LETTERE D! MSB KlBSI&ffJKI «ICARIO CAPITOLARE DELLA' DIOCESI DI PINEROI.O CAPODISTRM DALLA TIPOGRAFIA DI GIUSEPPE TONDELLI 1863, LETTERE SULL'ISTRIA VICARIO CAPITOLARE DELLA DIOCESI DI PINEROLo OAPOt)ISTfilA DALLA TIPOGRAFIA DI U ILSEPPE TONDELLI 4860. Èi Ifl Ml $ I ki ki U ^ ;45$2 Per dono cor le se dell' autore, vendasi quo s lo libro, detratte le speso di stampa, a benefizio della società del soccorso in Cftpodistria. La Direzione della società del soccorso. Pel presidente li (liceiiure anziano P Rozzo QUESTE LETTEHK CHE MI RICORDANO GIORM PIJNI DI SPERANZE E D'AFFETTO E MI RICHIAMANO ALLA RIMEMBRANZA DOLCISSIMA DI CAPODISTRIA E DI CITTADINI RIVERITI E CARI CHE LA QUARESIMA DEL 1847 GENEROSAMENTE MI OSPITARONO E DI FRATERNA BENEVOLENZA PROSEGUONO A CONFORTARMI DEVOTAMENTE CONSACRO. JACOPO BERNARDI. PI CAPODISTRIA E D'ALCUNE ALTRE CITTÀ DELLA COSTA ISTRIANA \h Comi: l'.vi'.smo SansEveuino lettera i." da TRIESTE A CaPODISTRIA Capodistria li il) [ebbrujo 1847. Noti voglio elio rimanga inadempiuto il gentilissimo cc-citamciilo eh Elio si compiacque di porgermi, porcile trovassi o modo e tempo di scrivere alcuni cenni che il silo, la condizione fisico-morale, le auliche memorie risguardassero della provincia in che mi trovo, dove Irallenonnnt per parecchi giorni, e ch'Ella boa disse meno conosciula da noi che non le isole delle Oceania. Non è che di questa bellissima costa, specchiai itesi noli'Adriatico, non si scrivesse e ne' secoli Ira-scorsi e a' dì nostri ancora, non è che mancasse d'uomini illustri che le scienze e le leltere onorassero del proprio nome e valessero a spargere largamente la sua fama, non è che non fosse assai da vicino slrelta c per costumi e per commerci e per sudditanza all'Italia, ed a Venezia segnatamente; avvenne soltanto di essa quello di persona che si dilunghi e a poco a poco dileguisi dalla memoria di coloro medesimi che avrebbero dovuto per sangue, per amicizia e gratitudine tenersela più dappresso. Profitterò adunque de' ritagli, che liberi mi saranno concessi dalle mie non poche occupazioni, alfine di raccogliere ed esporre quel tulio che meglio per me si possa. Per ispingere poi innanzi colesta impresa, è d'uopo che sin dalle prime lilla accetti un palio, senza del (piale non varrei a pigliarmi debito di sorta, ed è che accolga gli argomenti, i riflessi, le parole, come verranno, nò si lamenti dell'ordine trascuralo, c de' molli altri inciampi in che darà la penna che affrettasi, assicurandosi non pertanto che non u-serò arte alcuna per fingere quel che non fosse, ed iscrivere diversamente da quello che sentisse l'animo mio. È questo un buon preambolo; ma già ciré corso in sulla carta, sene rimanga; veniamo al fallo. Comincerò dall'uovo; sarò prestissimo tuttavia a lar che nasca e ra^umj-M il suo line pur i turno. Mi pennella, vogliuhsi dire queste parole, che le descri-va il viaggio che [ter terra ne inelle da Trieste a (ìapodislria; viaggio che non è certo de' meo deliziosi e che non si pcn-lirebbero d'imprendere \ «scalini, ove ritrovasi un atrio spaziosissimo di mirabile al-» tozza, coperto di un grandissimo sasso, che, formalo dalla «natura nel monte, gli serve di vòlto, qua! diviso in tre navi «distinte, e sostenute d'ambedue le parti da varie colonne »incannellale, grossissimc, tulle d'un pezzo, con capitelli ed «altri ornamenti, formale dagli stillicidi! dell'acqua che scorre «dal dello sasso, sono di tale proporzionata disposizione nel «silo e vaghezza de' casuali risalii e bassi rilievi tonnati dal «continuo stillare dell'acque, che lasciano dubbioso rocchio «di chi le mira, se dalla natura oppur dall'arte fossero lab- »bricalc. Nel fine di quest'atrio sta creilo un aliare al glorio-»so Santo (Servolo, non Servilio come a torlo confuse il Fcr-» rari), dietro al quale salendo alquanto, s'entra in un picco-»lo ripostiglio, qual rassembra un'angusta cella, formata dal-»la natura stessa con un letto di pietra che seni d'abitazione »al santo giovinetto. Ivi vicino scaturisce un piccolo fonte » benché di poc'acqua, mai però deficiente, nel «piale eslin-»gucva la sete. Penetrando pio oltre, rapisce la vista de' ri-» guardanti una rotonda caverna, o meglio la direi una ben »formata cappella, coperta d'eminente cupola, sostenuta al-» l'intorno da varie colonne, tulle di marmi candidi e fife splendenti come cristallo, che per la varietà de* risalti, com-» posti naturalmente dal continuo stillare ed impietrirsi del-» Tacque, sembrano trofèi, fiorami e figure arliliziosamenlc i-» storiale. Mire caverne a similitudine di slanzCj grolle cli ^oli de' Romani; ma in questi secoli, segnatamente circa il 370 di Koma e dappoi per una serie lunga e continuala di vicende, il campo allargasi grandemente a tale da soddisfare la curiosità d'ogni erudito e la pazienza e la difficile ccnten-ialura di tulli i critici, Fu di quest'epoca che avvennero i latti descrittici dagli storici romani ed in ispecial guisa da Livio, che ci rappresenta q'nesti popoli come agguerriti, valorosi dì braccio, esperti nelle arti della guerra e d'indole fermissima e formidabile. Delle prime virtù n'è prova quanto da Livio medesimo e dagli altri scrittori si raccoglie, cioè che gli Istri, subito che il campo romano si trasportò d' A-* quileja al Timavo, a pie della collina occultamente si appostarono, e quinci per oblique vie seguirono t'armala, tenendo esattamente dietro a tulio clic in tona e in mare f'acevasi, e a-spellando la circostanza più làvorevolc all'assalto; per cui, avendo osservato ritrovarsi il campo romano senza valida difesa, colsero l'opportunità della nebbia al nascere del sole, assalirono le guardie avanzale della coorte piacentina e della seconda legione, posero ne' Romani il terrore, s'impadronirono degli alloggiamenti; ma, datisi dopo l'ottenuta vittoria al bollino — lied a bere smodatamente, furono da' Romani riassalili e fugali eoo la perdila di ottomila uomini, non sottraendosi all'eccidio se non eoloro che, giusta lf) storico patavino, modica vinosi c-rant. Se maj ci eran dediti per costume, ne pagarono troppo caro il lio. cullamene per soggiogare questa provincia si levarono soldati dalla Calila, da Pisa, da lì orna stessa, e per un anno, sotto il console Marco Giunio, si combattè con esilo incerto-. La gloria di soggiogare l'Istria spellava nel seguente anno al Console Gajo Claudio Pulcro, e la nazionale indipendenza di questi popoli spirava entro le mura della città di Nesazio, in clic gl'Astri a segno non so s'io mi dica d'indole fermissima o di maggiore ferocia, scannarono le consorti ed i figlij e nell'alto dell'assalto ne esposero dalle mura i sanguinosi cadaveri, perchè fossero ad un tempo lezione e formidabile spettacolo agl'inimici. I Romani però non s'arrestarono, e gPlstri ivi rinchiusi, come videro disperala la lor fortuna, per gran parte s'uccisero, suggellando il re Epulo siffatta strage col proprio sangue. Onesta guerra istriana, che divenne per simili falli famosa, valse d'argomento ad un poema di Oslio, aulico uomo di lettere ch'ebbe gli cncomii del Fabbrichi e del Yossio e fu, coni»; scrivono Festo e Macrobio, imitato da Virgilio. Questo poema disparve, e forse per sempre, sotto alla potenza del grandissimo divoratore di tulle cose eh'è il tempo. La morie poi di Epulo offerse materia non indegna a due tragedie: del Federici la prima, la seconda d'un illustre istriano, la quale ultima stampata era del -1827 in Venezia) e dedicavasi dal llanzaniei al marchese Francesco Polesini. Alle comuni vicende della provincia soggiacque anco Egida, o Capodislria. Divenne romana, fu congiùnta al governo d'Italia, donala di municipii e colonie; falli che si ricordano e sanciscono da quelle solenni parole di Plinio : hlriuc Civium Jìomanoruni jeg'ula, Purenlium, Colonia Pola. Fu raccolta sotto la clientela della insigne famiglia de' Crassi, fu ascritta alla Tribù Pupinia, come parecchie lapidi lo attestano, quelle segnatamente che, discoperte in Capodislria, furono in prova di ciò riportale dal Carli; e fu ammessa a' privilegi tulli della romana cittadinanza, per cui Plinio* descrivendo con le altre italiane provincie la cosla istriana fino all'Arsa, conchiude: Quasi'<) /'Italia sacra agli Deij questa le sue genti e queste le città de' suoi popoli! Giusta il Man-zuoli, nella sua descrizione di questa provincia, Capodislria, lino dall'anno /i4 dell'era volgare, avrebbe ricevuto la luce della fede cristiana; nel 5G secondo lo Schocnleben e a mezzo del bealo Elio, ivi a quest* uopo inviato da Sani' Ermagora. Sortiva il suo primo vescovo in Mazario, nativo, come qui vorrebbe lo tradizione, di Bostcv, eletto da papa Giovanni l? ad inchiesta dell'impera tare Giustino il vecchio, nell'anno o2S. Onesto vescovo tu assunto alFonor degli aliar*, ed è il pa-Irono della diocesi. Distrutta da' barbari, In da, Giustino II riedificata, ed allora depose l'antico nome per assumere quello di Giosiinopoli. Il Vergerlo impugnerebbe qnest'opinione, ma la sorreggono, e con fondamento, parecchi storici, e Ira gli altri Gianrinaldo Carli, quantunque dubiti della iscrizione a Giustino, che, pubblicata da Raffaello Volterrano, destò si grande strepito fra gli eruditi Mal Ira Hata da Visigoti, di quel modo che quelle genti cesoiatrici maltrattavano i luoghi impressi dalle feroci orme loro, fu riparala da Giustiniano, doppio motivo per cui le convenne il nuovo nome che assunse. La dominarono i patriarchi aquilejesi, ma solo ne aveano Falla protezione, e solf essi la forma del suo governo era quasi repubblicana, ed eleggeva parecchi de' suoi cittadini al reggimento de' circostanti castelli. Fu appresso ascritta alla sudditanza della repubblica di Venezia. Prima però di codesla sudditanza, cioè circa la metà del secolo XIII, e dalla posizione e dal principale governo ebbe il nome di Capodislria. Gran parie di queste notizie si compendiarono in alcuni esametri clic furono scolpili sotto una statua di Palladc, che ora pegli emblemi aggiuntivi potrebbe»! scambiare in quella della giustizia, e collocossi nella lacciaia del pubblico palagio, eh*e* ia l'antico pretorio. Se non le fosse grave il leggerli, i versi sarebbero questi, ne' quali però alfine di non venir meno alla verità storica è mestieri correggere ciò che ho tentalo di raccogliere ne' brevi cenni premessi : Palladis Acteae fuit hoc memorabile sax uni Effigies quondam, clara hacc urbs dum Acgida mansit A Capris divae, sic lum de pelle vocata. Quae quoniain reliquos semper superaverat Istros Artibus ingenii, semper caput esse decorum Promcruit patriae, cui loti hacc praeslitil una. Inde a Justino, inox Juslinopolis ultro Principe, et a Venetis dicla est Caput Ilistria tandem, Auspiciis quorum \ivet per saecula tuta. Ma d'iscrizioni e di monumenti in ispecial guisa romani ed importanti assai non solo per la patria storia, ma per quella d'Italia e la universale ancora, grandemente abbonda questa provincia, quand'anche si voglia che Pola, che uè ri-chissima, rimanga da sè, e non si ricordino quo' preziosi e moltissimi marmi, che o venduti o rubati., o spedili altrove - 13 - viaggiarono P Adriatico ed il Mediterraneo; c quegli altri che P ignoranza o la malintesa pietà barbaramente distrussero. Fra coloro, che per zelo indiscreto distrussero le antiche memorie spettanti a profane deità, va ricordalo il vescovo di Capodi-slria, Giovanni Ingegneri, uomo d'altro canto fornito d'erudizione ed autore di qualche scritto non ispregevole, il quale dopo di aver strappalo una iscrizione de! più allo merito le cui parole conservaronsi negli autografi del Petronio, non ebbe riguardo di rendere perenne nel seguente modo la memoria di quest'atto: .70. UNGEREMO. EPISGOPUS. JUSTINOPOL. SUfiLATO. 11 ING. LAPIDE ID0L1S SACRO ALIUD. IN. SEMPITERNAM. GREGOR. XIII MAX. ET. OPT. PONT. MEMO RI AM REPONIT CIDISXXCIIL Questo, a dir vero, è troppo; tuttavia m'avveggo esser d'uopo che secoli ed uomini si perdonino mollo, se molto vogliono essere perdonali. In onta a sillàlli danni, tanti sono i ragguardevoli marini istriani discoperti, e che dì giorno in giorno si van discoprendo, che il Carli compose di essi pressoché tutto un volume delle sue antichità italiche, e se ne adornerebbero più musei. Il Kandler, uomo di lettere distinto ed avvocato in Trieste, e benemerito assai della storia di questa provincia, al cui uopo stampa un giornale che porta a titolo V Istria, e va ricco trailo trailo di belle noli-zie, il Kandler, dicca, promuove dell'opera e della parola in Trieste un museo delle antichità istriane: lodcvolissimo divisamente. A me nullameno sembrerebbe che siffatto musco stesse meglio, forse più che altrove, in Capodistria. La gita da Trieste a qui, pel fòresliere amoroso di erudirsi, sarebbe e brevissima e deliziosa; ed egli verrebbe ad inspirarsi delle memorie, nel luogo ove le memorie ebbero vila. Vorrei poi che a" marmi ed agli altri oggetti, che potessero tornar gradili ed utili agli studiosi, si accompagnassero quanti più scritti e stampe la storia riguardassero della ciltà e della provincia, e se ciascuna provincia dell* Italia facesse altrettanto, troverebbero gPItaliani in ciò il mezzo più opportuno d'imparare la patria storia. E le provincie, per la conoscenza che aver devono de' fatti e degli scrittori che/le risguardano, e per amore della gloria loro, presterebbero il braccio più valido alla grand'opera. Si sbandiscano pertanto le invidie municipali, e in un territorio determinalo eleggasi una città in coi depositare i inonu-> menti e gli scrini che al territorio medesimo appartengono, ed in questa provincia, per la niolliplicilà degli oggetti ed anco per l'estensione sna, Pola e Gapodistria varrebbero opportunis-siine all'uopo, 11 progello, almeno pe'mai-mi ed oggetti antichi, per Capodislria non è nuovo; pare anzi, da una lettera che il Carli nel 1750 indirizzava a Giambattista Man/ioli, che in qualche parte, di (pie' giorni, si riducesse all'alio; e poiché mi cadde fra mani il documento non ne disgradi la copia. Ma dalle favolose e storiche antichità capodislriano, da' marmi, è tempo ornai che passiamo agli uomini illustri. Divisava, (piando prima ponevano a scrìverle, che la lettera si dividesse in parti eguali., se non perfettamente, almeno allo incirca, Ira le notizie auliche cd i più ragguardevoli personaggi della città*, è presso al termine prefisso, e non dissi ancor nulla di quesli, e sarebbero moltissimi e parecchi valevoli a decorare non solo una cillà o una provincia, ma lina intera nazione. Che fare pertanto? Non instancarla con biografie, con appendici, con riportale iscrizioni: accennarli e passar oltre; e sì mi spiace, di taluni massimamente. Km m i però d'uopo obbedire alle imperiose circostanze del tempo e della lunghezza di questa lettera. L'Istria diede ben undici patriarchi alle cattedre Aquilcjese c Gradense ed uno a Gerusalemme; diede cinquanta vescovi ed arcivescovi ed altrettante sedi, tra cui di Gapodistria fu Agatone, assunto del 075 al patriarcato di Grado, ed Elio del 4557 a quello di Gerusalemme, quell'Elio che, dopo li Cardinali, sedette primo prelato nel Concilio di Trento, e ricco di merili nella Chiesa, ottenne per singoiar favore da Gregorio XIII di par* tirsi dal Vicarialo della basilica Vaticana e raccogliersi fra' suoi diletti concittadini, assumendone del 1572 Fcpiscopal reggimento. E di Gapodistria uscirono altri undici vescovi, parecchi de' quali ragguardevoli mollo, e tra ragguardevolissimi avrebbe posto Pietro Paolo Vergcrio, ove non avesse macchiato la propria fama con una riprovevole Apostasia, dalla (piale in faccia agli uomini di coscienza non lo giustificherà mai qualunque irritazione del suo amor proprio. Ebbe, è vero, de' nemici lierissimi, ma più fiero fu il modo con che egli medesimo diporlossi. in onta all' attinia ed infelice epoca della sua vita, rimarranno a suo elogio le legazioni con sommo onore sostenute, l'eloquenza, per cui era cclebratissimo in Europa, le molte opere che dello, e furono in patte stampate, in parlo stanno inedile lultuvia. 11 Muzio ed il Carli, enlram- — lo — lii guislinopolilani, sono lali uomini che basterebbero n ren-(leni celebrala una città. Fiori il primo nel secolo XVI, nel XVI11 il secondo. Il primo, di cui fu scritto, e giustamente, che andò con un piede in islaffa cavalcando da città in cillà per V Europa al servizio d' illustri persòhwggi, principi, re, imperatori e pontefici, e lottando sempre con una fortuna avversa: il secondo, assorto in gravi ed importantissimi incarichi, lino ad esser consigliere inlimo di stalo e presidente del Supremo Consiglio di Pubblica Economia e del Magistrato Camerale in Milano (non so perchè il Maz-zoldi togliesse il Carli a Capodislria per darlo alla Lombardia: abbiasi il suo ciascuno), dettarono lali e tante opere ed in sì gravi argomenti da spaventare lo studio e la perseveranza di ognuno. Il solo catàlogo di quelle del Muzio, latto dal benemerito canonico Stancovich nella biografia degli uomini più segnalali dell'Istria, occupa o7 pagine (1), e 0 di stampa abbastanza lilla quelle del Carli pressò il Bossi, che ili un grosso volume ne dettava F Elogio borico. Duello però, che sopra tulli gl'illustri di Capodislria coin'aquila vola, è Sentono Santorio che nacque in Capodislria il 29 marzo 1561 e morì in Venezia il 22 fehhrajo IG36, Di questo sommo cultore dell'arie medica ed insigne scopritore nelle scienze basta il nome; pure direi di un busto marmoreo e di una lapide, lattagli erigere in patria, e propriamente nella chiesa de* Servi, da Elisabetta sua nipote, se il busto sin dal 1802 non tosso partito por Vienna, e la lapide non istesse visibilisi sima sulla facciala della cattedrale, al sinistro lato del risguar-dante, ivi da non molto collocala per opera di benemerito cittadino. Si dice degli accozzamenti, ma questo invece è un curiosissimo dismcmhramenlo. Mi spiace dover ommelterc parecchi altri nomi, ma le cose procedono troppo in lungo: ricorderò tuttavia il marchese Girolamo Gravisi, amico at Carli, instancabile raccoglitore di palrii documenti, scrittore coscienzioso. Valgano a prova la copia che le acchiudo, di due lettere, una del Tira bòschi j l'altra di Gianrinaldo Carli: da quest'ultima rileverà anco alcuna cosa che risguarda i let-terarj lavori del Gravisi. I manoscritti di lui passarono per la (l) Tra le opero inedite del Jtluzio ovvi una corrispondenza letteraria ejrei tenue col patriarca di Gerusalemme Antonio Elio, quand'era al Concilio di Trento, intorno a ciò die tratta vasi nel Concilio slesso. Cli scrittori di quella storia, scrive lo Zeno, lo ignorarono, e avrebbero potuto servirsene assai utilmente. In lauti trambusti di biblioteche ove sarà andata? massima parie nelle mani dell' arciprete di Umago, Luigi Ben-cicli ; ed importerebbe alla patria che non si disperdessero. E de' viventi nulla? Io qui conobbi un medico di squisita integrità e dottrina in varii scientifici argomenti nel Manzoni, un dotto agronomo nel marchese Andrea Gravisi, una persona assai erudita, scrittore elegante e degno patriota e filantropo nell'avvocato Antonio Madonizza, un cultore operoso e leggiadro della poesia nel podestà Francesco Combi, autore di parecchi felici componimenti; e le loro conversazioni mi torneranno profittevoli e carissime, e me ne andrò sempre lieto della lor conoscenza, come ora sono di protestarmele il suo Appendice alla lettera H intorno alle antichità ed agli illustri di Capodislria. Lettera di Gianrinaloo Cauli Al nobile signor Giambattista Manzioli di Capodislria intomo ad un museo patrio. Mi consolo che la Raccolta cominci bene, e che molte iscrizioni sieno ormai poste in sicuro a pubblico benefizio e decoro. Bisogna aver pazienza delle stravaganze; le quali vanno in seguito delle operazioni falle alla vista di tulli. L'iscrizione d'Erennio bisogna accomodarla meglio che sia possibile, è sempre cosa più buona F averla legittima e rotta di quello che intera ed apocrifa. I pezzi d'essa possono assottigliarsi, e poi incollarsi sopra altra pietra; che cosi ne potremo far uso e collocarla ove più sarà conveniente. Può essere che la vanità operi più dell'esempio; e però fate il libro di cui v'ho pallaio essendo costà, e questo abbia per titolo: Museo G iu-stinopolitano, col catalogo di tulli quelli che hanno cooperato o con Vopera o col soldo o col dono d'iscrizioni alla faci" tura d'esso. Indi al principio del libro dirassi la storia di questo Musco. Cioè come, essendo io (si vede che il Carli non vo-lea perderne il merito) nel mese di luglio in Capodislria, l'ho proposto ed ho dato eccitamento ed esempio con qualche contribuzione di soldo: che s'interesseranno i signori Sindaci e fra' cittadini i tali e lali. Qui si trascriveranno esattamente ad una ad una le iscrizioni, e d'ognuna si dirà la storia; cioè, dove fosse prima, come e da chi posta in Loggia : e questo libro sarà la miglior cosa del inondo. Alla l'aUura d'esso destinale il marchese Girolamo Gravisi, ch'egli certamente torà onore a sè e alla città. Ma sia scritto bene, in buona caria e buone iniziali; cosicché abbia ad essere un vero codice. Venezia 8 novembre 1750. Pare poi che in altri tempi, scrivendo di Milano nel 1701 al marchese Gravisi, alludesse indi rei t amen le ad altro con-cello, cioè di alcuni busti da porsi a' piti distinti cittadini. Le sue parole sono le seguenti: ......jNon abbandonale i Vergerli, Sanlorio e il Muzio. Degli altri non vi parlo, e meno di me, che merito meno di lutti. Fra le città grate ai lor cittadini risplendc ccrlamcnle Verona, che ha fallo statue e busti a Fracasloro e a Maflèi: ma non v' è città i cui cittadini non abbiano procurato d'illustrare la loro patria e gli uomini illustri che hanno fiorito. Voi perciò avete un merito singolare, ed avete diritto alla riconoscenza della [latria e dei posteri, Lettera di Girolamo Tirarosciii Al marchese Girolamo Gravisi. Qualunque sia la storia della letteratura italiana, io debbo pure esser lieto d'averla composta, perch'essa mi ha meritato l'onore di avere una si enuli la insieme e sì graziosa lettera del signor Marchese, mio padrone stimatissimo. Giustissime sono le riflessioni ch'ella mi propone ad assicurar sempre più la diversità de' due Giovanni da Ravenna, ed io mi compiaccio di aver collo nel vero nel proporla almcn come probabile. Or ecco, attese le nuove sue scoperto, si può dire come certa ed evidente. Anche ciò che dice per distinguer le opere dell'uno da quelle dell'altro, mi par giustissimo; e, circa le opere che appartengono alle storie de' Carraresi, è troppo probabile che sian lavoro di chi li servì lungamente. Sembra veramente di molta forza, per credere che tulle le opere sie-no del Cancelliere, l'autorità tli Biondo Flavio, che afferma non averne il professore scritta alcuna. Ma la lettera del Vergono, che mi pare non possa intendersi che del professore., è più autorevole che il detto di Biondo, il qual forse, non avendo vedute alcuna opera di Giovanni, ne interi che ninna ne avesse seri Ilo. Ciò che non ardirci di allermare così tàcil-menle si è che il Cancelliere fòsse di patria padovano. Kispcl- to F autorità dol Zono; ma ei l'Afferma cosi di passaggio sen* /..i esaminare In cosa, ed allora era giovine e non ancor tanto profóndo nelle storie letterarie, come fu poscia, Essendo allor comunissimo l'uso in persone di non illustre nascita di prendere il cognome della lor patria, non panni che senza forte argomento si possa credere che il nome della patria debba prendersi per nome della famiglia. Mi spiacc che io non sia più in tempo di profittar de' bei lumi, che Ella mi ha dati in questo punto; perciocché sarà difficile ch'io pensi a un' altra edizione della mia storia, la quale è anche siala stampata più veloce che non meritava. Ma, se inai l'occasione se ne offerisse, io non mancherò certo di valermene e di render giustizia alla sua erudizione, non meno che alla sua gentilezza. Lo stesso debbo dire delle belle e interessanti leti-lere di Francesco Zambeecari, che tante notizie finora sconosciute ci danno della vita e de' rari talenti di quel valoroso professore. Di una di esse so che ha fallo uso l'eruditissimo presidente Carli in una sua dissertazione che sarà presto Stampata in Mantova. Ma olire ciò io penso di mandarle al signor conte Fanluzzi che, avendo già pubblicale in olio lomi le notizie degli scrittori bolognesi, pensa ora tli farne un supplemento, in cui potrà valersene per accrescere e illustrare le notizie di quel suo concittadino. Modena 8 ghigno 1790, Lettera di Gianriisaldo Carli Allo slesso. dicevo in qucsl' ordinario di posta la vostra bella dissertazione, o Esame critico dell' Illirico e Forogmliese. e vi ringrazio «iella menzione che late de' miei Argonauti.' L'argomento è trattalo secondo i veri princìpi i della storia, e mollo mi spiace che non l' abbiate potuta riavere in mano dopo che sono uscite le mie Antichità Italiche. Il conte A-squini le ha vedute e ne ha fallo onorevole uso. Vi lo mi regalo che avrete per mezzo dell'aliale Tamagno; cioè V Apologia di Schelhom dì Vergerlo contro la declamazione attribuita a monsignor della Casa, venutami giorni sono da Losanna. Vi eccito sempre più a pubblicare i Vergcrii e il grande Sanlorio, ch'è stato il primo in Europa a tentar la natura con P esperienza e tirarne profitto per la medicina. Mi consolalo coti la speranza di abbracciarvi nel veni uro mese di maggio in Venezia. Chi sa che non sia P ultimo addio quello che ci daremo. 3ìiluno IO settembre J 789. E in un paragrafo di lettera al medesimo Gravisi indi-ritta da Milano il 13 Inolio del 1791 intorno al Sanlorio aggiungeva : .... Andrebbe studiato bene (pianto il Sanlorio scrisse sulla luce e sui colori, essendo io persuaso ch'egli e Marcantonio de Dominis nel trattato De Iride abbiano in tale proposilo avolo più merito del Newton, non solo per averlo preceduto, ma altresì per aver gettali i fondamenti della scienza. Lo sci-ilio re dell'Elogio si restringerà forse alla rivoluzione da lui l'alta nell'arie medica coll'esamc della natura da lui isliluilo con l'esperienze. Ma a Voi, come autore della vila, appartiene il minuto sviluppo di lutti i ritrovali, dei tentativi e dei risultali di quell'uomo illustre. L'impresa è faticosa, ma è degna di Voi. Queste notizie documentali le ebbi dulia gentilezza del marchese Andrea Gravisi, pronipote di Girolamo, il quale possiede inoltre, parecchie lettere di personaggi chiarissimi al suo proavo indiritte. La gentilezza del marchese mi permise anco di esaminare (donni sparsi manoscritti. Lo spoglio, che se ne fece, non lasciò nulla di ordinato. Alcuni centoni è lutto che di tanti lunghissimi studii rimane alla famiglia. Chi possedesse le vile de' lergerii e di Sanlorio scritte da Giro-turno farebbe opera pietosa a stamparle. lettera iii Intorno a' lavori di Oreficeria e a' Dipinti della Cattedrale di Capodistria. Capodistria, A marzo 1847. Ella mi fe' cenno di alcuni bellissimi lavori di Oreficeria e di alcuni dipinti^ cui si ricorda di aver veduto in Capodistria lino dall'anno 1839, in che visilavala. È forse codesto uno stimolo a far sì che io le ridesti, di quella maniera che possa meglio con uno scritto, le rimembranze di ot-l'anni addietro; e la richiami col pensiero a questa insigne cattedrale e ad allra chiesa della città non mono insigni per due, non dico celebrai issimi perchè mi pare che manchino «li questo attributo, ma pur nobilissimi quadri, e meri lev oli di quegli enromii che si convengono a'capolavori dello ingegno e della diligenza più delicata? Ma per avventura, allorché scrissi di richiamarla col pensiero e questi due dipinti che non appartengono alla cattedrale, non iscrissi esattamente, poiché nella sua lettera parlandomi de' Carpacci, se ne passa di essi; che se ciò fosse, come ritorni a visitare la bellissima costa istriana e questa gentile città, sarà d'uopo ch'espii la colpa, non sua certamente, sibbene dell'indicatore o della guida, che non è rado lascino da un canto i nomi cd i monumenti degni di particolare riguardo; e non si dimentichi di volgere il passo alla chiesa de' Santannosi, ossia de' Padri di Sani Anna ; che appellasi di tal nome il convento, ove albergano i francescani Osservanti, convento ch'è posto in sito il più delizioso della città. Bla, poiché ho fisso discorrerla d'arti in questa mia lettera e corrispondere al gentilissimo invilo di tei, cosi è d'uopo che ci riconduciamo per venir poscia giù con un qualche ordine alla cattedrale, e ci facciamo di lancio alla sacrestia de' canonici, ove si conservano que' lavori in argento ch'ella disse bellissimi, e sono tali io fallo. Quattro sono gli oggelli che richiamarono segnatamente la mia attenzione. Una torre sacramentaria od estensorio, come, appellasi comunemente; un calice, due croci. La torre sacramentaria è P oggetto che primo e sopra gli altri merita le indagini de' curiosi, a patto di lasciarli ben paghi del tempo che nelle indagini consumassero. Io me ne stetti più che un'ora a considerarlo, e trovai sempre nuovi argomenti di ammirazione, e mi sarei trattenuto ancora con quel piacere che si prova dinanzi ad un oggetto vaghissimo, se il tempo non mi avesse annuncialo che non mi era concesso rimanervi più alla dilunga. Molli forse crederanno trovarsi in queste parole lina esagerazione oratoria: ella, che ammirò quel lavoro, sa bene che non è tale, e che qualunque museo potrebbe gloriarsi di possederlo. Lo chiamai lorre sacramentaria, ed è propriamente tale, serbando anco nella forma la ragione del nome, dall'aulica liturgia della chiesa attribuito alla custodia, in «he per la pubblica esposizione riponevasi l'eucaristico pane. Un magnifico piedistallo, una rotonda nicchia, una cupola sovrastante, e propriamente la copia della torre di Santo Stefano di Vienna, compongono le parli principali dell' ostensorio, che s'allunga per due piedi e nove once venete all'incirca. Ala d'intorno a questo parli principali quali opere pazientissime di cesello, (piali gruppi di fusione meravigliosa non si rac- colgono! L'ordino clic strettamente conservasi è gotico, e nel piedistallo, e a mezzo l'asta, e in giro alla custodia, e ad ornamento della cupola si offrono per varietà innumerevoli a trafori, a ricami, a volute i lavori che devono aver posto alla tortura l'ingegno e le mani dell'artefice diligentissimo. Fra gli argomenti più preziosi ammirai le volute che al sommo e all'imo accerchiano il rottondo cristallo destinato a rinchiudere l'ostia consacrata, che, levata la cupola, si cala con apposito apparecchio dall'alto; le (piali possono davvero starsi a modello di simili decorazioni; e, più delle volute ancora, ammirai l'adornamento che per varii capi lungo il piedistallo si distende e s'allarga; è un tralcio, o, per dir meglio, son varii tralci di v ile con uve, pampini, toglie; e quanto pattùtó, quanto eleganti, quanto vere non ne sono le forme! M'avveggo che, seguendo per questa guisa, non la finirei si presto; m'avveggo che la materia alla narrazione sarebbe amplissima, e che la lettera, bramando abbracciare parecchi argomenti, è d'uopo che si raccorci partilamente. Raccorciamo adunque il corso delle idee, che si allargherebbero di buon grado, e giovi conchiuderc in generale che dal vicendevole aggruppamento delle parti più vaghe e finite risulla un capo lavoro di armonia la più cara, che il tulio e le parli si trovano in pieno accordo tra loro, e che gli amorosi del bello, in ispecial guisa del bello che venne a' monumenti sacri da' tempi gotici e saracineschi, troverebbero aperto il campo alle proprie considerazioni in quest'unico oggetto. Mi si disse che a' giorni della veneta dominazione queir ostensorio, mal concio per caduta, mandavasi pel risiamo alla capitale: un patrizio, che il vide nell'officina dell'orefice, si fermò, e chiamol-lo e disse: Sarebbe questo un annetto degno del tesoro di S. Marco. L'orefice si affrettò di rimetterlo a Capodistria, e ben lece, perchè altrimenti anche dal tesoro di S. Marco avrebbe forse viaggialo senza speranza di ritornare o sarebbesi nelle zecche tramutato in paga di soldati che correvan l'Europa in traccia di nemici e di vittorie. Fece poi bene, massimamente perchè è giusto che lutti abbiano il suo, ed è crudeltà vera quella del più forte che spogli il più debole de'monumenti più ornati e più cari. Àggiugnerò che, se il lavoro supera di gran lunga la materia, non è neppur questa spregevole, e basterebbe ad una mano rapace, mentre il peso del puro argento, da quanto mi si disse, è di 10 (unti, ed il [unto, coni'ella ben sa, si ragguaglia alle quattordici oncie venete. All'ostensorio, nella preziosità del lavoro, avvicinasi il calice, anzi, tanta è l'analogia e la egual finitezza, ch'io il direi del medesimo artefice. Amplissima è la coppa, sorretta da un ador- namerilo, che dalla mela e più forse l'accerchia, si dispiega allo ingiù ed abbracciasi all'asta del piedistallo, appurihmdosi d'intorno la coppa in altrettanti Serafini che distendono le lor ali. In giro all'asta havvi un aggruppamento a nicchie di forma gotica, entro le (piali stanno le effigie di santi a lutto rilievo, ed io le credo propriamente tose. Sono sei, ed i santi i\i nicchiali, dagli emblemi che portano, manifestano di essere il Ballista, Pietro, Paolo, Francesco d'Assisi, Chiara e [Vicolo, il santo che apprestava miracolosamente la dole alle Ire fanciulle, e lo dimostra anco l'effigie nelle tre auree palle, cui sorregge della sua destra. 1 volti, le pieghe delle vesti, le proporzioni di quelle ligure sono veramente mirabili, ed in ispe-cial maniera in Santa Chiara, in san Francesco e san Paolo riscontrasi una maestria ed una tale esattezza di lavoro da non credersi^, ove i proprj occhi non lo attestino. Dal gruppo di mezzo Fasta viensi al piedistallo anch'esso con altrettante nicchie e figure, tra cui primeggiano quelle di Cristo, della Vergine, di Giovanni P Apostolo, e di Si iNazario, eh'è il patrono di questa Diocesi, e forse il primo suo vescovo, almeno di cui si abbiano certe notizie. Parrebbe che nel raddoppiamento di laute nicchie, di tante effigie, di tanti gruppi e adornamenti, con tutta la maggiore possibile Unitezza di lavoro, il calice uscir dovesse nello assieme pesante e barocco^ Tutl'allro: nella disposizione perde ogni pesantezza, e s'intenda per l'occhio, poiché della pesantezza ben se ne accorge la ninno che il porla, ed è perciò che lo si usa di raro assai. D'indole eguale al calice bevvi una croce. L'asta di mezzo porta alla sommila sua il Pellicano in allo di trarsi il sangue che verrebbe l'accollo da un bacino che gli sta sotto: Il vero pellicano che diede il sangue pe' proprj figli è Cristo, e l'emblematico uccello n'è vivissima immagine: soli'esso, lungo la medesima asta di tulio rilievo, e io direi anche qui di fusione ed a mezza figura, evvi l'Eterno Padre che regge il mondo della sua mano, indi lo Spirito Santo che fuori pro-lendesi in forma di colomba, poi l'ignuda effigie del Verbo umanato e crocifisso, finalmente sotl'essa quella del Precursore; nell'asta trasversale alla destra ed a mezza figura evvi la Madonna, e alla sinistra S. Giovanni. Volgasi la croce, e nel mezzo propriamente del lato opposto a quello di Gesù crocefisso slavvi l'immagine di Maria adorna di regale corona c cinta di una veste che sinuosa le discorre lino a' piedi. Ila sopra il capo un'aquila, un angelo sotto a' piedi, alla destra un leone, un bue alla sinistra. Veggono tulli essere questi gli emblemi de' quattro l'evangelisti, e l'aquila che si spicca dall'alto e nella snellezza delle sue forme mostra di spingere ar- olissimo il volo, è ben alla a rappresentarne T Apostolo ed Evangelista che fu rapito si allo, e distese di tanto il nerbo delle .sin; pupille da poter discorrere con espressioni così sentile del mistero della Trinila e della incarnazione del Verbo, e da lanciarsi a squarciare il velame degli avvenimenti che appresteranno la consumazione dei secoli. Il quarto oggetto è altra croce, e, per quantunque antica e ragguardevole, pure non eguale nel pregio e nella finitezza di esecuzione alla preacennata. Nullaraeno ha qualche cosa di particolare e degna d'esser notala anch'essa, mentre dall'un dei lati mostra l'effigie del Crocefisso con sopra l'aquila, sotto il bue, il leone a destra, l'angelo alla sinistra; e dall'opposto, nel mezzo S. Antonio, quello che sortì il soprannome di Abbate, con al capo, a' piedi ed a' fianchi quattro immagini di Anacoreti. Qui si scambiò, come vedesi, l'ordine degli Evangelisti, assegnando all'Angelo il posta che nella Croce precedentemente descritta tenuto era dal Bue, e v'ha di curioso l'aver affisso all'aste del riverito vessillo di nostra redenzione «pie'' santi, rispcttabjli certo, ma che ivi trovarono luogo solo perchè a Scolpimeli concorse' l'ambito onore di qualche ordine monastico. La Croce, infalli, originariamente apparteneva a un monastero, Da lutto ciò bene si scorge che non solo la storia dell'arte, ma la liturgica ancora, troverebbero da occuparsi intorno a questi preziosi monumenti, cui può a diritto vantarsi di possedere la Cattedrale di Capodislria, che si mostra pure sollecita a custodirli gelosamente. Per me credo essermi occupato abbastanza, poiché nv accorgo che la lettera procedette di molto, e delle moltissime cose, che dovea dire, ne dissi assai poche. Qui un amoroso delle antichità rinlrac-CÌerebbe e l'epoca e l'autore di questi lavori, e consacrerebbe anco ed una e parecchie lunghe memorie per darci le proprie supposizioni, ove mancassero i più sicuri argomenti. Per juc dirò che rivolsi quinci e quindi quegli arredi, che affinai gli sguardi per farmi scopritore di un nome che ci fosse scolpito, e V ostensorio, come il lavóro più insigne, fu anche l'argomento principale delle mie ricerche: trovatolo per avventura, sarei slato in quell'istante lieto al par di Colombo, quand'egli e la sua ciurma gridarono: terra, terra. J\on i-scherziamo fuor di proposilo. Avrei avuto piacere di rilrovar-lo, ma non vidi india. Aggiungerò che, tranne la Croce j lassata dal convento alta cattedrale, gli altri oggetti più preziosi e, per avventura del medesimo artefice, furono insigne dono che un vescovo fece alla patria sua. Meritano ricordanza e l'alto generoso e l'illustre nome: ne profitterà la pietà religiosa in chi potesse emularlo, ne profitterà la storia dell'arie, — 24 — poiché riceverà qualche luce dell'epoca, nella quale fiorì l'illustre vescovo, e del luogo donde sen venne il presente nubilissimo. Il donatore tu Francesco De Andreis, di nobile famiglia giuslinopolitana, canonico della patria cattedrale, protonota rio apostolico e conte palatino, crealo vescovo di Scopia, città dell'I lirico orientale, tra i confini della Macedonia e della Bulgaria, da Gregorio XIII nel 1574, e sufiraganeo e coadju-lore dell'arcivescovo di Strigonia, di dove mandava a' suoi nel magnifico e degno regalo una memoria di sè; e losto intesero a conservarla que' provvidi che in loco onorevole, di dove da molli anni disparve, aveano apposto il ritratto del proprio concittadino, e sotFesso la seguente iscrizione; VIVA IMAGO FRANGISGI DE ANDREIS EPISCOPI SCOPIENSIS QUI CUM JUSTINOPOLIM SUAM PATRIAM EPISCOPALI DIGMTATE IN PARTIIÌLS I1UNGARIAK ADEPTA EXORNASSET HANC D. NAZARI! CATIIEDRALEM SACRIS DONIS DITAVIT Compiuta con questo rispettabile nome la descrizione degli antichi arredi sacri che decorano questa cattedrale, e lasciali i moderni, ragguardevoli pur essi, che trovansi nel sacrario o santuario come qui lo chiamano; vengo a' dipinti. Il più degno d'ammirazione è certamente quello che ora dipende fuori del presbitero al destro lato del risguardantc, ed un tempo valeva a palla della maggior ara, da cui si tolse per collocarvi un'Assunta, di niun pregio come oggetto d'arte, a cui si vuole intitolala la Chiesa. L'opera è di Vittore Carpaccio. Lo attestano le parole apposte nel bel mezzo del quadro in un'etichetta dissegnala sopra la stoffa che dipende dal irono, ov'è adagiala Maria, e sono le seguenti: VICTOR CARPATIIIUS VE NET US PINX1T MDXVI Lo si dice un dono del Carpaccio alla cattedrale, a cui aggiungerebbesi l'epiteto di patria, allora che si polessero affiancare da ogni opposizione gli argomenti addotti dallo Slan-covich a provarlo giustinopolilano d'origine. La famiglia Cai- patrio tli Capodislria ; i nomi di Villore c Benedetto che ritornano iì vicenda no' libri battesimali delle succedenti gc* nerazioni. cominciando da \ittore tìglio di Benedetto, ricordato eooie padrino Fanno -1505, poiché prima di quest'epoca i registri parrocchiali erano presocene interamente abbandonali; il Lanzi che, parlando di Villore il vecchio, lo dice veneto o di Capodislria, aggiungendo in una nota a pagina Ad del vohune lil, dubitare ch'egli vivesse fuor della capitale, e perciò farse leiiulo istriano, ma la famiglia essere certamente vene-la e forse orionda di Murano, farebbero che inclinassi a credere che a' tempi di A iltore, o poco appresso, la famiglia de' Carpacci si trapiantasse in Capodislria, e padre e tìglio, se veramente son tali, seguissero tuttavia a chiamarsi veneti. Senza ciò, non intenderei la ragione per cui Vittore, segnalamento in un dipinto, di cui fa dono alla cattedrale, desse uno spia-lellalissimo Veneto in sul viso de' suoi concittadini. (") IVla lasciamo l'erudizione e vengasi al quadro. Accessorio in che tanto vateano i pillori di que' giorni e di mirabilissimo elicilo, superiore direbbe il Lanzi, a quello della rinomatissima tavola di San Zaccaria in Venezia eh5è opera di Giovanni Bellino, è la decorazione del dipinto, in che mi si disse rappresentarsi J'archiletlura della cattedrale antica. Sul fondo di essa, ch'è il fondo del quadro, si rappresenta la Vergine seduta su di un trono elevalo per varii gradini, lungo i quali si trovano per ordine quinci e quindi disposti varj santi che sono o ì protettori principali della cillà, od argomento di particola!' divozione. 11 bambinello sta ritto co' piedi sulle ginocchia della Madre e sonetto nella destra di lei. Quel volto della divina Madre e tpiel Pargoletto sono due vere e preziosissime grazie della pittura. Al primo vederle non possiamo non a-nioreggiarle degli sguardi e dell'anima. Esce di loro una voce che grida al cuore di tulli, poiché il vero bello si fa intendere a lutti i cuori: guardatemi e voletemi il vostro bene. Il pargoletto Gesù piegasi un colai poco del capo e della personcina, sembra verso Giuseppe, il putativo suo padre; a risarcirlo, non dico dell' ollésa ma dell' obbligo che si tolse il pittore di collocarlo il secondo anziché il primo, presso il trono della sua Sposa; che il primo, per parlicolaii riguardi al patròno della ciltà, è San Rocco. Gli diede risarcimento però d'una testa assai caratteristica, e vera e viva. Viensi terzo al destro luto medesimo, qui il dicono, san Gioachino, ma la ve- I cittadini di Capodislria ai calumarono sempre; come sono, veneti. Aula dell' edilure. sle sacerdotale, ove non erri, che gli traspare, a me il direbbe più presto per Zaccaria. Al sinistro lato, ove inclina, senza spiegato movimento però, il capo della Vergine, che vuol essere ed è la dominatrice del (piadro, vcdesi l'ignuda effigie dì san Sebastiano, segnatamente dal torace allo insù bellissima. Le gambe si dissero troppo lunghe ed asciutte, forse non senza ragione. San Nazari©, il patrono e vescovo della città, sen viene secondo, e protende la canuta sua testa adorna dell'infida episcopale. La magnifica lesta di Nazario gareggia senz'altro con quella di Giuseppe, che sta rimpello. Ultimo è Luigi il sauto re di Francia, Ha vestito militare e sorregge della destra un vessillo, che spiega allo indietro, ed è tronco dal finimento del quadro. L atteggiamento, e fors' anco l'intera figura di questo re, è ciò che nel dipinto lasciava in ine alcun desiderio di maggiore finitezza. Potrebbe forse essere uno sproposito. Maniìesfo un mio sentimento. Cosa vaghissima sono tre angioletti. Uno più grandicello, in bel modo vestilo e seduto propriamente a' pie del trono, suona quello strumento cui il nostro volgo e questo ancora conosce sollo il nome di mandolino. Gli altri due, ignudi, stanno seduli in capo del gradino inferiore, a destra il primo c dà fiato ad una specie di cornamusa j a sinistra il secondo e tocca le corde di una cetra. In lutti e tre, quanta grazia e quanta bellezza! Son daddovero angeli ne' volti, nelle movenze, in tutto. Guardan gli astanti e sorridono. 11 quadro fu ristorato dal Duse veneto, e anco dopo il risiamo è una delle pitture più preziose di Capodislria, e forse del Carpaccio, se non la vincono quelle dell' Oratorio di S. Orsola in Venezia. Nella Cattedrale v'è altra pittura del Carpaccio, ma non di Vittore, sì di BeiicdcU©: è nel secondo altare al destro lato di chi en-. tra. Vi si legge apertamente lì. Carpalhio Pingcva. MDXXXVIII. ti volgo però qui lesse e seguila e leggere piangeva, e passa per tradizione clic F aclista nel dipingere questa palla piangesse. Rappresenta Maria con Giovanni l'Apostolo a destra, Bartolomeo alla sinistra e sollo il trono il solito angioletto Che ricerca le corde a musicale slromenlo. Il dipinto ha sok fello assai. Ora mi condurrei dal Duomo a Sani' Anna, ma veggo che per oggi è tempo che passi invece a dichia-i • armi il suo..,. lettera iv. firroimo a' dipinti del Cima e d'altri classici Artisti ed alla biblioteca del CONVERTO di SaKT'AkKA lm CAl'odistria, Capodtslriùj 8 marza 18 7i 7. Questa lettera altro non vuol essere che un' appendice alla precedente, ma un'appendice per me carissima, poiché di lancio mi porla col pensiero n' fidentissimi colli d' una città della provincia di Treviri, che qui mandava il più bel raggio d'una delle maggiori sue glorie. La cillà è Conegliano, che diede alle arti belle nell'aureo lor secolo parecchi illustri, tra' quali nella pittura Giambattista Cima, Carlo suo figlio, e quel Cesare, di cui scrive il Lanzi nella Storia Pittorica dell'Italia, parlando d'una sua tavola a' Ss* Apostoli, ov'è la cena del Signore, che sol quella basterebbe a collocarlo presso a Bonifazio e agli altri pia degni. Vorrei, e (pianto volentieri! che mi accompagnasse della persona; ma poiché di Milano a qui ci è un gran tratto, nò vale il desiderio a conseguire l'intento^ così non le apiaccia di accompagnarmi almeno dell'animo, ch'io entro la chiesa de* Padri di Sant'Anna; modesta, ma in buon assetto, e meritevole d'una sua visita, quando ritornerà a queste porti. M'indirizzo tosto alla maggior ara, ed entralo nel coro innalzo gli occhi al dipinto che si condusse sulla tavola a varii compartimenti, che, insieme accordati con un attico a doratura che li congiunge, occupano e fregiano per gran tratto l'ampia parete: l'opera è di Giambattista Cima, e il nome dell'autore cóli'aggiunta ConegL e l'anno, in che si compieva il lavoro, erano scritti in un piccolo quadrettino a bianco, dipinto a foggia di eli-chella sollo a' pie' della Vergine, e si leggevano appressandomi dell'occhio; ora scomparvero, perchè, non sono molli anni, un novizio, credendo farneli apparire più schietti col licitargli dalla polvere a mezzo di calda acqua, li nettò per modo che non ci rimane più segno. E questo un fatto di che mi accertò il padre Raimondo, vicario del convento, uomo i-slrutlo del quale chiedendo ella, portandosi a queste parti e qui trovandosi il padre slesso, cose che ben s'intendono, sortirebbe in esso una guida assai cortese che non è l'ultimo vantaggio pel forestiere che visi la una chiesa, un ospizio, uno stabilimento qualunque. Ma veda ove mi Irasse la brama, forse di dir troppo! sia delto; ho adempiuto un dovere di gratitudine e basta: che men ritorno alla gloria del nostro Co- ncglianeso, al Cima ed all'egregia opera sua. Il quadro Ita tre diversi scomparii inculi dall'alto Br- basso, e cinque nella sua larghezza maggiore. La figura dominatrice, nobilmente seduta su di un elevalo trono marmoreo, è Maria, ehe decidua un colai poco in alto il più soave il capo e vezzeggia l'ignudo bambinello, tranquillamente addormenta losi sulle ginocchia della madre sua. Nulla di più amabile, di piti bello, di più ceiosie. I miei sguardi passavano dal bambino al volto della madre, e dalla madre al bambino, con tale un affettuoso diletto, che mai non si sarebbero divelli di là, se il tempo e il bisogno di rivolgersi alle altre parli del quadro, ed i circostanti anch'essi non me ne avessero distolto avvertendo che passavan l'ore. Ben dissero quo' che impartirono a' classici nostri pittori l'ispirazione e il modo di dar dalla terra al paradiso l'anima de' contemplatori, ove ritraessero le immagini de' santi, e massime della regina loro, ispirazione e modo ch'oggi andò Ira le cose perdute; forse perchè manca la grande ispirazione della fède. Sul plinto che serve di base al trono v'hanno due angioletti, adornamento che, di que' giorni, quasi per convenzione usavano gli artisti; e quello a destra tocca la lira, che appellasi d'amore, quello a sinistra una cetra, e sono due graziosissime figurine, che pegli occhi si baderebbero e in fronte, anzi volli per una scala a mano ascendere lino ad essi, e di quello che tocca la retro, tiene la fàccia e-levata e la bocca racchiusa in allo di cantare, per poco si conterebbero i nivei e mimili denti che contrastano col minio delle labbra. Nel campo sovrastante, più che alla metà dello slesso, fra nubi leggerissime e in atto di chinarsi al fauciul-lello ed alla Vergine madre sua, si mostrano altri due nies-*aggicri celesti, questi vestili, come sono ignudi i primi. Finalmente nella regione più elevata appariscono tre leste di Serafini, di mezzo all'azzurro velo dell'aria e compiono così la nicchia di mezzo, eh'è la maggiore, ed appartiene al primo scompartimento. Come le dissi) fu dall'etichetta cancellalo il nome del Cima; ma quand'anche la composizione non cel rivelasse tosto, sarebbe scrillo a caratteri non meno palesi nel basso fondo ceruleo del quadro, là dove delineò le colline del castello della sua Conegliano, la cui vaiala montuosa, scriveva il Lanzi, inserisce né' dipinti quasi per sua tessera. Nella nicchia a destra, ritta in piedi e di lolla figura, ci sia Anna, la madre di Maria, ivi collocala perchè da lei e il convento e la chiesa pigliano il nome; nella nicchia appresso v edesi la Maddalena, perchè dalla Maddalena appellavasi il luogo, prima che lo abitassero i Sanlanesi, che vollero serbare la memoria di lei; ed il pittore rapprescnlavala in guisa da renderla, a mio crederò, dopo il divin Pargoletto e Maria, il più clegan-> le e finito lavoro di tulio il quadro. A sinistra, alfine di accordare lo assieme delle nicchie descritte, havvi prima l'effìgie di S. Gioachino, poscia di Sanla Caterina, la martire additataci dal costume e dalla palma, cui sorregge di propria ninno, condotta anch'essa con assai maestria e degna di particolare attenzione. Siccome però queste figure nella elevatezza non uguagliano il campo di mezzo, così, ad uguagliarlo, so vr'esse dispiegansi quattro nicchie quadrangolari che formano il secondo scompartimento, e le nicchie contengono le immagini di quattro santi, ma di mezza persona; che lauto era concesso onde toccare l'altezza della nicchia di mezzo che solo si allunga quanto i due scompartimenti che la fiancheggiano. Nella prima nicchia, a destra, v'è san Francesco, sanla Chiara nella seconda ; a sinistra pria san Girolamo, indi il santo vescovo Nazario; e nelle teste di questi due santi, segnatamente di san Nazario, ci sta un prodigio dell'arte ed un'espressione di quel genio che ne' locchi del pennello trasfondeva la vita, a tale che agli occhi, al volto, alle labbra, poiché si delinearono, si avrebbe detto: parlale. L'ultimo scompartimento è d'un sol vano quadrilungo e adorno del suo fastigio. L'immagine del Redentore, di san Pietro al destro Iato, e di sani' Andrea al sinistro fregiano quest'ultimo campo, in che il pittore mostrò di non essere punto colto dalla stanchezza, e in sant'Andrea diede per avventura il segno di un'anima e d'una mano non islìnite dalla lunga opera, ma sì nel compimento della stessa più svegliale e robuste. Il Redentore è in allo di benedire, e da' fratelli che tolti alla barchetta peschereccia si fecero suoi discepoli, polrcbbesi argomentare che il quadro riguardasse alla scuola de' pescatori che radunavansi in sani' Anna, quando innumerevoli scuole e tutte divise accorrevano a questa o a quella delle quaranta chiese allo incirca che un tèmpo sorgevano nella città; ed in alcune particolari circostanze deiranno per unirsi in processioni, ivi tuttavia si raccolgono i pescatori. Aggiungerò che il quadro non gode la miglior luce, ma, in onta a questo, è ed appare il più hello che del Cima vedesi mai; nò la tavola del duomo di Parma, nò quella di S. Maria dell'Orto in Venezia, nò quella di An-zano, villaggio prossimo a Ceneda, uè l'altra dì S. Fiore di sopra, co' quadrettini rappresentanti i patroni delle chiese liliali che sono vaghissimi, uè quella della chiesa di san Leonardo in Conegliano sua patria, massime dopo il rislauro gravissimo che sofferse, non possono competere nel merito e rapire a questa la palma. Mi perdoni se forse in' allungai di troppo in siffatto argomento; l'impressione che provai dinanzi nI dipinto fri dello più soavi, quindi anco nel descriverlo mi lasciai andare dietro al sentimento che mi traeva: di più Imitavo di una gloria quasi municipale,, e in tali circostanze abbiamo mestieri dell'altrui indulgenza. Se caddi in colpa, dirò che, se la colpa non è bella, spero sia perdonabile. Diparli vanii a malincuore dalla insigne opera del nostro Cima, e partendomi, proponeva di tornarci a salutarla, pria di uscire dalla chiesa; e scendendo dal presbitero avviavano, o, per dir meglio, condotto era all' altare ch'elevasi alla sinistra immediatamente al di tuoi i del maggior arco. La tavola rappresenta una deposi/Jone di croce. L'opera del Cima allettommi Io spirilo grandemente, questa lo commosse; e se non guari correva (ulta al primiero quadro l'ammirazione, allora mi fu d'uopo dividerla col secondo. Tale certamente avviene di noi, quando le forme della vera bellezza ci si avvicendano. L'anima lui la se ne va dietro quell'ima che le si offra; le si offre una secoiukij e muove pure dietro di essa, una terza e si divide con questa ancora; vorrebbe essere lolla con ciascheduna, ma d'uopo è invece che tutte insieme le abbracci, e, giusta la sua capacità, le comprenda. Non è che dimenticassi le impressioni testé ricevute; ma, serbando pur quelle, mi compiacqui delle nuove che dalla vista del nuovo quattro si producevano. Il genere di pittura, il colorilo, P anima, la mano, il pennello eran diversi; nullameno nella diversità ciascuno può vantare i suoi pregi. La tavolozza del pittore di questo secondo quadro scade certamente da quella del Cima ; i colori son fiacchi e un colai poco sbiaditi, alcune lisonomie non temperate alla grazia ed alla finitezza maggiore, manca Ja pastosità delle carni, manca forse in generale la pienezza della vita nelle figure. Pigli quesli difetti con quella moderazione con che devono pigliarsi, e intendeva io di accennarli, e non abbia in disgrado guardare a que' pregi che la vincono di gran lunga sopra i mancamenti e ci danno un dipinto di mirabile effetto. V'ha una filosofia la più bella nella disposizione delle ligure, v'ha una preziosa corrczion di disegno, una perfetta unità ed un sentimento di dolore e di commozione che nel quadro lutto passeggia, e dal quadro trasfondevi pegli occhi nell'anima degli spettatori. La scena rappresentasi a' pie del Calvario. La Vergine, eh'è posta nel mezzo, accoglie e sorregge delle ginocchia e delle braccia la salma del Figliuol suo. Oh! quanto lo sguardo e Paltegiamcnlo di quest'immagine dell'addolorala Maria sono diversi dallo sguardo e dall'atteggiamento eh'eli'ha nel dipinto del Cima. Là graziosamente amoreggia e lietamente innamora chi la rimi-' ri; qui non piange, perchè la Madre di Dio non si lasciò an- ilare a questo segno cslcrno di u nana del olezza, ma dA pietoso allo con che tutta è intesa alla moria spoglia, del componimento del viso, della sublime materna angoscia che la trafigge fa piagnere chi in lei si fissi ed abbia cuore che senta. Le sta alla destra, presso il cadente capo del morto Gesù, una delle Marie; un'altra appresso che protendasi più dinanzi, più si getta fuori del basso fondo., e mostrasi in ginocchio, affannata, supplichevole: s'addolora per lo squarciamento del proprio animo, per quello della Vergine, e per lo stato compassionevole a cui vede ridotte le lacere membra del Divin Figlio, e par che trovi nella preghiera un sollievo alla fieris-sima ambascia. Al sinistro fianco della Vergine v'è la terza delle Marie, prostesa ella pure, e portante in viso il raccapriccio e la doglia. Quella però che, dopo la divina Madre, nello atteggiamento eccita a maggior compassione è la Maddalena, che viensi dietro a chiudere la scena di quelle pietosissime donne, ed ha già della mano levalo il piò di Gesù e sia per imprimerlo de' suoi baci, ricordevole de' primi che diede a (pie' santissimi piedi il giorno che li sparse di presiozissimi unguenti C li coperse delle bionde sue treccie. Quest'alto che mi chiamò alla rimembranza di quello, questa perennità d'amore, e questa caparra che non si inaridirono, ne si inaridiranno più inai, finché viva, le lagrime de' suoi begli occhi, deslaronmi un tale contrasto d'affolli, che non mi saprei dire se più mi tornassero compassionevoli o soavi. Mi pare che la sublimila, dovunque si trovi anche nel dolore, soavemente rapisca, e l'espressione che l'artista seppe dare al commovimento di Maddalena è sublime. E Giovanni, il prediletto, slassi alle spalle di quella Ira le Marie eh'è alla sinistra della Vergine, ritto della persona, con le mani piegate sopra del petto, col capo inchino, con Falla mestizia che lo accompagna, e mostrasi della sua presenza ad accrescere grandemente le angosce di quella scena. Più addentro, al destro lato di Giovanni, v'ha Giuseppe d' Arimalca, ed alla estremità opposta del quadro, dopo l'ultima delle Marie, più addentro ancora, scor-gesi ÌNicodemo, che rispettosi si ritrassero non a tale di perderla d'occhio e non prendervi parte, sibbene per lasciare che quo' cuori, ne' quali tanta era la piena dell'ambascia, si disfogassero sopra le morie membra del Nazareno, ed accorrere dopo quel necessario sfogo a prestar l'opera loro nel deporre che si farebbe la venerata salma nel preparato sepolcro. Nulla più delicato dell'intero svolgimento che diede il pittore ad un fatto che valse alle più grandi e commoventi ispirazioni del genio. Dopo tutto questo ella senza più mi richiede del uomo dell' artista, Niuno de' moltissimi che visita- rono il quadro pronunciò il suo giudizio; da parecchi soltanto fu dello che dalla tavolozza polrebbcsi argomentare appartenerti ad autore non italiano: noi créderei. L'opera è certo de' lem-pi classici, o ritiene tuttavia alcuna cosa delle torme greche; se non (osse altro i cerchi a doratura che servono di fondo alle leste. E ciò quel lutto che possiam dire, (piando non valesse a parlare più chiaramente e rilevarne forse l'autore stesso il costume lurchesco di INicodemo. lo però nell'altrui silenzio non oso proferire parola, invece muovo di qua all'ultimo altare che scontrasi alla sinistra partendo dal presbitero, e appellasi di san Diego. Nella tavola dell'aliare, lavoro di Pietro Qlerà, non v'è nulla da meritare qualche speciale riguardo; ma si lo meritano Ire quadrettini che furono incastonati come a base della maggior pala, e sono da' sacri arredi pressoché interamente coperti. 11 quadrettino di mezzo rappresenta un'effìgie di Maria, ed è lavoro che piega nel colorilo e nelle forme all'indole greca, con un fare gentile; maggiore attenzione però del quadrettino di mezzo volgionsi ai due che stanno quinci e (póndi di esso. Quello a destra porta l'immagine di Gioachino a mezza figura con una fascia che gli penda dagli omeri, (ascia che si ripiega, alle estremità si rivolge, e porta scrillo: dikcla filia mea est gloria Ilierusalem, kiviil Ut Israel, Ilonorijicentia populi nostri; quello a sinistra ha rimaglile d'Anna nel medesimo atteggiamento, e adorna di simile fascia in cui si legge: Tota pulchra es, filia mea Diaria, vi macula originalis non est in te. V'ha chi disse a tempera i due quadretti, e tulli s'accordano nello assegnarli ad un illustre pennello, ma non ne pronunciano il nome. Trovo nella corografìa ecclesiastica del INaldini a pagina 195 che in sani' Anna impiegarono i loro famosi pennelli il Zumbellini ed il Concgliano. Descrissi l'opera del Gonegliano; e che mai questa appartenesse a Giovanni Bellino il suo maestro? Nò voglio uè potrei farla da cattedratico: per me la supposizione s'accorderebbe a pieno col carattere dei dipinti. Veggano gli altri e giudichino, ch'io ben volentieri m'accheterò all'intelligente giudizio altrui, e massime a quello di lei, illustre signor conte ed amico, ove si portasse a rivedere queste amenissinie piazze. Ivimpetto a queslo, al destro lato, partendo sempre dal presbitero, havvi l'aliare che chiamasi del Gesù, per una tavola di Benedetto o Bonetto Carpaccio, che ne rappresenta l1 augustissimo nome. Per quanto piaccia al popolo per la sfacciataggine del colorilo e la esagerazione dei movimenti, pure è tal cosa in fallo d'arte ch'è d'uopo dire: non ragio-niam di lei, ma guarda e passa. Guardai men che ho pollilo, perchè gli occhi impressionati dalle primiere bellissime forme. noi trattenersi alla dilunga, si sarebbero disgustali di troppo, e ritirai il passo di là per compiere la promessa d'un nuovo addio al mirabile dilanio del Cima. Lo feci e d'animo volonteroso, indi men venni alla sacrestia, ove mi si addilo un ritrailo di san Bernardino, l'apostolo di Siena, l'eloquentissimo de' suoi giorni. 11 ritratto non è gran cosa, ma dove non rimanesse dubbio che si ritraesse dal vero e tosse de' suoi primissimi, avrebbe in sè pregio bastevole per meritarsi gii sguardi de' visitatoli. Dalla sacrestia passai al convento, e nel convento alla biblioteca. Qui il padre Raimondo trascorre i giorni e prolunga le veglie, quelle che gli rimangono dalle opere di carità, cui si presta. La biblioteca non è neppur essa uri gran che. Vidi alcuni codici: non erano però di pregio segnalalo nò pei caratteri, nò per le cose contenute. Vidi alcune delle primitive edizioni, massime venete e della Marca trivi-giana. Dissi al bibliotecario che farebbe fatica degna, se le raccogliesse tutte in appositi scaffali, e le disponesse per ordine degli anni in che promulgaronsi. Sarebbe tolto l'impiccio di cercarle (punci e quindi, e l'etichetta, portando il luogo e l'epoca della slampa, scemerebbe a chi addila e visita il disagio, avvantaggerebbe il tempo, e tornerebbe ad elogio del disposilore, a compiacenza del forestiere. Mi disse che lo farà, intanto, se potesse tornar utile a' biografi bolognesi ed a' bibliofili patavini, direi che vidi conservalissima e in bei caratteri rotondi un'edizione di Padova del i473, d'un libro che porla a titolo: Opus Rcsiiiuiionum a Reverendo in Chri-stó l'atre Fruire Francisco de Platea Bononiense ordinis minorata diviniti ne verbi praediculore eximio^ ed il libro si chiude col seguente epigramma: Quem legis: imprcssus dum slabil in acre characler Dum non longa dies vel fera fata premen t Candida perpetuae non deeril fama Basilee, Chidiacuiu bine superai Leonhardus (cesi) ebur Cedite chalcographi j millesima vostra figura est Archelipas bine fingi! solus al iste nolas. finisco anch' io, non già con versi od epigrammi, ma con un saluto sincerissimo del mio cuore; e finisco perche è ornai tempo, dopo avernela lealtà quinci e quindi. Il desiderio di scriver mollo mi fece dir meno e più disordinalamenle di quel che volevo. Accolli, perdoni, ed ami il suo..... lettera v.1' fjtfTORKO ALLE ARTI ED A* COMMERCI DELL' ISTRIA. Capodislria, ih marzo 1847. Mentre voglio adempiere verso di lei con tutta coscienza V obbligo assuntomi della semplice esposizione di parecchi l'alti che risguardano la provincia istriana, de' (piali per grati parie fui testimonio io medesimo, ed ho ricevuto dalle labbra di persone degnissime di tutta lede, così mi sento bramosissimo di nulla aggiungere e nulla togliere a quella verità che mi sono adopralo sempre di far passare dall'animo ne' mini scritti, l'or quantunque senta gratitudine molla delle cortesie ricevute ne' luoghi dell'Istria, che visitai, e più in quo' dove più alla dilunga lui accollo ospitalmente, pure per malintesa gratitudine e per adulazione, che torna sempre vilissima, non tradirei l'inlimo sentimento giammai. L'unico sacrificio che «arci disposto a fare alla riconoscenza, ove giovar non potessi, sarebbe il silenzio. Ciò valga per (pici tulio che dissi nelle lettere precedenti, per (picilo che dirò in questa e nelle altre Che verran dietro. Dopo l'agricoltura, mi credo che le arti d'un popolo meritino i primi riguardi, come quelle che, mettendo 10 reciproco accordo i produttori cd i consumatori, provvedono al reciproco vantaggio ed assicurano una perenne prosperità; come quelle che soccorrono a' bisogni, ove il lavoro della terra non basii, e traendo nei paesi de' prodotti che tulli non vengono da' campi, tengono le veci di opportunis-sime salvaguardie ne' disastri che lai fiata s'aggravano sopra ì seminali e le vigne, e ridurrebbero i paesi e le provincia alle distrette della carestia e della più squallida miseria, ove 11 popolo non avesse alcun al Irò mezzo, a provvedere in parte al proprio soslenlamenlo. Non so perchè il Bollerò ed il Tomniasini, dopo di lui, si lasciassero andare ad una decreto-ria condanna, rappresentandoci gì' istriani par gente p'ujra ed aggiungendo quest'ultimo che ciò si verifica assaissimo nelle persone plebee e non civili. Forse ciò sarà stalo de' giorni loro, benché mi creda che anche pe' giorni loro codesta sentenza dia soverchiamente nell'assoluto; e perchè si poteva applicarla a questo o quel paese, come puossi applicare anche oggidì, non era da conchiudcrne pel generale, come non mi cimenterei di couchiudcrc io a patto di tradire la verità. Inerti se ne trovano dappertutto, inerti che appartengono a tulle le classi, inerii che sono, oh così non ci fossero! e saranno Fc- terno verme corroditorc dello società, che voglion pascersi a spese delle altrui fatiche e della altrui industria, e divengono, ove abbisognassimo d'altra similitudine, le piante parassite, che ricusano di spingere in terra le lor radici, e s'attaccano alla corteccia, e squarciano e bevono il succo di quelle che già l'hanno spinte, e che traggono per codeste inique divoratrici l'umore della terra e dell'aria, e lo purificano, e per esse il distillano, affine poi forse di ricevere dalla ingorda parassita io mercè di tanto la morte. Grande opera degli illuminali o bendici governi e delle ottime istituzioni cittadine è quella di togliere, per quanto possano, l'inerzia al proprio letargo, di troncare alla parassita ogni via di serpeggiamento, ridurla al minore possibile rigoglio, e, se bastassero le leggi e le istituzioni, diradicarla, perchè non avesse a digermogliarc più mai. Dopo coleste premesse, inteso a condannare un male gravissimo che corrompe la sociale prosperità, e ad assolvere in pari tempo la provincia istriana da un' accusa troppo assolo-la e troppo aspra, è mestieri che venga ad alcuni falli particolari che dimostrino la condizione in che trovasi l'industria di questo popolo. Dirò primamente di Gapodislria. Non niego che la vicina Trieste non abbia tratto a sè molle di quelle arti, che senza la vicinanza sua avrebbero prosperalo in questa città, e che gli abitanti, anche delle classi mediocri, non corrano là a provvedersi di vestili e d'altri parecchi argomenti di che ahbisognano, perchè si dice migliore la merce e ad assai minor prezzo, e di spesso lo credo; ma, quand'anche ciò non fosse, l'opinione una volta formala direbbe lo slesso, e l'abitudine fornirebbe il viaggio medesimo per la compera, quantunque tal fiata peggio la merce, ed il prezzo fòsse più alto,, e s'imprendesse un viaggio per Trieste onde riportare alla nativa città quello che da' possedimenti od artigiani della città fu venduto a' mercatanti triestini, che vorrai! certo rimettersi del contralto e delle spese. Ed anche questo poi non è un caso de' più rari. E quel che scrivo per Gapodislria, lo scrivo per la provincia, e per la costa scgnalamenle, in ispc-cial guisa dappoi che i piroscafi triestini con ordinarie corse vanno solcando due volle la settimana quesf acque: utilissima impresa e pel commercio e pei viaggiatoti, ma che pur scema un colai poco la minula industria cittadina, la quale, ove non si lasci trarre allo sconcio prcaccennato, può rimanere grandemente risarcita d' innumerevoli altri vantaggi, e meglio scuotersi, emulare, perfezionarsi e non cadere nel torpore e nello avvilimento. Dico ciò per quantunque F esperienza ne provi che, tranne pochissime eccezioni, le grandi città hanno sempre ingojalo un intero ordine di profitti, che dall' industria, sen// esso,'avrebbero pollilo Irarrc le minori ebe slanno loro dapprèsso* Ma, tronco un ordine di cittadina in-duslria, perchè pria di lasciarlo troncato sarebbe duopo di lare ogni maniera di sforzi per sostenerlo, Ireneo quest'ordine, so ne possono aprire degli allri, coi offra la speciale condizione de' iuogi, e quindi in sicuro dagli assalii de' \icini. Vengo dunque, dopo tanti ripigli, a parlare della industria de' Giuslinopolilani, La concia delle pelli, la triturazione delle o-live e successiva preparazione degli oli, le saline slanno fra gli argomenti primi dell'industria e del loro commercio. A chi passeggi lungo l'amenissima via che volge in giro alle mura ed è baciala rispettosamente dal mare, si olirono degli ampi magazzini destinali alla conservazione di quel marino prodotto ch'entra a rendere saporose le nostre vivande, e torna a sì grande vantaggio per. la cura e prosperamento degli animali bovini e della greggia, senza del (piale la cucina e la nostra mensa isquallidirebbero e difetterebbero di latte, e di maggior numero di malattie gemerebbero le stalle. Avendo però divisato, se i giorni che volano e i molli impicci me lo permetteranno, di ritornare in apposita lettera sopra questo importante ramo d'industria, tutta propria del loco, di Capo-distria cioè e di Tirano segnatamente, così mi riservo di porgere allora la descrizione e le più esatte notizie che mi verrà fallo di raccogliere. Al sale nella cucina, nella mensa, nella cura d'assai morbi, negli usi della vila slassenc assai vicino e sopr'esso ancora forse la vince l'olio. K anche in tale argomento lungo la via accennala, dappresso a' ricchi deposili di sale si scontrano i torchi, ove si maccranno le olive e si distillano gli olii. Entrai a visitarne alcuno: sono di varie forme, e li credo tulli capaci di nuovi perfezionamenti a vantaggio de' padroni, a scemare la fatica ed il tempo, ed a far crescere la nitidezza e la perfetta qualità del succo, che lento lento dilima. Le macine per la triturazione delle olive si volgono a misurali giri di cavallo. Se del frutto si traesse Ja polpa, se non rimanesse anch'esso infranto sotto del peso, lo spremuto umore tornerebbe più dolce assai. Tentarono in ispecia] guisa nell'Italia nostra i Toscani cd i Pugliesi quesf opera; ma la maggiore squisitezza dell'olio cnlr'ella a compensare la perdila ed il lavoro? Ciucche ne sia, qui colle o-live si frangono i noccioli, e la macina volta in giro, da sè rigetta là triturala poltiglia. Onesti industri lavori della natura e dell'uomo posli gli uni gli altri a confronto sono davvero curiosissimi. Ne'campi il sole, l'aria, la terra tanto si adoprarono a ll'arre il succo disposto per entro a' filamenti dell'albero, e dall'albero digerito, e sì diligentemente e mi- s Ieri os fi me n lo elaborato nel frutto, ch'ebbe a pronuncio la gemma, il fiore a speranza, ed a maturazione il giro di molli soli e di molte lune, con il fecondo bacio de' zeffiri e la visita risloralriec delle pioggie e delle rugiade. Ed il frutto ch'era una vaghezza vederlo dipendere da' suoi rami, eh' era un piacere raccoglierlo sì fresco e pieno di vita, <[iii ammanilo, non dirò all'imputridimento, ma ad un finitimo grado, con mal garbo è affastellalo entro a' cassoni per esseri' con garbo peggiore gettalo a stritolarsi sì crudelmente. Oh il passaggio da campi e dalla pianta natia alla macina! Oh le fatiche prodigiose dalla natura malli-aitate e peste dalla u-mana industria! ma da sì falli stritolamenti e maltratti n'esce un sostentamento ed un gran farmaco per la vila. La natura produce, l'uomo sene prevale delle sue produzioni; la natura forma, 1' uomo discoglie per formare di nuovo, ma è poi la natura slessa che ne diede all'uomo l'esempio nelle sue continue decomposizioni e ricomposizioni e terribili e grandi. E questo un croiuolo (Pimagine sente un poco del secentismo, ma non vorrà appuntamela guardando a* tempi che la perdonano) è questo dunque un croiuolo ove mettono capo le corporee esistenze che si pascono d'altri oggetti, che si dissolvono e si dissolveranno, anch'esse per dare di sè vita ad oggetti che sorgeranno appresso sulle, mine loro. Dove mai mi trasse la macerazione delle olive? E bene una sbrigliata cosa cotesto pensiero. Raccogliamone il freno e ritorniamo alla proposta della mia lèttera. Altri argomenti di patria industria per Gapodislria sarebbero le bacche di ginepro, ed il commercio che si tenne in fiore per parecchi anni della foglia di una tal pianta che alligna nelle circostanti colline, foglia che scodano od anco sommaco appellasi da' terrieri, ed è pianta o foglia che ricevette, o meglio diede il nome alle pelli, nella cui concia vien ella usata. Se ne fecero grandi spedizioni per l'estero, e le spedizioni portarono mollo danaro a coloro che si posero alla testa di tali imprese, e parie di quel danaro circolò pure ne' poveri raccoglitori di quella merce. Dalle colline, che porgono codesta industria, sarebbe da ritornarcene al mare, che a parecchie famiglie di questa città ed a moltissime della costa, segnatamente a Ko-vigno, offre nella pesca il mezzo di sussistenza, se non ricca, tale almeno da passarsela alla giornata senza che il venire rimanga vuoto, e qui poi, quello eh'è da notarsi e torna ad onore de' pescatori, sì è che vivono moderalamonle, che non piegano facilmente come altrove, al disordine, che adempiono a' religiosi doveri, e sul mare apprestano a quando a quando a" compagni ed a' passeggieri pericolanti soccorsi generosis- — m — suni, ed hanno per azione la più semplice e naturato offrire la propria per 1'allrui vila. Che si conservino nelle modeste e pie loro abitudini, guai che traviino; per siffatta condizione del popolo, e in generale pel popolo tulio, alfine di redimersi dalle malvagie consuetudini, una volta appigliatesi, non è d'attendersi molto. E d'uopo che i governi e la pubblica e privata filantropia cerchino d'impedire la depravazione morale: gioverà sempre tentarlo, e lo si deve; ma nati*avvenuta depravazione con le classi volgari il rimedio è scarso e tardo sempre. Dopo la moralità di questi periodi vorrei mettere alcuni appicchi per toccare d'altro argomento d'industria, che, non è mollo, per segno che ne diede un Siciliano, si raccolse alle sponde di Capodislria e mostra di prosperare, e, prosperando, non può non essere fecondo di vantaggi importantissimi : vorrei dire a mo' d'esempio, chela pesca mi richiama alle barche, queste a' navigli più grossi, cd i navigli a' cantieri ove si costruiscono, per conchiudere che, amò addietro, tentava*! in questo opporlunissimo bacino la nuova impresa, che il tentativo riuscì a meraviglia, e che ora ben tre cantieri da grosse navi sorgono lungo la via delle mura là dove il mare s'ingolfa, quasi placidissimo lago (1). Vidi anch'io l'altro ieri vararsi un bastimento mercantile ivi egregiamente costruita e capace, come si diceva, di pi-esso ad ottomila staja di grano. Lo salutai nel primo suo discendere in mare, misurai del pensiero i viaggi ed i pericoli che da quell'ora sull'instabile elemento gli si apprestavano, gl'ignoti lidi che visiterebbe, le tumide onde che spezzar dovrebbe de' propri fianchi ; i sospiri e le grida disperate a cui risponderanno te Interne pareli, e per esso, pc' nocchieri, pel capitano, che monterebbe, augurai prospera la fortuna. La sera il naviglio crasi tolto da queste acque e dava principio al suo corso in che io, testimonio della prima sua prova, per avventura non lo scontrerò }iiù mai de'miei sguardi. Gli artefici, che aveano guidato a sì nion fine l'opera che ammiravasi da' circostanti, aveano ben donde andar lieti e plaudire a sè medesimi. Simili coslruzio • ni sono da riporsi Ira' falli che più solennemente la potenza manifestino dell'umano ingegno, che vinse coli'arte i più forti impedimenti della natura, e arditissimo assoggettò al suo impero il furore dello instabile e spaventoso elemento. L'augurio al naviglio non tolga che auguriamo a Capodislria il prosperare di quest'arte, che per essa vedrebbero i cittadini aprirsi una larga via di proli Ilo e di patria gloria. Non man- (f) Così nel 1847. — Scellino di assecondare le premure de' migliori fin da' principii; mentre colesti sono di quelli avvenimenti, die, perduti una volta, per generazioni e generazioni non si rinnovano. Non agli altri membri della Commissione in una formale sessione, e passeranno insieme a vagliare tulle le circostanze volute dalla nobile signora inslitulrice per l'ammissione delle concorrenti. Ouellc che saranno riputale degne verranno registrate in separalo apposito elenco, che dovrà esser munito delle firme della Commissione. Indi si assoggetterà per una specie di revisione alla rappresentanza del Comune, da cui pure quell'elenco sarà sottoscritto. 7.° S intende da sè che se per avventura la giurisdizione ecclesiastica determinasse in questa città un numero di più parrocchie, allora formeranno parte della commissione (pianti (I) Onesto provvodinionlo \- delit-iOn e i^nvouìculissimo. fossero per essere ì pnrrochi, i (piali respellivamentc clovran-1*0 tenere il protocollo d'inscrizione secondo fu stabilito al quinto. Però al parroco della Chiesa concattedrale spellerà sempre la presidenza della Commissione dirigente. H." Viene poi fervorosamente inculcalo dalla nobile signora inslitulrice alla Commissione predetta di adoperare nella scelta con animo libero da passioni e con tutta rettitudine di coscienza, onde mantenere solenne ed inviolabile la pia insti-lozione, il cui ultimo line si è il miglioramento del costume, ed una mercede a chi ha veramente seguilo i deltami di religione e di virtù (I). 9.° L'epoca per P estrazione a sorte resta fissalo alla prima domenica di maggio di ciascun anno. 40. ° Le insinuazioni all'Ufficio parrochiale per l'ammissione al concorso dovranno farsi ne' primi quindici giorni di aprile di ogni anno, perocché trascorso il quindici non verranno più accettate. 11 signor parroco poi l'ultima domenica di marzo annunzierà dall'altare al popolo per sommi capi la pia fondazione, e massime le condizioni richieste nelle ricorrenti. 41. ° Il giorno precedente all'estrazione vena celebralo un divino uffizio alla capella de'Servi in Duomo, ed il sacerdote celebrante verrà rimunerato con fiorini (piatirò di convenzione dall'amministratore della presente pia fondazione. Il cclebranlc dovrà supplire a quella sportola che si esige dalla chiesa per una scoperta (2). -12.° L'estrazione avrà a seguire con solennità e in luogo pubblico, (piale sarà a ciò deputato dalla rappresentanza Comunale. Verrà tenuto regolare protocollo da conservarci poscia negli alti parrochiali. Si accennerà al numero totale delle insinuate ed a quello delle giudicale meritevoli di aspirare al benefizio, e registrale queste in separale schede verranno poste in un'urna d'onde se ne leveranno sei ad una per volta, che indicheranno le sei elette, alle quali per conseguenza verrà rilasciato un documento firmalo dalla Commissione, mercè il quale sieno in grado di conseguire a suo tempo l'assegno dolale. Contemporaneamente verrà loro data in dono una crocetta d'oro conforme all'esemplare che verrà costantemente custodito presso la Commissione dirigente (5). (J) hi ciò lo spirito e la importanza della illutazione. (2) Così il popolo e tutti conoscono che l'opera della carità raeco-4'Ogliesi sotto l'egida detta religione, ed è questa una prerogativa nobiltà* ftima. Chi separò la carità dalla religione, e fece la carila puramente vivile le tolse gran parte della una vita. (ti) Questo giorno divenne per Capndistria propriamente un giorno 43.° Quelle che usciranno favorite dalla sorte e che a-vranno l'età compila di veni'anni, potranno ottenere l'assegno dolale appena seguilo effettivamente il matrimonio, in qualunque tempo avvenga, sempre però innanzi che abbiano tocco il vigesimoquinlo anno. Quelle pòi che all'atto del concorso contassero véntun anni compiuti, e cosi avanti lino a ventiquattro, non potranno fruire dell'assegno di dote che pel solo periodo ancora di tre anni successivi. i A.0 Trascorso però il limile superiormente assegnalo senza che sia realmente avvenuto il matrimonio, che solo dà di ri l lo al conseguimento della dote, resta stabilito che dei dueceulo fiorini costituenti un assegno dotale, sieno passali in libera, assolala ed immediata proprietà e consegna di quella che non si fosse accasala fiorini cenlo effettivi, dovendo gli altri cenlo essere versali in un fondo così dello di deposilo nel monte privalo di pia fondazione della slessa nobile contessa Marianna de Grisoni-Pola, di cui si farà cenno in appresso per avere quella ulteriore destinazione che la nobile signora inslilulrice crederà opportuno di stabilire a suo tempo. 45.° Il pagamento dell' assegno di fiorini 200 verrà fatto così che una metà, cioè fiorini 100, sieno esborsali subilo dopo seguito il matrimonio, e i residui fiorini 100 selle mesi in appresso, salvo che la Commissione delegala per ragioni che riguardano il buon costume ed una condotta intemerata, giudicasse non devolvibile la rimanenza dell'assegno. In un tal caso la rimanenza passerà nel fondo depositi di cui si parlò nell'articolo precedente (1). lo.0 Curerà T amministrazione del monte privalo che i capitali a lei affidali sieno acconciamente girali onde i sci assegni dolali possano essere ad ogni evento pronti per essere consegnali a quelle che per il favore della sorte ne hanno già acquistalo il diritto, quanto anche per corrispondere a ciascuna di anno in anno l'interesse di cui il capitale costituente l'assegno dotale di fiorini 200 dev'essere suscettivo, il quale peraltro si dovrà corrispondere alle dolale in ragione del solo quattro per cento, dovendo il di più versarsi nel fondo depositi più ripetuto. Un tale interesse percepiranno le dotate di fesla e dev'esserlo. 11 parroco premetto all'estrazione alcune parol« pronunciate alta presenza dei pubblici funzionari e da ciò acquista il solenne atto maggior decoro e profitto. (1) Questo capitolo è della maggior importanza. E quello che il Tmmnaseo specialmente encomiava nel suo discorso dei sussidii doluti, a tutta ragione, — il — »I ì.n maggio di ogni anno successivo all'estrazione solo nel caso che non si sicno per anco collocale in matrimonio. Accadendo però questo nel corso deiranno non polranno elle fruire dell' interesse decorso per quei mesi che precedettero il malrimonio, ma riceveranno invece il puro assegno di dole .senz'accessorio d'interesse, giusta il disposto dell'art. Hi 17. ° Mesta determinato che quella dessa, cui sarà stala propizia la sorte, conseguirà l'importo intiero nel lasso di quattro o di tre anni, a senso di (pianto fu stabilito all'articolo 13." ed in causa di seguilo matrimonio; od altrimenti sia per la Iraseorrenza del termine, o\veramente pel non verificatosi matrimonio la sola metà, cioè con fiorini i()(), sempre che per vàlide attestazioni risulti il suo diportamento sì regolare ed onesto, non diversamente che -dovette esserlo al mOmeulo in cui lii giudicata meritevole di essere ammessa al concorso (I). 18. " Intendendo la nobile signora inslitutrice che gli assegni dotali, di cui è discorso, riescano di vero sollievo a quelle che meritamente gli hanno conseguiti e non sieno con leggerezza Sprecati, non può a meno di non esternare un suo desiderio, un suo consiglio, ed è, che una tenue parte di quella somma sia pure impiegala all'eventuale istantaneo bisogno di corredo, ma che il rimanente venga con opportune guarentigie cantato a riparo di future distrette e necessità. Anzi viene raccomandalo alla Commissione d'interessarsi perchè V esternalo desiderio non rimanga deserto di effetto (2). di)." Se per avventura qualche porzione di assegno dotale restasse intieramente vacante, attesa la morie della già e-letla a godere il beneficio o altrimenti attésa la sua mala condotta provala, esso passerà al fondo deposito. 20. ° Se nel corso deiranno dovranno essere numerali degli assegni, l'interesse decorso dal giorno dell'estrazione fino a quello della falla domanda doli'assegno non sarà dovuto altrimenti alla petente, ma invece al fondo deposito. E ciò in armonia coli'articolo iò\ 21. ° La ripartizione e soluzione degli assegni, delle somme vacanti, degli interessi ecc., dovrà seguire sempre per parte della speciale Commissione unita. 22. " Qualunque, una volta favorita dalla sorte, non potrà sotto alcun colore porsi nuovamente in concorso. 23. ° Il documento che sarà rilascialo dalla Commissione (I) Non mancherebbe qualche esempio di grazia per motivi giustissimi perduto. 00 Questa egregia disposizione o questo pio desiderio viene in appo-trio di quanio è stabilito nell'articolo quindiceainioi — ìli") — alla dolala in prova del conseguilo diritto all'assegno di dottò non è girabile in veruna forma, siccome quella che contempla un diritto personalissimo. 2.4," Essendo voto e volere della nobile aignora inslilu-trice clic la somma degli enunciali fiorini ventinoveiuila pre-slino una utilità secondaria, olire quella che in principalità costituisce la base della presente sua fondazione, così resta Convenuto e stabilito die una parte di essa, da destinarsi, verrà impiegala e girala in un monle di privata insliluzione della stessa nobile signora Marianna contessa de Grisoni-l'ola. 23.°. Questo monte s'intitolerà dal nome della iuslitulriee, cioè monle privalo Marianna con lessa de Grisoni-Pola. Esso è collegalo essenzialmente colla principale fondazione dei sei assegni dolali, poiché appunto dai censi rilraibili dal giro della somma in effettivo e da quella dei capitali ipolecarj, andrà a comporsi l'ammontare occorrente per gli annui sei assegni. 2U.° 11 monle privalo avrà nonne e discipline speciali contenute in un regolamento che si unisce alla presente scritta. In quel regolamento sono indicati i modi, onde il mordi; dovrà condursi, sia per il giro della somma in effettivo deputala alla formazione dei pegni, sia anche per l'amministrazione dei capitali ipotecarj dali in assegno e complemento dell'intera somma, che si destina per la pia fondazione. 27." Nel monte vi sarà una cassa separala della fondo o cassa di deposilo, in cui saranno falli tulli que' versamenti, dei quali sparsamente nella presente scritta fondazionale è tenuto discorso. Una lai cassa avrà suo separalo registro, cui terrà in buona regola 1"anuuinislralore del monte. Il danaro di deposito sarà posto in circolazione anche esso, ed avrà quella destinazione che crederà di determinare con apposito allo la nobile signora iuslitulriee..... ÓÒV' La particolare Commissiono destinala a sorvegliare alla esalta osservanza di tutte le disposizioni comprese nella presente scrittura, e a reggere "eziandio il monle privato a seconda delle norme, che nel regolamento di quelle sono imperate, s| comporrà, come è slato già dello, di (piatirò cittadini di Capodislria probi, costumali, di civile condizione e d'intera lama, Quindi la nobile signora istilutrioe compone lin du ora una tale Commissione (presieduta s'intende dal signor parroco prò tempom di questa chiesa coneallodrale ) e prega di accettarne l'incarico i signori dottori Andrea de Manzoni, Giuseppe conte del Tacco fu Francesco, Pietro de Venier ed Antonio dottor de Madonizza (I), sicura che vorranno di buon grado (l) Persone degnissime di tutta la pubblica « privata nonfltenia. e per atto di carità annuire all'invito, e vorranno farsi per ciò giusti interpreti delle pietose sue intenzioni e custodi di tutto quelle misure di prudenza, che si credette necessario a-dpìttare per rendere ferma, perenne e rispettabile la presente insti tuzio ne, 34.° Perchè sia come conviensi provveduto alla permanenza della Commissione in discorso, i membri end'ella si compone sono a vita. Però, ove l'uno o l'altro sia per sue particolari occupazioni, sia per allontanamento da questa città, intendesse di, esonerarsi dell'Incarico, o infine passasse da questa vita, allora è riserbalo agli altri il diritto di-proponi ed eleggervi un sostituto, adoprando in ciò con molta circospezione, affinchè esso riunisca quelle doli di spirilo e di cuore, che rispondano alle intenzioni della nobile signora ih-slilutiùce. 3ò.° Se la nobile signora de Crisoni-Poln stimasse necessario di recare qualche modificazione alla parte disciplinare della presente fondazione e del regolamento pel monte privato, sarà in suo arbitrio di farvi quelle appendici od addizioni che meglio crederà senza che per questo resti alteralo ciò che costituisce la base e l'essenza della fondazione riguardo al capitale costituito ed ai sei assegni di dote, ed a (pianto subordinatamente vi si riferisce. Ina gita al colle di S. Tommaso ed una idea generale dell' agricoltura istriana. Capodislria, 31 marzo -1847. Furono parecchie le corse e le passeggiale che impresi lungo queste amenissime piaggie"c questi colli ubertosi e deliziosissimi, e più ancora sarebbero stale, se quest'anno la primavera non fosse uscita si lardi a ristorarne d'un triplicato e penoso inverno, che anche qui, per quantunque d'ordinario corra untissimo, fu crudo assai e dominato, massime in febbrajo e marzo, dal soffio d'un vento boreale che per coloro che non ne sono usi torna di non lieve incomodo, benché gli indigeni ed nuche le donne del celo più elevato lo sfidino valorosamente. Le navi stavano ancorale pel timore de' I\'on è edito cotesto l'ultimo dui provvedimenti a guarentigia di ogni |>iù delicata oper« ili beneficenza, — o7 — vcenienlissiini Ixitil dietro la punici grossa che offre cerio riparo a' naviganti; ed uomini e donne tranquillissimi, come se nulla fosse, passeggiavano per le vie. Kd in ciò v'ha un olirò degli innumerevoli falli che provano la potenza dello abitudini. Da noi ci saremmo serrali in casa, ed il ceto femmineo, in ispecial guisa delle condizioni più elevate, non avrebbe osalo, non dico il capo, ma uè anco mostrare un braccio; qui invece s'aggiravano e donne e fanciulli franchi e non tementi di nulla. Mi dicevano quesl'è la burrasca di S. Gregorio, poi guest'è quella di S. Giuseppe, indi quesl'è quell'altra della Madonna, per cui una sera un po' islizzito colla burrasca soggiunsi: che se ciascun santo aveva la sua, tulio l'anno sarebbe stalo una burrasca sola. Il verno corse davvero e lungo e stranissimo dappertutto, e dove in marzo qui è piena la fioritura, segnatamente agli ultimi del mese, e i circostanti colli, (pie' particolarmente di Cisterna e di Olirà ridono delle promesse de' persici, de' ciliegi, de' mandorli, delle molle altre piante fruttifere, e della pallida lanuggine degli olivi che nell'eterno lor verde sentono pur essi il mutamento della stagione, questa volta fino all'altro ieri lutto era morto. Speriamo che in breve vivrà, e la vita di;' campi verrà ad allontanare la minaccia che spaventa noi italiani con una gran parte delle altre popolazioni europee. Qui non pertanto po' legumi primaticci all'è spacciala, e parecchi posseditori di un Campetto a livello od a fitto, che delle versure, degli asparagi, e de' precoci piselli fan loro tenue sì ma necessario commercio con la vicina Trieste, commercio che vale al provvedimento della povera famiglinola, quest'anno videro andare deserte le più belle speranze loro. Verranno i piselli, ma lardi e forse tulli ad un tratto, e non più quelli clic seminati furono arsi dal vento; raccoglieranno dal campo un qualche altro prodotto, ma non mai tale da risarcire il danno sofferto. Basta, non è d'uopo guardare le cose per la sottile, e dove la raccolta maggiore dei grani, de' pomi di terra, dell'orzo, delle olive ed anco de' vini fossero abbondevole i due primi segnalaiuenle. non sarebbe da lamentare che i minori avessero fallilo. Iddio benedica all'aspettazione ed ai desideri! comuni, (tra, dalla digressione lunghissima vengo alla mia passeggiala per descrivere in qualche guisa lo stalo in che trovasi in questa provincia l'agricoltura; ne sceglierò anzi una che fu delle più profittevoli, deliziose ed alle a presentale, se non tulli, molli argomenti per un giudizio che non vuol essere senza appello e cattedratico, ma d'un galantuomo che osserva, dimanda e dice per giovare se possa. Il passeggio lo impresi per san Michele. !'r {l'orse le praterie). C s. Toma (san Tomaso), e nV ebbi a compagno un egregio uomo il Dezorzi, agente generale della benefica e doviziosa famiglia Grisoni, ed il marchese Andrea Gravisi, uno dei più dotti ed operosi agronomi che vantino le coste istriane, e (pianto modesto, altrettanto ricco, gentile e carissimo. Sono tre gli epiteli; pria di scriverli li ho ponderali dell'animo, e li lascio perchè in tutto convengono alla persona che, come ora, cercherà, e ne sono sicuro, di non demeritarli per quanto gli duri la vita. La cob-lura de' vigneti, degli olivi, de' gelsi furono gli argomenti delle principali nostre considerazioni, Pe' luoghi onde si discorreva vidi ciò che veder si suole pressocchè dappertutto, campi fiorenti, collivalissimi che l'occhio innamorano, e l'animo, che si compiace di vedere volte le industri cure alia nostra gran madre la terra, che ricambia di una certa e pingue mercede chi la tenga ben custodita, c vidi ancora de' campi negletti, diradicali, incoltissimi che Pinfìngardaggio ne accusano e lo stollo abbandono de" loro padroni. Ed hanno sull'occhio il massimo argomento per desiarsi, l'esempio de' lo-» io contermini, hanno lo stimolo più veemente, il profitto de' lor vicini: pure non s'arrendono. Essi meriterebbero la pena che pagano dolorosa; ma il male tanno pagare agli altri, e tante braccia e tante bocche se ne lamentano, ed imprecano anche tacendo all'inerzia loro. Nullamcno giovi dirlo, perchè me lo impone la verità, che per me è più bella «piando torna ad elogio; allungai quinci e quindi lo sguardo per ampi tratti condotti ad un grado soddisiacentissimo di coltura in ispecial guisa negli olivi e ne' vigneti; che i gelsi sou rari, e mi trattenni poi sopra non poche suddivisioni di terreno da uno, due, tre campi, che qui chiamano giornate ciascuna, e che spinte erano al punlo estremo della forza lor produttiva. Dimandai la ragione di ciò. Quella che Montaigne addusse con un latto a provate che per essa il terreno di sterile diviene ubertoso, e, dove si tolga, di ubertoso ritorna sterile, lo non trarrei la cosa tanfollre, massime a' di noslri in che vediamo possessori di vastissime terre averle per gran parte ridotte a giardini. Pure dirò che la ragione di questo tallo, che qui si scorge trequcnlissimo, è la suddivisione de' campi in Jim) i glie che li coltivano, per lo che non è rado che cinque o sci individui seu vivano sovra una e mezzo o due giornate di terreno. Cosa che parrebbe difficile a credersi, dove non tosse veramente tale. La popolazione di Capodislria ascende a 7000 abitanti allo incirca; due terzi, ed alcuni vorrebbero più ancora, appartengono a quella condizione che qui appellasi de' paoluni, parola che venne a contrassegnarli dal breve corronipimeulo di popolani. Ciascuna famiglia di essi procae- *r o9 — cinsi, tasto che il possa, on campelto, ma il vuole a livello, perchè forse altrimenti il rifiuterebbe, e ottenutolo da fondo a* sudori ed a tutta la sua industria per coltivarlo. Dipartasi il buon padre la mattina per tempissimo di casa, e seco piglia, se ir ha, i ligli atti al lavoro; un bottaccino di vinello, un pane di gran turco e gli arredi rurali sono la sua, mi permetta il nome, la sua munizione per tutto il giorno. Non rivede la casa ed alcun altro di casa che sulla tarda sera, in che il lavoratore è atteso da una minestra di fagiuoti, d'orzo od altri legumi che sieno, mentre passò la giornata sotto la sfèrza del sole od al soffiare del vento frangendo le dure, e Soii propriamente tali qui più che altrove per l'indole del terreno, le dure zolle con una marra pesante e di manico cortissimo, per cui l'arco della schiena è incurvo, e il sudore cola precisamente dalla fronte sulla zolla, non dico spezzata, ma trituralissima. S'addentrati nel suolo, il trinciano, il volgono sossopra, gli sono sempre d'attorno, e se a questi patti non desso il tesoro, è sicuro che noi possederebbe uè anco, ma possedendolo, è per ciò che lo mostra, e lo mostra nella vegetazione piena e lussureggiante de' campi posseduti alla sparlila da codesti popolani che sanno bene ciò che al tempo, all'indole del terreno, al maggior loro profitto convenga. Nè farebbero certo altrettanto in campo non proprio o allogato giusta le condizioni superiormente indicate; poiché nè i popolani condotti a mercede, nè i contadini governano d'egual modo i possedimenli de' lor padroni. Ciò sia delto de' popolani, che per proprio conto fecondano delle fatiche il territorio di Capodislria, ma altrettanto e più dee dirsi de' lavoratori d'Isola che nell'industria agricola della costa istriana tengono il primo posto, dee ripetersi de'Piranesi e di quo' di Montana. Con questo ed altri discorsi procedevasi nel sentiero, e giungevamo alle campagne che in Prude appartengono al marchese Gravisi. Oh i bei filari di gelsi che rigogliosi e robusti si protendono disposti con maestria e tenuti con somma accuratezza! Parecchi forse de' primi che egli piantava crebbero un po'troppo e troppo si allargarono dalle cime, tuttavia in generale pnossi dire che sono elevali a giusta misura, sodi nel tronco, spessi di rami e pieni, come li vuole la natura, non già monchi, diserti, intristiti, come li fa la soverchia arie. Il Gravisi è de' primi e più appassionati educatori di gelsi di queste spiaggie adriatiche, e per questo i buoni Io encomiano, i migliori lo imitano. Studiò e studia, s'accinse a prove e le rinuova con assennala misura, fa più di quel che non parli, e così gli procederanno i lavori nel meglio, ed apparecchierà a' proprii ligli un mezzo di nobile, ed utile occupazione. Co' gelsi di- posti a lor sili ne* filari visitava i vivai, che erano in lai con* dizione da non desiderarsi la migliore, anche per ciò che riguarda quel terribile morbo attacaliccio che appellasi la moria, e ne distrugge le intere piantagioni, morbo alla cui guarigione il signor Lenii, giusta una delle ultime dispense del Giornale Agrario toscano proponeva, perchè da lui spcrimcn-Iat.ì, la spaccatura da cima a tondo dell'asta tutta del gelso, dal lato j>erò di settentrione, perchè il sole non tolga il buon ellètlo che dee produrle la medicina. Siffatto rimedio eroico merita più d'una prova e pel seguilo di parecchi anni; ma dove tosse la vera, sarebbe essa curiosissima: questo è proprio il taglio che squarcia e sul da senno per risanare. Finora gl'istriani non ne hanno d'uopo; telici se non lo avranno ne]»pure appresso, Esaminai le piantagioni del Gravisi, e le altrui che si trovavano lungo la via percorsa, e assai di rado mi scontrai dell'occhio in pianta che pur segnasse un minaccioso lagrimare per sovrabbondanza di umore, e chiestine i compagni e mentori miei risposero che la pianta segue ad essere rigogliosa, e sin qui si è sempre guarita da se. Attribuisco cotesto fallo alla natura del suolo, di cui parlerò appresso, dopo averne accennato un altro che riguarda gli olivi, 'Vii ricordo aver udito in un Congresso scientifico, mi pare di Padova, (piando trattassi delle macchie e del successivo ab-bruslolimenlo delle foglie di questa bella beneficenlissima pianta, che alcuni propugnarono con assai forza di parole il concetto che il danno venisse dalle acque marine sollevate dall'infierire de' venti e spruzzate su pei rami e le foglie più delicate. Qui gli olivi forse più belli son quo' che stanno più presso al mare, e più belli non solo pel rigoglio, ma più fecondi; e sì non mancano i fortissimi venti boreali, e vi sono lungo la costa parecchi sili ove il mare stèsso s'ingolfa, e proprio sopra il mare dal prossimo olivo dipende la pianta a tale che talora si valgono delle barche a raccoglierne i frulli. Se il mare qui non è d'altra natura,, mi sembra che l'argomento non ammetta risposta, poiché non è un argomento solo, ma una deduzione indeclinabile di solcnuissimo fallo. L'inaridimento altrove delle foglie degli olivi verrà dal soffio del \culo, che non è il boreale o il maestro, che qui sono i dominatori, e dissecca; verrà dalle miriadi d'inselli parassiti che si lanciano,, annidono, si moltiplicano, distruggono tulio. Gli Istriani però che vanno scevri per gran parie di cotesto danno, sogliono a coltivare operosamente gli olivi loro; nè permettano mai che il gelso, come da noi, venga ad usurpare i diritti delle altre piante tutte. Il sapiente agronomo sapra scompartire e dare il suo a ciascuna pianta, nè pennellerà mai — ti i — die Pintroduzione di nuove specie, per quantunque utili, sbandisca la coltura di alice specie che diedero rinomanza alle province, procacciarono il sostentamento e grande profitto a-gli avi, e sono come gli abitatori indigeni a petto dei forestieri. Questa sarebbe ingratitudine e stoltezza. Conservino n-dunque gli Istriani e facciano più sempre prosperare gli olivi loro. Manterranno così quella gloria per cui Marziale, nel libro decimosccondo, e se non erro nel sessagesimo quarto degli epigrammi, scriveva: LNCTA CORIU 'LA LAETIOR VENAFRO 11ISTRIA NEC MINUS ABSOLUTA TESTA, e Plinio dopo di aver dello con sentite e bellissime parole che: Principal um in hoc quoque bonwn obtinuit Italia tota orbe maxime agro J'enufraro, aggiungeva: Hcliquum cerla-rwn inter hlriuc terram et Bocticae paresi, lih. XV,cap. II. Si ricordino pertanto gli Istriani di questa gara aulica degli olii loro, e nel miglioramento della specie, nella coltura, nella confezione di questo prodotto, che per essi potrebbe addivenire più ricco di molto, giungano, com'io ardentemenle lo bramo, ad ottenere la palma. IV gelsi ed olivi non scemino delle proprie cure verso le viti. Il Rapido per esse cantava: Pende da' nostri rigogliosi rami Miglior che altrove la vendemmia, e invano Cerchi che un altro in uberlà P eguagli. che se Plinio in quel suo per nomi ed erudizione meraviglioso libro XV, ove parla delle vili, delle uve e de' vini, scriveva, del prosecco che si raccoglie in tastel Duino : Livia Angusta, {giacché scn viene Finterò brano mi permetta di riportarlo, che fin d'ora le do parola di essere assai più diseretto in avvenire) LXXXII annos vilae Pacino vino relulit acccplos, non alio usa. Signitur vinum adriatici maris, non procul a Ti-mavo fonte, saxeo colle, in marilimo afllatu panca» coquenle uniphoras: nec aliud aplius medicamenlis indicalur; non è {orse minore il pregio del refosco, che si spreme lungo la costa istriana. Se prolunghi gli anni, come a Livia Augusta li prolungava il puccioncse prosccco, lo ignoro; penso però che, quand'anche lo abbia, il pregio non sia abbastanza conosciuto, poiché lo smercio ben sarebbe più largo ed il prezzo più alto. La cosa invece è altrimenti: il vino allctta del suo sapore, ma è possente ne IP energìa, quindi è incentivo allo a- — m - buso, e nell'abuso allo scemaniento delle forze e della vtlrtj Per ehi non conosce la potenza de' vini istriani, l'inganno è pronto; ina veggo che gl'indigeni slessi, massime i popolani, si lasciano, come altrove, giocondamente e frequentemente ingannare. Non è poi che il refosco adempia il repertorio degli eletti vini di qui; il moscato^ la malvagia, il tarano ed altri parecchi sono prelibatissimi. Basterebbe che la pubblica opinione li mettesse in commercio per togliere il vanto alla massima parte di que' vini stranieri che vengono a contaminare le mense italiane, e che si dicono e si devono dir buoni, perchè si pagano molto e portano un nome che non è nostro; si devono dir buoni con tutta l'asprezza che ci lasciano per la bocca, e con tutto il soqquadro che nelle loro aflaturazioni ci mettono nello stomaco. Ella, signor cavaliere, lece moltissimo, e gran parte d'Italia Io sa, per una Società enologica che guarentisse un po' meglio gli interessi e l'onore nazionale. So che gli esperimenti non riuscirono come erede-vasi uè riusciranno, se non mutisi l'opinione, e l'opinione contraria è una grande calamità, allora in ispecial guisa che si ponga il malinteso, e il pubblico e privato interesse ad aizzarla. Da' vini passerei a dirle alcuna cosa delle uve, ma qualora le avessi parlato della calcioncsa, della ribolla, della pirclla, della chernatissa, della cinidiva, della tribiana, della imperatoria e di che altre so io, mi avrebbe inteso? Oh la necessità di un dizionario che fàccia sì che nei termini dell'agricoltura e delle arti ci intendiamo reciprocamente! La proclamai questa necessità, forse con troppo forti parole, al congresso napoletano, motivo per cui ebbi ini avvocato di là che sorse a combatterla; ma fu propugnata da non pochi i!-luslri ingegni e Ira gli altri dal Mancini che promette di preparare a quest'uopo un lavoro. Speliamo, che il Mancini sia uomo che mantenga la data fede. (1). Gessata adunque questa inintelligibile nomenclatura, le dirò che le viti d'ordinario si accompagnano ad opii; anche altri alberi prestano il loro appoggio, ma questo è il prediletto. L'albero dal cespo si e* leva in tre o quattro braccia, d'onde partonsi i varii tralci a congiugersi con que' della vite più vicina che facilmente all'altra si amica, per offrire in autunno il più vago adornamento a fesla delle campagne. Questi festoni poi, e in generale l'ammogliato albero e la vite si tengono bassi, ciò pc' (1) Lessi in questi {,'iorni riproposto quel mio concetto. Bramerei vivamente di vederlo, come suol dirsi, incarnato. Ora la necessità crebbe di molto. velili che soffiano, ed anco, pei raggi del sole che più rimbalzino a farsi vino nelle uve. Al cui proposilo mi ricordo ciò che ho veduto in Chianti, e quel buono e bravo Lapo de Micci, la cui morte, non è mollo, avvenuta fu una vera sventura pegli agronomi, scriveva al Barbieri : « giunger ivi li più pazienti ed appassionali pe' loro vini a por sollo le uve che rasentano il suolo delle bianche pietre, perchè in esse uve tutta riflettasi la virtù del maggior astro.» Che se tanto è il merito in que' di Chianti, qui non è minore nelle piantagioni. Oh vedesse i lavori che si richiedono per purgare un campo, per iscavare una fossa! Il piano e massime il dosso de' colli,, è ingombro quasi a lastrico d'enormi massi che hanno una scala discendente lino alla congerie spessa e soda di accatastale pietrucce. È per ciò che usano quelle forti loro lappa del manico cortissimo; mentre per altro modo non potrebbero andare innanzi. Buono che le scavale pietre olirono i materiali pe' muri a secco, di cui sono ottimi costruttori per que' riparli, ed interramenti, e prolungate ajuolc di che sul declivio le viti assccurano e gli olivi e le altre piante fruttifere. Lo so ben io che fui testimonio di cotesti scavamenti, e disgombri di suolo, che quando un campo è ridotto, sa del suo prezzo pel padrone, e pel popolano del sudore della sua fronte. Il frumento, il grano turco, gli orzi, i fagiuoli, i piselli, le palate crescono e si coltivano, poiché questi abitatori fanno di simili prodotti la provvigion loro. Non è dunque che non lavorino, che anzi, i popolani segnatamente, sono instancabili, e se veggono de' traili incolli, se de' terreni che potrebbero trarsi a ragguardevole miglioramento, la colpa è de' ricchi possessori o delle braccia che mancano all'opera. Qui dunque non siamo nel caso di rilardare ad impedire i maininomi per tema che la terra, inesauribile nella sua richezza, venga meno al mantenimento della crescente generazione. La parie in che si difetta assai, e per cui deve risentirsene l'agricoltura in generale, è la trascuratila de' prati e per conseguenza delle mandre. Non mercati pe' cambi, non belle stalle nella costa istriana, non verdeggianti pianure annientatrici di quegli animali che anche nell'agricoltura sono destinati a servigio dell'uomo, e gli tolgono dagli omeri il gran peso, e lo ricambiano di tanti innumerevoli vantaggi, Si dice incito a' prati il clima ardente e la mancanza di correnti acque. Sarà, ma pure vi sono temperamenti che non si provarono ancora. Oh ci fosse mezzo da eccitare anche qui per quanto Io concede il terreno, gli agricoltori alla emulazione de' Lombardi! La terra, ne sono persuasissimo, da per tulio non può dar lutto, ma neh"Istria, ini pare, in siffatto argomento po- — 0-4 — Irebbe dare mollo di più. Di ciò altrove. In attcsto luogo le parole volevano rannodarsi alla salila di S. Tommaso e al suo punto culminante di dove dall'una parte vedesti! mare, la ridente città che su spunta da esso, i sottoposti vaghissimi colli; dalla opposta un'amena vallata con colline, monti, villaggi che presso alle falde, come Roste, a mezzo come Maresiro, alla cima Anlignano l'adornano, e ben volentieri correrebbe alla dipintura del loco e ad esporre le mie impressioni la penna. INon voglio prevenirla nel piacere: venuto qui, sJaccompagni al Gravisi, imprenda una gita alla velia del colle di S. Tommaso e là si ricordi del suo. . . . IV VlVGCIO DA CaFODISTIUA A DaILA PASSANDO PER SANI'ONOFRIO E LA VALLE DI SlZlOLE, Baila, 7 aprile 1847. La lettera vorrebbe essere spiccatissima, come fu la gita sollecita, vorrebb'essere tinta di quella brillantezza che la compagnia di persone (pianto care, altrettanto gentili e cortesissi-me, e la vista di luoghi per me nuovi e ad una varietà curiosissima atteggiali seppero infondermi. Tenterò di farlo e se non ci riesco, la colpa non stira mai del volere : segno che la tarda ora in che scrivo, e la lunga corsa, e l'anima uscita per una gran parte nelle vedute cose, e la naturale inettitudine non rispondono ai desiderii. Il 7 aprile, eh'è oggi appunto, partivamo di buon mallimo da Capodislria, ed io porgeva un salulo aliclluosissimo alla cillà che sì ospitalmente mi accolse, e domanda a buon diritto tutta la mia riconoscen-*za. Mi ricordai li seguenti versi del padovano Forzale c glieli ho ripetuti ; O de' mici lunghi e fortunati errori Caro e iido ricolto, Egida bella, Pur giunto è il di che intempestiva stella Mi toglie a queste Spiaggia, a questi lìori. Che più mi resta, {soletta felice, Delle grazie o d'amor nido verace? Che dir? rimanti in pace, Ogn'aura spiri alle lue glorie presta; F se a lingua mortai d'impetrar lice Grazie lassù da chi quaggiù le infonde, Mentre il sol gira e porta caldo e gelo. Sian sempre a queste sponde Cortesi amor, il mar. la terra, il cielo. Lasciate al Forzate alcune poetiche espressioni, ne rifeti-ni per me pure la massima parte, e F augurio fu pieno e cordiale. Salivamo la via di Salara affine di toccar la vetta della collina. II sole che limpidissimo uscito era a far bella di se la valle, ad indorare Pinegual dosso de* poggi circostanti, ed a riflettersi ne' monti più lontani, le cui alle cime appariano cojicrte ancora di nevi, ne apparecchiava una scena deliziosissima, scena che può valere a stupendo spettacolo, per chi non abbia altra volta visitato questa provincia, e che torna cara e grande sempre agli stessi abitatori che siono forniti d'anima per sentirla, tua valle condotta per lunghi tratti a graziosa varietà di coltura, un mare che s'ingolfa o di là appare propriamente un lago, poiché quinci e quindi è da' colli tagliala la vista del suo congiungimento coll'immen-surabilc spazio ondoso, una città che vi si specchia, una ca-lena di colline collivatissime con i gioghi più eminenti e il dosso adorno di paesucci e di abitazioni, ed altri cento e mille oggetti circostanti bevuti avidamente dagli occhi e dall'anima più avidamente ancora, formarono per me tale un accoppiamento di bellezze da non mutarle con quelle del più grandioso tealro delle nostre capitali. Quest1 è la parte del sentimento; havvene però un'altra ed appartiene all'industria agricola. Come più si procede nel sentiero, che non è assai disagioso per quantunque sia lunga la salita, si va grado grado perdendo la coltura che trovasi alle falde; tuttavia non è che non si moslrin de' tratti che portano il segno de' sudori larghissimi, da cui ricevettero la propria fecondazione, ch'è prezzo di sudore il ridurre a coltura il suolo e conservarlo coltivalo su quella china. Fd avvertasi d'avantaggio che, tranne qualche lieve eccezione, i lavoratori di quo' terreni si dipartono da Capodislria, o calano da taluno de' paesucci vicini a due e talvolta più miglia di lontananza; e, poiché trapelarono per giungere al podcruccio, hanno per ristoro del viaggio il mettersi alla zappa finché dura la luce de] lunghi ed ardcnlissimi giorni estivi. Salilo che abbiasi la collina, procede il sentiero di mezzo a macchiCj a cime e dossi montani in parte deserti, o meglio ordinato a vigneti e a chiusure che di bella vegetazione sorridono ed invitano l'altrui industria a profittar della terra che sta da latiti anni aspettando la mano clic la coltivi. Fasciasi quindi la villetta di Gabon, quinci •j Poltra tli Moulč die sbattuta dal sole prestatasi rimpallo vagamente dalla veltri del giogo che s'aderge «Ila sinistra, e calasi nella valle, che, se non erro, appellasi Yalderniga. Pria però che toccare il tondo, scontrasi a destra una piccola colonia di trenta o quaranta casucce, che nomasi de' Sorgessi, i cui abitatori si raccolsero su quel declivio per far sì, che il declivio si spogliasse del rude aspetto, e si abbellisse di olivi, di vili e di seminati. Oh l'ussero parecchie simili colonie trapiantate lungo le coste istriane, queste massimamente che guardano il mare! e le coste diverrebbero un delizioso giardino. Non so d'ondo venissero i coloni da' Sergassi, ma non puossi dubitare della derivazione d'altra colonia posla in sulla cima del colle a sinistra di chi viensi da Capodislria, e chiamasi Corte d'Isola. La cittadella che sorge dal mare e n'è tutta intorno baciata, che la del nome segno alla sua posizione, ed è abitala da gente operosissima, e nell'agricoltura in tutta F Istria famosa, mandò un suo distaccamento, mi si concedano le espressioni, dalla spiaggia alla vetta della sovrastante collina, e quella vetta ora è coronata da parecchie abitazioni, adorna di una chiesa, fornita di un popolo industrioso, che si pose in commercio ed in reciproca prolezione colla sua ma-dre-palria, Ma che? se ini trattengo più alla dilunga in siffatte idee che mi passano per la mente ciascuna volla che mi si offra un montano casale, una chiusa fecondala, una scena qualunque villereccia che passo passo mi si apra dinanzi, mi av-* veggo che la lettera, di spiccata diviene lunga, di brillante stucchevole, di varia monotona; che tanto quanto le idee si assomigliano, e se quegli in cui si destano, all'istante in cut si destano, prova una qualche diversità nel sentirle, questa non può essere che a gran fatica traila fuori dalla penna, perchè il linguaggio non sa trovar modo onde eccitare negli altri quelle delicatissime, dimando nuova licenza d'immagino c di parola, sfumatine per cui si diversificano, e insieme qua* si per capi estremi entrano l'un nell'altro i pensieri, e l'uno all'altro succedersi. Con tale successione di pensieri e di cose toccavamo la valle di dove faceva mestieri montare ad una vetta ch'era mio de1 principali e più vagheggiali progetti del nostro viaggio. Scendevamo dal cocchio, e chi volle fu accolto da carri che, tirali da buoi, su ne trassero per la salila. Felicemente giungevamo alla meta, cioè all'abitazione che co-, roiia la cima del colle di sani'Onofrio, castello antico, indi monastero, ed ora possedimento della famiglia Crisoni. La padrona di esso e nel viaggio e nell'accoglimento [(restato uvea con la generosità e gentilezza maggiore apparecchialo tulio che potesse renderci delizioso quel giorno, e per me uno — t>7 - dt?5 più cari e ridenti della mia vita. Oh nobilissimo amico, quale non fu lo spettacolo che mi si offerse allorché, affacciandomi alle finestre di quell'abitazione, vidi quanto ora l'orse tenterà indarno di ritrarre la penna? Vidi nel t'ondo di quella incantevole scèna l'interminabile estensione del mare con cento e più candide vele che gonfie dall'aure seconde e sbattute da' raggi del sole rappresentavano quasi altrettante ampie ed incurve ali, permetta se ne vada qual'è l'immagine, che i pescatori, i possedimenti, la casa loro si traessero dietro sull'instabile elemento. Raccogliendo dalle tremolo scintillanti acque gli sguardi si fermavano quinci e quindi sopra due punte che protendonsi nel mare e stanno quasi muraglie poste dalla natura a spezzare il cozzo delle onde ed a prot-teggere la valle che formano dei propri loro fianchi. Àia a chi guardi da sani' Onofrio in que' due fianchi montani presentasi una varietà di mirabile effetto; poiché a destra il dosso della collina, che se non erro appellasi di Parezago, mo* strasi rivestito di una selva di ubertosi e foltissimi olivi; a sinistra invece il Carso è nudo, sterile, desolato, e per ciò dell'un canto crederemmo starci la vaghezza d'un'oasi, dall' altro l'orror del deserto. Abbassando indi lo sguardo, ritratto dal mare e dalla collina, s'aggira per la valle, non grandemente ampia, ma bella, ma varia, ma ridentissima. Numero, mi lasci adoperare il gergo, poiché l'uso lo accetta, numero innumerevole di casucce popola quel trailo della valle che più alle acque si appressa. E le casucce, il dì che io le vedeva, eran deserte, ma nel maggio e appresso per lungo trailo d'estate sono liete di qualche migliajo di abitatori, che vengono qui dalla vicina Pirano non di rado co' vecchi, le mogli ed i loro teneri figliuoletti, a qui attendono al magistero, per etti le marine onde si cristallizzano, e cristallizale. sotto Je minute e regolari figure geometriche descrileci da' fisici, passano alle mense dei re ed all'umilissimo desco del povero. E a che vaghissime descrizioni non darebbe argomento celesta confezione meravigliosa dei sali, se l'unica vista del sito è cotanto deliziosa e poetica? L'Italia che vanta suoi cantori e amabili e celebratissimi di parecchie maniere di produzione e di coltura animale e vegetabile non potrebbe andar senza il suo cantore delle saline. Nella Romagna vi fu chi diede intorno ad esse alcuni versi latini; in Capodislria trovossi chi italianamente le descrisse, anzi in ottava rima, e nel descriverle si allungò per ben sci canti, 11 poema è compiuto, benché inedito ancora, e l'autore n'è il d.r Francesco Combi. Con quella gentilezza che gli è propria mi lesse alcuni brani descrittivi ed alcuni episodii pur anco, h questi e quelli m'apparve no- bile, franca, facile la parola, scelte e delicate le invagini, spontanee e per nulla faticose le rime, in breve tal lavoro, che ben merita la pubblica luce, che andrà ad empiere un vuoto, e sarà per guadagnare allo scrittore un posto ragguardevole dappresso a' più distinti poeti didascalici italiani. Il Gombi lu-singavami d'inviarmi alcuni squarci di quella sua opera; dove mi giungessero mai, non mancherò di metterne a parte anche lei, egregio amico, che dopo siffatto cenno ne acquisiva il diritto (!). Ora poi alla mancanza d'una o parecchie descrizioni poetiche, le quali come sieri degne di questo nome, tornano sempre care all'imaginazione e al cuore, sopperirà una esattissima sposizione, la quale polrebbesi dire anco statistica, che delle saline m'ebbi da uomo in codesto argomento versatissimo: è desso il signor Bortolo Dezorzi, agente Gridoni, Mi pare che la cosa abbia la sua importanza per chiunque brami averne qualche conoscenza : quindi è che la sposizione favoritami vale il migliore accompagnamento alla mia lettera. I nomi tecnico - volgari che vi troverà per entro, de' quali dimandai e fu apposta la giusta definizione, potrao valere per quelli che sludieranno alla compilazione di quel dizionario delle principali trti, per cui gl'italiani tuffi si possano intendere fra loro; ed io sarò lieto di portarci a quando il mio granello d'avena. Ecco un'altra delle mie non infrequenti uscite, non già dilungantesi dall'argomento, ma un po' stemperatrice del quadro che dapprima cercava rappresentare agli occhi di Lei, com'ìo il vidi dalla vetta di sant'Onofrio. S'è possibile, giacché il malanno è fatto, e non posso nè voglio porvi rimedio, s'è possibile, dico, permetta che rannodi le rotte fila, e ritorni all' amenissima valle, cui vedemmo bagnala a' piò rispettosamente dal mare, e divisa simelricamenle in canali, in ajuole, in mille e una casucce. Ella tuttavia l'ha {iresente coi due gioghi montani di Parezago e del Carso che a fiancheggiano. Su montando dalle saline per alle radici del colle di sant'Onofrio ci ponga sul dinanzi e nel piano ancora una larga estensione di vigneti, e sul declive della collina un bosco di olivi, al sinistro lato e di relro de' campi col-tivatissimi, e avrà formalo un lutto a cui dassi il nome di valle o saline di Siziolc; cioè una tale riunione di opere dcl- (1) Ed in fatto la parola datami dall'egregio signor Combi fu ma-tenuta. Avuti quegli squarci insieme al primo canto inviatomi per iutero scrissi una lunga lettera intercalata da que' versi dell' illustre autore al Sanseveriiio. Quella lettera o non giunse al suo destino o andò smarriti! io giorni gravi di bcu altri avvenimenti. -- m — la natura c delta umana industria atta ad eccitare negli ammiratori un commovimento vario, com'è vario il senlire, ma sentito sempre è dolcissimo. Quanti visitarono codesta valle, e la videro dal sito, ov'ebbi la ventura di vederla io in giorno sereno e dolco così, sapranno rendere testimonianza alla veracità de' miei detti: so che io non mi stancava mai degli occhi e dell'animo. Per quanto guardassi trovava sempre nuovi oggetti e vaghissimi e cari, e ci ritornai cento volle sempre più lielo d'esserci ritornato. Pria del pranzo parecchi di quel delizioso pellegrinaggio ci unimmo in drappello, e discorremmo in giro alla velia, e c'innalzammo per alcun trailo lungo il dosso del monte. La novità e bellezza delle vedute e la giocondità più tranquilla ne accompagnava dappertutto. Come il viaggio matlulino e la meridiana passeggiata,, fu lietissimo il pranzo. Levala la mensa, prendemmo la china affine di raggiungere d'altra parte i cocchi abbandonati qualche ora innanzi. Chi si valse per la discesa de' carri, chi delle proprie gambe. Io fui di quest'ultimi, che mi slava a cuore accompagnarmi ad uomini pratici di que' luoghi ed interrogarli, e vedere gli oliveli, le vigne e la maniera di coltivazione; e ben fui pago di questa scella. Ivi davvero si apprende a slimare l'industria de' Piranesi e degli altri agricoltori che siano. Quante cure intorno ad un filare di olivi, e quante non di rado intorno ad una sola pianta! Gli olivi posti in sul pendio ■aveano d'uopo d'eguale terreno per distendere le radici, e SC l'ebbero dalle ben ordinate ajuolc e tagliate in modo che le pioggic cadenti non le dilavino e giù difrauino, se l'ebbero dagli inlerramenli operati a forza di zappe e di schiene, quelle usate negli scavi e nell'adeguamento del suolo, queste incurve sotto il peso della terra vegetale che si tolse dalla vallata sottostante od altrove ed a tutta fatica si portò sopra l'erta; e non è infrequente Io scontrarsi in un qualche olivo, per cui la sola industria ha trovato un posto, e l'unico amore instancabile e operoso può alimentarlo. Avrei paragonalo per poco i cultori di alcuna di quelle piante al pastore dell'una pecorella, di cui parlava il Profeta, chiamato a rimproverare Davide. Vorrei che quelle piante coll'ubertà loro ricambiassero in parte le sollecitudini de' coloni, sempre, ma segnatamente dove sien poveri, se può essere povero davvero colui che è sì industrioso. Quindi è che mi spiacque assai vedere in sant' Onofrio i segni aperti degli insetti corroditori degli oliveli e struggitori della fresca loro vitalità; danno da cui fin qui andò salva Capodistria ed i paesi vicini; ma saranno, così non volessero i destini, forse raggiunti, poiché quelle miriadi de-solatriei si spingono in su, e ciascun anno acquislano terreno. Toccate le laido della collina cominciano i vigneti e son tali propriamente, poiché piantali a quest'unico prodotto. Ouesfo precisamente il rovescio di (pianto ha luogo da noi, ove i vigneti si dispiegano por i rolli. Rè la diversità stassi in questo soltanto, che havvene un'altra curiosissima, ed è il vedere sostenute le vili da canne. D'ordinario ciascuna vile ne ha quattro disposte a giuste distanze e sorreggenti i tralci. Mirare la vigna convellila in canneto è cosa davvero singolarissima. Sulle prime maravigliavano', perchè non usassero, preferita anco la coltura a secco, i legnami o pali delle vicine boscaglie; e in allo quasi di dolce rimprovero ne addimandai la ragione. Fattomi appresso vidi il ridicolo della dimanda. Per tenere in assetto, e di quella maniera siffatte vigne ci vorrebbero bene delle boscaglie, ed anche a patto di rimanere distrulle pochi anni appresso. A quest'uopo si lasciano crescere a canne alcuni traiti. La qualità del suolo vi si presta, e la provvidenza è vicinissima al bisogno. Sia dunque così. Salimmo i cocchi, varcammo la Dragogna, che ivi mette foce nel mare dopo essere slata lungamente benefica e operosa, doli ordinarie de' fiumi, me che nell'Istria crescono di pregio, perchè più rari; montammo il Carso, salutammo la deliziosa vallata di Siziole, indi Castel Venere dalle antiche e diroccale muraglie, e percorso non lungo tratto di via ci si fece dinanzi Huje, città che dalla elevatezza del sito ove è posta appellasi essere la vedetta o volgarmente la spia istriana. Visitava per brevi istanti la chiesa. Ne' muri esterni e segnatamente in quelli della torre o campanile vi hanno delle iscrizioni ed un grosso Icone effigialo in pietra, e dimentico dagli invasori: a' fianchi della maggior aradei tempio si veggono due staine ragguardevolissime del Melchiori, rappresentanti i due martiri Servolo e Sebastiano: quest'ultima è d'uno scorcio di felice arditezza. Di Buje, tranne ciò e le deliziose sue viste, non saprei che dirle. Permeila dunque che mi ponga in sulla via di Daila, ampia magnifica villa de' conti G risoni, e nella molla sollecitudine del corso le dia un saluto cordialissimo. V. Nozioni storico-statistiche delle saline dell' IstMa. Le saline dell'Istria sono composte dei due stabilimenti di Pirano e di Capodislria. Il primo si suddivide in tre vatli, rioè in quella di Sbagliano lontana due miglia circa all'est di Pirano; in quella di Fasaoo lontana circa altre due miglia pur da Pirano «ti sud-est, e la più grande delta di Siziole pure mila direzione di sud-est di Pirano lontana da questo cinque miglia allo incirca. Il secondo stabilimento, cioè quello di Capodislria, è l'ormato, meno qualche trazione, da un solo corpo di saline, trovandosi le prime pochi passi lontane dalla cillà e stendendosi pressocchè ciieolarmenle per quasi tre miglia attorno la città slessa nella direzione di est, sud-est e sud. Lo stabilimento di Pirano più grande, più bene conservalo, e meglio regolato di quello di Capodislria compiendo un'area di Mailer quadrati 1,7.46,305. L'area di quello di Capodislria è di Klalìer quadrali 70!), 134. Le due rispettive aree sono divise in circondarli o con-trade, in [andamenti, e questi in cavedini (I). Il circondario varia nell'estensione dall'uno all'altro, essendosene di molli estesi e di assai ristretti. Il fondamento è una parte del circondario, ed anche questi fondamenti variano in modo che tulli sono di una dil-lerenle estensione. 11 cavedino è una parte del fondamento; anzi per essere, mi sia permesso il dirlo, la parte più nobile e la più essenziale del fondamento, si dice sempre il fondamento di cavedini tanti piultostochè il fondamento della tale area; essendosene dei fondamenti^ massime in Capodislria, dalli cinque fino alli quaranta cavedini. Un fondamento, abbia pure qual si voglia numero di cavedini, deve essere diviso in selle parli possibilmente eguali, cioè: i.n losan; L\° moravo di fosso; 3.° inoraro di messo; A" sopra e (tritolo ; 5.° corbolo; b\° servidore; 7.° cavedino ossia tavola di cristallizzazione. Le proporzioni variano dalle saline di Pirano a quelle di Capodislria, come risulta in massa nella qui sottoposta dimostrazione; per esempio, l'area che si occuperebbe in Pirano per erigere un fondamento di cavedini 10 dovrebbe essere di Klaftcr quadrali 2500 circa; per erigere un fondamento di cgual numero di cavedini in Capodislria basterebbe l'area di circa Riafter quadrali 1900. Le saline appartengono la massima parie a' privali, le altre al demanio, cioè quelle delle soppresse corporazioni; alli capitoli delle due località, alli due ospitali, ed altri corpi, ma lutti in massa figurano come tanti privali propriclarii e lo stesso regio demanio deve sottostare a que' regolamenti e discipline che vengono ordinali dalle autorità amministrative, e diramali dalle due presidenze. (I) Si ritengono i nomi che si usano comunemente. Queste presidenze rappresentano tutti li proprietà» j e sono composte da tre individui, cioè da un presidente e dne aggiunti, li quali vengono eletti dai proprietarj slessi nelle particolari loro unioni, Ira gì'individui del loro slesso corpo, e si cambiano uno all'anno. A guisa delle altre proprietà anche le saline dell'Istria presentano nei parziali possessi delle grandiose differenze da un proprietario all'altro massimamente in Pirano, ove si vede la ditta ti risoni possedere cavedini oSO, con Klafler 454,614, c la dilla Pierobon possedere cavedini uno con Klafler quadrati d'area 22o; e per questo si trovano molti proprietarii possedere varj fondamenti, e qualche fondamento appartenere a vari proprietarii. Dimostrazioni (ielle dille proprietarie, delVarea in Klafler quadrati, dei fondamenti, dei cavedini e dei lavoratori salinari, nell'i due stabilimenti di saline di Virano e Cupodislria. Stabilimenti Dille Arca Klafler Fondamenti Cavedini Lavoratori A'. quadrati JV. A'. JV. 217 1.746,30:1 617 7034 i 404 Capoti ialria 63 '709.134 218 3844 741 280 2,458,4^9 83S 10,878 2205 Nel reggimento della repubblica veneta le saline dell'Istria non potevano fabbricare che una stabilita quantità di sale, cioè quanto ne occorreva a quel governo pel consumo de' suoi Stali. Occupata l'Istria nell'anno 1797, una delle prime misure prese dal nuovo governo fu di levare questo inceppamento all'industria e permettere che li proprietarii fabbricassero quanto sale potessero, aumentando anche il prezzo col quale in ogni tempo l'erario, come sua privativa, paga il sale che acquista dai proprietarj delle saline stesse. Subentralo nell'anno 1805 all'austriaco il governo italico francese, e trovandosi in quel tempo il governo slesso impegnato in guerra coli'Inghilterra, questa per la sua preponderanza di forze marittime impediva alla Francia, ed a quasi tulle le nazioni il commercio marittimo e per conseguenza anche l'acquisto ed il trasporto del sale dalla Sicilia, sale che la Lombardia consuma in preferenza di altri sali. Per supplire a questa mancanza il governo italico prese a proleggere ed animare la fabbricazione del sale nazionale, spendendo ragguardevoli somme per le saline di Cervia, e massimamente poi per quelle dell'Istria, somministrando sue- ■— 73 — corsi generosi a Molo di semplice prestanza senza interesse olii proprielarj ondo regolassero li proprii fondi, ne fabbricassero molli già abbandonati nelle epoebe passate, e ne erigessero di nuovi tanti in Pi rano che in Gapodislria; e quello di più rilevante che fece quel governo, fu di portare altissimo il prezzo del sale che acquistava dai proprielarj, procurandosi in questo modo il genere tanto necessario nel proprio Stalo, e portando un considerevole reale vantaggio alle due popolazioni di Pirano e Capodistria. Rioccupata l'Istria nell'anno 1813 dall'Austria, confermo in via provvisoria tulio ciò che a\cva fallo l'italico governo in questo ramo. Questa provvisorietà durò fino all'anno -1823, epoca nella (piale avendo conosciuto il governo che le saline dell'Istria fabbricavano più sale di quello che occorreva per i bisogni del Veneto, Dalmazia, Illirio ecc. ecc., giacché aveva credulo a proposilo tornare ad acquistare il sale forastiero per la Lombardia, limitò, come all'epoca veneta, la fabbrica ad una dala quantità di sale che da quel tempo lino ad oggi ogni anno variò a seconda dei bisogni. Sembrando parimenti al geverno slesso che li prezzi coi quali pagava il sale lino a ([nel punto (prezzi come fu dello derivanti dall'organizzazione italica) fossero troppo gravi, li ridusse a poco a poco alla mela circa, cioè dai carantani oli al centina j q ai caranlani u(> il sale bianco, e dalli caranlani 31 al cenlinajo ai caranlani 18 il sale nero, sopprimendo anco nel corso di queslo tempo la terza specie, cioè il sale semibianco, Stabilita dall'eccelsa camera nei primi mesi di ciascun anno la limitazione, cioè la (piantila di sale da fabbricare nella successiva eslate (la quale limitazione per quanto risulta dai calcoli in generale, pare che sarà negli anni avvenire tra le ccntinaja di Vienna 400,000 alle 480,tK)0), questa quantità viene divisa dall'autorità amministrativa locale sulla base dell'area fra li due stabilimenti di Pirano e Capodistria. Conosciuta dalle due presidenze la quantità del sale spettante al proprio stabilimento, fa eseguire dal suo contabile il comparto della quantità slessa per ogni proprietario col ragguaglio dell" area dei fondi salini di ognuno di essi, consegnando ai medesimi una nota della quantità dei sale loro spellante per quell'anno : li quali proprietari poi, massimamente quelli che possedono varj fondamenti, làmio pure colla base della propria area per ognuno di questi il relativo comparto che consegnano ai singoli Salinari (I). ili f>i (.'hiamano comunemente in Capoàietiia e Piranu, di tpteqto ìm- 10 — li — La fabbricazione del sale incomincia. ordinariamente, col mese di maggio, e finisce quando le autorità amministrative e le presidenze considerano che sia fabbricata la stabilita limitazione: e siccome molte sono le circostanze per le quali e dei proprielarj e dei fondamanli possono arrivare a fabbricare la loro stabilita quota prima degli altri consoviunti, le autorità indicale, certe di questo, fanno cessare quella dilla di fabbricare più sale, onde dar campo a tulle le altre di compire le loro quote parziali. Chiusa totalmente la fabbrica, si eseguisce 1" incanevo del sale ne' regi magazzini col mezzo di barche della portala di cenlinaja 200 circa, le quali caricano nelle case delle saline il sale già fabbricalo e lo trasportano alle rive dei magazzini, e dalle rive, col mezzo di uomini in Tirano, e di donne in Capodislria, lo si trasporta nel magazzino, dove viene ricevuto da un regio magazziniere, il (piale, d'accordo con un agonie della presidenza, ne verifica il peso, lasciando per ogni barca al rispettivo proprietario una bolletta indicante la quantità del sale incanevalo. Le spese per la barca e la facchineria dell'incanevo del sale vengono pagate dal proprietario e dal salinaro per giusta metà. Finito F incanevo, la contabilità dell'amministrazione, colla scoria dai registri del regio magazziniere, l'orma il conto generale di ognuno dei due stabilimenti a dilla per dilla, le quali dille se ne convincono dell'esattezza colle bollette che tengono nelle loro mani; e quindi viene effettualo il conseguente pagamento ad ogni proprietario verso relativa quitunsq. All'atto di questo pagamento però, il regio cassiere pagatore trattiene una quota ad ogni proprietario, cioè il selle per cento a quelli di Tirano, ed a quelli di Capodistria il dieci per cento sopra le somme che ricevono; con ciò si formano li così delti due fondi sociali che servono a soddisfare lidie quelle spese che vengono considerale di comune vantaggio; tra cui principalmente figurano il maiileniinento degli argini che guardano il mare; F escavo delle cavane o canali interni degli stabilimenti; le spese che incontrano le presidenze per viaggi, quelle per li proprii uilìzi ecc. ecc. Incassalo l'importo, ogni proprietario forma un conto particolare per ciascuno dei fondamenti, e con ogni salinaio del fondamento stesso, detraendo dall'importo incassato U s, e- me <|uo' elio con giunta parol« si appellerebbero SulinaroU. La varietà iU'ii è molla, so dell'incanevO del salo, cioè della barca e dei facchini, la carta bollala ecc., e finisce col consegnare ad ogni salinaro la metà del guadagno ad esso spettante] poiché il premio del lavoratore per la fatica clic presta, fu in ogni tempo in tulli due li slabi Inoculi la giusta mela della somma netta elio guadagna il fondamento; dalla quale mela poi quei proprio-tarj che nel corso della fabbricazione del sale somministrarono a' salinari delle sovvenzioni in danaro, in grani, od altro, deducono l'importo e contano ad essi il residuo loro avere. Camparlo della quantità del sale superiormente permessa a fabbricarsi nelle saline d'Istria nell'anno..... Area in Klaft. Num. dei Quantità del sale in cent, quadrati Cavedini Parziale Assieme 2,458,439 10,878 ........ 450,000 Limitazione generalo Comparto tra i (Pirano) 1,746,305 due stabilimenti (Càpodistria) 709,134 7,034 3,844 320,039 04 120,960 96 come sopra Comparto del solo stabilimento di Pirano. 2,485,430 10,878 ........ 480,000 1,746,305 7,034 320,039 04 320,039 0'' Proprie tarli 1 N. N. 2 N. N. 3 IV. JM. 4 IN. IV. 5 Ti. Ti. Ti. Ti. 0 Area 2500 21,006 808,090 427.341 761,409 328,989 N. dui Cavedini 10 90 974 1,747 3,049 4,154 Quantità del Sale 469 — 4,010 36.424 88,244 J 14,421 146,469 31 17 la 81 63 come sopra 1,746,305 7,034 3511.039 04 Nei tempi andati, cioè quando sotto il governo veneto le saline aveano una stabile limitazione e prezzi inamovibili, poi sotto il primo regime austriaco, quindi sol Lo il governo italico, e poscia nella rioccupazione austriaca, vale a dire dall'anno 1797 tino all'anno 4823, in che la fabbrica era libera e li prezzi fermi, le saline avevano un dato valore, perchè vi era una base: ma poiché fu ristabilita la limitazione, e che questa varia quasi ogni anno tanto nella quantità del genere, quanto nel prezzo del genere stesso, la base non sussiste più, e quindi il prezzo che viene dato alle saline al presente, non è che un prezzo di azzardo, un prezzo di alti II >. un prezzo di capriccio. Ciò non pertanto e continuamente sì vendono, si danno in pagamento, si cambiano delle saline con altri capitali. 1 prezzi, benché non aventi regola di sorte, variano da uno stabilimento, da un circondario, da un fondamento all'altro; e questo dipende dalla situazione del tondo salino più o meno lontano dal mare, dalla quantità del terreno che pure presenta qualche variazione, dal modo con cui sono tenuti i fondi, essendocene a guisa dei fondi campestri di più o meno conservali, di più o meno livellali, ecc. ecc. La maniera di apprezzare le saline è di un tanto al ca-ved i no: per esempio, un fondamento di cavedini IO, nello stabilimento di Pirano abbraccerà all' incirca un'area di Klafter quadrati 2500, ed è fornito di una solida casa di pie Ira, e gli si darà il prezzo di fiorini 4500 circa, vale a dire fiorini 150 il cavedino: un fondamento di egual numero di cavedini in Càpodistria, che presenta un'area più ristretta, arrivando appena a soli Klafler quadrati 4900, con un semplice casone di legname, verrà apprezzalo fiorini 700 circa, cioè fiorini 70 al cavedino. Questa ragguardevole differenza., a fronte clic quella dell'area non sia tanto grande fra un fondamento e l'altro, ed a fronte che la limitazione venga stabilita Sull'arca slessa, deriva da varie cause, che in principalità sarebbero queste: la quasi certezza di fabbricare quella limitazione qualunque sul fondamento di Pirano, in confronto dell'incertezza di farla su quello di Càpodistria, e ciò per la bravura dei salinari del primo in confronto del secondo; la miglior collina dei fondi di Pirano, paragonata con quelli di Càpodistria, per essere soggetta, per ragioni atmosferiche, più a pioggia questa che quello; la differenza della casa del fondamento di Pirano, tutta di pietra che importerà altri fiorini 400, in confronto di quella di Càpodistria di legname, forse calcolata appena fiorini 50; e tante altre cause, che per brevità si om-mcllono. Il seguente approssimativo risultato potrebbe presentare una norma del prodotto di un tale fondamento in Pirano. Rendita velia approssimativa per parie dominicale dina fondamento di cavedini 40 in Pirano, posto che la limitazione dei due stabilimenti fosse di centinaia 430,000 e che il fondamento avesse Pareo di Klafler quadrali 2500. Fondamento N....., cavedini 10, area Klafter quadrati 2500. Quota di limitazione per l'anno. . . . Sale bi.-iuco centinajn 4(59, a rarajnlani 2fl fio. 20.": (4 — 77 — Delrucsi fi rilascio «VI 7 por conio por il fondo sociale f. 14: \H: -1 Spose per I.» barca, e facchini por l'incanevo » 12:34* 2 Carta bollita per la quitanza » — 30 — 27: li Rimanenza netta da dividersi col salinaro fior. 170 Metà devoluta al salinaro » 88 Metà libera al proprietario ss Fu dello qui sopra che le limitazioni per gli anni avvenire potranno ammontare dalle centinaja -400,000 alle ccn-linaja 450,000, a fronte che negli ultimi scorsi queste fossero più grandi, ammontando quella dell'anno passato a centinaja C)£JO,000, e che anche quella decretala, e già pervenuta per Fanno corrente 1847, sia di centinaja 620,000 Le vistose quantità di sale, superiormente in questi ni limi anni ordinale, hanno per oggetto di formare nei pùbblici magazzini un deposilo per supplire ai bisogni di tre anni, ed in questo modo avere il sale stagionato, e possibilmente a-sciutlo per togliere i reclami delle amministrazioni venete, illiriche ecc., alle quali venivano spedili per lo passato sali freschi, tante volte fabbricali nello stesso anno, e per conseguenza pieni di umidità e soggetti a significanti cali. Compiti dunque che si avranno li detti deposili, per con-tencrO li quali si van fabbricando tanto in Pirano che in Ca-podistria dei nuovi magazzini, le spedizioni verranno fatte col sale fabbricato Ire anni prima; per esempio compili che fossero li depositi col sale della fabbrica 48-47, nella primavera dell'anno 4848 si spedirebbe il sale fabbricalo nell'anno 4845, e cosi successivamente di anno in anno, e sarà allora che le saline dell'Istria avranno la limitazione più volle indicata dalle centinaja /<00,000 alle centinaja 450,000, INTORNO a ClTTANUOVA E AD ALCUNE IMPORTANTISSIME ISCRIZIONI CHE IUSGUAHDANO L? ANTICA EMONIA E PaUENZO. Pregiatissimo signor conte ed amico. Jer sera me ne parliva da Daila, ove goduto avea della ospitalità più nobile e generosa, sopra un calessino che dovea mei termi a Cittanuova. Siccome il di era stalo de' più sereni VI. c brillanti, cosi \i rispondevi nella serenità e brillantezza il tramonto, Le sono pur vagite queste città clic si levano su del mare, quando il mare le bacia delle ebete sue onde, e il sole, fattosi specchio dell'onde stesse, vi manda la variopinta riflessione de' suoi raggi, quasi saluto per la notte che dopo la sua diparlila persuaderà al riposo, e quasi promessa del mattino in che ridesterassi pur egli al primo canto dei pennuti e si affretterà a ricondurre colla luce l'opera, lavila, la giocondità e l'amore negli uomini e in tulle cose. Sotto lo spirare di un' aria non tempestosa, ma forse di troppo acuta, non mi si offrivano che oggetti carissimi. A non parlare del Cielo, de' non lontani poggi, del lido e delle acque, m'era" delizioso lo spaziar degli sguardi per la circostante campagna che dal lungo sonno invernale ridestavasi a quel tepore che fa candida e vermiglia primavera; e benché, come avvertiva, lo spiro dell'aria fosse di soverchio acuto, nullamcno cran balsamo quo' soavissimi effluvii che portava Su delle proprie ale; balsamo non solo pel senso delicatamente commosso, ma per l'anima ancora, che de' suoi pensieri correva addietro per anni ed anni, e legava alla soavità di quell'ora alcuna delle più care idee della vila, mentre per l'anima stessa un solo tremilo è bastevole ad eccitare una miriade di antiche e nuove emozioni. Poi la città veduta dalla strada ch'io percorreva prescntavasi dalle sue mure assai vagamente, e lasciava argomentare di se mollo più che dappoi il fallo non mi provasse. Giunsi a Cillanuova in ora che mi concedeva di muovere a visitare ciò che tuttavia offrir potesse di maggiore importanza. Chiesi del tempio, delle scuole, degli antichi avanzi che mai vi fossero, il tempio è ristrétto senza alcun pregio archi-iellonico, ed in molla necessità di arredi e gravi ri s tauri. Scesi nel sotterraneo, misero davvero, per venerare le mortali reliquie del bealo Florio che dal 520 o poc'olire sorlilo era al reggimento episcopale della chiesa emoniese e poi ne divenne il patrono. Di là passava alla sacrestia, ove dipendono le immagini de' vescovi di Emonia o Cittanuova, che dall' e-poca accennala fino al d8ot si succedettero, nel qual anno sopprimersi la sede episcopale di Cillanuova. Quelle imagi-ni valgono molli fasti cittadini e molte memorie onorale, ma si vorrebbe per esse un luogo più opportuno ed una migliore disposizione. Dal tempio i passi mi portarono a visitare le scuole che nel numero di 1500 abitanti non salgono sopra le elementari minori. Mi piacqui segnatamente della scuola femminile. j\(m iscarso il concorso delle giovanelle, opportttnis-simo il loco, savio l'ordine in che si tengono, eccellenti metodi che si adottano, dei migliori della Venezia, amorosissima ed assennata l'opera della maestra, mollo il profitto; mi parve almeno da quelle prove che alla sfuggila mi fu concesso attingere dalla medesima mia parola. Ella non può immaginarsi il piacere clic dentro di me sentii di trovare ivi pure gettato il germe di quella educa/Jone che al meglio indirilla saia per apportare il maggior tiene alla socielà. Se non cominciamo dalle madri, l'opera è perduta. Esse, e sulle proprie ginocchia, formano le indoli morali delle nazioni, esse imprimono nei cuori dei teneri frulli delle loro viscere quel suggello, cui la mano del vizio non potrà cancellare giammai. Le dirò poi che prima ancora di giungere a Cillanuova era io favorevolmente prevenuto di quella insliluzione per lina lettera graziosissima, forse un po' Iroppo per la tenera c-tà di chi la scriveva, che le più delle a nome di lolle le compagne indirizzavano alla rappresentanza cittadina, e leggevo stampala nell' Osservatore Triestino. Che se la necessità della educazione femminile è reclamala comunemente, ella si fa sentire con maggior energia laddove la condizione popolare è dejella, l'abbandono della vila profondo, la sapiente economia ignorata, la nettezza domestica nulla; e comunque mi trattenessi ivi quella sera soltanto e poca parie del giorno appresso, nullamcno dalle dimando che mossi e dal giro fatto per le contratte, mi convinsi che la donna del popolo educala ai doveri della sua condizione potrà servire ad una riforma di abitudini che alimentano la infingardaggine, ed accrescono la miseria. Si fa di tulio per educare il popolo; io però temo che la strada da percorrere sia lunga ancora^ benché l'acceleri della speranza e mi lusinghi che i melodi a raggiungere il nobilissimo fine, più sempre si perfezioneranno; e (pie' che presiedono animali dal vero desiderio del bene correggeranno i difetti e promuoveranno quanto giovi da senno e non già per vana apparenza, alla mente e al cuore de' giovanetti e delle fanciulle (I). Ala basti di educazione popolare e di operosità, sebbene e per me e per Lei pure, a veder mio, codesli argomenti siano inesauribili. Vorrei solo confrontare quesl' epoca, in cui delle giovanelle indirizzano lettera compitissima a' magistrali cittadini, perchè aprivan loro una scuola desiderala, e quella del Vescovo Girolamo Violini che il 29 decembre 1570 scriveva al podestà ed al consiglio, che si facesse modo di provvedere ad un medico ed alle me-dicinCj essendo mestiere altrimenti di portarsi a Capodislria (1) Quanto scrivevo nel 1847 riputo noi 4884. Ci strada ò ancora assai lun^a: l'istruziono popolare si propagò largamente, ma libri, me* lodi, insegnanti in pochissimi luoghi corrispondono al grand'uopo. • — so — e-per l'uno e per le altre. Addurrei anzi la lederà vescovile curiosissima se non temessi d'annojarla. Ora i cultori delle arti liberali moltiplicarono, nò vi ha certo a temere simile penuria, lo poi credo che la salute pubblica ci profitti in onta alle contrarie conclusioni di molti. Ma lascio l'argomento e vengo alle antichità. Wè qui pure m'allaccio la giornea ed entro a combattere la causa delle origini, dei nomi, delle i-scrizioni variamente interpretale dagli antiquari; che anche la famiglia degli antiquarii non è la più facile e mile, e quantunque il più spesso ravvolgasi tra le pietre e la ruggine, pure non cessa di erigere li suoi edifici fantastici, peggio dei giardini d'Armida del Tasso e degl'incantati castelli d'Ariosto. Benché avvisalo di ciò, mi lancio nel ginepraio archeologico, per sbrigarmi in breve ed offrire, più che le mie, le opinioni di alcuni benemeriti che interrogarono le antiche memorie di Ci Hanno \ a e fra questi dell'instancabile canonico Slanco-vich, a cui l'Istria deve molla riconoscenza. Concesso, come pare che irrefragabili monumenli lo addimostrino, che non mollo più addentro dal mare, ove sorge ora Cillanuova, sorgesse l'aulica Emonia, o pròpriamente nel silo in che oggidì vedesi il canale di Villanova, e concesso insieme che nella rifabbricala città convenissero gli Emoniesi e portassero alla nuova il nome della patria distrutta, ne consegue che Ire fossero le città dal nome di Emona contraddistinte, le quali però, giusta il parere dello Slancovich, nella forma ortografica di-versilicavan fra loro ; poiché quella del norico scrivevasi Je* mona, quella della Pannonia Emona, quella dell'Istria Hemona, Tutte e tre poi furono colonie romane: quella della Pannonia condotta da Giulio Cesare, la Norica da Claudio, l'Istriana da Trajano. 1 cittadini nell'una appartenevano alla tribù Giulia, i secondi alla Claudia, ignorasi a quale appartenessero gli altri. La colonia Pannonica-Emonicse fu condotta treni'anni allo incirca prima di Gesù Cristo, la Norica nel cinquanlcsimo dell'era volgare, presso il centesimodecimo l'Istriana; e ciò per non tener conto della Aemonia che appartiene all'Asia e propriamente alla Frigia Paca zinna, della quale essendo vescovo Eustachio che intervenne al concilio costantinopolitano, mulato il c in e, cioè V Armonia in Aemonia, lo si fece a torto vescovo di Cillanuova. Alcune lapidi veggonsi incastonate nelle mura esterne del duomo di Cillanuova, poiché i prelati ivi non operarono a cancellarle; anzi il Negri ne raccolse una di mollo pregio che ne dà notizia di uu bagno costruito per decreto dei decurioni. Che se mai bramasse le parole, sono cèdeste ; — {& . — COLONJS INCOLIS PEREGRINIS LAVANDIS GRATIS i). D. P. P. P. La più celebre però, e importantissima, che si riprodusse colie stampe a più riprese e d'ordinario assai scorretta, che il dottissimo Labus P ebbe anch'egli assai viziala da un apografo di un viaggiatore britanno, è quella, cui lo Slau-covicb, condottosi sul luogo ove giacca sepolta, leggeva nel 1835, dicendo che, quantunque la pietra tosse spezzata a due terzi della sua altezza, tuttavia la scrittura non era guasla, né corrosa dal tempo, e le parole nitide e conservale in modo che si potevano rilevare dal più inesperto. La copia fedelissima è la seguente: G. PRAEGEL LIO. G. IT. PA1\ AUGURINO. VET IO. PESTO. Gl'i IS P1NIANO. VI lì 1 o VERO. CASSIAMO C. h TRII MVIRO. CA. PITALI. TRIB. LEO. VII GAEM. PATRONO. SP. LENDIDISSIMAE. COL AQITL, ET PARLIVI ORUM. OPITEIUUNOR 11 E MONE NS. OR DO. ET PLEP.S. PAVE NT. AER CLL 1) D D Quattro sono le colonie ivi ricordale e marillinie tulle: Aquileja, Parenzo, Opilergio ed Emona, le quali dovevano forse annodarsi insieme per una reciprocanza d'interessi cittadini e di commerci. E mi è pur caro veder associata a sì antica e nobile alleanza Oderzo città della diocesi cui appartengo, ricordala da Plinio nel lib. 111. cap, 18, pel Livcnza ed il celebre suo porto, notissimo appresso pe' mille coraggiosi suoi Jigli che condolti da Valtejo, come raccontano Livio e Eloro, e poeticamente descrive Lucano, e circondati dalle navi di Pompeo, perchè del parlilo di Cesare, nel pollo di Cropsa oggidì Cherso. si difesero valorosamente contro agi'Istri ed a' Libur- ti — ss — ni, ma nell'impossibilità di resistere davvantaggio e salvarsi, tulli si uccisero. L'unione di questa o quello città dell'Istria con alcuno delle Venezie, ed in generale degPIstfi eoi Veneti, non è raro clic occorra nelle iscrizioni e nelle storie de' lenir pi più remoti, ed ella avrà ben presente la lapide die nel 1742 rilrovossi negli orli pincii: PETRONIO, PROBO____CONSl LI. ORDINARIO VENETI. ATOUL. JIISTRL PEGULJAft. EJUS PATRONO PRAESTANTISSIMO L giacché siamo sul moltiplicare le lapidi, ond'è die la (attera medesima 0 l)cr divenire una lapidilicazioue per eccellenza, abbiasi pure la copia esalta delle parole scolpile sul inanno celebrati ssimo che riguarda Parenzo ed alcune sue o-n ora te memorie ciltadinc: L. CANTIO. L. F. LEM. SEPT1MINO. EQ, PUB. ELAM. PATRON COL. VL ilAE. PARI-M GURIAL, RET. PAR OMNIBUS, ONORIB Ali INICIPAL. FUNGTO PRAEE. EB. PATR. COLE. 1 Alili Il Villi. AERE. CONLATO L. D. D. D. INe qui cesserei: ma sento io di essere stanco, e m'avveggo che la stanchezza non dovrà essere minore in lei, ond'è che sta sera con la mente piena di lapidi e di glorie antiche mi addormento, beatissimo se nel corso della notte mi si presenteranno nei sogni, e io me ne anderò loro dietro come a fantasimi che nella luce scompajono. Le pietre segnate dei fasti delle nazioni, ove non c'entri la malizia, questa nemica naturale della verità, a contraffare anch'esse, l'ormano la parie esenzialissima della storia e portano i suoi più irrefl'raga-bili documenti. Que' prodigiosi Romani clic percorsero si largo trailo di mondo, lasciarono dappertutto le tracce delle imprese; de' costumi, della civiltà, e se volessimo dirlo peil ombrarci veridici, anco dei loro delitti. Tuttavia 1"orina che impressero è grande, riè so quando sarà per sorgere un altro popolo che grande al par di loro la imprima. Che che vogliaci essere di questa conclusione, il tatto è che la provincia i siriana ridonda dello memorie di quei tempi eroici, e solo nel toccare (runa cillà m'avrei aperto il campo ad una lunga e più che accademica disertazione. Domani riprenderò il mio \iaggio lungo questa bellissima costa dell'Adriatico, v dal piroscafo o da l'ola le farò novello cenno delle mie fuggitive impressioni. Frattanto mi creda lieto di quella slima e rico* noscenza con clic ho l'onore di prolesfarmele. VII. Viaggio da Cittanuova a Pola e visita agli aisticiIi suoi monumenti. Pregiatissimo signor conte ed amico. Al sorgere primo dell'aurora ero desto pur io. Kicondur-mi dalla casa ospilalissima del medico, ove albergai, alla chiesa, e dalla chiesa per le vie disagiose della cillà, fu l'impresa del mattino fidentissimo. La brezza dolcissima della primavera increspava l'onde che non mi fiderei dire che palpitassero, ma dirò che commosse risplendevano di color varj sollo ai raggi del sole. Attendeva il piroscafo che da Trieste toccasse al porlo di Ciltauuova, ritornai dunque più volte alla {mola di dove misurava per lungo tratto il mare fluttuante, seminali) di peschereccie barchette, le cui bianche vele gonfie dallo spirare placidissimo del vento ed investite dai raggi del sole formavano adornamento e vago contrasto alle cerulee acque. Alla perfine una striscia di fumo che si levava non molto lungo per dileguarsi ben presto accennò al naviglio che s'appressava, Giunse, sostò, diedi il saluto della riconoscenza a miei albergatori, quello d'un avvenire più lieto alla cittadella, salii animoso e mi assettai su del cassero, e da lì a pochi istanti solcavamo veloci le chele onde. Vidi il porto che dal fiume che vi discorre dicesi Quieto, a cui dovasi anticamente, come raccontano alcuni, il nome d'lstro. Viene dietro l'altro porlo di Gervcra, indi si discerne il principio della via che mette a Monlona e Pisino, luoghi importanti dell'Istria interna, ricco ed operoso il primo, sede il secondo del capitanato circolare, che presso noi corrisponderebbe alla carica principale della provincia. Già eravamo dinanzi alla gentile cillà di Parcnzo, e dissi gentile per P aspetto, gentile per l'indole degli abitanti che ascendono a 5000 allo incirca. Ella forse avrà udito altre volte parlare dei marchesi Polesini ch'ivi dimorano, e vorrei pur credere del pio od amalissimo vescovo nions. Peleani. Ove trovo dei nomi che si raccomandano .per la vita operosa e la bontà dell'animo, io pure li raccomando all'alimi memoria. Sono soverchi i tristi perchè non abbiamo a tener conto di quelli che nelle proprie azioni corrispondono alla dignità della vita. Ora i fratelli Polesini che hanno vasti possedimenti, provvedono d'ogni lor meglio a promuovere l'agricoltura e il benessere de'lor coloni, danno ammaestramenti e mezzi, e quindi sono gli amici più utili ed onorali della lor patria. Il Petcani è un vivo ritratto della carità, il suo patrimonio lo è pure degli indigenti, prega ed opera, insegna e soccorre, ama ed è amato. Gli si offriva un maggior grado nella chiesa: lo si c-leggeva ad arcivescovo di Zara. "Tenero de'suoi tìgli, non li abbandonava, porgeva ringraziamenti e rinunciava all'onore. Non piangeva e faceva piangere pel dislacco, sibbenc per la giojn, e sincerissima. Cosi diportasi un vero padre. \la dalla digressione, per avventura non inopportuna, si ritorni alla città, ch'io mirai solo dal piroscafo. Eppure mi piacerebbe dirle alcun che. Le dirò adunque che del 992 con altre marittime dell'Istria e della Dalmazia si sottomise alla veneta repubblica, essendo principe d'essa Pietro Orseolo II; che ribellatasi nel ÌICO, fu' ricondotta colle armi a soggezione del doge Domenico Moro sini. da cui le s'impose l'annuo tributo di 2000 libbre d'olio alla basilica di S. Marco; che nel I1G8 ammulinossi di nuovo, e le fu aggiunto l'obbligo di 50 montoni, gravezze da cui fu liberala nel I2(>7; dirò che nel iòoA saccheggiossi dai Genovesi. Il Todenni scriveva «che di questa città è osservabile la chiesa cattedrale molto aulica, fabbrica dei secoli anteriori all' impero di Ottone I. Vi si vede, aggiungeva egli, una cappella adorna di antichissimi mosaici con una iscrizione che prova essere questo tempio stato innalzalo dal vescovo Eufrasio, il primo in questa città, di cui si abbia memoria nella storia ecclesiastica. liei colonnati, e rari e preziosi marmi adornano questo sacro edilìzio, e l'aitar maggiore ha una ricca tavola dorala. » Mi spiacc di non poterle dire da me cotesto cose e di aver d'uopo di ricorrere alle parole altrui. Gli oggetti, allorché non si mirino dei propri occhi, non si possono certo rappresentare agli altri con quella persuasione e quella nettezza che spicca dalla viva percezione dell'anima che ha falla sua l'immagine, e la descrive. Pochi minuti, e le ruote ripresero il proprio movimento, e col movimento di esse si apersero l'acque in solco, e noi ci discostammo dalla città. Un lungo e grazioso seguito di scogli e di isolette, la maggior parte delle quali sortirono l'appellazione di un santo, come di S. Nicolò, di S. Pietro. — Sodi S. Lorin, di S. Giorgio, non mancandoci la punta della Madonna, ch'ò il più caro dei nomi, ne fiancheggiava. E dall'altro eanta si dispiegavano i colli ora vestiti ora ignudi, ora adorni di chicsucce e di case, Ira cui primeggiano Fon-lane ed Orsera, castello quesl' ultimo eretto in velia al mon-le, ed ai suoi piedi uno de'migliori porti dell'Istria, guardalo da tulli i venti più minacciosi. 1 patriarchi acquilcjesi, tino da tempi remotissimi, aveano 1' investitura di esso, che passò poi nei vescovi quasi tendo, ond'è che perciò aveano il titolo comitale. Da quanto mi parve nel celere passaggio, il suolo sarehhe allo a maggiore cultura. La scarsezza della popolazione ed alcune altre condizioni, originate o dalla natura o da altri motivi accidentali, finora lo impedirono. La siccità però cui nel!'ostale soggiacciono questi colli e la mancanza di scorrevoli acque sono forse i maggiori ostacoli. Per sopperire a sì urgente bisogno gli abitanti scavano delle ampie e profonde fosse, aftinché ivi si raccolgano le pioggic; ma le fosse si adempiono di schifosissimi rollili, e le acque che calano s'impregnano della lena circostante che rosseggia, e si tingono anch'esse di quel colore; nè è solo il colore che dispiaccia agli sguardi; ma quel che è peggio, risenlesi di spesso, nè lievenicnle, la salute. Ed io che più assai della coltura de'campi amo la vila degli uomini conchiudo che dove il portarsi a coltivare quelle colline li uccidesse è meglio che rimangano alle lor case: vivranno più poveri, ma vivranno, e il vivere è qualche cosa. Dal mare vidi lungo le falde del monte coronalo dal castello e da circostanti abitazioni modeste e pulite, parecchi buoi che pascevano. Fra una delle poche volle che mi scontrassi in codesti animali provvidi ajulalori dagli uomini nelle loro fatiche e mi rallegrai. Segnavano forse un avvenire più felice ! deciderà il lempo. Quante volte, oh (piante! mi sono ingannalo per farla da profeta! ricuso (Iinique di cimentarmi d'avvantaggio. La non sarebbe poi profezia, ma una legittima conseguenza quella che la propagala alimentazione degli animali addurrebbe una seconda vila nell'Istria, cd i mercati che mai s'introducessero ne' luoghi principali, tornerebbero a ciò di potentissimo eccitamento. Esprimo i concelli nel modo con che mi nascono nella mente, e giù mi cadono dalla penna; se convengono li accolga, se meno, abbiano pure il meritato ripudio, che io non amerò mai l'errore, perchè è mio. Ma si segua il piroscafo nel proprio corso, e drizzalo uno sguardo al canale di Leme che s'addentra per ben sei miglia fra monti, si miri a quella chiesa che s'aderge su d'uno scoglio staglialo e domina una popolosa cillà. E il duomo di Ilovigno. Come io mi fissavo degli occhi nel- — &r> -* J"inrnnlo di quel magico silo c li piegavo tratto tratto alla vaghissima isolctla.di s. Caterina che sorge rimpallo, appres-savasi il piroscafo alla riva, ove, dato sfogo ali imprigionalo vapore che lo fornisce di ali sì celeri e infaticate, sostava e metteva per parecchie Ore i passeggieri nella città. Dal porto avviavano per la maggiore contrada alla volta di san France* sco, di là meo riedeva per salire alla vetta che fu scelta al tempio delle comuni preghiere, forse perchè le preghiere a-seendessei'o più libere, più spedile e più pure al trono di Dio. ]\li credo che il concetto che scappò dalla penna non sia immaginoso del tulio, avvegnaché sietto pochissimi quelli che della propria esperienza non vengano a [trovarne, che l'anima dal luogo, dall'ora, dalle condizioni esterne assai ritrag^ ga ad accrescere o a rallentare l'interno commovimento. E cello che il silo in che pianlossi il maggior tempio della città, a cui si monta per una via lastricata ed un po' erta, ma non disagiosa di troppo, il giorno limpidissimo, limpidezza di cielo che per me vale quanto la gioja dell'anima, l'ora che declinando dal meriggio mi persuadeva ad un qualche raccoglimento, alcune altre particolari condizioni della mente e del cuore, avranno forse operato in guisa che lo slancio dell'anima a Dio nell'istante in che dentro del tempio m'inginocchiava fosse pieno e soavissimo, uno insomma di quei momenti felici in che provasi tutta la soavità d'un migliore destino che ne attende, e d'un trailo vi ci abbandoneremmo, dove i terreni impedimenti non col vietassero. Il tempio è di formCj se non isquisile, ordinate e caste; è ampio, e lo deve, poiché gli abitanti di Kovigno toccano gli undicimila; era pure putito e decoroso nei suoi adornamenti, forse anche per la solennità dell' indomane, che veniva a chiudere Follava della festa più grande cui celebri la cattolica Chiesa, Percorso ch'ebbi il tempio, uscii dalla maggior porla e sovr'essa lessi una Ialina epigrafe che, alludendo all'erezione di quel patrio religioso monumento, esprimevasi latinamente in un vero ed opportuno concetto, dicendo: Quegli che opera tulle le cose Ita comincialo e compiuto. Nulla di più vivo nella significazione della fede di un popolo. Dalla porta mi affacciai alla Cinta che protegge il risguardanle dalla roccia suggella e dal mare. L'ala dell'occhio più robusta sarebbesi stancala nel protendersi lungo quello spazio infinito di acque e di ciclo. All'ala dell'occhio in me teneva dietro quella del pensiero, e voltomi alla terra natia, parca mi che pel disgombro piano ondoso mi si rafforzasse P alleilo ad islringermi quasi a' più cari oggetti che mi fanno men grave la vita, e mi compensano di quel rammarico molto che destasi in me alla storia delle crudeltà, degli inganni, de'tradimenti onde soverchia F umana stirpe. Benché l'orse raccogliendomi sopra di me abbia molto da rimproverare a me stesso, tuttavia giovi espi merlo intero come nasce dentro di me il sentimento. L'amore della virtù e della candidezza degli animi per me è potentissimo, uè, dopo quelli che a Dio mi legano, non vi hanno affetti che mi leghino, non vi hanno alleili che mi parlino più energicamente di (pie' della famiglia, «Iella patria, della nobile e genti le schiettezza del pensiero e del labbro. Mi stringerei sempre a codesti cuori con amore di fratello. Volava pertanto della meide e degli occhi desiosi dietro silfatte idee, e, care sempre, m'erano in quell'ora ed in (pud luogo carissime; (piando vidi apprestarsi il legno alla dipartita. Mi fu mestieri ..cerniere e ricollocarmi al proseguimento del viaggio. Non le dirò dei paesi, delle rade, dei colli, dei monticeli], degli altipiani, delle valli, delle isolette che lungo quel cammino con una magia da non descriversi a parole snceedonsi. Ma che, proponeva io di narrarle o dipingerle cotesti oggetti? Ella già imprese altra volta la gila da Pola a Trieste e ne avrà ancor viva la rimembranza. Ved* eli a quella graziosa isoiella di san Giosanni a desini, quel paese culminante di Valle a sinistra? Vede quel canale con la punta grossa di Barbari-ga, e rincontro Dignano co' suoi 4300 abitanti, e Gallesa-no con 9()0, e Fasana e le isole dei Brioni? Molla un giorno chiarissimo sul declinare, un zeffiro di primavera, un sole che pronuncia la state vicina, un mare tranquillissimo ed un animo disposto a godere di quelle scene, e poi mi nieghi che questo giorno non fosse uno dei più giocondi per me ! Ma lo scioglimento della scena doveva essere più brillante e caro assai del principio, Già apparivano il castello di Pola ed il monumentale suo antiteatro, ed il piroscafo raddoppiava P empito per entrare nel meraviglioso bacino in che natura d' isole e scogli rinserrava un tratto di mare per far d'esso uno dei porli più capaci e più sicuri del mondo. Alcune fregale della flotta austriaca stanziavano in quel bacino ; ed io, benché fòsse velocissimo il corso, pur Io affrettava col desiderio per mettere il pie in terra e muovere pria che cadesse la notte a visitare i più mirabili avanzi della più grande potenza che dominasse la provincia istriana ed il mondo. Sembra dalle storie e da quanto con brevi ma importanti ed accuratissimi cenni dice quel!'infaticabile illustratore dell'Istria che è il kandler, sembra che Po|a avesse origine da' Traci istriani, occupatissimi nelle cose di mare; che, conquistata dai Romani, si facesse estrema fortezza d'Italia contro i Dalmati ed i Lihurni; che ■à smantellasse dai snidati liguri ai tempi di Giulio Gesarr ; — 88 — clic, virila la battaglia di Filippi, si ricostruisse e si chiamasse Julia Pietas, non yià per la misericordia usala verso i Palesi, ma sibbene per la filiale pietà che Augusto attestava verso Giulio Cesare3 di cui dicerasi figlio. Poscia prese parte con Aquileja, città di 000 mila abitanti, nel grande sviluppo de' suoi commerci coli* Oriente e nella numerosa flottiglia che manteneva sui mari. Venne Trajano, e Pola vantaggiò; vennero gli Antonini e toccò la màssima sua prosperità. Pare la sua popolazione a quo' giorni da 25,000 potesse ascendere a 35,000 abitanti. La sua floridezza invitò parecchi ragguardevoli personaggi a formarne loto dimora. Qui Itasparasano che dai Rossolani rilira vasi in Pola nell'anno 120 dell'era volgare allo incirca, e sullo scoglio che dicesi degli Olivi veniva sepolto insieme col ligliuol suo. Qui rilega >asi Crispo il primogenito di Costantino, e per comando del padre uccidevasi nel 52(>; qui pure si trucidava Callo d' órdine dell'imperatore Costanzo. Le devastazioni di Attila non vi giunsero; fu suddita a Teodorico; Belisario del 539 riconquista vaia dai Goti. Sotlopoucvasi all'Esarca di Ravenna; indi nel 789 se ne impadroniva Carlo Magno clic insieme al resto della provincia istriana affidavate al reggimento del duca Giovanni, Due documenti della massima importanza slorica si riportarono dal Kandler, documenti che risguardano l'Istria tutta e segnatamente Pola; il primo una lettera di Cassiodoro ai provinciali dell'Istria; l'altro il parlamento temilo dai legali di Carlo Magno. Credo che a Lei, assai amoroso delle classiche memorie degli antichi, torneranno graditissimi, quindi glieli trascrivo e li aggiungo a questa lettera. E coito poi Che hanno importanza più che municipale. A giorni più vicini Venezia, Pisa, Genova si disputarono il dominio di Pola; poiché premeva ai Pisani ed ai Genovesi che Venezia non si facesse padrona del commercio e della navigazione dell'Adriatico. Ma cessino Io storie che pur volgerebbero intorno alle varie condizioni dei tempi moderni, od all'episcopato, ed ai mutamenti statistici, agronomici e climatici del territorio di Pola; e la tollera si raccolga sulla mia gita. Scendere dal piroscafo e chiedere del Carrara fu un punto. Del medesimi» nome c'è un sacerdote ed un giovane egregio: il primo è operoso illustratore della Dalmazia, il secondo amorosissimi) raccoglitore, disposilore ordinalissimo, dotto conoscitore delle memorie e dei monumenti istriani, in i special guisa di Pota sua patria. Ora io parlo di quest'ultimo (I). Trovatolo appe- (') Mi sia ooueeseO; anche ilojioi lunghi «inni, vaia làgrima di mesto gli diedi lettera di un suo e mio rarissimo amico, il celebri' ,-irchilctlo Giuseppe Segurini tèli rese. La lettera raccomandavano alla pazienza del Carrara, ed ebbe il suo pienissimo effetto. La gentilezza di lui non l'i 1 poca, uè di poco o breve disagio. Per me poi tornò profittevolissima e cara ollrcmodo. Eppure è un gran contorto un animo gentile che ci si appressi in cillà sconosciuta. Il Carrara mi fu guida e maestro- 10 lo seguii. I primi passi mossero al tempio che Pola eresse ad onore di Roma e di Augusto. Non è di ampie dimensioni, consta di cella e di pronao a (piatirò colonne ed è consen altissimo. A vederlo ci parla, e parla il linguaggio della grazia e della maggiore delicatezza. E una di quelle torme che molte» ritraendo dall'idea dell'eterna bellezza la trasfónde negli occhi e pegli occhi al cuore dei riguardanti. Non avrei cessalo mai di mirarlo: e come ci ritornava, pareva nuovo sempre il sentimento del bello che in me riproduce vasi. Ci si schiusero le porle, e mi trovai nel patrio Museo. Marmi, ligure, arredi ritrovati nei dintorni si raccolsero ivi: e il Carrara con dottrina eguale alla cortesia veniva descrivendomi a parte a parte la storia del rilrovamenlo, dell'epoca, dello scopo di ciiillro noi abbisogniamo di questi generi in maggiore copia di quella elicci dogete in equivalenza dell'imposta dovuta, noi abbiamo spedito altrettanto danaro nella provincia, Iraendt lo dalla nostra cassa per comperare abbondantemente i vostri prodotti senza alcun «estro disagio, l'orche essendo \oi costretti di vendere le derrate a' mercadanti l'uri slieri, grave pregiudizio vi deriva quando compratori mancano ; e muza mcrcadanti danari non ne vedete. Miglior ci sa è quindi soci udare la volontà del principe, che il dare le preziose cuse ajili stranieri; preferibile assai è pagare debiti con proprie produzioni, che l'avere i fastidii inseparabili del vendere. Oltreché equa è al tutto la misura che prendiamo, non volendo noi nò recarvi pregiudizio nei prezzi, nò caricarvi delle speso di nolo.» «La vostra provincia a noi prossima (a Ravenna), collocata nello ac(|iie dell'Adriatico (l'autore dice jonio, che così anche chiamatisi l'Adriatico), popolala di olivati, ornala di l'orlili campi, coronata di vili, ha Ire sorgenti copiosissime d'invidiabile fecondità, per cui non a torlo dicesi di lei che sia la campagna felice di Ravenna, la dispensa del palazzo reale; delizioso e voluttuoso soggiorno per la mirabile temperatura che gode dilungandosi verso settentrione. f\ed è esageraziono il dire elio ha soni paragonabili a quelli celebrali di Kaj a. nei quali il mare ondoso internandosi nelle cavità del terreno, si fa placido a somiglianza di bellissimi stagni, in cui frequentissime sono le conchiglie e morbidi i pesci. Kd a differenza di Kaja non trovasi un solo averno, nu sol luogo orrido e pestilenziale ; ma all'invece frequenti peschiere marine, nelle quali le ostriche moltiplicano spontanee anche senza che l'uomo dia opera alcuna ; tali sono queste delizie che non sembrano promosse con isludio ed invitano a goderle. Frequenti palazzi che da lontano fanno mosira di sé sombrano perle disposte sul capo a bella donna; e sono prova in quanta e-slimazione avessero i nostri maggiori questa provincia che di tanti ed iti-y.ii la ornarono. Alla spiaggia poi coire paralella una serie d'isolette bellissime e di tirando utilità, perdio ripari i.o i navigli dalle hurasche, ed arrichiscono i coltivatoli coli' -ibiioudauza dei prodotti. Questa provincia mantiene i presidii di confine, è ornamento all'Italia, delizia ai ricchi, fortuna ai mediocri: quanto essa produce passa nella citta reale di Kaveuua.» ir. « In nome del Pudre, del Figliuolo e dello Spirilo Sunlo. Amen.» « r\oi Izzono prete, Cadolao ed Ajone conti, essendo stali inviali in Istria per ordine del piissimo ed eccellentissimo Cai■loniajjno imperatore e del re I'ippiuo suo figlio ad oggetto d'intendere le querimonie contro le sauté chiese, il pubblico governo e le violenze in pregiudizio del popolo, dei poveri, dello vedove e dei pupilli, ci siamo recati nel luogo detto Abano distretto di Capodistrìa, ove trovammo congregati il venerabile patriarca di («rado Fortunato, i vescovi Teodoro, Leone, Staurazio, Stefano, Lorenzo, ed i seniori col popolo d'Istria. Abbiamo allora eletto per le singole cillà e castelli centoscllantadue deputati, e li abhiamo l'atti giurare sui santi Evangelio sullr reliquie, di direi siueerumcnle e senza al- cun timore di persone quanto era tt loro cognizione sulle cose di eui li avemmo interrogati; cioè a dire. primieramente delle sante chiese di Ilio, indi dei tributi dovuti all' imperatore, per ultimo delle violenze patite « •Ielle consuetudini del popolo, de^li orfani e delle vedove.» « liti essi ci produssero attestazioni fatte ai tempi (lei maestri dei militi Costantino e Basilio per le singole citta e castella, dallo quali appariva ch'essi non davano sussidi! alle chiese, e che non avevano in ciò consuetudini. » «Il patriarca Fortunato rispose: Non so se intendiate parlare di me, però vi è noto che tutte le consuetudini, le quali la mia chiesa godette da antichi tempi fino adesso ne' vostri paesi, voi me le avete condonate; per il che ogni qualvolta ho potuto venni in vostro sussidio, e voglio farlo anche in futuro; voi sapete che molte cose ho dato per voi, e per voi ho inviato Riessi all'imperatore; peraltro, sia fatto come più a voi piace. » « Il popolo unanimemente replicò che sia in futuro, come era per 10 passato, eccettualo però che arrivati i legati doli'imperatore abbiano ad abitare insieme alla famiglia dol patriarca, secondo usavasi in antico.» «Il patriarca soggiunse: Vi prejjo, figliuoli miei, dilemi la verità, quali consuetudini aveva la mia chiesa? II primo decurione di Pola rispose: «juando il patriarca veniva nella nostra città, sia per incontrare i legati dell' imperatore, sia per abboccarsi col maeslro de'milili al tempo de'Greci, 11 vescovo gli andava all'incontro coi sacerdoti e col clero in pianeta, colla croce, coi cerei e coli'incenso, cantando come a sommo pontefice; ì giudici col popolo uscivano coi vessilli, e lo accoglievano coi migliori onori. Quando il patriarca entrava in palazzo vescovile, il vescovo, pigliate le chiavi, le metteva ai piedi del patriarca, il quale le dava al suo maggiordomo, a questi disponeva del palazzo per tre giorni ; nel quarto giorno il patriarca passava nel proprio alloggio. » « Noi legati abbiamo quindi interrogati i giudici delle altre castella e città se così veramente fosse, e tutti dissero cosi fu, e desideriamo che così sia da qui innanzi, nò altro abbiamo a diro sul conto del patriarca, c gli accordiamo che anche in futuro le sue gregge dominicali potwfiO pascolare senza alcuna tassa dove le nostre.» «Ma a carico dei vescovi molte cose abbiamo a diro. 1. Perle spese dei legati dell' imperatore, in qualunque altro contributo o colletta, Io chiese davano sempre una meta, l'altra il popolo. 2. 1 legati imperiali alloggiavano sempre presso i vescovi, e vi si trattenevano sino alla partenza. 3. Non si erano mai vedute, come oggidì, viziature o dedose sup-plantazioni nelle carie di enfiteusi o livello. 4. Nessuno era costretto colla forza per l'erbatico e pel glandalico oltre il consueto, ti. Nelle vigne si dava soltanto il quartese, ora si pretende il terzo. 6. Mai le famiglie dei vescovi diedero in eccessi contro uomini liberi, nè si giunse a batterli; or« ci percuotono e conseguono perfino colle spade; o noi per timore dell'imperatore non azzardiamo fare resistenza, affinchè uon ci arrivi di peggio. 7. Chi teneva in affilio terre delle chiese per tre continuo locazioni non poteva essere più cacciato. 8. I mari erano pubblici, ed il popolo vi pescava liberamente ; ora so azzardiamo pescare ci battono e tagliano le reti. » «In quanto alle imposizioni che pagavamo all'imperatore bizantino diremo la verità. Pola pagava 66 zecchini, Rovigno 40, Paronao 66, Trieste 60, Albona 30, Pedona 20, Montoua 30, Pinguente 20, Cittanuova 19, in tutto zoeehini 544, i quali andavano nella c«ssa imperiale, Dacché — D5 — il 'luca Giovanni venne al governo di questa provincia, esso li applicò a sè. e non disse che fossero imposta imperiale. Egli gode la villa di Ur-cione con oliveti molti, porzione della \illa Petrolio con vigne, terre, o-liveti e con casa rustica; egli ha la possessione ch'era del maestro do' militi Stefano, e la casa rustica Scrrolina eolle pertinenze, e le possessioni ch'erano de' consolari Maurizio e Teodoro, e del maestro do' militi Basilio; e la possessione di l'ojacello con terre, vigne, oliveti e tante altre terre. In Cittanuova gode il patrimonio pubblico che ha più di '2wo coloni, ed il quale in buoua annata rende più di cento moggia di olio, più di duecento anfore di vino; ha boschi di ontani e di castagne a sullìceuza; ha le pesche che gli fruttano meglio che 50 zecchini, oltre il consumo della cucina. Tutti questi redditi sono di proprietà del duca, eccettuati i zecchini 344 sopradelli che spettano all'imperatore. » «Nelle violenze patite, delle quali e'interrogate, diremo quanto sappiamo a carico del duca Giovanni. » «I. Egli ci tolse i nostri boschi, ne' quali godevamo il fieno e la ghianda; egli ci tolse la villa delta inferiore, che similmente i nostri padri godevano: ed ora ci nega tulio. Oltre di questo trapiantò gli slavi nelle nostre possessioni: essi arano le nostre terre e i nostri colli, segano i nostri prati, pascolano su quesli i loro armenti, e delle nostre terre pagano affitto al duca. A noi non retano ne' buoi, ne' cavalli e se ci lamentiamo, minaccia subito di ucciderci; egli tolse le nostre.....che i padri nostri secondo le antiche instituzioui disposero.» «II. Aulicamente, quando eravamo sotto l'impero de'Greci, i nostri genitori godevano il diritto di creare i propri magistrati, tribuni, cioè viearj e giudici locali; e per queste cariche si entrava in consiglio e parlamento ognuno secondo il proprio rango. Chi voleva onori ancor maggiori, chiedeva allo imperatore, il titolo d'ipalo o consolare; e chi era i-palo imperiale prendeva il posto subito dopo il maestro de' militi. In adesso il duca Giovanni prepose a noi dei ccutarchi, divise il popolo fra buoì figli, figlie e genero, e forza il popolo a fabbricargli castelli. Egli ci tolse le nostre magistraturo, non ci permette di aver giuris lizione sopra uomini liberi, ma ci costringe di andare contro il nemico col soli no-ulri servi; egli ci tolse i nostri liberti, e ci ha levata ogni giurisdizione sopra i forestieri. Ai tempi dei Greci ogni tribuno aveva cinque zecchini e più; anche questo egli ci ha lolle. l\on mai per lo passato abbiamo somministrato foraggio, mai abbiamo lavoralo pei castelli, mai coltivato lo vigne altrui, mai fabbricate case di villa, mai cotta calce, mai alimentato cani, come adesso ci tocca fare. Per ogni bove dobbiamo dare un moggio, dobbiamo fare collette di pecore, dobbiamo dare pecore ed agnelli; dobbiamo colle navi andare a Venezia, a Ilavenna, in Dalmazia «» su pe' fiumi. Ciò dobbi amo lare non solo pel duca Giovanni, ma anche pe' suoi fi^'li, figlie o genero suo. Quando gli tocca andare pel servigio dell'imperatore e mettersi alla testa delle sue genti, egli prende i nostri cavalli colla forza, e colla f rza ci toglie i tifili, e li fa trascinare carichi per (,itre 30 miglia, e poscia li spoglia di tutto, cosichè appena hanno il corpo per camminare; i nostri cavalli poi 0 li manda in Francia, 0 li dona alle sue genti.» «Egli dice al popolo] raccogliamo uu regalo da presentare all'imperatore, come si faceva al tempo de' Greci, e venga un vostro deputato e lo presenti. Noi raccogliamo volenterosi, e quando il regalo è pronto « >i traila di partire, ci dice: Non occorre che voi veniale, io sarò il vostro — m — intercessore presso l'imperatore; od egli va coi nostri doni, o procura onori per se e pei figli; e noi.... noi l'rallanlo siamo in grande oppressione e dolore. » «Al tempo dei Greei si raccoglieva una volta all'anno pei legali imperiali; s'era necessario, di ogni cento pecore se ne dava una: oggidì di ogni tre una. Il duca Giovanni ha tulli quo' redditi che avea il maestro de' milili, ma questi spendeva sempre per i legati imperiali nell'andare e nel venire: oggidì si fa sempre colletta. Quelle decime che dobbiamo file chiese, le dovemmo dare per tre anni agli slavi che son pagani, quando li trasporlo sulle terre dello chiese e del popolo con grave suo peccato e nostra perdizione. Tutte queste angario e sopraughrrie le facciamo colla forza: i nostri padri non ebbero mai questi carichi, ed è per ciò elio siamo caduti hi grande miseria. Se l'imperatore Carle ci soccorre, possiamo ancora campare; altrimenti è meglio morire che vivere a questo modo. « In allora il duca Giovanni disse: ti Questi boschi e questi pascoli di cui parlate, io credeva sempre che fissero dell'imperatore; so però voi giurate che sono vostri, io non vi contraddirò. Non farò collelle di pecore più di qeutito era in uso aulicamente nò diversamente farò del dono per l'imperatore. Quanto allo opero che prestate alla navigazione ed alle altre angherie, so \i p.ijono gravose, non le esigerò : restituirò i vostri liberti secondo la lègge de' padri vostri; vi concedo giurisdizione sopra uomini liberi, affinchè stiano sotto la vostra autorità, come sarebbero stando sotto quella dell'imperatore: i forestieri che risiedono sui vostri territori staranno sotto la vostra giurisdizione. «Quanto agli slavi di cui parlate, portiamoci sulle lene ove risiedono, e se recano danni ai campi, alle vigne, ai boschi, io li caccierò tutti. Se piace a voi, mandiamoli piuttosto in luoghi deserti dove possano slare senza vostro pregiudizio e con pubblico vantaggio.» « In allora noi, legali imperiali, abbiamo provveduto elio il duca desse garanzia delle sue promesse tutte per le sovraimposlo, pel glandatieo ed erbatico, per lo opere, per le collette, pegli slavi, per lo angarie e per la navigazione; e questa garanzia l'abbiamo data in custodia a Damiano, Onorato e Gregorio; o sebbene venga accordalo elio il duca possa far calce, non dovranno pertanto mai rinovarsi i disordini reclamati. K se il duca, gli eredi o gli aventi causa da lui rinnovassero siffatte oppressioni, cadranno nelle multe da noi fissale. Delle altro querele poi il patriarca Fortunato ed i vescovi, il duca Giovanni, i giudici ed il popolo, dovrà e-scguirsi quanto fu concordato con giuramento, e secondo le carte recate; e chi non vorrà adempire, pagherà la multa di novo libbre d'oro al fisco imperiale.» « Questo giudizio o concordalo fu fatto in presenza dei legali dello imperatore. Izzone prete, Gadolao ed A Jone, e le parli si firmarono in presenza di questi: For/unnìo, patriarca. - Giovanni, duca. - S/aurrtzio, vescovo. - Teo~ doro, vescovo. - SlcfanOj vescovo. - Leone vescovo. - Lorenzo, vescovo. « Io Pietro, peccatóre, diacono della Santa Chiesa Aquileiese, ho scritto la presente carta d'ordine del mio signor Fortunato patriarca, del du* ca Giovanni, dei vescovi, dei seniori e del popolo d'Istria.» frizzo soldi hO. Per dono cortese dell' autore, vendevi questo libro, detratte le »pesi li «lampa, a benefizio della società del soccorso in Capodistria. La Direzione della società del soccorso. Pel presidente ti direttore anzi su» P. Kozao