi, e procura in tal modo il solo mezzo di „ ottenere delle raccolte di cereali piu abbondanti e di „ una coltivazione piu economica: „ Emette il voto: „ 1. Che P agricoltura pel ben essere generale sia „ provveduta d' una organizzazione e d' una rappresen-„ tanza analoga a quella delle altre industrie ed inrap-„ porto colla sua importanza. „ 2. Che un premio... sia dato in ogni cantone „ al coltivatore che avra dedicato alle colture di forag-„ gio P estensione di terra la piu considerevole propor-„ zionatamente ali'estensione del suo podere... „ „ 3. Che le societa d'agricoltura e i comizi si ado-„ perino per determinare i coltivatori a variare Ia loro „ coltura di piante alimentari, affinche il consumo trovi „ nella varieta dei prodotti una specie di assicurazione „ contro le intemperie delle stagioni. „ 4. Che i voti emessi nella sessione passata sulla „ preparazione, conservazione e il miglior impiego de-„ gl' ingrassi, come anche sulle garanzie contro la falsi-„ ficazione di quelli del commercio siano prontamente „ realizzati. „ 5. Che una inchiesta sia fatta ogni anno dai corpi „ agricoli sullo stato esatto dei prodotti della raccolta „ delle piante alimentari, onde illuminare il governo, i „ produttori, il commercio, e i consumatori sulle risorse „ destinate alle sussistenze „. Superbo andava del mio assunto appoggiato ad au-torita vecchie, e recenti proclamate da un illustre Gior-nale, non meno che sancite da Sovrane disposizioni; lieto percio e contento mi stava, tanto piu che niun forestiero o comprovinciale oppositore sentiva insorgere; ,i,nsioso sperava di udire che la questione avesse presa l' ini-■ziativa presso (/ualche Consiglio Municipale dei piu in-telligenti e desiderosi del comun bene, pel meglio della farna e della condizione d' Istria noslra. Proseguendo pero la mia lettura del non mai ab-bastanza lodato Amico del Contadino a deprimere la mia superbia, a minorare la mia contentezza, ad allontanare la mia speranza, vidi nel N. 14. Economia pubblica. Considerazioni sulV An- nona. Ciocche neppur sognava di ritrovare in quell' ar-gomento, a cagione anche che il pregevole testo nep-pure ne dava indizio. Rispetto 1' opinione del chiarissimo Sig. Pacifico Valussi, che non sono da tanto di contra oppormi, e la-scio che la questione sia discussa dai Consigli Munici-pali suaccennati adattando i provvedimenti alla situa-zione di ciascun luogo. Resto colla soddisfazione di avere acceso a van-taggio della patria comune una piccola fiaccola, non di discordia, ma di lume nel buio in cui reputo che ci tro-viamo avvolti, e di potermele protestare con pienezza di sentimento. Dignano 24 Settembre 1847. Affetluosissimo Amieo Gio. Andrea della Zonca.