ANNO XVIII. Capodistria, 16 Gennajo 1884. N. 2. ROVI DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione.— Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un nuiìiero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. 1 La seguente corrispondenza di un nostro onor. comprovinciale, tratta di una questione d'interesse più che locale. La raccomandiamo quindi vivamente per la più sollecita e vantaggiosa soluzione, e pel decoro del nostro paese, alla spett. direzione della società politica. Del fVIuseo d'antichità in Pola Vola, 8 Gennaio 1884 Pola, relativamente alla sua estensione e popolazione, è una delle più ricche di monumenti antichi. Qui, ripeteremo col Cantù, ogni colpo di marra rivela qualcosa d'antico : e Pola è spacialmente ricca di iscrizioni romane, delle quali di continuo ne vengono in luce ; e la maggior parte ripara nel Tempio d'Augusto, che serve da Museo. Visitai l'interno di questo Tempio, che raccoglie molti avanzi di antichità ; ma sono rimasto poco edificato del modo come essi vengono custoditi e conservati, in ispecie molte iscrizioni di somma importanza, veri documenti storici. Vidi p. e. la famosa iscrizione sepolcrale di Raspa-ragano re dei Rossolani, (morto e sepolto in questo scoglio degli Olivi) affatto guasta, e resa pressoché illegibile : è ridotta in minuti pezzi, sparsi qua e là, e molti mancanti ; sicché, credo, a stento si potrebbe ripararla, ricostituirla. Così ho notato che preziosi avanzi antichi giacciono negletti, quali entro la cinta o balaustra dell' Anfiteatro, quali nell' orto vescovile, quali nel cortile della Chiesa della B. V. della Misericordia, e così via, mentre tutti dovrebbero venir custoditi nel Museo ; perchè altrimenti corrono il rischio di andar col tempo perduti, senza dire che si sottraggono alle osservazioni ed agli studi degli amatori di cose patrie. Il Tempio d' Augusto non s' adatta all' uso di Museo, mancandoci e spazio e luce. D'altro canto il secolo dei cannoni e d'altre miserie non permette la costruzione di apposito edifizio. Bisogna perciò contentarsi d' una via di mezzo. Nel Tempio d' Augusto si potrebbe trovare e spazio e luce, meglio che non è ora, cioè dividere lo stesso in un secondo piano, e praticarvi delle semplici aperture a guisa di finestre. Quindi converrebbe far riparare alcune iscrizioni, ordinarle e numerarle, componendo anche un catalogo a stampa delle stesse. Insomma disporre nel miglior modo possibile nel Museo quanto è raccolto e si raccoglie di antico nell' agro polese. Non bisogna attendere tutto dal Governo. La città, la provincia, sono tenute di aver cura da sè delle proprie memorie, come avviene iu altri paesi a noi vicini. Un po' di affetto, un po' di culto al passato, e a un glorioso passato, è dovere di ogni colto e buon cittadino, che non occorre sia perciò un archeologo. Forse i molti egoisti non possono comprendere la santità e la dolcezza delle patrie memorie : forse la scarsa e incompleta educazione non sa concepire amore ad una povera pietra, chè talvolta parla al cuore ed alla mente meglio d'un libro!... Sergio ASSOCIAZIONE MEDICA Fino dall' anno 1861, alla prima ed unica sessione della prima dieta provinciale fu prodotta una mozione, che mirava ad accelerare 1' organizzazione sanitaria nell'Istria. Il nostro periodico ne ha pure mostrata la somma urgenza nell' anno 1868, secondo di sua esistenza. Oggi poi sembra voglia attecchire tra noi un' associazione medica, la quale tra gli altri scopi avrà quello anche di organizzare il servizio sanitario. Ma il programma di detta associazione è ben più esteso e più corrispondente ai bisogni annientati della nostra provincia ; perchè esso tende ancora allo studio delle scienze mediche, al miglioramento delle condizioni igieniche ne' luoghi infetti dalla malaria, alla tutela del ceto medico col promuoverne le condizioni morali e materiali, allo studio di formare un fondo pensioni ; studio e tutela che vennero già proposte per la prima volta in Istria dal compianto Dottor Belli in un suo articolo pubblicato dalla ^Provincia" col titolo Società di mutuo soccorso pei medici e chirurghi della provincia. Un diploma d' onore Nel meriggio di domenica 6 corr. la sezione femminile della Società operaia triestina festeggiava compiuto il decimo anno di sua laboriosa esistenza. Le gallerie e le gradinate dei Politeama erano fitte fitte di popolo ; così pure la platea, le poltroncine e gli scanni. Nei palchi le rappresentanze, la stampa e moltissimi invitati; tra cui le deputazioni della nostra provincia. Alle 12 e 20 la banda musicale dell' Unione Ginnastica, seguita dalle bandiere delle varie corporazioni, entrava nel vasto recinto, e il presidente signor Edgardo Rascovich con applaudite parole porgeva alla segretaria della società, il diploma d' onore, scritto da Attilio Hortis in quella forma chiara concisa elegante che è propria del suo ingegno, e che è sintesi della festa popolare così seria, così unanime, così bene riuscita. Ecco il testo del diploma : LA SOCIETÀ OPERAJA TRIESTINA ALLA SEZIONE FEMMINILE Nel giorno solenne, che a visibile segno dell' affetto fraterno e di concordi propositi, voi, donne del popolo, onorate la comune bandiera del motto vostro : Onestà e Lavoro ; donna gentile che vi rappresentava proclamò che in quelle parole stava il codice dei vostri doveri, il diploma della vostra nobiltà. Allora eravate unite pur da un anno, oggi 1' union vostra conta due lustri, e voi già avete una storia, modesta sì, ma più gloriosa di quelle che s'intessono delle angoscie degli oppressi e de' soprusi degli oppressori, — tutta intesa al bene della classe meno privilegiata e più numerosa. A voi, donne del popolo, che mentre attendete amorose ai famigliari offici, cooperate col lavoro a dare il pane a' nostri figli ; a voi, più che ad altri, s' apparteneva di far tesoro delle istituzioni di accomunata saviezza e previdenza anche a prò' del sesso muliebre. Uno per tutti, tutti per uno, la nostra impresa è fatta anche vostra, ed ora ne cogliete lode meritata e ricompensa giustissima. I tenui tributi che, senza scapito della domestica parsimonia, poneste in comune, alleviarono tante miserie, consolarono tanti infelici dei vostri, che sarebbe stato impossibile coi risparmi dei singoli, ed hanno già formato un ceppo considerevole per i bisogni futuri, con trionfale smentita e proprio danno di chi vi derideva o astieggiava. Dagli adempiuti doveri ora viene a voi il diploma della nobiltà vera, fondata nella onestà, nel lavoro e nel beneficio fatto all' umanità. Perseverate, donne gentili, e la vostra concordia recherà frutti ancor maggiori; stringete fiduciose la mano che vi stendiamo noi operai, che nell' amore e nell' onestà vostra abbiamo premio alle durate, conforto alle nuove fatiche, noi operai, che iu voi riponiamo le più care speranze per la educazione dei nostri figliuoli, a' quali poco giova la parola paterna ove dal materno labbro non abbiano incitamento a' savi e generosi propositi. Bene meritaste voi, donne del popolo, della comune utilità della classe operaja ; perseverate e crescerete onore alla patria. Trieste, addì VI gennaio MDCCCLXXXIV (Attilio Hortis scrisse) 3Per i&rLirlsi Onorevole Redazione della „Provinciau Racconta il Manzoni di quei due accademici, che disputando di entelechia, menavano la questione all' infinito, perchè ognuno non faceva che ripetere i medesimi argomenti. Perchè anche la questione del è o non è Istria non diventi accademica, con molta noja del lettore, ci metto anche io la mia brava pietra, e giuro di non aprir più bocca. Permetta però questa onorevole Redazione ancor due parole. L'amico A. B. non sapeva dove io abbia trovato che oggi come oggi la liburnica Lovrana sia riconosciuta come un' appendice dell' Istria. Senza la pretesa di mandarlo a studiare, citai semplicemente un passo del nostro Franceschi. Controsserva 1' amico che il De Franceschi fa la storia e non la geografia. Anche io, rispondo ho fatto la storia e non la geografia, annoverando tra i nostri artisti Luciano di Lovrana, ed ho anzi in proposito citato l'esempio di Garibaldi. Sì nostro, due volte nostro è Luciano, prima, perchè nato in terra allora aggiunta all' Istria, e poi quale nostro fratello ed italiano. 0 volete forse cederlo a quei di Zagabria ? Quanto all'ultimo argomento del rebus sic stan-tibus e dell' Istria in istile officiale che generosamente il sig. A. B. non vuol confutare, aggiungendo cho non se l'aspettava proprio da me, non so che cosa rispondere. Ammutolisco, divento rosso per la vergogna, mi batto in colpa, domando perdono a tutti gli esimi patriotti e a lui pure : Errare humanum est . . . Cioè, cioè, adagio Biagio, ci avrei ben io le mie ragioni, ma queste, caro amico non si dicono in pubblico, perchè io qui al sicuro sono diventato in certe occasioni bonino, prudente, temperante, un po', per non darmi l'aria di fare il gradasso, e di tirare sassi in colombaja, un po' anche per non dar brighe agli amici. Solo questo gli dirò, che io di quando in quando dò un' occhiata alla mia cara penisola istriana; che triestino, puro sangue, mi sento poi istriano, poi italiano, poi uomo nell' umanità come Beppe Giusti ; che oggi come oggi non ci capisco un' acca di tante divisioni e suddivisioni arcaiche della provincia ; che accetto Vunità attuale come un benefizio, che può essere fonte di altri benefizi ancora, specie se istituisco altri raffronti con altri studi, con altri disegni fatti largo largo, e con ben altri intendimenti da molte brave persone ; e che in faccia all' invadente petulanza dei signori d' oltre Quarnero io non giuoco una politica da calabrache, una geografia da cala-brache, una storia da calabrache ; ed aspetto dal tempo galantuomo una soluzione ai molti astrusi quesiti. Molte altre cose potrò io dire all' amico A. B. se vorrà una qualche volta fare un viag-getto fino a queste rive Abduane. E discorreremo allora dell'Istria con o senza appendici ; e sono sicuro che andremo intesi, suggellando la pace con. un buon bicchiere di vino ed un brindisi ali alma mater. Ho detto. ___ P. T. Archeologìa Gli scavi di Ossero Recentemente venne allargato il canale della Cavanella, antico Euripo di Ossero. Sopra una roccia, in fondo a questo canale, che divide l'isola di Lussino da quella di Cherso, venne trovata, una pietra lavorata, la quale, a quanto sembra, deve un tempo aver servito di lapide a qualche sepolcro. Su tale pietra è scolpita la seguente epigrafe, che i secoli e 1' onde marine resero di non facile lettura: M. AVREL'VS OPL1 F. ROESIA VESCLEVESIS F. SEPTUMA. V. F. S. E. S. La quale viene cosi spiegata da un eminente archeologo*) del vicino Regno : Marcus Aurelius Opli filius Roesia Yesclevesis fìlia Septuma vivi fecerimt sibi et suis. Anche questa volta, come sempre in simili casi, ognuno si è creduto in diritto di interpretare a modo proprio 1' epigrafe ; alcuni, ai quali conviene concedere qualche autorità in proposito, vogliono sostenere che la lapide sia stata fatta ai tempi di Marco Aurelio, e a confortare 1' o-pinione loro adducono il fatto, che in allora Ossero era soggetta all' Impero Romano. *) Devo alla cortesia dell' egregio Dr. Maver la spiegazione dell'epigrafe da lui avuta dal suindicato archeologo. A me però, con tutto il rispetto dovuto a tutti gli archeologi di questo mondo, sembra che la cosa abbia fatto molto più chiasso di quanto lo consentisse la poca o nessuna sua importanza storica ed archeologica; e se ci è voluto assai poco non nascesse una questione giuridica per la proprietà della lapide in parola, io credo, si debba ascriverlo alla naturale e spontanea curiosità che nasce in ogni onesto profano alla lettura dell' epigrafe e conseguentemente alla di lui ferma certezza di possedere con la lapide un raro soggetto d' antichità e da custodirsi gelosamente. Ma per comprendere ancor meglio la ragione per cui si attribuisca grande importanza a qualunque oggetto venga trovato, tanto lungo le sponde del mare circostante, quanto nell' antica necropoli osserina, conviene badare alla favola . ed ai miti in cui si perdono le origini di Ossero, e alla leggenda e tradizione che si mantengono vive ancora nella coscienza di quegli abitanti. Astraendo però dai pregiudizi popolari, ciò che veramente è di molta importanza tanto archeologica quanto storica, sono gli oggetti di antichità, come medaglie e monete antichissime, immagini, urne sepolcrali ed altre rare opere d'arte, che vennero trovate negli escavi effettuati durante gli ultimi anni là ove si ha la certezza esistesse un tempo 1' antica necropoli della vetusta Ossero. Io ritengo che gioverebbe assai all'indagine storica delle origini di Ossero un attento esame ed uno studio profondo della stupenda collezione di oggetti di antichità, fatta durante la sua dimora 111 Ossero, dal canonico di Veglia Don Quirino Bolmarcich, e che questi si è indebitamente ed illegalmente appropriata. Ad ogni modo è certo, che i documenti storici, che qua e là si possono rinvenire, porterebbero un po' di luce sulle cause che, oltre alle barbariche incursioni, ebbero attraverso i secoli tanta parte nella decadenza della città su nominata. Ed anche tuttodì si rinvengono a poca profondità nel suolo monete d' oro coniate durante la repubblica Romana ed altre che attestano il dominio bizantino e di più antiche ancora. Ma tutti questi oggetti fanno, non appena, trovati, il volo per regioni, ove fortunatamente si pensa meglio che da noi. La storia di Ossero presenta molte lacune, molti punti oscuri ed altri controversi; poco o nulla havvi di positivamente stabilito, e gli illustratori di questa storia, dovettero, in mancanza di documenti storici, procedere nella maggior parte a tastoni o senza nessun sicuro fondamento, servendosi conseguentemente nelle loro conghiet-ture di quanto scrissero gli antichi poeti e prosatori greci sulle gesta di Giasone e sulla tragica fine dell' infelice Absyrto. Ma la Giunta provinciale ed il Comune di Ossero dovrebbero pur una volta'pensare ed agire seriamente in proposito. I documenti storici e le antichità in generale vengono nei paesi civili gelosamente conservati, mentre se a noi salta in mente di sapere qualcosa della nostra storia, ci fa d' uopo ricorrere ai musei pubblici o privati di altri paesi. Ciò dimostra, bisogna pur dirlo, anche una volta la nostra assoluta noncuranza in proposito, ed è anche una vergogna. E non sarebbe male davvero, se i giovani istriani, in mezzo alla grande poesia degli eccelsi ideali, si lasciassero qualche volta vincere dalla fregola degli utilissimi studii archeologici e di storia patria. York Al dottor Antonio Scampicchio Avvocato in Albona Cugino ed Amico carissimo. I calchi che mi hai mandato da ultimo, confermano pienamente e la prima tua comunicazione e il mio primo supposto. Le due iscrizioni antico - latine scoperte recentissimamente iu Albona vanno, senza alcun dubbio, lette così: N. 1. N. 2. /.CRONI VS fj/mfff IANO PATRI (RI in nesso) SILVAN V•S • ABVS Se i calchi riproducono esattamente anche i contorni delle due lapidi, la 1. è alta cent. 28, larga cent. 27 ; la 2. è alta cent. 29, larga cent. 28. — Della prima mi scrivi che è un dado, e sta bene ; della seconda mi resta a sapere se sia anch' essa un dado, o una tavola. — Parimenti ini piacerebbe sapere se sono marini o pietre, e se delle cave di Albona o d' altre località della provincia, note od ignote. E vorrei sapere infine (tu che le hai sott' occhio puoi dirlo), se sopra SILVAN", dove scorgo in principio una 0 e poi un taglio orizzontale — quanta è larga la pietra, se sieno veramente traccie di altre lettere, e se sotto la S di ABVS ci sia una B e in continuazione una L e una M ; chè il calco mi lascia incerto. Se fossero BLM leggerei B(otum) L(ibens) M(erito), e supplirei la formula rituale con una S (solvit). Botum per Votum, come BIXIT per VIXIT, — QVA-DR1BIS per QVADRIVIS. Sono scambi di lettere punto nuovi nelle lapidi antiche, derivati probabilmente dalla pronuncia popolare, vernacola dei quadratari (scalpellini) paesani. Comunque sia, è chiaro che sono due arette private, domestiche, la prima fatta per voto da Un tal Cronio al Padre Giano, dio maggiore, la seconda da ignoto od ignoti, alle Silvane, dee minori, minorum gentium. Il popolo (e i sacerdoti), attribuivano alle Silvanae, dette anche Sulevae e Suleviae, la protezione delle selve o boschi non solo, ma anche -dei campi o terreni coltivati delle greggi e di tutto il bestiame adetto all' agricoltura. Di questi dii, di queste dee minorum gentium 1' olimpo degli antichi romani era popolatissimo; nè è da meravigliarsene, se anche il cattolicismo ha popolato il suo paradiso di santi e beati che tutto giorno s' invocano per malattie e per bisogni speciali ; S. Lucia per il male d' occhi, S. Apolonia per il male di denti, S. Agata pel male delle mammelle ecc. Queste cose le ram- A Carlo Goldoni Le B«nne Gelose — commedia in tre atti, in prosa, di Curio Goldoni: versione, nel dialetto di Digitano d'Istria, fatta negli anni 1841-1848, dal nob. sig. Gio. Andrea Dalla Zonca di detta città, (u. 1792 m. 1857) sopra la seconda edizione fiorentina dell'anno 1755. presso gli Eredi Paperini. (Continuazione e fine. Vedi N. 1, 1 gen. a. c) mento qui per puro raffronto storico, attingendole a fatti di casa nostra, e precisamente alle notizie biografiche del famoso vescovo di Capodistria, Pietro Paolo Vergerio, raccolte e pubblicate dal canonico Pietro Stancovich nella Biografia degli uomini distinti delV Istria. Tom. I. „I1 mondo è vecchio e tal fu ognor suo modo." Lo disse con molta sapienza Vittorio Alfieri nelle sue satire. — Torniamo a bomba. Di Giano gemino, bifronte, quadrifronte, patulcio, clusio, ecc. di Giano, dio della pace, il cui tempio famoso chiudevasi tanto di raro, chè quel popolo grande aveva bisogno di combattere per espandersi ; di Giano nulla ti dico, perchè dio maggiore e notissimo, e perchè volendo tu sbizzarrirti troverai notizie e particolari a bizzeffe in Cicerone (De Nat. Deor.) in Ovidio (Fasti L. I), in Macrobio, in Varrone e in cento altri autori antichi e moderni. L' aretta poi ritrovata or' ora nel borgo di Albona non è nè la prima, nè la sola nell' agro albonese, chè ce n' è altra in Fianona, sulle mura della chiesa maggiore e del contiguo campanile, già registrata dal Kandler nelle Iscrizioni romane dell' Istria al X. 546 e dal Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum, voi. Ili al n. 3030. Poi ce ne sono in Dalmazia, nel Xorico e altrove. Vedi Mom. op. cit. voi. Ili n.i 2881, 2969, 3158, 5092 ecc. (Continua) Le Fimmene Gelùse — Comègia fatta la prèima volta a Vinezia in tal Carlavà d'all'anno meillesette-zaènto zeiuquàutadùi. Sièna Segoiula Siura Oùleia e Siura Tuneina. Oùl. La sappio, Siura Tunèina, ch'i son òuna fimmena eh'a no favella mal de neinsòun, ch'i no intàendi da prijoudeicà qui Ila crijatòura ne poco ne truppo. Noma i glie contare quii eli'a me zi nato a mei. La sappio Siura; ma no la deiga guarnite, la sà? Turi. Oh no la se pagourèja. Oìd. La cugnùsso mi marei? La sà, che omo eh'al zi? Tun. A la fi s'i lo cugnussi ! 0 eh' a se dèis Siur Boldo oridese a no se và piòun anànzi. Oùl. La indivèiua mò! sei anca bomè, che la cara Siura Laugrèzia, la me lo viva fatto zù. Tun. Eh vèija! Oùl. Sei da quilla ch'io soin; eh'ziva tri, o cattro volte alla settemàna, e infeiuamàento dui volte al dèi. Le done Gelose — Comedia fata la prima volta a Venezia nel Carneval del ano milesetecento e cinquantadò. Scena Seconda Siora Giulia e siora Tonina. Giù. La sapia, siora Tonina, che mi son una dona, che no dise mal de nissun, che non intendo pregiudicar quela creatura nè poco, nè assae. Glie con tarò solamente quel che me xe sucesso a mi. La sapia, siora, ma no la diga gueute, sala. . . Ton. Oh uo la se indubita. Giù. Cognossela mio mario? Sala che omo che el xe? Tun. Caspita, ') se lo cognosso! Co se dise sior Boldo orese, no se va più avanti. Giù. La indovina ino: ino si anca per diana, che la cara siora Lugiezia la me 1' aveva fato zoso. 2) Ton. Eh via! Giù. Si, da quela che son, che ghe andava tre o quatro volte a la setimana, e fina do volte al zorno. Tun. A chi fà? Oùl. Indi'véinela tei grèillo ch'io te fare bijàto! Par cosa de sta spurchìzza, la sà Siura Tuuèiua, me marèi zi rei va ... a dame ouna sleppa. Tun. Oh chi che la mi cónta ! Oùl. Sei. canto ch'i ghe voi bàeti, che la zi a cous-sèijo. Oì no ghe dèighi altro, eh' ì volivi fà de-svòizeijo Tun. E comò la l'è gioustàda? Oùl. A zi »ta ouu me Couipàre eh' a so ciolto la paèna da gioustàla ; ma se i sè ch'ai tuina, pòvara gila. Tun. Oul. Tun. Oùl. Tun. Oùl. Ton. Oùl. Ma Siur Baldo no par omo de ste cosse. Eh cara Siura! Le giò aito chi stèije, ch'ino sè gnaèute, le li fà càgì. La sa. Siura Oùleia, che la me maètto in suspètto anca de me marèi? Oh la zi bàen bòna Siura da lassàlo zèi. , lu virità, eh' i vàerzi i òucci. La farò bàen la farò da donna; parchi la saènta Siura Tunèina. So marèi zi piòun zuveuo d' al ine, ma zàerte feigòure, no le se cuntaènta mèinga de la cunversaz òii, le voi eh' i spaèuda i orni, le voi eh' i spaènda. E me marèi zi de quii, che li gatta vi culla pala. Siura Tunèina, quii chi giè dèitto, i l'è dèitto parchè i ghe soin amèiga; dal resto, mèi bendi ai fatti megi, i no ghe impaènsi de neinsòuu, e dalla me bucca no la saeutèirò a dei mal de ueinsòun. Ton. A cossa far? Giù. Indovinela ti grilo ! Per causa de sta sporca, sala, siora Tonina, mio mario el xe arivà ... a darme ima slepa.3) Ton. Oh cossa che la me conta! Giù. Sì, se ghe vogio ben, che la xe cussi. Oe, no ghe digo altro, che voleva far devorzio. Ton. Come 1' àia giustada? Giù. Ghe xe sta un mio compare, che sa tiolto 1' assunto 4) de giustarla, e 1'avemo giustada ; ma se so che el ghe torna, povareta eia. Ton. Ma sior Boldo no par omo de ste cosse. Giù. Eh, cara siora! Le ga un'arte custie, che no so gnente, le li fa cascar. Ton. Sala, siora Giulia, che la me mete in sospetu anca de mio mario? Giù. Oh la xe pur bona, siora, a lassarlo andar. Ton. In verità, che vogio averzer ") i ochi. Giù. La farà ben, la farà da dona, perchè, la senta, siora Tonina; so mario xe zovene più del mio: ma certe fegure no le se contenta miga de le couversazion, le voi che i spenda i omeni, le voi che i spenda. Ton. E mio mario xe de quei che li buta via co la pala Giù. Siora Tonina, quel che go dito, 1' ho dito perchè ghe son amiga; del resto, mi tendo ai fati mi, no ghe penso de nissuu, e dala mie boca no la sentirà a dir mal de uissuu. Capperi ! '-) Sedotto. 3) Guanciata. 4) Impegno. r) Costoro. Aprire. Avvertimento I Dignanesi hanno accento spiccato, gagliardo : — le consonanti le pronunciano forti, talvolta aspre in modo da giustificare dopo seicento anni il crudeliter accentuando notato da Dante nel Vidgari Eloquio: — ìe vocali le emettono aperte, larghe, prolungate. — a e-o in bocca dei Dignanesi hanno suono composto : — Va esce iu e, — l'è iu i.--l'o iu u. Perciò 1' autore giustamente le convertì in tre dittonghi ae - ei - ou. La lineetta o accento da destra a sinistra serve a fissare su quale delle due vocali accoppiate debba poggiare maggiormente la voce. D. lle consonanti, la C dinanzi l'i seguita da altra vocale si pronuncia come nell'italiano; quindi in Cia-ritta, ciolto e simili tiene il suono che iu italiano ha ciabatta, ciambella, ciompo, ciondolo. La S ha due suoni : aspro come nell' italiano spirito, sospetto, sospensione e dolce come nell'italiano accusa, rosa, svenato. La Z ha pure due suoni: — aspro come nell'ita-liauo carezza, prezzo, zio ; — dolce come nell' italiano zanzara, zelo. L' accento - vale ad indicare suono forte ; sulle vocali posa prolungamento. jjT o tizi e È morto a Napoli, l'ex ministro Francesco De Sanctis, riverito dai contemporanei quale filosofo sereno della letteratura e artista possente della critica. I funerali sono riusciti splendidissimi. Si ritiene che vi assistessero oltre centomila persone. Il segno indica suono dolce. La Z aspra è stata sempre segnata coli' accento s la dolce col segno. La S aspra all' incontro non è stata sempre segnata con 1' accento perchè in moltissimi casi la corrispondente pronuncia italiana serve di norma sicura; p. e. iu Siura la s va pronuciata come iu Signora, iu saèmpro come iu sempre, in sei come iu sì, in so co-coine in sua ecc. La S dolce, sulla quale avrebbe talvolta potuto nascere dubbio, è stata segnata sempre col ». Questi non sono i segni grafici adottati, dall' illustre Ascoli e dai più dotti, nella trascrizione delle paliate neolatine e dialettali italiane, ma nou pratico del metodo nuovo, non mi sono azzardato di allontanarmi dal metodo vecchio dell' autore ; metodo che nel caso speciale ha, panni, quasto di buono, che il breve saggio potrà essere letto non solo dai dotti, ma anche dai uon dotti e dal popolo. Di fatti con queste poche avvertenze, anche chi non ha mai udito l'accento vivo dei Diguauesi, potrà formarsene uu sufficiente concetto e riprodurlo facilmente da se. T. L. Da notizie telegrafiche ricevute, arriviamo appena in tempo di pubblicare che la società politica fu inaugurata in Pisino il giorno 14 coir, con esito felicissimo, presenti 125 soci. Furono eletti ad unanimità a presidente 1' onor. avv. Francesco Costantini ; a vicepresidenti gli onor. avv. Adamo Mrak, avv. Paolo Ghira ; a membri della presidenza gli onor. D.r Giuseppe Bubba, Giovanni D.r Cleva, Lodovico Covaz, D.r Felice Glezer, marchese Giuseppe Gravisi, Francesco Sbisà, e D.r Silvestro Venier. Furono modificati gli articoli 2 e 12 dello statuto. Da molte voci della provincia viene manifestato il desiderio che l'ottimo periodico V Istria sia pubblicato due volte per settimana. Nel recare questa notizia, associamo anche i nostri voti per la più frequente ed ampia diffusione del nostro confratello. Il giorno IO p. p. è uscito a Capodistria coi tipi di C. Priora un periodico di quindicina, intitolato «Patria*, e diretto dall'onor. Avvocato P. A. Gambiui. Porgiamo al nuovo confratello i saluti d' uso. Appunti bibliografici Il Nipote del Vesta Verde. Strenna popolare. Anno I. Serie II. Milano. Francesco Vallardi. Vale centesimi 50. Alleluja! Il nipote è risorto! Eccolo qui col colore della speranza, coi monumenti di Roma, e con un motto famoso : Ci siamo, ci resteremo. Apro il libro, altre incisioni : il benedetto simbolo dell' Italia, la lupa tradizionale, uua carta stesa, la croce di Savoja, un sole raggiante, e una nave pronta a salpare. Salpa salpa, spiega al vento, Randa, flocco e scopa mar; E sereno il firmamento, L' onda invita a veleggiar. *) E il vento spira soave da ponente, increspa e fa tremolar la marina ; mille cirri vaganti s'imporporano a ogni levata e ad ogni tramonto di sole, ad augurio di giorni più sereni al credulo colono: la nave va va, e fila non so quanti nodi all' ora; e già la ciurma vede in fondo in fondo designarsi bruna la linea dei monti e domanda : che terra è quella? Terra di Bengodi, fratello, dove ci sono le pietre che hanno virtù, come nel Mugnoue, e tra queste l'elitropia, pietra nera, tale e quale quella di Calandrino che quaudo uno 1! ha in tasca non può essere veduto dove non è; ed anche si fa attrarre dal dolce suono della lira ; solo che, quando il sonatore è inesperto, la gli casca proprio sul capo, e schiaccialo tutto. Seguono i nomi degli autori, nomi da baldacchino. Sopra a tutti il babbo: C. Correnti. E poi I. Gentile, Tulio Massarani, il nome del quale è un programma d' estetica, T. Vignoli, C. Reale, E. Fano. Vengono quindi due poeti coi fiocchi A. Aruaboldi, C. Baravalle, che è poi quel tal Anastasio Buonsenso che tutti conosciamo da un pezzo. Seguono : P. Porro, P. *) Dall' Ongaro. Rotondi ; e un altro poeta e romanziere di giunta, Giulio Carcano. Continua la litania : L. Corio, G. Weiss, G. Sacchi (il Nestore degli educatori), G. Negri, Pozzolini, Siciliani, L. Chirtani, R. Barbiera Silenzio, e stiamo a sentirli. Il direttore con la voce di basso profondo, con la faccia scura, abbottonato, chiuso come una sfinge, comincia : — Ci siamo. Pomifero, frugifero, vinifero quanto volete, ma 1' Ottobre è proprio, come dicono i Calabresi, capo d'inverno. — E via, col solito stile arruffato, con le rapide svolte, con l'accennare a destra e voltare a sinistra. E quel saltare in mezzo di botto, e quell'uscita profetica: Ci siamo? Sapevamcelo, dirà taluno che ha il capo a grilli, e non intende il perchè delle cose. A me invece e a tanti altri quel sicuro, prepotente: Ci tiamo, suona come una musica dolcissima all'orecchio; sono due parole, due sole parole, pure me le sento stereotipate nel cervello. Ed è come se si dicesse : Ille ego qui ... ai tempi passati filava come voleva il padrone, e poi annaspava e dipanava sull' aspo e dall' arcolajo che facevano un maladetto e nojoso sfriggolare, eccomi qui sempre co' miei fili arruffati, intento a ravviare la matassa some se il fatto non fosse fatto, uggioso, malcontento a pianger i morti, e a punzecchiare i vivi, e „a ricominciare e a riannodare il filo, un filo rotto da venticinque anni!" E per far meglio capire a tutti che ille ego è lui, sempre lui; ecco che alla fine del lavoro esce fresco come una rosa a proporci il seguente enigma custodito dalla sua brava sfinge che ha un' aria e una guardatura da madre badessa : „Qual è l'animale che se pende troppo da una parte cade dalla parte opposta?" E ci esorta tutti a mettere una mano sul cuore, e a indovinare. Noi, la mano sul cuore ce 1' abbiamo messa, o maestro, e 1' abbiamo sentito batter forte forte, ed ancbe ci pare di aver indovinato. Ma con questo mio quondam stile da quondam P. P., importuno oggi che si può dire fino a un certo segno pane al pane, io corro rischio di farmi fischiare. Non ci voleva che il vecchio mago per ridurmi nel primo peccato ; adunque scriviamo liscio. Solo dirò che il Nipote del Vesta Verde è, come tutti sanno, il babbo della Porta Orientale ; tanto è vero che una frase del Nipote ha fatto cigolare la Porta ; si perdonerà quindi a uno della portineiìa, se ricordando le cose vecchie ha parlato da vecchio. La prima impressione che si riceve dalla lettura di questa strenna è aggradevolissima ; vi si capisce subito 1' intento, e vi sorprende la serietà dei propositi, una certa temperanza d'idee e di affetti non troppo comune a questi lumi di luna, e si finisce con 1' esclamare : Milano è veramente la capitale morale. Non spavalderie, non ragazzate ; ma neppure senili rimpianti e piagnistei ; ecco qui uomini maturi e giovani concordi nel medesimo intento : mostrare l'Italia qual è ed intenderne la vita, e rappresentarne il movimento e diffondere idee di libertà e d'ordine, ed educare così veramente il popolo, senza la pretesa di fare di tutto tabula rasa. Ecco Iginio Gentile che vi dà uno schizzo etnografico — Italia — e vi racconta di Roma che diede vita al corpo italico colle leggi, colle istituzioni, colla lingua, colla possente sua civiltà. E conchiude : Porti e buoni furono i nostri antichi ; così ci fosse dato, pensando a quelli ed a noi d' esclamare coli' italico poeta : Fortes creantur fortibus et bonis. Segue — Arte e Mestiere — Divagazione di un pronipote, Tulio Massarani niente meno, che racconta la vita del pittore Iuduno sorto da umili principi; e con un esempio buono dimostra come si ascende dal mestiere alT arte ; perchè troppi altri vi sono incaricati, e s'incaricano di mostrare come si discenda dall' arre al mestiere. Tito Vi-gnoli vi parla quindi — Delle condizioni in generale del sapere in Italia. — Lo leggano gli | amici d'Italia preoccupati delle coudizioui nostre j per quel viziaccio che abbiamo nelle ossa di farcì j credere peggiori di quello siamo realmente : rea- , zione degli uomini nuovi ai ridicoli vanti passati, j L' autore segue il giusto mezzo ; vede il moltissimo che si è fatto, e il molto che ancor resta a fare. E conchiude, imberciando proprio mi segno: — Ad onta di qualche screzio, di alcune aspirazioni trascendenti e di qualche sprazzo di rettorica anarchica, inevitabili sempre ed in qualunque convivenza sociale, V ingegno italiano è > forte per sè stesso, perchè è sobrio', ha troppo vivo il senso della realtà per trovarsi a suo agio tra le nuvole. Ai Poeti d' azione — dà uu rapido, troppo rapido sguardo Alessandro Arna-boldi, che è quel gentile e forte poeta, autore di un bel volume iu versi, dei quali ho fatto la recensione nella Nuova Antologia temporibus illis (Aprile 1873). E di lui si leggono pure in questa strenna due buone poesie. E così via via il Porro ci parla Delle Alpi sotto V aspetto militare, il Negri commemora Carlo l'enea, il Chirtani discorre d' edilizia, il Corio briosamente del lotto, il Baravalle brontola di santa ragione, ma finisce «JAPODiSiBlA, Tipografia Ui tarlo priora. con un inno alla speranza, Giuseppe Sacchi ci conduce nell' Istituto infantile a sentir cantare i bimbi : Amiam tutti quest' Italia Cui circonda l'Alpi e il mar; Che regina fu dei popoli E regina vuol tornar ; e molti altri ancora, chè dire di tutti sarebbe un sine fine. 0' è sì qua e là qualche screzio, qualche freddura, qualche riempitivo come „La statua del Podestà di Milano e — La primavera. — Frammento di un asteroide vagante tra le nebulose nei cieli di zaffiro di Giulio Carcano. Dirò da ultimo di un pio desiderio. Il Nipote del Vesta Verde è risorto e ricomincia la seconda serie. E perchè non si potrebbe resuscitare quel buon figliuolo del Nipote che fu la Porta Orientale ? Battere e ribattere sempre il chiodo, dovrebbe essere il suo compito, e combattere di giunta i nuovi conzapignatte, che ci vogliono rubare in portinerìa il mestiere, e ci ammorbano le scale di aglio. E si avrebbe a renderlo veramente popolare, e diffonderlo per pochi centesimi, e mostrare con la storia, con la geografia alla mano, che la lingua nostra, la nostra civiltà fu è, e sarà italiana. Dunque coraggio ; avanti, sempre avanti ; e se qualche ostaco o ci sbarra il passo: avanti ti e el muro, come diceva quel tal ca -porale. Il quale, dopo tutto, non era un minchione, se non comandava il halt davanti alla muraglia. Voleva che le sue reclute si ammaestrassero a tramutare il passo e a fingere di camminare e di aver sempre fermo l'occhio all' impedimento: con questa disciplina la razza tedesca imparò a vincere e tiene ora il mestolo nelle faccende del mondo. Dunque avanti il passo secondo la gamba, lo spazio e le leggi. E sopra tutto sempre fermo l'occhio al punto e la fisonomia inalterata. La ricordate la storia di quel bell'umore, di cui novella il Gozzi, il quale avea 1' arte di voltare il naso ora a dritta ora a sinistra, e fece montare sulle furie il bizzoso pittore? Ma viva Dio! il nostro naso da pantalone bene arcuato, bene impostato non si piega di qua e di là ; e non si presta a certi slogamenti-, nella terra del Carpaccio, dei Trevisani, non si dipingono di questi nasi. Vadano a farsi ritrattare altrove. P. T. Pubblicheremo nel prossimo numero una recensione sul pregevolissimo lavoro — Lussinpiccolo — Considerazioni di F. Dr. Vidulich, che gentilmente ce l'ha favorito. iJietro Aladonizsca — Anteo Gravisi edit. e rehu. respoasabih.